Febbraio 2009

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L’

inerzia rappresenta un fattore limitante l’innovazione. La routinizzazione, la standardizzazione delle attività e l’utilizzo di un particolare strumento –sia esso hardware o software– ossifica i comportamenti degli individui e delle organizzazioni e pertanto aumenta la resistenza al cambiamento. Si narra che agli albori dell’era dell’informatica, nei dipartimenti di amministrazione delle grandi imprese statunitensi, affinché fossero accettati, i primissimi personal computer vennero equipaggiati con delle leve che ricordavano le leve delle macchine da scrivere necessarie per andare alla riga successiva. Ovviamente, tali leve non avevano nessuna utilità funzionale, se non quella di accettazione sociale –cioè di far ricordare agli utilizzatori lo strumento utilizzato in precedenza. Ma tutto il passato –radicato, cumulato, consolidato e stratificatosi nel tempo– nuoce all’innovazione? In realtà la continuità è necessaria per qualsiasi organizzazione. Le organizzazioni utilizzano la ripetitività del funzionamento come essenziale fattore di economia di risorse nel raggiungere i propri obiettivi. Il modo di essere di una organizzazione –il modus operandi– è una risorsa preziosa per l’efficienza dell’organizzazione. Essa è una caratteristica distintiva: ciò che viene replicato volutamente – dal top management nel caso delle imprese– per crescere. Si pensi alle strategie di crescita di McDonald o delle banche: replicazione di filiali,

procedure di back office, ed in generale di un template organizzativo di successo. Un recente studio sul cambiamento organizzativo in Pilkington –effettuato dal DASTA della d’Annunzio in collaborazione con il CRORA dell’università Bocconi– ha messo in risalto che la memoria delle organizzazioni rappresenta una leva competitiva importantissima. Nello specifico, i ricercatori hanno introdotto il concetto di invarianti organizzative, ovvero elementi e tratti dell’organizzazione –es. routine, procedure, task force– che permettono la stabilità necessaria per sopravvivere e soprattutto per competere. Dallo studio emerge che in Pilkington –tra il gli anni ‘60 ed la fine degli anni ’90– tali invarianti hanno permesso all’organizzazione di mantenere quella continuità necessaria a livello operativo nonostante i cambiamenti radicali a livello di top management. Tuttavia, a questo carattere fisiologico –e necessario, come illustrato nel caso Pilkington– si aggiunge quasi sempre un carattere patologico, come dimostrano invece altri casi di imprese o altre istituzioni che si ostinano invece a perpetuare soluzioni sviluppate in passato come se fossero le uniche perseguibili per il futuro. Per identificare la linea di confine tra fisiologia e patologia del passato sono necessari individui con una prospettiva lungimirante, poiché l’eccessivo utilizzo dell’ombra del passato può essere esiziale per il futuro

Per approfondimenti Grandori A. e Prencipe A. “Organizational Invariants and Organizational Change: The Case of Pilkington plc” European Management Review, 2009, 6, 1.

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