Qui Brescia n.ro 206

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BRESCIA MAGAZINE

IN COPERTINA

ADRIANO BAFFELLI

Presidente Fondazione Franciacorta

La Leonessa che vogliamo

GPP, dietro le quinte della vendita

Il gran ballo della Croce Rossa

Oscar Bianchi, nuovo Presidente AVIS

Paratico: Scolpire in piazza 2025

La nuda di Giacomo Grosso

Tanto di Tinto, l’erotismo secondo Tinto Brass Heart Of The Race.

Master Mechanics of the Mille Miglia

Pepi Merisio, la fotografia gentile

Sbardolini

Foto

STORIA DI UNA MORTE ANNUNCIATA

‘Non vi farò fallire. Toglierò il Brescia dalla mediocrità’. Queste le parole, testuali, pronunciate da Massimo Cellino nel 2017 in occasione della sua prima conferenza in veste di Presidente del Brescia Calcio. Una promessa infranta lungo un percorso di otto anni disastrosi conditi da prestazioni inguardabili, 17 allenatori (tra arruolati, esonerati e richiamati), una retrocessione in C conseguita sul campo (convertita poi in un miracoloso ripescaggio) ed una serie infinita (nell’ultimo periodo) di pendenze con FIGC e Agenzie delle Entrate. Rileggendo con più attenzione le parole proferite nel corso di quella conferenza possiamo salvare solamente ‘toglierò il Brescia’ perché così è stato, calpestando 114 anni di storia. Una fine inaccettabile, oltre che imbarazzante. Una resa che tifosi e città NON meritavano. Chissà cosa starà pensando in queste ore il buon Ing. Marco Bonometti, nel 2014 protagonista del salvataggio della società a un passo dal fallimento: lui che in quell’estate del 2017 era convinto di aver affidato il destino del Brescia Calcio ad ‘una persona seria’…

E non si tirino fuori leggende sulla presunta truffa subita dalla società in seguito all’acquisizione di crediti fiscali inesistenti venduti dalla società Alfieri (intestata ad un 25enne avellinese nullatenente) che di vero, probabilmente, aveva solo gli uffici di rappresentanza in via Monte Napoleone a Milano. O le storielle sul presunto tentativo di far fuori il Brescia a favore della Sampdoria o, ancora, sulle tardive notifiche dell’Agenzia delle Entrate. Chi il mondo del calcio lo segue da anni, conosceva benissimo il ‘personaggio’ Massimo Cellino, un uomo tutt’altro che integerrimo con alle spalle innumerevoli vicende giudiziarie (accusato di truffa all’UE, di falso in bilancio, di aver percepito indebitamente contributi europei, di non aver pagato l’IVA del suo fuoristrada, a cui sono stati sequestrati 55 milioni più la villa di Padenghe per presunti reati fiscali legati ad un trust inglese). Un uomo che, al momento del bisogno, non ha tirato fuori nemmeno i tre milioni di euro per salvare la società dal fallimento sapendo bene che col paracadute della Lega (un sostegno economico per aiutare le squadre a far fronte alla riduzione dei ricavi dovuta alla retrocessione. ) e con una probabile vendita della società all’orizzonte li avrebbe comodamente recuperati. E, invece, nulla (salvo sbandierare ai quattro venti denunce e ricorsi mai realmente avvenuti): ha fatto ritorno nel suo buen ritiro di Cagliari e… chi si è visto, si è visto.

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MA NON È LA STESSA ESPERIENZA

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Per fortuna, con una reattività non banale, Laura Castelletti, Sindaca di Brescia, si è attivata alle 15.01 di quel maledetto 6 Giugno quando in tanti avevano ormai capito che il versamento di stipendi, contributi e rate fiscali (all’incirca 3 milioni di euro) non sarebbe mai avvenuto nei tempi prestabiliti, a maggior ragione se poche ore prima della deadline fissata, dalle finestre degli uffici del Brescia Calcio di via Solferino, più di qualche dipendente della società assisteva, in lacrime, all’improvvisato raduno dei tifosi divisi tra incredulità rabbia. In un baleno, i tre Presidenti delle compagini bresciane militanti in serie C (Feralpisalò, Lumezzane e la neopromossa Ospitaletto) si sono riuniti attorno ad un tavolo di palazzo Loggia per salvare il salvabile ovvero almeno la categoria per non dover far ripartire il Brescia dai dilettanti. Due su tre, sia pur con motivazioni diverse, si sono già tirati fuori ma con Giuseppe Pasini l’eventualità di una possibile fusione è sempre più concreta. Con buona di pace dei nostalgici, tra cui il sottoscritto, fedelissimi al biancoblù e allergici a priori a qualunque tipo di ‘fusione/gemellaggio’. Soluzioni non ce ne sono più e se proprio dobbiamo scegliere, meglio restare almeno tra i professionisti. Tommaso Revera

Adriano Baffelli, Pres. di Fondazione Franciacorta

GPP

Giovani per un progetto Che Galà! Serata di premiazioni per il torneo di tennis dell’Accademia d.S.p.S.

Cristina Parodi alla festa per i 40 anni di CESVI

Le Leonesse di cui andare fieri

Castagneta 16 un rifugio nel bosco vicino alla città

Il ballo della Croce Rossa in Piazza Loggia Plinio Vannini festeggia i 60 anni di Autotorino

Nuovo showroom

Multitermo: la boutique del clima

Giacomo Grosso

La Nuda

Tanto di Tinto: una mostra sul controverso regista

Tinto Brass

lasciati Pietro Ghislandi, un grande artista poco valorizzato nella sua Bergamo

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Tel. 035 270989 www.editaperiodici.it

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Aut. Tribunale di Bergamo n°3 del 22/01/1992

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Aut. Tribunale di Brescia n°18 del 22/04/2004

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Stampato con inchiostri a base vegetale.

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ADRIANO BAFFELLI

FRANCIACORTA NEL CUORE

Vito Emilio Filì
Foto Sbardolini

Mi ricordo il primo incontro con Adriano Baffelli. Uno scambio di idee sul mondo della comunicazione che stava iniziando allora i suoi profondi cambiamenti verso il digitale. Circa una ventina di anni fa. Non ci siamo poi persi più di vista, anche se ognuno sulla sua strada. Io con questo magazine sempre in cerca di persone come Adriano da conoscere e far conoscere. Lui, persona eclettica, oggi è il cardine portante di una serie di attività sempre nell’ambito della comunicazione, una struttura che a 360° si propone su vari fronti. Ufficio stampa, pubbliche relazioni, grafica ed editoria, pubblicità, con un parterre di clienti di notevole caratura. Senza dimenticare le collaborazioni giornalistiche e la direzione di riviste, anche nazionali. Pacato ma convincente, il Dottor Baffelli, laureato in Sociologia con indirizzo Comunicazioni e Mass media all’Università di Urbino, tra l’altro past president del Rotary Franciacorta e e consigliere del settore Servizi alle imprese di Confindustria Brescia, recentemente è anche stato confermato presidente della Fondazione Franciacorta ed è in questa veste che gli chiediamo di scambiare quattro chiacchiere, anche alla luce dei vari accadimenti che hanno visto il cambio del presidente dei produttori di bollicine, la rottura dei rapporti tra Terra di Franciacorta - associazione dei sindaci dei paesi franciacortini - e Strada della Franciacortal’agenzia creata dai produttori di vino per la promozione e la tutela del brand - che fatica a trovare un suo ruolo a causa della frammentazione e la divergenza degli stessi sindaci che la compongono e che sono comunque a tempo determinato e faticano a vedere oltre il loro orizzonte elettorale. Lo raggiungo alla vecchia stazione oggi Bohem a Paratico e davanti ad un buon caffè la butto lì…

Fondazione Franciacorta, ma funziona?

“Funziona, grazie al molto impegno su base volontaristica. Il rinnovato Cda ha individuato alcune linee d’azione sulle quali stiamo lavorando e, contando anche su nuove energie economiche, nuovi apporti ideali e alleanze, confido nel medio periodo siano raggiunti i traguardi prefissi”.

Come si finanzia?

“È un caso abbastanza unico, tanto che Federculture mi chiamò ad esporre la nostra esperienza al Ravello Lab, prestigioso forum con un appuntamento annuale in Costiera Amalfitana di confronto sul rapporto tra cultura e sviluppo, perché Fondazione Franciacorta non è nata quale emanazione di una grande industria o di una banca ma è nata dal basso, dalla volontà che ho condiviso con un gruppo di imprenditori e professionisti appassionati del proprio territorio”.

Perché è stata creata?

“Quando si parla di Franciacorta, comprensibilmente quasi sempre gli interlocutori pensano alle cantine e all’attività vitivinicola, ottimamente presidiata dal Consorzio dei produttori. Il territorio presenta, però, molte valenze, partendo dalle radici storiche, dall’ambiente, dai monumenti, i palazzi, le abbazie, con le loro affascinanti architetture. Ci sta a cuore l’immagine culturale della Franciacorta. Una terra che conosco a fondo e che ha molte anime, con un’oggettiva difficoltà a fare sintesi. Credo che ci si debba comunque impegnare, perché la potenzialità della bellezza che abbiamo intorno è notevole”.

La frammentazione è il vero problema… “Una situazione con radici profonde. Ho seguito per molti anni Promozione Franciacorta, tra la fine anni ’80 e gli inizi dei ’90 alcuni sindaci offrivano già una visone illuminata, proponendo una gestione unitaria di alcuni aspetti legati all’urbanistica, all’arredo urbano, per una promozione territoriale condivisa, sulla scia del fenomeno enologico che iniziava a imporsi in una terra in gran parte caratterizzata da artigianato e manifattura. Un’iniziativa che non ha resistito, e la frammentazione ha a lungo trionfato. Conoscendone a fondo le dinamiche, posso affermare che questo è un territorio assai particolare, con varie anime e ciò in sé non ha un significato né positivo, né negativo. Se lo paragoniamo, ad esempio a un altro prestigioso territorio vinicolo, le Langhe, Alba a parte, notiamo che là, insieme agli splendidi castelli, l’economia è quasi solamente basata sul vino. Lo sanno promuovere benissimo, tanto che in questi anni ospitalità e ristorazione ad alto livello sono esplosi, con una fortissima componente estera. Per certi versi, come in Toscana, la quasi sola univoca radice agricola favorisce il successo della sfera legata al vino e al turismo allo stesso legato. Qui in Franciacorta ci sono anche – insieme a una produzione enologica d’eccellenza – industrie manifatturiere di assoluta rilevanza, con consistenti fatturati e considerevoli livelli occupazionali. Lo stesso dicasi per una diffusa presenza di imprese artigiane, di realtà legate alla filiera del costruito. E questo, soprattutto nel passato anche recente, ha in parte condizionato le scelte delle amministrazioni locali. Da direttore del Consorzio Franciacorta, più o meno vent’anni fa, visitai tutti i sindaci per riuscire a dialogare con le amministrazioni, per capire quali fossero le possibilità di interazione e per definire gli obiettivi comuni.

Capitava anche di scoprire che alcuni primi cittadini nemmeno sapessero cosa fosse il disciplinare… Mondi lontani, plastica fotografia delle riflessioni, ancora oggi valide, sulla Franciacorta e sul Franciacorta. Ricordo gli appassionati confronti sul territorio con il compianto Maestro Gualtiero Marchesi: a suo dire la Franciacorta doveva ancora compiere quel salto necessario per stare al passo del Franciacorta. Giusto ricordare che dei progressi ci sono stati, ma in tal senso c’è ancora un grande lavoro da sviluppare”.

Adesso si parla di incentivare il cicloturismo… “Mi fa molto piacere, pensando che proprio qui, a Paratico, nella primavera del 2016 con il vicepresidente Claudio Ruggeri e gli amministratori comunali presentammo il Progetto e-bike della nostra fondazione. In occasione di The Floating Piers mettemmo a disposizione in più punti della Franciacorta e del lago d’Iseo biciclette elettriche per i visitatori. A mancare fu la collaborazione del territorio. Avevamo predisposto il progetto con l’Eurac Research, centro di ricerca di Bolzano che si occupa anche di sviluppo e promozione dei territori. Con docenti e ricercatori dell’ente avevamo visitato e studiato quanto sviluppato nel territorio a nord di Ingolstadt, in Baviera, che offre molte opportunità per gli appassionati di e-bike, con numerose piste ciclabili e percorsi naturalistici. Un fenomeno avanzato di cicloturismo diffuso, con gli alberghi attrezzati e ogni tipo di assistenza per i cicloturisti: numeri impressionanti. Dal nord Europa scendono turisti benestanti e alto spendenti sulla base dell’uso della bicicletta. Ben venga se oggi si guarda in tale direzione, confidando siano presto sistemati i percorsi ciclabili esistenti, creando un’effettiva rete unica, adeguatamente segnalata. Un obiettivo sul quale mi risulta stia lavorano Terra di Franciacorta”.

Ma il fine della promozione della Franciacorta è far arrivare sempre più i turisti? Turisti che spendono, che comprano case, che tengono alto il valore immobiliare e i comuni con i soldi degli oneri migliorano la vita dei residenti ma poi c’è il fenomeno dell’overtourism, come abbiamo già potuto vedere, e la carenza di case in affitto diventate tutte case vacanze…

“Credo si debba lavorare per favorire la crescita qualitativa di un turismo sostenibile, non certo quello mordi e fuggi. Qui si aprono scenari che richiederebbero un intero volume. Anzitutto dovremmo parlare di turismi e non solo di turismo. Pensiamo alle potenzialità legate alla valorizzazione del territorio legate al benessere, al contatto con la natura, con l’ambiente. Senza dimenticare che un territorio con una positiva offerta per i turisti è prima di tutto un territorio in grado di offrire una positiva qualità della vita ai suoi residenti. C’è, ovviamente, il rilevante turismo del vino, che trascina un interessante indotto, ad iniziare dalla ristorazione e dall’ospitalità. A tal proposito servirebbero nuove strutture, in grado di offrire comfort nel segno di tradizione e innovazione. Sarebbe interessante che iniziative come quelle di una nuova qualificata offerta alberghiera negli spazi del golf di Castrezzato, alle porte della Franciacorta, potessero concretamente decollare, insieme ad altre direttamente collocate tra le colline e i vigneti. Pensiamo alla potenzialità rappresentata dal mondo dell’impresa d’eccellenza presente in questa terra. Non a caso oggi la Franciacorta esprime il presidente di Confindustria Brescia, nella persona di Paolo Streparava, al quale formulo i migliori auguri per una presidenza ricca di risultati.

Esponente di una di quelle realtà di elevato livello imprenditoriale al quale mi riferisco, emblema di un patrimonio che non è stato inventato in due giorni. Aziende che con le loro attività richiamano tecnici, fornitori, clienti, in molti casi da vari Paesi del mondo e contribuiscono a promuovere l’immagine del territorio, facendo percepire le molte competenze e il know-how che racchiude. Le sfide future saranno sempre più legate alla competizione, non tra singole aziende, ma fra i territori. Non abbiamo ancora questa consapevolezza, non c’è una visione olistica di territorio. La Franciacorta ha molte buone carte da giocare, è innestata sul dinamico asse Bergamo Brescia. Dovremmo essere capaci di far comprendere con chiarezza al mondo che siamo tra Milano e Venezia. Non dovremmo trascurare di mandare messaggi in questo senso. Da fuori non vedono la diversità tra paese e paese, guardano a macro-aree. Quando transiti in A4 dovresti renderti conto di attraversare un posto speciale come accade in Trentino. Inoltre, non siamo aiutati dalle ‘porte’ stradali e autostradali al territorio che non sono all’altezza dello stesso e dei suoi molti angoli di pregio e prestigio”.

C’è chi ritiene che siano meglio i vigneti dei capannoni e chi sostiene che ci sono aziende che da sole fatturano di più di tutti i viticoltori…

“Il tema vero è coinvolgere tutti perché ci sia una manifattura che rispetti il territorio e in alcuni casi si dovrebbero fare piantumazioni per attutire e mitigare, almeno a livello visivo, il loro impatto. Dobbiamo imparare a lavorare insieme, a condividere. Dovremmo iniziare dal Ptra, il Piano territoriale regionale d’area, uno strumento approvato da Regione Lombardia all’unanimità ormai da molti anni che dà indicazioni generali per i regolamenti edilizi, per l’urbanistica, la mobilità. Perché tenerlo in un cassetto e non farlo conoscere? Dovrebbe esserne diffuso lo spirito, presentando i suoi contenuti e, soprattutto, utilizzato da tutte le amministrazioni. È uno strumento che può dare anche il suo apporto di promozione per una visione positiva e univoca della Franciacorta”.

Ricordo che il prossimo anno ricorrerà il decennale di The Floating Piers: potrebbe essere un’ottima occasione per un’iniziativa ad alto contenuto culturale e turistico

Ad oggi c’è la Fondazione, c’è Terra di Franciacorta, la Strada del Franciacorta, il Consorzio, Promozione Franciacorta, e forse presto vedremo anche Visit Franciacorta. Ma non è un incrocio di attività simili che poco si parlano tra loro visto che ancora oggi non è possibile redigere un calendario delle manifestazioni in modo che non si svolgano nelle stesse date…. “Quello del calendario condiviso è un tema ricorrente, speriamo ci si possa arrivare. Pongo, però, un’altra riflessione: al di là delle iniziative esistenti, figlie anche di molte legittime e rispettabili tradizioni dei singoli borghi, forse dovremmo saper progettare e allestire poche nuove iniziative ma ad alto valore aggiunto, per posizionare al meglio quest’area nell’immaginario collettivo. Ricordo che il prossimo anno ricorrerà il decennale di The Floating Pears: potrebbe essere un’ottima occasione per un’iniziativa ad alto contenuto culturale e turistico. (Peraltro, Adriano Baffelli ha appena dato alle stampe il libro “Camminammo sull’acqua”, rievocazione della straordinaria iniziativa Ndr). Il Consorzio ha sviluppato con efficacia un percorso che ha creato e consolidato il brand Franciacorta. Il vino è stato un potente catalizzatore delle molte preesistenti ricchezze del territorio. L’unico Metodo Classico che per legge può appellarsi con la sua sola denominazione, intrinsecamente legata al territorio, senza dovere abbinare la dicitura spumante come tutti gli altri. Un riconoscimento notevole della peculiarità del Franciacorta. Il tema vero è la visione condivisa anche della Franciacorta, un territorio che ha nel suo Dna una storia imprenditoriale e manifatturiera di grande levatura. Una terra ricca di storia, di una capacità di fare e risolvere che non è comune ad altri territori, impreziosita da un prodotto enologico senza pari e dall’abbraccio con un lago ricco di fascino. Gli ingredienti per un ottimo risultato ci sono tutti”.

LE LEONESSE DI CUI ANDAR FIERI

Tommaso Revera - ph. New Reporter per Pallacanestro Brescia ph. Eleonora Frigerio per AN Brescia

DOPO IL DOLOROSISSIMO EPILOGO CHE HA

PORTATO AL FALLIMENTO DEL BRESCIA CALCIO

DOPO 114 ANNI DI STORIA, TUTTI GLI APPASSIONATI SPORTIVI DELLA NOSTRA CITTÀ HANNO TROVATO IMMEDIATO RISCATTO IMMEDESIMANDOSI NELLE GESTA SPORTIVE PRIMA DELL’AN BRESCIA E POI DELLA PALLACANESTRO BRESCIA

SOLO PER LA GRANDEZZA DELLE RISPETTIVE AVVERSARIE - PRO RECCO NELLA PALLANUOTO E VIRTUS PALLACANESTRO BOLOGNA NEL BASKET - NON SONO ARRIVATI DUE SCUDETTI CHE AVREBBERO AVUTO DEL CLAMOROSO

Se la Brescia del pallone è andata a picco, non tanto sul campo (dove aveva conquistato una salvezza sia pur risicata all’ultima giornata) quanto a livello societario grazie alla malsana gestione sportiva di Massimo Cellino, c’è la Brescia della pallanuoto e del basket di cui andare fortunatamente fieri.

In entrambi i casi, purtroppo, lo scudetto è sfumato all’ultima battaglia ma ciò che ha risollevato lo spirito degli sportivi bresciani non è tanto lo straordinario livello competitivo raggiunto da entrambe le Leonesse, quanto l’ardore, la grinta e la dimostrazione dimostrati sul campo e in piscina perché sia il roster guidato da coach Giuseppe Poeta,

ALESSANDRO BOVO, ALLENATORE AN BRESCIA

una delle sorprese più liete della stagione, sia quello condotto dal veterano Alessandro Bove hanno di fatto accresciuto il sentimento di brescianità di tutti gli appassionati ancora attoniti per la deprimente fine del Brescia Calcio. Un atteggiamento che ogni bresciano vorrebbe intravedere in chi rappresenta la nostra città a livello professionistico ma che, purtroppo, non sempre accade. Un esempio di come bisognerebbe scendere in campo ed una dimostrazione tangibile di come andrebbe gestita una società sportiva. Competenze e visione: non esiste la bacchetta magica per vincere, esistono le idee e la programmazione.

La Brescia della pallanuoto - AN Brescia in serie A1 dal 1989 e con già in bacheca 2 scudetti, 1 Coppa Italia, 3 Coppe Len e 1 Euro Cup - e quella del basket - Pallacanestro Brescia nata nel 2009, dopo 13 anni di assenza in città, vincitrice della Coppa Italia nel 2023 e vice campione d’Italia nel 2025 - ne sono un esempio concreto e, anche per questo, anno dopo anno, stanno conseguendo le soddisfazioni e la ribalta mediatica che meritano. In questo reportage vi proponiamo alcuni degli scatti più significativi che hanno caratterizzato il finale di stagione delle due compagini: per la Pallacanestro Brescia alcune immagini tratte dalla strepitosa semifinale scudetto contro Trapani (vinta 3 a 0) ed altre inerenti la triplice sfida contro le Vu Nere di Bologna; per l’AN, invece, le foto più d’impatto delle tre battaglie contro la Pro Recco (la prima vinta a Sori 12 a 10, la seconda persa a Mompiano 13 a 10 e la bella, disputata sempre a Mompiano, terminata 9 a 5 e valsa lo scudetto numero 37 per i liguri).

DIETRO LE QUINTE DELLA VENDITA

‘DAL VALORE ALLA CONQUISTA DEL CLIENTE PER COSTRUIRE UNA SOLIDA STRATEGIA DI MARKETING’. QUESTO IL TEMA PROPOSTO IN OCCASIONE DELL’ULTIMA MASTERCLASS DELL’ASSOCIAZIONE GPP

Un incontro intenso e ricco di spunti quello promosso dall’Associazione Giovani per un progetto andato in scena il 29 maggio scorso presso Atena Multi Forme e moderato dalla Dott.ssa Marta Benussi, Vice Presidente Confapi Giovani Brescia nonché Vice Presidente GPP. Numerosi i relatori presenti tra cui Andrea Foriani, Socio Gabrielli & Partner, Alessandro Pizzamiglio, Responsabile commerciale GTM, Dr. Angelo Bozza e Alfredo Bulla, Wealth Advisor Banca Mediolanum. Il dibattito è stato incentrato su come costruire una proposta di valore efficace, di persone, metodo e strumenti per creare un sistema commerciale vincente, e anche di come concetti tipicamente “commerciali” possano portare valore all’interno della Pubblica Amministrazione. Interessante anche la case history di Banca Mediolanum sul processo A. Svi.G. – Acquisizione, Sviluppo, Gestione – nella relazione con il cliente con cui si è chiuso questo appuntamento. Le iniziative GPP torneranno dopo l’estate ma per tutti l’appuntamento è il 17 luglio presso l’Arzaga Golf Club in occasione della Season Closing Night GPP, una serata speciale per brindare alla fine della stagione 2024/25 e salutarsi prima dell’estate. Necessaria la prenotazione entro il 10 Luglio iscrivendosi qui: https://lnkd.in/dhVajhnZ

HOMO VIATOR

UNA MAPPA ARTISTICA E SPIRITUALE PER IL

GIUBILEO DA DANTE, IL

PRIMO PELLEGRINO DELLA STORIA AI MIGRANTI, PELLEGRINI DI OGGI .

La mostra, parte del progetto integrato MAB Giubileo 2025 Nel tuo nome – l'arte parla di comunità, propone una selezione di documenti storici provenienti dalle raccolte di tre istituti culturali diocesani bresciani - Museo Diocesano di Brescia, Archivio Storico Diocesano e Biblioteca Diocesana Luciano Monari – affiancati alle opere di giovani autori della scena artistica contemporanea. Quattro sale tematiche e un allestimento sinottico evidenziano i punti di tangenza tra i cammini di ieri e di oggi, invitando inoltre ad osservare il mosaico della Storia ufficiale come un insieme composito di singole esperienze. Alcune delle quali, emblematiche, hanno abbandonato la dimensione puramente personale per elevarsi a icone dell’immaginario collettivo.

IL CAMMINO COME SMARRIMENTO (SALA I) Se il "Cammin" più famoso della storia della letteratura - il viatico dall’Inferno al Paradiso narrato nella Divina Commedia - si svolse nel 1300, anno del primo Giubileo indetto da Papa Bonifacio VIII, a Dante, archetipo del pellegrino per eccellenza, è dedicata la prima sala dell’esposizione. Il percorso trae avvio dalle incisioni raffiguranti l’Inferno dantesco nel Compendio della Comedia di Dante Alighieri

Dal fertile dialogo tra antico e contemporaneo nasce la mostra HOMO VIATOR. Una mappa artistica e spirituale per il Giubileo che, attraverso una narrazione condotta sul doppio binario tra passato e presente, traccia una riflessione aggiornata sull’atto del cammino, inteso nelle sue molteplici declinazioni di pellegrinaggio, migrazione geografica e crescita personale, anche alla luce del contesto geopolitico e sociale attuale.

Museo Diocesano, Brescia. Fino al 1 settembre 2025

(1696), una delle sole tre edizioni della Divina Commedia pubblicate nel XVII secolo, a fronte delle trentasei cinquecentesche e trentadue settecentesche. Segue quella per il frontespizio dell’Inferno illustrato da Anselm Roehr (Francoforte sul Meno, 1941 – Brescia, 2010), dove l’incisore tedesco sintetizza il luogo del primo incontro tra il Sommo poeta e Virgilio. Sullo sfondo, le selve oscure che ognuno di noi è chiamato ad attraversare trovano forma tridimensionale nell’installazione che Giulia Nelli (Legnano, 1992) ha tessuto con trame di collant neri. Grovigli di rovi, territori intricati, ragnatele lungo il passaggio: il lavoro della giovane artista allude agli ostacoli tangibili e mentali che solcano il cammino dell’esistenza mentre, come Dante nella selva oscura, anche noi cerchiamo una direzione possibile. IL CAMMINO COME SALVEZZA (SALA II) Le migrazioni di ieri e di oggi sono il perno tematico della seconda sezione. La mostra ne offre testimonianza a partire dai Duplicati anagrafici del Regno lombardo-veneto (1815-1865) che, dal Concilio di Trento in poi, registrarono nascite, matrimoni e morti nelle parrocchie della Diocesi di Brescia.

HOMO VIATOR

Certificati importanti per ricostruire la genealogia o ottenere la cittadinanza italiana, oggi richiesti dai discendenti di coloro che migrarono all’estero nell’Ottocento con una media di oltre 300 pratiche all’anno gestite dall’Archivio Diocesano fino al recente Decreto-legge 28 marzo 2025 n. 36. La preghiera è sovente l’àncora a cui aggrapparsi durante il processo migratorio. Il suo carattere itinerante è documentato in mostra dal rarissimo esemplare di Icona ortodossa richiudibile (XVIII sec), oggi parte del percorso permanente dal Museo Diocesano di Brescia, e dall’antica fiasca da pellegrino, ricavata da una zucca incisa e pirografata con scene della vita e della passione di Cristo (XVI sec). A fianco, le fotografie di Carlo Bianchetti (Brescia, 1995) documentano un frammento della realtà di chi oggi affronta viaggi disperati verso i confini europei. Nei due scatti in mostra i migranti nel Mediterraneo sono ritratti di notte al Porto delle Grazie di Roccella Jonica in attesa di entrare nel tendone della Croce Rossa adibito al primo soccorso, e a bordo di una nave da salvataggio della Guardia costiera in fase di attracco.

IL CAMMINO COME RICERCA (SALA III) C’è chi intraprende un cammino alla ricerca di qualcosa. Così fu per Sant’Obizio da Niardo (1150 c.a1204), eremita bresciano canonizzato nel 1600 (anno del Giubileo indetto da Papa Clemente VIII) che dalla Val Camonica partì alla volta di Lucca con l’obiettivo di contemplare il Volto Santo. La sua avvincente storia di conversione è narrata nell’Opuscolo agiografico “Vita sancti Obitii confessoris brixiani” (1869) parte della collezione della Biblioteca Diocesana, e nel volume “Vita di S. Obicio confessore conte, e cauaglier bresciano” (1658), proveniente dall’Archivio Storico Diocesano, che riporta inoltre le emblematiche e attualissime parole del Santo: Valet interdum conversis pro animae salute mutatio loci, plerumque enim dum mutatur locus mutatur etiam mentis affectus

[Talvolta un cambiamento di luogo è benefico per la salvezza dell'anima dei convertiti, perché solitamente quando cambia il luogo cambia anche l'atteggiamento mentale]. Di questa tensione alla ricerca si fa interprete Rita Siragusa (Brescia, 1973), la cui piccola e brillante fusione in ottone - stella polare da seguire per trovare la strada – è contornata da grandi elementi scultorei bianchi e neri, metafora dei contrasti che plasmano e definiscono ogni cammino interiore.

IL CAMMINO COME CONDIVISIONE (SALA IV) L’ultima sala della mostra espone la grande statua lignea raffigurante San Giacomo (inizio XVIII sec), evangelizzatore della Spagna e patrono dei pellegrini per via del culto di massa sviluppatosi attorno alla sua tomba a Santiago de Compostela, che ha dato origine al celebre Cammino. A fianco sono esposte due Comunicazioni vescovili per mezzo delle quali i vescovi bresciani diffusero la notizia del Giubileo alla popolazione bresciana. Nella prima, datata 17 gennaio 1725, il vescovo Fortunato Morosini (1723-1727) invitava i fedeli ad incamminarsi verso Roma per ricevere l’indulgenza; in quella del 22 giugno 1826 Papa Leone XII estende all’anno successivo il Giubileo del 1825, dopo che quello del 1800 non fu celebrato a causa delle guerre napoleoniche. La convinzione che qualcuno ci accompagni lungo il cammino – anche se non lo vediamo, anche se non c’è più – muove il lavoro di Giovanni Rossi (Brescia, 1996), il cui dittico scultoreo è composto dal calco in gesso della mano del padre e da un altorilievo con due angeli custodi. Perché, in quella che pare la chiusura di un ciclo tratteggiato a partire da Virgilio al fianco di Dante, sebbene ogni individuo sia chiamato ad affrontare il proprio, non esiste percorso che sia realmente solitario.

Fondazione Museo Diocesano di Brescia Via Gasparo da Salò 13, Brescia - 030 40233 www.museodiocesano.brescia.it

IL GRAN BALLO DELLA CROCE ROSSA

Per celebrare i 160 anni dalla sua fondazione, il Comitato di Brescia della Croce Rossa Italiana ha organizzato il Gran Ballo ottocentesco in piazza Loggia.

Un evento unico e suggestivo per celebrare un traguardo prestigioso. Domenica 25 Maggio Piazza Loggia si è trasformata in una grande sala da ballo a cielo aperto per ospitare il Gran Ballo Ottocentesco e festeggiare i 160 anni del Comitato di Brescia della Croce Rossa. Circa 100 ballerini provenienti da tutta Italia, indossando splendidi costumi d’epoca, hanno animato la piazza con danze ottocentesche, rievocando l’atmosfera del periodo in cui nacque il Comitato bresciano nato nel lontano 26 giugno 1865 quando, per iniziativa dell’Associazione Medica Bresciana e della municipalità, venne costituito dopo quello di Milano, Bergamo e Cremona.

IL GRAN BALLO DELLA

CROCE ROSSA

Un evento imperdibile per rivivere la storia, un’occasione per coinvolgere cittadini e visitatori in un momento di condivisione e partecipazione.

CHE GALÀ!

Un altro successp per il Torneo di tennis organizzato come ogni anno dall’Accademia dello Sport per la Solidarietà culminato nella cena di gala durante la quale sono stati raccolti circa 30 mila euro. L’emozione di Gian Piero Gasperini, la voce di Roby Facchinetti, la consegna dei Golden Vip e la celebrazione del traguardo dei tre milioni in beneficenza dell’Accademia dello Sport per la Solidarietà: è stata una serata dalle grandi emozioni quella di Lunedì 9 Giugno, la perfetta chiusura del cerchio per la 49esima stagione solidale dell’associazione fondata da Giovanni Licini. Di fronte a 600 ospiti, alla presenza delle principali autorità politiche cittadine, provinciali, regionali, nazionali e a personalità del mondo civile, imprenditoriale e sportivo, il compito di aprire le danze è stato affidato proprio a Licini:

I numeri ci hanno dato ragione perché, purtroppo, sono stati portati alla luce oltre 50 casi di patologie gravi, che abbiamo indirizzato velocemente alle strutture più appropriate al fine di effettuare i necessari approfondimenti diagnostici o, addirittura, per interventi d’urgenza. Quindi grazie ai medici, agli infermieri e ai nostri infaticabili volontari senza i quali nulla sarebbe possibile”. IL RITORNO DEL GASP, ROBY FACCHINETTI

“Quarantanovesima edizione: un traguardo importante, reso possibile dalla partecipazione di più di 400 giocatori. Tanto sport, tanta amicizia, tanta solidarietà. E, quest’anno, anche tanta salute. Una convinzione che ci ha portati al progetto ‘Lo Sport è Salute’: in cinque giorni, dal 26 al 30 maggio, abbiamo effettuato oltre 2.300 screening. Quando siamo partiti avevamo previsto mille visite, ma di fronte a tanta richiesta non abbiamo saputo dire di no: ci è costato fatica, è vero, ma non siamo abituati a deludere il nostro territorio e nessuno è rimasto inascoltato. Questo ci ripaga più di ogni altra cosa.

Claudio Trezzi, Sergio Rota, Alessandro Oberti, Laura Tombini, Gianangelo Cattaneo, Alberto Oberti, Danilo Arizzi, Cristina Gasperini, Cristina Radici, Giancarlo Giorgetti, Gian Piero Gasperini, Tullio Gritti, Gigi Cocchetti, Giovanni Licini, Franco Lamera, Alessandro Masera e Marco Bucarelli

Anche quest’anno sono diverse le realtà territoriali sostenute dall’Accademia dello Sport, coinvolte come sempre in progetti concreti: Clinica San Francesco (finanziate quattro nuove linee per la chemioterapia), Cascina Ponchia (acquisto degli arredi per il programma di residenzialità destinato a persone con autismo), Comunità Shalom (sostituzione di tutti gli infissi grazie all’impegno della Pedretti Serramenti), Associazione Italiana Persone Down di Bergamo

e Cosimo

Giovanni Fontana, Comandante Guardia di Finanza, Giovanni Licini, Vincenzo Tomei, Comandante Stato Maggiore Guardia di Finanza, e Cosimo Di Gesù, Comandante Accademia Guardia di Finanza
Gen. Cosimo Di Gesù, Comandante Accademia Guardia di Finanza, Luca Rotondi, Prefetto di Bergamo, Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia e Giovanni Licini
Giovanni Fontana, Comandante Guardia di Finanza, Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia, Luca Rotondi, Prefetto di Bergamo, Giovanni Licini, Maurizio Tespili, Roberto Crugnola, Gian Piero Gasperini, Roby Facchinetti
Di Gesù, Comandante Accademia Guardia di Finanza

CHE GALÀ!

(arredamento di due appartamenti per l’autonomia abitativa in Borgo Santa Caterina), Casa Alzheimer di Fondazione Carisma (adozione della palestra e coinvolgimento di altri benefattori per l’adozione di altre sale e camere), Associazione Diabetici Bergamaschi (acquisto di dotazioni per screening durante gli eventi sportivi), Anmic (sostegno dell’attività di trasporto degli invalidi civili). Ma tra i progetti ce n’è anche uno completamente focalizzato sull’Accademia dello Sport e sull’impatto delle sue iniziative sul territorio: un “caveau digitale ®” realizzato dalla società specializzata Emblème, che creerà un archivio basato sugli asset dell’associazione, tra documenti, premi, cimeli e protagonisti che hanno segnato la storia. Un modo per valorizzare e archiviare in modo professionale ogni singolo pezzettino di storia, compresi aneddoti e personaggi che l’hanno caratterizzata. Negli annali rimarranno ovviamente anche i Golden Vip 2025: Francesco Locati, direttore generale dell’Asst Papa Giovanni XXIII – Golden Vip 2025 all’Eccellenza medica Premio Fondazione Credito Bergamasco, Fabio Bosatelli, imprenditore – Golden Vip 2025 all’Imprenditoria Premio Banca Mediolanum, Miro Radici, imprenditore – Golden Vip 2025 all’Imprenditoria Premio Banca Mediolanum, e Marten De Roon, capitano dell’Atalanta - Golden Vip “Luciana e Gianni Radici”.

Danilo Arizzi, Gianangelo Cattaneo, Luigi Latini, Cristina Radici, Giovanni Licini, Carlos Bernardes, Piero Arcangeli (ritira per conto di Roberto Paratico), Roberta Magri, Cristiano Ferrante, Franco Lamera, Roberto Selini, Michele Magrin, Luca Chiesa e Alessandro Masera
Golden Vip premio Fondazione Credito Bergamasco a Francesco Locati, Direttore Generale Papa Giovanni XXIII: da sx Giovanni Licini, Pasquale Gandolfi, Pres. Prov. di Bergamo, Senatore Massimiliano Romeo, Roberto Perico, Presidente Comitato Territoriale BPM, Elena Carnevali, Sindaca di Bergamo, Claudia Terzi, Assessore di Regione Lombardia, Francesco Locati, Marina Fratus, vicepresidente Fondazione Credito Bergamasco, e Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia
Il Golden Vip Francesco Locati riceve il premio da Marina Fratus
Il Golden Vip Miro Radici riceve il premio da Giovanni Pirovano con Giancarlo Giorgetti
Il Golden Vip Fabio Bosatelli riceve il premio da Corrado Fontana, Emilio Pedretti e Giovanni Pirovano
Foto di gruppo dei Golden Vip: da sx Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia, Miro Radici, Francesco Locati, Marten de Roon, Fabio Bosatelli e Giovanni Licini

Il Golden Vip Marten de Roon riceve il premio da Carlo Pellegatti, Angelo Radici e Cristina Radici

Nell’immagine a sinistra Golden Vip premio Luciana e Gianni Radici per lo sport a Marten de Roon: da sx Giovanni Licini, Cosimo Di Gesù, Comandante Accademia Guardia di Finanza, Elena Carnevali, Sindaca di Bergamo, Carlo Pellegatti, giornalista sportivo, Marten de Roon, Angelo Radici, Cristina Radici, Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia, Claudia Terzi, Assessore di Regione Lombardia, Federica Picchi, Sottosegretario Regione Lombardia, e Mons. Giulio Dellavite, Delegato Vescovile

Poi ecco il momento della prima sorpresa: un video da pelle d’oca dedicato a Gian Piero Gasperini e ai suo grandi successi alla guida dell’Atalanta, che hanno emozionato fino a far diventare gli occhi lucidi anche al diretto interessato. “Insieme abbiamo fatto tante cose belle, sarebbe stato bello vincere anche qualcosa in Italia ma ci siamo fatti con l’Europa e vale di più - ha commentato con la voce rotta dall’emozione Gasperini – La scelta fatta è stata professionale, ovunque porteremo i valori di questa città. C’è stato un tale affetto nei nostri confronti che io non potrò mai staccarmi da questa città. Abbiamo portato tutti i valori di Bergamo, di lavoro, di onestà, di voglia di raggiungere i traguardi. E questo con squadra e società, tutti insieme e non singolarmente. Ed è stato bellissimo, ci rimarrà sempre”. La musica dal vivo di Roby Facchinetti, che si è esibito in “Rinascerò, Rinascerai”, ha accompagnato la serata verso le battute finali: la tradizionale asta solidale ha permesso di rimpinguare la raccolta 2025 a sostegno dei progetti benefici, con un contributo di 29.200 € raggiunto con 4 bottiglie di vino dell’azienda agricola di Gian Piero Gasperini personalizzate dall’artista Andrea Mastrovito, la maglia autografata di Marten De Roon, lo spartito di Rinascerò, Rinascerai, il cd Parsifal e l’autobiografia di Roby Facchinetti tutti autografati.

Golden Vip premio Mediolanum per l’imprenditoria a Miro Radici: da sx Giovanni Licini, Deputato Riccardo Molinari, Luca Rotondi, Prefetto di Bergamo, Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia, Elena Carnevali, Sindaca di Bergamo, Miro Radici, Giovanni Pirovano, Presidente Banca Mediolanum, Emilio Pedretti e Corrado Fontana di Banca Mediolanum

Golden Vip premio Mediolanum per l’imprenditoria a Fabio Bosatelli: da sx Giovanni Licini, Elena Carnevali, Sindaca di Bergamo, Luca Rotondi, Prefetto di Bergamo, Claudia Terzi, Assessore di Regione Lombardia, Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia, Fabio Bosatelli, Corrado Fontana ed Emilio Pedretti di Mediolanum e Giovanni Pirovano, Presidente Banca Mediolanum

Danilo Arizzi, Gianangelo Cattaneo, Cristina Radici, Giovanni Licini. Giancarlo Giorgetti riceve la targa per i tre milioni di euro in beneficenza, Alessandro Masera e Franco Lamera
Antonella Gambarini, Roby Facchinetti, Davide Gasperini, Gian Piero Gasperini, Franco Pedretti, Andrea Nalin, Andrea Mastrovito, Antonella Licini, Giovanni Licini, Gigi Cocchetti e Franco Lamera

AUTOTORINO FA SESSANTA

AUTOTORINO HA FESTEGGIATO I SUOI PRIMI 60 ANNI INAUGURANDO IL NUOVO QUARTIER GENERALE DI COSIO VALTELLINO, IN PROVINCIA DI SONDRIO, ALLA PRESENZA DEL MINISTRO DELL'ECONOMIA, GIANCARLO GIORGETTI.

PRESENTE IN SEI REGIONI

Sessant’anni di storia, un milionee mezzo di veicoli venduti, 3.000 collaboratori e una presenza capillare in sei regioni italiane e oltre confine. Autotorino celebra un anniversario importante, non solo come traguardo aziendale, ma come tappa simbolica di un percorso che incarna l’evoluzione stessa del settore automotive italiano. Un’evoluzione fatta di scelte controcorrente, radicamento territoriale e una visione tecnologicaoggi più attuale che mai.

Inlinea con le sue recenti dichiarazioni sull'importanza disostenere l'industria automobilistica nazionale e di garantire una transizione energetica equilibrata, il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, ha sottolineato durante l'inaugurazione della nuova sede di Cosio Valtellino il valore strategico di imprese capaci di coniugare radicamento territoriale e visione industriale. “Sostenere le imprese ancorate ai territori - ha detto il ministro è una priorità per il sistema Paese. Lo sviluppo non passa solo dai grandi centri, ma anche da realtà imprenditoriali come questa, capaci di generare occupazione, innovazione e valore laddove le radici familiari e industriali coincidono. È questo il tessuto produttivo su cui dobbiamo continuare a investire”.

Fondata nel 1965 a Morbegno, in Valtellina, da Arrigo Vanini, Autotorino è passata dall’acquisto e rivendita di auto usate dei dipendenti Fiat a un modello d’impresa tra i più innovativi del panorama europeo. Dopo la scomparsa prematura del fondatore, nel 1985, la guida è passata al figlio Plinio Vanini, allora appena ventiduenne, che ha saputo trasformare una piccola realtà locale in un gruppo leader del settore, coniugando coraggio imprenditoriale e capacità di adattamento in un mercato in continua evoluzione. La svolta arriva negli anni Novanta, con il trasferimento della sede a Cosio Valtellino e la specializzazione nei veicoli 4x4, ma è nel 2007 che il gruppo inizia la propria espansione extra-provinciale, approdando nella Bergamasca. Da lì, è partita una crescita costante, anche nei periodi più complessi per l’automotive, come la crisi del 2008 e la successiva razionalizzazione della rete distributiva italiana.

Nel 2024 Autotorino ha venduto oltre 73.000 auto, tra nuovo e usato ,registrando un fatturato di 2,68 miliardi di euro. È il 28° dealer in Europa per volumi secondo l’Icdp (International car distribution programme, l’organizzazione internazionale indipendente di ricerca e consulenza specializzata nel settore della distribuzione automobilistica, fondata negli anni Novanta nel Regno Unito) e l’unico italiano nella top 30. La rete conta oggi 70 sedi in Italia e una prima filiale all’estero, a Varsavia, frutto dell’acquisizione della concessionaria Mercedes-Benz nella capitale polacca. Un ingresso nei mercati esteri che segna l’inizio di una nuova fase, dove il modello italiano fondato su prossimità, servizi e ascolto del cliente punta a esportare i propri standard di qualità anche fuori dai confini nazionali.

Plinio Vanini, 62 anni, è alla guida del Gruppo Autotorino dal 1985

LA NUOVA SEDE

Il 2025, oltre a segnarel’anniversario, si apre con l’ampliamento del quartier generale di Cosio Valtellino, che oggi ospita 300 collaboratori su una superficie di 4.000 metri quadri. Un progetto che va oltre l’estetica architettonica, incarnando i valori fondanti delGruppo: sostenibilità, benessere lavorativo, innovazione e impatto positivo sui territori. Lanuova sede non è solo un centro direzionale, ma ilfulcro operativo di un sistema organizzativo distribuito su 24 province e costantemente alimentato da investimenti in formazione e tecnologia.

L’acquisizione della concessionaria Mercedes-Benz di Varsavia rappresenta la prima esperienza del Gruppo oltre i confini italiani, e si aggiunge alla rete che già comprende 70 sedi.

Il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti era presente all’inaugurazione della nuova sede di Autotorino

METODO COLLAUDATO

Il primo trimestre del 2025 siè chiuso con risultati positivi: 640 milioni di euro difatturato e 19.800 vetture vendute, entrambi increscita del 5% rispetto allo stesso periodo del 2024. In aumento anche il post-vendita, con oltre 55 milioni di euro generati dai servizi officina (+7%) e un +6% nei passaggi in assistenza. Numeriche confermano la solidità del modello adottato da Autotorino: una presenza fisica diffusa sul territorio e un ecosistema digitale evoluto, a partire dalla piattaforma autotorino.it, sempre più centrale nel percorso d’acquisto.

GLI INVESTIMENTI

Per sostenere l’espansione, il Gruppo ha già pianificato 75 milioni di euro diinvestimenti nei prossimi tre anni: 50 milioni saranno destinati all’efficientamento delle strutture esistenti, mentre 25 milioni andranno allo sviluppo di nuove piattaforme digitali e al miglioramento dei processi interni. A tutto questo si affianca unimpegno crescente per la parità di genere, e la volontà di generare valore sociale, ambientale e culturale nei territori in cui opera.

I PROSSIMI 60 ANNI

Sessant’anni dopo quella prima auto usata portata da Torino alla Valtellina, Autotorino continua a viaggiare su una strada che unisce memoria e futuro. Un percorso alimentato da scelte coraggiose, innovazione continua e,soprattutto, da una visione dell’automobile come servizio. Non solo da vendere, ma da accompagnare, manutenere, garantire e rendere accessibile.

ARTURO BRACHETTI PER I 40 ANNI DI CESVI

ph. Sergio Nessi

UN GRANDE EVENTO PER CELEBRARE L'ANNIVERSARIO DELL’ORGANIZZAZIONE UMANITARIA BERGAMASCA, A SOSTEGNO DEL PROGRAMMA CASE DEL SORRISO IN ITALIA E NEL MONDO

In occasione del 40° anniversario di Fondazione CESVI mercoledì 28 maggio è andato in scena, presso il prestigioso Teatro Donizetti di Bergamo, lo spettacolo “SOLO. The Legend of Quick-Change” del celebre artista internazionale Arturo Brachetti. Un viaggio nella fantasia grazie al trasformismo e alle tante arti di Brachetti, artista unico nel suo genere, dedicato in questa tappa al Programma Case del Sorriso di CESVI e a sostenere il futuro di migliaia di bambini e bambine nel mondo. In questo spettacolo, Arturo Brachetti ha aperto le porte della sua casa, fatta di ricordi e di fantasie: una casa senza luogo e senza tempo, in cui il sopra diventa il sotto e le scale si scendono per salire. “Dentro ciascuno di noi esiste una casa come questa, dove ognuna delle stanze racconta un aspetto diverso del nostro essere.

È una casa segreta, senza presente, passato e futuro, in cui conserviamo i sogni e i desideri” ha recitato Brachetti nel suo spettacolo. L’evento è stato un’occasione straordinaria per coniugare arte, intrattenimento e solidarietà. Infatti, parte del ricavato è stata devoluta a sostegno del Programma Case del Sorriso di CESVI, dedicato a bambini, adolescenti e giovani donne in situazione di emarginazione e disagio in Italia e nel mondo, e finalizzato alla promozione e realizzazione dei loro diritti fondamentali. “Siamo grati ad Arturo Brachetti per aver scelto di essere al nostro fianco in questo speciale momento di festa per i 40 anni di CESVI attraverso la sua arte e la sua poesia sul palco, a sostegno del futuro dei bambini che in Italia e nel mondo sosteniamo attraverso le Case del Sorriso – ha dichiarato Gloria Zavatta, presidente di CESVI. Non poteva esserci artista e spettacolo più adatto di questo per celebrare i sogni e i desideri di tutti quei bambini e bambine che vivono in condizioni di difficoltà e ai quali vogliamo offrire speranza e opportunità per costruire un domani luminoso”. Il programma Case del Sorriso prevede luoghi fisici in cui vengono erogati servizi come il sostegno allo studio, formazione professionale, laboratori sportivi, cibo e supporto psicologico, ma anche progettualità mirate a costruire percorsi di protezione e rendere i soggetti accolti artefici del proprio futuro. CESVI gestisce 7 Case del Sorriso in tutto il mondo e 4 Case del Sorriso in Italia con l’obiettivo di aiutare i bambini e gli adolescenti a costruire un futuro migliore e di opportunità.

LA BOUTIQUE DEL CLIMA

Venerdì 30 maggio 2025 battesimo ufficiale per lo showroom Multitermo di Bergamo in Via Torquato Tasso, 111 in cui gli spazi sono stati completamente ripensati per offrire un’esperienza diretta delle ultime novità di climatizzatori, sistemi idraulici e pompe di calore. L’allestimento, realizzato in partnership con Climamio, permette ai visitatori di scoprire dal vivo non solo le ultime novità disponibili sul mercato, ma anche i prodotti più innovativi e sostenibili, sviluppati nel pieno rispetto dell’ambiente dai marchi di eccellenza Mitsubishi Heavy Industries e Multiwarm. Questa collaborazione con Climamio amplia notevolmente il catalogo prodotti per offrire le soluzioni più adatte a ogni esigenza. “Questo progetto nasce dalla volontà di creare un luogo in cui chiunque entri possa provare la sensazione di capire cosa significhi oggi vivere in ambienti confortevoli ed efficienti dal punto di vista energetico” ha raccontato Roberto Cobildi, Procuratore Generale Multitermo. “È il nostro modo di contribuire a un futuro più sostenibile per il territorio bergamasco, e non solo”. La sostenibilità ambientale è infatti uno dei capisaldi su cui si basa il nuovo concept espositivo, dedicato alle soluzioni per la riqualificazione energetica degli edifici, incluse tutte le tecnologie che permettono di accedere agli incentivi previsti dalle normative nazionali. Quello di Via Torquato Tasso, 111 non è quindi solo uno showroom per il consumatore finale, ma anche per i professionisti del settore perché si propone come vetrina per progettisti e architetti interessati a scoprire le opportunità offerte dalle moderne tecnologie per il comfort climatico e l’efficienza energetica.

JF FROM THE BLOCK LO SPORT

Creare connessioni per il proprio business promuovendo anche il proprio benessere psicofisico e l’emancipazione attraverso lo sport. Questo lo spirito con cui Elisabetta Giazzi e Francesca Fiorini hanno organizzato ‘JF from the block’, l’evento andato in scena lo scorso 27 maggio negli spazi del 27Padel di Boccaleone. Una serata su invito alla quale hanno partecipato ben 150 persone tra professionisti ed imprenditori che dapprima si sono sfidati in tre distinti tornei di padel e, in seguito, si sono concessi una cena all’aperto per fare networking ma, soprattutto, per accrescere la consapevolezza riguardo all’importanza di diffondere lo sport tra le donne. La pratica sportiva, del resto, è un toccasana della nostra salute ed è giusto che anche le donne, spesso alle prese con lavoro e faccende familiari, possano praticarlo con regolarità.

COME VEICOLO DI EMANCIPAZIONE

ph. Sergio Nessi

PRIMA LA SALUTE INFORMAZIONI & CURIOSITÀ

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AFFATICAMANTO PERSISTENTE POST TIA: UN PROBLEMA SOTTOVALUTATO

Contrariamente alla definizione classica di attacco ischemico transitorio (TIA), che presuppone l’assenza di sintomi residui oltre le 24 ore, un nuovo studio pubblicato su Neurology evidenzia come oltre la metà dei pazienti continui a soffrire di affaticamento patologico fino a un anno dalla diagnosi. Questa condizione, spesso trascurata, può avere un impatto significativo sulla qualità della vita e sulla ripresa funzionale.

La ricerca, condotta su 354 pazienti seguiti in una stroke unit specializzata, ha valutato il livello di affaticamento mediante il Multidimensional Fatigue Inventory (MFI-20) e la Fatigue Severity Scale. I dati sono stati raccolti a 14 giorni dalla dimissione (baseline), e successivamente a 3, 6 e 12 mesi. Dei pazienti inizialmente arruolati, 287 hanno completato il questionario al baseline, con un’età media di 70 anni e una prevalenza femminile del 42,5%.

I risultati mostrano una persistenza elevata della fatica nel tempo: il 61,3% dei pazienti presentava affaticamento patologico al baseline, una percentuale che restava stabile intorno al 53% nei successivi controlli. Il livello medio di fatica generale, pur mostrando un lieve calo, si manteneva comunque elevato a 12 mesi (11,1 ± 4,5 sul MFI).

Un dato particolarmente rilevante è che la presenza di lesioni ischemiche acute non era associata alla fatica riferita dai pazienti. Al contrario, un’anamnesi positiva per ansia o depressione risultava essere circa due volte più frequente tra coloro che sperimentavano affaticamento. Inoltre, modelli predittivi che includevano il livello di fatica già rilevato a 14 giorni, insieme a sesso, età e presenza di infarto acuto, erano significativamente più efficaci nel prevedere la sintomatologia a 12 mesi rispetto a quelli privi del dato basale (p < 0.001, LR = 387.30).

In conclusione, l’affaticamento patologico rappresenta una sequele clinica frequente e duratura dopo TIA, non correlata alla gravità della lesione cerebrale acuta ma verosimilmente connessa a fattori psicologici preesistenti. La rilevazione precoce della fatica potrebbe consentire di identificare i pazienti a rischio e attivare interventi di supporto mirati.

Dr. Haim Reitan

Direttore Sanitario

Studio Medici Associati

ICTUS ISCHEMICO: AUMENTANO I DECESSI IN CASA E LE DISUGUAGLIANZE SANITARIE

Un’analisi retrospettiva pubblicata su Plos One ha rivelato un cambiamento significativo nei modelli di mortalità per ictus ischemico negli Stati Uniti, con un aumento dei decessi in casa e persistenti disparità legate all’area geografica e all’etnia. Lo studio, basato sui dati del CDC WONDER (Wide-ranging Online Data for Epidemiologic Research), ha esplorato l’evoluzione dei luoghi di morte tra i pazienti colpiti da ictus ischemico, evidenziando profonde implicazioni per l’assistenza di fine vita. Utilizzando tassi di mortalità aggiustati per età secondo la popolazione standard del 2000, i ricercatori hanno osservato un aumento costante dei decessi per ictus ischemico a partire dal 2009 in tutte le aree, con incrementi più marcati nelle zone non metropolitane. Parallelamente, è emerso uno spostamento progressivo del luogo del decesso: un numero crescente di pazienti muore a casa, piuttosto che in strutture sanitarie ospedaliere. Le disparità razziali e geografiche risultano particolarmente evidenti. Le persone nere o afroamericane e i residenti in contesti rurali sono risultati più esposti alla possibilità di morire in ambienti con minore specializzazione, un dato che riflette barriere persistenti nell’accesso a cure adeguate di fine vita. La mancanza di risorse sanitarie specialistiche in ambito rurale e le diseguaglianze strutturali che colpiscono le minoranze etniche contribuiscono in modo rilevante a questa disparità. Secondo gli autori, questi trend segnalano un cambiamento culturale nelle preferenze per il luogo del decesso, ma sottolineano anche un fallimento del sistema nel garantire equità nell’accesso alle cure per l’ictus. È quindi necessario approfondire le cause alla base di tali mutamenti e implementare strategie mirate per migliorare la qualità e l’equità dell’assistenza alla fine della vita, soprattutto nei gruppi più vulnerabili.

IDENTIFICATI SETTE GENI

CHIAVE PER GENERARE STAMINALI

EMATOPOIETICHE IN VITRO

La generazione in vitro di cellule staminali ematopoietiche (HSC) rappresenta da anni un obiettivo fondamentale per la medicina rigenerativa, vista la capacità unica di queste cellule di riformare a lungo termine tutte le linee ematiche. Tuttavia, nonostante i progressi scientifici, non esiste ancora un protocollo standard, efficiente e riproducibile per ottenere vere HSC da cellule staminali pluripotenti. Uno studio recentemente pubblicato su Blood propone un approccio per identificare i fattori endogeni determinanti per la specificazione delle HSC. I ricercatori hanno condotto uno screening attivatore CRISPR su larga scala durante la differenziazione mesodermica di cellule staminali embrionali murine (mESC).

In seguito alla differenziazione in vitro, i precursori mesodermici KDR+ sono stati trapiantati in topi immunodeficienti NSG, sia primari che secondari. Questa strategia ha portato all’identificazione di sette geni (Spata2, Aass, Dctd, Eif4enif1, Guca1a, Eya2, Net1) la cui attivazione durante la specificazione mesodermica favorisce la generazione di cellule staminali e progenitrici ematopoietiche (HSPC) funzionali.

Le cellule ottenute hanno dimostrato la capacità di engraftment seriale e di dare origine a tutte le linee ematiche — eritroide, mieloide e linfocitaria T e B — in vivo, confermando la loro identità funzionale. L’analisi tramite RNA sequencing a singola cellula ha inoltre mostrato che l’attivazione di questi sette geni indirizza lo sviluppo degli embrioidi verso un programma intraembrionale, aumentando il numero di progenitori mesodermici capaci di generare HSC definitive. Lo studio evidenzia l’importanza della fase di specificazione dei foglietti embrionali nella generazione di cellule staminali del sangue e fornisce nuovi elementi molecolari per sviluppare strategie più efficaci nella produzione in vitro di HSC.

LINEE GUIDA CANADESI PER MIGLIORARE

LA GESTIONE DELL’IPERTENSIONE

Il Canada, un tempo all’avanguardia nella gestione dell’ipertensione, ha registrato negli ultimi anni un preoccupante regresso nei tassi di trattamento e controllo della pressione arteriosa. Per contrastare questa tendenza, CMAJ (Canadian Medical Association Journal) ha pubblicato nuove linee guida focalizzate sulla medicina di famiglia, con l’obiettivo di migliorare la gestione dell’ipertensione nella popolazione adulta. Le raccomandazioni sono il frutto di un processo metodologico rigoroso basato sui framework GRADE e ADAPTE, sviluppato secondo gli standard AGREE II per la qualità e il reporting delle linee guida cliniche. Il comitato di lavoro era composto prevalentemente da medici di medicina generale, con il contributo di pazienti, metodologi e specialisti dell’ipertensione. È stato inoltre garantito un attento controllo dei conflitti di interesse secondo i principi del Guidelines International Network. Il documento propone nove raccomandazioni suddivise in due aree principali: diagnosi e trattamento. Sul fronte diagnostico, viene sottolineata l’importanza di un approccio standardizzato alla misurazione della pressione arteriosa e alla conferma della diagnosi.

Le nuove linee guida definiscono l’ipertensione come una pressione arteriosa pari o superiore a 130/80 mm Hg, in linea con l’evoluzione della letteratura internazionale. Per quanto riguarda il trattamento, si raccomanda di mirare a un valore pressorio sistolico inferiore a 130 mm Hg. Viene inoltre promosso un approccio terapeutico integrato che include cambiamenti nello stile di vita e una guida progressiva alla scelta dei farmaci antipertensivi più adatti, secondo un algoritmo semplificato e basato su evidenze. ùLe raccomandazioni sono state armonizzate con il modello HEARTS dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, con l’obiettivo di favorire un’implementazione efficace e sostenibile a livello di cure primarie. L’intento dichiarato delle nuove linee guida è quello di innalzare nuovamente gli standard di cura per l’ipertensione nel contesto canadese, contribuendo così alla riduzione del rischio cardiovascolare e della mortalità nella popolazione adulta.

OSCAR BIANCHI

Oscar Bianchi è il nuovo presidente di AVIS Nazionale, dopo due mandati come presidente di AVIS Regionale Lombardia, succede a Gianpietro Briola e rimarrà in carica per quattro anni. 53enne, sposato con due figlie, nelle scorse settimane era stato nominato anche presidente di CSVnet Lombardia, la Confederazione regionale dei centri di servizio per il volontariato del territorio lombardo.

Da molti anni lei è ai vertici prima locali poi regionali dell’Associazione Italiana dei Volontari Sangue. Come ha iniziato ad interessarsi all’Avis?

“Il mio percorso in AVIS nasce da una storia personale che mi ha segnato profondamente. Quando mia figlia si ammalò da piccola, fu una donazione di sangue a salvarle la vita. In quel momento, ho sentito con forza che non potevo restare fermo. Dovevo fare qualcosa per restituire quel dono inestimabile che avevo ricevuto. Da lì, passo dopo passo, il mio impegno è cresciuto: prima a livello locale, poi provinciale, regionale, e oggi nazionale. Non per ambizione, ma per convinzione. Perché quando il dono ti tocca nel profondo, non puoi più ignorarne il valore”.

Perché ha deciso di abbracciarne la missione?

“Perché la missione di AVIS è quanto di più alto, concreto e necessario possa esistere: garantire ogni giorno il sangue a chi ne ha bisogno. È un gesto semplice, ma di un impatto straordinario: salva vite, unisce le persone, rafforza il senso di comunità. Donare sangue significa credere in una società dove ci si prende cura gli uni degli altri, senza conoscere chi sarà il beneficiario, senza chiedere nulla in cambio. Significa essere cittadini responsabili e solidali. È questa la bellezza di AVIS: un volontariato silenzioso ma potentissimo”.

Quali positività e quali negatività pensa di lasciare in eredità al suo successore?

“Lascio un’associazione viva, radicata, sempre più riconosciuta come interlocutore autorevole nei confronti delle istituzioni sanitarie e politiche, a livello regionale e nazionale. Durante il mio mandato abbiamo rafforzato i rapporti con Regione Lombardia e con AREU, rinnovato le convenzioni, lavorato su formazione, digitalizzazione, comunicazione. I numeri parlano chiaro: donazioni stabili (oltre 466.000), 273.797 soci, un trend di donatori in lieve crescita.

Ma restano alcune sfide irrisolte: il calo dei nuovi iscritti (-11,26% nel 2024), la difficoltà a rinnovare la dirigenza associativa, una burocrazia ancora troppo pesante. Lascio quindi anche alcune criticità, che richiederanno coraggio e visione. Ma le lascio ad un nuovo presidente molto valido e preparato, che ha dichiarato di volersi muovere in continuità con la linea strategica delineata fino ad ora”.

Continuerà il suo impegno all’interno dell’Avis?

“Sì, e in maniera ancora più intensa. L’elezione alla Presidenza di AVIS Nazionale è per me un onore immenso, ma anche una responsabilità che accolgo con umiltà e determinazione. Porterò con me il patrimonio di esperienze maturato in Lombardia, il legame stretto con i territori, la consapevolezza che ogni sede, anche la più piccola, è un presidio fondamentale. Il mio impegno sarà volto a rafforzare la rete nazionale, a favorire il dialogo, a innovare mantenendo saldi i nostri valori”.

Quali sono i problemi che oggi affronta un’associazione senza scopo di lucro al servizio del paese?

“I problemi sono numerosi, e comuni a tutto il terzo settore. In primis, il ricambio generazionale: dobbiamo formare, motivare, accompagnare i giovani, non solo come donatori ma come dirigenti del futuro. Poi la burocrazia, che rischia di soffocare l’entusiasmo dei volontari. E infine la sostenibilità economica, che ci impone di essere sempre più strategici, trasparenti, efficaci. Per affrontare queste sfide, servono competenze, alleanze, visione. E serve tornare a mettere al centro il “perché” del nostro agire: il dono”.

Bergamasco, laureato in Economia e Commercio e in Giurisprudenza, ricopre il ruolo di responsabile d’area all’interno di un importante istituto di credito. Da sempre attivo nel mondo del volontariato, è stato in passato sia presidente di AVIS Provinciale Bergamo che di CSV Bergamo ETS.

Nella foto sopra con l’Assessore Regionale Guido Bertolaso mentre in quella sotto riceve il premio Rosa Camuna di Regione Lombardia

OSCAR BIANCHI

I donatori sono costanti o in diminuzione?

“I donatori sono sostanzialmente stabili (+0,97% nel 2024), ma non possiamo accontentarci. Il dato che ci preoccupa di più è il calo dei nuovi iscritti, un segnale chiaro che ci dice che dobbiamo rinnovare linguaggi, strumenti, forme di ingaggio. Le campagne sui social, i progetti con i giovani, la presenza nelle scuole sono fondamentali per invertire la rotta. La donazione non è solo un atto medico, è un gesto sociale, culturale, educativo”.

Chi si rivolge a voi? Sia strutture ospedaliere pubbliche, sia private? Il trattamento è lo stesso?

“AVIS non è un destinatario del sangue, ma un soggetto a cui spetta la chiamata del donatore, che per legge può essere effettuata solamente da associazioni non a scopo di lucro. Vi sono in Regione Lombardia 20 unità di raccolta associative, che operano in convenzione con le ASST. Le tariffe di rimborso per l’attività di raccolta sono stabilite a livello ministeriale e non variano in base al soggetto convenzionato. Un risultato di cui vado particolarmente fiero, e che ha segnato l’ultimo mandato, è la stipula della prima convenzione unica regionale con Regione Lombardia: un accordo storico, che ha permesso di uniformare diritti e doveri per tutte le Avis lombarde che svolgono raccolta. Oggi, grazie a questa intesa, possiamo garantire parità di trattamento, chiarezza nei rapporti e valorizzazione del ruolo del volontariato associativo su tutto il territorio regionale. Lavoriamo ogni giorno affinché il volontariato non sia solo un fornitore, ma un partner del sistema sanitario”.

DOPO OTTO ANNI

ALLA GUIDA DELL’ AVIS COMUNALE DI LEGNANO, COLAVITO

SARÀ AL TIMONE DELL’ASSOCIAZIONE REGIONALE PER IL PROSSIMO QUADRIENNIO

“Ci può descrivere il percorso che fa il sangue prelevato ai donatori?

“Il sangue donato viene raccolto in unità di raccolta associative o ospedali convenzionati, sottoposto a rigorosi controlli, e poi lavorato nei centri trasfusionali. Da lì, viene distribuito alle strutture sanitarie secondo necessità. È un processo delicato, garantito da normative stringenti e dalla collaborazione continua con il sistema sanitario. Oggi, con l’integrazione dei dati nel Fascicolo Sanitario Elettronico e con i nuovi sistemi informativi in fase di avvio, possiamo rendere il percorso ancora più efficiente e tracciabile. Il nostro impegno è anche su questo fronte”.

Un bilancio personale di questi anni al vertice di Avis Lombardia

PIERANGELO

COLAVITO È IL NUOVO

PRESIDENTE DI AVIS

REGIONALE LOMBARDIA

“Sono stati anni intensi, sfidanti, meravigliosi. Abbiamo affrontato la pandemia, innovato la governance, rafforzato la formazione, dato voce ai giovani. Ma soprattutto, ho conosciuto persone straordinarie: volontari silenziosi, medici appassionati, donatori al primo gesto e veterani che non si fermano mai. È grazie a loro che oggi posso dire, con orgoglio, che AVIS Lombardia è più forte, più unita, più preparata. Lascio la Presidenza Regionale con gratitudine, ma con lo sguardo avanti. Il futuro ci chiama, e noi siamo pronti a rispondere, ancora una volta, con un gesto semplice ma rivoluzionario: il dono”.

Pierangelo Colavito, 52 anni, originario di Rescaldina (MI), è il nuovo presidente di Avis Regionale Lombardia. Con alle spalle una lunga esperienza associativa e umana maturata sul territorio, Colavito raccoglie il testimone da Oscar Bianchi, con l’impegno di portare avanti, in uno spirito di continuità, i valori e i progetti che hanno caratterizzato il precedente mandato. Dopo otto anni alla guida dell’Avis Comunale di Legnano, sarà ora al timone dell’associazione regionale per il prossimo quadriennio. Il legame di Pierangelo Colavito con Avis affonda le radici nel 1993, quando sceglie di diventare donatore. Da allora, si dedica al mondo del volontariato entrando, nel 2009, a far parte del consiglio direttivo di Avis Comunale Legnano, realtà che ha guidato negli ultimi due mandati. Proprio grazie alla presenza di un’unità di raccolta interna, questa esperienza gli ha permesso di conoscere da vicino ogni aspetto della vita associativa: dalla gestione operativa della raccolta, fino all’organizzazione delle sedi che si dedicano alla chiamata dei donatori. Pierangelo Colavito indica come prioritari la tutela della gratuità del dono, il rafforzamento della donazione di plasma e l’attenzione al coinvolgimento dei giovani e al ricambio generazionale all’interno dell’associazione.

IL PROGETTO CASTAGNETA16 NASCE CON L’AMBIZIONE DI REALIZZARE UN COMPLESSO RESIDENZIALE DI ELEVATA QUALITÀ SIA ARCHITETTONICA SIA AMBIENTALE, PERFETTAMEN -

TE INSERITO NEL CONTESTO NATURALISTICO DEL PARCO DEI COLLI DI BERGAMO, IN UNA POSIZIONE DAVVERO PRIVILEGIATA: IMMERSO NEL VERDE E NELLA QUIETE, A POCHI PASSI DA CITTÀ ALTA E A POCHI MINUTI DAL CENTRO DI BERGAMO

UN RIFUGIO NEL BOSCO VICINO ALLA CITTÀ

Castagneta16, un progetto firmato dall’Architetto Roberto Crespi, che fa dialogare il verde del Parco dei Colli con l’intervento architettonico.

La via Castagneta, su cui si affaccia l’intervento, rappresenta uno dei luoghi più affascinanti e riservati di Bergamo: una zona collinare luminosa, panoramica e poco trafficata, apprezzata da chi cerca una dimensione abitativa autentica, elegante, e al riparo dal caos urbano. Siamo nel cuore del Parco dei Colli, ma al tempo stesso a due passi da tutto. È proprio questa combinazione di natura, bellezza e accessibilità a rendere il progetto unico nel panorama immobiliare cittadino.

L’intervento prevede la realizzazione di sei unità abitative di pregio, distribuite su due livelli fuori terra, con autorimesse e spazi accessori al piano interrato. Ogni unità gode di ampie superfici, soluzioni architettoniche curate, balconi profondi o giardini privati, e soprattutto una straordinaria flessibilità compositiva e progettuale.

SEI UNITÀ DI GRANDE PREGIO

L’intervento prevede la realizzazione di sei unità abitative di pregio, distribuite su due livelli fuori terra, con autorimesse e spazi accessori al piano interrato. Ogni unità gode di ampie superfici, soluzioni architettoniche curate, balconi profondi o giardini privati, e soprattutto una straordinaria flessibilità compositiva e progettuale.

SEI PROPOSTE D’AUTORE

Le sei unità previste rappresentano sei proposte d’autore, ciascuna studiata e disegnata in ogni dettaglio da un interior designer da noi incaricato. Tuttavia, non si tratta di soluzioni vincolanti: ogni acquirente ha la possibilità di reinterpretare completamente gli spazi, modificare layout, finiture, materiali e impianti, fino a fondere più unità in un’unica residenza di grandi dimensioni, come attici esclusivi con terrazze panoramiche e piscina privata, oppure ville cielo-terra con giardini di rappresentanza.

PERCORSO SARTORIALE

Per offrire un servizio all’altezza delle aspettative di un pubblico esigente e raffinato, ci avvaliamo di una rete di partner selezionati nel mondo delle forniture di alta gamma: showroom specializzati, boutique del design e fornitori abituati a lavorare su progetti high-end, che accolgono i nostri clienti per accompagnarli nella scelta dei materiali, delle soluzioni tecniche e degli elementi d’arredo. L’esperienza di personalizzazione diventa così un percorso sartoriale, esclusivo e su misura.

SOSTENIBILITÀ

E BENESSERE ABITATIVO

Soluzioni costruttive e impiantistiche all’avanguardia, con l’obiettivo la classe energetica A4. La filosofia del progetto unisce sostenibilità, benessere abitativo e qualità del costruire: grande attenzione è stata data all’integrazione paesaggistica, all’efficienza energetica e all’impiego di materiali naturali e durevoli. Il linguaggio architettonico è contemporaneo ma misurato, e dialoga con il contesto storico e naturalistico della zona.

ESCLUSIVITÀ IN UNA POSIZIONE SENZA PARAGONI

Il target a cui ci rivolgiamo è alto e consapevole, formato da professionisti, famiglie e investitori che desiderano un’abitazione esclusiva in una posizione senza paragoni, con standard qualitativi elevati e una forte componente valoriale legata al benessere, al verde e alla qualità della vita.

Ad oggi il progetto ha ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie (Parco dei Colli, Soprintendenza, Comune di Bergamo) e ci stiamo avviando verso la fase esecutiva. La demolizione degli edifici esistenti è prevista nel corso dell’estate, con una previsione di consegna delle unità per fine 2026 circa.

Il luogo perfetto per vivere con la famiglia: circondati dalla natura, per godere del silenzio della riservatezza e, insieme, della vicinanza a tutti i servizi della città.

Una piscina condominiale panoramica sulla copertura dell’edificio e una palestra attrezzata a disposizione dei residenti;

Il sogno di vivere lontani dallo stress ma a due passi da tutto quello che vi può servire in una dimora pensata prima di tutto per il benessere di chi la abiterà, con soluzioni tecnologicamente avanzate per una completa e sostenibile integrazione nell’ambiente.

SCOLPIRE IN PIAZZA

RASSEGNA BIENNALE

D’ARTE, CULTURA E TRADIZIONE DELLA

PIETRA ARENARIA

DI PARATICO

Da Domenica 6 a Domenica 13 Luglio, presso il piazzale adiacente alla ex Stazione Ferroviaria di Paratico, si svolgerà il 16° Simposio Scolpire in Piazza, dal tema “Un lago è il tratto più bello ed espressivo del paesaggio. È l’occhio della terra, a guardare nel quale l’osservatore misura la profondità della propria natura”.

Per la 16^ edizione della manifestazione si è individuata l’esigenza che le opere artistiche vengano inserite armonicamente nell’ambiente, in uno spazio dedicato che, una volta completato, si aggiungerà ai percorsi già esistenti sul territorio comunale. Il tema dell’opera prende spunto, a livello puramente ispirativo, dall’estratto di un testo di Henry David Thoreau, che ogni scultore sarà libero di interpretare ed elaborare, nella creazione della sua opera, secondo il proprio sentire artistico.Domenica 13 luglio alle ore 18:00, il Simposio si chiuderà con la consegna dei riconoscimenti nella Sala Consiliare di Paratico.

LA GRANDE TURCHINA

Avrei voluto raccontarvi una storia ma poi le storie sono diventate tre. Partiamo da molti anni fa quando uno scultore propose al comune di Paratico di organizzare una manifestazione di scultura “live”. Cioè, gli scultori scelti per concorso, avrebbero poi realizzato le loro opere direttamente sul posto, in una piazza del paese, in tre-quattro giorni, durante i quali il Comune li avrebbe ospitati. In seguito vengono scelti e premiati con somme simboliche i vincitori e, in cambio, le opere realizzate rimanevano al Comune.

“Quando ci hanno proposto di fornire i blocchi di arenaria per la manifestazione l’idea ci convinse subito e con mio padre demmo vita quel sodalizio che ogni due anni ci vede al fianco dell’amministrazione di Paratico. Non sospettavamo che il successo di ‘Scolpire in piazza’ avrebbe generato nel corso degli anni un vero e proprio museo all’aperto diffuso tra le vie e le piazze del paese e, tra le tante bellezze per cui il paese è amato, di certo anche le sculture fanno la loro parte, in centro, sul lungolago, ma anche nelle periferie. Da vedere di sicuro il Viale dei Volti dove sono posate alcune tra le più significative opere realizzate nel tempo.

Beppe Ministrini, titolare di Pietra di Sarnico Cave, fornitore da sempre pro bono dei blocchi di Arenaria che gli artisti trasformeranno in sculture che andranno ad unirsi alle altre sparse per Paratico.

Qui fotografato con il blocco più grande mai estratto dalla sua cava.

LA GRANDE TURCHINA

Chi ci parla è Giuseppe Ministrini, titolare della cava di pietra di Sarnico, che appunto da sedici edizioni, quindi più di trent’anni essendo biennale, mette a disposizione la materia grezza su cui gli artisti si cimenteranno. Quest’anno si rinnova il simposio e 5 artisti sono pronti a trasformare i bozzetti presentati in opere tridimensionali ricavando la personale idea di ognuno dalla grezza arenaria a suon di scalpello, anche quello elettrico o ad aria compressa. La creazione on site è comunque un bel rischio. Non si può sbagliare e neppure fare una brutta figura realizzando una scultura che resterà per decenni nelle vie e nelle piazze di Paratico con tanto di targa con titolo, anno a autore. Un modo per declinare l’arte con le risorse del territorio che, vivaddio non sono solo da bere. Come la pietra che non si coltiva, non si beve ma si estrae e si modella ed è della seconda storia che vi racconto.

Quando si dice lavoro duro si parla di spaccare le pietre ma per la gente che le estrae dalle falde delle montagne è il lavoro più bello del mondo. Incontro Alessandro, un omone che ricorda i visigoti, alto grosso muscoloso abbronzato e con un occhio vivo e curioso. “Ho sempre avuto attrazione - mi confida - per il lavoro che trasforma la roccia estratta da sottoterra in manufatti che sono sempre opere d’arte siano esse la soglia di un’abitazione o il busto di un condottiero, un portale o una fontana. L’uomo prende materia grezza dalla generosità della natura e la plasma a suo piacimento apprezzandone la forza, l’energia che contiene, la fredda bellezza minerale, la tenace resistenza che oppone al volere dell’essere umano, a cui cede, venendo scolpita, per prendere la forma pensata”.

Siamo nella cava di arenaria di Paratico dove da generazioni la famiglia di Beppe Ministrini estrae i blocchi di pietra di Sarnico che, nei secoli, sono stati utilizzati per una quantità incredibile di manufatti. La vena grigio azzurrina di questa pietra si è generata milioni di anni fa quando la pressione dei ghiacciai ha stritolato le rocce fino a renderle sabbia finissima, che si è compattata sotto il peso enorme delle altre masse che si sono via via stratificate creando le colline moreniche a sud del Sebino.

“Mio bisnonno e anche suo padre lavoravano qui e forse anche prima la mia famiglia ha vissuto estraendo la pietra da questa montagna con concessioni che si perdono nella notte dei tempi, come la prime estrazioni effettuate già in epoca romana. La facilità nella lavorazione e la particolare colorazione ne hanno fatto la pietra utilizzata nella realizzazione di facciate, scalinate, ponti, rivestimenti, sculture, pavimentazioni. Bergamo Alta conserva alcuni dei migliori lavori realizzati con questa pietra i cui blocchi una volta venivano trasportati dalla cava a valle da grandi carri trainati da buoi. Lascio immaginare le peripezie per arrivare a 30 chilometri di distanza. Oggi il grande lavoro lo fanno le macchine mentre una volta erano le braccia e i picconi a spaccare i blocchi estratti con la dinamite o con il filo che li tagliava. In questa cava lavoravano anche 200 persone. Poi la tecnologia e l’utilizzo di potenti escavatori ha reso tutto più semplice. Anche la lavorazione si è specializzata con spessori sempre più sottili. Nella scultura viene molto apprezzata la nostra pietra per la facile lavorazione e la particolare tonalità”.

A questo punto le storie diventano tre. La prima quella di scolpire in Piazza poi quella della cava e infine la Grande Turchina che non è una nuova fata.

Mentre scrivo queste righe apro le immagini che ho scattato gironzolando senza nessuno in giro, un sabato mattina.

Mi rendo conto che nelle foto che ritraggono la vena che viene cavata c’è una particolare sfumatura azzurra. Mi sembra troppo marcata e mi messaggio con Beppe chiedendo se fosse qualche strano effetto delle mie riprese o se invece… In effetti abbiamo trovato una vena compressa sotto altri strati di arenaria grigia, dalla tonalità decisamente azzurra. Non è la prima volta in assoluto e ha anche un nome: la Grande Turchina. Quelli di un volta la chiamavano il fondel in dialetto perché di grana molto fine e di particolare compattezza.

La facciata di Porta S.Agostino rivestita con la Pietra arenaria di Sarnico è solo una delle tante opere realizzate con questo materiale a Bergamo alta.

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DATE A CESARE QUEL CHE È DI CESARE

Frase storica e nobile, recitata da un Gesù che non volle farsi prendere in castagna, dicendo così che le leggi vanno rispettate e applicate, sino a quando qualcosa non cambierà. Mantenere lo Status Quo per non attivare la belligeranza che non avrebbe sortito effetti positivi, sia per il popolo ebraico, ma soprattutto per i rapporti “internazionali” vigenti in quel momento, più di 2000 anni fa. Oggi con il risultato del Referendum , abbiamo vissuto la stessa cosa. Il Cesare, oltre allo Stato, alle leggi costituzionali vigenti, ai rapporti differenziati tra elezioni politiche ed Istituzioni Referendarie, potremmo citare i giornalisti. Certo perché con la grande disinformazione attuata dalla stampa, cose di risonanza non appropiate e stravolgimento partisan della legge costituzionale, hanno invitato i meno preparati, culturalmente politicamente ed emotivamente, ad andare a votare invece che astenersi, millantando civiltà, democrazia, antifascismo, etc.Anche se avessero avuto ragione e non l’avevano, analizzando i dati a bocce ferme, vediamo che il 30% dei 50 milioni di elettori è andato ai seggi, il 70% no. Per cui democraticamente il referendum è abortito e la democrazia popolare ha decretato il verdetto incontrovertibile. Nel 30% dei votanti, per i 4 quesiti riguardanti il lavoro, l’85% è stato per il sì ed il 15% per il no. In totale nemmeno il corpo elettivo dei dipendenti non si è presentato al voto, snobbando i sindacati e la sinistra in toto. Ulteriormente, nei votanti il 15% ha detto no, per cui una sonora batosta che ha premiato Renzi e la Sinistra al potere in quegli anni della riforma del lavoro. Cioè cattivi maestri aiutati da cattivi consiglieri, sostenuti dai nuovi potentati di sinistra, che hanno tentato un colpo di stato intrapartitico, non riuscito. Oddio, pur supportati dalla stampa, dalla Chiesa, da tutti e di più di tutto. In un Paese normale e democratico, come direbbero loro, questi leader dovrebbero dimettersi, lasciare i loro incarichi, anche parlamentari, perché hanno offeso il Parlamento, tentando il colpo di mano per esentarlo. Se poi analizziamo il quesito riguardante l’immigrazione, del 30% che si è presentato, solo il 65% ha detto sì; il 35% ha detto NO, per cui è chiaro che il Popolo Italiano, si è presentato in modo bipartisan a questo Referendum, bocciando sonoramente questo tentativo di colpire al cuore uno Stato che fatica a farsi rispettare, a governare con i mezzi che ha, a programmare il futuro di questa società. Per fortuna gli over 50 sono andati a votare NO, fronteggiando gli ingenui e giovani elettori che, non sapendo nulla di politica, hanno votato in massa per i Sì. Forse dovrebbero leggere e studiare di più, ma davvero. Poi il colpo di mano della manifestazione Pro Palestina a Roma, durante il silenzio elettorale o i cartelloni per il Sì esposti allo Zoo di Berlino, a Bergamo, ex Piazzale Degli Alpini, (mio padre Alpino del 5°, battaglione Morbegno, classe 1918, si rivolterà

nella tomba di certo), facendo finta di niente, il campo largo di sinistra, ha parlato e manifestato tutto il tempo per il Sì ai Referendum. Incredibile, ma vero. Tutto ciò non è servito a vincere, bensì a perdere con disonore. Vedremo, il tempo è galantuomo!! Dare colpa al sistema non serve, chiedere di abbassare il quorum meno che meno, si dovrebbe alzare di molto il numero delle firme da raccogliere, fare un giorno solo di votazione e solo per i Referendum, senza mischiare le cose con elezioni spurie. Senza i ballottaggi, si presume un 7- 8 % in meno di votanti, per cui evvai con il conto finale. Per cui oggi mi sento orgoglioso di essere Italiano, sono fiero della risposta del Popolo Italiano, sono certo che dopo questa lezione d’onore e la vergogna della gogna mediatica mandata in onda contro il Presidente del Consiglio dei Ministri e la seconda carica dello Stato, il Presidente del Senato, molto o forse tutto cambierà. Senza una Sinistra matura e preparata, non faziosa ed ignorante dei Dettami Costituzionali e Democratici, non potremo avere una vera maturazione della Destra, che di tutto sta facendo, per salvare questa Nazione che dal colpo di Stato di Manipulite 1992 ad oggi, ha ben fronteggiato con “Resilienza” l’arroganza del potere di Sinistra e della Magistratura. Libertà, Libertà, Libertà, nel rispetto delle regole comuni. Impariamo dagli errori e dalla storia, altrimenti non andremo avanti per molto, ricordiamoci: Ucraina, Palestina, Sud Sudan, Yemen, Siria, ONU che non esiste, OMS imbelle, Bricks in crescita, Cina incontrollabile, USA da “ iberi tutti”, ma soprattutto una UE inesistente che urla al riarmo e non alla riorganizzazione, pensa di mettere la Germania a fare da locomotiva cosìcchè dopo un 1914, un 1939, avremo quasi certamente un 2026 ... pensate voi di cosa parliamo.

Filosofia, ci vuole Filosofia, ci vogliono filosofi che guardino avanti, lungamente avanti, al dopodomani non all’oggi, altrimenti …. Ad Majora

POLITICANDO
di Maurizio Maggioni

A poco più di due mesi dall’inaugurazione dei due interventi espositivi dedicati a Giovanni Battista Gigola e a Giuseppe Bezzuoli, Comune di Brescia, Fondazione Brescia Musei e Ateneo di Scienze, Lettere e Arti presentano oggi una nuova e originale declinazione del format PTM Andata e Ritorno con il quale dal 2019 Fondazione Brescia Musei trasforma le “partenze”, collegate alle richieste di prestito, in “arrivi” di opere ospiti. Le opere protagoniste di questa nuova edizione (che occupa i posti 16 e 17 nel registro di questa iniziativa) sono il Noli me tangere di Ludovico Mazzolino e La Nuda di Giacomo Grosso. Con questo nuovo appuntamento il modello – che nel corso degli anni ha permesso di creare inedite occasioni di dialogo tra la Collezione permanente e opere di Diego Velázquez, Giacomo Ceruti, Lorenzo Lotto, per citarne alcune – si arricchisce di una significativa novità, articolandosi per la prima volta su due sedi espositive: la Pinacoteca Tosio Martinengo e palazzo Tosio, un tempo suntuosa dimora in cui il conte Paolo Tosio, con la moglie Paola Bergonzi, raccolse il nucleo originario della quadreria civica bresciana e oggi sede appunto dell’Ateneo di Scienze, Lettere e Arti di Brescia.

In questo caso la sala VI della Pinacoteca Tosio Martinengo — dedicata alla pittura di Moretto, Savoldo e Lotto — e palazzo Tosio vedono la temporanea assenza di due opere (l’Adorazione dei pastori di Lorenzo Lotto, del 1530, e Torquato Tasso legge il suo poema alla corte di Ferrara di Francesco Podesti, del 1842) che figureranno insieme ad altre anch’esse in partenza da Brescia alla mostra “Ricchezza. Dilemma perenne” (6 giugno – 9 novembre 2025), realizzata a cura di Alessio Geretti e ospitata presso la Casa delle Esposizioni di Illegio (UD). L’occasione si trasforma nell’opportunità di presentare al pubblico due opere delle collezioni civiche solitamente conservate nei depositi, ora eccezionalmente accessibili fino al 16 novembre. Presso la Pinacoteca Tosio Martinengo è esposto il prezioso Noli me tangere di Ludovico Mazzolino, già incluso lo scorso anno nella mostra “Il Cinquecento a Ferrara. Mazzolino, Ortolano, Garofalo, Dosso” realizzata al palazzo dei Diamanti di Ferrara a cura di Vittorio Sgarbi e Michele Danieli. Il confronto tra le opere di Moretto e Savoldo che abitualmente popolano la sala VI della Pinacoteca e l’opera dell’artista ferrarese – un pittore noto per la sua capacità di combinare spunti variegati con un approccio originale, talvolta eccentrico, ma sempre supportato da un patente raffinatezza pittorica — dà conto della grande vivacità e varietà della scena artistica padana nella prima metà del XVI secolo, nella quale la comune matrice veneta si stempera nella molteplicità dei caratteri territoriali e individuali.

Giacomo Grosso LA NUDA ANDATA E RITORNO

Il dipinto La Nuda, custodito nelle collezioni dei Musei Civici bresciani, è una replica fedelissima e di grande qualità, realizzata a inizio Novecento, di un’opera del 1896 conservata ora alla Galleria d’Arte Moderna di Torino: l’autore di entrambe è Giacomo Grosso (Cambiano, 1860-Torino, 1938), un pittore molto stimato per la sua abilità nella resa naturalistica della realtà. Con la sua produzione, Grosso si fece interprete dello stile di vita della borghesia — torinese in particolare — restituendone i gusti, la mentalità, le convenzioni sociali, ma anche le contraddizioni profonde: l’opera e la sua storia in particolare testimoniano con evidenza un fenomeno di costume ottocentesco, strettamente correlato alla rappresentazione della nudità femminile. Una giovane donna, distesa di spalle in una posa seduttiva, dissimula con grazia lo sforzo compiuto per torcere il busto e rivolgere uno sguardo languido verso l’osservatore. Il soggetto messo a punto dall’artista è esplicitamente sensuale, non si tratta di una delle tante Veneri sdraiate a cui ci hanno abituato secoli di storia dell’arte occidentale, ma semplicemente di una modella, di un corpo femminile costruito, seppur rielaborando colti riferimenti, come oggetto di contemplazione, compiacimento, privato di sovrastrutture simboliche.

A palazzo Tosio, invece, trova spazio La Nuda di Giacomo Grosso, un dipinto emblematico del gusto collezionistico borghese di fine Ottocento: non risulta a oggi che l’opera (esposta a Torino nel 1990 e proprio a Illegio, UD, nel 2023) sia stata presentata a Brescia almeno negli ultimi 35 anni. Si tratta di una replica autografa eseguita dal piemontese Giacomo Grosso a inizio Novecento sulla scorta del dipinto presentato alla Triennale di Torino nel 1896, oggi conservato alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea del capoluogo piemontese. L’opera riflette la sensibilità culturale e i costumi del tardo Ottocento: attraverso la sua esplicita sensualità, essa esemplifica una fase significativa nell’evoluzione della pittura di nudo. La presenza di questo dipinto nelle sale di palazzo Tosio conferma e rafforza la sinergia tra Fondazione Brescia Musei e Ateneo di Brescia, rinnovando l’impegno congiunto nella valorizzazione del patrimonio culturale della città. Le due esposizioni dossier sono entrambe accompagnate da un quaderno edito per i tipi di Fondazione Brescia Musei, che sarà distribuito gratuitamente a tutti i visitatori di entrambe le sedi espositive durante la tenuta degli eventi. I testi si devono a Michele Danieli, per Ludovico Mazzolino, e a Giulia Paletti per Giacomo Grosso; il progetto grafico è di Maria Repossi, che ha firmato anche l’identità visiva dei due progetti. L’esposizione de La Nuda di Giacomo Grosso è parte delle iniziative organizzate da Fondazione Brescia Musei nell’ambito della Rete dell’Ottocento Lombardo.

“Andata e Ritorno” si conferma ancora una volta un format di grande efficacia che, dal 2019, ha saputo creare occasioni importanti per riscoprire opere delle nostre collezioni, accogliendo al contempo capolavori che dialogano con il nostro patrimonio permanente. Particolarmente preziosa si è rivelata, in questa occasione, la collaborazione tra Ateneo di Brescia e Fondazione Brescia Musei: una sinergia capace di unire le forze per valorizzare al meglio il nostro patrimonio artistico.

ANDATA E RITORNO

Ludovico Mazzolino, Noli me tangere Nel 1942, alla morte dell’imprenditore Angelo Minola, le sue figlie Emma e Amalia decisero di donare al Comune di Brescia la collezione di dipinti raccolta dal padre, seguendo le sue volontà testamentarie. Tra i quadri più importanti vi era il Noli me tangere, attribuito correttamente a Ludovico Mazzolino, artista bresciano del primo Cinquecento, riconosciuto come uno degli artisti più originali del suo tempo.

La scena, che rappresenta Maddalena che riconosce Gesù risorto nel sepolcro vuoto, è ricca di simbolismi ed è calata in un’atmosfera sospesa tra dramma e favola: un vento misterioso gonfia le vesti, solleva il sudario di Cristo e la manica di Maddalena, rivelando un’elegante tonalità azzurra. I due personaggi sono vicini, ma la distanza tra loro è incolmabile: Gesù ha un gesto deciso, mentre Maddalena risponde con un movimento incerto, quasi dubbioso. Tanta è l’efficacia di questo dialogo muto, che gli attributi iconografici quasi scompaiono: il vasetto di unguento che pure occupa il primo piano sembra miniaturizzato, poco più che un giocattolo, la zappa che Gesù appoggia sulla spalla è molto sottile e appare decisamente inadeguata a qualsiasi lavoro agricolo. La scena si arricchisce di un episodio sullo sfondo, quello di Gesù che incontra i discepoli sulla via di Emmaus - che ha tutto l’aspetto di un castello medievale, arroccato sulla sommità di una montagna e quasi sospeso tra le nubi -, creando un quadro complesso e ricco di significati. Siamo in pieno Rinascimento, un’epoca dominata dalla riscoperta della classicità, con le sue regole proporzionali e la sua ricerca di armonia. Esisteva, tuttavia, una pattuglia di artisti ai quali queste regole sembravano costrizioni troppo rigide. Girolamo Romanino a Brescia, Altobello Melone a Cremona, Amico Aspertini a Bologna cercavano ispirazioni e punti di riferimento diversi. A Ferrara, è sicuramente Mazzolino a opporre maggiore resistenza alle novità che risalivano dall’Italia centrale, al protoclassicismo che Perugino stava esportando a nord degli Appennini. Tra gli elementi che caratterizzano la produzione artistica di Mazzolino vi è un’ammirazione sconfinata per Albrecht Dürer, dal quale il ferrarese trae il gusto per la narrazione vivace, la curiosità inesauribile che lo porta a indagare oggetti, stoffe e paesaggi, nonché una espressività mai allineata con la serena imperturbabilità classica. In secondo luogo, il contatto con le opere giovanili di Giorgione: l’esempio del grande pittore veneziano - così importante anche per i coevi maestri bresciani - permette a Mazzolino di ambientare le sue figure in paesaggi moderni dai colori saturi e profondi

Ludovico Mazzolino NOLI ME TANGERE

“L'esposizione temporanea - ha detto Stefano Karadjov, Direttore Fondazione Brescia Musei - degli "Andata e Ritorno" Mazzolino e Grosso, che inaugura oggi in Pinacoteca Tosio Martinengo e Palazzo Tosio, consente di comprendere, attraverso uno scorcio attraverso le nostre Collezioni abitualmente non visibili al pubblico, la ricchezza di un patrimonio museale costantemente alimentato, come acque di risorgiva, dai depositi museali che ricorsivamente con il format Andata e Ritorno portano alla superficie nuove energie, nuovi stimoli artistici e scientifici su cui instaurare preziose collaborazioni con nuovi collaboratori come Michele Danieli o valorizzare i nostri conservatori come Giulia Paletti. Mi rende particolarmente felice che queste due occasioni siano figlie l'una della mostra dedicata al Rinascimento bresciano, che fu posta in dialogo con quella sul Cinquecento ferrarese, e l'altra dell'orizzonte Ottocentesco cui guardiamo sempre con crescente interesse nella cura dei progetti connessi alla Rete dei Musei dell'Ottocento Lombard”.

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FUOCHI DI PAGLIA

di Giorgio Paglia

IL DEGRADO DEL DOMANI

Se provassimo a parlare del domani con un giovane e avessimo un minimo di sensibilità, ci sentiremmo affranti e pervasi da rimorsi di coscienza. Infatti per la prima volta siamo di fronte ad una generazione che sta peggio economicamente, e non solo, rispetto a quella precedente. Possiamo incontrare ragazzi con contratti semestrali da stagista da 600 € al mese, oppure laureati con esperienza a cui vengono proposti lavori a termine da 1200 € mensili, o in alternativa offerta l’apertura di una incerta Partita Iva.

Eppure se ascoltate il main stream sembra che si navighi nell’età dell’oro dell’economia italiana. Ma è davvero così? Vediamo qualche dato per capire meglio. Negli anni 80, quando la mia generazione era giovane, il rapporto debito pubblico/PIL era al di sotto del 57%, mentre oggi supera il 135%. Ciò significa una montagna di denaro statale che se ne va per pagare gli interessi: qualcosa come 80 miliardi di euro all’anno. La spesa pubblica è rimasta abbastanza costante: era nell’80 intorno al 29% del PIL, oggi è al 32%. Negli anni 80 la tassazione media per i redditi da lavoro dipendente era al 20-30% e l’IVA era al 18%. Il carico fiscale complessivo, comprensivo di imposte dirette e indirette, si attestava intorno al 35% e all’epoca era già considerato alto rispetto agli standard internazionali. Oggi l’Iva è al 22%, i salari sono tassati al 47,1% e la tassazione complessiva è salita al 42,6%. Sempre negli anni 80, l’energia elettrica in Italia costava circa 200 lire al KwH (cioè 0,10 €/ KwH), oggi costa il 60% in più, anche grazie al referendum del 1987 che ha fatto chiudere le nostre centrali nucleari, ma ci ha lasciati liberi di spendere per il nucleare estero il 50% in più.

Nel 1980 la benzina aveva raggiunto un prezzo record di 850 lire al litro (0,43 € tasse incluse), oggi alla pompa ci vuole quasi il quadruplo. Negli ultimi 20 anni il prezzo delle auto è raddoppiato e per comperare una Panda ci vogliono almeno 10 stipendi di un giovane lavoratore. Per acquistare una appartamento in questo periodo sono necessari circa 12 anni di retribuzione media che è il triplo di quello necessario negli anni 80. Poi un grande cambiamento è avvenuto il primo gennaio del 2002, quando l’Italia è entrata nell’Euro con un cambio assurdo di 1.936 lire per euro. Di fatto nel giro di pochi anni, importanti fenomeni speculativi, mai contrastati, hanno portato il cambio reale a 1 € = 1.000 lire, dimezzando di fatto il potere di acquisto dei salari e delle pensioni. Oggi la disoccupazione giovanile rasenta il 20% e di conseguenza i giovani sono costretti a fuggire all’estero nella misura di 100.000 unità all’anno, di cui la maggior parte emigra dal Nord. In compenso la società è cambiata con l’arrivo di milioni di migranti regolari e non. Al di là della realtà mediatica falsamente dipinta di rosa, nel 2025 il tasso di povertà assoluta in Italia ha raggiunto il 10% degli individui, che significa quasi 6 milioni di persone, ovvero l’8,4% delle famiglie. In pratica il sano ceto medio, motore dell’economia degli anni ottanta, non esiste più. In questo oscuro scenario abbiamo ancora il coraggio di lamentarci se i ragazzi vivono sui social, si ubriacano la sera e si allontanano sempre di più dalla politica, dimenticando che è semplicemente la conseguenza inevitabile del mondo che gli abbiamo lasciato. Così in un futuro che va sempre più degradandosi, punteggiato da guerre e da incertezze di ogni tipo, sorgono nuove paure giovanili quali quelle relative alle relazioni sociali, alle difficoltà economiche, alla precarietà lavorativa, all’incertezza, al cambiamento troppo veloce e alla mancanza di veri esempi valoriali. Tanta roba, eh? Insomma viviamo in una Italia e anche in una vecchia Europa colme di minacce più che di promesse positive. Allora un anziano consapevole, che in coscienza sa di aver contribuito a far fallire il sistema paese, può solo augurare a questa gioventù di essere autentica e di prendersi cura di se stessa, sfruttando almeno la tecnologia: quella sì, che evolve e migliora di continuo! Poi sul resto è meglio calare un velo triste e pietoso. Alla prossima e in alto i cuori leggeri.

Anche su: Twitter:@Fuochdipaglia Instagram:@fuochidigio

ECHI DI STRADE PERDUTE

Fondazione MIA presenta ad Astino la mostra dedicata all’opera di Roberto Salbitani, tra gli artefici di quel ripensamento della nostra fotografia che ha posto come centro d’indagine il paesaggio scardinandone ogni visione precostituita. Dopo anni di silenzio, che hanno fatto di Roberto Salbitani un maestro in ombra della fotografia italiana, l’autore torna con un importante libro e una mostra dal titolo: Echi di strade perdute. L’esposizione propone 52 immagini in bianco e nero, molte delle quali inedite, dove protagonista è il paesaggio urbano, tra i segni della metropoli, dal centro alle periferie, fino agli spazi intermedi e dimenticati tra città e campagna. Una ricerca da sempre al centro della sua opera artistica, a cominciare dal progetto e dal libro La città invasa, tra i libri più significativi degli anni Settanta, di cui la mostra espone diverse immagini. In queste fotografie l’autore mostra quella frammentazione della visione tipica della vita metropolitana, nella quale i manifesti pubblicitari, le vetrine, gli specchi - anche quelli retrovisori delle automobili -, i diversi ostacoli che si frappongono alla veduta unitaria di una scena o di un edificio divengono motivo primario della ripresa, nella restituzione della sensazione labirintica che pervade la vita di ogni abitante di ogni città del mondo. Le strade che percorre Salbitani sono perdute ma non smarrite e le sue immagini ci restituiscono l’eco dei suoi passi, del suo cammino, che da sempre procede, anche artisticamente, «in direzione ostinata e contraria». Le sue immagini, insieme visionarie e naturalistiche, sono un invito a rileggere il visivo, a cercare gli elementi primi del fare fotografia. Scrive Corrado Benigni nel testo del libro che accompagna la mostra: “Un artista – lontano da appartenenze a gruppi, scuole, tendenze – che ha saputo formulare chiaramente l’idea di una fotografia non più costretta entro i confini dei “generi”, delle funzioni illustrative, dei processi produttivi, quanto piuttosto rivolta a una ricerca di verità e di esperienza. […] La sua tecnica (un bianco e nero denso, come se fosse realizzato con il carboncino) coincide con la filosofia racchiusa nell’immagine. Per Salbitani l’arte e la sua pratica sono, infatti, tutt’uno con la vita. Forse anche per questo le sue fotografie raggiungono un mirabile equilibrio tra immediatezza della percezione e chiarezza della rappresentazione”.

FONDAZIONE MIA presenta

ROBERTO SALBITANI

ECHI DI STRADE PEDUTE

A cura di Corrado Benigni

Fino al 16 novembre 2025

Monastero di Astino, Bergamo

In occasione della mostra è stato realizzato il volume bilingue, italiano e inglese, pubblicato da ELECTA che riunisce 154 immagini. Con testi di Corrado Benigni e Roberto Salbitani

Orari di apertura mostra: martedì: 18.00 – 21.00

mercoledì: 18.00 – 21.00

https://www.fondazionemia.it/

giovedì: 18.00 – 21.00

venerdì: 18.00 – 21.00

sabato: 9.30 – 12.30 / 14.00

21.00 domenica: 9.30 – 13.00 / 14.00 – 21.00

Per informazioni: Fondazione MIA, tel. 035 211355 info@fondazionemia it | www.fondazionemia.it

TANTO DI TINTO

L’EROTISMO SECONDO TINTO BRASS. MOSTRA FOTOGRAFICA FRUIBILE SINO AL

7 SETTEMBRE 2025 PRESSO LA CAVALLERIZZA –CENTRO DELLA FOTOGRAFIA ITALIANA, BRESCIA

Un omaggio a Tinto Brass, uno dei protagonisti più controversi del cinema nazionale e internazionale: è questo lo spirito di TANTO DI TINTO. L’erotismo secondo Tinto Brass, la mostra fotografica ospitata negli spazi della Cavallerizza a Brescia, dal 13 giugno finoal 7 settembre 2025. L’iniziativa è promossa dal Centro della Fotografia Italiana, in collaborazione con il Comune di Brescia e la Fondazione Brescia Musei, nell’ambito dell’ottava edizione del Brescia Photo Festival, dedicata quest’anno al tema Archivi. Il progetto si sviluppa attraverso le immagini di Gianfranco Salis, fotografo che da oltre quarant’anni condivide con il regista veneziano un intenso sodalizio artistico. Il percorso espositivo ripercorre il periodo erotico della produzione brassiana – da La chiave (1983) a Hotel Courbet (2009) – contraddistinto da una rappresentazione gioiosa, ironica e liberatoria della sensualità femminile.

“Il mio culto estremo dello stile – sostiene il regista – implica un disilluso nichilismo nei confronti di una realtà sempre più degradata e conformista. Un radicato pessimismo verso i valori consacrati, il Potere e la morale corrente. In definitiva, verso il mondo così com’è che, se non posso cambiare, voglio almeno rendere più abitabile grazie allo splendore della forma e delle forme. Nella convinzione che solo il significante può dare un senso, un significato, al non senso della realtà. Perciò “il culo è lo specchio dell’anima” – così sintetizzo la mia poetica – racchiude il senso e il contenuto del mio cinema, riconoscendo al suo stampo le stesse valenze di quel paese utopico che speravo emergesse, ma poi non è emerso”.

Una raccolta di oltre cento scatti – molti dei quali mai mostrati al pubblico – documenta il percorso creativo di Brass, tra fotografie di scena e momenti fuori dal set, offrendo uno sguardo originale sull’esperienza umana e artistica che ha animato la sua produzione cinematografica. Una sezione speciale è dedicata a Tenera è la carne, film rimasto incompiuto a causa della scomparsa del produttore dopo sole tre settimane di riprese. Le immagini raccolte da Salis durante quel breve periodo restituiscono la forza visiva di un’opera mai terminata, ma ancora viva nella memoria del regista. Completa l’allestimento una selezione di manifesti cinematografici, testimoni dell’evoluzione grafica e comunicativa dell’universo brassiano, tra suggestioni visive, provocazione e libertà espressiva. La mostra è curata da Renato Corsini, direttore artistico del Centro della Fotografia Italiana, e da Caterina Varzi, curatrice dell’Archivio Tinto Brass e della valorizzazione della sua opera.

INIZIATIVA INSERITA

NELL’AMBITO DI “ARCHIVI”, VIII EDIZIONE DEL BRESCIA PHOTO FESTIVAL. OLTRE CENTO SCATTI RACCONTANO QUARANT’ANNI DI CINEMA TRA EROS, IRONIA E PROVOCAZIONE

Gianfranco Salis, Anna Ammirati sul set del film Monella, 1998
Courtesy Archivio Tinto Brass
Gianfranco Salis, Stefania Sandrelli sul set del film La chiave, 1973
Courtesy Archivio Tinto Brass
Gianfranco Salis, Serena Grandi sul set del film Miranda, 1985
Courtesy Archivio Tinto Brass
Gianfranco Salis, Claudia Koll sul set del film Così fan tutte, 1992
Courtesy Archivio Tinto Brass

CATTELAN È IN CITTÀ

MAURIZIO CATTELAN

SEASONS

Fino al 26 ottobre 2025

Bergamo

Dal 7 giugno la GAMeC - Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo presenta il quarto ciclo de Il Biennale delle Orobie - Pensare come una montagna, il programma che coinvolge le comunità del territorio grazie alla partecipazione di artiste e artisti internazionali.

A Bergamo, tra Città Alta e Città Bassa, sarà presentata Seasons, la mostra diffusa che Maurizio Cattelan ha ideato appositamente per questa occasione, con cinque lavori esposti in un percorso che si snoda in quattro sedi. Il Linificio e Canapificio Nazionale di Villa d’Almè ospiterà la performance Spin and Break Free di Cecilia Bengolea, mentre nei comuni di Dossena e Roncobello saranno presentati i lavori di Julius von Bismarck e Francesco Pedrini. In contemporanea, lo Spazio Zero della GAMeC ospiterà la mostra di EX. (Andrea Cassi e Michele Versaci), che anticipa la realizzazione del nuovo Bivacco Aldo Frattini sulle Alpi Orobie, immaginato come una sede esterna della GAMeC in alta quota.

UNA

COME

DELLE OROBIE QUARTO CICLO DI EVENTI GIUGNO –SETTEMBRE 2025

IL

La mostra Seasons di Maurizio Cattelan (Padova, 1960) si sviluppa come un percorso visivo nella città di Bergamo che stimola una riflessione sulla ciclicità della vita e della storia, sulle generazioni, sull’ascesa e sulla caduta dei valori e sulle trasformazioni dell’individuo e della società.

Il titolo della mostra è un chiaro riferimento alle stagioni, simboli universali di passaggio e rinnovamento: un invito a riflettere sul divenire del tempo, ma anche un’esortazione a vivere la realtà nella sua complessità e drammaticità attraverso l’arte, che non si limita a rappresentare il mondo, ma lo interpreta, lo problematizza e lo trasforma.

Il percorso espositivo si snoda in quattro sedi e presenta al pubblico cinque lavori: Palazzo della Ragione, in Piazza Vecchia, accoglie November (2023); alla GAMeC, in via San Tomaso, sono esposte Empire (2025), e No (2021); la scultura Bones (2025) è allestita nel vicino Ex Oratorio di San Lupo, mentre One (2025) – installazione site-specific prodotta in collaborazione con il Comune di Bergamo – si erge nella storica Rotonda dei Mille, nel cuore di Bergamo Bassa.

BONES (2025)

A giocare un ruolo significativo nel percorso è l’immagine dell’aquila – animale simbolo della montagna e della natura incontaminata – divenuta, sino dall’antichità, espressione di potere, dominio e brama espansionistica. Allestita nell’Ex Oratorio di San Lupo grazie alla collaborazione con Fondazione e Museo Diocesano Adriano Bernareggi, Bones sfida questa tradizione simbolica, presentando l’aquila nella sua forma più pura e vulnerabile: il suo corpo giace a terra con le ali spiegate, come un’icona di sconfitta, un emblema di potenza, sovranità e autorità, evocando la crisi dei valori imperiali e la rottura di un legame con i ritmi della natura. Il materiale nobile con cui è prodotta, il marmo statuario Michelangelo, utilizzato da secoli per celebrare trionfi e immortali virtù, viene ora impiegato per cristallizzare un momento di caduta, rendendolo eterno e quindi ineludibile.

Il lavoro è stato ispirato dalla visione dell’aquila commissionata nel 1939 dalla Dalmine – al tempo acciaieria di Stato – allo scultore Giannino Castiglioni per la decorazione del ceppo commemorativo del discorso tenuto da Benito Mussolini nel 1919 agli operai dell’azienda in “sciopero creativo”, evento che avrebbe dato origine alla costituzione dei Fasci di combattimento. Dopo la guerra l’aquila fu trasferita nel giardino della colonia estiva dell’azienda a Castione della Presolana, in Val Seriana, ai piedi della montagna più iconica delle Orobie. Perso il riferimento al regime, nel nuovo contesto l’aquila si era trovata a rappresentare i più alti valori della natura selvaggia e della libertà. Con la chiusura della Colonia l’aquila è tornata nei depositi della Dalmine SpA. La scelta del luogo espositivo non è neutra: un tempo sede cimiteriale, l’Oratorio di San Lupo è infatti da secoli uno spazio di liminalità: fra vita e morte, fra pubblico e segreto, fra devozione e oblio. Il titolo dell’opera, Bones, “ossa” in italiano, amplifica la tensione tra apparenza e significato: le ossa rimandano alla morte, alla decomposizione, ma sono anche ciò che dà struttura, sostegno. In questo senso, l’aquila non è solo abbattuta: è anche smascherata. È ridotta alla sua verità ultima, liberata dal peso delle ideologie.

EMPIRE (2025)

Il secondo lavoro prodotto per la mostra, presentato alla GAMeC, riflette su un potere che non si concretizza mai ed esplora la tensione tra l’ambizione di costruire e conquistare e l’impossibilità di agire in un contesto che limita ogni azione.

Un mattone di terracotta su cui è incisa la parola “EMPIRE” – che richiama immediatamente l’idea di potere, dominio e costruzione di strutture – è intrappolato in una bottiglia di vetro, a suggerire un potenziale atto di ribellione che non riesce a prendere forma, un desiderio di rottura che non si compie, una rivoluzione senza esito. L’accostamento tra la solidità del mattone – simbolo di forza e potere – e la fragilità del vetro – simbolo di trasparenza ma anche di contenimento – genera un contrasto profondo. L’impero evocato è uno spazio mentale o politico che non si realizza, una costruzione che resta sogno o minaccia mai concretizzata.

La scultura gioca anche su un altro livello interpretativo: quello del messaggio nella bottiglia, di un segnale lanciato verso un futuro incerto. Sebbene potenzialmente potente, il messaggio rimane isolato, protetto ma inaccessibile, simbolo di un’incompiuta comunicazione, di una storia che non verrà mai raccontata o che rimarrà sconosciuta. Il lavoro mette così in scena un conflitto tra forza e fragilità, tra volontà e limite, in una riflessione sul fallimento delle utopie e sull’inazione che paralizza.

NO (2021)

Il terzo lavoro, esposto nelle sale del museo, nasce dalla rielaborazione dell’iconica scultura Him (2001), in cui Maurizio Cattelan rappresentava Adolf Hitler inginocchiato in preghiera, con il volto rivolto verso l’alto in un gesto ambiguo, tra supplica e finzione. La figura, modellata con fattezze infantili, evoca a prima vista l’immagine innocente di un bambino, generando un cortocircuito visivo ed emotivo nel momento in cui lo spettatore riconosce l’identità del soggetto. La scelta di coprire il volto – scaturita da una richiesta di censura in occasione di una mostra in Cina – è ambigua: è al tempo stesso una forma di punizione e di protezione. Protezione dello spettatore dal trauma, ma anche del soggetto dal giudizio. Così, No interrompe il circuito del riconoscimento visivo , negando al volto la possibilità di diventare icona. L’occultamento diviene il fulcro dell’opera: il sacchetto non è solo un atto di censura, ma un dispositivo che sposta il focus su ciò che non si mostra, che diventa più inquietante di ciò che si vede.

ONE (2025)

L’ultimo lavoro in mostra è One, un’installazione ideata da Maurizio Cattelan per la Rotonda dei Mille, uno dei luoghi più noti di Bergamo Bassa. Sulle spalle di Garibaldi Cattelan posiziona un bambino che, con le dita della mano destra, mima una pistola: un gesto ambiguo che oscilla tra il gioco infantile e un accenno di affermazione, resistenza o potenziale ribellione, ma che può anche essere letto anche come un tentativo di interrogare le responsabilità delle nuove generazioni di fronte alla memoria e alle contraddizioni della storia. In equilibrio tra leggerezza e tensione, One apre a una doppia prospettiva: pubblica e personale. Da un lato, è un intervento che stimola un confronto con il passato nazionale; dall’altro, racconta la relazione tra generazioni. Chi è questo “Uno” evocato dal titolo? Un nipote che gioca sulle spalle del nonno? Un piccolo vandalo? Un ribelle? Ci si riferisce all’individualità del singolo o a una forza collettiva unitaria, come i Mille guidati da Garibaldi? È dunque un nuovo simbolo di unità? O una nuova generazione che si fa gioco di vecchi valori? In questo contesto, Cattelan sembra suggerire quanto sia importante non dimenticare la storia, ma ancora di più saperla rileggere e interpretare. numento e contro-monumento, gesto di continuità e atto di scarto.

NOVEMBER (2023)

Nella Sala delle Capriate del Palazzo della Ragione, dal 2018 sede estiva della GAMeC nel cuore di Bergamo Alta, è allestita l’opera November: una scultura che stimola una riflessione sul nostro rapporto con la marginalità, la giustizia, la decadenza, ma anche sul senso di libertà che, talvolta, i più deboli e vulnerabili possono incarnare.

Realizzata nel 2023 in marmo statuario Michelangelo, la scultura raffigura un senzatetto sdraiato su una panchina, con i pantaloni slacciati, in un momento di estrema vulnerabilità. L’uomo si sta urinando addosso, come testimonia la presenza di acqua sul pavimento, un dettaglio che non solo amplifica la dimensione di realismo della scultura, ma accentua anche la sensazione di disagio, di distanza dalle norme socialmente condivise, di estraneità.

L’urina diventa allora la traccia di un’esistenza, di un corpo che continua a vivere seppure, almeno apparentemente, nella sua dimensione più fisica, insinuando l’idea che il gesto compiuto dall’uomo possa potenzialmente costituire un atto di affermazione di sé. Il volto dell’homeless è quello di Lucio, amico e storico collaboratore di Maurizio Cattelan; un omaggio che introduce nell’opera una dimensione intima, mettendo in luce il legame tra l’artista e il suo soggetto, ma anche il tema universale della marginalità sociale.

La scelta di collocare l’opera all’interno del Palazzo della Ragione di Bergamo è significativa: la grande Sala delle Capriate, che in passato ospitava le assemblee cittadine medievali per poi divenire in seguito un tribunale sotto la Repubblica di Venezia, porta con sé il peso della giustizia, ma anche della sua assenza, della discriminazione e dell’ingiustizia. Il cortocircuito che inevitabilmente si crea interroga il nostro rapporto con le strutture di potere, le leggi e i valori che determinano chi ha diritto di stare nella società e chi viene relegato ai margini perché ritenuto “non conforme”.

FESTIVAL DELLA FOTOGRAFIA ETICA

ANNUNCIATI I VINCITORI DEL WORLD PRESS PHOTO

2025: AL FESTIVAL DELLA FOTOGRAFIA ETICA DI LODI L’UNICA TAPPA LOMBARDA DELLA MOSTRA ITINERANTE

Anche quest’anno è arrivato il momento tanto atteso dell’annuncio dei vincitori del World Press Photo. Indetto dalla World Press Photo Foundation, il concorso internazionale di fotogiornalismo e fotografia documentaria più conosciuto al mondo, quest’anno celebra il suo 70° anniversario. Lodi sarà l’unica città lombarda ad ospitare una tappa del suo tour itinerante che porterà la mostra in oltre 60 location nel mondo. Quasi 150 immagini che arrivano dai 5 continenti per raccontare storie incredibili.

Tutto è iniziato nel 1955, quando un gruppo di fotografi olandesi organizzò la prima edizione. Da allora, l'iniziativa ha acquistato slancio fino a diventare il concorso fotografico più prestigioso al mondo e la mostra di fotogiornalismo più visitata. I lavori premiati sono stati scelti tra le 59.320 immagini inviate da 3.778 fotografi provenienti da 141 paesi del mondo: si tratta di progetti realizzati in maniera indipendente o per conto delle maggiori testate internazionali, come The New York Times, Associated Press, TIME, Agence France Presse e NPR.

La mostra del World Press Photo sarà presente nel ricco programma ufficiale del Festival della Fotografia Etica di Lodi, alla sua sedicesima edizione, che si svolgerà dal 27 settembre al 26 ottobre 2025. Evento di carattere internazionale con la presenza di oltre 80 fotografi, tra cui i vincitori del World Press Photo, la manifestazione tornerà a raccontare il nostro mondo in continuo e veloce cambiamento, di cui la fotografia congela il momento per aiutarci a comprenderne le cause e gli effetti delle sfide globali contemporanee. Anche quest’anno il concorso è sostenuto da FUJIFILM Corporation, partner strategico del World Press Photo.

Il Festival della Fotografia Etica

Nato nel 2010 il Festival ha l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico su temi sociali di grande rilevanza attraverso la fotografia. Promuove il potere delle immagini nel denunciare ingiustizie e rafforza il dialogo tra etica, comunicazione e fotografia. Un ricco programma di oltre 20 mostre di fotoreporter internazionali, si accompagna a incontri, visite guidate, talk d’autore, presentazioni di libri, letture portfolio e progetti educational. Il Festival organizza inoltre il World Report Award, un concorso che sostiene fotografi impegnati nel reportage sociale. Oltre all’evento annuale, l’organizzazione amplifica le storie raccontate dai fotografi attraverso il Travelling Festival, mostre ideate e prodotte e Lodi che viaggiano per l’Italia.

Bente Stachowske per Nyodeema Foundation
Karol Grygoruk per Minority Rights
Bente Stachowske per Nyodeema Foundation

Organizzazione indipendente senza scopo di lucro la Fondazione del World Press Photo rafforza il potere del fotogiornalismo e della fotografia documentaria attraverso la comprensione e l’approfondimento della tematiche globali più urgenti.Ogni anno la mostra itinerante dei vincitori del concorso raggiunge milioni di persone in tutto il mondo, con l’obiettivo di coinvolgere un pubblico sempre più ampio.

Lodi, sedi varie 27 settembre 26 ottobre 2025

www.festivaldellafotografiaetica.it

Foundation Gianmarco Sicuro per EMERGENCY
Gianmarco Sicuro per EMERGENCY
Lorendo Foddai per ASD Roma Blind Football
Lorendo Foddai per ASD Roma Blind Football

Raccontare la Mille Miglia da un altro punto di vista: un omaggio ai meccanici, il cui lavoro silenzioso è da sempre fondamentale per la riuscita della gara. È questo l’obiettivo della nuova mostra della fotografa di fama internazionale Elizabeth Ann Kahane. “Heart Of The Race. Master Mechanics of the Mille Miglia” è baperta al pubblico da giovedì 29 maggio fino al 31 ottobre negli spazi della stessa istituzione museale di viale della Bornata.

All’inaugurazione della mostra sono intervenuti, oltre a Kahane, la sindaca Laura Castelletti e il noto giornalista e personaggio televisivo americano Donald Osborne. Per l’artista sarà la seconda esposizione sulla celebre gara: la prima fu nel 2022 con la mostra “Front Row Seat”. Lungo i cinque giorni della Mille Miglia 2024, Kahane, insieme al suo team (composto da un lighting designer, un assistente fotografo, un autista e una giornalista), ha seguito la carovana lungo la penisola, creando uno “studio fotografico” all’aperto, documentando riparazioni su strada e catturando lo spirito dei meccanici nei momenti cruciali. L’artista ha confessato di essere molto felice. “La passione è l’unica forza trainante per diventare un meccanico di successo alla Mille Miglia. - ha dichiarato in sede di inaugurazione - Quasi tutti si sono appassionati alla riparazione delle auto durante l’infanzia. Spesso è stato un parente a ispirarli”. E ancora “Per i meccanici della zona di Brescia il legame con la Mille Miglia è profondo, essendo cresciuti con la gara, che fa parte del loro patrimonio e del loro Dna culturale. Ciò è riconosciuto da molti piloti internazionali decidendo di tenere le loro auto d’epoca presso le officine meccaniche bresciane per averne cura tutto l’anno e prepararle per la gara. I meccanici sono la linfa vitale di questa corsa”. Kahane ha chiesto alla comunità bresciana di unirsi a lei per accendere finalmente i riflettori sui Meccanici della Mille Miglia, che sono il vero “cuore della gara” (heart of the race).

Donald Osborne ha commentato: “Il rally storico che oggi onora la memoria della ‘Mille Miglia di velocità’ del passato è ancora un’esperienza epica, che richiede il massimo in termini di preparazione, attenzione e resistenza. La preparazione è davvero la chiave. Avendo partecipato alla Mille Miglia quattro volte, so cosa serve per arrivare fino in fondo. Elizabeth Kahane non solo condivide questa consapevolezza, ma riesce, grazie al suo talento creativo intuitivo ed espressivo, a catturare l’essenza di questo evento unico. Il focus è su coloro che condividono l’immediatezza del rivivere la storia e seguire le orme dei veri eroi. Il progetto di Elizabeth valorizza in modo brillante alle persone ‘dietro le quinte”.

EREMO DI SANTA CATERINA DEL SASSO

COLLEGAMENTO DIRETTO VIA LAGO

ALL’EREMO DI SANTA CATERINA DEL SASSO

Da mese di giugno è attivo il nuovo collegamento diretto fra Laveno Mombello e Santa Caterina del Sasso - una delle più importanti realtà storico-culturali e il monumento più visitato sulla sponda lombarda del lago - per accompagnare i turisti che da tutta Italia e, sempre più, dall’Europa e dagli Stati Uniti scelgono il territorio di Varese e le coste del Lago Maggiore come loro destinazione.

Un’opportunità in più per un territorio che si caratterizza per una proposta di esperienze di turismo culturale, sportivo e attento alla sostenibilità dei luoghi. La sponda lombarda del Lago Maggiore, infatti, sta vivendo una vivace fase di sviluppo territoriale, legata in modo particolare al cosiddetto “turismo lento” e “turismo esperienziale” che incoraggiano a vivere il territorio in maniera approfondita e che offrono esperienze di connessione con la cultura, la storia e la natura locale.

Sono state circa 2,9 milioni le presenze dei turisti nella provincia di Varese nel 2024 con un aumento del 16% rispetto al 2023; sono inoltre aumentate le presenze dall’estero: 1,9 milioni con un +20% sul 2023 con turisti in arrivo principalmente da Germania (20%), Stati Uniti (10%) e Francia (8%).

Il nuovo servizio prevede la possibilità di raggiungere Santa Caterina in circa 20 minuti di navigazione da Laveno Mombello rispetto all’attuale collegamento che individua lo scalo di Stresa, sulla sponda piemontese, come unico hub di partenza verso Santa Caterina.

COMUNICATO

Collegamento diretto all’Eremo di Santa

inizia la stagione territorio di Varese

Fondazione Varese

COMUNICATO STAMPA

diretto via lago Santa Caterina del

stagione estiva del Varese

Varese Welcome e

Fino al 14 settembre saranno disponibili tre collegamenti diretti pomeridiani per raggiungere l’Eremo di Santa Caterina. Dopo questa prima stagione sperimentale, la Fondazione Varese Welcome e la Gestione Governativa Navigazione Laghi avvieranno una fase di valutazione per considerare la possibilità di inserire stabilmente il collegamento a livello strutturale nel programma di esercizio della Navigazione Lago Maggiore.

In questo contesto, Laveno Mombello rappresenta un importante elemento di raccordo per raggiungere l’Eremo di Santa Caterina del Sasso in modo agevole grazie all’integrazione treno-traghetto. Sarà, infatti, introdotto a breve - grazie alla definizione di un accordo fra la Gestione Governativa e Trenord - il biglietto integrato che consentirà di raggiungere Laveno Mombello da qualsiasi città della Lombardia e, via battello, Santa Caterina del Sasso. Sarà quindi possibile arrivare all’Eremo, in modo veloce, solo con i mezzi pubblici, per esempio dal centro di Milano.

Inoltre, per la Stagione Estiva 2025 verranno proposte una serie di esperienze da vivere sul Lago Maggiore proprio a partire dal collegamento diretto Laveno Mombello – Santa Caterina del Sasso valorizzando il patrimonio enogastronomico, culturale e paesaggistico del territorio.

DOVE UNDERARMS EXPERIENCE

Dove Underarms Experience, la prima mostra evento immersiva interamente dedicata alla celebrazione delle ascelle. Presentata a Milano presso Spazio Tenoha, Via Vigevano 18, dal 16 al 17 maggio, Underarms Experience proponeva un percorso esperienziale concentrato per la prima volta sulle storie che le ascelle hanno da raccontare, rivelando come questa parte del corpo, apparentemente uguale in tutti, nasconda in realtà unicità, esperienze e necessità differenti.

L'obiettivo duplice: sensibilizzare sulle diverse problematiche che possono interessare questa zona del corpo e presentare le soluzioni innovative di Dove Advanced Care in una chiave artistica del tutto inaspettata. Una volta entrati, i visitatori avevano modo di approfondire questa tecnologia in modo sorprendente, tra giochi di luci e installazioni luminose. Il viaggio esperienziale prevedeva un’area educational, dove era possibile conoscere le diverse esigenze della pelle delle ascelle, osservarla da vicino ed esplorarla attraverso le sue stratificazioni e complessità.

Le ascelle raggiungono la loro massima espressione nella sala espositiva, che mette in mostra 15 scatti autentici di donne reali e delle loro ascelle, realizzati da tre talentuose fotografe di Istituto Italiano di Fotografia. Ciascuna le interpreta con un linguaggio visivo differente, dando vita a una narrazione tutta al femminile fatta di stili e prospettive diverse e arricchenti. Le immagini sono riprodotte in formato extra-large, creando un impatto visivo sorprendente che trasforma le ascelle nelle vere protagoniste dello spazio, restituendo valore alla loro unicità.

GIUSEPPE GRADELLA LA DISTANZA NECESSARIA

A cura di Walter Borghisani

Mangano Galleria D’Arte Via Grado, 6 - Cremona Dal 28 Giugno al 26 Settembre

Mangano Galleria d'Arte è lieta di presentare "La distanza necessaria", mostra personale di Giuseppe Gradella, un’indagine sulla relazione tra soggetto e fotografo. “La distanza necessaria” esplora il concetto di distanza in fotografia, intesa non solo come elemento tecnico, ma come strumento espressivo, etico ed emotivo. Attraverso le opere di Giuseppe Gradella, fotografo italiano dallo stile onirico e pittorico, l’esposizione propone una riflessione sulla relazione tra fotografo e soggetto, tra intimità e distacco, tra osservatore e immagine.

Gradella, noto per i suoi ritratti sospesi nel tempo e le atmosfere eteree, utilizza spesso superfici riflettenti, filtri e distorsioni visive per introdurre un “diaframma” simbolico tra sé e il soggetto, instaurando un dialogo silenzioso e introspettivo. Le sue composizioni equilibrate, la palette cromatica desaturata e l’uso sapiente della luce evocano suggestioni pittoriche, rimandando a maestri rinascimentali e fiamminghi. La mostra si sviluppa tra fotografia di architettura e ritratto, indagando il modo in cui la distanza - reale o metaforica - possa veicolare significati, stati d’animo e percezioni dello spazio.

Anche l’allestimento gioca un ruolo attivo, mantenendo una “sufficiente lontananza” tra le opere per stimolare nello spettatore un’esperienza di visione più intima e riflessiva, in sintonia con l’universo visivo di Gradella. La mostra resterà aperta con i seguenti orari: lunedì - venerdì, ore 16:30-18:30. Tutte le mattine, sabato e domenica su appuntamento. Tel. 0372 413333 - info@manganoarte.it - www.mangano.art

Osserviamo a lungo le fotografie di Pepi Merisio: prima l’una, poi l’altra; alla fine tutte insieme. Chiudiamo il volume e ci appoggiamo allo schienale: vogliamo riflettere. Ci deve essere, per le immagini viste, un elemento legante che vada oltre le definizioni che abbiamo già letto o sentito. Il fatto che Merisio abbia raccontato la civiltà contadina e montanara rappresenta un dato scontato: è così. Che poi i soggetti trattati siano individui senza nome e senza storia è un fatto ancor più conclamato. I meriti del fotografo, però, vanno oltre, e di molto. Forse partono da una consapevolezza antica, respirata nelle terre conosciute sin dall’infanzia, ma no: non basta. Probabilmente deve essere chiamata in causa la concretezza “bergamasca”, quella dove il tempo misura il valore delle azioni. E poi, c’è dell'altro? Evidentemente, pensiamo, una cultura religiosa profonda, dove l’uomo si confronta continuamente con se stesso e le proprie opere, con onestà. Ecco, sì: ci siamo. Riapriamo il volume. Ci accorgiamo che i soggetti, i paesaggi, gli oggetti, sono tutti più vicini. Merisio ha concesso a noi la sua conoscenza, i sentimenti che lo animavano. Ogni immagine racchiude un racconto, esprimendo anche un sentimento, un’emozione, una forte suggestione. Ci sono così passati davanti gioia, dolore, fatica, sacrificio, persino amore, senza che il fotografo abbia edulcorato nulla. Non è un girone dantesco, quello che vediamo, e nemmeno il luogo della bellezza nostalgica di quanto è stato. Le persone che incontriamo sono senza nome e senza storia, ma ne stanno costruendo l’elemento portante, che poi è la vita. Merisio tratta tutti con rispetto. Lo fa nelle sue valli e pure nel corso dei viaggi intrapresi un po’ dovunque in Italia. Cerca, e trova, i medesimi racconti; perché i senza nome sono tali in ogni luogo. Meglio salvarne la dignità, quindi, rendendola palese a chi guarderà. a parlare a utti dando loro del “lei”, pacatamente. È un fatto di educazione, lldella fotografia gentile.

Giovanni Gazzaneo che così scrive: “Il suo è un canto all’umanità fatto di immagini che colgono l’amore, il lavoro, l’amicizia, il gioco, l’attesa, la gioia, la preghiera. Un canto di terra e cielo, vita e morte. Ecco il segreto di Merisio: la capacità di raccogliere gli estremi (e quindi il tutto) in uno sguardo”.

Quando hai iniziato a fotografare e perché?

“A quindici anni circa, con la macchina di mio padre. Il mio è stato un inizio da autodidatta, che col tempo mi ha fatto entrare nel mondo amatoriale. Ricordo quando mi recavo ad Albissola. Nella vicina Savona vi era un negozio che vendeva fotocamere, di fronte alle vetrine rimanevo estasiato”.

Quando arrivi al professionismo?

“Nel 1962. L’anno dopo sarei entrato nello staff di Epoca, forse la rivista d’immagini italiana per eccellenza”.

La tua è stata passione per la fotografia?

“Sì. Essendo free lance, però, dovevo correre, stando attento alle opportunità”.

La passione è stata importante?

“Io sono vissuto di passioni e la fortuna mi ha aiutato. Amavo i lunghi viaggi e col Papa ne ho vissuto uno lunghissimo. Occorre però fare una considerazione: come tutti i lombardi, ero “tarantolato” dal lavoro. Le maggiori soddisfazioni le trovavo nell’impegno quotidiano”.

Fotograficamente, come ti definiresti?

“Un documentarista umano. Sento un legame forte con quanto ho di fronte. La fotografia non è arte, o almeno non solo. Serve per documentare, raccontando peraltro”.

Qual è la qualità più importante per un fotografo documentarista quale sei?

“Prevedere ciò che accadrà.È così per tutti i ritratti ambientati. Occorre capire la logica del momento: bisogna intuire. La delusione più grande nasce quando credi di aver previsto tutto, ma in realtà non accade nulla. La tua idea si dissolve. Questo vale per la gente che vuoi ritrarre, ma pure per la luce. Ricordo un tramonto che cercai il giorno dopo: non c’era più. Ci sono dei momenti che accadono una sola volta, e basta”.

Bianco e nero o colore?

“La risposta è ovvia: bianco & nero. Non voglio parlare male del colore, però. Anche lì mi sono trovato bene, specialmente di fronte a quei soggetti per i quali il cromatismo era essenziale”.

C’è tra le tue una fotografia che ami particolarmente? La preferita?

“Ce ne sono alcune, forse tre o quattro: la donna col fieno in testa (Cogne, 1960); la luce della Stazione Centrale, che mi racconta molto; Il ponte di barche sul Po (a Spessa, Pavia, 1972), le chiatte sul Naviglio, a Milano; gli operai sulle ancore nel porto di Genova (oggi andrebbero tutti in galera)”.

Hai osservato dei fotografi che ti abbiano ispirato?

“Per primo metterei Henri Cartier Bresson. Lui mi ha fatto capire come la vita, e quindi l’uomo, sia quanto di più importante da fotografare. Non potevo continuare a ritrarre soggetti inanimati, come in realtà facevo agli inizi. Mi piace ricordare un altro “grande” autore: Pietro Donzelli, profondo conoscitore della fotografia italiana, nonché curatore e organizzatore di mostre.

PEPI MERISIO

LA FOTOGRAFIA GENTILE

Oggi non vediamo quasi nulla di suo. De Biasi era un collega, ma molto bravo come fotografo, universale direi. La sua dipartita è stata una perdita. Alla fine, ma non per ultimo, voglio citare Gianni Berengo Gardin. Abbiamo prodotto dei libri insieme. Il direttore del Touring diceva di lui: “Berengo non è un fotografo, ma un bene culturale”.

Dopo tanti anni di carriera, c’è un progetto rimasto indietro e che vorresti portare a termine?

“Ho il rammarico per tante idee che avrei voluto finalizzare, ma che oggi sono irrealizzabili. Mi sarebbe piaciuto lavorare di più sul Veneto e anche sulle Dolomiti, ma gli ambienti che desideravo raccontare non esistono più, si sono persi dopo gli anni ’60”.

Perché ci piacciono tanto gli anni ’60?

“C’era tutto, pur nella modestia: l’orologiaio, lo stagnaio e via dicendo. Si percepiva un senso completo della vita, a Milano e pure nei paesi, in provincia. Oggi siamo americani, però superficiali. In certe parti degli USA vivono più tranquillamente di noi”.

Stampavi le tue fotografie?

“Certo, allora essere un fotografo voleva dire stampare: faceva parte della sua vita. Arrivavi a casa col rullino, sviluppavi e ingrandivi. Quello era il mestiere, non sempre considerato al meglio”.

In che senso?

“A Caravaggio c’è un Santuario, frequentato dai pellegrini. Tanti fotografi si radunavano lì per ritrarli. Ce ne era uno con la gobba. Quando dissi a mio padre che intendevo lavorare da fotografo, lui mi disse: “Te feret mia el gubin?”. Questa era la sua considerazione per il mestiere. Il Papa, Paolo VI, forse la pensava diversamente. Il suo segretario mi esortava spesso perché mi facessi da parte: “Si nasconda, vada a meditare”. Sua Santità invece diceva: “Merisio, venga fuori”, e si metteva a chiacchierare con me”.

Potessi scegliere, che fotografia scatteresti domani?

“Tante, anche in posti dove sono già stato, come quelli del Po. Il paesaggio del grande fiume mi è rimasto dentro, perché aspro e duro alla vita”.

Il Po pare essere un soggetto difficile … “Vero, perché il suo paesaggio è interno. Quando ne esci, tutto cambia: sei di fronte alla pianura. Non puoi guardare il Po come osservi l’Adda. Anche il barcaiolo vive al di fuori del fiume. Per navigare, deve scendere l’argine; e lì rimane solo un orizzonte d’acqua”.

Col tuo lavoro ti sei concentrato sulla civiltà contadina e montanara, quella fatta di gente senza nome. Credi di aver tralasciato altri generi?

“Fotografare, a livello professionale, è anche una questione di conoscenze, di contatti, di editori. Non escludo né demonizzo altri generi. Nel mio mondo, la clientela voleva ciò che ho portato alla luce”.

Nessun rimpianto, quindi …

“No, anzi. Il mio racconto si è sviluppato tra i soggetti che preferivo: situazioni che non esistono più, se non nelle immagini che ho prodotto”.

Potessi farti un augurio da solo, cosa ti diresti?

“Vorrei scattare una fotografia fresca, dove all’interno possa esservi tutto”.

SPAZIO BART

Sabato 17 maggio, allo Spazio Bart di Dalmine, presso Az  Chimica, si è tenuta la mostra Pop-up dell’artista Andrea Fumagalli (Andy dei Bluvertigo), curata da Marco Fioretti e orchestrata da Andrea Bracchi e Luca Austoni che hanno saputo valorizzare la contaminazione tra arte, musica e sperimentazione visiva.

L’esposizione, caratterizzata da opere dai colori fluo e accesi, ha attirato un vastissimo pubblico. Le tele, illuminate da luci UV, hanno creato un effetto visivo spettacolare dando vita ad un’atmosfera davvero surreale e affascinante. Andy ha interagito con affabilità con i presenti, condividendo il suo universo creativo tra arte, musica e design. (Valentina Visciglio)

È stato inaugurato all’inizio del mese scorso il nuovo parco apistico “Città, Api, Piante e Persone”, un progetto innovativo e sostenibile che segna un nuovo settore nella Valle della Biodiversità dell’Orto Botanico di Astino. La Valle della Biodiversità, che nasce dall’accordo di programma tra Comune di Bergamo, Fondazione Mia, Parco dei Colli, Regione Lombardia, compie quindi un nuovo passo in avanti.

Il progetto del Parco apistico “Città, Api, Piante e Persone” elaborato dal Comune di Bergamo, cofinanziato dalla Fondazione Banco del Monte di Lombardia con un contributo di 100.000 euro e sostenuto da Rotary Club Bergamo Terra di San Marco, ha permesso di trasformare uno spazio terrazzato – un tempo coltivato a vigneto e da tempo in stato di abbandono – in un luogo dedicato alla conoscenza della flora e alla tutela degli insetti impollinatori, oltre al rapporto tra uomo e api. Il parco si estende su una superficie di quasi 1.000 metri quadrati, resa nuovamente fruibile grazie a interventi di recupero e valorizzazione del paesaggio interpretato dall'architetto paesaggista Filippo Piva. Il nuovo parco apistico propone un vero e proprio percorso didattico: antichi terrazzamenti sono stati rimodellati e arricchiti con piante da siepe e piante erbacee attrattive per api e altri impollinatori, su cui l'Orto Botanico invita a soffermarsi.

All’interno di parcelle gradonate, delimitate da pali di castagno, sono state trapiantate una novantina di nuove specie mellifere di prateria, di margine boschivo, di macchia, arbusti ed erbacee perenni gradite agli impollinatori perché fonti di nettare e di polline. Accanto a queste zone, sono state inserite parcelle dedicate a specie di coltivo particolarmente attrattive per le api, come la facelia, il grano saraceno, la camomilla, la senape. Non mancano specie mediterranee ed ornamentali che possono ispirare i visitatori affinché anche i giardini privati o i terrazzi diventino fonte di cibo per gli impollinatori.

"L'impollinazione è un fenomeno di grande rilievo, mette in relazione piante e animali, garantisce il funzionamento degli ecosistemi, la sopravvivenza delle specie e la qualità delle infrastrutture verdi, anche in città. Questo è uno dei messaggi del parco apistico che non a caso è intitolato 'Città, api, piante e persone': più specie di fiori e di insetti ci sono, meglio è per tutti – ha affermato il direttore dell'Orto Botanico Gabriele Rinaldi. Il nuovo settore nella Valle della Biodiversità ha proprio lo scopo di invitare il cittadino ad allenare lo sguardo verso queste presenze e ai fenomeni che le rendono possibili: le parole chiave sono coevoluzione, comunicazione animale, infrastrutture verdi biodiverse, prati a sfalcio ridotto, città sempre più verdi e fiorite".

Il percorso di visita è stato integrato nel contesto paesaggistico esistente, con interventi che rispettano la tradizione costruttiva locale, con materiali naturali e un progressivo inerbimento naturale.

Il percorso didattico è arricchito da 7 pannelli bifacciali realizzati da studenti dell'Accademia di Brera di Milano sotto la guida della professoressa Paola Manusardi, a partire dai testi del direttore dell'Orto Botanico. Un viaggio nella storia dell’apicoltura è suggerito dall’esposizione di 6 arnie storiche e moderne, da quelle cosiddette irrazionali come il tronco cavo o la cesta, fino alle più recenti e razionali come la Dadant, la Top Bar o la Az slovena, inserite in un contesto evolutivo e temporale che racconta la lunga relazione tra uomo e ape.

Nel Parco c’è anche un beehotel realizzato da volontari dell'Orto Botanico, dedicato alla nidificazione degli insetti, realizzato anche con materiali di recupero provenienti dal parco stesso. In un altro settore della Valle della Biodiversità da anni a scopo didattico sono presenti tre arnie con famiglie di api, a dimostrazione che con il rispetto dovuto e un po' di attenzione, la coesistenza pacifica tra i circa 20.000 visitatori annui e almeno il doppio del numero di api è possibile.

Nelle prossime settimane verranno programmate visite agli alveari anche per famiglie con bambini, che verranno dotati di apposite tutine, laboratori per la costruzione di beehotel, lezioni sul rapporto flora e impollinatori e su come realizzare aiuole amiche degli impollinatori.

Per informazioni: www.ortobotanicodibergamo.it

IL PARCO DELLE API

INAUGURATO IL NUOVO

PARCO APISTICO

NELLA VALLE DELLA

Proseguelacollaborazione conLucaRuggeri,daun latoilsuopercorsoconla malattia,difronteisuoi ricordiealcune riflessionisullavita.

SECOND LIFE AGAIN

Sono Luca Ruggeri malato di SLA dal 2015.Non posso mangiare, non posso bere, non posso parlare, non faccio più nessun movimento volontario e muovo solo gli occhi che mi consentono di comunicare con un tablet oculare.

IL TEMPO PASSA, LA SLA NO

A distanza di quattro anni sto ancora facendo infusioni e, nonostante la mia tenacia, la SLA è progredita. Si è presa quasi tutto, mi è rimasto un filo di voce, ma so che tra non molto perderò anche quella. Il mio vivere resterà appeso a qualche battito di palpebra davanti a un tablet. Non capirò mai quanto e se mi avesse davvero aiutato il farmaco giapponese, ma nel frattempo è stato approvato in tutto il mondo - anche in Italia, ma io per l’ennesima volta non ho diritto a riceverlo perché viene dato solo agli ammalati con diagnosi non superiore ai due anni.

Neanche la somministrazione sono riuscito a regolarizzare, praticamente dopo quattro anni sono ancora un fuorilegge. Quando la vita ti gira le spalle, sembra diventare una penitenza, una condanna da scontare, pare di essere completamente avvolti nel buio; ti aggrappi a tutto, a un affetto, a una amicizia, alla fiducia nel tuo medico e alle parole incoraggianti del tuo psicologo. Pensi a un miracolo e ti sforzi di credere che esista un dio che ti possa aiutare, all’illusione di fermare la malattia andando in capo al mondo a provare una cura che non dà garanzie; partecipi a tutte le sperimentazioni possibili, tutto pur di alimentare la speranza e rivedere un po’ di luce.

Sono sempre stato un realista, molto pragmatico, ma durante questi anni di guerra alla mia SLA sono cambiato, mi consegno ai sogni, alle illusioni, mi lascio andare alla morbidezza dei sentimenti, mi faccio coccolare dagli affetti non per sfuggire alla realtà, ma per viverla in un modo diverso, piacevole, anche perché sono emozioni e momenti che non ho ricevuto nella mia prima vita, quella in cui credevo di avere tutto. In questi anni di malattia non ho rimpianti, rifarei tutto quello che ho fatto, anche il viaggio della speranza in Giappone e sarei pronto a ripartire se ci fosse l’occasione di prolungare la vita. Io sono stato fortunato nel mio viaggio ho trovato persone serie e probabilmente una cura magari non molto efficace ma non dannosa, ma molti ammalati che hanno avuto diagnosi infauste come la mia, tentano di capovolgere il destino con questi viaggi della speranza andando incontro a imbroglioni e carogne che si arricchiscono approfittando della nostra disperazione e per molti questo viaggio si trasforma nell’ultimo. La mia strada non è finita ho un meraviglioso appuntamento con la vita, tra qualche mese dovrò accompagnare mia figlia all’altare, la SLA aspetterà.

“Ho scritto questo libro non per i malati, come me loro sanno già tutto, ma per voi... A coloro che camminano senza sforzo, parlano senza difficoltà, mangiano senza fatica e respirano senza pensieri. Possa questo libro aprire gli occhi sulla fortuna di una vita che diamo per scontata, risvegliando la gratitudine per ogni singolo passo, ogni parola, ogni boccone, ogni respiro.

Postfazione "Cosa è la SLA" a cura della dottoressa psicoterapeuta Lidia Gazzi L'ebook è disponibile su: https://www.librerie.coop/libri/ 9791281546714-il-gatto-del-presidente-multimage/

Il ricavato dalle vendite del libro sono destinati all’Associazione Viva la Vita Italia

CINESI? NO GRAZIE

Fra tutte le etnie che sono arrivate in Italia la peggiore è la comunità cinese.

I cinesi avvelenano l’economia, sono silenziosi e non si sa quanti sono, i corpi dei loro defunti non si sa che fine fanno, mangiano cani e gatti. Un mio amico albanese mi raccontò che diversi anni fa una nave di profughi cinesi attraccò nel porto di Durazzo e la notte seguente sparirono dalla città tutti i cani randagi e liberi.

I cinesi acquistano le nostre attività in contanti di dubbia provenienza, creano una loro economia e non acquistano nulla dai nativi, anzi. Gli fanno concorrenza con dei prezzi bassissimi, frutto dello sfruttamento della loro stessa gente, che lavora un sacco di ore sottopagata e vive mangia e dorme nello stesso posto di lavoro di pochissimi mq.

Cosa fanno qui, solo danni al nostro commercio e così si sono comportati in tutte le nazioni dove sono immigrati creando città cinesi dentro la stessa città dove sono immigrati, cioè integrazione zero assoluto!

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