Viaggio benedetto xiii 3 a vignanello, loggetta n 104 (lug set 2015) 20

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Maurizio Grattarola

Vignanello che a Fratta Todina risulta mùrcia “insieme di sassi che emergono dal terreno” (na mùrcia de sassi). Lo stesso vocabolo è documentato a Magione (mùrcia de sasse), con plurale le murce “i ruderi di antiche costruzioni in mezzo al bosco”; a queste voci va probabilmente connesso il soprannome Murcióne, attestato nella stessa località. Il termine murcióne ricompare sulle rive del lago Trasimeno, dove designa uno “scoglio sott’acqua”. Secondo fonti autorevoli (M. Cortelazzo - C. Marcato, Dizionario Etimologico dei Dialetti Italiani, Trento 2005) la voce, con l’accezione di “grossa pietra, masso, roccia”, è anche di altre zone dell’Italia centro-meridionale, come dimostra la presenza di mórgio nel Lazio (Arsoli) e di mórgiu (al femminile mòrgë) nel contiguo Abruzzo. Il DEDI accoglie la tesi di studi precedenti facendo derivare il sostantivo dal latino murix, genitivo muricis, ossia “‘murice’, la conchiglia della porpora, attraverso un successivo significato di ‘sasso acuto’: murex acutus in Virgilio”. La stessa fonte, poi, elenca la forma mùrgia, con le medesime origini, caratteristica delle parlate dell’Abruzzo, della Lucania, della Puglia e della Calabria, pure in questo caso con diverse varianti formali. Anche in queste regioni non mancano riscontri nella toponomastica: basti pensare al noto altopiano delle Murge, di origine carsica, situato nella Puglia centrale. Tornando alle altre province laziali, si segnala la diffusione, in zone montagnose, del nome di luogo Morge, che indica versanti poco scoscesi ma soggetti a frane, essendo composti in prevalenza da rocce detritiche. Altri toponimi regionali apparentemente derivanti da murix sono Morecene, che segnala la presenza di ruderi dell’epoca classica, e il più raro Moricino, riferito a una modesta altura formata da materiale incoerente, non dissimile da un mucchio di pietre. flavio.frezza@gmail.com

dalla Tuscia

La “gita” a Vignanello di papa Benedetto XIII Strade, paesaggio, architettura e cerimonie religiose nella Tuscia del ‘700 (3 - L’architettura: Vignanello alla metà del ‘700 - I parte) “Onorate il passato, e affrettate il futuro” (Ippolito Nievo, “Le confessioni di un Italiano”)

Ho voluto iniziare la terza parte di questo articolo con una frase di Ippolito Nievo che, scritta intorno al 1858, rimane ancora oggi di straordinaria attualità nell’Italia che, purtroppo, continua ad affondare nel degrado e nell’oblio delle sue ricchezze paesaggistiche, artistiche e architettoniche. Senza voler dare giudizi di alcuna natura, c’è da constatare come Vignanello sia un esempio traumatico di questa situazione, un esempio che purtroppo ha radici lontane nel tempo. La Vignanello voluta e innalzata dai Marescotti-Ruspoli è ormai un lontano ricordo, e ancora oggi, nonostante gli sforzi di molte persone, con in prima fila l’associazione “I Connutti”, non si riesce a stimolare negli abitanti e nelle persone preposte al governo del paese quella presa di coscienza necessaria per cercare di salvare il salvabile. Iniziamo questa descrizione della Vignanello che fece da teatro alla “gita” dalle due opere volute da Francesco Maria Ruspoli specificatamente per la visita di Benedetto XIII, che avevano lo scopo di creare un degno ingresso al centro barocco eretto da lui, dallo zio e dal padre, opere di cui vedremo anche l’odierno destino. La Via Ruspola Era una bella mattina, quel lunedì 6 agosto 1725, un giorno all’apparenza come tanti in quell’anno pieno di avvenimenti per lo Stato pontificio e soprattutto per Roma. Era infatti l’Anno Giubilare.

Presunto percorso della Via Ruspola

Un folto gruppo di uomini, più o meno giovani, circa una trentina, tutti con la tipica abbronzatura di chi è abituato a lavorare all’aria aperta, si erano radunati di buon mattino sulla piazza del paese, ormai completamente trasformata dai recenti lavori. La nuova chiesa si ergeva maestosa, quasi completata, davanti al castello, mentre il nuovo palazzo con gli archi, chiamato comunemente i Casini, faceva quinta davanti al palazzo pretorio. I più giovani avevano solo un vago ricordo di come fosse il paese quindici anni prima, quando i grandi lavori di ristrutturazione erano iniziati sotto la spinta di Francesco Maria Ruspoli. Gli uomini chiacchieravano tra loro, scherzando in attesa che uno dei mastri muratori si facesse vedere e desse loro le istruzioni per la nuova opera che sarebbe iniziata quel giorno. Erano contenti; da molti anni l’economia del paese era stata migliorata dalle varie opere che il principe di

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dalla Tuscia Cerveteri e conte di Vignanello stava realizzando trasformando il loro luogo natio da paese medievale a borgo settecentesco, grazie all’opera degli architetti che lo avevano affiancato a varie riprese, Giovan Battista Contini e Giovan Battista Gazzale. Molti di loro avevano già lavorato alla chiesa e ai Casini, ed ora che essi erano in fase di completamento, una nuova opera permetteva comunque di avere ancora delle entrate straordinarie, molto apprezzate. Mastro Peppe giunse poco dopo, e semplicemente con un gesto della testa (non amava mastro Spinetti sprecare molte parole) li invitò a seguirlo. La costruzione della Via Ruspola stava per iniziare. Pochi, in quel momento, avrebbero potuto immaginare che questa opera sarebbe stata assai effimera, come altre opere del Settecento, le cosiddette “macchine”, spesso disegnate e realizzate da grandi artisti o artigiani ma destinate a durare il tempo di una rappresentazione o di un evento. Ma perché questa nuova strada? La Strada Romana conduceva a Vignanello da Roma, passando per Fabrica, ma l’accesso al paese rimaneva poco scenografico. Infatti questa strada aveva una direttrice sud-nord a 90° rispetto all’asse del paese, che da ovest a est presentava nell’ordine la Porta del Molesino, il nuovo Borgo con lo stesso nome, la Porta Flaminia, e la Strada Maestra, oggetto di un raddrizzamento anche se parziale negli anni 1703-1705, per giungere alla Piazza della Rocca, dove si ergeva maestosa la nuova chiesa. Non abbiamo certezza circa l’ingresso a Vignanello dalla Strada Romana, ma molto probabilmente esso avveniva, una volta superato il fosso di S. Lucia, attraverso una delle porte che ancora oggi si intravedono lungo il costone meridionale del paese. Non sappiamo nemmeno se l’idea di aprire una nuova strada, che, oltre che essere più agevole soprattutto per le carrozze, completasse il nuovo asse del centro barocco ormai orientato da ovest ad est, fosse venuta direttamente al principe di Cerveteri oppure ad uno degli architetti al suo servizio in quel momento, ma certo fu una iniziativa quasi improvvisa e tardiva, che costrinse Giovan Battista Gazale ad una corsa contro il tempo. Gazale preparò lo “scandaglio”, cioè il preventivo di spesa, comprendente anche l’acquisto dei terreni dove far passare la strada. Non era un’opera da poco, se si pensa che l’ammontare era di circa 600 scudi, una cifra notevole. In contemporanea, il notaio Simone de Florentinis inizia a stilare i documenti di acquisto; ne sono documentati quindici. Francesco Lagrimanti, nella sua “Storia delli Padroni di Vignanello”, sostiene che il via alla costruzione venisse dato da Francesco Maria Ruspoli per lettera il 7 luglio 1725. Gazale, una volta ricevuta l’autorizzazione dal padrone, affida la parte operativa all’abruzzese Giovanni Loddi, originario di S. Marco di Preturo nelle vicinanze dell’Aquila ma abitante in Vignanello, come si evince dal documento d’obbligo del 25 agosto 1725, fatto in ritardo rispetto alla data di inizio lavori, quasi a ribadire l’urgenza di iniziare subito l’opera, che doveva servire per la “gita”, che da altre fonti sappiamo inizialmente prevista per ottobre. La costruzione impegnò le maestranze locali, i cui nomi ci sono noti grazie alla meticolosità con cui Gazale stilava i suoi rapporti, per circa otto settimane. Furono impiegati a più riprese, in alcuni casi per pochi giorni, più di 200 per-

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sone fra mastri, manovali, trasportatori e donne a servire, il che dà una ulteriore idea della complessità dell’opera e della velocità con la quale dovette essere realizzata. E non mancarono difficoltà di varia natura; all’arrivo della nuova strada sulla sommità del colle tufaceo sul quale sorge Vignanello, le maestranze furono costrette ad aprirsi un varco fra le rocce di tufo con la polvere da mina, mentre ben quattro mastri, Vittorio Perucchetti, Cristoforo Betelli, Domenico Spinetti e Pietro Paolo Urri, aiutati da Domenico Petrone come garzone, erano impegnati nella costruzione del ponte, che fu realizzato in muratura. Quando alla fine la strada fu completata agli inizi di settembre, il costo non raggiunse i 500 scudi; era una strada maestosa, lunga circa un chilometro e larga sei metri, quindi sicuramente carrozzabile, eppure… Eppure possiamo dire che fu poco o niente utile, salvo l’ingresso di Benedetto XIII. Quarantadue anni dopo, nel 1767, per motivi imprecisati, Alessandro Ruspoli, succeduto al padre Francesco Maria, fa incaricare dal suo ministro signor Pellegrini due periti di fare una stima delle condizioni della strada. La situazione è sconfortante; seppur con parole leggermente diverse, entrambi rilevano che la strada ormai non è più “carrozzabile” in quanto “misurata la larghezza della strada, che ora ritrovasi, non oltrepassa palmi dieci, e in alcuni siti fino a dodici, e quattordici, dimodoche non più rendesi carrozzabile, come era negli anni addietro,… e tal diminuzione proviene perché i possidenti… si sono inoltrati nella d.ta strada, e con aver occupata, e ristretta nel loro porzione di questa”! La strada quindi ora è larga non più di due metri contro i sei iniziali anche perché le fratte sono “lasciate correre, ed in abbandono, che in oggi levano il pieno della larghezza dell’antica strada sud.ta, in modo che non si possono dir fratte, ma picciole macchie”. Un esempio lampante di trascuratezza e disinteresse, tantoché nella mappa catastale del 1819 di questa strada non c’è più traccia. La nota positiva che si ricava dai documenti del 1767 è il tracciato (presumibile) della strada; percorreva quella che è oggi Via dei Castagni, che si incontra venendo da Roma sulla sinistra prima della discesa che porta alla base della Valle Minore, e poi scendeva verso il fosso della Cupa al confine fra Vallerano e Vignanello; raggiunta la sommità della cresta, svoltava bruscamente a destra per raggiungere con un rettifilo il Portone del Molesino: “L’Ecc.mo D. Ruspoli padrone di questa terra nell’anno 1725 a proprie spese ampliò la picciolina strada che esiste fra il Territorio della med.ma terra e l’altro di Vallerano in Vocabulo La Cupa, o sia Talano, con aver resa quella più agevole, e carrozzabile, che à il suo principio dal termine divisorio tra una, e l’altra terra, e fine nel castagneto detto di Monte Sforza, ovvero l’antica Strada Romana, e detta strada ampliò ad oggetto potesse comodamente passarvi il seguito delle Mute, che portarono in questo luogo la Santa Me. di Benedetto XIII…”. Oggi, salvo il tratto di Via dei Castagni, è molto difficile rintracciare il percorso della Via Ruspola; vari tentativi da me fatti hanno portato a identificare possibili tratti, ma è certo che una ricerca più approfondita potrebbe forse portare almeno ad identificare i resti dell’antico ponte.

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La colonnetta Ruspoli in una foto di fine ‘800

La “Colonnetta” Ruspoli “L’ottima disposizione, che questo Nostro Sig.re Principe ha fatto dare a tutto il bisognevole per un ricevimento di tal fatta, non solo ha riportata l’approvazione, e gradimento di Sua Beatitudine, ma la piena soddisfazione ancora di tutte le persone, che qua si trovano e specialmente di 120, di ogni rango, ed altri molti Forastieri; come anche è stata da Nostro Sig.re e da tutti gli altri molto lodata la nuova strada, e la Piramide che Sua Eccellenza in poca distanza dall’ingresso del Borgo avea fatto inalzare così scoperta all’arrivo di Sua Beatitudine, Nobilmente ornata, e con iscrizioni in marmo; ove a memoria de’ Posteri si leggerà sempre glorioso questo giorno del propizio ingresso della Santità Sua in Vignanello”

dalla Tuscia Il documento, stilato dal mastro Paolo (o Pavolo, come veniva talvolta chiamato) Testa, “scarpellino”, è illuminante non solo per la descrizione della “Colonnetta”, ma anche per la sua probabile composizione. Infatti, esaminando le dimensioni dei vari conci di peperino preparati da mastro Testa, si evidenzia come si adattino perfettamente ad un pilastro centrale di sezione quadrata, realizzato in mattoni, di due palmi (circa 0,44 m) di lato, che costituiva l’armatura della parte bassa. Dobbiamo pertanto immaginare che prima venisse fatta una fondazione di blocchi di tufo, attorno alla quale fu poi preparata la “selciata”, cioè una superficie probabilmente realizzata con ciottoli di fiume o mattoni di argilla, o anche elementi di tufo, sulla quale fu eretto il pilastro di mattoni alto dai 9,5 ai 10 palmi (circa 2,2 m). E’ interessante notare che i mattoni erano normalmente di dimensioni un palmo per mezzo palmo, quindi probabilmente ogni strato era costituito da quattro mattoni, che si succedevano messi nelle due direzioni perpendicolari. Dovettero essere necessari circa 30 strati per raggiungere i due metri di altezza. Una volta realizzata l’armatura, fu la volta di Mastro Paolo, che preparò i vari elementi di peperino nella sua bottega, per poi rifinirli in loco.

(Relazione anonima del viaggio di Benedetto XIII a Vignanello, 6 novembre 1725, archivio dell’ufficio delle celebrazioni pontificie, Dini, “Memorie e regolamenti per li viaggi de’ Sommi Pontefici Tomo X”)

La costruzione della “Colonnetta” ha una data di inizio ben precisa, il 17 ottobre 1725: infatti l’architetto Giovan Battista Gazzale stila, a fine novembre 1725, una nota intitolata “A dì 17: 8bre 1725 a tutto li 5: 9bre Opere di muratori a lavorare la Piramide nella Piazza tra li confini di Vignanello, e Vallerano come segue”. Il “come segue” ci dà l’elenco delle persone che hanno partecipato all’erezione del monumento: mastro Angelo Perucchetti, che vi lavorò per tredici giorni, con paga di 30 baiocchi al giorno, mastro Pietro Paolo Torri per nove giorni,con paga di 27,5 baiocchi, e mastro Domenico Spinetti per due giorni, con paga di 25 baiocchi. Accanto ai tre mastri, lavorarono Agostino Sbarra per un giorno, Giovan Battista Sbarra per dieci giorni “a servire”, cioè di supporto ai muratori, Felice Venuti e Filippo Mastrangeli per due giorni “a far li fondamenti”, tutti pagati 15 baiocchi al giorno. Non mancarono le donne: tre, tutte “a servire”, Lucia Chiodi per 15 giorni, Maria Grasselli per 13, e Vittoria Allegrini per un giorno, tutte pagate 7,5 baiocchi al giorno. Le opere murarie furono eseguite con pozzolana, calce, sassi e mattoni, per i quali materiali, così come per l’acqua necessaria per impastare e preparare la calce, sono esplicitamente indicate numerose “some” portate in loco.

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La colonnetta Ruspoli agli inizi del ‘900

In sostanza, la “Colonnetta” aveva, partendo dal basso: una “platea” (base) fatta a “selciata”, probabilmente quadrata, di lato 2,7 m, rifinita da una “cordonata di peperino lavorata a smuscia”, cioè un regolo di peperino con gli

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dalla Tuscia spigoli arrotondati; un sedile (“seditore”) che la circondava, con una zona franca di circa 22 cm, sopra il quale c’era uno “zoccolo di peperino”; questo zoccolo serviva da base ad un altro elemento, costituito da “bugne vecchie di peperino”, tagliate, afferma Paolo Testa, da un “portone che era in detti confini”, e connesse insieme. Al di là di capire di quale portone si trattasse, l’ipotesi è che si tratti di quattro lastre, con una bugna in negativo, connesse fra di loro. Le immagini ci fanno intravedere la parte centrale più chiara; si tratta di capire se furono inserite delle lastre di marmo. Sopra questa base quadrata, dove terminava l’armatura in muratura, era posizionata “la base di peperino, che resta sotto la colonna”, e successivamente “la colonna di detta cuglia di peperino alta palmi 7 grossa palmi due pp ogni verso”; la sommità della colonna era completata da una “lastra di peperino, che forma cimasa sopra detta guglia”. Inoltre lo scalpellino impiegò “due giornate attorno a detta piramide a fare li bughi alli perni dell’arme, et inscrittioni et impiombate in opera”. Delle due lastre di marmo, una rivolta verso chi arrivava dalla nuova strada e una rivolta verso Vignanello, abbiamo le iscrizioni, riportate nei documenti descrittivi della visita di Benedetto XIII, che ci confermano anche la posizione della “Colonnetta”: “Proseguendo il viaggio si giunse nella Piazza chiamata del Molesino fatta spianare e slargare a spese di S.E., che parimenti vi ha fatto erigere una bellissima piramide d’altezza palmi trenta [circa 6,7 m, ndr], con l’iscritioni scolpite in lastre di marmo pp memoria della venuta di S. Beatitudine in Vignanello. Verso la parte di dove veniva N[o]s[t]ro Sig.[no]re vi era la seguente iscrizzione

L’area della colonnetta oggi: il monumento è nel giardino sullo sfondo

monti all’italiana, che, sormontati dalle viti intrecciate, sono lo stemma Ruspoli. Oggi questo monumento, “ove a memoria de’ Posteri si leggerà sempre glorioso questo giorno del propizio ingresso della Santità Sua in Vignanello”, è ancora esistente ma precluso alla vista. E’ infatti all’interno di una proprietà privata, diviso in due parti. Sono stati fatti vari tentativi per far sì che potesse tornare alla vista di tutti da parte di molte persone interessate alla storia sia di Vignanello che di Vallerano, di cui costituisce un ideale “trait-de-union”, ma la risposta dei vari enti preposti è stata sempre la stessa: l’iniziativa deve partire ufficialmente dal Comune di Vignanello, che fino ad ora sembra molto poco interessato. maurizio.grattarola@alice.it

Ricostruzione ipotetica della colonnetta con indicazioni

FELICI FAUSTOQUE BENEDICTI XIII.P.O.M. INGRESSUI DIE VI NOVEMBRIS ANNO IUBILEI MDCCXXV

Dalla parte che riguardava la Terra di Vignanello vi era altra iscrizzione nella forma che segue FRANCISCUS MARIA PRINCEPS RUSPULUS VIAM AMPLIOREM APERUIT ANNO IUBILEI MDCCXXV”

Sul luogo di erezione non sembrano esserci dubbi; tutte le fonti dicono che il monumento fu eretto ai confini fra Vignanello e Vallerano, sulla nuova Via, in uno “spiano fatto nel l’arboreto comprato da S.E.P. nel confine di Vallerano pp servitio della nuova strada”. Il Catasto Gregoriano, redatto fra il 1815 e il 1830, e nel caso di Vignanello con la mappa stilata nel 1821, la indica chiaramente. Si tenga presente che la linea tratteggiata rappresenta i confini fra Vallerano e Vignanello. La localizzazione corrisponde alla zona della rotatoria fra l’attuale Via di S. Rocco (all’epoca non ancora aperta) e Via del Vignola, corrispondente alla “Strada che porta a Viterbo”. Al momento non si sono trovate indicazioni documentarie sull’autore del disegno, così come non si hanno notizie circa la parte alta del monumento, quella con i tre

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