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Alpewa

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Congiuntura La lattoneria DOPO IL VIRUS

Quale sarà il peso dell’emergenza sanitaria sul settore? Le aziende riusciranno a recuperare nella seconda metà dell’anno? E quali le conseguenze sull’intera economia dell’Italia? Domande legittime, risposte che si possono solo ipotizzare. Ma qualche punto fermo c’è Attualità

uanto peserà il coronavirus sui conti delle aziende italiane, e in particolare quelle della lattoneria? Il punto di domanda non sparirà troppo presto. Sono troppi i fattori, straordinari, che hanno sconvolto l’ordinaria congiuntura dell’economia. Anzi, sarebbe meglio parlare di economie, al plurale, perché oggi tutti i mercati sono interconnessi. E anche le aziende che lavorano solo per un Paese, per esempio l’Italia, non possono fare a meno di essere contagiate (è la parola più appropriata) da quello che avviene all’estero. Per esempio, perché le materie prime delle quali hanno necessità provengono da un altro Stato, magari lontanissimo. Oppure perché è il cliente con il quale lavorano a essere rimasto in panne a causa dell’emergenza sanitaria. Che piaccia o no, la globalizzazione è un dato di fatto: nessun Paese al mondo potrebbe conservare il proprio benessere economico in uno Stato autarchico. Come ben ricordano i nostri nonni. Q

GLI EFFETTI Ma quali saranno gli effetti del coronavirus sulla nostra economia? Premesso che azzeccare una previsione è come vincere alle corse dei cavalli, al momento si possono registrare solo quelle (più o meno infauste) dei grandi centri studi, pubblici o privati. Per esempio, quella di Morgan Stanley, una delle grandi banche americane. Secondo il colosso Usa, il Pil italiano, affondato dal coronavirus, scenderà del 5,8% nel 2020. Insomma, un disastro. Ma, attenzione: per il 2021 la banca prevede un rimbalzo del 6,7%. Per il 2020, comunque, non saranno rose e fiori: Morgan Stanley vede uno scenario di deflazione, cioè di generale diminuzione dei prezzi (e quindi anche dei ricavi delle aziende): secondo gli analisti della banca d’affari, il costo della vita diminuirà dello 0,4%. Per non parlare del debito pubblico, sotto stress per le misure di sostegno all’economia: la voragine dei conti dello Stato sarebbe destinata a salire fino al 147,7% del Pil. Contemporaneamente, il tasso di disoccupazione aumenterà al 10,4% quest’anno e al 10,5% nel 2021. Non a caso in molti hanno definito quella attuale come un’economia di guerra. Un clima da tragedia confermato anche da Angel Gurria, segretario generale dell’Ocse, secondo cui lo scenario è pessimo. A suo parere, l’emergenza richiede «un livello di ambizione simile a quello del Piano Marshall, e una visione simile a quella del New Deal, ma ora a livello globale».

Il mercato immobiliare, che aveva iniziato a riavviarsi dovrà fare i conti con uno scenario economico di incertezza

IN DIFFICOLTÀ Un’altra previsione tosta è quella della Cerved Rating Agency, società che analizza il merito di credito delle aziende, che nel suo studio Impact of the Coronavirus on the italian non-financial corporates ha preconizzato che entro il 2020 una impresa su dieci in Italia, in settori industriali strategici come il manifatturiero tessile, i trasporti e il turismo, sarà a rischio fallimento. Il prezzo della crisi, sempre secondo Cerved, per l’Italia sarà in primo luogo una riduzione del Pil e dunque della capacità di creare ricchezza a livello nazionale, con un impatto stimabile tra i 10 e i 30 miliardi di euro, a seconda delle ipotesi di durata dello stop alle attività. Se, infatti, si ipotizza che l’impatto nell’immediato sia stato grave in un’area che vale quasi un terzo del Pil nazionale (Lombardia e le province emiliano-romagnole e venete colpite dalle restrizioni), bisogna considerare che un rallentamento di un trimestre di attività si può tradurre in una dinamica di decrescita che può appunto arrivare a colpire il 10% dell’economia. E -10% in un’area che vale il 33% del Pil significa incidere almeno per -3% ma, negli scenari peggiori, fino a -5% del Prodotto interno lordo. La previsione, inoltre, non riguarda solo la riduzione della produzione, e dunque del Pil, ma anche gli asset finanziari che governano la solidità dell’economia, con un peggioramento generalizzato del capitale circolante netto e un aumento dei debiti finanziari a breve. Gli interventi del Governo con misure di aiuto e contenimento sono dunque fondamentali già in questa fase.

I LATTONIERI Sì, d’accordo, ma per la lattoneria? Certamente il mercato immobiliare, che aveva iniziato a riavviarsi e a ritrovare un certo dinamismo, dovrà contare con uno scenario socioeconomico di incertezza al quale non basta il taglio di qualche decimo di percentuale dei tassi di interesse, peraltro già al minimo storico. La lattoneria, insomma, dovrà affrontare un periodo di incertezza, prima della ripresa. D’altra parte, secondo l’agenzia di rating Standard&Poor’s non si può pensare che si esca indenni da una situazione così grave di emergenza sanitaria, perché essa si somma a «una sempre minore possibilità di accedere all’investimento immobiliare e alla crescita economica a tassi contenuti, che sono chiavi decisive nel processo di riduzione della crescita dei prezzi delle case». Se da un lato il Governo ha annunciato la possibilità di aumentare la defiscalizzazione degli interventi di ristrutturazione fino al 100% del costo, proposta certamente utile a tranquillizzare l’opinione pubblica, in quanto dimostra la volontà del Governo di introdurre incentivi concreti alla ripresa, ma tutta da verificare nella sua applicabilità, da un altro lato il sistema stesso della produzione edilizia, che da sempre ha tempi di reazione lenti, sia nel bene che nel male, si tradurrà in una riduzione degli investimenti non nell’immediato ma nel medio periodo. Significa che se l’emergenza rientrasse e si chiudesse nel mese di aprile, probabilmente la seconda metà dell’anno potrebbe vedere una ripresa, soprattutto in alcuni settori oggi in difficoltà, primo fra tutti quello turistico. Va ricordato che il settore delle costruzioni e della connessa lattoneria ha un peso meno rilevante oggi nell’economia, rispetto a settori come il turismo e il commercio, e dunque la grande dipendenza della nostra nazione dai trend globali e dalle dinamiche degli scambi commerciali è anche una dipendenza da fattori esterni che fino ad oggi, tuttavia, eravamo in grado di dominare perché fattori materiali, conosciuti e gestibili. Ma in queste ultime settimane l’Italia ha anche dato un segnale importante di reazione, un segnale sociale che non va sottovalutato. È dalle grandi crisi che nascono i grandi cambiamenti. Questa crisi non è economica, ma potrà aiutarci a capire meglio come oggi tutto sia connesso e come sia fondamentale, per le nostre imprese, confrontarsi sempre di più con l’imprevedibilità, vera zona rossa della nostra economia.

Franco Saro

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