Vignanello agli inizi del '900 attraverso le guide turistiche, loggetta estate 2016 32

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Vignanello

Maurizio Grattarola

dalla Tuscia

Vignanello agli inizi del ‘900 attraverso le guide turistiche idea della stesura di queste note mi è venuta dopo aver acquistato tre volumi di inizi del ‘900: - “La Guida Illustrata dei Luoghi, Monumenti, e Cose d’Arte compresi fra Roma e Viterbo, attraversati o prossimi alla Ferrovia Elettrica”, di Nicola Pierlorenzi, pubblicata nel 1913 e ormai quasi introvabile; - “Lazio” voll. I-II, nella serie “Guide Regionali Illustrate”, edite dalla Direzione Generale delle Ferrovie dello Stato col concorso del Touring Club Italiano, del maggio 1913 (il volume I è su Roma, mentre il II è sul resto del Lazio).

L’

Mi ha colpito la contemporaneità delle pubblicazioni, nonché la splendida grafica liberty che le accomuna, più elegante quella della pubblicazione delle Ferrovie dello Stato, più semplice ma non meno significativa quella della guida di Pierlorenzi. Data la diversa area esaminata, essenzialmente la Tuscia per Pierlorenzi e il Lazio per le Ferrovie dello Stato, è ovvio come la disamina dei vari paesi sia più completa ed estesa nella prima pubblicazione. Non voglio ripercorrere qui le complesse vicende della ferrovia RomaCivita Castellana-Viterbo, con cambiamenti di ragione sociale, fallimenti, ricostituzioni di società, ma documentare, attraverso le immagini e le parole contenute in questi volumi, come Vignanello cercasse di presentarsi agli occhi dell’Italia. L’arrivo a Vignanello della ferrovia ha una data ben precisa, il 15 dicembre 1912. Come si può vedere dal tracciato della linea faceva parte del tracciato ferroviario, mentre il primo tratto, quello fino a Civita Castellana, era ancora indicato come tramwia, come descritto nella guida delle Ferrovie dello Stato:

chiano, mentre a 23 chm [per la precisione 22,601, ndr] è Vignanello, sito sulle falde del Cimino con castello costruito su disegni del Vignola, superba residenza dei Rupoli edificata sull’antica rocca e cinta da una vallata con alcuni ponti levatoi.

Che l’arrivo della ferrovia fosse per il paese un evento importante, nella speranza, in un momento non particolarmente florido dal punto di vista economico (era da poco finita la guerra di Libia e l’emigrazione stava conoscendo dei notevoli picchi), di un aumento dei villeggianti, è testimoniato dal fatto che nel corso del 1912 venne ordinata la tinteggiatura esterna dei palazzi con veduta diretta sulle vie principali, furono selciati con “bastardoni” del Cimino i gradini di accesso da Valle Minore al Corso Umberto I, Piazza Ruspoli, le piazzette dell’Ospedale, di Piedilorto, e della Fontana, oltre alla via che portava alla stazione. Inoltre, si allargava il ponte verso Soriano e si sistemava la traversa provinciale interna. Le cartoline d’epoca mostrano come all’evento partecipò una vastissima parte della popolazione, con tanto di banda comunale. Ancora a distanza di qualche anno, le famiglie importanti amavano farsi ritrarre davanti alla stazione. Il tono della guida di Pierlorenzi è, come abitudine per l’epoca, un po’ enfatico, eppure colpisce per il tentativo di dare una immagine poetica dei luoghi: Passata la stazione di Corchiano si comincia a salire verso le ultime pendici del Cimino, il monte meraviglioso cicondato di colli pampinei e coronato di millenari boschi di castagno. Il treno corre tra folti vigneti sorrisi dal sole, attraverso prati declivi e pallidi uliveti, lambe larghe piantate di nocciole, e sale verso Vignanello, il paese industre e

Da Civita Castellana - in prosecuzione della tramvia che congiunge Civita con Roma - ha inizio una ferrovia a scartamento ridotto a trazione elettrica, in costruzione, che farà capo a Viterbo. Il primo tratto è aperto all’esercizio; esso si svolge a N.O. di Civita Castellana, passa per Falleri ed arriva dopo 11 chm a Fabrica di Roma, dopo 15 chm a Cor-

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Pubblicazioni turistiche dei primi del ‘900

laborioso del Cimino orientale, sul cui stemma brilla, benedetto dai seguaci del nume di Ampelo, il grappolo d’oro.


dalla Tuscia Dopo una rapida disamina del “burrascoso passato” legato alle vicende della famiglia Marescotti e ai cannoneggiamenti francesi di fine ‘700, Pierlorenzi, oltre a citare i monumenti più cospicui, ci dice che il paese ora “è assorto alla sua rigenerazione economica e allo sfruttamento intensivo delle terre de’ suoi colli, suggestivi e ridenti come i colli di Borgogna e di Provenza”. E i prodotti? Anche qui l’estensore della guida non manca di tono elegiaco: “Quanto al vino Vignanello non ha bisogno di perorazioni: esso s’impone da sé, e chi ha avuto fortuna di assaggiarlo ci torna e ci tornerà”. E poi con un tono un po’ nazionalista ma anche critico verso la gestione forse un po’ maldestra da parte dei produttori locali aggiunge: “E’ insomma un prodotto che se razionalmente trattato e raffinato potrà soppiantare su tutte le mense d’Italia, malgrado il parere difforme di Hans Barth, certi vini oltremontani che debbono parer buoni, sol perché costano cari”. Hans Barth era un giornalista tedesco famoso per il suo epicureismo, che dimorò a Roma dal 1887 al 1915, autore di un libro sulle osterie italiane, pubblicato con la prefazione di Gabriele d’Annunzio, evidentemente critico nei confronti del vino di Vignanello! E non si possono dimenticare le nocciole: Ma la produzione del paese non è limitata al Bacchico liquore. Le nocciole delle vallate Cimine sono quanto di meglio si possa desiderare per la confetteria; e possono sostenere ogni confronto per tenerezza, candore e bontà colle nocciole del Piemonte, insieme alle quali imperano ormai su tutti i mercati d’Europa.

Le immagini della pubblicità della “Casa propria di produzione ed esportazione di derrate alimentari” di Giuseppe Piccioni, fondata nel 1880, danno immediatamente la sensazioni di come si lavorasse nel paese per la selezione delle nocciole, la spedzione dei marroni, e l’imbottigliamento del vino, anche se l’immagine delle bottiglie delle Cantine Piccioni di vino di 30 anni qualche dubbio lo lasciano! Meno positivo il giudizio sul paese:

Tracciato della ferrovia elettrica Roma-Viterbo

Il Paese, posto a circa 400 metri sul mare, è quasi tutto rappresentato da una lunga strada centrale che lo attraversa per circa 1 km.; è abbastanza pulito, ha una bella illuminazione elettrica con lampade ad arco, ha diverse fontane e

La stazione al 1° ottobre 1917

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Inserti pubblicitari delle pubblicazioni turistiche citate

cospicui negozi, ha quasi tutte le strade regolarmente lastricate, ha un grazioso ospedalino, e quanto prima sarà dotato di un grandioso edificio scolastico.

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Canino Tuttavia “nella stagione estiva è meta di numerosa colonia villeggiante che nella purezza dell’aria e nella fresca ombria [scritto proprio così!, ndr] dei castagni viene a ritemprare muscoli e nervi”. Prima di dare qualche notizia sui “cospicui negozi” va ricordato, a proposito del “grandioso edificio scolastico” che proprio nel 19121913 il Comune aveva chiesto un mutuo cinquantennale (!) di 150.000 lire da dedicare alla costruzione delle nuove scuole, nella zona del Molesino. E i “cospicui negozi”? Beh, qui lasciamo parlare con pochi commenti le illustrazioni, che ci portano a conoscenza dell’esistenza dell’Albergo Ristorante “Al Grappolo d’Oro” proprio presso la stazione, della “Cantina Sociale Cooperativa e Distilleria”, con il “Greco di Vignanello” definito “vino di lusso per Signora”, della “Premiata Ditta Luigi Soprani”, che oltre a proporre un vasto assortimento di lanerie, cotonerie, ecc., si presenta anche come produttore ed esportatore di nocciole e produttore di olii finissimi. E ancora l’“Albergo Ristorante Roma” di Giacinto Ceccarelli, sorto sul luogo dove prima c’era l’antica osteria e il monte frumentario, per finire a Felice Felici, che oltre a pubblicare cartoline, forniva, tutto insieme, mercerie, droghe, chincaglie, ferramenta e cappelli! Insomma un mondo che non esiste più, ma che rivive attraverso queste parole e queste immagini, forse un po’ ingenue ma ricche di fascino. maurizio.grattarola@alice.it Per alcune informazioni, mi sono servito dell’utile volume “Vignanello dall’inizio del Novecento all’avvento del Fascismo” della professoressa Cesarina Santocchi Pacelli, pubblicato da Agnesotti a Viterbo nel 1987

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Bruno Del Papa (e Francesco Menghini)

dalla Tuscia

Come i caninesi vedono gli altri avete presente la filastrocca che dice… “Canino cane / Cellere infame / Corneto cornuto / Montalto fottuto / Tuscania dalle belle fontane / gli uomini becchi e le donne...” [omissis pro bona moralitate]? Chi non la conosce? Però ora che c’entra? Non vorrete mica rievocarci vecchi campanilismi! Altro che campanilismi: è quello che i caninesi ritengono sacrosanta verità, quasi una specie di vangelo nostrano. Del resto sono stati loro a comporla. E allora? Allora, vediamo quanta verità ci sia. Innanzi tutto, incomincia con Canino. “Canino cane”. Embèh, ci siamo; che c’è di strano? Il cane è un animale nobile e fedele, simbolo di Canino; tanto che figura nel suo stemma municipale: cane rampante con un po’ di altre cianfrusaglie intorno. E’ logico che Canino sia “cane”. Andiamo avanti. “Cellere infame”. Di questo parleremo più avanti, perché ce n’è da dire sui celleresi!... “Corneto cornuto”. Beh, lo sapete: è Tarquinia. Lì le corna sono normali come il cane a Canino: Corneto, logicamente è “cornuto”. Ma senza cattiveria, perché i caninesi hanno grande simpatia per i tarquiniesi; anche perché lì c’è il mare, ed essi lo frequentano volentieri. Quindi si tratta solo di un accostamento lessicale. “Montalto fottuto”… Prima di tutto è una parolaccia, e non si dice; ma dato che la devo dire, non facciamoci scrupoli e proseguiamo. Nell’immaginario dei caninesi, s’intende che i montaltesi siano dei grandi profittatori, che si facciano i fatti loro senza riguardi e che siano sempre pronti a fregarti. Quindi si dovrebbe dire “fottente” e non “fottuto”. Così anche i montaltesi sono sistemati. Bocciati! Invece i civitavecchiesi… Dio ce ne scampi e liberi! Sono peggio delle cavallette. A Canino si dice che essi siano come le ciliegie: se

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“Canino cane ...

ne tiri una, ne vengono su almeno dieci o quindici… intendendo dire che se inviti un civitavecchiese, quello te ne porta con sé almeno una dozzina. Eppoi sono mangioni, attaccabrighe, maneschi, millantatori, beoni e tavernieri. Meglio non avere a che fare con loro, perché hanno gli stessi difetti dei romani, senza averne i pregi. E non sono nemmeno simpatici. Bocciati? Bocciati. Veniamo ad altri: “Tuscania dalle belle fontane…”. Sì, è vero: ci sono davvero belle fontane, ma che le donne siano in quel modo… boh! Chi l’avrà notato per primo? A me non risulta, anche perché con le donne toscanellesi (si dice proprio così, perché fino ad un secolo fa Tuscania si chiamava Toscanella) non ho avuto mai a che fare. Ho avuto, sì, una collega di scuola, ma quella era vecchia e scorbutica, e quindi non poteva essere in quel modo. Anche perché era brutta da mettere paura perfino alla Marroca di Cellere. Bocciati? Macché! Assolti con formula piena. A me i

... Cellere infame”

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