Il nuovo corteo storico di vignanello, da loggetta n 109 (inverno 2016 17) 21

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dalla Tuscia

Vignanello

Maurizio Gra"arola

Dalla fantasia alla realtà Il nuovo Corteo Storico Premessa

I

l Corteo Storico di Vignanello da anni accompagna ed introduce il Gruppo degli Sbandieratori, che ha partecipato a moltissime manifestazioni nazionali ed internazionali. Il Corteo, con i suoi abiti quattrocenteschi e qualche incongruenza storica fra le date e le insegne e i vessilli, non aveva fino ad ora alcuna attinenza con la realtà storica, molto affascinante, del paese. L’Associazione Culturale Rinascimentale “G.B. Nanino”, a cui sia il corteo sia gli sbandieratori fanno capo, ha deciso quest’anno di porre rimedio a questo fatto. Dopo alcuni incontri preliminari, si è stabilito di ridisegnare il corteo, prendendo come riferimento la nascita della Contea di Vignanello, avvenuta nel 1536. Questa decisione ha comportato una definizione storica degli eventi, che portasse alla luce i fatti e i personaggi della creazione della Contea, e soprattutto la riprogettazione e la manifattura dei nuovi costumi. Queste note vogliono illustrare il percorso seguito e i primi risultati raggiunti, legati soprattutto ai personaggi principali. L’obiettivo è quello di allineare, nel giro di poco tempo, la composizione e i costumi di tutto il corteo all’evento avvenuto agli inizi del XVI secolo.

minati di volta in volta dal papa, avessero un rapporto che si può definire di feudalità. Il feudo, nel secondo significato (in latino feudum), era costituito da un insieme di diritti di natura pubblica in un certo ambito territoriale (il merum et mixtum imperium ovvero la giurisdizione penale e civile, oltre a vari censi e imposte), concessi da un re o da un principe territoriale, in cambio dapprima anche qui della fedeltà vassallatica, e più tardi semplicemente di denaro. Nel 1531 Vignanello era pertinenza dell’Ospedale di S. Spirito in Sassia a Roma, cui era stato concesso nel 1528. Il “commendatore” dell’Ospedale era Carlo Ariosto, un vescovo nativo di Ferrara, vicario e canonico della Basilica vaticana, e insieme, per dispensa di Clemente VII, vescovo di Acerra. I vignanellesi, sempre assai restii a qualsiasi forma di governo organizzato, mal sopportavano anche questa situazione e si abbandonarono a violenze, costringendo il papa a inviare un commissario, Francesco Taneredo, accolto favorevolmente dalla popolazione. Tuttavia la Comunità era sempre molto aggravata dall’essere governata da più persone, e così decise di mandare un’ambasciata a Clemente VII per chiedere di essere assoggettata al solo dominio della Reverenda Camera Apostolica. Il commendatore di Santo Spirito li accolse, li ascoltò, poi, forse stufo di quella gente indisciplinata, scrisse una breve lettera ai vignanellesi nella quale espresse il suo pensiero: Ad noi piace assai de la bona volontà vostra, et devozione verso la santità di N.S., et così verso Santo Spirito. Dall’altro canto ne piaceria assai fusti stati contenti ad q[ua]nto se ricercava S. Santità, et noi, perché ne pareva fusse in bene, utile, e comodità vostra, pur poi vi faremo intendere q[ua]nto delibererà S. Santità, che dobiate fare. In sostanza, che a voi ci pensi il papa! Non era la prima volta che il papa doveva dirimere questioni fra i vignanellesi e i vari ufficiali che ne avevano la gestione. Nel passato in varie occasioni si era usato talvolta il pugno duro, talvolta le blandizie. Stavolta, anche per risolvere altre questioni che vedremo, Clemente VII, accogliendo apparentemente le lamentele dei vignanellesi circa la gestione dell’Ospedale di S. Spirito, scelse una strada diversa da quelle finora seguite:

Il nuovo corteo storico ‘Julianellum 1536’ arricchito di figuran# nella rievocazione storica del 13 novembre 2016

L’evento storico Fino al 1531, Vignanello fu soggetto a vari “Domini”, “Vicarii”, “Gubernatores”, assegnato a diverse Abbazie e Ospedali, cui fu venduto e poi ricomperato. In alcuni casi si può supporre che i predetti assegnatari di Vignanello, no-

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Nell’istesso mese di Aprile si portò detto Comendatore dal papa, il quale stabilì, che Vignanello non più fosse governato dal Santo Spirito, e da altri Governatori, o vitalizj, o ad nutum, ma bensì in perpetuo dall’Ill[ustrissi]ma Sig:[no]ra Beatrice Farnese e suoi successori colle medesime Leggi, e condizioni passate. Il papa, con breve del 28 aprile 1531, formalizza questa decisione dando in feudo Vignanello a Beatrice Farnese del ramo di Latera, “ex mera nostra liberalitate”, cioè come

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dalla Tuscia atto di donazione. Con quest’atto Vignanello veniva assegnato “in perpetuum, in Feudum Nobile, et antiquum”. Il feudo poteva essere donato, venduto, ipotecato e dato in dote, e si sarebbe trasmesso ereditariamente secondo la linea maschile, o in mancanza di essa, secondo quella femminile. Dov’è la differenza rispetto al passato? Non siamo più di fronte ad una concessione momentanea, legata alla vita di questo o quel personaggio, ma di una concessione trasmissibile per via ereditaria. Si badi bene, si parla di “feudo”, non ancora di “contea”! Ovviamente l’infeudazione, come abbiamo visto, comportava anche dei diritti sul territorio, e quindi, prima di poter ufficializzare il feudo occorreva che l’Ospedale rinunciasse ai suoi diritti su Vignanello, cosa che avvenne nel maggio del 1531.

Il nucleo cinquecentesco del nuovo Corteo storico di Vignanello con i costumi ispira# alle mode degli anni ’30 del Cinquecento posa nel giardino di Palazzo Ruspoli a Vignanello (Vt) in occa‐ sione della seconda uscita del Corteo il 10 agosto 2016: al centro la storica del costume Elisabe"a Gnignera

Dopo tale atto, Clemente VII, con un breve del 9 luglio 1531 poté cedere il possesso della terra a Beatrice Farnese Baglioni. Contemporaneamente scrisse una lettera ai vignanellesi, che già si dichiaravano malcontenti di questa infeudazione, rassicurandoli che Beatrice avrebbe mantenuto le loro prerogative e “invitandoli” ad accettarla come Padrona legittima. In seguito alla presa di possesso e della lettera del papa ai vignanellesi, il 20 luglio 1531 in un consiglio generale Beatrice (o molto più probabilmente un suo delegato) stabilì con la Comunità i Capitoli, le Convenzioni e i Patti, assicurando di non violare gli statuti esistenti, che risalivano al 1479, al tempo della signoria dei Nardini. La solennità dell’evento è sottolineata dal fatto che fu convocato il Coninverno 2016/17

siglio Generale, cui partecipavano tutti i capifamiglia importanti (cento e più uomini, asserisce il Lagrimanti), e che era indetto solo nei casi di massima importanza per la Comunità. Ma perché Beatrice? E chi era questa donna che portava un cognome così importante, anche se appartenente ad un ramo collaterale? Beatrice era figlia di Pier Bertoldo, signore di Latera, generale di Siena, e di Battistina dei Conti dell’Anguillara. Non conosciamo la sua data di nascita, anche se alcuni propendono per il 1485. Il motivo di tale concessione è da far risalire alle vicende della famiglia Baglioni, che dominava sui castelli di Castel del Piero, Graffignano e Sipicciano. A seguito di complesse vicende, Beatrice si era vista togliere parte dei suoi beni, sui quali aveva pieno diritto. Per tale motivo il papa decise di compensarla con il possesso del feudo di Vignanello. Si può ragionevolmente ritenere che il papa, con questa decisione, volesse sì da una parte ricompensare Beatrice, ma dall’altra anche cercare di risolvere in modo definitivo la gestione di Vignanello e dei suoi turbolenti abitanti. Infatti, il valore del feudo è considerato almeno cento volte superiore al danno patito da Beatrice. Questa ipotesi è anche rafforzata dal fatto che Clemente VII, nella sua lettera indirizzata ai vignanellesi, affermava che la sua decisione era esclusivamente dovuta “pro bono pacis et concordiae”. Beatrice Farnese muore fra l’1 dicembre 1535 e il 4 febbraio 1536. Nel suo testamento nomina sua erede e successore nel feudo Ortensia sua secondogenita; il figlio primogenito Alfonso era morto nel 1530, e, come visto, la successione poteva avvenire anche per linea femminile. Si può ritenere che tale clausola fosse stata inserita nel breve e poi nel testamento di Beatrice perché Ortensia era l’unica figlia rimasta di Beatrice stessa. Va, infatti, rilevato che Ortensia fu l’unica donna a essere signora di Vignanello; lei stessa, nei suoi vari testamenti, stabilì poi che la successione sarebbe dovuta essere solo per linea maschile, e che in mancanza di eredi maschi Marescotti-Farnese, il feudo sarebbe dovuto andare alla famiglia Farnese. Ortensia, che mantenne per ragioni d’importanza il cognome della madre invece di quello del padre, aveva sposato, probabilmente nel 1531, Sforza Marescotti, un esponente dell’aristocrazia bolognese, che era giunto a Roma dopo avere militato sotto i Veneziani e Carlo V, che lo raccomandò a Paolo III Farnese che probabilmente si adoperò per il suo matrimonio con Ortensia. Paolo III (Alessandro Farnese) era fratello di Bartolomeo, nonno di Beatrice. Fu proprio Paolo III, con bolla del 4 febbraio 1536, che conferma e approva la donazione fatta da Clemente VII del castello di Vignanello a Beatrice Farnese a Ortensia figlia di lei e Sforza Vicino Marescotti suo marito, con tutte le sue pertinenze ed altro a favore dei suoi eredi e successori dichiarandoli Conti con il canone di libbre tre di cera lavorata da pagarsi ogni anno nella festa di S. Pietro e Paolo. Il governo di Ortensia e di Sforza dura poco, circa due anni, durante i quali la permanenza di Sforza a Vignanello fu probabilmente molto limitata, in quanto lo stesso Paolo

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dalla Tuscia III lo nominò Governatore di Ascoli. Tuttavia, la presenza di Ortensia e Sforza a Vignanello in quei due anni è documentata e significativa: nel 1538 fu portata a termine un’importante ristrutturazione del castello: iniziativa che rileva l’importanza che Sforza attribuiva alla contea. Essa è anche testimoniata dal massiccio e orgoglioso stemma MarescottiFarnese che campeggia sulla porta del castello, sotto il quale c’è la scritta SFORTIA MARISCOTTVS COMES FECIT ANNO D. 1531

La data, errata, dà però il senso della volontà di Sforza di essere indicato, con la suocera ancora vivente, come il vero padrone di Vignanello. Questa volontà fu ulteriormente rafforzata dopo la morte di Beatrice, non solo con la ristrutturazione del castello, come abbiamo visto, ma anche con la costruzione della casa pretoriale, cioè destinata al podestà, iniziata nel luglio 1536. Il ‘vescovo’, ispirato al dipinto del XVI secolo a"ribuito a Gio‐ vanni De Vecchi ( a sinistra) , raffigurante Sant’ Eligio in abi# pon‐ #ficali

Cerveteri, in seguito alla riforma Consalvi, con atto notarile rinunciò ai suoi diritti feudali a favore del pontefice. Fonti

maurizio.grattarola@alice.it

Le fonti principali per gli eventi narrati sono: G.F. Lagrimanti, “Memorie delli Padroni di Vignanello”, manoscritto 1588, Biblioteca Angelica Roma Archivio Segreto Vaticano, Fondo Ruspoli Marescotti

Il ‘notaio’, ispirato ad una figura delle Scene della vita di San Gio‐ vanni Ba"sta di Giuseppe Arcimboldo (1545) in San Maurizio al Monastero Maggiore a Milano ( a destra)

Purtroppo questo spiccato interesse per il suo feudo durò poco. Sforza fu ucciso a Vignanello in circostanze misteriose fra il 26 e il 28 agosto 1538, appena dopo aver portato a termine la ristrutturazione del castello. Quale fu la causa di tale omicidio e chi ne fu l’autore, non è dato sapere, anche se si fece strada anche l’ipotesi che fosse stato assassinato o fatto assassinare dalla moglie, che in seguito, per altre vicende, ebbe il poco generoso appellativo di “Lucrezia Borgia di Parrano” e fu sospettata di aver preso parte anche alle uccisioni dei due successivi mariti. Ma questa è un’altra storia. Inizia da qui la lunga storia della Contea di Vignanello (o per dirla più correttamente Comitatus Julianelli), storia che durerà per 285 anni, fino al 22 ottobre 1816, quando Francesco Ruspoli, VIII conte di Vignanello e III principe di 60

Popolani

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dalla Tuscia Elisabe"a Gnignera

Cum tucte le insigne… vestimo et decoramo I costumi di Ortensia Farnese e del corteggio cinquecentesco

I

l riferimento cronologico dato dagli eventi storici sopra esaminati ha consentito di circoscrivere la ricerca iconografica e vestimentaria a un decennio ben preciso andando dal 1530 al 1540 circa, quando le mode abbigliamentarie appaiono contraddistinte da costanti ben precise. La figura centrale del nuovo corteo storico è stata individuata in Ortensia Farnese, figlia di Beatrice Farnese e Antonio Baglioni e prima contessa di Vignanello. Pertanto, per le vesti di Ortensia Farnese, neo signora di Vignanello dal 1536 quando sposa un esponente dell’aristocrazia bolognese, tale Sforza Marescotti, abbiamo ritenuto opportuno riferirci alla superstite iconografia toscana degli anni 153040, in quanto sia le terre di origine paterne e materne, sia l’antica Julianello, l’odierna Vignanello situato nell’alto Lazio, sicuramente possono collocarsi in una sfera d’influenze toscane. In questi anni il sistema vestimentario femminile toscano non era ancora stato impattato da quello stile ‘internazionale’ costituito dal completo sottana-veste e sopravveste coordinata, tipico della moda fiamminga e adottato in area spagnola e tedesca; il quale fu introdotto gradatamente a Firenze da Eleonora di Toledo a partire dal 1539, anno del suo arrivo alla corte fiorentina dei Medici. Emblematica della silhouette prima fiorentina e poi toscana, appare la figura di Lucrezia Pucci moglie di Bartolomeo Panciatichi, ritratta dal Bronzino ancora intorno al 1540 circa, con una veste priva di decorazioni, caratterizzata da gonfi spallini, chiamati ‘baragoni’, da cui fuoriescono maniche di colore contrastante con tagli decorativi. L’acconciatura a corona con ‘mazzocchio’, una imbottitura circolare che circonda la testa, è declinata in questi anni secondo varianti che contemplano cuffie molto arretrare sulla testa in vari materiali più o meno decorate, come visibile nell’altro ritratto di Dama in verde attribuito al Bronzino e datato intorno al 153032. A questi e ad altri ritratti del tempo ci siamo ispirati per Ortensia Farnese e per il corteggio di due dame e cavalieri, incluse alcune dame con vesti recuperate dal precedente corteo della metà del XV secolo e riaggiornate sulle mode dell’Italia centrale degli anni ’30 del Cinquecento. I colori dell’abito di Ortensia Farnese riecheggiano, per una fortunata coin- cidenza, sia i colori araldici paterni dei Baglioni, sia quelli materni dei Farnese di Latera, sul cui stemma campeggiano sei gigli blu su sfondo giallo-oro. Per il consorte Sforza Marescotti invece non sono state operate ‘forzature cromatiche’ per le vesti, in quanto i colori araldici del rosso cupo e giallo-oro non risultano coerenti con le

mode filo-spagnole che, specialmente nel centrosud d’Italia, veicolavano del-le cromìe molto scure a differenza di alcune regioni settentrionali quali la Lombardia, dove, tradizionalmente amanti di accostamenti cromatici azzardati, i lombardi erano per questo derisi già nel Cortegiano di Baldassarre Castiglione scritto tra il 1513 e il 1524 e pubblicato nel 1528, e perciò quasi coevo degli eventi storici di nostra pertinenza. In quanto alle vesti per Sforza Vicino Marescotti e per i due cavalieri del primo nucleo del corteg- Agnolo Bronzino [a"r.], Ritra#o di dama gio, abbiamo proposto la in verde, 1530‐31 (dopo la recente puli‐ moda degli stratagli, tura). Windsor Castle, Royal Collec#on ormai al suo acme in questi anni: si tratta di tagli ornamentali che ornavano i giubboni e i cosciali e calzoni maschili secondo una voga apparsa già negli anni della discesa di Carlo VIII in Italia (1494-95), perché osservata nelle uniformi delle armate che seguivano l’imperatore e poi adottata, senza soluzione di continuità, dai fanti lanzichenecchi per agevolare forse il movimento nei combattimenti corpo a corpo. Per Sforza Marescotti abbiamo pertanto creato una sopravveste o veste alla francese del tipo osservabile ad esempio nel Ritratto di Carlo V di Jakob Seisenegger del 1531 e nel Ritratto di uomo con lettera di Moretto da Brescia datato intorno al 1538. Completano la mise di Sforza un giuppone stratagliato e dei cosciali con braghetta abbinata al giuppone. In giubboni e calzoni stratagliati vestono anche gli altri due cavalieri del corteo con immancabile cappello piumato. La realizzazione di questo primo nucleo del corteggio di Ortensia Farnese e Sforza Marescotti, anche se avvenuta a tempo di record in meno di otto settimane dall’inizio del progetto “Julianellum 1536”, ha avuto, secondo chi scrive, il pregio di aver catalizzato, intorno ad un Agnolo Bronzino, Ritra#o di Lucrezia Pucci Pancia$chi, 1540 ca. Firenze, Uffizi 61


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dalla Tuscia brano importantissimo di storia vignanellese, l’attenzione e soprattutto le energie di una parte estesa della comunità vignanellese che ha supportato l’azione di rinnovamento del corteo intrapresa dall’Associazione Culturale Rinascimentale “Giovanni Maria Nanino” - Gruppo Sbandieratori e Musici della città di Vignanello - fondata nel 1969. Infatti, dallo scorso agosto, quando è stato presentato al pubblico il corteggio, nuovi personaggi quali il vescovo e il notaio - i cui abiti sono ‘trasversali’ e meno connotati localmente - si sono aggiunti all’insieme, oltre a diversi popolani per i quali, ispirandoci a fonti iconografiche del decennio 1530-40, sono stati trasformati alcuni dei preesistenti costumi quattrocenteschi e indumenti forniti dalla Pro.Loco di Vignanello. Considerando gli auspici molto promettenti ad oggi, e il sempre più consapevole interesse verso il progetto “Julianellum 1536” dimostrato dalla Pro.Loco, da Vincenzo Grasselli e da Enrico Gnisci, rispettivamente sindaco e assessore alle attività produttive, cultura e innovazione del comune di Vignanello, l’intento è quello di adeguare, negli anni futuri, i costumi di tutto il corteo storico, inclusi i musici e gli sbandieratori, alla temperie dei pieni anni ’30 del Cinquecento, quando il feudo di Julianello fu elevato a contea. Del resto, nell’estratto del breve di papa Paolo III del 4 febbraio 1536, l’uso stesso della terminologia che allude alla pompa vestimentaria nel sancire la solennità dell’atto, ci dà conto di quale importanza rivestisse al tempo lo sfoggio abbigliamentario in occasioni ufficiali-celebrative. Scrive infatti nel breve il pontefice Paolo III Farnese, prozio di Beatrice Farnese: Dilecto in Christo Filio / Nobile Vir Sfortia de Marescotti / Et / Dilecta in Christo Filia / Domina Hortensia de Farnesio / Coniugi Noi, di nostro motu proprio, erigemo el vostro nobile feudo in Comitatum Julianelli, cum tucte le insigne, li honori et le prerogative, et donamo, vestimo et decoramo Voi et tucti li vostri heredi et successori Comites Julianelli.

L’augurio per il progetto “Julianellum 1536” è pertanto quello di avere il supporto della comunità e delle istituzioni preposte, per poter ‘vestire et decorare’ degnamente Ortensia Farnese, Sforza Marescotti ‘et tucti li loro heredi’ affinché sia ridato di far rivivere in modo appropriato una pagina importante e poco conosciuta della storia della gloriosa contea di Vignanello.

A sinistra ‘Ortensia Farnese’ con un abito cinquecentesco dai colori araldici blu e giallo‐oro dei Baglioni e Farnese di Latera. Vignanello (Vt), giardino del Castello Ruspoli. A destra ‘Sforza Maresco#i’ con ‘veste alla francese’, ‘giubbone stratagliato’ e cosciali.

Glossario essenziale: Cosciali: rappresentano la evoluzione delle calze-braghe quattrocentesche e sono una sorta di calza-pantalone aderente che arrivava a metà coscia o fino al ginocchio spesso con ricche decorazioni, quali gli stratagli appunto, abbinati a quelle del giubbone. Giubboni/Giupponi: con questo termine si indicano gli indumenti maschili, eredi del farsetto quattrocentesco, ossia quegli indumenti atti a coprire il busto provvisti di maniche e di un’apertura centrale, spesso imbottiti con una farcia (imbottitura) sul ventre e raccordati ai cosciali (si veda voce corrispettiva) con dei nastri. La lunghezza (variabile), si attesta, nel XVI secolo, alla metà del bacino. Lanzichenecchi: soldati mercenari di fanteria istituiti da Massimiliano I nel 1487 sul modello dei mercenari svizzeri, di cui diventarono presto feroci antagonisti. I lanzichenecchi - arruolati tra la fine del XV ed il XVII secolo - erano noti per la loro efficienza militare.

gnignera.expertise@virgilio.it

Un momento della conferenza‐stampa di presenta‐ zione del proge"o ‘Julianellum 1536’ svoltasi lo scorso 4 novembre 2016 presso la Biblioteca comu‐ nale di Vignanello (Vt). Da sinistra: Cris#na Anto‐ nozzi (Associazione Culturale Rinascimentale “Giovanni Maria Nanino” ‐ Gruppo Sbandieratori e Musici della ci"à di Vignanello ), gli storici Elisabe"a Gnignera e Maurizio Gra"arola, e il Sindaco di Vi‐ gnanello Vincenzo Grasselli.

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Onano

dalla Tuscia Anna Lisa Puggi

Il Ceppo, “la sera ‘e crepa” e la Befana Alcune tradizioni natalizie di Onano

Sullo stesso tema è stato pubblicato su questa rivista il dotto ed esaustivo articolo di Bonafede Mancini “Natale a Onano: l’offerta di cibo al Ceppo” (vedi la Loggetta n. 105 di ott‐dic 2015, pp. 107‐109), richiamato anche nella bibliografia in calce al presente e al quale si rimanda per ogni utile integrazione. (ndr)

A

More"o da Brescia, Uomo con le#era, 1538 ca. Brescia, Pinacoteca Civica Tosio‐Mar#nengo

Jakob Seisenegger, L’imperatore Carlo V con l'alano, 1531. Vienna, Kunsthistorisches Museum Fonti Per quanto riguarda le note storiche relative alle famiglie Farnese, Baglioni e Sforza Marescotti e l’estratto dal breve di papa Paolo III, ho citato da testi messi cortesemente a disposizione da Maurizio Grattarola che ringrazio per la squisita disponibilità e collaborazione. Per approfondimenti si veda il seguente contributo di Maurizio Grattarola: L’inizio di un’era: la nascita del feudo e della contea di Vignanello nella rubrica ‘Storia e fatti storici’ (www.julianellum.it). Per l’abbigliamento: Roberta Orsi Landini, Bruna Niccoli, Moda a Firenze 15401580. Lo stile di Eleonora di Toledo e la sua influenza, Edizioni Pagliai Polistampa, Firenze, 2005. Roberta Orsi Landini, Bruna Niccoli, Moda a Firenze 15401580. Lo stile di Cosimo I de’ Medici, Edizioni Pagliai Polistampa, Firenze, 2011.

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ttuale emblema delle feste natalizie di Onano è quasi per tutti i suoi abitanti l’Epifania (sera del 5 gennaio). Non bisogna però dimenticare che fino a un passato non troppo remoto numerose altre ricorrenze rituali avevano luogo durante tutto il periodo che andava dall’inizio di dicembre all’inizio di gennaio. La festa della Madonna della Fontana era la prima di queste occasioni. In passato la chiesina rupestre della Madonna della Fontana, situata nei pressi del paese, era meta di un certo numero di fedeli che ogni anno l’8 dicembre vi si recavano per omaggiarla. Due giorni dopo, la sera del 10 dicembre, si celebrava invece la festa della Madonna di Loreto, circostanza durante la quale si era soliti sparare colpi di fucile in aria e suonare le campane a festa. Una delle feste più intime e sentite era però la sera della Vigilia di Natale, ancora oggi detta la sera ‘e crepa a causa dell’enorme quanto insolita abbondanza e varietà di pietanze proposte nel menù del cenone. Le portate previste erano: minestra di ceci e rosmarino, pasta con le alici (o tonno), pasta con noci-zucchero-cannella, baccalà o anguilla e broccoli; il tutto innaffiato con vino rosso novello. Un componimento poetico di Domenico Mancini (La sera ‘e crepa) mette in evidenza come tutta questa improvvisa opulenza poteva essere causa di vari disturbi gastro-intestinali in corpi generalmente abituati a pasti poveri e frugali. Il cenone del 24 dicembre era costellato di altri riti, primo fra tutti quello del Ceppo. Dapprima il capofamiglia, in presenza di tutti i commensali riuniti davanti al focolare, recitava la preghiera in onore dei defunti, seguita poi dal rito della comunione del pane. Secondo questa usanza il membro più anziano della famiglia doveva porgere del pane imbevuto nel vino al più piccolo dei presenti il quale, dopo averne ingerita una piccola porzione e averla baciata, doveva passare ciò che ne restava al membro immediatamente più grande e così fino ad arrivare al capofamiglia da cui tutto era iniziato. Il momento successivo riguardava da vicino il Ceppo (un tronco di legno) che veniva collocato sul focolare domestico da tutta la famiglia mentre il più anziano recitava la seguente formula propiziatoria: Ceppo Ceppaccio benedetto chi t’ha fatto. Benedetto chi te compose. Chi t’ha composto quest’anno te possa compona anche n’antranno

Il Ceppo veniva quindi ‘alimentato’ prima con il pane e il vino precedentemente usati per il rito della comunione e poi con la prima porzione di ciascuna portata prevista dal menù del cenone. I resti del pasto venivano lasciati per tutta la notte sulla tavola imbandita e poi gustati per la colazione della mattina seguente (Natale); veniva quindi ri63 63


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