Viaggio benedetto xiii 1 il viaggio, loggetta n 102 (gen mar 2015) 45

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Vignanello

bibmarta@inwind.it

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Quest’anno ricorre il 290° anniversario della visita di Benedetto XIII a Vignanello. In realtà si trattò quasi di una visita pastorale, viste le soste fatte durante il viaggio a Monterosi e Fabrica, l’omaggio dei Colonna con i personaggi più in vista di Carbognano e l’ultima parte del percorso ai confini con Vallerano, nonché la notevole partecipazione all’evento di moltissime persone provenienti da paesi limitrofi. Tutto ciò rende l’anniversario ancora più significativo. Per tale motivo ho pensato di preparare alcune note su questa “gita”, stilate volutamente in modo “giornalistico”, per cercare di rendere al meglio gli stati d’animo delle persone, la natura degli eventi, le difficoltà del viaggio, la gioia delle popolazioni. Questo senza però rinunciare ad una rigorosa attinenza ai fatti, così come, fortunatamente, sono narrati da molte fonti coeve, che ne permettono la ricostruzione in modo minuzioso. Ho preferito non addentrarmi al momento nella composizione del corteo, rimandandolo ad un articolo successivo. Buon viaggio!

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Ma allora non conosceremo mai le sembianze di Amalasunta?!? Attualmente l’unico ritratto sicuramente certo della regina è quello che compare nel clipeo del Dittico consolare di Oreste conservato al Victoria and Albert Museum di Londra (fig. 6), dove la figlia di Teoderico compare senza corona, soltanto con il pilos, il tradizionale copricapo goto trapunto di perle. Il busto della figura (fig. 7, dettaglio) mostra la parte superiore dell’abito riccamente adorna di gemme. Flavio Rufo Gennadio Probo Oreste era un patrizio romano. Fece realizzare il dittico in occasione del suo consolato del 530, durante il regno di Atalarico (526-534 d. C.). Quest’ultimo è raffigurato nel clipeo accanto a quello della madre Amalasunta che durante il suo regno era la reggente. Le affinità somatiche del volto aprirebbero margini di confronto con le figure soltanto attribuite. Amalasunta non ci si svela in toto ma, forse, è questo il motivo che l’ha resa così amata e viva nello scorrere dei secoli.

Strade, paesaggio, architettura e cerimonie religiose nella Tuscia del ‘700 (1-Il viaggio)

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Analogo, nella sua impostazione iconografica, il pannello conservato a Firenze (fig. 5). Il baldacchino ha struttura identica, salvo la mancanza di decorazioni sulla cupola. Le aquile reggono nel becco una ghirlanda, probabilmente perduta nel pannello viennese. L’imperatrice, con analoghi abiti e preziosi, è raffigurata in piedi, in posizione rigidamente frontale. Nella mano sinistra tiene un lungo scettro e nella destra il globo sormontato da una croce gemmata. In questo pannello, l’inserto con il busto, presente sulla clamide, appare meglio conservato. Anche per questo valgono le osservazioni già espresse a proposito dell’altro circa l’attribuzione.

La “gita” a Vignanello di papa Benedetto XIII

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esclusivamente imperiale che esclude l’identificazione originaria come ritratto di Amalasunta dato che quest’ultima, mantenendosi fedele alla tradizione del padre Teoderico, non si arrogò mai il diritto di usare simboli esclusivi dell’autorità imperiale di Bisanzio. L’immagine, del tutto depersonalizzata, sembra raffigurare una manifestazione del potere imperiale, sottolineato dalla solennità della posa, dalla ricchezza delle vesti e degli arredi, sicuramente più confacenti ad una imperatrice d’Oriente che alla regina dei Goti.

Maurizio Grattarola

dalla Tuscia

(i numeri fra parentesi quadre si riferiscono alle località delle mappe).

Lunedì 5 novembre 1725, Anno Giubilare. Da Roma a Monterosi

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ra una uggiosa mattina, quella di lunedì 5 novembre lassù a Monte Mario, cento metri più in alto della pianura dove giaceva Roma, avvolta da una leggera caligine. Le persone ospitate nel convento dei domenicani della Croce di Monte Mario, accanto alla chiesa del S. Rosario [1], non erano molto soddisfatte della sistemazione, abituate allo sfarzo e alle comodità dei loro alloggi nella Città Eterna. Tuttavia non potevano rifiutarsi di seguire i desideri del loro Signore, forse non amato da tutti, ma ben in grado di tenerli sotto controllo. Solo una volta uno di loro aveva cercato di dissuaderlo dall’andare in quel luogo romito, accampando come scusa che il cambiamento d’aria sarebbe stato negativo per la salute, ma il Signore aveva respinto ogni tentativo di protesta e continuava a frequentare quel convento non solo durante l’estate, cosa tutto sommato ragionevole visto il caldo della città, ma anche d’autunno. D’altra parte lui era domenicano. Fra l’altro, la strada Trionfale era piena di curve e malmessa, e in varie occasioni si erano avuti incidenti, con ribaltamento di carri e carrozze. Le stesse persone avevano ancor meno voglia di sobbarcarsi i disagi che “la gita”, come il loro Signore definiva il viaggio che stava per cominciare, li avrebbe costretti a sobbarcarsi. Avrebbero attraversato zone infestate da banditi, che forse non si sarebbero fatti vedere, vista l’importanza del convoglio, ma anche malariche, e qui non c’era scorta che tenesse. Ma tant’è: nonostante i tentativi di farlo recedere da questa decisione, presa da tempo, il Signore si era incaponito, stante la relazione di parentela che aveva con il feudatario di quel piccolo paese situato a nord di Roma, a circa 50 miglia di distanza, sulle propaggini dei Monti Cimini. Era deciso ad andare per consacrare alcuni altari della nuova chiesa di cui tanto si parlava, e che era costata circa 50.000 scudi. Fu così che quella mattina, sul piccolo piazzale davanti alla chiesa, si radunarono 12 cavalleggeri e 12 guardie svizzere, la scorta minima che un viaggio del genere richiedesse. Inoltre erano in attesa tre carrozze e ben sette calessi, con molte discussioni per la distribuzione dei posti. Monsignor Coscia, il potente cardinale inviso alla maggioranza dei prelati e del popolo, per evitare ogni diatriba, aveva pensato bene di andare a Vignanello il sabato prima, insieme alla principessa Ruspoli e alla figlia di lei duchessa di Gravina, con la scusa di verificare che tutto fosse pronto all’accoglienza del Signore. Quell’evento aveva scatenato una serie di reazioni, a causa della posizione ambigua di monsignor Coscia sulla delicata questione relativa al fallimento del matrimonio fra la duchessa e Filippo Berualdo Orsini, nipote del Signore.

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dalla Tuscia

Chiesa del Santo Rosario

Verso le 8 (le 14 dell’ora italica) i soldati infreddoliti videro comparire il Signore, il papa Benedetto XIII, intabarrato dentro un pesante mantello che lo rendeva ancora più minuto. Aveva sentito la prima messa, Sua Santità, ed ora rapidamente salì in carrozza, con i monsignori Prati e Genovese. Gli altri prelati si sistemarono nelle due carrozze, mentre i servitori salivano sui calessi. In tutto, il seguito era costituito da 50 persone, inclusi i 24 soldati. Altri addetti erano già a Vignanello. Nell’aria saliva l’odore di stallatico portato dai cavalli, mentre piccoli sbuffi di vapore uscivano dalle loro narici. Molti di quegli alti prelati non erano abituati ad alzarsi così presto, e tantomeno a mettersi in viaggio fuori Roma in quella stagione. Lentamente, il convoglio si mise in moto: davanti i dodici cavalleggeri; subito dietro la carrozza papale col tiro a sei; poi le altre due carrozze, col tiro a sei e a quattro, e quindi i sette calessi; dietro le guardie svizzere. La pioggia aumentava il disagio del viaggio sulla strada sconnessa; la manutenzione stradale non era una delle priorità di Sua Santità, nonostante l’organizzazione dello Stato prevedesse vari ufficiali predisposti a ciò. Forse era per questo che nel seguito c’erano anche due funzionari aggregati con lo scopo di rendersi conto dello stato del percorso. Il convoglio seguì la Strada Trionfale, tortuosa e solitaria, che si inerpicava sulle pendici dell’antico Mons Malus, e dopo alcune miglia arrivò all’incrocio fra Trionfale e Via Cassia, che saliva da Ponte Molle, nella località detta La Giustiniana.

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Verso le 10 il convoglio giunse alla Storta, un gruppo di abituri che formava la prima stazione di posta da Roma. Qui Sua Santità volle fermarsi, e mandò i monsignori Prati e Genovesi a controllare lo stato della piccola cappella, eretta in memoria della visione avuta da Ignazio di Loyola nel suo viaggio a Roma nel 1537, che fu trovata in buono stato [2]. La strada proseguiva in mezzo alla campagna, e in lontananza il pontefice intravide l’antica torre di segnalazione detta delle Cornacchie, mentre il cielo continuava ad essere coperto e il freddo intenso. Veniva ora quello che molti consideravano il tratto più pericoloso del viaggio, l’attraversamento del bosco di Baccano, spesso oggetto di assalti di banditi di strada, che ovviamente si guardarono bene dal farsi vedere, stante la robusta scorta che proteggeva il convoglio papale. Ma l’accompagnamento del papa era più preoccupato dal possibile pericolo derivante dai miasmi che si levavano dal piccolo lago di Baccano,

Cappella di S. Ignazio a La Storta

Torre delle Cornacchie

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dalla Tuscia Martedì 6 novembre 1725. Da Monterosi a Vignanello

Osteria di Baccano

residuo dell’antico cratere; il luogo si diceva essere infestato dalla malaria, e così a non tutti piacque l’idea della sosta, nonostante la necessità di rifocillarsi. Erano le ore 13 (le 19 italiche) quando il convoglio si fermò presso l’osteria di Baccano, dove il pontefice venne accolto dal vescovo di Sutri e Nepi, monsignor Vecchiarelli, e dal cardinale Del Giudice, suo maggiordomo, che gli fece omaggio di un servizio d’argento per caffè e cioccolata, di cui il santo padre era ghiotto [3]. Benedetto XIII si fermò in preghiera nella cappelletta situata lungo la strada, mentre il seguito pranzava nell’osteria di Baccano, dove erano già state portate le vivande da Roma. Il pontefice invece bevve solo una tazza di cioccolata. Sollecitato dalla sua scorta, che temeva l’oscurità, Benedetto XIII riprese il cammino verso le 14,30, superando il crinale del cratere e cominciando la discesa verso Campagnano. Il freddo era più intenso, e la pioggia non cessava; le carrozze erano ormai ricoperte di fango. Dopo circa un’ora il convoglio giunse ai confini di Monterosi; qui con un piccolo seguito era ad attendere il pontefice il cardinale Lorenzo Altieri. Sotto la pioggia, ci fu un breve scambio di complimenti, poi il cardinale tornò verso Monterosi per assicurarsi che tutto fosse in ordine per l’arrivo di Sua Santità. Il corteo papale giunse davanti alla chiesa verso le 16. Appena in tempo, perché cominciava ad imbrunire. Erano tutti piuttosto infreddoliti e stanchi, ma il papa, ancora vigoroso e in buona salute, entrò nella chiesa e vi rimase a pregare prima di trasferirsi nel palazzo del cardinale, dove fu offerta al pontefice e a tutto il suo seguito una lauta cena [4]. Monterosi era in festa; il palazzo Altieri era illuminato da ventidue torce, e musici suonarono le trombe per tutta la durata della cena, a cui seguì uno spettacolo pirotecnico; il cardinale non aveva perso l’occasione per dimostrare sia la sua fedeltà al pontefice sia la potenza della sua famiglia. Il papa ed il suo seguito, dopo una abbondante cena, vennero adeguatamente sistemati nelle varie stanze del palazzo per la notte.

Palazzo Altieri a Monterosi

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Benedetto XIII era mattiniero; alle 7 di quella mattina ancora uggiosa, con il sole appena levatosi, era già nella chiesa di Monterosi per ascoltare la messa, mentre la scorta e il seguito predisponevano cavalli e carrozze per il proseguimento del viaggio. Verso le 8 il papa tornò a palazzo Altieri, dove, seguendo i suoi desideri, venne servita a tutti abbondante cioccolata calda. Nel piccolo spiazzo davanti al palazzo del cardinale il corteo si ricompose con calma, iniziando la discesa verso la Cassia, per poi prendere la strada verso Fabrica. Il corteo, superata la localita detta “Colonnette” [5], attuale XXX miglio, incontrò un grosso cippo, alto due metri e spesso quaranta centimetri, che indicava la direzione di Vignanello e le miglia mancanti: 14. Era stata una idea del suo ospite, visto che la strada per Vignanello non era così nota come la Cassia Cimina. Poco dopo il corteo papale arrivò ai confini di Carbognano, feudo dei Colonna, che non persero l’occasione per riverire il pontefice e fare sfoggio della loro potenza. Don Francesco Colonna, principe di Carbognano, aveva organizzato l’incontro in maniera perfetta, anche se questo gli era costata non poco fatica; ad accogliere il pontefice, Francesco mandò i suoi due figlioli, don Stefano e don Giulio, con ben 150 soldati e 25 maggiorenti di Carbognano a cavallo. Una manifestazione di ricchezza e potere, quasi a voler sottolineare che anche i Colonna erano ben presenti nel territorio viterbese. Quando il corteo vide da lontano, nella foschia, emergere quel numeroso gruppo di gente, ebbe prima un moto di paura, che divenne sorpresa e soddisfazione per quel gesto di partecipazione e di riverenza nei confronti del pontefice. Dopo essersi inchinati davanti a Sua Santità, che li accolse con il riguardo che la loro famiglia richiedeva, i due Colonna scortarono il papa fino a Fabrica. Era un corteo ormai numerosissimo e colorato, e nel primo chiarore della giornata i contadini al lavoro nei campi guardavano con rispetto e curiosità quel lungo fluire di carrozze e cavalli, fra schizzi di fango e rumore di zoccoli e ruote. Così come con rispetto

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dalla Tuscia fatte le 13 ed era ora per il corteo di rimettersi in marcia, anche perché la pioggia non cessava di cadere e il freddo era reso più acuto dall’umidità.

XXX miglio, confine con Ronciglione

Ricostruzione del cippo

attendeva anche monsignor Tenderini ai limiti della sua diocesi di Civita Castellana. Non era la prima volta che incontrava il papa, ma era sempre un avvenimento, soprattutto in quel giorno, perché lo riceveva nel suo territorio. I due prelati si trattennero brevemente, poi monsignor Tenderini si avviò velocemente verso Vignanello per verificare che tutto fosse in ordine per l’arrivo dell’illustre ospite. Il corteo, ormai numerosissimo, intorno a mezzogiorno giunse finalmente ai confini di Fabrica [6], dove si fermò davanti al convento dei padri agostiniani. Qui il pontefice licenziò i due Colonna, prima di entrare a salutare i padri, letteralmente stupefatti del fatto che il Santo Padre si fosse voluto fermare proprio lì. Lo stupore e la preoccupazione aumentò quando i servitori di Benedetto XIII accorsero per accudirlo preparandogli la tanto amata cioccolata. Mentre il papa, dopo aver bevuto la calda bevanda aromatica, entrava nella chiesa del convento trattenendosi in preghiera, uno dei padri corse ad avvertire la popolazione di Fabrica di quell’inatteso, incredibile, evento. Lì per lì gli abitanti del paese pensarono ad uno scherzo, e il padre dovette metterci tutta la sua passione per convincerli che non li stava prendendo in giro. Fu necessaria la testimonianza di alcuni contadini che, tornando dai campi, confermarono che un gran numero di persone, soldati, cavalli e carrozze stavano sostando davanti al convento, per convincerli che il padre diceva la verità. A quel punto, al dubbio subentrò l’agitazione; i maggiorenti del paese si vestirono dei loro abiti ufficiali, mentre mandavano in giro per tutte le case persone di fiducia, per far sì di organizzare un rinfresco al corteo papale. Fu come una vera e propria gara a chi offriva di più: in men che non si dica, tutto quello che le famiglie avevano preparato per il pranzo fu raccolto e messo a disposizione, e sistemato su alcuni tavoli preparati alla buona poco davanti la chiesa del convento. Fu così che, di fronte a quelle persone che li guardavano a bocca aperta, gli accompagnatori del papa, sia della Camera Alta che della Camera Bassa, si poterono rifocillare abbondantemente. Nel frattempo la gente di Fabrica si era disposta davanti alla chiesa, e qui il pontefice impartì loro la benedizione apostolica, con somma gioia delle persone più anziane, per le quali quello era l’avvenimento più importante a cui probabilmente avessero mai partecipato. Benedetto XIII, visto il non buono stato della chiesa, donò ai padri agostiniani 200 scudi per la sua sistemazione; al che il cuoco, la cui preoccupazione era anche rivolta alle cose terrene, si fece coraggio e, nonostante il tentativo di trattenerlo fatto dalle guardie svizzere, riuscì ad avvicinarsi al papa, facendo presente che il convento non disponeva di una cisterna, obbligando i padri ad un lavoro straordinario per prendere l’acqua, aggiungendo che questo toglieva loro tempo per le preghiere. Il pontefice, sorridendo per la determinazione del cuoco e per la furbizia insita nella sua richiesta, gli concesse venti scudi per la cisterna. Si erano

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La Strada Romana, come era pomposamente detta la tortuosa, stretta strada che portava da Fabrica a Vignanello, era rigonfia d’acqua, e nei continui saliscendi le carrozze ebbero varie volte seri problemi con il fango. Come Dio volle, il corteo arrivò ai confini dell’Insigne Terra di Vignanello, dove erano ad attendere il papa il principe Francesco Maria Ruspoli e il figlio sedicenne Alessandro, nobilmente bardati a cavallo, con un gruppo di trombettieri vestiti con la livrea di casa Ruspoli, e seguiti da un considerevole numero di maggiorenti del paese, anch’essi a cavallo. C’erano poi varie carrozze. Qualcuno, non particolarmente amico della famiglia Ruspoli, non poté fare a meno di notare che il seguito del principe era molto meno numeroso e meno rutilante di quello dei Colonna. Tuttavia, costoro si tennero i loro pensieri dentro di sé, sapendo la parentela che legava Benedetto XIII al principe. Francesco Maria e Alessandro, alla vista della carrozza pontificia, smontarono immediatamente da cavallo sotto una pioggia sempre più battente. Il papa ordinò al cocchiere di fermarsi, aprendo immediatamente la portiera e accogliendo sorridente l’omaggio del principe e del figlio. Dopo un breve scambio di complimenti, Benedetto XIII invitò i due gentiluomini a salire sulla carrozza che seguiva la sua, ma i due rifiutarono categoricamente, rimontando a cavallo e aprendo la strada al corteo papale. Superate le ultime curve, e saliti verso la collina di Talano, giunsero finalmente in vista di Vignanello. Qui iniziava la Strada Ruspola, appositamente voluta e costruita da Francesco Maria per l’evento, per garantire un accesso trionfale al suo feudo attraverso il nuovo Portone e Borgo del Molesino, opera del padre Alessandro e dello zio Francesco. Era tanto l’interesse del principe a che il papa giungesse Chiesa ed ex convento a Fabrica a Vignanello per la nuova strada che aveva pensato bene di sbarrare con cippi di peperino l’accesso alla vecchia! La via si snodava attraverso i castagni, per poi scendere verso la Valle Maggiore e risalire sulla cresta sui cui si ergeva il borgo, lambendo i confini di Vallerano, dove già una folla di persone era in attesa. Il papa era finalmente giunto a Vignanello [7]. La festa religiosa e mondana stava per cominciare. maurizio.grattarola@alice.it (continua) NOTE BIBLIOGRAFICHE Gli eventi della “gita” di Benedetto XIII attraverso la Tuscia meridionale, fino a Vignanello, sono narrati da molte fonti. Le principali sono due documenti anonimi, probabilmente redatti da un incaricato di Francesco Maria Ruspoli, e conservati nel Fondo Ruspoli Marescotti all’Archivio Segreto Vaticano. Ci sono poi due estesi rendiconti pubblicati sul “Diario Ordinario” di Roma (detto comunemente Chracas), sui numeri 1290 e 1293, rispettivamente del 10 e 17 novembre 1725; il manoscritto di partenza è conservato presso l’Archivio dell’Ufficio delle celebrazioni Pontificie del Sommo Pontefice, a ribadire l’importanza di tale viaggio. Infine, da non trascurare per alcune informazioni, le notizie riportate sul “Diario” di Francesco Valesio, un erudito che ci ha lasciato importanti notizie sui fatti romani dal 1700 al 1740.

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