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Alice Tamburini pag
Alice Tamburini
Intervista ad Alice Tamburini, Donna con la D maiuscola, che nelle sue opere riversa tutto l’amore per la pittura e il mondo femminile.
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lice Tamburini mi accoglie nella sua tana - come ama deA finirla lei - in via Assano a Cesena, un luogo quasi magico, culla di artisti e mercatini di antiquariato di giorno che di sera prende nuova vita sulle note dei musicisti che la popolano. Mi sorprende subito; un quartiere che, pur essendo a un passo dal centro della città, fino a quel giorno era a me sconosciuto.
Iniziamo a chiacchierare e immediatamente rimango stupita da ciò che mi rivela: “Ho 50 anni”. Io incredula. Non lo avrei mai detto ma Alice sostiene ironicamente che siano i suoi vizi e le sue virtù a tenerla in forma: “Quando cambierò stile di vita mi verrà un crepo” mi confessa ripetere agli amici.
Inizia a raccontarmi perché è diventata pittrice: “Ho deciso di diventare pittrice all'età di 5 anni. Un giorno mia madre mi portò alla mostra di un’artista cesenate, Maria Pasini Morigi e sono rimasta così affascinata dalla sua esposizione che desiderai portarle alcuni miei disegni per poterli esporre insieme ai suoi.”
Non ci credo, a soli 5 anni? E lei cosa ti rispose?
“Lei fu gentilissima, li espose e il giorno dopo mi disse che erano stati apprezzatissimi. E fu in quel momento che decisi sarei diventata una pittrice. Poi, qualche anno fa, l’ho incontrata per caso mentre tenevo una mostra a Forlì e, dopo tanto tempo che non la rivedevo, l’ho ringraziata infinitamente per quell’episodio che ha determinato la mia vita.”
Che bel momento! Ma dimmi un po’, che studi hai fatto?
“Ho frequentato l’Istituto d’Arte, l’Accademia dell’Affresco e poi l’Accademia delle Belle Arti a Bologna dove ho incontrato il mio insegnante Enrico Lombardi, il mio Maestro, una presenza costante alle mie mostre, che tutt’ora scrive per me e fa critiche molto costruttive.” Poi inizia a raccontarmi la sua avventura: “Ho avuto il mio primo studio a 17 anni, vicino al teatro Petrella, durante i suoi anni d’oro. Avere la possibilità di un luogo tutto per me è stato fondamentale perché un artista non può non avere un luogo, una tana tutta sua, dove essere sé stesso in tutte le proprie sfaccettature. Poi mi sono trasferita nel vecchio essiccatoio di Gambettola - continua - e lì, Francesco Bocchini, mi ha lasciato il suo studio. Un luogo enorme, bellissimo.”
Ma arriviamo a oggi, come sei giunta qua?
“Ora sono qua da quasi 6 anni. Mi ha contattata un mio amico; Marcantonio (eccolo, di nuovo lui: è stato nostro ospite nella prima uscita di AV) e questo luogo mi è comodissimo poiché è vicino a casa e ciò mi consente di venirci in qualsiasi ora del giorno e della notte. La pittura per me è sempre stata un’esigenza, una sopravvivenza alla vita e alle cose. Per tanti anni ho dipinto più per me stessa che per altro. Credo che le cose mi siano sempre un po’ capitate - mi dice facendo riferimento ai vari premi che ha ricevuto, come per esempio quello della Biennale di Arte Roma-

gnola - perché io dipingevo come valvola di sfogo, semplicemente per esprimere chi ero.”
Alice continua dicendomi che i suoi sono quadri “urlati” e le
chiedo il perché. “A me piace dipingere cercando di cogliere l’attimo, quello indicibile, quello buio di ciascuno di noi. Mescolo tantissimi colori, anche quelli incompatibili tra loro che, magari, creano un errore. Ed è proprio nell’errore che ritrovo l’elemento fondamentale. Non utilizzo disegni preparatori ma intervengo direttamente su tela, legno e carta con la tecnica della sottrazione.” Mi spiega meglio questa tecnica. “Metto dei colori modellandoli con degli stracci, creando forme senza pennelli. Smalti, olii, acrilici; c’è un po’ di tutto, uso materiali e metodi differenti.”
Sorride e inizia ad aprirsi raccontandomi più a fondo le sue
opere: “Le mie opere rappresentano un po’ il diario della mia vita. Non uso persone, non faccio ritratti. Parto sempre da un paio di occhi asimmetrici che, come puoi notare, uno ti guarda e l’altro, invece, punta altrove.” Ora mi racconta una cosa a dir poco originale: “L’anno scorso ho realizzato una composizione di 36 quadri, venne esposta con me sdraiata sotto e i bambini con i genitori che si divertivano a girare i vari quadretti. Voci di mamme intorno dicevano “non toccare!” e invece la mia curatrice li esortava: “toccate, fate pure!”. Questo è stato l’inizio di un approccio diverso anche con chi guarda, creando uno scambio empatico con i miei spettatori.”
Ma tu, oltre alla pittura, ti sei dedicata anche ad altri lavori?
“Inizialmente mi dedicai solo alla pittura poi, però, non mi è stato più possibile perché fare solo questo è emotivamente troppo. Quando dipingo perdo la dimensione del tempo e mi ritrovo sempre e solo a fare i conti con me stessa, come in un viaggio introspettivo. E invece ho anche bisogno del sociale. Per questo ho un locale a Cesenatico che si chiama l’Approdo. Lavorare con la gente mi piace perché mi fa svagare e, in un qualche modo, mi riempie. Ascolto, conosco storie e mi arricchisco. Altrimenti, dopo un po’, stando soli, si rischia di diventare aridi.”
Hai una famiglia, dei figli?
“Ho 3 figli e, a volte, facciamo anche dei progetti insieme. Pensa che tre anni fa con la mia secondogenita, Anita, abbiamo collaborato in una performance nelle piazze. Siamo partite da Lucca, città che adoro, arrivando fino a Barcellona.” Incredibile penso, anzi lo dico proprio.
Ma che cosa facevate in giro per l’Europa?
“Usavo il suo corpo come fosse una tela. La dipingevo e poi osservavo le reazioni delle persone che ci guardavano.”
Continua a raccontarmi e io concentrata, in silenzio, ad ascol-
tare. “Invece l’altra mia figlia, Rachele, la più grande, scrive. Anche con lei ci sono state delle collaborazioni: io esponevo e lei sotto a ogni mio quadro raccontava una storia, un testo scritto appositamente per quell’opera.” Quando sono ormai giunta alla conclusione le pongo un’ultima domanda, immancabile per un’artista.
Alice, qual è il tuo colore preferito?
“È quella specie di azzurro che ritrovi in tutti i miei quadri - mi risponde prontamente - un azzurro mischiato a terra di Cassel. Per me è bellissimo dipingere una donna indagando e facendo emergere la sua parte più animale, trasgressiva; il mondo sommerso di ognuno di noi.”


