Un quasi miracolo al fronte, da loggetta n 104 (lug set 2015) 12

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“Noi” e la Grande Guerra

III parte

Un (quasi) miracolo al fronte Maurizio Grattarola

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io nonno Giuseppe Grattarola, nato a Vignanello il 25 marzo 1899, è, come si può evincere dalla data, uno dei “ragazzi del ‘99”, uno dei tanti mandati in guerra senza, probabilmente, sapere nemmeno il perché. Quest’uomo, alto, magro, sobrio, era sempre pronto allo scherzo. Di lui, che quando nacqui aveva 58 anni, ho dei ricordi bellissimi, perché rimasi per qualche anno il suo unico nipote e vissi con lui per quasi sei anni. Con me era di una gentilezza squisita; fu il mio padrino di comunione e cresima, passavo con lui giorni piacevolissimi alla fine della scuola, e tutti gli anni facevamo insieme una gita di un giorno ai Castelli, percorrendo a piedi il perimetro del lago di Albano e finendo inevitabilmente in trattoria a mangiare fet-

Vignanello parlata zoppicava. E poi, su quel viso che un po’ somigliava alla maschera di Eduardo de Filippo, con due baffetti alla Hitler, si apriva una bocca dove erano rimasti ben pochi denti e la lingua mancava di un pezzo. Un giorno mi raccontò la storia di quello che lui si ricordava del momento in cui quella mutilazione avvenne. Come si può vedere dal suo foglio di congedo - che fra l’altro è un piccolo capolavoro di grafica liberty - mio

L’autore con il nonno nella foto della prima comunione

Giuseppe Grattarola, uno dei “ragazzi del ‘99”

tuccine e bistecca. (Fettuccine gialle come quelle non lo ho trovate più). Ma andiamo al dunque, prima di farci trascinare dai ricordi. Quando ebbi una età in cui si comincia a capire qualcosa di più, mi resi conto che mio nonno parlava con qualche difficoltà; niente di eclatante, ma si vedeva (o meglio si sentiva) che ogni tanto la

nonno venne inquadrato il 15 maggio 1917 (aveva appena compiuto 18 anni!) nel 69° reggimento fanteria, che faceva parte della brigata Ancona, dove venivano convogliati i militari levati nel distretto di Orvieto, che includeva anche Viterbo. Non so se Foglio di congedo di Giuseppe Grattarola

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Acquapendente mio nonno venisse messo immediatamente in linea, ma la brigata Ancona viene coinvolta nell’ottobre del 1917 nella rotta della II armata italiana, ed è costretta a ripiegare attraversando il Tagliamento raggiungendo Padova e Arsego. Il 5 novembre 1917, il fante Giuseppe Grattarola viene trasferito al 40° reggimento della brigata Bologna, coinvolta nella decima battaglia dell’Isonzo da cui era uscita con solo 800 superstiti. La brigata rimane a riposo fino a gennaio 1918, poi entra di nuovo in linea nel settore del Monte Grappa, e successivamente sul Montello, dove viene sorpresa dall’offensiva nemica in un settore considerato secondario ed è costretta a retrocedere. In uno di questi giorni tremendi, mio nonno stava dormendo in un piccolo alloggiamento sulla linea del fronte, quando in sogno gli apparve San Biagio, il patrono di Vignanello, a cui era particolarmente devoto, che gli suggerì di uscire immediatamente dall’alloggiamento. Ancora intontito, mio nonno obbedì a quel consiglio, cercando senza successo di svegliare anche i compagni prostrati dalla fatica. Fu grazie a quella visione che scampò ad una morte orrenda; pochi secondi dopo, un colpo di mortaio centrava in pieno l’alloggiamento, uccidendo tutti coloro che dormivano. Mio nonno fu colpito da una scheggia che gli attraversò il viso, strappandogli via una parte di lingua e quasi tutti i denti. Non era finita lì: raccolto dai portaferiti, il fante Giuseppe Grattarola viene portato in un ospedale da campo, in mezzo a mille altri in condizioni simili o peggiori delle sue. Erano tempi duri, e molti soldati si procuravano da soli ferite non gravi cercando di sfuggire alla carneficina. Mio nonno aveva una ferita considerata non grave e venne quindi sottoposto a vari interrogatori; per quei soldati che si autoinfliggevano ferite, era prevista la fucilazione. E qui avvenne un secondo miracolo; uno dei medici era un compaesano, un dottore di Vignanello, che garantì per mio nonno, che alla fine riuscì a scampare per ben due volte ad una morte orrenda e a permettere a me di nascere. maurizio.grattarola@alice.it

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“Qua fa molto freddo... È più di un mese che nevica continuamente...”

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a prima notizia ufficiale giunta ad Acquapendente dell’entrata in guerra dell’Italia fu questo telegramma, inviato dal prefetto di Roma al sindaco e ricevuto il 22 maggio 1915:

Sua Maestà il Re ha decretata la mobilitazione generale dell’esercito e della marina e la requisizione dei quadrupedi e dei veicoli. Primo giorno di mobilitazione ventitre corrente mese. Accusi ricevuta ripetendo integralmente testo telegramma. Prefetto Aphel

Giovanni Riccini

Nello stesso giorno fu convocato un consiglio comunale che venne aperto dal sindaco Vittorio Cozza con la seguente premessa: Signori consiglieri, sono certo di interpretare il sentimento unanime di voi tutti col pregare che da parte di questo Comune venga inviato un caldo saluto ai nostri concittadini, ufficiali e soldati, non che a tutti i nostri fratelli d’Italia chiamati in questo grave momento politico alla tutela dell’onore e della grandezza della nostra amata Patria. V’invito a gridare con me Viva l’Italia

Due giorni dopo (24 maggio 1915) iniziarono i combattimenti contro le truppe austro-ungariche. Lo scoppio improvviso della prima guerra mondiale suscitò nell’intero paese le emozioni più svariate: sorpresa, incredulità, disperazione, ma anche spirito patriottico fino a quei momenti sconosciuto. Ma quello che sembrò il più impensato e difficile fu quello di dover abbandonare le proprie case per luoghi lontani e sconosciuti. Specialmente nei piccoli centri e nelle campagne questa improvvisa partenza (per la maggioranza dei giovani era la prima volta) fu un fatto traumatico, e per chi rimaneva a casa procurò enormi problemi soprattutto per i lavori agricoli. Il primo problema fu quello delle comunicazioni, e i soldati (in grandissima parte analfabeti) impararono a leggere e scrivere aiutati dai commilitoni più istruiti, dai cappellani o nelle “case del soldato”. All’interno della comunità aquesiana, invece, nacquero subito vari comitati e associazioni per risolvere le esigenze nate dal conflitto ed assistere o quanto meno alleviare i disagi dei concittadini militari e le loro famiglie in loco. L’impulso fu dato dalla visita del sottoprefetto di Viterbo, che fu accolto dall’intero consiglio comunale, dal pretore e dai rappresentanti comunali dei paesi del mandamento, oltre che dal vescovo e dai dirigenti al massimo livello dei vari enti funzionanti in Acquapendente quali l’ospedale, l’asilo infantile, le parrocchie e le scuole. Per la creazione di comitati a sostegno dei soldati in guerra e delle loro famiglie si mobilitarono anche i vari circoli: la Croce Bianca, la Società del Tiro a segno, il Circolo democratico. Fu subito una realtà il “Comitato di resistenza interna” che doveva infondere la calma e la fiducia tra la popolazione, vigilare sulle persone che agivano a scopo disfattista, stare vicino agli orfani e alle famiglie dei caduti. A cura dello stesso Comitato nacque la scuola per la confezione delle scarpe e il comitato mandamentale per la ricerca della carta. In entrambi i casi il concorso della popolazione fu enorme: in soli cinque mesi si raccolsero oltre 34 quintali di carta, senza toccare libri ed edizioni di importanza storica locale come esortato e raccomandato a chiare note più volte dagli organizzatori. Ma quello che fu più a contatto con i militari al fronte, e sicuramente il più apprezzato, fu il “Comitato femminile di organizzazione civile”. Specialmente con l’approssimarsi dei rigori invernali, una schiera di donne si dedicò con

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