Quaderni acp - 2021; 28(1)

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Gennaio - Febbraio 2021 / Vol. 28 n. 1

uaderniacp

www.quaderniacp.it

Bimestrale di informazione politico-culturale e di ausili didattici della Associazione Culturale Pediatri

Rivista indicizzata in Google Scholar e in SciVerse Scopus

www.acp.it

ISSN 2039-1374

I disturbi del movimento in età pediatrica FAD, p. 3

WIN4ASD. Una piattaforma web per lo screening precoce del disturbo dello spettro autistico nelle cure primarie Ricerca, p. 17

La Storia Naturale del Covid-19 nel setting delle cure primarie pediatriche in Italia. Uno studio osservazionale Research letter, p. 25

Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – 70% NE/VR – Aut. Tribunale di Oristano 308/89


Quaderni acp - Associazione Culturale Pediatri Editorial

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Together is better

Federica Zanetto

When all this will be over we will need to go back looking after children

Enrico Valletta

Distance learning

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Movement disorders in children

Giovanni Tricomi

Info parents

16 Movements, gestures and words without control: TIC

Stefania Manetti

Research

17 WIN4ASD: an On-line Web Platform for Autism Spectrum Disorder early screening in Primary Care

Paola Colombo, Noemi Buo, Massimo Molteni

21 The challenges to the psycho-physical health of Italian families in the period of the Covid-19 emergency: A pilot study on the impact of parental burnout in different professional categories

Teresa Di Fiore, Teresa Galanti, Gloria Guidetti, Daniela Marchetti, Paolo Roma, Maria Cristina Verrocchio, Michela Cortini, Stefania Fantinelli

Research letter

25 The Natural History of Covid-19 in the setting of pediatric primary care in Italy. An observational study

Giacomo Toffol, Laura Reali, Roberto Buzzetti

Mental health

27 Abc’s of learning disorders for pediatricians

Rosalia Rinaldi, Angelo Spataro

A window on the world

29 The power of play

Stefania Manetti

Update to practice

31 Complete blood count: such a common and conventional exam, rich of hidden important informations

Margherita Calia, Martina Lattuada, Ester De Luca, Sofia Chiaraluce, Elena Varotto, Paola Corti, Giulia Maria Ferrari, Orsola Montini

Education in medicine

37 My life in Acp, and thereafter. An imaginary interview with Pasquale Alcaro

A cura di Giancarlo Biasini

Around narration

39 Nutritional Counseling model in the overweight pediatric patient approach and management

Emanuela Oliveri, Fabio Scaramelli, Maria Stella Valente, Michele Valente

42 Books 44 Movie 45 Info 47 Letters

Gennaio - Febbraio 2021 / Vol. 28 n. 1 Direttore Michele Gangemi

Direttore responsabile Franco Dessì Presidente ACP Federica Zanetto

Comitato editoriale Antonella Brunelli Sergio Conti Nibali Daniele De Brasi Luciano de Seta Martina Fornaro Stefania Manetti Costantino Panza Laura Reali Paolo Siani Maria Francesca Siracusano Maria Luisa Tortorella Enrico Valletta Federica Zanetto

Comitato editoriale pagine elettroniche Costantino Panza (coordinatore) Laura Brusadin Claudia Mandato Maddalena Marchesi Laura Reali Patrizia Rogari Giacomo Toffol

Collaboratori Fabio Capello Rosario Cavallo Francesco Ciotti Antonio Clavenna Franco Giovanetti Italo Spada Angelo Spataro Augusta Tognoni

Progetto grafico ed editing Studio Oltrepagina, Verona Programmazione web Gianni Piras

Indirizzi Amministrazione: tel./fax 0783 57024 Direzione: direttore@quaderniacp.it Ufficio soci: ufficiosoci@acp.it Stampa: Cierre Grafica www.cierrenet.it

Internet La rivista aderisce agli obiettivi di diffusione gratuita online della letteratura medica ed è disponibile integralmente all’indirizzo: www.quaderniacp.it Redazione redazione@quaderniacp.it

NORME REDAZIONALI PER GLI AUTORI

I testi vanno inviati alla redazione via e-mail (redazione@quaderniacp.it) con la dichiarazione che il lavoro non è stato inviato contemporaneamente ad altra rivista. Per il testo, utilizzare carta non intestata e carattere Times New Roman corpo 12 senza corsivo; il grassetto solo per i titoli. Le pagine vanno numerate. Il titolo (italiano e inglese) deve essere coerente rispetto al contenuto del testo, informativo e sintetico (non deve superare le 80 battute, spazi compresi). Se opportuno, può essere modificato dalla redazione, previa comunicazione agli autori. Vanno indicati l’Istituto/Ente di appartenenza e un indirizzo e-mail per la corrispondenza. Gli articoli vanno corredati da un riassunto in italiano e in inglese, ciascuno di non più di 1.000 caratteri, spazi inclusi. La traduzione di titolo e riassunto può essere fatta, se richiesta, dalla redazione. Non devono essere indicate parole chiave. • Negli articoli di ricerca, testo e riassunto vanno strutturati in Obiettivi, Metodi, Risultati, Conclusioni. • I casi clinici per la rubrica “Il caso che insegna” vanno strutturati in: La storia, Il percorso diagnostico, La diagnosi, Il decorso, Commento, Cosa abbiamo imparato. • Tabelle e figure vanno poste in pagine separate, una per pagina. Vanno numerate, titolate e richiamate nel testo in parentesi tonde, secondo l’ordine di citazione. • Scenari secondo Sakett, casi clinici ed esperienze non devono superare i 12.000 caratteri, spazi inclusi, riassunti compresi, tabelle e figure escluse. Gli altri contributi non devono superare i 18.000 caratteri, spazi inclusi, compresi abstract e bibliografia. Casi particolari vanno discussi con la redazione. Le lettere non devono superare i 2.500 caratteri, spazi inclusi; se di lunghezza superiore, possono essere ridotte dalla redazione. • Le voci bibliografiche non devono superare il numero di 12, vanno indicate nel testo fra parentesi quadre e numerate seguendo l’ordine di citazione. Negli articoli della FAD la bibliografia va elencata in ordine alfabetico, senza numerazione. Esempio: Corchia C, Scarpelli G. La mortalità infantile nel 1997. Quaderni acp 2000;5:10-4. Nel caso di un numero di autori superiore a tre, dopo il terzo va inserita la dicitura et al. Per i libri vanno citati gli autori secondo l’indicazione di cui sopra, il titolo, l’editore, l’anno di edizione. • Gli articoli vengono sottoposti in maniera anonima alla valutazione di due o più revisori. La redazione trasmetterà agli autori il risultato della valutazione. In caso di non accettazione del parere dei revisori, gli autori possono controdedurre. • È obbligatorio dichiarare l’esistenza di un conflitto d’interesse. La sua eventuale esistenza non comporta necessariamente il rifiuto alla pubblicazione dell’articolo. IN COPERTINA

Un pomeriggio a Helsinki, Martina Fornaro, agosto 2018

Pubblicazione iscritta nel registro nazionale della stampa n. 8949 © Associazione Culturale Pediatri ACP Edizioni No Profit


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EDITORIALE

Insieme è meglio Federica Zanetto Presidente ACP

Abbiamo partecipato a un’edizione del Congresso Nazionale ACP curata direttamente dal direttivo nazionale ACP e organizzata in modalità del tutto nuova, accolti in una piattaforma interattiva online. “Insieme è meglio” è il titolo condiviso per il Congresso già previsto in presenza per sintetizzare e dare visibilità a un percorso associativo che ha portato negli anni a stringere alleanze con altre professionalità o altre specialità mediche. Pur con un programma per forza di cose modificato, si è pensato che fosse significativo mantenerlo, per dare valore al senso di comunità e al bisogno di confronto e contatti che l’emergenza della pandemia ha evidenziato in modo particolare. Le due sessioni previste nell’evento online si sono svolte intorno a iniziative e percorsi ACP in corso e a progetti collaborativi in cui ACP è attivamente coinvolta. Molte delle sollecitazioni proposte si sono tradotte da subito in passi operativi significativi per la vita associativa nel nuovo anno sociale avviatosi dopo il Congresso. Le prime analisi descrittive delle caratteristiche della coorte NASCITA, presentate a 18 mesi dall’avvio del progetto che coinvolge 139 pediatri delle cure primarie e 5.159 nuovi nati in 21 cluster territoriali italiani, sono state oggetto di ulteriore condivisione tra pediatri coinvolti e coordinatori dello studio in un seminario dedicato svoltosi il 7 novembre, aperto anche al direttivo nazionale e ai soci ACP: un confronto congiunto e necessario, anche per meglio definire i passi successivi inerenti il monitoraggio dello stato di salute dei bambini inclusi nella coorte. L’importanza di informazioni e dati epidemiologici certi, raccolti a livello nazionale in modo sistematico e omogeneo per tutti i partecipanti e da rendere visibili a livello istituzionale, è stata ribadita anche nel contributo di Paolo Siani, presente all’incontro. Franca Benini, presentato lo stato dell’arte sulle cure palliative pediatriche in Italia, ha sollecitato ACP rispetto al percorso che la legge 219 del 2017 pone a disposizione e che resta da attivare, anche per colmare carenze culturali, scarsa informazione, pochissima formazione. Sono aspetti di quella che è una modalità della cura e una risposta ai bisogni speciali di bambini complessi e delle loro famiglie e che ACP vuole porre tra le sue priorità, anche attraverso il suo gruppo di lavoro dedicato di recente attivazione. In questo percorso si colloca anche il rinnovo (a dicembre 2020) del protocollo d’intesa triennale tra ACP e la Fondazione Maruzza Lefebre D’Ovidio Onlus per iniziative comuni di promozione e sostegno a progetti di formazione, ricerca e divulgazione scientifica relativi alle cure palliative pediatriche. Come anticipato nel suo intervento al Congresso Nazionale ACP, Maria Luisa Scattoni, coordinatrice del gruppo di lavoro ISS sui disturbi del neurosviluppo, ci ha comunicato a fine novembre 2020 che il Corso FAD “Sorveglianza del neurosviluppo nell’ambito dei bilanci di salute pediatrici dei primi tre anni di vita: utilizzo delle schede di valutazione e promozione” è disponibile online per tutti i pediatri italiani sulla piattaforma ISS. Il corso è parte del programma nazionale di formazione di base rivolta alla rete sanitaria ed educativa sulla sorveglianza attiva del neurosviluppo nei bilanci di salute dei primi tre anni di vita. Curato dall’ISS in collaborazione con le principali società scientifi-

che e sigle professionali della pediatria e della neuropsichiatria infantile (v. Quaderni acp 2020;2:49) e supportato dalla revisione della letteratura sui marcatori precoci dei disturbi del neurosviluppo, il corso rientra nelle attività previste nell’ambito del fondo autismo (decreto 30/12/2016) e delle linee di indirizzo aggiornate e approvate nel 2018 per la messa in atto di azioni di sistema cui hanno aderito tutte le Regioni italiane. Tra esse, l’attivazione di raccordi formalizzati tra la pediatria delle cure primarie e servizi NPIA che renderanno possibile anche la registrazione di tutti i dati da parte dell’Osservatorio Nazionale Autismo e il loro invio al Ministero della Salute. Promozione dell’equità nell’accesso a servizi sanitari di qualità; determinanti di salute ancora da portare a sistema; contenitori di governance che mettano insieme i diversi pezzi del materno infantile per garantire continuità dei percorsi e coordinamento tra i servizi; importanza della comunicazione e della formazione anche nelle scuole di specialità rispetto ai bisogni e alle funzioni primarie; progetti pilota per andare a valutare e monitorare indicatori utili accanto a esempi e modelli di buone prassi già messe in campo: Giorgio Tamburlini, che ha coordinato il gruppo di lavoro che ne ha curato la stesura, ha illustrato i fondamenti e i principi guida del documento ACP-CSB Senza confini, visibile nel sito ACP e riproposto nella sua parte centrale in un inserto dedicato allegato a Quaderni acp 6/2020. Il documento è aperto al contributo sia da parte di singoli che di associazioni, configurandosi come documento in progress, da condividere sia dal punto di vista dei suoi contenuti che della sua promozione nell’ambito dell’agenda politica nazionale e locale. Lo ha sottolineato Sandra Zampa, sottosegretario al Ministero della Salute, nel suo apprezzato intervento al nostro Congresso. Ha recepito il documento la mozione del 25 novembre 2020, depositata alla Camera dei Deputati dall’intergruppo parlamentare “Infanzia e adolescenza”, coordinato dagli onorevoli Siani e Lattanzio e impegnato ad aprire un dialogo strutturato con il governo per ridefinire la normativa dedicata alla tutela della salute e dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, da portare alla ribalta anche alla luce dell’emergenza in atto e delle sue ricadute a distanza. I bambini nell’emergenza Covid-19 sono stati oggetto dei contributi “da lontano” offerti da Perry Klass e Angel Carrasco, momento interessante di condivisione e confronto aperto con altre realtà, criticità e strategie. Gli apporti ACP di approfondimento e analisi in questi mesi di pandemia Covid-19 sono stati elencati da Costantino Panza. Pubblicati nel numero dedicato di Quaderni acp e, in riprese successive, nelle rubriche e nella pagine elettroniche della rivista, sono frutto del lavoro dedicato delle rispettive redazioni, di quello della redazione e dei gruppi di lettura della newsletter pediatrica ACP e del gruppo PUMP ACP. È una modalità di formazione e informazione su cui dobbiamo continuare a contare. Insieme, intorno a un riferimento comune, l’ACP, da continuare a mantenere saldo nella persistente incertezza e precarietà collettiva. * federica.zanetto@virgilio.it

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EDITORIALE

Quando tutto questo sarà finito, dovremo tornare a occuparci dei bambini Enrico Valletta UO di Pediatria, Ospedale G.B. Morgagni – L. Pierantoni, AUSL della Romagna, Forlì

Qualche settimana fa, dovendo preparare un breve intervento su quale fosse oggi – tempo di coronavirus – l’impatto delle malattie infettive sulla salute dei bambini nel mondo, mi sono imbattuto in due dati sintetici che ben riassumono quello che, contemporaneamente, sta accadendo. Il primo viene dal Coronavirus Resource Center della John Hopkins University: le vittime della pandemia, dal suo esordio a oggi (poco meno di un anno), sono state, globalmente, circa 1.800.000, nella quasi totalità adulti [1]. L’altro dato viene dal recente report dell’UNICEF che stima, per il 2019, in oltre 5 milioni i decessi di bambini entro i 5 anni di età, la metà dei quali (2,4 milioni) si verifica entro il primo mese di vita (Figura 1) [2]. Ma solo cinque anni fa i morti/anno erano 6 milioni, dieci anni fa 7 milioni e così, anno dopo anno, fino ad arrivare in decrescendo cancellare al dato attuale. C’è da dire che la maggioranza di queste morti è da cause prevenibili, spesso di natura infettiva e per lo più efficacemente contrastabili con interventi di sanità pubblica e strategie vaccinali ben condotte e protratte nel tempo. Cos’è che sembra stridere nel tragico confronto di questi numeri? È che la pandemia che ha colpito così duramente quasi tutti i Paesi del mondo sta facendo convergere su di sé l’attenzione globale dei governi, tutte le risorse economiche disponibili e ogni interesse della ricerca scientifica, oscurando e certamente aggravando qualsiasi altra situazione di rischio per la salute delle popolazioni più svantaggiate e per la sopravvivenza di milioni di persone. I provvedimenti, sempre più stringenti, posti in atto per contrastare la diffusione della SARS-CoV-2, aggiungono nuovi elementi di destabilizzazione dell’economia mondiale, incidendo in maniera devastante soprattutto sulle strutture sociali e i sistemi sanitari più fragili. La riduzione della mortalità infantile globale è uno degli obiettivi principali nei programmi di salute di tutte le organizzazioni sovranazionali e l’impegno profuso negli anni ha consentito di ridurre del 60% la mortalità <5 anni passando dai 93/1.000 nati vivi del 1990 agli attuali 38/1.000 nati vivi e puntando a un tasso di mortalità inferiore a 25/1.000 nati vivi nel 2030. Già prima che la pandemia irrompesse sulla scena, era chiaro che i risultati raggiunti in questi trent’anni di impegno internazionale fossero costantemente a rischio di essere vanificati da una molteplicità di eventi più o meno imprevedibili – politici, economici, bellici – non ultimo dei quali la competizione con emergenze sanitarie improvvisamente emergenti. Elementi, questi, che hanno il potere di paralizzare le ancora precarie strutture sanitarie di molti Paesi, di indurre governi, organizzazioni e industrie a riallocare diversamente importanti risorse facendo rapidamente perdere parte del terreno faticosamente guadagnato negli anni. È quello che è accaduto con Ebola in Africa, dove la crisi sanitaria ha interrotto ogni trattamento antimalarico nei territori, ha impedito la distribuzione dei farmaci e ha, in definitiva, causato un incremento della mortalità per malaria (ma anche per HIV e

Morti / anno (in milioni)

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< 5 anni Neonati

10-19 anni

5-24 anni

Figura 1. Mortalità globale per età negli anni 1990-2019 (modificato da [2]).

tubercolosi) maggiore di quello determinato da Ebola stesso [3]. Ed è quello che, su più grande scala, sta accadendo con il Covid-19 che, pur colpendo in maniera del tutto marginale la popolazione infantile, rischia di farle pagare assai duramente il peso complessivo della gestione dell’emergenza sanitaria. Nello scenario più pessimistico, l’interferenza del Covid-19 con la lotta alla malaria in Africa rischia di incrementare del 22% i casi di malaria e di raddoppiare la mortalità causando in un anno oltre 500.000 decessi tra la popolazione infantile [4]. Ancora maggiore preoccupazione desta la battuta d’arresto che la pandemia sta causando nell’implementazione dei programmi vaccinali in gran parte del mondo. In decine di Paesi il Covid-19 ha determinato, già a maggio 2020, l’interruzione delle campagne di vaccinazioni per difterite, tetano, pertosse, morbillo e poliomielite, mettendo a rischio immediato almeno 80 milioni di bambini entro il primo anno di vita e gran parte dei progressi realizzati nella salvaguardia e nella tutela dell’ambito materno-infantile. È la prima volta in 28 anni che questo accade [5]. Anche da noi, la discussione riguardo agli “effetti collaterali” della pandemia sulla popolazione infantile è molto accesa. Toccando, forse, temi meno drammatici (una cosa è poter continuare a frequentare la scuola, un’altra è riuscire a raggiungere l’età per poterci andare), ma pur sempre rilevanti per il benessere fisico e psichico di milioni di bambini. Quando l’emergenza sarà passata, ci sarà molto su cui riflettere e ancor di più da recuperare. * enrico.valletta@auslromagna.it

La bibliografia è consultabile online.


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FAD

I disturbi del movimento in età pediatrica Giovanni Tricomi UO Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, AUSL della Romagna, Cesena

Introduzione

Il movimento è una funzione complessa che si realizza grazie all’attività integrata del sistema nervoso centrale/periferico e del si-

stema muscolo-scheletrico (Figura 1). Nel bambino il controllo motorio si sviluppa parallelamente alla maturazione del sistema nervoso e segue un gradiente rostro-caudale

Figura 1. Rappresentazione schematica delle principali aree anatomiche e vie funzionali coinvolte nelle varie fasi del movimento volontario; ci sono molti feedback e concomitanza di stimoli come suggerito dall’alto grado di sovrapposizione tra le diverse aree cerebrali raffigurate (modificata da O’Malley JA, et al. 2017).

Figura 3. Disturbi del movimento in età pediatrica. DOC (disturbo ossessivo-compulsivo); ADHD (disturbo da deficit di attenzione con iperattività) (modificata da Russ JB, et al. 2018).

con progressiva riduzione/scomparsa dei riflessi primitivi e comparsa dei riflessi posturali (Figura 2). I disturbi del movimento in età pediatrica comprendono una serie di sindromi neurologiche caratterizzate da alterazioni interessanti il tono muscolare, la postura, l’inizio o il controllo della motricità volontaria, o dalla presenza di movimenti involontari. Le anomalie motorie presenti nei disturbi del movimento non vengono determinate da debolezza o alterazioni del tono muscolare, anche se l’ipostenia e le variazioni patologiche del tono muscolare possono essere presenti. I disturbi del movimento vengono convenzionalmente suddivisi in due principali categorie: i disturbi del movimento di tipo ipercinetico (es. distonia, corea, atetosi, ballismo, mioclono, tremore, tic, stereotipie motorie) e i disturbi del movimento di tipo ipocinetico (es. parkinsonismo). È poi possibile classificare i disturbi del movimento in base all’eziologia (disturbi del movimento acquisiti/sintomatici, forme geneticamente determinate/idiopatiche e disturbi del movimento psicogenetici) e in base all’andamento clinico del disturbo nel tempo (disturbi del movimento transitori/benigni dell’infanzia, disturbi del movimento a esordio acuto, disturbi del movimento ad andamento cronico e disturbi del movimento parossistici). Si possono osservare nel bambino più disturbi del movimento in associazione (es. bambini con paralisi

Figura 2. Il controllo motorio si sviluppa in parallelo con i processi di mielinizzazione del sistema nervoso centrale e periferico e procede secondo una gradiente rostro-caudale; tale processo è accompagnato da una graduale scomparsa dei riflessi primitivi e dall’emergenza e progressivo consolidamento dei riflessi posturali (modificata da O’Malley JA, et al. 2017).

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FAD

cerebrale infantile che spesso presentano in combinazione ipostenia, spasticità, distonia, coreoatetosi e atassia) (Figura 3). La valutazione dei disturbi del movimento può essere un’impresa difficile, specie nel bambino, e richiede esperienza e spesso una specifica competenza clinica. La conoscenza di questo grosso capitolo della neurologia pediatrica è presupposto fondamentale per affrontare correttamente il percorso diagnosticoterapeutico di queste condizioni.

Le due principali categorie di disturbi del movimento Disturbi del movimento di tipo ipercinetico

I disturbi del movimento di tipo ipercinetico sono movimenti involontari o movimenti in eccesso determinati da una disfunzione interessante i nuclei della base, la corteccia cerebrale, il cervelletto e altri circuiti motori secondaria a una patologia statica o progressiva (es. paralisi cerebrale infantile forma discinetica, malattia degenerativa, ecc.) (Sanger TD, et al. 2003). Disturbi del movimento di tipo ipercinetico benigni possono essere osservati in bambini che non hanno alcuna patologia neurologica. Distonia La distonia è un disturbo del movimento in cui contrazioni muscolari involontarie sostenute o intermittenti determinano torsione e movimenti ripetitivi, posture anomale o entrambi (Sanger TD, et al. 2003). La presenza di posture anomale che sono superimposte al movimento volontario o lo sostituiscono è una caratteristica distintiva della distonia. Le posture distoniche sono spesso scatenate dai tentativi di compiere un movimento volontario o di assumere volontariamente una postura e in alcuni casi si manifestano esclusivamente assumendo determinate posizioni o compiendo specifici movimenti (es. distonia task-specifica); i movimenti e le posture distoniche non si osservano in sonno. I meccanismi che determinano il rilassamento muscolare sono spesso compromessi nei pazienti affetti da distonia e ciò favorisce il mantenimento della postura distonica anche dopo il termine del tentativo di motilità volontaria che l’ha determinata. La distonia può essere causata da lesioni a livello dei nuclei della base, in particolare il putamen e il globo pallido; in molti casi tuttavia non sono riscontrabili lesioni a livello di tali strutture; alterazioni funzionali interessanti il cervelletto, il tronco encefalico e le aree corticali sensoriali possono determinare una distonia; lesioni cortico-spinali possono causare posture fisse simili per caratteristiche alle posture distoniche attraverso meccanismi che determinano la simultanea contrazione di gruppi muscolari antagonisti. La condizio-

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ne più comunemente responsabile di distonia nel bambino è rappresentata dalle paralisi cerebrali di tipo discinetico determinate da lesioni a livello dei nuclei della base, del talamo, del tronco encefalico o del cervelletto, conseguenza di un danno ipossico-ischemico nel periodo pre-/perinatale; altre cause di distonia includono le encefaliti, le malattie vascolari, autoimmuni, metaboliche e neurodegenerative; le distonie primarie sono forme in prevalenza geneticamente determinate (Tabella 1) Corea, ballismo, atetosi Corea, ballismo e atetosi sono disturbi ipercinetici del movimento che spesso coesistono nello stesso paziente e che vengono considerati come una serie in continuità. La corea è caratterizzata dalla presenza di sequenze casuali di uno o più movimenti o frammenti di movimento involontari (Sanger TD, et al. 2010) che presentano un’ampia variabilità in durata, direzionalità e distribuzione anatomica e che conferiscono al pattern motorio caratteristiche di imprevedibilità continua; i bambini con corea appaiono all’osservazione come irrequieti e in continuo movimento; il termine deriva dal greco χορεία che ha il significato di “danza corale”. La corea è frequentemente associata ad atetosi (coreoatetosi) che si caratterizza per la presenza di movimenti lenti, continui, involontari determinanti contorsione (writhing movements), prevalentemente distali e che impediscono il mantenimento di una postura stabile. La corea si distingue dall’atetosi perché nella prima è possibile rilevare movimenti distinti o frammenti di movimento mentre nella seconda il movimento appare continuo, fluente, sinuoso; a differenza della corea nell’atetosi le stesse regioni corporee sono ripetutamente coinvolte dal disturbo del movimento; l’atetosi interessa frequentemente le estremità distali degli arti (mani e piedi) e può anche coinvolgere il volto, il collo e il tronco. Il ballismo si definisce come un movimento di tipo coreico che interessa prevalentemente le articolazioni prossimali come spalla o anca e che determina movimenti delle estremità di grande ampiezza. Nei bambini la più frequente causa di corea a esordio acuto è la corea determinata da cause infettive/autoimmuni mentre la causa più frequente di corea ad andamento cronico è rappresentata dalle paralisi cerebrali infantili di tipo discinetico. In generale le coree geneticamente determinate sono croniche, si sviluppano in maniera graduale e sono di tipo generalizzato/simmetrico mentre le coree acquisite spesso esordiscono in maniera acuta o subacuta e quando correlate a lesioni interessanti il sistema nervoso centrale possono essere asimmetriche/unilaterali.

Atassia Il termine atassia si riferisce a una compromissione del controllo o della coordinazione dei movimenti volontari non attribuibile a ipostenia o alla presenza di movimenti involontari (es. distonia, corea, mioclono, ecc.). Alla valutazione clinica i bambini con atassia possono manifestare tutta una serie di segni neurologici dipendenti dalla patologia di base. I segni neurologici possono includere anomalie dei movimenti oculari (es. dismetria dei movimenti saccadici, nistagmo, aprassia oculo-motoria), alterazioni del linguaggio di tipo articolatorio (disartria cerebellare), scarsa accuratezza e coordinazione nei movimenti intenzionali finalizzati (dismetria, tremore intenzionale), scarsa stabilità della posizione della testa e del tronco durante la posizione seduta (titubazioni) e un’andatura caratterizzata da instabilità, base d’appoggio allargata e deviazioni dalla direzione rettilinea del cammino. L’atassia a esordio acuto o subacuto ha in genere un’eziologia correlata a fattori infettivi, tossici, autoimmuni, traumatici o neoplastici. L’atassia intermittente può essere un sintomo di un errore congenito del metabolismo o l’espressione di una condizione episodica geneticamente determinata. Un’atassia ad andamento cronico non progressivo può essere la manifestazione clinica di una malformazione cerebellare congenita o di un’alterazione del neurosviluppo su base genetica, mentre le atassie croniche ad andamento progressivo si manifestano generalmente nel contesto di patologie neurodegenerative. È molto importante tenere bene in mente alcune considerazioni pratiche nella valutazione di un bambino che ci viene segnalato per una sospetta atassia. La prima domanda da porsi è se l’atassia sia di fatto il principale disturbo motorio. Per esempio un bambino con goffagine e disturbo dell’equilibrio causato da una corea o da una distonia potrebbe apparire falsamente atassico a una valutazione poco attenta. Allo stesso modo, un mioclono multifocale potrebbe simulare all’apparenza un tremore d’azione e portare a un’erronea diagnosi di dismetria durante i movimenti di precisione finalizzati al raggiungimento di oggetti. Un secondo punto da tenere sempre in considerazione è che l’atassia nei bambini spesso si verifica in combinazione con altre alterazioni motorie come per esempio la spasticità e la distonia; un bambino con un’andatura atasso-spastica potrà per esempio avere una base d’appoggio normale o ristretta invece che allargata, camminare sulle punte e presentare rigidità a livello degli arti inferiori in aggiunta all’instabilità del cammino. Mioclono Il mioclono consiste in movimenti molto rapidi, “shock-like”, in sequenze ripetute


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TABELLA 1.  Classificazione delle distonie in base alle caratteristiche cliniche e all’eziologia (modificata da Albanese A, et al. 2013). CARATTERISTICHE CLINICHE

Distribuzione corporea

Focale: interessante una singola regione del corpo. Segmentale: interessante due o più regioni contigue del corpo. Multifocale: interessante due o più regioni non contigue del corpo. Generalizzata: interessante il tronco e almeno altre due regioni. Emidistonia: interessante più regioni confinate a un emilato corporeo.

Pattern temporale

Tipo di decorso: - statico; - progressivo. Variabilità: - persistente: distonia persistente durante tutto il giorno con approssimativamente la stessa intensità; - azione-specifica: distonia che si verifica esclusivamente durante alcune attività o task motori; - diurna: distonia che fluttua durante il giorno con riconoscibili variazioni circadiane; - parossistica: episodi distonici improvvisi e autolimitati generalmente indotte da un fattore trigger con conseguente ripristino dello stato neurologico preesistente.

Caratteristiche associate

Isolata o in combinazione ad altri disturbi del movimento: - isolata: la distonia è l’unico disturbo del movimento presente a eccezione del tremore; - in combinazione ad altri disturbi del movimento: la distonia è associata ad altri disturbi del movimento (es. mioclono, parkinsonismo, ecc.). Occorrenza di altre manifestazioni neurologiche o sistemiche. EZIOLOGIA

Condizione patologica interessante il sistema nervoso centrale

Evidenza di condizione degenerativa (es. anomalia strutturale progressiva con perdita di neuroni). Evidenza di lesioni strutturali (spesso di tipo statico). Nessuna evidenza di condizione degenerativa o lesione strutturale.

Ereditaria o acquisita

Forme ereditarie (distonie geneticamente determinate): - autosomiche dominanti: distonia come manifestazione clinica predominante (TOR1A, GCH1, THAP1, GNAL); distonia come manifestazione clinica associata o secondaria (MR1, PRRT2, SGCE, ATP1A3, SLC2A1, ATN1, FXN, HTT, SLC20A2, FTL, ATXN3, TBP); - autosomiche recessive: distonia come manifestazione clinica predominante (TH, SPR); distonia come manifestazione clinica associata o secondaria (DDC, ATM, VPS13A, FUCA1, GCDH, PLA2G6, PRKN, ATP13A2, MUT, MMADHC, NPC1, NPC2, PANK2, HEXA, ATP7B, DCAF17); - X-linked recessive: distonia come manifestazione clinica associata o secondaria (TAF1, HPRT, TIMM8A, PLP1, MECP2); - mitocondriali: distonia come manifestazione clinica associata o secondaria (mutazioni interessanti diversi geni mitocondriali o nucleari). Forme acquisite (distonia determinata da causa specifica): - cerebrovascolare (infarto o emorragia); - sofferenza perinatale; - danno traumatico a livello del sistema nervoso centrale; - infezioni; - farmaci; - fattori tossici; - cause neoplastiche; - disturbo psicogenetico.

Forme idiopatiche (causa sconosciuta)

Sporadiche. Familiari.

e spesso non ritmiche, dovuti a improvvisa contrazione (mioclono positivo) o rilassamento (mioclono negativo) di uno o più muscoli. Il mioclono può essere sincrono (diversi muscoli che si contraggono simultaneamente), che diffonde (diversi muscoli che si

contraggono in una sequenza prevedibile) o asincrono (diversi muscoli che si contraggono con un tempo di attivazione variabile e non prevedibile). Quando il mioclono interessa più di un muscolo secondo un pattern di attivazione random/variabile viene defini-

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to “multifocale”, mentre si definisce “generalizzato” quando più muscoli vengono coinvolti simultaneamente. Quando il mioclono presenta una frequenza ritmica si definisce “tremore mioclonico”; nel tremore mioclonico si distingue una fase rapida e una fase di recupero dalla contrazione più lenta; la fase rapida può essere dovuta o alla contrazione o al rilassamento muscolare. Il mioclono può essere causato o aggravato dal movimento e può essere a volte presente durante il sonno. In relazione alla condizione in cui si manifesta il mioclono può essere categorizzato in “mioclono d’azione”, “mioclono posturale” e “mioclono a riposo”. Il mioclono può anche essere categorizzato in relazione alla presunta regione anatomica di origine in “corticale”, “sottocorticale”, “tronco-encefalico”, “propriospinale” o “spinale”; il “mioclono palatale” (definito da alcuni “tremore palatale” per la sua caratteristica frequenza ritmica) è un tipo particolare di mioclono tronco encefalico con interessamento della muscolatura faringea. Per la classificazione del mioclono in base all’eziologia è utile fare riferimento allo schema proposto da Marsden CD, et al. 1983. La classificazione di Marsden utilizza quattro principali categorie: fisiologico, essenziale, epilettico e sintomatico. Il mioclono fisiologico si manifesta in persone sane e il livello di intensità può variare a seconda dell’individuo; sia la storia clinica che la valutazione del paziente possono essere suggestivi di tale condizione; il mioclono può verificarsi come fenomeno fisiologico durante il sonno; le mioclonie ipniche si manifestano come “jerks” generalizzati in prossimità dell’addormentamento e sono un classico esempio di mioclono fisiologico; le reazioni di soprassalto (“startle”) e il singhiozzo sono altri esempi di mioclono fisiologico. Il mioclono essenziale si verifica in una serie di condizioni relativamente non progressive e può associarsi a lieve disabilità; all’interno di questa categoria si distinguono forme ereditarie e forme sporadiche; la sindrome mioclono-distonia è tra le forme ereditarie un’entità molto ben definita. Il mioclono epilettico si verifica in diverse sindromi epilettiche in cui le crisi miocloniche rappresentano le manifestazioni cliniche maggiori; le crisi miocloniche dell’epilessia mioclonica giovanile sono un esempio paradigmatico di manifestazioni miocloniche di tipo epilettico; le epilessie miocloniche progressive si caratterizzano per la presenza di un deterioramento cognitivo progressivo, per un mioclono che determina compromissione motoria e che risulta resistente al trattamento antiepilettico, per la presenza di segni cerebellari e per un caratteristico rallentamento progressivo dell’attività elettrica cerebrale all’esame EEG. Il mioclono sintomatico rappresenta la categoria più vasta e comprende una serie

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TABELLA 2.  Classificazione del tremore in base alle condizioni attivanti. TIPO DI TREMORE

DEFINIZIONE

CARATTERISTICHE CLINICHE E MANOVRE ATTIVANTI

Tremore a riposo Si manifesta in parti del corpo completamente sup- Il paziente è sdraiato a letto o seduto con la parte del corpo interessaportate, rilassate e non attivate volontariamente. ta dal tremore supportata. Il tremore è spesso accentuato dallo svolgimento di compiti cognitivi o di azioni motorie che coinvolgano altre parti del corpo ed è spesso soppresso, anche se solo temporaneamente, dalla contrazione muscolare volontaria. Tremore in azione Tremore cinetico (semplice, intenzionale e task-specifico)

Si verifica durante i movimenti volontari. Il tremore Es. prova indice-naso, prova tallone-ginocchio, raggiungimento di un intenzionale si accentua quando la parte del corpo oggetto, scrivere, disegnare, versare dell’acqua in un bicchiere, maninteressata si avvicina al target da raggiungere. giare con le posate, parlare, ecc.

Tremore posturale

Si verifica nel tentativo di mantenere una specifica Es. l’estendere le braccia orizzontalmente, sedere senza alcun supporpostura o posizione contro la forza di gravità. to per il tronco, stare in piedi, mantenere protrusa la lingua fuori dalla bocca, ecc.

Tremore isometrico

Si verifica durante una contrazione muscolare con un Es. nello spingere contro un muro, flettere il polso contro un tavolo, oggetto rigido, non mobile. stringere il pugno, ecc.

TABELLA 3.  Più comuni forme di tremore.

Tremore a riposo Malattia di Parkinson Sindromi parkinsoniane Tremore mesencefalico (rubral tremor) Malattia di Wilson Tremore essenziale di grado severo Tremore in azione - posturale Accentuazione del tremore fisiologico (es. tremore indotto da farmaci o da sostanze tossiche) Tremore essenziale Tremore task-specifico Altri disturbi extrapiramidali (es. malattia di Parkinson, malattia di Wilson, distonia) Patologie interessanti in cervelletto Tremore neuropatico Tremore in azione - intenzionale Patologia cerebellare Sclerosi multipla Stroke a livello mesencefalico Trauma a livello mesencefalico

di condizioni a varia eziologia comunemente associate ad altri segni e sintomi neurologici come la demenza, il delirio e altri disturbi del movimento. Tremore Il tremore è un movimento involontario che si caratterizza per oscillazioni ritmiche intorno a un asse fisso. La velocità dei movimenti oscillatori risulta simmetrica e determina rispetto all’asse di movimento un pattern sinusoidale. Il tremore è spesso, ma non sempre, determinato da contrazioni ritmiche alternate di coppie di gruppi muscolari antagonisti. In base alle condizioni attivanti è possibile distinguere da un punto di vista clinico forme di tremore a riposo che si verificano in parti del corpo completamente

supportate, rilassate e non attivate volontariamente da forme di tremore in azione che si rilevano in occasione di contrazioni muscolari volontarie (Tabella 2). Il tremore in azione viene a sua volta distinto in tremore cinetico (tremore cinetico semplice in cui il tremore è grosso modo lo stesso durante tutta l’attività motoria volontaria, tremore intenzionale in cui si assiste a un aumento in crescendo del tremore quando la parte del corpo interessata si avvicina al target da raggiungere e tremore task-specifico che si manifesta solo in occasione di specifiche attività motorie come per esempio scrivere); tremore posturale (si manifesta quando viene volontariamente mantenuta una postura o posizione come per esempio mantenere le braccia estese in avanti) e tremore isometrico

(si manifesta durante la contrazione muscolare contro un oggetto fermo come ad esempio quando si stringe qualcosa). Il tremore può anche essere classificato a seconda della distribuzione anatomica in focale (quando interessa solo una parte del corpo come per esempio le strutture fonatorie, la testa, la mandibola o un arto), segmentale (quando sono coinvolte due o più parti del corpo contigue nella parte superiore o inferiore del corpo come testa e braccio), emitremore (quando è interessato un emilato del corpo) e generalizzato (quando sono coinvolti la parte superiore e inferiore del corpo). A seconda dell’eziologia è possibile distinguere forme genetiche, acquisite e idiopatiche. Le più comuni forme di tremore a riposo e in azione vengono elencati nella Tabella 3. Il tremore è meno comune nei bambini rispetto agli adulti; le cause più comuni di tremore in età pediatrica sono rappresentate da condizioni ereditarie (es. tremore essenziale), cause metaboliche (es. ipertiroidismo, squilibri elettrolitici), utilizzo di farmaci (es. acido valproico), malattie degenerative (es. malattia di Wilson), lesioni focali (es. tremore mesencefalico, tremore di Holmes), tremore psicogenetico e tremore fisiologico (accentuazione del tremore fisiologico). Tic I tic sono movimenti, frammenti di movimento o vocalizzazioni, ripetitivi, individualmente riconoscibili e intermittenti, che possono essere soppressi solo per brevi intervalli di tempo; il soggetto che ne è affetto tipicamente percepisce un forte impulso di mettere in atto il tic. Elementi caratteristici sono rappresentati dalla prevedibilità del tipo di movimento e del suo inizio, l’accentuazione/aumento della frequenza del disturbo del movimento durante stati di eccitazione o stress, dalla possibilità di poter inibire i tic per brevi intervalli di tempo con sensazione di


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TABELLA 4.  Caratteristiche chiave dei disturbi ipercinetici del movimento.

Distonia Corea Atetosi Mioclono Tremore Tics Stereotipie

Ritmicità

Posture ripetute

Movimenti ripetitivi stereotipati

Sopprimibilità

Raramente No No A volte Sì No Sì

Sì No No A volte No Sì A volte

A volte Raramente No Di solito sì Sì Sì Sì

Parzialmente o per breve tempo No No No Talvolta e per breve tempo Di solito sì Sì

TABELLA 5.  Elementi della valutazione clinica e loro correlazione a specifici disturbi del movimento di tipo

ipercinetico. Distraibilità

Distonia

Corea

Atetosi

Mioclono

Tremore

Tic

Stereotipie

No

No

No

No

No

Sopprimibilità

Parziale

No

No

No

Per poco tempo

Di solito sì

Durata

Variabile

In crescendo

In crescendo

Shock-like

In crescendo

Variabile

Variabile

Velocità

Variabile

Medio-veloce

Lento-medio

Molto veloce (< 1 secondo)

2-14 Hz

Variabile

2-6 Hz

Movimento rapido tipo scatto

A volte

A volte

No

Molto

A volte

A volte

Raro

Movimento stereotipato

Spesso

No

No

Di solito sì

Movimento ritmico

A volte

No

No

A volte

Di solito no

Movimento intermittente

A volte

A volte

No

A volte

A volte

Movimento in crescendo

A volte

A volte

No

Movimento fluido

No

No

No

A volte

A volte

Presenza di piccoli movimenti inscritti

No

Forse

No

No

A volte

No

Contesto

Movimento > riposo

Movimento > riposo

Riposo > movimento

Tutti

Variabile

A riposo

A riposo

Prevedibile

A volte

No

No

No

No

Spesso non consapevole

Pattern motorio normale

A volte

No

disagio da parte del paziente. In molti bambini il tentativo di sopprimere un tic determina una crescente urgenza di mettere in atto il movimento spesso preceduta da una premonizione di tipo sensoriale. C’è un’alta comorbidità tra tic e disturbo ossessivo compulsivo e talvolta è difficile distinguere i tic motori complessi dai comportamenti di tipo compulsivo. I tic vengono classificati in due grandi categorie (motori e vocali) e all’interno di queste in due gruppi (semplici e complessi). I tic motori semplici coinvolgono un singolo muscolo o un gruppo di muscoli localizzato (es. ammiccamenti palpebrali, movimenti del capo, movimenti di sollevamento della spalla). I tic motori complessi (movimenti o sequenze di movimento che coinvolgono più

gruppi muscolari) possono essere movimenti non finalizzati (es. movimenti del volto o del corpo) o movimenti apparentemente finalizzati, ma che di fatto non hanno uno scopo in quel determinato contesto (es. toccare, colpire, odorare, saltare, rannicchiarsi, imitare movimenti osservati [ecoprassia], compiere gesti osceni [coproprassia]). I tic vocali semplici consistono nella produzione di vari suoni e rumori (es. grugniti, colpi di tosse, grida, urla, gemiti, annusare/tirare su con il naso, schiarirsi la voce). I tic vocali complessi comprendono vocalizzazioni ed espressioni verbali aventi significato; le verbalizzazioni possono includere la ripetizione di parole, sillabe o frasi (ecolalia [ripetizione delle parole sentite da altri], palilalia [ripetizione delle proprie

parole]) o la produzione di parole oscene/profane [coprolalia]). Un disturbo da tic si definisce transitorio quando i tic (motori o vocali) esordiscono in un individuo prima del compimento dei 18 anni e durano meno di un anno; il disturbo non può essere attribuito a problematiche di tipo psicologico, all’utilizzo di sostanze o farmaci o a una specifica patologia (es. malattia neurodegenerativa, sindrome neuro cutanea, ecc.). Si parla invece di disturbo da tic cronico quando i tic (motori o vocali, ma non entrambi) esorditi in un individuo di età inferiore ai 18 anni durano più di un anno; anche in questo caso i tic non possono essere attribuiti all’uso di sostanze/farmaci o a specifica patologia.

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La sindrome di Tourette è un disturbo neuropsichiatrico complesso caratterizzato dalla presenza di tic multipli di tipo motorio e di almeno un tic vocale con esordio prima dei 18 o 21 anni (a seconda di quali criteri diagnostici vengano utilizzati); la diagnosi è spesso supportata dalla presenza di anomalie comportamentali che includono il disturbo da deficit di attenzione con iperattività (ADHD) e il disturbo ossessivo-compulsivo o altre problematiche psichiatriche (es. disturbo d’ansia, disturbo dell’umore, disturbo della condotta, ecc.); una storia familiare con sintomi simili può essere di supporto alla diagnosi di questa condizione. Stereotipie Le stereotipie sono movimenti ripetitivi semplici che possono essere interrotti volontariamente. Le stereotipie sono tipicamente dei movimenti in avanti e all’indietro come per esempio l’agitare o il battere le mani o le braccia e non si manifestano con movimenti o frammenti di movimento di tipo complesso. I movimenti sono spesso, ma non sempre, ritmici e possono coinvolgere le dita, i polsi o le regioni più prossimali degli arti superiori; gli arti inferiori tipicamente non vegono interessati. Le stereotipie possono essere unilarerali o bilaterali, ma sono più comunemente bilarerali. Probabilmente non c’è sensazione di urgenza che precede il disturbo del movimento e si verificano sia che il bambino sia stressato, eccitato, distratto o impegnato. Le stereotipie possono essere interrotte dalla distrazione o dall’inizio di un’altra attività. In genere non interferiscono significativamente con lo svolgimento delle attività in corso, anche se possono transitoriamente interromperle. Sebbene le stereotipie abbiano inizio e fine chiari la durata può essere variabile, anche di diversi minuti, fino a quando il bambino non venga distratto con un’altra attività. Le stereotipie si manifestano spesso in bambini con alterazioni del neurosviluppo, tra cui i disturbi dello spettro autistico, ma possono verificarsi anche in bambini neurotipici, tipicamente in età prescolare. Quindi la presenza di stereotipie motorie non è di per sé diagnostica o predittiva di patologia neurologica e risulta scarsamente informativa rispetto alla prognosi e poco orientativa rispetto alle possibili diagnosi differenziali nell’ambito dei disturbi del neurosviluppo. Disturbi del movimento di tipo ipocinetico

I disturbi del movimento di tipo ipocinetico si caratterizzano per una riduzione dell’attività motoria e sono spesso associati a rigidità, instabilità posturale e a perdita dei movimenti automatici associati ai normali pattern motori. Anche in queste condizioni la diagnosi trova il suo principale cardine nell’at-

tenta osservazione delle caratteristiche cliniche del disturbo del movimento (Jankovic J, et al. 2016). I disturbi ipocinetici del movimento sono piuttosto rari nel bambino e verranno discusse le forme più comuni (malattia di Parkinson, malattia di Wilson, malattia di Huntington e neurodegenerazione con accumulo intracerebrale di ferro). La malattia di Parkinson e i parkinsonismi a varia eziologia rappresentano l’esempio emblematico dei disturbi ipocinetici del movimento; queste condizioni si caratterizzato per la presenza di lentezza nel movimento, tremore a riposo, rigidità e disturbo dell’andatura; i sintomi non motori includono deficit olfattivo, problematiche comportamentali, deficit di tipo cognitivo, disturbi del sonno e disfunzioni autonomiche. La malattia di Parkinson tipicamente si manifesta in età avanzata, tuttavia forme a esordio precoce possono verificarsi al di sotto dei 40 anni; se la malattia si manifesta prima del compimento dei 20 anni si parla di forma giovanile. La malattia di Wilson (degenerazione epatolenticolare) è una condizione trattabile, causa di parkinsonismo giovanile, distonia, tremore e altri disturbi del movimento. È determinata da mutazioni a carico del gene ATP7B che causano una riduzione del trasporto del rame dagli epatociti alla bile, con conseguente accumulo di rame a livello del fegato e di altri tessuti incluso il sistema nervoso centrale. La malattia di Huntington si manifesta tipicamente nella quarta-quinta decade di vita, tuttavia l’esordio dei sintomi si verifica durante l’infanzia o l’adolescenza approssimativamente nel 5-7% dei pazienti affetti. I pazienti con malattia di Huntington a esordio giovanile sviluppano distonia, atassia e crisi epilettiche; alcuni di questi sviluppano una sindrome acinetico-rigida denominata variante Westphal. Nel bambino con malattia di Huntington la progressione di patologia è più rapida rispetto a quanto si verifica nell’adulto. La neurodegenerazione con accumulo intracerebrale di ferro (NBIA) è rappresentata da uno spettro di condizioni fenotipicamente sovrapponibili da un punto di vista clinico, ad andamento progressivo, caratterizzate dalla presenza di parkinsonismo, distonia, deterioramento cognitivo e altri possibili deficit neurologici. Si distinguono diverse forme determinate da meccanismi eziopatogenetici differenti (Tabella 6).

I disturbi del movimento classificati in base all’eziologia e all’andamento clinico nel tempo Disturbi del movimento nelle condizioni caratterizzate da alterazione del neurosviluppo

I disturbi del neurosviluppo sono rappresentati da un gruppo di condizioni che si mani-

TABELLA 6. Condizioni determinanti neurodegenerazione con accumulo intracerebrale di ferro (NBIA).

- Neurodegenerazione associata a deficit di pantotenato chinasi. - Distrofia neuroassonale infantile. - Neurodegenerazione associata a disfunzione delle proteine di membrana mitocondriali. - Neurodegenerazione associata alle proteine beta-propeller. - Neurodegenerazione associata a deficit di idrossilazione degli acidi grassi. - Sindrome di Kufor-Rakeb. - Neuroferritinopatia. - Aceruloplasminemia. - Sindrome di Woodhouse-Sakati. - NBIA da causa sconosciuta.

festano clinicamente nelle fasi piuttosto precoci dello sviluppo del bambino e che spesso determinano una compromissione funzionale in diverse aree del funzionamento adattivo (personale, sociale, scolastico e lavorativo). I disturbi del neurosviluppo comprendono, secondo la classificazione del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali quinta edizione (DSM-5), la disabilità intellettiva, i disturbi della comunicazione, i disturbi dello spettro autistico, il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD), i disturbi specifici di apprendimento e i disturbi motori. Più disturbi del neurosviluppo possono coesistere nello stesso bambino (es. bambini con disturbo dello spettro autistico con associata disabilità intellettiva o bambini con disturbo da deficit di attenzione/iperattività con associate difficoltà specifiche di apprendimento scolastico, ecc.). In alcuni disturbi del neurosviluppo e nello specifico nei disturbi dello spettro autistico e nelle condizioni caratterizzate dalla presenza di disabilità intellettiva è abbastanza comune rilevare la presenza di disturbi del movimento. Disturbi del movimento comunemente presenti nei disturbi dello spettro autistico o in condizioni associate a disabilità intellettiva sono per esempio rappresentati dalle stereotipie motorie, dai disturbi dell’andatura (es. cammino sulle punte dei piedi, scarso equilibrio, riduzione dei movimenti pendolari degli arti superiori durante il cammino), disprassia e posture anomale (es. posture anomale del capo, tronco e arti, “W-sitting”, ecc.). Il cammino sulle punte, condizione di comune riscontro nella pratica clinica, può dipendere da anomalie strutturali (es. contrattura tendinea, discrepanza nella lunghezza degli arti inferiori, ecc.), da alterazioni del neurosviluppo/neurologiche/neuromuscolari (es. disturbi dello spettro autistico, paralisi cerebrale infantile, distrofia muscolare, ecc.) o è più comunemente idiopatico (si rileva in bambini sani e non risulta riconducibi-


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le ad alcuna causa con l’applicazione degli strumenti diagnostici disponibili); un’attenta valutazione clinica comprensiva di esame obiettivo generale e neurologico unitamente a specifici esami strumentali, se indicati, consentono il raggiungimento di una corretta diagnosi e di scegliere il trattamento più idoneo per questa condizione (Ruzbarsky JJ, et al. 2016). Disturbi del movimento psicogenetici

I disturbi psicogenetici del movimento sono disturbi del movimento non attribuibili a un’alterazione organica o lesionale del sistema nervoso centrale, ma risultanti invece da una causa psicologica o da una patologia psichiatrica. I disturbi psichiatrici più frequentemente associati a disturbo psicogenetico del movimento sono la depressione maggiore, il disturbo d’ansia, i disturbi somatoformi, i disturbi di personalità e il disturbo fittizio. I disturbi psicogenetici del movimento vanno distinti dalla simulazione, condizione in cui un soggetto finge un disturbo motorio per ottenere un vantaggio secondario. I fattori di rischio per l’insorgenza di un disturbo psicogenetico del movimento sono spesso eventi particolarmente stressanti dal punto di vista emozionale/psichico (es. abusi sessuali o violenze, interventi chirurgici, traumi fisici, ecc.). Gli indizi clinici che suggeriscono l’origine psicogenetica di un disturbo del movimento sono ricavabili dall’anamnesi (esordio brusco, rapida progressione fino alla massima gravità, decorso non progressivo con variazioni irregolari nel tempo e aggravamenti improvvisi, remissione spontanea, sintomi inspiegabili dal punto di vista medico), dalla valutazione del paziente (disturbo del movimento inconsistente nel tempo e con caratteristiche incongruenti rispetto ai disordini del movimento di origine organica, presenza di più movimenti anomali in associazione, segni sensitivi o motori di natura non organica, mancata risposta a trattamenti specifici, risposta al placebo, remissione dopo trattamento psicologico) e dall’analisi dello specifico disturbo del movimento (variazioni del disturbo del movimento con distrazione/attenzione, risposte paradosso nei confronti di alcune manovre neurologiche, distribuzione atipica delle aree corporee interessate dal disturbo del movimento, ecc.). Un disturbo del movimento psicogenetico non va mai sottovalutato/sminuito rispetto ai disturbi del movimento su base organica ed è sempre fondamentale una valutazione psicologica o psichiatrica finalizzata al raggiungimento di una corretta diagnosi e successivamente a un adeguato trattamento. Evitare il danno iatrogeno derivante dal sottoporre il paziente a esami invasivi non necessari o a trattamenti inappropriati è molto importante. Una chiara spiegazione della

natura del disturbo in modo che risulti ben comprensibile sia al bambino/adolescente che ai suoi genitori rappresenta il primo ed essenziale passo verso il trattamento. Disturbi del movimento transitori/benigni dell’infanzia

I neonati e i bambini possono presentare una serie di disturbi del movimento transitori che tipicamente regrediscono con la crescita. I movimenti anomali possono presentarsi come mioclono, distonia o tremore e sono spesso parossistici. Lo sviluppo psicomotorio e la valutazione neurologica di questi bambini risultano tipicamente normali. Condizioni benigne caratterizzate dalla presenza di mioclono includono per esempio il mioclono neonatale benigno durante il sonno che si verifica esclusivamente quando il bambino dorme e scompare in veglia e il mioclono benigno dell’infanzia che può mimare gli spasmi presenti nella sindrome di West. Una sintomatologia tremorigena può manifestarsi in alcuni neonati con ipereccitabilità (“jitteriness”), stimolo sensibile, o durante la prima infanzia con manifestazioni tipo “brivido” (“shuddering”). Lo spasmus nutans, che si può manifestare in età infantile, si caratterizza per la triade titubazioni del capo (“head nodding” o “head bobbing”), nistagmo e postura anomala del capo (testa ruotata o deviata) (quest’ultimo segno clinico non è sempre presente e osservabile solo nel 30-40% dei casi); nel caso dello spasmus nutans è indicato effettuare oltre a una visita neurologica, una valutazione oftalmologica comprensiva di studio di elettrofisiologia oculare (potenziali evocati visivi ed elettroretinogramma) e uno studio neuroradiologico per escludere condizioni sintomatiche che clinicamente possono manifestarsi con sintomi analoghi (es. gravi difetti di refrazione, patologie retiniche, glioma del chiasma o del nervo ottico, ipoplasia del verme cerebellare, tumori cerebrali, malattia di Pelizaeus Merzbacher, ecc.). Alcune condizioni transitorie caratterizzate dalla presenza di pattern motori di tipo distonico includono il torcicollo parossistico benigno dell’infanzia (considerato un equivalente emicranico e che si manifesta con episodi periodici di inclinazione del capo con talora associati pallore, vomito, irritabilità o atassia), la distonia idiopatica benigna dell’infanzia (caratterizzata da distonia segmentale a riposo, interessante di solito un braccio, che scompare con i movimenti volontari), la sindrome di Sandifer (caratterizzata dalla presenza di torcicollo o posture in opistotono determinate dal reflusso gastro-esofageo), la masturbazione infantile (caratterizzata dal ripetersi di movimenti stereotipati e/o posture a livello degli arti inferiori) e la deviazione parossistica coniugata degli occhi verso l’alto che può simulare

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una distonia oculare e che si associa spesso a flessione del capo. Il trattamento di queste condizioni benigne e transitorie non è necessario ed è importante il loro riconoscimento per rassicurare i genitori ed evitare l’effettuazioni di indagini inutili (Bonnet C, et al. 2010; Fernández-Alvarez E. 2018). Disturbi del movimento a esordio acuto

Un disturbo del movimento a esordio acuto in un bambino sano rende necessaria una valutazione neurologica urgente. È utile avere familiarità con i disturbi del movimento che tipicamente possono esordire acutamente in età pediatrica (Tabella 7). Le condizioni che più frequentemente causano un disturbo del movimento a esordio acuto sono le malattie infettive/infiammatorie/autoimmuni, i farmaci (effetto collaterale o intossicazione) e i disturbi psicogenetici. Un’accurata diagnosi è fondamentale perché molte di queste condizioni sono trattabili. Un disturbo del movimento a esordio acuto può insorgere anche in bambini con un preesistente disturbo del movimento; un esempio di tale circostanza è il peggioramento acuto di una distonia (stato distonico) in un bambino con paralisi cerebrale infantile con caratteristiche distonico/discinetiche; un altro esempio può essere rappresentato dall’insorgenza acuta di una grave corea e ballismo in un bambino con encefalopatia da mutazione del gene GNAO1. In queste ultime due situazioni è spesso necessario un accesso presso un reparto ospedaliero pediatrico, possibilmente provvisto di unità di terapia intensiva, per la gestione in acuto del disturbo. Disturbi del movimento ad andamento cronico

Molti disturbi del movimento che interessano l’età pediatrica hanno un andamento cronico e possono essere geneticamente determinati o acquisiti. Le forme geneticamente determinate rappresentano condizioni rare e fenotipicamente molto diverse tra loro; in alcune forme le caratteristiche distintive di tipo clinico/neurologico e della storia possono fortemente orientare la diagnosi verso una determinata malattia che può poi essere poi confermata da specifici test genetici; in altre sono necessari approfondimenti diagnostici ad ampio spettro (es. esami di screening per patologie metaboliche, test genetici su pannelli specifici per i disturbi del movimento, analisi genetiche mediante tecniche di next-generation sequencing, ecc). Alcuni marker biochimici possono permettere in maniera rapida la diagnosi di specifiche condizioni metaboliche correlate a disturbo del movimento per cui è possibile un trattamento (Tabella 8). Tra le forme acquisite le paralisi cerebrali infantili rappresentano la condizione più comune associata a disturbo del movimento in età pediatrica; la pa-

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TABELLA 7.

Condizioni comuni con disturbo del movimento a esordio acuto nel bambino.

Disturbo del movimento Corea

Cause

Commenti

Post-streptococcica (corea Nell’encefalite con anticorpi anti-N-metil-D-aspartato (NMDA) e in altre encefaliti di Sydenham), altre encefaliti autoimmuni il disturbo del movimento è spesso misto (distonia, stereotipie); il trattaautoimmuni mento è di tipo immunomodulante. Indotta da farmaci

Farmaci anticolinergici, dopaminergici (corea acuta), bloccanti dei recettori per la dopamina (forma tardiva con spesso associati acatisia e distonia; discinesia da sospensione con movimenti ipercinetici e atassia).

Distonia

Reazione distonica acuta

Causata da farmaci che bloccano i recettori dopaminergici, inclusi gli antipsicotici e gli antiemetici (es. metoclopramide); il trattamento degli episodi acuti consiste nella somministrazione di farmaci anticolinergici.

Mioclono

Sindrome opsoclonomioclono-atassia

Può essere associata ad atassia, disturbo del sonno, irritabilità; spesso determinata dal neuroblastoma; la terapia è immunosoppressiva.

Atassia

Atassia cerebellare post-infettiva

Può verificarsi in seguito a una malattia infettiva intercorrente o a una vaccinazione; esordio acuto con recupero completo nel 90% dei casi in un periodo di 2-3 mesi.

Intossicazione da farmaci

Es. antiepilettici, benzodiazepine, antistaminici; tipicamente si associa un’alterazione del normale stato di reattività/vigilanza.

Indotto da farmaci

Causato da farmaci che bloccano i recettori per la dopamina.

Encefalite autoimmune

Condizione rara; associata a lesioni di tipo infiammatorio interessanti i nuclei della base.

Disturbo psicogenetico del movimento

Caratteristiche cliniche incongruenti con le forme note di disturbo del movimento; il trattamento inizia con una corretta comunicazione diagnostica e prosegue con l’affrontare le problematiche psicologiche/psichiatriche determinanti il disturbo.

Parkinsonismo

Tremore, distonia, disturbo del cammino

TABELLA 8.  Malattie metaboliche per cui esiste un trattamento che si possono manifestare con disturbo del movimento in età pediatrica.

Caratteristiche cliniche principali

Caratteristiche dell’esame RM encefalo

Infanzia

Ipotonia, distonia, crisi oculogire, ptosi, disfunzioni autonomiche

Generalmente normale

Alterazioni specifiche dipendenti dalla specifica condizione interessanti i metaboliti e le pterine dei neurotrasmettitori (monoamine) a livello liquorale

Somministrazione del precursore del neurotrasmettitore carente e in condizioni specifiche tetraidrobiopterina e acido folinico

SLC2A1

Infanzia

Atassia, spasticità, distonia, discinesia parossistica indotta dall’esercizio, crisi epilettiche, disabilità intellettiva

Generalmente normale

Ipoglicorrachia, glicemia normale, lattato liquorale a concentrazioni basse/normali

Dieta chetogena

TPP1

Infanzia

Ritardo dello sviluppo del linguaggio, crisi epilettiche polimorfe (es. tonico-cloniche generalizzate, miocloniche, atoniche) e spesso farmacoresistenti, deterioramento cognitivo, regressione dello sviluppo psicomotorio, disturbi del movimento (mioclono epilettico/non epilettico, atassia, distonia, spasticità e più raramente corea, atesosi, tremore, parkinsonismo), disturbi del sonno, alterazioni comportamentali, ipovisione

Può apparire normale in fase precoce di malattia e successivamente documentare atrofia cerebellare o diffusa con perdita di volume della sostanza grigia corticale, iperintensità a livello della sostanza bianca periventricolare nelle sequenze T2 pesate o disorganizzazione della struttura della sostanza bianca nelle sequenze in diffusione

Deficit dell’attività dell’enzima TPP1 testabile su leucocici, fibroblasti o goccia di sangue essiccata su filtri di carta bibula

Trattamento di sostituzione enzimatica attraverso la somministrazione periodica all’interno del sistema ventricolare cerebrale di enzima ricombinante umano TPP1

Condizione

Gene/i

Malattie dei neurotrasmettitori (monoamine)

GCH, TH, PTS, QDPR, SPR, DDC, DNAJC12

Sindrome da deficit del trasportatore del glucosio (GLUT1-DS)

Ceroidolipofuscinosi neuronale tipo 2

Eta d’esordio

Esami di laboratorio

Trattamento

(segue)


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Condizione

Gene/i

Eta d’esordio

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Caratteristiche cliniche principali

Caratteristiche dell’esame RM encefalo

Esami di laboratorio

Trattamento

Deficit cerebrale di folati

FOLR1*

Infanzia

Ipotonia, ritardo dello sviluppo psicomotorio, irritabilità, atassia, spasticità, corea, distonia, crisi epilettiche

Atrofia frontotemporale, ipeintensità nelle immagini T2 pesate a livello della sostanza bianca periventricolare; può essere normale

Ridotta concentrazione liquorale di 5-metiltetraidrofolato

Acido folinico

Alterazione dei nuclei della base che risponde al trattamento con tiamina e biotina

SLC19A3

Infanzia

Encefalopatia acuta ad andamento ricorrente, distonia, spasticità, atassia, crisi epilettiche

Iperintensità nelle sequenze T2 pesate a livello dei nuclei della base e del tronco encefalico

Elevate concentrazioni liquorali di lattato, alterazioni del profilo degli acidi organici urinari

Tiamina, biotina

Deficit di piruvato deidrogenasi

PDHA1, DLAT, altri

Infanzia

Atassia (può essere intermittente nelle forme più lievi), ipotonia, disabilità intellettiva, crisi epilettiche, discinesia indotta dall’esercizio (rara)

Ventricolomegalia, disgenesia del corpo calloso, iperintensità nelle sequenze T2 pesate a livello dei nuclei della base e del tronco encefalico

Elevati livelli di lattato, piruvato (palsma, liquor cefalorachidiano) con normale rapporto lattato/ piruvato

Dieta chetogena, tiamina

Deficit di biotinidasi

BTD

Infanzia

Atassia, ipotonia, crisi epilettiche, rash cutanei eczematosi, alopecia

Atrofia cerebrale con iperintensità della sostanza bianca nelle sequenze T2 pesate

Alte concentrazioni sieriche di ammonio, elevati livelli di lattato, possibili alterazioni nel profili degli acidi organici urinari; ridotta attività enzimatica della biotinidasi

Biotina

Deficit Coenzima Q10

COQ8A, PDSS2, altri

Dall’infanzia all’età adulta

Atassia, possibile encefalopatia, spasticità, crisi epilettiche, miopatia, disabilità intellettiva, sordità neurosensoriale

Può essere presente atrofia cerebellare

Elevati livelli plasmatici di lattato, ridotte concentrazioni di coenzima Q10

Coenzima Q10 (ubichinone)

Sindromi da deficit cerebrale di creatina

GAMT, GATM, SLC6A8

Infanzia, adolescenza

Distonia, corea, atassia, crisi epilettiche, disabilità intellettiva, iperattività, disturbi del comportamento

Iperintensità nelle sequenze T2 pesate a livello del globo pallido; l’esame RM encefalo può essere normale

Elevati livelli di acido guanidinacetico (GAA), bassi livelli di creatina (urine e plasma)

Limitazione nell’assunzione di arginina, suplementazione di creatina e ornitina

Atassia con deficit di vitamina E

TTPA

Infanzia, adolescenza

Atassia, distonia, tremore del capo; può essere presente neuropatia periferica e riduzione della sensibilità vibratoria

Può essere presente atrofia cerebellare (in circa la metà dei casi descritti in letteratura)

Riduzione dei livelli plasmatici di vitamina E

Vitamina E

Malattia di Wilson

ATP7B

Infanzia, adolescenza

Distonia, parkinsonismo, tremore, sintomi da malattia epatica

Alterazioni di segnale iperintense nelle sequenze T2 pesate interessanti i nuclei della base e il mesencefalo; possibile presenza di iperintensità nelle sequenze T1 pesate del globo pallido

Livelli sierici ridotti o normali di rame e ceruloplasmina; aumento dell’escrezione urinaria di rame

Agenti chelanti il rame; zinco; trapianto epatico per i pazienti che non rispondono alla terapia medica o con insufficienza epatica acuta

Ipermanganesemia

SLC30A10

Infanzia, età adulta

Distonia, parkinsonismo, policitemia, sintomi da malattia epatica

Iperintensità nelle sequenze T1 pesate a livello dei nuclei della base con risparmio dei talami

Elevati livelli ematici di manganese

Chelazione con calcio edetato bisodico; ferro

* Le mutazioni a carico del gene FOLR1 rappresentano una rara causa di deficit cerebrale di folati; la causa più comune di questa condizione è rappresentata dalla presenza di autoanticorpi che si legano al recettore per i folati.

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FAD

ralisi cerebrale infantile forma discinetica è il fenotipo attribuito al 10-15% dei bambini con paralisi cerebrale infantile i cui sintomi motori sono prevalentemente rappresentati da movimenti involontari; i bambini con paralisi cerebrale infantile forma discinetica possono presentare una combinazione di distonia e atetosi con spesso associata ipotonia assiale con o senza spasticità a livello degli arti; la paralisi cerebrale infantile forma discinetica è tipicamente associata a lesioni a livello dei nuclei della base; la distonia è un disturbo del movimento comune nei bambini con paralisi cerebrale infantile di altro tipo incluse le forme emiplegiche, diplegiche e tetraplegiche che hanno lesioni cerebrali che risparmiano i nuclei della base. Disturbi del movimento parossistici

Discinesie parossistiche Le discinesie parossistiche sono disturbi del movimento di tipo ipercinetico che clinicamente possono manifestarsi con corea, distonia, atetosi e ballismo, isolati o in combinazione, con episodi circoscritti; le persone che ne sono affette sono asintomatiche tra un episodio e l’altro. Le discinesie parossistiche possono essere indotte dal movimento (PKD), non indotte dal movimento (PNKD) e indotte dall’esercizio (PED). La classificazione di questi disturbi del movimento si basa su caratteristiche cliniche e genetiche (Tabelle 9-10). La diagnosi differenziale di tali disturbi è ampia e include i disturbi del movimento di tipo psicogenetico, le crisi epilettiche e altri disturbi del movimento. Cause secondarie di discinesie parossistiche includono infezioni, cause metaboliche, malformazioni strutturali e malattie neoplastiche (Tabella 11). Il trattamento dipende dal tipo di discinesia (es. le forme PKD rispondono alla terapia antiepilettica mentre le forme PNKD e PED rispondono all’evi-

tamento dei fattori trigger e dell’esercizio rispettivamente).

derate di deficit di piruvato deidrogenasi e deficit di biotinidasi.

Atassie intermittenti ed episodiche Le atassie episodiche sono un gruppo di disturbi del movimento a trasmissione autosomico dominante caratterizzate da attacchi intermittenti di atassia con di solito associate alterazioni neurologiche nei periodi interictali di grado lieve-moderato. L’età d’esordio può variare dai 2 ai 20 anni. I pazienti con atassia episodica tipo 1 (determinata da mutazioni a livello del gene KCNA1) tipicamente presentano brevi attacchi di atassia, di durata che può variare da alcuni secondi a minuti, che possono essere scatenati da uno spavento improvviso o dall’esercizio e presentano tra un attacco e l’altro fenomeni di miochimia all’esame neurologico. I pazienti con atassia episodica tipo 2 (la più comune causa di atassia episodica, determinata da mutazioni a livello del gene CACNA1A) presentano attacchi di atassia che durano da minuti a ore e possono presentare nistagmo indotto dalla fissazione nei periodi interictali. Alcuni pazienti con atassia episodica tipo 2 possono sviluppare nel tempo un’atassia progressiva. Ci sono anche altre più rare forme di atassia episodica descritte in alcune famiglie. Il trattamento con acetazolamide può essere efficace nel prevenire gli attacchi soprattutto nell’atassia episodica tipo 2 (Jen JC, et al. 2018). Alcune condizioni che si presentano con atassia ricorrente possono essere dovute ad alterazioni metaboliche trattabili; queste patologie possono presentarsi in infanzia o nel periodo preadolescenziale e si caratterizzano per la presenza di atassia intermittente che può essere associata a segni clinici di encefalopatia; alcuni esempi sono rappresentati dalle acidurie organiche (es. metilmalonico aciduria, acidemia propionica), dai difetti del ciclo dell’urea (es. deficit di ornitina transcarbamilasi), forme lievi-mo-

Emiplegia alternante L’emiplegia alternante è una patologia neurologica rara che colpisce circa 1 bambino su 1.000.000, con esordio in età infantile, caratterizzata clinicamente da episodi ricorrenti di emiplegia interessanti ad alterna prevalenza entrambi gli emilati del corpo e da altre manifestazioni parossistiche come crisi epilettiche, attacchi distonici, tetraplegia, movimenti oculari anomali e disfunzione autonomica; gli episodi hanno una frequenza variabile, possono durare da pochi minuti a diversi giorni e in genere si risolvono durante il sonno; tale condizione è causata principalmente da mutazioni patogenetiche de novo a livello del gene ATP1A3 (Masoud M, et al. 2017). Sono spesso presenti in comorbidità altri disturbi come per esempio l’epilessia, il disturbo da deficit di attenzione con iperattività (ADHD), problematiche di tipo comportamentale, anomalie nel funzionamento cognitivo/adattivo, difficoltà di apprendimento, atassia, disturbi del movimento, emicrania e alterazioni della conduzione cardiaca. Non esiste a oggi una terapia in grado di modificare il decorso di malattia; alcune strategie terapeutiche prevedono l’utilizzo di benzodiazepine, flunarizina, topiramato, dieta chetogena, trieptanoina, steroidi, amantadina, memantina, aripiprazolo, ATP orale, coenzima Q , acetazolamide, dextrometorfano e stimolazione vagale per il trattamento degli attacchi acuti o per ridurre la frequenza e l’intensità degli episodi ricorrenti (Samanta D. 2020). Encefalopaie epilettico-discinetiche Si tratta un gruppo clinicamente e geneticamente eterogeneo di condizioni che possono manifestarsi in epoca infantile precoce con

TABELLA 9.  Caratteristiche cliniche delle discinesie parossistiche (PKD, PNKD e PED) (modificata da Méneret, et al.

2016; Hao, et al. 2015; Singer, et al. 2016). Caratteristiche

PKD

PNKD

PED

Durata

< 1 minuto

da minuti a ore

da minuti a ore

Comuni fattori trigger

movimento improvviso

alcol, caffeina, stress

esercizio

Rapporto maschi/femmine

2:1

1.5:1

1:1

Frequenza

100/al giorno

poche volte al giorno

variabile (in genere una volta al giorno)

TABELLA 10.  Genetica delle discinesie parossistiche (modificata da Camargo, et al. 2014).

DYTn

Denominazione clinica

Locus genetico

Gene

DYT8

PNKD tipo 1

2q

MR-1

DYT20

PNKD tipo 2

2q

-

DYT10

PKD tipo 1

16pq

PRRT2

DYT19

PKD tipo 2

16q

-

DYT18

PED

1p

SLC2A1


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sintomi che vanno da un disturbo ipercinetico del movimento (più frequentemente corea, ma anche distonia e stereotipie) fino a gravi forme di encefalopatia epilettica. Mutazioni a livello dei geni FOXG1, GNAO1, GRIN1, SCN8A, FRRS1L, GPR88, UNC13A e SYT1 sono stati descritti come associati a tali patologie (Carecchio M, et al. 2017; Mencacci NE, et al. 2016; De Gusmao CM, et al. 2018) e questa lista è destinata a estendersi in relazione ai continui progressi della genetica molecolare.

Valutazione clinica del bambino con disturbo del movimento

Nel bambino può essere difficile distinguere i movimenti fisiologici da un disturbo del movimento. La diagnosi di un disturbo del movimento richiede un’osservazione diretta del movimento finalizzata a descriverne la fenomenologia ed è per questo molto utile effettuare o richiedere ai genitori registrazioni video che consentano un’attenta analisi del movimento del bambino. Valutazione ambulatoriale

Anamnesi: una valutazione precisa di un bambino con disturbo del movimento inizia da un’accurata raccolta anamnestica particolarmente orientata alla storia del disturbo del movimento del paziente. È importante, quando possibile, ottenere informazioni direttamente dal bambino e integrare tali informazioni con i dati anamnestici forniti dai genitori (Tabella 12). Elementi particolarmente importanti da analizzare includono il possibile effetto di elementi di rischio di danno cerebrale nel periodo perinatale (es. prematurità, parto complicato, altri fattori che hanno reso necessario accesso in terapia intensiva neonatale), l’età d’esordio dei primi sintomi, la storia familiare, le caratteristiche dello sviluppo psicomotorio, il tipo di andamento nel tempo dei sintomi (stabili? progressivi? intermittenti/fluttuanti? peggiorati dallo stress, da malattie intercorrenti o dall’esercizio fisico?). È altrettanto importante indagare sulla storia della gravidanza, del periodo perinatale, dello sviluppo psicomotorio, analizzare la presenza di eventuali problematiche di tipo psicologico presenti, l’anamnesi familiare, la presenza di problematiche di tipo sociale e di altre possibili patologie mediche presenti. Esame obiettivo generale: oltre che agli aspetti della normale valutazione della visita medica particolare attenzione andrà posta all’identificazione di possibili dismorfismi indicativi di una specifica condizione sindromica, alla ricerca di alterazioni cutanee suggestive di una sindrome neurocutanea e alla palpazione degli organi addominali alla ricerca di organomegalie presenti in alcune malattie da accumulo; il riscontro di alcune specifiche

TABELLA 11.

FAD

Discinesie parossistiche secondarie.

Infezioni del sistema nervoso centrale

CMV, sifilide, AIDS, panencefalite sclerosante subacuta

Malattie/alterazioni metaboliche

Malattia di Wilson, malattia delle urine a sciroppo d’acero, pseudoparaipotiroidismo con calcificazioni dei nuclei della base, ipoparatiroidismo, tireotossicosi, ipoglicemia/insulinoma, iperglicemia, ipocalcemia, diabete

Traumi

Danno anossico cerebrale, lesioni del midollo spinale, paralisi cerebrale, trauma cranico

Patologie vascolari

Malattia di Moyamoya, attacco ischemico transitorio, stroke

Patologie tumorali

Mengioma parasagittale, linfoma del sistema nervoso centrale

Malformazioni strutturali

Malformazione di Arnold-Chiari con siringomielia, displasia corticale

Indotte da farmaci

Terapia con metilfenidato

Altre cause

Paralisi sopranucleare progressiva, neuroacantocitosi

Informazioni anamnestiche mirate ad analizzare la storia del disturbo del movimento.

TABELLA 12.

- Il bambino è consapevole del disturbo del movimento presente? - Chi nota di più o chi è più preoccupato e/o stressato dalla presenza del disturbo del movimento? - Il disturbo del movimento viene percepito dal bambino come volontario (“lo sto facendo”), involontario (“accade”) o entrambi? - Che tipo di esordio ha avuto e qual è l’andamento del disturbo del movimento? - Esistono dei fattori o delle situazioni che sembrano accentuare o attenuare il disturbo del movimento? - Il disturbo del movimento si accentua o si riduce in alcuni momenti della giornata? - Il disturbo del movimento è presente o assente durante il sonno? - Il disturbo del movimento si associa a sensazioni di tipo premonitorio o a sensazione di dover mettere in atto con urgenza il movimento? - I movimenti sono sopprimibili con la volontà o con stratagemmi di tipo sensoriale? - Ci sono dei segni o sintomi di tipo neurologico o non neurologico in associazione? - Il disturbo del movimento causa dolore? Interferisce con lo svolgimento delle normali attività di vita quotidiana? Causa imbarazzo al bambino? - Il bambino è già stato sottoposto a precedenti valutazioni/esami?

Figura 4. Approccio diagnostico al bambino con disturbo del movimento (modificata da O’Malley JA, et al. 2017).

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alterazioni a livello oculare può fornire elementi che orientano fortemente la diagnosi verso specifiche condizioni patologiche (es. anelli di Kayser-Fleischer suggestivi di malattia di Wilson, retinopatia pigmentaria o atrofia ottica entrambe associate a forme neurodegenerativa con accumulo intracerebrale di ferro); una valutazione muscoloscheletrica sarà fondamentale per valutare l’eventuale presenza di anomalie strutturali interessanti tronco e arti. Esame neurologico: la valutazione neurologica del bambino con disturbo del movimento deve avvalersi di tecniche che tengano conto dell’età del paziente e che possano essere utili per accentuare o ridurre i movimenti anomali presenti (es. gioco, distrazione). È molto utile inoltre filmare la valutazione neurologica sia per analizzare nel

dettaglio le caratteristiche del disturbo del movimento che per monitorarne l’evoluzione clinica nel tempo e anche per poter discutere il caso con un team multidisciplinare o di esperti in disturbi del movimento. In epoca infantile molto precoce risulta particolarmente importante la valutazione dei “General movements (GMs)”, tecnica sviluppata dal professor Heinz Prechtl e collaboratori, che consiste nell’osservazione/ analisi del repertorio dei movimenti spontanei presenti nel bambino dalla nona/decima settimana di vita fetale fino al quinto/ sesto mese di età post termine (Einspieler C, et al. 2005); l’analisi dei GMs è stata dimostrata essere una tecnica molto sensibile e specifica oltre che non invasiva ed economica per la diagnosi precoce di paralisi cerebrale infantile.

Figura 5. Possibili opzioni terapeutiche nei disturbi del movimento.

Raggiungimento della diagnosi

L’approccio fenomenologico richiede delle abilità nel riconoscimento dei disturbi del movimento che si basa su competenze specialistiche rinforzate dall’esperienza clinica. L’osservazione del disturbo del movimento in aggiunta ai dati anamnestici e a quelli derivanti dalla valutazione del paziente consentono nella maggioranza dei casi di raggiungere una precisa diagnosi o almeno di localizzare la sede anatomica origine del disturbo del movimento. L’esame neuroradiologico con RM encefalo è generalmente indicato nelle fasi iniziali del percorso diagnostico e consente di rilevare eventuali lesioni strutturali o specifiche lesioni o alterazioni di segnale che possano fortemente orientare la diagnosi o restringere l’ambito delle possibili diagno-


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si differenziali. La diagnosi differenziale può essere via via ristretta mettendo insieme la storia clinica, il tipo di andamento del disturbo del movimento nel tempo, l’età del paziente all’esordio dei sintomi e le caratteristiche dell’esame neuroradiologico. Nel caso in cui la fenomenologia del disturbo del movimento e la storia clinica non siano sufficienti a raggiungere una diagnosi è fondamentale escludere cause secondarie (es. esposizione, ingestione o sospensione di farmaci o sostanze tossiche, infezioni, processi infiammatori, cause vascolari o traumatiche, malattie metaboliche o altre condizioni geneticamente determinate) (Figura 4).

Trattamento

Il trattamento dei disturbi del movimento comprende una vasta gamma di opzioni che spaziano dalla terapia farmacologica agli interventi di neuromodulazione invasiva fino a tecniche sperimentali che prevedono l’utilizzo della terapia genica e delle cellule staminali (Russ JB, et al. 2018) (Figura 5). L’efficacia clinica di queste terapie è variabile è spesso poco supportata da studi controllati randomizzati con coorti selezionate in base a età e a caratteristiche cliniche specifiche (Koy A, et al. 2016). Le attuali conoscenze e applicazioni sul trattamento dei disturbi del movimento in età pediatrica, a parte poche eccezioni, sono per lo più ricavate da risultati di studi randomizzati effettuati su pazienti adulti con problematiche simili. I principali obiettivi del trattamento dei disturbi del movimento sono migliorare o limitare l’effetto negativo dei movimenti anomali, ridurre il dolore se presente e migliorare la qualità della vita del paziente. La maggior parte dei trattamenti farmacologici e non farmacologici dei disturbi del movimento in età pediatrica risultano in Italia così come in molti altri Paesi off-label. È auspicabile che in un futuro non lontano sia possibile acquisire dati derivanti da studi specifici su popolazioni pediatriche selezionate al fine di accrescere le conoscenze su tollerabilità, sicurezza ed efficacia dei trattamenti disponibili e valutare la possibilità di applicare eventuali nuove terapie.

Conclusioni

I disturbi del movimento in età pediatrica rappresentano un grosso gruppo di condizioni geneticamente determinate o acquisite. L’analisi della fenomenologia motoria, la caratterizzazione del disturbo del movimento, il decorso clinico, la progressione temporale dei sintomi neurologici nel contesto dello sviluppo del bambino e l’eventuale presenza di altri sintomi associati rappresentano elementi chiave per il raggiungimento di una corretta diagnosi. Trattamenti che modificano in maniera significativa il decorso di malattia sono disponibili per molti disturbi del movimento a esordio acuto e per alcune specifiche condizioni ad andamento cronico. Negli ultimi anni l’avanzamento tecnologico nella diagnostica molecolare ha consentito l’identificazione delle cause genetiche e dei meccanismi eziologici alla base di molti disturbi del movimento e la caratterizzazione di nuove condizioni; questi rapidi progressi in ambito diagnostico non sono stati seguiti da altrettanto significativi miglioramenti in ambito terapeutico che risultano comunque a oggi in continua evoluzione. * giovanni.tricomi@auslromagna.it

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Infogenitori

Infogenitori

Movimenti, gesti e parole senza controllo: i tic Stefania Manetti Pediatra di famiglia, Piano di Sorrento (Napoli)

Filastrocca dei gesti pazzi Per fare l’incantesimo: Strega comanda e ordina questo: sia la parola divisa dal gesto, ciò che si vede da ciò che si sente, e niente vuol dire più niente! Per disfare l’incantesimo: Strega comanda e ordina questo: ogni parola fa pace col gesto, voce che parlo e mano che muovo dicono la stessa cosa di nuovo! Tratto dalla “Melevisione” I tic sono movimenti muscolari ripetitivi e veloci che il bambino non riesce completamente a controllare. I tic possono essere anche vocali (per esempio una tossetta abituale, un rumore alla gola, la ripetizione di un suono, ecc.). Possono essere transitori e comparire per poi scomparire all’improvviso, dopo mesi o anche 1-2 anni, oppure a volte durano di più, anche per tutta l’età dell’infanzia. Sono disturbi frequenti, possono manifestarsi nel 5-25% dei bambini, tuttavia non sono espressione di una condizione grave, e generalmente migliorano nel tempo. Possono essere fastidiosi e frustranti, specialmente se arrivano a interferire con le attività giornaliere dei bambini.

Ci sono diverse forme di tic?

Ci sono tanti tipi diversi di tic, alcuni interessano i movimenti del corpo come per esempio: aprire e chiudere le palpebre, arricciare il naso, muovere la testa, fare clic con le dita, fare delle smorfie, toccare ripetutamente degli oggetti o altre persone, ecc. Questi tic sono chiamati anche tic motori. Alcune forme di tic sono vocali: ripetere suoni, grugnire, schiarirsi la gola o tossicchiare. I tic possono apparire all’improvviso e spesso possono essere associati a situazioni di stress, di ansia o di stanchezza, ma anche di eccitazione o felicità. Tutti i tic generalmente, e specialmente se si focalizza l’attenzione sul disturbo o se ne parla molto in famiglia, tendono verso un peggioramento. Alcuni bambini, non tutti, riferiscono una sorta di sensazione di “premonizione del tic”, spesso è una sensazione spiacevole che si accumula nel corpo e che viene in qual-

che modo alleviata dal tic. Molti bambini riescono a controllare un po’ i loro tic, alcuni si nascondono in un posto riservato. Altri bambini sviluppano delle proprie strategie per controllare i sintomi, per esempio a scuola, per poi “esplodere” una volta a casa.

Cosa fare quando un bambino ha un tic?

I tic non sono sintomi di malattie serie e non portano a danni al cervello. A volte scompaiono rapidamente, altre volte durano di più, altre volte ancora ritornano. Se si è preoccupati riguardo il tipo di tic o la durata, è bene chiedere consiglio al pediatra. È bene interpellare il pediatra se i tic: y     si manifestano regolarmente per oltre 12 mesi o diventano più frequenti nel tempo; y     sono causa di problemi sociali o emotivi o se il bambino si imbarazza per il suo tic, diventa oggetto di bullismo o si isola dagli altri a causa del suo tic; y     se procurano dolore o sensazioni spiacevoli (a volte possono incidentalmente procurare danni); y     se interferiscono con la scuola, con il gioco o con lo sport; y     se si accompagnano a momenti di rabbia, di depressione o di autolesionismo. Il pediatra sarà in grado di diagnosticare un tic anche dalla descrizione, se possibile si può registrare il movimento, cercando però di non attirare l’attenzione sulla manifestazione mentre si videoregistra.

Qual è la terapia per i tic?

Se il tic è lieve e non è causa di altri problemi non è necessario pensare a un trattamento. Spesso degli “aiuti fai da te” possono essere molto utili: y     evitare situazioni di stress, di ansia o di noia, facendo un’attività piacevole come un gioco, un hobby o uno sport; y     evitare una stanchezza eccessiva; y     ignorare il tic ed evitare di parlarne in famiglia; y     non attirare l’attenzione del bambino quando manifesta il tic, ma cercare di rassicurarlo ed evitare di imbarazzarlo; y     informare le altre persone che si è a conoscenza del tic del bambino in modo di evitare una reazione degli altri nel momento in cui si manifesta;

y     informare la scuola anche sulle strategie

da adottare per alleviare il tic. Se tuttavia il tic interferisce con le attività giornaliere ci sono delle terapie da prendere in considerazione, mirate a ridurre la frequenza dei tic. Esistono anche dei tic un po’ speciali, che si manifestano per periodi lunghi di tempo e con comportamenti più articolati, come saltare, girare, ripetere delle sillabe o delle parole o frasi o fare l’eco a quello che una persona dice: questi comportamenti sono a volte associati alla sindrome di Tourette. In questi casi è bene rivolgersi al proprio pediatra e condividere le preoccupazioni e il percorso terapeutico eventualmente da intraprendere. Spesso sono interventi comportamentali di diverse tipologie.

Quanto può durare un tic?

Spesso i tic durano poco tempo, a volte qualche mese, per poi scomparire. A volte sono ricorrenti, ogni tanto si ripresentano per poi scomparire nel tempo. Alcuni tic possono presentarsi per brevi periodi dall’infanzia fino all’inizio dell’adolescenza Ci sono poi dei tic che ricorrono e cambiano nel tempo, diventano tic complessi, per esempio sia di tipo motorio che vocale, in questi casi, meno frequenti, è bene chiedere aiuto al proprio pediatra.

Quali sono le cause dei tic?

Le cause non si conoscono, si pensa che siano dovuti a modifiche in alcune parti del cervello che controllano i movimenti. Spesso c’è una familiarità, e per questo motivo è stata ipotizzata anche una base genetica. In alcune situazioni i tic possono comparire insieme ad altre condizioni, in questi casi è bene sempre chiedere consiglio al pediatra che può eventualmente indicare il percorso diagnostico migliore. I farmaci vengono utilizzati, sempre e solo dietro consiglio medico e spesso condiviso con altri specialisti, quando i tic sono espressione di condizioni più complesse. Come sempre, se ci sono dubbi o preoccupazioni il pediatra è la persona a cui rivolgersi senza esitazione. * doc.manetti@gmail.com


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WIN4ASD. Una piattaforma web per lo screening precoce del disturbo dello spettro autistico nelle cure primarie Paola Colombo, Noemi Buo, Massimo Molteni Area di Psicopatologia dello Sviluppo, IRCCS Eugenio Medea, Bosisio Parini, Lecco

Il disturbo dello spettro autistico (ASD) è caratterizzato da difficoltà nella comunicazione e nell’interazione sociale e da comportamenti ripetitivi e ristretti. Sebbene le caratteristiche comportamentali dell’ASD sembrano emergere entro i primi 2 anni di vita, l’età media per ricevere una diagnosi clinica spesso supera i 4 anni. Questo studio presenta uno strumento web (WIN4ASD, Web Italian Network for Autism Spectrum Disorder) destinato ai pediatri di famiglia per lo screening dell’autismo durante i bilanci di salute dei 18 e 24 mesi e per l’interconnessione in fast-track tra cure primarie e servizio specialistico (NPIA). I risultati di questo studio hanno dimostrato che la piattaforma web-based implementata sembra essere un modo efficace, efficiente e sostenibile per integrare i servizi di screening nell’assistenza primaria, e oggi può rappresentare una concreta risposta innovativa anche in relazione all’emergenza sanitaria. Autism Spectrum Disorder (ASD) is a heterogeneous condition characterized by deficits in social communication and repetitive pattern of behavior. Although core behavioral features of ASD appear to emerge within the first 2 years of life, a clinical diagnosis is received on average at 4 years old. The current study examined the implementation of the Web based CHAT screening tool (WIN4ASD, Web Italian Network for Autism Spectrum Disorder) for pediatricians in a systematic autism screening process for all toddlers at 18 and 24 month well-child pediatric visits, as a system to better connect primary care with specialist services (NPIA) in fast-track procedure. The findings of this study showed that the implemented web-based platform appears to be an efficient and feasible way to integrating screening services into primary care efficiently and at low cost, representing at the present time a practical and innovative response to the health emergency.

Introduzione

Il disturbo dello spettro autistico (ASD) è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da difficoltà sociocomunicative associate alla presenza di comportamenti, attività e interessi ristretti e ripetitivi [1]. A oggi la diagnosi di ASD può essere effettuata in modo attendibile solo a partire dai 30 mesi di età in quanto i test diagnostici sono basati sull’individuazione dei sintomi comportamentali maggiormente evidenti a partire da quest’età. Tuttavia lo studio di quanto avviene nei primi 3 anni di vita è di grande interesse scientifico poiché vi è evidenza crescente [2] che l’individuazione precoce del rischio e un tempestivo intervento possano prevenire il progressivo sviluppo delle atipie comportamentali, migliorarne la prognosi finale e quindi avere un impatto significativo sul sistema sanitario nazionale. Le prospettive per identificare precocemente i bambini a rischio ASD nei primi due anni di vita sono migliori rispetto al passato e le conoscenze scientifiche sull’i-

dentificazione precoce in continuo aumento; tuttavia continua a essere presente un significativo gap temporale tra l’epoca dei primi sintomi osservati, la prima consultazione, l’età in cui viene effettuata la prima diagnosi e la messa a punto dell’intervento. Anche se l’età della prima diagnosi sembra essere in diminuzione, alcuni dati di letteratura mostrano che l’età media è ancora > 4 anni [3]. Una diffusione più capillare di sistemi di sorveglianza pediatrica attiva che includa anche i disturbi del neurosviluppo, a cui possono essere affiancati anche specifici strumenti di screening consentirebbe un’individuazione precoce dei soggetti a rischio per l’invio a una valutazione tempestiva, con evidenti ricadute per il benessere dei bambini e delle loro famiglie. Le linee guida dell’American Academy of Pediatrics raccomandano da oltre un decennio l’uso di strumenti di screening specifici per i disturbi dello spettro autistico alle visite di controllo dei 18 e dei 24 mesi [4]. La mancanza di collegamenti strutturati

tra pediatri di famiglia e servizi specializzati può rallentare l’accesso a una diagnosi precoce e ritardare la tempestività dell’intervento: le applicazioni di telemedicina, una volta condivise, hanno il potenziale di colmare questa lacuna [5]. Come documentato in letteratura, la telemedicina si è mostrata particolarmente efficace nel favorire lo sviluppo di una rete curante, in particolare tra pediatri di famiglia e servizi specialistici: diversi studi focalizzati sul miglioramento dei processi di screening nell’autismo hanno dimostrato che l’introduzione della tecnologia digitale come supporto decisionale può avere un impatto significativo sulla diffusione e la corretta applicazione dei sistemi di screening [5,6]. Esistono diverse definizioni del termine “telemedicina”, tutte contraddistinte dall’idea di base che sia l’informazione e non il paziente a doversi spostare. Le più recenti Linee di Indirizzo Nazionali (Ministero della Salute, 2014) definiscono la telemedicina come “una modalità di erogazione di servizi di assistenza sanitaria, tramite il ricorso a tecnologie innovative, in particolare alle Information and Communication Technologies (ICT), in situazioni in cui il professionista della salute e il paziente, o due professionisti, non si trovano nella stessa località”. Le opportunità della telemedicina descritte nelle linee di indirizzo nazionali riguardano l’equità di accesso all’assistenza sanitaria, soprattutto per le aree geograficamente più isolate, il miglioramento della qualità di vita di pazienti con malattie croniche attraverso il telemonitoraggio, e un’ottimizzazione delle risorse disponibili (efficacia, efficienza e appropriatezza della cura). A livello internazionale l’American Telemedicine Association (ATA) è la principale organizzazione che riunisce persone/organizzazioni/provider che si occupano di salute attraverso la telecomunicazione e nasce allo scopo di: 1) abbattere distanze/migliorare la distribuzione dei servizi di cura specialistici; 2) raggiungere le persone direttamente a

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casa e in setting non istituzionali. Nelle sue linee guida (Telemedicine and e-HEALTH, settembre 2013) esplicita come attualmente la letteratura non abbia identificato sottogruppi di pazienti rispetto ai quali tale strumento possa non avere beneficio; si riferisce a un’abbondante letteratura in merito alla sua efficacia e infine sottolinea come la telemedicina richieda un ruolo maggiormente attivo e cooperativo del paziente. Nell’ambito specifico dei servizi di psichiatria e neuropsichiatria negli ultimi dieci anni si è potuto osservare un aumento dell’interesse per l’utilizzo della telemedicina nella pratica clinica [7]. Diversi studi recenti sui disturbi del neurosviluppo quali disturbo dello spettro autistico [10], disturbo specifico dell’apprendimento [11], disturbo del linguaggio [9] e disprassia [8] così come sulle lesioni cerebrali acquisite [12] mostrano risultati incoraggianti nell’utilizzo della telemedicina con finalità diagnostiche e/o riabilitative. Tuttavia, la letteratura scientifica in merito è poco sviluppata, e non vi sono ancora modelli sistematizzati e condivisi, soprattutto a livello nazionale dove le iniziative sono ancora molto sperimentali e localizzate a livello regionale. Seguendo le linee guida sopra citate e perseguendo l’obiettivo di promozione della salute all’interno di una più ampia progettualità “e-health” (“l’utilizzo di strumenti basati sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per sostenere e promuovere la prevenzione, la diagnosi, il trattamento e il monitoraggio delle malattie e la gestione della salute e dello stile di vita”, Ministero della Salute, 2014), l’IRCCS Eugenio Medea, Associazione La Nostra Famiglia negli ultimi anni ha sviluppato e implementato sistemi di telemental health, uno dei quali ha lo scopo di facilitare il riconoscimento precoce del disturbo dello spettro autistico, realizzando un’innovativa piattaforma web-based che interconnette il sistema dei pediatri di famiglia con i servizi territoriali di NPIA. Questo lavoro presenta i risultati derivati dall’attività sperimentale legata all’utilizzo della piattaforma informatica. Tale sperimentazione, avviata nel 2018, in tempi ancora lontani dall’attuale emergenza sanitaria che tanta enfasi sta ponendo proprio sui servizi di telemedicina, e che probabilmente segnerà una svolta decisiva nella diffusione di tali prassi.

Obiettivi

Il presente lavoro nasce all’interno di progetti di ricerca il cui obiettivo generale è quello di sviluppare azioni mirate all’identificazione precoce dei soggetti ASD e allo sviluppo di una rete curante con i pedia-

tri di famiglia. Accanto a questo, un altro obiettivo generale riguarda la progettazione e lo sviluppo di sistemi di telemedicina, e la loro sperimentazione all’interno di specifici progetti di ricerca finalizzati alla loro progressiva promozione capillare sul territorio. Nello specifico, sfruttando le potenzialità dell’e-health, il progetto si propone di: y    migliorare la capacità di individuare precocemente i bambini che presentano segni e sintomi di rischio clinico per il disturbo dello spettro autistico da parte dei pediatri di libera scelta; y    ottenere la riduzione dell’età media alla prima diagnosi di ASD; y    sviluppare la rete curante territoriale, facilitando e semplificando il raccordo tra pediatra di libera scelta e servizi di NPIA coinvolti; y    effettuare uno screening su una popolazione di bambini di 18-20 mesi, attraverso la somministrazione dello screening CHAT da parte di un gruppo di pediatri di libera scelta.

Metodi1 Piattaforma WIN4ASD, Web Italian Network for Autism Spectrume Disorder

Il lavoro nasce all’interno di un progetto di ricerca ministeriale di rete, “Italian Autism Spectrum Disorders Network: filling the gaps in the National Health System care”, grazie al quale ha preso avvio, anche attraverso l’azione partecipata dei pediatri e neuropsichiatri infantili coinvolti, la progettazione, lo sviluppo e l’implementazione di una piattaforma web-based (disponibile all’indirizzo www.win4asd.it e utilizzabile su PC, tablet, smartphone), che risponde pienamente ai requisiti di sicurezza (l’app è integrata nei server Garr), di estrema usabilità e accessibilità. Il servizio basato sulla piattaforma web gestisce dati sensibili sia in forma anonima che personale e prevede un accesso a doppia fase con l’invio di un sms contenente un codice usa e getta dopo l’inserimento di username e password. Le attività coperte dalla piattaforma sono suddivise in moduli dedicati: il modulo dedicato alla somministrazione del questionario CHAT da parte del pediatra prevede poche e semplici azioni (inserimento del paziente in anagrafica, manualmente o tramite scansione della tessera sanitaria; somministrazione screening; salvataggio e stampa del test effettuato; eventuale invio in caso di esito “alto rischio”). Il gruppo di pediatri che sta sperimentando l’applicativo ha avuto uno specifico training per lo screening   Piattaforma realizzata in collaborazione con Sege srl, www.se-ge.com.

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dei disturbi dello spettro autistico attraverso l’utilizzo di strumenti ICT, in collaborazione con il Dipartimento di Cure primarie dell’ATS Monza e Brianza. Strumento di screening In Italia, le linee guida dell’Istituto Nazionale per la Salute (ISS) hanno raccomandato come uno degli strumenti di screening ASD la Checklist for Autism in Toddlers (CHAT) [13], che permette di raccogliere sia le risposte dei genitori (9 item sì/no) sia una osservazione semistrutturata da parte del pediatra (5 item sì/no). Lo screening per il disturbo dello spettro autistico viene eseguito nel bilancio di salute dei 18 mesi utilizzando il questionario CHAT messo a disposizione dei pediatri di libera scelta all’interno della web-app (durata 10 minuti). Il pediatra somministra lo screening CHAT attraverso l’app WIN4ASD: l’applicativo fornisce uno scoring immediato, evidenziandone gli esiti e le azioni consigliate conseguenti che possono essere: y    alto rischio (evidenziato con colore rosso) → l’applicativo attiva automaticamente la funzione di invio immediato per l’approfondimento diagnostico in modalità fast-track, suggerendo la struttura della UONPIA territoriale di riferimento. Il pediatra, in accordo con il genitore, invia l’esito dello screening attraverso la piattaforma, con un semplice “click”. y    medio rischio (evidenziato con colore giallo) → si suggerisce il monitoraggio a breve termine che prevede la risomministrazione dello screening a un mese di distanza dalla prima; il sistema invierà al pediatra una mail di remind. y    rischio generico (evidenziato con colore blu) → anche in questo caso si suggerisce di ripetere lo screening a distanza di un mese. Per “rischio generico” si intende il rischio di un qualsiasi disturbo del neurosviluppo, non specificatamente rischio ASD; y    nessun rischio (evidenziato con colore verde) → nessuna azione consigliata. Il pediatra di famiglia e il servizio di NPIA sono interconnessi in modalità protetta via web, condividendo il test di screening effettuato, insieme a ogni altra informazione clinica utile a facilitare il percorso diagnostico e la successiva presa in carico clinica in rete.

Procedura

Un gruppo di pediatri appartenenti alla provincia di Lecco (ATS Monza Brianza) è stato invitato a partecipare alla ricerca ed è stata offerta loro la possibilità di partecipazione a uno specifico training per la sor-


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Figura 1.  Numero dei pediatri attivi per mese (gennaio 2018-febbraio 2020).

veglianza attiva dei disturbi dello spettro autistico attraverso l’utilizzo di strumenti ICT, per supportare i pediatri nel riconoscere i segni di rischio che possono indirizzare verso una diagnosi tempestiva. I pediatri coinvolti hanno a disposizione un applicativo, WIN4ASD, per la somministrazione dello screening CHAT a tutti i bambini loro pazienti all’interno del bilancio di salute dei 18 mesi.

Risultati

A partire da gennaio 2018 la piattaforma è stata resa disponibile a un gruppo di pediatri di libera scelta della provincia di Lecco, e si è avviata l’operatività diretta di somministrazione e condivisone dello screening e dei pazienti. Pediatri

A partire da un primo gruppo di 20 pediatri della provincia di Lecco, a cui è stata data la possibilità di partecipare alla sperimentazione, 18 pediatri hanno aderito alla proposta e hanno ricevuto un tablet in comodato d’uso per facilitare la partecipazione allo studio. Di questi, 15 sono stati effettivamente attivi nel periodo di sperimentazione, anche se con livelli di attività e di adesione al progetto molto variabili: il numero medio di screening somministrato da parte di ciascun pediatra è di 28, e varia da un minimo di 3 a un massimo di 60 screening per pediatra (Figura 1). Screening

I dati dello screening si riferiscono al periodo 12 gennaio 2018-20 febbraio 2020. Nel corso di questi mesi di sperimentazione sono stati somministrati 417 screening, durante i bilanci di salute dei 18 mesi, a un gruppo di bambini di popolazione generale (50,1% maschi). L’attività di screening ha dato esito “nessun rischio” nel 95,7% dei casi. Il 4,3% dei bambini (N=18) sottoposti a screening primario ha evidenziato un livello di rischio, come evidenziato nella flow-chart in Figura 2.

Figura 2.  Flow-chart: esito screening e follow-up. * 2 pazienti con follow-up ancora in corso al momento delle analisi.

Conclusioni

Il presente lavoro s’inserisce pienamente all’interno di un percorso di miglioramento del sistema sanitario finalizzato al potenziamento della continuità di cura e presa in carico tra sistema delle cure primarie e sistema specialistico, in un’area a elevata specificità e particolarità come quella dei disturbi del neurosviluppo, introducendo sistemi innovativi di telemedicina webbased finalizzati allo sviluppo di una moderna ed efficace rete curante per una condizione complessa come l’autismo. In particolare, l’attivazione della rete tra pediatri di famiglia e i servizi di NPIA inclusi nel progetto ha dimostrato l’efficacia del modello proposto. I risultati di questo studio hanno dimostrato che la piattaforma web-based implementata sembra essere un modo efficace, efficiente e sostenibile per integrare i servizi di screening nell’assistenza primaria. Grazie a questa sperimentazione legata da un progetto di ricerca ministeriale,

si sta concretizzando la possibilità di una traslazione territoriale del modello sperimentato: l’app WIN4ASD da alcuni mesi è stata resa disponibile a un gruppo di pediatri di libera scelta afferenti alla UONPIA di Gallarate (ASST Valle Olona) e verrà presto utilizzata da altre 8 UONPIA del territorio regionale, con i relativi gruppi di pediatri afferenti. In questo modo si intende diffondere in maniera capillare un sistema di individuazione precoce di bambini a rischio ASD e la successiva rapida valutazione in fast-track così da consentire una diagnosi tempestiva del disturbo entro i 30 mesi di età, obiettivo di salute riconosciuto come prioritario. La messa a sistema attraverso un modello di telemedicina semplice e sicuro, di una “rete curante” imperniata sulla collaborazione tra servizi specialistici e la medicina territoriale può inoltre facilitare la presa in carico dei soggetti affetti da ASD. L’importanza di impostare un lavoro partecipativo e condiviso tra diverse figure

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professionali, è risultato fondamentale per giungere alla co-costruzione delle caratteristiche dello sviluppo e design della app. Il modello proposto, che sfrutta un modello di telemedicina semplice e sicuro, si inserisce all’interno di quei servizi ancora poco diffusi prima dell’emergenza e che oggi stanno facendo la differenza. Infatti, se prima dell’emergenza l’interesse e l’utilizzo di soluzioni di telemedicina erano ancora casi sporadici e isolati, durante questa emergenza la telemedicina ha certamente iniziato a supportare concretamente il sistema sanitario, anche se spesso proponendo soluzioni non del tutto adeguate a rispondere ai reali bisogni del sistema. I dati presentati ci permettono di proporre un modello che, grazie al lavoro pregresso di strutturazione e validazione, ha permesso di costruire in questa fase di emergenza una risposta pensata nel tempo e non una semplice “reazione all’urgenza”, risposta che può oggi essere potenziata e arricchita alla luce dei nuovi bisogni emergenti. La condizione di incertezza emersa in questa contingenza Covid-19 impone di ripensare i modelli di innovazione e miglioramento del sistema sanitario soprattutto nella direzione della digital transformation: potrebbe essere l’occasione per impostare una telemedicina efficace e più diffusa sia a livello regionale sia nazionale,

come fattore critico e distintivo non solo nell’erogazione di prestazioni sanitarie ma anche nell’organizzazione dei servizi stessi. Nell’attuale scenario emergenziale tale strumento rappresenta una risposta appropriata, e spesso l’unica possibile, alla domanda degli utenti. * paola.colombo@lanostrafamiglia.it

1.  American Psychiatric Association. Diagnostic and statistical manual of mental disorders (DSM5). American Psychiatric Association, 2013. 2.  Zwaigenbaum L, Penner M. Autism spectrum disorder: advances in diagnosis and evaluation. BMJ. 2018 May 21;361:k1674. 3.  Lai MC, Lombardo MV, Baron-Cohen S. Autism. Lancet. 2014 Mar 8;383(9920):896-910. 4.  Council on Children With Disabilities; Section on Developmental Behavioral Pediatrics; Bright Futures Steering Committee; Medical Home Initiatives for Children With Special Needs Project Advisory Committee. Identifying infants and young children with developmental disorders in the medical home: an algorithm for developmental surveillance and screening. Pediatrics. 2006 Jul;118(1):405-20. 5.  Campbell K, Carpenter KLH, Espinosa S, et al. Use of a Digital Modified Checklist for Autism in Toddlers – Revised with Follow-up to Improve Quality of Screening for Autism. J Pediatr. 2017 Apr;183:133-9.e1. 6.  Harrington JW, Bai R, Perkins AM. Screening children for autism in an urban clin-

ic using an electronic M-CHAT. Clin Pediatr (Phila). 2013 Jan;52(1):35-41. 7.  Andersson G, Ljótsson B, Weise C. Internet-delivered treatment to promote health. Curr Opin Psychiatry. 2011 Mar;24(2):168-72. 8.  Miyahara M, Butson R, Cutfield R, Clarkson JE. A pilot study of family-focused tele-intervention for children with developmental coordination disorder: development and lessons learned. Telemed J E Health. 2009 Sep;15(7):707-12. 9.  Wales D, Skinner L, Hayman M. The Efficacy of Telehealth-Delivered Speech and Language Intervention for Primary School-Age Children: A Systematic Review. Int J Telerehabil. 2017 Jun 29;9(1):55-70. 10.  Sutherland R, Trembath D, Roberts J. Telehealth and autism: A systematic search and review of the literature. Int J Speech Lang Pathol. 2018 Jun;20(3):324-36. 11.  Hodge MA, Sutherland R, Jeng K, et al. Literacy Assessment Via Telepractice Is Comparable to Face-to-Face Assessment in Children with Reading Difficulties Living in Rural Australia. Telemed J E Health. 2019 Apr;25(4):279-87. 12.  Corti C, Oldrati V, Oprandi MC, et al. Remote Technology-Based Training Programs for Children with Acquired Brain Injury: A Systematic Review and a Meta-Analytic Exploration. Behav Neurol. 2019 Aug 1;2019:1346987. 13.  Baron-Cohen S, Allen J, Gillberg C. Can autism be detected at 18 months? The needle, the haystack, and the CHAT. Br J Psychiatry. 1992 Dec;161:839-43.

Meno antibiotici è meglio, e senza rischi: l’esperienza dell’Emilia-Romagna Il ProBA (Progetto Bambini Antibiotici) ha preso l’avvio in Emilia Romagna nel 2005. Lo scopo di questo progetto multilivello era di migliorare l’appropriatezza prescrittiva degli antibiotici in età pediatrica. La prescrizione di antibiotici è passata da 1.307 per 1.000 bambini nel 2005 a 822 per 1.000 bambini nel 2019, con una riduzione del 37% del consumo di farmaci. Inoltre è migliorata la prescrizione delle molecole di prima scelta con un incremento dell’utilizzo dell’amoxicillina e una marcata diminuzione dell’utilizzo di antibiotici di seconda scelta come l’amoxicillina + acido clavulanico. Tra le diverse strategie utilizzate sono state costruite delle linee guida regionali sull’otite media acuta (vigile attesa o terapia antibiotica per 5 giorni) e sulla faringite streptococcica; in particolare, in quest’ultima si raccomanda di utilizzare l’amoxicillina per 6 giorni, invece dei 10 giorni indicati dall’American Hearth Association per la prevenzione della cardite reumatica. Tuttavia una recente indagine retrospettiva di casi di cardite reumatica afferenti all’ospedale Sant’Orsola-Malpighi indicava, nelle conclusioni degli autori, la necessità di ritornare a prescrivere 10 giorni di terapia per la prevenzione della cardiopatia [1]: un’affermazione che ha suscitato una discussione all’interno della rivista [2,3]. Un contributo definitivo lo ha portato oggi una ricerca osservazionale sui database amministrativi della Regione, svolta attraverso la verifica di diagnosi di mastoiditi o di febbre reumatica, e confrontando i dati con la prescrizione di antibiotici [4]. Durante il periodo di studio, dal 2005 al 2019, il tasso di mastoiditi è calato da 54,1 a 33,6 per 100.000 bambini così come il trattamento chirurgico da 134,6 a 89,6 per 100.000, mentre il tasso di cardite reumatica è rimasto sostanzialmente invariato (da 4,4 a 4,8 per 100.000). Un importante riduzione dell’uso di antibiotici senza un incremento delle complicazioni di malattie infettive. 1.  Fabi M, Calicchia M, Miniaci A, et al. Carditis in Acute Rheumatic Fever in a High-Income and Moderate-Risk Country. J Pediatr. 2019 Dec;215:187-91. 2.  Taylor WM, Lu Y, Wang S, et al. Long-term Healthcare Utilization by Medicaid Enrolled Children with Neonatal Abstinence Syndrome. J Pediatr. 2020 Jun;221:55-63.e6. 3.  Fabi M, Lanari M. Reply. J Pediatr. 2020 Jun;221:263. 4.  Di Mario S, Gagliotti C, Buttazzi R, et al. Reducing antibiotic prescriptions in children is not associated with higher rate of complications. Eur J Pediatr. 2020 Nov 3.


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TITOLO RIBRICA

Le sfide alla salute psicofisica delle famiglie italiane nel periodo dell’emergenza Covid-19: uno studio pilota sull’impatto del burnout genitoriale in diverse categorie professionali Teresa Di Fiore*, Teresa Galanti*, Gloria Guidetti*, Daniela Marchetti*, Paolo Roma**, Maria Cristina Verrocchio*, Michela Cortini*, Stefania Fantinelli* * Dipartimento di Scienze Psicologiche, della Salute e del Territorio, Università “G. d’Annunzio”, Chieti-Pescara; ** Dipartimento di Neuroscienze Umane, Università La Sapienza, Roma

Obiettivi: valutare l’impatto dell’epidemia da Covid-19 sulla genitorialità in famiglie con bambini in età pediatrica ed esaminare come il burnout genitoriale possa essere influenzato dalla presenza di uno o più figli con diagnosi certificata di patologia conclamata fisica o psicologico-psichiatrica. Metodi: campione composto da 970 genitori con figli in età pediatrica che hanno risposto a un questionario sul burnout genitoriale. Risultati: le madri hanno un livello di burnout più elevato. Emerge un effetto principale significativo rispetto al lavoro dei genitori: i lavoratori manuali presentano livelli di burnout più alti durante il lockdown. La presenza di figli con diagnosi certificata di patologia risulta essere un predittore del burnout. Conclusioni: il pediatra di base dovrebbe attenzionare i casi a rischio che minano la salute psicofisica dei bambini, vigilando sul deterioramento delle cure genitoriali sia nelle famiglie con casi di patologia sia in quelle in condizioni di salute buone. Objectives: to assess the impact of the Covid-19 pandemicon parenting in families with pediatric age childrenand examine how parental burnout can be influenced by the presence of one or more children with certified diagnosis of full-blown physical or psychological-psychiatric pathology. Methods: the sample consisted of 970 parents with pediatric age children who were administered a questionnaire on parental burnout. Results: mothers have a higher level of burnout. A significant main effect emerged with respect to the parents’ work: manual workers have higher burnout levels during quarantine. The presence of children with a certified diagnosis is a predictor of parental burnout. Conclusions: the primary pediatrician should care of potentially risky situations that undermine children mental and physical health, especially by supervising the decline of parental care both in families with cases of manifest pathology and in those in good health conditions.

Introduzione

In letteratura sono già presenti diversi studi che resocontano come e quanto la popolazione pediatrica possa più o meno essere soggetta a contrarre il Covid-19. Da tali studi risulta che, in linea con quanto già rilevato in Cina, l’incidenza della malattia si attesta intorno allo 0,5% nei bambini fino a 9 anni e all’1% nel resto della popolazione pediatrica [1,2]. Sono in modo particolare i dati riferiti al tasso di mortalità e alla severità della manifestazione della malattia (che, di fatto, sembra risparmiare la popolazione pediatrica e adolescenziale) che hanno spinto tanti pediatri e ricercatori a spostare il proprio sguardo dagli aspetti più strettamen-

te clinici legati al rischio Covid-19 a effetti sanitari cosiddetti collaterali, riconducibili all’emergenza sanitaria Covid-19. Potremmo, in tal senso, identificare almeno 3 linee di rischio e relativo intervento. In primis, va sicuramente citato il sovvertimento degli approcci clinico-assistenziali consolidati, sia per i servizi sanitari pubblici sia per i medici delle cure primarie, provocato dalla rapidità del diffondersi della pandemia. Questo aspetto, per quanto ovvio, ha indubbiamente delle ripercussioni a livello sanitario; si pensi, solo per fare un esempio, all’aumento della consulenza medico-pediatrica via telefono, con tutte le sfide comunicativo-relazionali che questa comporta, soprattutto riguardo alla diffi-

coltà nel formulare una diagnosi e nel garantirsi l’engagement dei genitori dei piccoli pazienti in termini di adesione alle cure. In secondo luogo, in tutto il periodo del lockdown, a fronte di un tasso minore di richiesta di intervento sanitario-pediatrico (abbastanza ovvio dovuto anche alla minore esposizione a rischi), ha destato preoccupazione il ritardo con cui tante famiglie sono ricorse a interventi sanitari per problemi di salute varia (non necessariamente collegati al Covid-19) per paura di contrarre il virus in ospedale. Diverse unità pediatriche hanno registrato l’arrivo di pazienti con notevole ritardo rispetto all’insorgenza di sintomi (e questo non solo per quanto riguarda sintomi Covid-19 bensì, più in generale, per sintomi di diverse patologie, anche gravi e potenzialmente letali). Questo dato sposta la preoccupazione del pediatra di base, quando intercettato, verso la sfida di far capire ai genitori che possono essere tante le malattie più rischiose e potenzialmente letali rispetto alla paura di contrarre il Covid-19 negli ospedali [3]. Deve essere poi considerato l’aspetto ascrivibile all’impatto psicologico che la paura del virus e il nuovo stile di vita cui ci ha costretti può provocare sulle famiglie e sui bambini e adolescenti. I primi studi evidenziano un livello elevato di distress psicologico nella popolazione italiana [4]. Circa un quarto delle famiglie italiane ha almeno un figlio minore in casa. Diventa quindi essenziale chiedersi come le reazioni psicologiche degli adulti di convivere con la minaccia del virus possa incidere negativamente sui figli minori. Ultimo aspetto molto importante è anche il passaggio allo smartworking imposto a molti genitori a causa delle restrizioni messe in atto dal Governo per arginare i possibili contagi e la diffusione della pandemia. Questo cambiamento repentino, detta-

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to dalle necessità del momento, ha alterato gli equilibri personali, lavorativi e familiari, rappresentando un potenziale agente stressogeno in grado di minacciare il benessere psicologico. Un’indagine interessante condotta su Linkedin che ha coinvolto 2.000 partecipanti mostra chiaramente gli effetti del lavoro da casa dettati dal lockdown e l’impatto che ha sul benessere psicologico. Quasi la metà del campione ha riferito di sentirsi più ansioso o stressato per la nuova modalità di lavoro e che in media ha lavorato più ore [5]. Questo dato evidenzia come, nella situazione attuale, sia minato il confine tra mondo del lavoro e vita familiare, e il più ampio concetto di work-life balance, ovvero il mantenimento di un equilibrio tra vita professionale e personale/familiare. A questo, poi, va aggiunto il timore, espresso da una parte considerevole del campione, di perdere il proprio posto di lavoro o di essere licenziati. Questa percezione di job insecurity, che di per sé rappresenta un potente agente stressogeno, si aggiunge e aggrava un quadro già molto sfidante dal punto di vista psicologico [6]. Anche una recente ricerca condotta negli Stati Uniti ha già ipotizzato che le condizioni create dalla pandemia possano aumentare i fattori di rischio di burnout genitoriale [7]; in particolare ci si riferisce alla mancanza di lavoro, all’insicurezza economica, alla mancanza di supporto sociale e alla mancanza di tempo libero. A livello internazionale vi è una maggioranza di studi interessati al burnout lavorativo durante il periodo di lockdown, con un focus particolare sulle professioni sanitarie; pertanto il nostro studio offre un significativo punto di vista nuovo.

Obiettivi

Questo studio ha lo scopo di fornire uno sguardo d’insieme sulla salute della famiglia. La nostra ricerca parte proprio da qui; da quanto è stato considerato da altri l’altra facciata della medaglia Covid-19, quella appunto ascrivibile alla salute e al benessere psicosociale [2]. Secondo studi recenti [8], i pazienti in età pediatrica costretti a periodi di quarantena hanno una probabilità di sviluppare stress post traumatico 4 volte superiore a soggetti di altra età. In quanto psicologi, il primo spunto di riflessione che vogliamo fornire riguarda un aspetto che a noi sembra fondamentale, ossia osservare la salute del paziente pediatrico inserendola in un più generale quadro di salute della famiglia. Crediamo, infatti, che solo un approccio olistico, capace di osservare congiuntamente bambini e genitori possa essere vincente in termini sia preventivi che di intervento. L’obiettivo del presente studio è quello di

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testare l’incidenza dello stress genitoriale nella popolazione adulta al tempo dell’emergenza Covid-19, cercando di leggerne le implicazioni pediatriche con un taglio critico. In altre parole, partendo da un focus sull’incidenza del burnout genitoriale, ci interessa sollevare domande e spunti per la pratica pediatrica, facendo riflettere il lettore sul ruolo psicosociale cui il pediatra è chiamato in questa emergenza sanitaria. Abbiamo analizzato il tasso di stress genitoriale al termine del primo mese di lockdown, suddividendo il campione in funzione della presenza o assenza di uno o più figli con una diagnosi certificata di patologia conclamata (sia di tipo fisico che di tipo psicologico-psichiatrico). L’ipotesi dalla quale partiamo è che i genitori di bambini in età pediatrica affetti da patologia manifestano un tasso superiore di burnout genitoriale. I fattori causali che maggiormente impattano sullo sviluppo del burnout sono legati ad alcuni cambiamenti sociali che hanno modificato il concetto di genitore nel corso del tempo: in particolare una perdita di rigidità e autorità. A questo si aggiungono due aspetti: il primo riguarda la maggiore attenzione posta sui diritti dei bambini e sui doveri dei genitori che devono fronteggiare più richieste di attenzione da parte dei figli; il secondo, la maggiore diffusione del lavoro femminile [9]. È stato recentemente dimostrato che, come un’esposizione duratura allo stress può condurre al burnout lavorativo, così un’esposizione duratura a un eccessivo stress percepito nell’espletamento delle funzioni genitoriali può condurre al burnout genitoriale. Il burnout genitoriale è una sindrome unica e contesto-specifica che si sviluppa a seguito di una lunga ed eccessiva esposizione allo stress genitoriale cronico [10] e quindi quando vi è uno squilibrio cronico tra richieste e risorse [11]. Per richieste, in questo specifico contesto, si intendono tutti i fattori che in qualche modo possono favorire l’aumento dello stress, come: gli innumerevoli compiti intrinseci al ruolo di genitore, la mancanza di supporto esterno, ma anche caratteristiche individuali del genitore e il ricorso a pratiche educative incoerenti e rigide [12,13]. Il burnout genitoriale è un costrutto multifattoriale che comprende tre dimensioni. La dimensione principale del parental burnout è l’esaurimento emotivo caratterizzato dalla sensazione di svuotamento e sopraffazione del proprio ruolo genitoriale [14]. I genitori emotivamente esauriti avvertono estrema fatica nell’esercizio del proprio ruolo, non dispongono di sufficiente energia per occuparsi dei loro figli e sentono che occuparsi dei figli ha esaurito ogni loro risorsa; ciò implica sentirsi emotivamente scarichi e stanchi

al risveglio mattutino, avere la sensazione di non farcela più, sentire che essere genitore richiede troppo impegno e percepire i propri figli come più “difficili” [15]. La seconda dimensione è la distanza emotiva dal proprio/dai propri figlio/figli che implica il sentirsi sempre meno coinvolti nell’educazione/accadimento dei figli, fare il minimo indispensabile per loro e limitare le interazioni agli aspetti funzionali a discapito degli aspetti emotivi. La terza dimensione è la perdita del senso di efficacia nel proprio ruolo di genitore che è definita dal sentirsi come se non si fosse in grado di gestire i problemi con calma e in maniera efficiente e dal non provare più piacere nello stare con i propri figli. Dal punto di vista psicologico ci sono alcuni tratti di personalità che possono predisporre al burnout: elevati livelli di nevroticismo sono un fattore di rischio [13] e infatti il burnout è spesso accompagnato da stress ed emozioni negative. Ulteriore fattore di rischio è rappresentato dalle condizioni ambientali, per esempio il numero di figli e l’assenza di supporto sociale. La letteratura specializzata si sta recentemente interessando agli effetti negativi derivanti dal burnout genitoriale. Alcune ricerche hanno evidenziato associazioni con sintomi depressivi, disturbi del sonno, dipendenze, conflitto di coppia, ideazione suicidaria [11,12,16,17]. Inoltre, sebbene le conseguenze del burnout genitoriale sui figli non sono state ancora studiate direttamente, è stata sottolineata un’associazione significativa tra l’esaurimento emotivo genitoriale e l’aumento dei comportamenti trascuranti e violenti nei confronti dei figli [16,18].

Metodi

Il campione che abbiamo raggiunto è un campione di convenienza, contattato attraverso i principali social media (Facebook, WhatsApp, ecc.), costituito da adulti con almeno un figlio in età pediatrica. Abbiamo contattato 1.220 persone; di queste, hanno risposto al nostro questionario, gestito da piattaforma Qualtrics per garantire l’anonimato, 970 soggetti, tutti di nazionalità italiana, residenti in diverse aree del nostro Paese. I principali dati socio-familiari sono riportati nella Tabella 1. Il campione è costituito prevalentemente da soggetti di genere femminile (844 vs 126), con un’età media di 39,6 anni (D.S. 6,5), con un range di età compresa tra 23 e 67 anni. Su base volontaria, nelle prime due settimane di aprile, hanno compilato un questionario sul burnout genitoriale. Il burnout genitoriale è stato misurato con il Parental Burnout Inventory (PBI), un questionario self-report di 22 item su scala


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TABELLA 1.  Dati socio-familiari

Titolo di studio Licenza elementare

Diploma di scuola media inferiore

Diploma di scuola media superiore

Laurea

Titolo post laurea

4

39

343

343

241

Celibe/nubile

Coniugato/a

Separato/a o divorziato/a

Vedovo/a

Convivente

32

709

73

4

152

Stato civile

Chi vive in casa con lei? (possibilità di scegliere più opzioni) Il padre/ la madre di mio/a figlio/a

Il/la mio/a compagno/a

815

85

La nonna paterna

Il nonno paterno

La nonna materna

Il nonno materno

1 o più bisnonni

Tata/governante/ babysitter

Nessuno

Altri parenti

12

9

36

26

4

4

71

23

Come definirebbe la condizione socio-economica del suo nucleo familiare? Bassa (0-15.000)

Medio bassa (16.000-33.000)

Medio alta (34.000-55.000)

Alta (oltre 55.000)

99

423

349

99

Con chi sta trascorrendo la misura di contenimento del contagio? (possibilità di scegliere più opzioni) Da solo

Con partner

Con i figli

0

802

970

Con uno o più membri della famiglia di origine

Con coinquilini non della famiglia

Altro

91

1

10

È stato contagiato/a dal Covid-19? Sì

No

7

963

Ha usufruito (o sta usufruendo) di un sostegno psicologico o di una psicoterapia? Sì, in passato

Sì, attualmente

No

211

58

701

Likert a sette punti che valuta le dimensioni di esaurimento emotivo, distanza emotiva e perdita di capacità ed efficacia genitoriale con punteggi più alti che indicano livelli più elevati di burnout. Esempi di item sono: “Mi sento emotivamente prosciugato dal mio ruolo genitoriale”, “A volte mi sento come se mi stessi prendendo cura dei miei figli con il pilota automatico”, “Non riesco più a dimostrare amore ai miei figli” [19]. Il PBI ha dimostrato buone proprietà psicometriche in studi su popolazioni di genitori [19,20] e ha consentito di definire la specificità del burnout genitoriale rispetto al burnout lavoro-correlato, ma anche rispetto alla depressione o al più generale stress sperimentato dai genitori nell’accudimento. Tuttavia, esistono ancore poche evidenze sull’utilizzo di un cut-off che consenta di individuare la presenza di burnout genitoriale. Nel presente studio il punteggio totale del PBI ha mostrato un livello di attendibilità adeguato e buoni indici di normalità, con asimmetria e curtosi più che soddisfacenti. Per tale ragione, abbiamo proseguito applicando la statistica parametrica dell’Anova fattoriale (Box 1) per testare l’effetto del genere e dell’avere o meno in famiglia

un minore con diagnosi di malattia fisica o psichiatrica. Abbiamo, inoltre, effettuato un’Anova fattoriale con cui abbiamo testato i diversi livelli di burnout nei genitori, distinti per genere e per tipo di lavoro. Come tipologia di lavoro, abbiamo distinto i disoccupati, dividendo poi i lavoratori in manuali e cognitivi.

Risultati e discussione

Le madri presentano un livello significativamente superiore rispetto ai padri di burnout genitoriale (F=4,48; p<.03). Questo risultato non stupisce, visto che nella nostra cultura i compiti di cura dei figli risultano ancora piuttosto sbilanciati investendo maggiormente le madri. La presenza di un bambino con diagnosi è un predittore di burnout genitoriale in una fase di emergenza sanitaria quale quella che stiamo vivendo (F=5,86; p<.01). Nonostante non ci sia un effetto di interazione statisticamente significativo, colpisce che siano le madri a manifestare meno burnout dei padri nei casi di patologia manifesta nel figlio (Figura 1). Risulta interessante, in termini di effetti principali, anche il ruolo svolto dal lavoro.

BOX 1. Anova.

L’Analisi della Varianza è una tecnica statistica di analisi dei dati che permette di verificare ipotesi relative a differenze tra medie di due o più campioni tenendo conto contemporaneamente di più variabili [21]. Si definiscono variabili indipendenti quelle variate in modo sistematico dallo sperimentatore e variabili dipendenti quelle che vengono osservate e misurate.

Infatti, nonostante non ci sia un effetto statisticamente significativo che distingua tra lavoratori e non lavoratori e tra diversi tipi di lavoratori, emerge un trend in cui i lavoratori manuali sembrano presentare un maggiore livello di burnout nel periodo del lockdown. Questo dato può probabilmente essere compreso facendo riferimento al fatto che i lavoratori manuali sono stati quelli maggiormente deprivati del lavoro, che, sappiamo, può avere un ruolo importante in termini di equilibrio mentale per quanto concerne il doppio ruolo di genitore e lavoratore. Chi era disoccupato prima del Covid-19 continua probabilmente a esserlo anche oggi e chi lavorava cognitivamente prima del Covid-19 continua a lavorare,

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saurimento di un genitore comporta necessariamente un aumentato carico nell’altro genitore. Ulteriore rischio è dato dal fatto che i bambini sono in stretta sintonia con le emozioni e gli stati d’animo dei genitori, e quindi un genitore a rischio di burnout potrebbe influenzare negativamente l’umore e la salute psicologica dei propri figli che potranno sentirsi minacciati dalla situazione nuova. Una famiglia che vive una condizione di burnout non è capace di fornire al bambino le cure e la vicinanza emotiva necessarie, con tutto ciò che questo implica a livello di salute pediatrica.

Conclusioni

Figura 1.  Livelli di burnout genitoriale in presenza di patologia manifesta del figlio.

Figura 2.  Livelli di burnout genitoriale e condizione lavorativa dei genitori.

sebbene a distanza e con nuove modalità (che peraltro potrebbero essere indagate, rappresentando il telelavoro, alle volte, più un fattore di rischio che un fattore protettivo). I lavoratori manuali, invece, per esempio gli artigiani o gli operai, hanno smesso di lavorare da un giorno all’altro; qualcuno potrà aver beneficiato della cassa integrazione, qualcun altro probabilmente no; in ogni caso, tutti i lavoratori manuali, abituati anche a una certa fatica fisica, di colpo si sono ritrovati a non far nulla, con l’aggiun-

ta di un importante aggravio: i pensieri sul post Covid-19 e un maggiore senso di insicurezza lavorativa (“ritornerò al lavoro?”), che, evidentemente, li ha portati a vivere uno stress che potrebbe spiegare il burnout (Figura 2). Secondo il nostro studio, le donne e i soggetti con figlio/a con manifesta patologia sono i genitori più a rischio di burnout. Il burnout, come suggerisce la letteratura, incide pesantemente sulle dinamiche relazionali del nucleo familiare, in quanto l’e-

Perché il nostro studio interroga il pediatra di base? Proviamo a vederlo nel dettaglio. Quando si parla di stress post-traumatico o di malessere psicologico nel bambino, i primi attori a essere chiamati in causa sono i genitori, ai quali la società si rivolge come primi paladini protettori della salute dei propri figli. Quando però il genitore si ammala, a sua volta, di stress, può manifestare il burnout genitoriale che, come abbiamo spiegato, si palesa con un detrimento nella capacità di cura del bambino e con un pericoloso distanziamento emotivo dal bambino. Diventano dunque fondamentali, in questi casi, i ruoli degli insegnanti, degli psicologi e di tutte le altre figure genitoriali “aggiuntive” che ruotano attorno alla vita di un bambino. Tra queste ultime, anche il pediatra di base, può e deve svolgere un ruolo delicato e importante, ossia fungere da “sentinella delle singole situazioni con maggiore difficoltà e disagio, a partire dai bambini fragili, più vulnerabili, per diverse cause” [2]. Questo dimostra, peraltro, come la professione del pediatra non possa essere ridotta alla sola dimensione sanitaria, coinvolgendo aspetti socio-psicologici di estrema importanza. Il nostro studio interroga il pediatra di base, chiamato a vigilare, nel dettaglio, in quelle situazioni di rischio che abbiamo evidenziato, con attenzione particolare alle famiglie che presentano casi di patologia manifesta ma anche a quelle famiglie con bambini in età pediatrica in buona condizione di salute che potrebbero risentire di un impoverimento delle cure genitoriali. Come tutti gli studi empirici cross-sectional, anche il nostro risente dell’impossibilità di indagare in maniera longitudinale la dimensione del parental burnout; pertanto non è possibile effettuare un confronto con dati relativi a valutazioni pre-post lockdown. * teresa.difiore@unich.it

La bibliografia è consultabile online.


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Research letter

La storia naturale del Covid-19 nel setting delle cure primarie pediatriche in Italia. Uno studio osservazionale Giacomo Toffol*, Laura Reali**, Roberto Buzzetti*** *Pediatra di famiglia, Pederobba (TV); **Pediatra di famiglia, Roma; ***Pediatra epidemiologo, Bergamo

Introduzione

La malattia Covid-19, che si è manifestata per la prima volta in Cina nel dicembre 2019, è comparsa ufficialmente in Italia a febbraio 2020 e da allora si è diffusamente estesa causando decine di migliaia di vittime, prevalentemente nelle classi di età più avanzata [1]. A partire da gennaio 2020 sono comparse in letteratura le prime segnalazioni di casi pediatrici e neonatologici inizialmente provenienti dalla Cina e poi anche dagli altri Paesi in cui il contagio si è diffuso [2-4]. I casi pediatrici registrati risultano compresi tra l’1 e il 5% dei casi totali [5,6]. Dai dati riportati in letteratura si evidenzia un basso numero di ricoveri e una mortalità bassissima [7-9]. In età pediatrica non vi sono ancora prove certe né sul rischio di contrarre la malattia né sul grado di contagiosità. Uno studio di coorte retrospettivo recentemente pubblicato, basato sui dati di 391 casi e 1.286 contatti stretti, sembrerebbe dimostrare che, almeno all’interno delle famiglie, i bambini hanno la stessa probabilità di essere infettati degli adulti, ma è stato pubblicato anche uno studio che smentisce questa ipotesi, e che afferma che il tasso di attacco secondario all’interno delle famiglie sia molto più basso nei bambini e ragazzi rispetto agli adulti (4% contro 17%) [10]. Il grado di contagiosità dei bambini non è ancora ben noto [11]. Vi è inoltre una scarsa conoscenza della storia clinica dei casi di pazienti pediatrici non ricoverati e di quella dei contatti e non sono ancora ben conosciute infettività, durata dell’immunità acquisita, presenza/ rilevanza di sintomi neurologici (anosmia e ageusia, ma anche dolori muscolari, artralgie, ecc.), dermatologici (acrocianosi, eritema pernio-like, lesioni ulcerative delle estremità) e cardiocircolatori. Inoltre, anche se non è ancora nota la capacità dei bambini di contagiare altre persone, essi rappresentano sicuramente una fascia di età nella quale risulta praticamente impossibile il distanziamento fisico, con con-

seguente esposizione a un elevato numero di contatti stretti [12]. Avere informazioni attendibili relativamente agli aspetti sopracitati sarebbe estremamente utile per comprendere appieno i rischi correlati a questa epidemia e per poter definire efficaci misure di controllo. Per ottenere le informazioni necessarie è importante effettuare degli studi anche in setting diversi da quelli ospedalieri [13,14]. Dato inoltre che al momento attuale non è stato ancora costituito nessuno score diagnostico validato che possa aiutare il clinico a sospettare questa malattia in una popolazione di età pediatrica, validarne uno sul campo potrebbe essere importante per migliorare le capacità diagnostica di questa malattia nel prossimo futuro.

Obiettivi dello studio

Si tratta di uno studio osservazionale, prospettico, multicentrico che intende valutare nel setting ambulatoriale delle cure primarie pediatriche l’incidenza e il decorso clinico di pazienti pediatrici affetti da Covid-19 e dei loro contatti familiari ed extra-familiari. Gli obiettivi secondari sono descrivere la durata dei sintomi; l’eventuale comparsa di sintomi nei contatti; l’esito degli eventuali esami diagnostici effettuati; il numero di nuovi casi che compaiono nei contatti, dopo la positività del caso (o contatto) arruolato; l’incidenza di sintomi rari associati di tipo dermatologico (acrocianosi, eritema pernio-like, lesioni ulcerative delle estremità), neurologico (ageusia e anosmia, artralgie, dolori muscolari), cardiocircolatorio e di altri eventuali sintomi nei pazienti positivi. Con questo studio si intende inoltre valutare l’applicabilità sul campo di una scheda di sintomi per la diagnosi clinica di sospetto Covid-19. Non essendo presenti in letteratura schede validate per la diagnosi clinica di sospetto di Covid-19 in età pediatrica, per la costruzione di questa scheda sono state usate come partenza quella suggerita

dall’OMS nell’ultima revisione dei criteri per la definizione di caso sospetto di SARS [15] e come confronto la scheda per la diagnosi delle ILI utilizzata dalla rete italiana Sorveglianza Influenza (Influnet) [16] e la definizione di caso sospetto della circolare ministeriale n. 7.922 del 9 marzo 2020. I criteri clinici in esse contenuti sono stati poi integrati con tutti i segni e sintomi pubblicati in letteratura sulla infezione da SARS-CoV-2, dai più caratteristici ai più rari descritti (Tabella 1).

Materiali e metodi

Lo studio prevede l’arruolamento dei bambini e ragazzi con età inferiore a 14 anni di ambo i sessi, afferenti presso gli ambulatori dei PLS da ottobre 2020 a marzo 2021, che rientrino in almeno una delle seguenti condizioni: y    tampone positivo per SARS-CoV-2; y    caratteristiche cliniche di caso ed esecuzione di tampone (indipendentemente dall’esito); y    contatti stretti di Covid-19. Per tutti i soggetti arruolati verranno rilevate le seguenti variabili: età, sesso, peso, altezza, condizioni cliniche generali, patologie croniche, tosse, febbre, dispnea, vomito, diarrea, lesioni dermatologiche, sintomi neurologici, muscolari, cardiocircolatori. I bambini verranno visitati e/o valutati in ambulatorio o a casa o in teleconsulto in relazione alla gravità del caso, secondo la normale pratica professionale del pediatra delle cure primarie. Verrà richiesta l’effettuazione di un tampone per la diagnosi di Covid-19 secondo le regole definite dalla succitata circolare ministeriale presso i centri localmente dedicati dalle rispettive Regioni (USCAR, SISP, ecc.). Dopo l’arruolamento avremo quindi tre gruppi di bambini e ragazzi: un gruppo di “casi” confermati dal tampone; un gruppo di “casi” non confermati dal tampone; un gruppo di contatti stretti, conviventi con genitori o parenti positivi. I genitori

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TABELLA 1.  Criteri per la definizione di caso sospetto di Covid-19.

Presenza di almeno uno dei seguenti segni e sintomi (in ottemperanza alla circolare ministeriali n. 7.922 del 9 marzo 2020) in assenza di elementi di eziologia e clinica che siano chiaramente indicativi di origine diversa da Covid-19: Febbre (T.C. > o = a 37,5 °C)

Tosse

Dispnea

Eventualmente associati, come riportato dalla letteratura selezionata a uno o più dei seguenti: Tachipnea/dispnea

Dolore toracico

Rinite

Faringodinia

Congiuntivite

Dolore oculare

Diarrea

Vomito

Dolore addominale

Astenia

Mialgia

Artralgia

Cefalea

Ageusia

Anosmia

Acrocianosi

Eritema pernio-like

Lesioni ulcerative delle estremità

Rash

Cheilite

di questi bambini e ragazzi risponderanno a un questionario anonimo erogato online attraverso Google moduli, appositamente costruito, per fornire le informazioni necessarie al follow-up, che avrà una durata variabile tra 14 e 28 giorni a seconda dei casi. Su tutti i dati raccolti verrà poi condotta un’analisi descrittiva relativamente a: numero totale dei partecipanti, loro caratteristiche (demografiche, cliniche, sociali), informazioni sulle esposizioni, durata dei sintomi, eventuale comparsa di sintomi di positività nei contatti, incidenza dei nuovi casi che compaiono nei contatti.

Numerosità del campione e risultati attesi

A oggi i casi pediatrici confermati in Italia sono 20.133 [17]. Dai dati presenti in letteratura si evince che per ogni caso diagnosticato ci possano essere tra i 6 e i 20 casi non diagnosticati [18,19]. Ponendo arbitrariamente questo valore a 10 possiamo stimare che a oggi si siano verificati in Italia circa 200.000 casi confermati di infezione da SARS-CoV-2 nei bambini (su circa 7.400.000 bambini fino a 14 anni, stima approssimativa dai dati ISTAT). Reclutando un campione di 74.000 bambini (corrispondente a circa un centinaio

di pediatri), ci si aspetta un centinaio di nuovi casi di Covid-19/mese durante i sei mesi dello studio, 600 in totale nei sei mesi dello studio. L’incidenza stimata di 100 casi/mese avrebbe dei limiti di confidenza al 95% di circa 80-120 casi/mese; corrispondenti a 1,35 casi/mese ogni 1.000 bambini (IC95% 1,08-1,62). Con questa numerosità campionaria sarà possibile stimare con buona precisione alcune caratteristiche rilevate tra i soggetti: una caratteristica che si presentasse con una frequenza del 10, 30, 50 per cento avrebbe come limiti dell’IC95% rispettivamente di +/- 2,4%, 3,7%, 4%. Per quanto riguarda l’obiettivo principale – stimare la incidenza e valutare l’epidemiologia della patologia Covid-19 – tale incidenza verrà stimata nel campione saggiandone anche l’associazione con le principali covariate previste nello studio, sia con test sulle medie o sulle mediane (a seconda delle distribuzioni) che con i test sulle proporzioni, quali il test chi quadrato e il test esatto di Fisher. La significatività statistica verrà saggiata con alfa = 0,05. Verrà inoltre valutata (confrontando la frequenza delle diverse associazioni di segni e sintomi nei casi positivi e negativi al tampone) la capacità diagnostica della scheda

clinica precostituita, per individuare clinicamente i casi sospetti.

Considerazioni finali e commenti

A nostra conoscenza questo è il primo studio osservazionale sulla storia naturale del Covid-19 nel setting delle cure primarie italiane. Dato che a quanto risulta dalla letteratura la maggior parte dei bambini e ragazzi affetti da questa patologia non necessitano di cure ospedaliere, si tratta di un ambito molto importante per raccogliere informazioni sulla reale incidenza di questa patologia in età pediatrica. Conoscere meglio le dinamiche di questa patologia, e in modo particolare la contagiosità dei bambini e ragazzi, potrà fornire ai clinici e ai decisori politici informazioni importanti per garantire i diritti dei minori, compresa la possibilità di frequentare la scuola. Siamo consapevoli del fatto che non sarà uno studio semplice da condurre, sia per una certa complessità intrinseca del disegno, che prevede una decisa e continua collaborazione dei pediatri partecipanti e delle famiglie, sia soprattutto per le difficoltà che stiamo vivendo nel momento in cui scriviamo (speriamo non ulteriormente aggravate al momento dell’uscita di questo articolo), legate alla diffusione del SARS-CoV-2, che mette in seria crisi medici e famiglie oltre che l’organizzazione sanitaria e l’intera società. Anche la diversità di tracciamento dei casi sospetti che si osserva attualmente nelle diverse Regioni italiane e che si basa su protocolli locali a volte inutilmente farraginosi potrà essere un ulteriore fattore di complessità. Riteniamo tuttavia utile condurre lo studio certi di ottenere comunque dei risultati che possano condurre a una migliore gestione di questa patologia in età pediatrica. * gitoffol@gmail.com

La bibliografia è consultabile online.


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salute mentale salute mentale

Rubrica a cura di Angelo Spataro

Il disturbo specifico dell’apprendimento, un ABC per il pediatra Rosalia Rinaldi*, Angelo Spataro** * Psicologa, psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, Palermo; ** Pediatra di famiglia, Palermo

Il disturbo specifico dell’apprendimento (DSA)

Il DSA è “un disturbo dell’apprendimento della lettura, della scrittura e del calcolo nonostante un’istruzione adeguata, in assenza di deficit intellettivi, neurologici o sensoriali e con adeguate condizioni socioculturali”. Per dislessia si intende il disturbo della lettura, per disortografia e disgrafia il disturbo della scrittura nelle sue componenti ortografiche e grafo-motorie e per discalculia il disturbo del calcolo. Dislessia, disortografia e discalculia possono presentarsi da soli o in associazione o con altri DSA o con altri disturbi del neurosviluppo (es. disturbo di attenzione e/o iperattività; disturbo di coordinazione motoria, ecc.). La diagnosi di dislessia viene posta al termine del secondo anno della scuola primaria, mentre la diagnosi di discalculia viene posta al termine del terzo anno della scuola primaria. Perché un sospetto DSA possa giungere a diagnosi è opportuno che tutte le figure di riferimento coinvolte nella crescita del bambino (insegnanti, genitori e pediatri) siano attenti a diversi segni di precoce rischio evolutivo. L’evoluzione dei DSA è favorita infatti dalla precocità e dall’adeguatezza dell’intervento; si tratta di disturbi che non sono di per sé “guaribili”, in quanto dipendono da fattori congeniti non modificabili ma che, nella maggior parte dei casi e in misura dipendente dalla gravità del deficit, si riducono con adeguati interventi abilitativi e corrette procedure educative.

Fattori di rischio

Il più importante fattore di rischio che un pediatra può controllare, durante i bilanci di salute o su richiesta di genitori e insegnanti, è il disturbo fonologico del linguaggio, soprattutto in presenza di una familiarità per disturbi del linguaggio e per DSA. Il disturbo fonologico del linguaggio consiste nell’incapacità di organizzare le unità minime di una parola, denominate fonemi. Nel disturbo fonologico tali fonemi compaiono in ritardo, si sviluppano lentamente e in maniera alterata (Tabella 1).

TABELLA 1.  Competenze fonologiche

7-13 mesi

Pronuncia delle vocali e delle consonanti m-n-p-b. Pronuncia bene: ma-ma, pa-pa e in seguito mamma, papà, mano.

24-36 mesi

Presenza di “processi di semplificazione”: 1) cancellazione di sillabe: “talo” per tavolo; 2) sostituzione di consonanti: “tane” per cane; 3) elisione di consonanti: “pocco” per sporco; 4) metatesi: “cimena” per cinema. Pronuncia delle consonanti f-v-d-g. Pronuncia bene: vado, dado.

3-5 anni

Scompaiono i “processi di semplificazione”. Pronuncia delle consonanti s-z-l-r. Pronuncia bene: spada-sporco-alzare.

5-6 anni

Il bambino parla bene e il suo linguaggio è comprensibile anche dalle persone estranee.

Il bambino con un disturbo fonologico del linguaggio omette di pronunciare molte parole la cui pronuncia risulterebbe alterata per cui, in aggiunta al disturbo fonologico, presenta anche un disturbo della grammatica (articoli, maschile/femminile, ecc.), del lessico (vocabolario povero) e della sintassi (frasi scorrette). Un bambino che a 36 mesi presenta un disturbo fonologico del linguaggio deve essere inviato dal logopedista per una valutazione specialistica. Quando un bambino presenta un disturbo fonologico del linguaggio ha una probabilità dell’80% di evolvere in un DSA. La logopedia, se iniziata precocemente, migliora la prognosi del disturbo del linguaggio ed è utile anche per favorire il successivo apprendimento della lettura, della scrittura e del calcolo. Altri fattori di rischio possono riguardare le abilità motorio-prassiche e visuo-spaziali. In questo caso, a partire dai 3 anni, si possono rilevare difficoltà nell’acquisire le prime autonomie (come per esempio infilarsi le scarpe e i vestiti, andare in triciclo) e nell’acquisire i concetti di sopra/sotto, grande/ piccolo.

Il bambino che frequenta la scuola dell’infanzia

La lettura e la scrittura sono forme di transcodifica del linguaggio parlato ed è per questo motivo che il disturbo fonologico del linguaggio è un fattore di rischio dei DSA. Il bambino con dislessia ha dif-

TABELLA 2. Competenze

metafonologiche. T-a-v-o-l-o: se unisco queste lettere che parola ottengo? Sedia: da quali lettere è formata questa parola?

ficoltà nel trasformare una lettera dell’alfabeto in un suono e il bambino con disortografia ha difficoltà di trasformare un suono in una lettera dell’alfabeto. Per accedere alla lettura e alla scrittura il bambino non solo deve parlare bene, ma deve possedere anche una competenza metafonologica cioè deve avere la capacità di analizzare il linguaggio parlato nelle sue componenti sonore e nel manipolarle che compare intorno ai 5 anni. A questa età il bambino è in grado di segmentare una parola in fonemi e di costruire una parola unendo i fonemi (Tabella 2), grazie anche alla memoria a breve termine. Buone abilità metafonologiche analitiche facilitano la corrispondenza suono-segno. Se un bambino a 5 anni ha delle difficoltà nella competenza metafonologica, molto probabilmente avrà delle difficoltà sia nella lettura che nella scrittura. Il bambino che evolverà verso la discalculia, nella scuola dell’infanzia ha delle difficoltà nello stabilire quale insieme contiene più oggetti, salta uno o più elementi nel conteggio, conta un oggetto più volte, non sa se un numero è più grande o più piccolo di un altro e fa errori di calcolo con le dita.

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salute mentale

Il bambino che frequenta la scuola primaria

Nel primo anno di scuola primaria, nelle prime fasi di acquisizione della letto-scrittura, il pediatra può ragionevolmente attenzionare il bambino quando presenta i fattori di rischio precedentemente discussi, se ha difficoltà o non riesce a imparare a leggere o a scrivere, se ha difficoltà a scrivere in corsivo. In questi casi è utile interfacciarsi con gli insegnanti, affinché si mettano in atto tutti quegli interventi preventivi previsti dalla normativa scolastica (Linee Guida allegate a D.M. 12 luglio 2011), ed eventualmente suggerire interventi terapeutici, per esempio logopedici o psicomotori. Il bambino con DSA si presenta scorretto e lento nella lettura e/o nella scrittura e/o nel calcolo. A metà della seconda classe della scuola primaria un bambino con una velocità di lettura inferiore a 0,7 sillabe/sec. (-2 ds) è da considerare a rischio di dislessia. Il pediatra potrebbe ascoltare la lettura del bambino (anche attraverso un brano tratto da un li-

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bro di lettura del bambino) e qualora riscontri una certa lentezza della lettura e della scrittura in riferimento all’età e alla classe frequentata, ed errori quali omissioni (pota per porta) o inversioni (lame per mele) o sostituzioni di lettere e sillabe (m/n;v/f; b/d) potrebbe formulare un sospetto di disturbo di letto-scrittura al fine di intraprendere un dialogo con gli insegnanti circa l’andamento scolastico del bambino ed accompagnare la famiglia, se necessario, ad approfondire attraverso una valutazione specialistica. Il protocollo diagnostico per DSA richiede infattila somministrazione di test standardizzati da parte degli specialisti (NPI e psicologi) dopo la segnalazione da parte degli insegnanti e/o del pediatra. Il bambino con discalculia che frequenta la terza classe della scuola primaria presenta lentezza ed errori nella lettura e scrittura dei numeri (12 invece di 21), compie errori nel mettere i numeri in colonna e nel loro posizionamento (200020 invece di 2020); ha inoltre difficoltà a imparare le tabelline,

a contare all’indietro e a fare semplici operazioni il cui risultato è depositato nella memoria a lungo termine (4+4). Il bambino discalculico, essendo un bambino intelligente, sa quali operazioni occorrono per risolvere un problema di matematica ma compie errori nella loro esecuzione. Bisogna infine non sottovalutare le variabili emotive e psicologiche dei bambini che presentano DSA e che spesso inficiano negativamente la prognosi e aumentano la probabilità di sviluppare disturbi secondari di tipo ansioso o depressivo. Il pediatra può in questi casi essere di supporto alla famiglia, monitorare tali aspetti e suggerire, quando necessari, interventi a favore del benessere psicologico del bambino. Tra le varie figure professionali che si occupano del bambino con DSA, quella del pediatra di famiglia assume una particolare importanza perché è quella più vicina al bambino e può quindi giocare un ruolo importante nel campo della prevenzione * spataro.angelo2014@libero.it

Lesioni ossee da abuso fisico: un ruolo per la scintigrafia ossea? Nei Paesi ad elevato reddito, l’abuso fisico interessa il 4%-16% dei minori di 18 anni. Le fratture ossee sono tra le più frequenti lesioni che vengono inflitte – seconde solo alle lesioni cutanee – e sono un indicatore di aggressività particolarmente violenta. Un’estesa valutazione radiologica (Rx) dello scheletro è indispensabile per fare emergere le possibili lesioni che possono sfuggire all’esame fisico, soprattutto nei bambini di età inferiore ai 2 anni. Ma anche questo può non essere sufficiente e per questo le linee guida suggeriscono di ripetere le Rx a distanza di due settimane per mettere in evidenza ciò che potrebbe essere sfuggito al primo esame. In realtà, questa raccomandazione è largamente disattesa per comprensibili ragioni organizzative, radioprotezionistiche e di compliance sia dei pazienti che dei medici. La scintigrafia ossea (SO) potrebbe essere d’aiuto per la sua capacità di svelare una lesione ossea già dopo poche ore che si sia verificata. Tuttavia, se utilizzata in prima istanza, la SO ha mostrato un’affidabilità non ottimale ed è stata, pertanto, fino a oggi un po’ trascurata dalle linee guida. Gli autori di questa metanalisi hanno valutato le evidenze disponibili rispetto a un suo utilizzo di seconda istanza e limitatamente ai casi che fossero risultati negativi all’Rx. Dei 783 casi di sospetto abuso fisico raccolti in 7 studi, la sola indagine Rx mostrava una lesione nel 52% dei bambini (per lo più di età ≤3 anni) e l’impiego successivo della SO consentiva un incremento delle diagnosi del 10%. Occorreva sottoporre a SO tre bambini per diagnosticarne uno in più (number needed to test). Pur con i limiti qualitativi e di ampia eterogeneità degli studi considerati, la SO – utilizzata come accertamento di seconda linea – sembra dare una possibilità in più nell’evidenziare casi di importante maltrattamento con fratture ossee. Considerata la rilevanza del fenomeno è una risorsa da non trascurare e, anzi, da studiare più approfonditamente. Blangis F, Taylor M, Adamsbaum C, et al. Add-on bone scintigraphy after negative radiological skeletal survey for the diagnosis of skeletal injury in children suspected of physical abuse: a systematic review and meta-analysis. Arch Dis Child. 2020 Sep 30;archdischild-2020-319065.


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La potenza del gioco Stefania Manetti Pediatra di famiglia, Piano di Sorrento (Napoli)

Nel giocare il bambino diventa una spanna più alto. Come nell’osservare il punto centrale di una lente di ingrandimento il gioco contiene tutte le componenti dello sviluppo in una forma condensata ed è esso stesso una risorsa principale per lo sviluppo. Leov Vygotsky Il gioco è un’attività semplice e allo stesso tempo estremamente profonda per un bambino. Il gioco rende naturale e gioioso l’apprendimento. Da più di trent’anni la fondazione del Minnesota Children’s Museum produce ricerca sul gioco e lo sviluppo dei bambini attraverso i contesti di apprendimento attivo e interattivo dei programmi del museo. “Stimolare l’apprendimento attraverso il gioco” è il principio della Fondazione, esso si basa sulle seguenti affermazioni: “L’apprendimento precoce è la base dell’apprendimento di tutto il corso della vita. Le famiglie sono i primi maestri dei nostri bambini. Tutti i bambini hanno bisogno di tempo e di spazio per essere bambini. Le diverse prospettive arricchiscono la vita dei bambini. Il gioco è apprendere”. La potenza del gioco sta nel giocare sempre, ovunque e intensamente, anche senza giocattoli, senza genitori che attivamente lo incoraggiano, anche nel bel mezzo di una zona di guerra. Talmente potente è il gioco da divenire una componente importante dello sviluppo del bambino; l’AAP (American Academy of Pediatrics) nel 2007 ha prodotto un documento sulla necessità del gioco, la Commissione ONU sui diritti umani ha riconosciuto il gioco un diritto fondamentale di ogni bambino. Paradossalmente, mentre la ricerca scientifica accumula evidenze sulla importanza del gioco, i bambini di oggi giocano circa 8 ore in meno a settimana rispetto ai bambini di vent’anni fa. I motivi sono diversi, un ruolo consistente riguarda la pressione costante sugli standard accademici che ha visto il gioco sostituito da test per le scuole primarie e a volte anche nelle scuole della infanzia. A loro volta i genitori investono maggiormente in giochi definiti educativi. Tutto questo ha creato una dicotomia tra gioco e apprendimento. Il documento prodotto dal gruppo di esperti del Minnesota Children’s Museum

fornisce una panoramica della ricerca scientifica mediante il principio filosofico che il gioco è apprendimento. Con il gioco il bambino acquisisce l’abilità di regolare il comportamento, di costruire le fondamenta per apprendere la scienza e la matematica, per risolvere e negoziare le relazioni sociali complesse, costruire una serie di abilità atte a risolvere i problemi. Il documento descrive il ruolo degli adulti nel guidare i bambini attraverso le opportunità di giocare e apprendere. Gli adulti sono intuitivamente consapevoli di cosa si intenda per gioco, mentre per gli studiosi non esiste ancora una definizione formale. Forse la migliore è quella di Stuart Brown, il fondatore del National Institute for Play, che descrive il gioco come: “Qualsiasi attività fatta spontaneamente per se stessa, ossia un’attività che “apparentemente non ha scopi, produce piacere e gioia e porta il bambino alla fase successiva di padronanza”. Il gioco è piacevole e non ha funzioni estrinseche o scopi, i bambini giocano per la soddisfazione di giocare. Durante il gioco per un bambino è più importante come si gioca rispetto al fine del gioco, esso è scelto liberamente ed è finzione. Secondo alcuni autori l’aspetto da considerare maggiormente è proprio la mancanza di scopo, che dà al gioco la qualità di “giocoso”. In opposizione al gioco, il lavoro non è visto come piacevole ed è costituito da motivazioni estrinseche, ossia ha uno scopo. Alcuni ricercatori hanno suggerito che forme ibride di lavoro e gioco possono fornire contesti ottimali e vantaggiosi per apprendere. Un esempio è il bambino impegnato in un lavoro scolastico difficile, con degli obbiettivi didattici precisi, che trova una sua motivazione intrinseca e un coinvolgimento. A metà di questo percorso, dove il gioco e il lavoro si intersecano, la motivazione del bambino, se affiancata dalla guida attenta dell’adulto possono creare un contesto di apprendimento giocoso.

Il ruolo del gioco libero e del gioco guidato dall’adulto

Nel gioco guidato l’adulto facilita l’apprendimento del bambino che gioca attraverso delle interazioni. Il ruolo dell’adulto nel gioco guidato può assumere due forme:

y    l’adulto può arricchire il contesto di

gioco del bambino fornendo esperienze o giochi che lo promuovono; y    l’adulto può “costruire” insieme al bambino un’impalcatura (scaffolding) partecipando al gioco come cogiocatore mediante domande e commentando le scoperte o incoraggiando nuove esplorazioni o aspetti del gioco. L’apprendimento attraverso il gioco in questi casi è più strutturato, ma deve sempre porre al centro il bambino e scaturire dal suo desiderio. Per i lettori di Quaderni acp potrebbe emergere un’assonanza con il programma Nati per Leggere, in particolare con la lettura dialogica, dove l’adulto, in base al desiderio del bambino, si pone come facilitatore, amplificando il processo di lettura attraverso domande aperte e osservazioni reciproche al divertimento durante la lettura di una storia, ponendo sempre al centro il bambino e cercando di stimolare la sua curiosità. Non c’è apprendimento senza emozione, emozione come indiretta forma di conoscenza, in quanto non richiede informazioni. Sia il gioco libero che quello guidato sono elementi essenziali. Il gioco libero dà al bambino autonomia vera, il gioco guidato è un percorso attraverso il quale i genitori e gli educatori possono fornire esperienze di apprendimento mirate. Durante il gioco i bambini sviluppano abilità di pensiero critico, emozioni, abilità sociali e fisiche. Il gioco promuove lo sviluppo cerebrale, e le competenze e le abilità acquisite nei primi anni di vita attraverso il gioco costrui­ scono le fondamenta per l’apprendimento futuro, dall’educazione primaria fino al posto di lavoro. Nel gioco tutti i domini dello sviluppo – cognitivo, sociale, emotivo e fisico – sono coinvolti con benefici indiretti e diretti. Sono apprese e messe in pratiche competenze cognitive come il linguaggio, la capacità di risolvere problemi, la creatività e l’autoregolazione. Inoltre quando giocando i bambini apprendono come negoziare, raggiungere un compromesso e interagire con gli altri, si sviluppano le relazioni tra pari e la crescita emotiva; il bambino impara a gestire la rabbia, la paura e la fru-

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strazione. L’impegno fisico nel gioco, il manipolare le costruzioni, il disegno, la corsa, contribuiscono poi allo sviluppo di abilità motorie fini e grossolane. Se il bambino ha l’opportunità di veicolare l’apprendimento attraverso il gioco questa occasione risponde in maniera immediata ai suoi bisogni di sviluppo e può contribui­ re alla scoperta di attività consone al proprio stile di apprendimento. Nel gioco libero il bambino acquisisce il controllo del proprio processo di apprendimento, promuovendo il desiderio, la motivazione e la padronanza. Il bambino apprende anche a cercare la conoscenza, il gioco coinvolge l’esplorazione, il testare delle ipotesi. Tutto ciò facilitato da un contesto libero da pericoli, sicuro, privo di ansie, dove i bambini possono mettere a confronto e testare le proprie abilità. Ma il gioco è anche resilienza di fronte alle sfide che il giocare pone, contribuendo a sviluppare le fondamenta per un apprendimento continuo. Il secolo in cui viviamo è caratterizzato da una mole incredibile di informazioni e conoscenze, necessarie per poter far parte di una comunità; molte delle abilità sviluppate nella prima infanzia con il gioco possono essere cruciali per avere successo in futuro. In un’economia globale chi è parte di una forza lavoro deve essere socialmente adeguato e al contempo creativo. Le 6 C: Collaborazione, Comunicazione, Conoscenza dei contenuti, pensiero Critico, Creatività e la “Confidence” ossia la sicurezza di sé nel possibile fallimento e riprova, sono essenziali per il futuro successo dei bambini. Non tutte queste abilità si acquisiscono a scuola, molte si apprendono con il gioco. Il gioco sociale è quello intrapreso tra pari o con gli adulti. Le mamme sono le prime partner di gioco, fin dai primi mesi di vita con il cucù-tetè e via via con il gioco più complesso, i genitori aiutano il bambino nella costruzione delle fondamenta delle loro abilità, se si pongono come iniziatori

del gioco, che in questi casi può essere anche più strutturato e sofisticato. Il genitore che osserva, dà l’avvio e sostiene, e aiuta il bambino nel pianificare il percorso per lo sviluppo del gioco tra pari. Nel 1932 Mildred Parten, sociologa della Università del Minnesota, descrisse livelli di gioco sociale che oggi sono considerati ancora abbastanza validi per delineare la maturità nel gioco nei primi anni di vita di un bambino. Il gioco solitario del bambino di 2-3 anni, il gioco parallelo dei bambini dopo i 3 anni coinvolti in attività di gioco simili ma separate, il gioco associativo quando i bambini giocano separatamente ma condividono, comunicano con gli altri riguardo la propria attività di gioco; il gioco cooperativo dei bambini più grandi che hanno un obbiettivo comune e giocano insieme per raggiungerlo. Secondo moderni studiosi queste categorie della Parten non sono strettamente legate all’età ma dipendono anche dai contesti. Ricerche recenti hanno infatti evidenziato come in un contesto familiare tra pari i bambini hanno la capacità di giocare in maniera cooperativa anche a 18 mesi, età in cui molti bambini sono capaci di condividere il gioco e i propri giocattoli o esprimere disappunto o rabbia se non approvano il comportamento degli altri nel gioco. Nel gioco tra pari i bambini stabiliscono tra di loro le regole del gioco (“tu sei la principessa, io sarò il mago… costruiremo una navicella spaziale per andare sulla Luna…”) mettendo in pratica la negoziazione, la pianificazione e la cooperazione. Questo tipo di gioco è pieno di conflitti e i bambini apprendono come i loro desideri non sono uguali a quelli degli altri e come la frustrazione generata possa essere gestita.

Il gioco simbolico è l’attività cardine della prima infanzia

Come pediatri consideriamo la comparsa del gioco simbolico uno dei parametri utili

per definire l’appropriatezza dello sviluppo di un bambino. Il gioco simbolico si manifesta intorno all’anno di vita ed è diretto verso sé stessi, poi verso gli altri. Intorno ai 18 mesi il bambino trasforma gli oggetti conferendo loro delle caratteristiche animate, successivamente una banana può diventare un telefono, una pentola un cappello… A 2 anni se un adulto giocando trasforma un pentolino in una vasca da bagno il bambino potrebbe riempirla di acqua. Con lo sviluppo, il gioco simbolico passa poi dagli oggetti alla decontestualizzazione dagli stessi e comincia il gioco attraverso situazioni immaginarie. L’età prescolare è l’età d’oro del gioco simbolico che tuttavia secondo molti studiosi continua anche dopo, in età scolare, anche se spesso in “privato” o nel contesto dei media. Le affermazioni forti e audaci di Vygotsky riguardo all’importanza del gioco simbolico nello sviluppo del bambino sono supportate da ricerche recenti che ne sottolineano l’importanza nello sviluppo delle abilità sociali, cognitive ed emozionali. * doc.manetti@gmail.com

Ginsburg KR, American Academy of Pediatrics Committee on Communications; American Academy of Pediatrics Committee on Psychosocial Aspects of Child and Family Health. The importance of play in promoting healthy child development and maintaining strong parent-child bonds. Pediatrics. 2007 Jan;119(1):182-91. Parten MB. Social play among preschool children. J Abnorm Soc Psychol. 1933 Jul;28:13647. Shonkoff JP, Phillips DA. From neurons to neighborhoods: The science of early childhood development. National Academy Press, 2011. United Nations High Commission on Human Rights. Convention on the rights of the child. 1989. Https://www.childrensmuseums.org/. Elkind D. The Power of Play: Learning What Comes Naturally. American Journal of Play. 2008 1(1):1-6.


Quaderni acp  www.quaderniacp.it  1 [2021] TITOLO RIBRICA

saper fare saper fare

L’emocromo: così convenzionale, così richiesto, ma così sconosciuto Margherita Calia*, Martina Lattuada*, Ester De Luca*, Sofia Chiaraluce*, Elena Varotto**, Paola Corti*, Giulia Maria Ferrari*, Orsola Montini* *Ematologia Pediatrica, Fondazione MBBM, Università di Milano-Bicocca, Monza; **Clinica di Oncoematologia Pediatrica, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Università di Padova

L’esame emocromocitometrico è probabilmente l’esame più richiesto e largamente utilizzato da qualunque medico nella pratica clinica. È un esame semplice, poco costoso e altamente riproducibile, fonte di numerose informazioni sullo stato di salute del bambino. Eppure, paradossalmente, al di là di due o tre voci principali, è poco “letto”. L’obiettivo di questo lavoro è quello di guidare il pediatra nella lettura estesa dell’emocromo e nella sua corretta interpretazione evidenziando i segnali di allarme che devono guidare a indagini più approfondite o alla necessità di valutazione specialistica (ematologo pediatra). Complete blood count (CBC) is one of the mostly performed diagnostic exam. It can give a variety of informations about a child’s health status. The article has the aim of guiding the pediatrician into reading the the different values of the CBC, in order to properly recognize and interpret the alterations and underlying the red flags which must be identified in order to proceed into further investigations or to request a specialist consultation (pediatric hematologist).

Introduzione

L’esame emocromocitometrico, detto comunemente emocromo, riflette pienamente nella complessità del suo nome, le sue caratteristiche (dal greco haima, sangue, khroma, colore, kytos, cellula, e metron, misura): l’emocromo infatti comprende numerosissime informazioni sulla componente corpuscolata del sangue sintetizzate in un esame semplice e di rapida esecuzione, ma che necessita di un’adeguata interpretazione. Di fronte a un emocromo dobbiamo infatti prima di tutto chiederci perché sia stato eseguito e contestualizzarlo al paziente, in particolare alla sua storia anamnestica e al quadro clinico, all’età, al sesso e all’etnia.

Identikit dei leucociti

I leucociti sono le cellule nucleate del sangue addette alla risposta immunitaria dell’organismo. In base a criteri volumetrici e di complessità strutturale cellulare, l’analizzatore ematologico permette di distinguere 5 tipi di leucociti maturi: granulociti neutrofili, eosinofili e basofili; linfociti; monociti. La loro composizione, in valori assoluti (n. × 109/L) e percentuali, è espressa dalla formula leucocitaria, la cui valutazione di normalità dipende da età e etnia (Tabella 1). L’emocromo permette di identificare alterazioni quantitative dei leucociti, in difetto (leucopenia) o in eccesso (leucocitosi). È fondamentale stabilire quale elemento

della linea leucocitaria le determini, sulla base dei valori assoluti dei differenti sottotipi leucocitari, e se queste siano isolate o associate ad alterazioni di altre serie ematopoietiche. È necessario comunque escludere la presenza di artefatti, come la falsa leucocitosi (eritroblasti circolanti, aggregati piastrinici o crioglobuline) o la pseudoleucopenia (emodialisi). L’analizzatore ematologico permette di rilevare anche anomalie qualitative dei leucociti, con l’identificazione di cellule atipiche o immature, la cui completa definizione può però richiedere una valutazione morfologica dello striscio di sangue periferico. L’interpretazione di tali dati necessita di un’anamnesi e un esame obiettivo accurati, fondamentali per guidare l’iter diagnostico successivo (Flow chart 1).

Granulociti neutrofili

Mediano le fasi più precoci della risposta infiammatoria e costituiscono la popolazione numericamente più rappresentata tra i leucociti circolanti nelle prime settimane di vita e dopo i 5 anni di età. Neutrofilia: è la causa più comune di leucocitosi e dipende da alterazioni dell’equilibrio tra produzione midollare, mobilizzazione dal pool midollare e distruzione periferica dei neutrofili. Acuta o cronica, è per lo più acquisita, come conseguenza di stati infiammatori, infezioni batteriche, alcuni anche agenti virali (e.g adenovirus),

traumi, stress o farmaci. Più rare sono le forme congenite, tra cui il deficit di adesione leucocitaria, le malattie mieloproliferative familiari, l’asplenia congenita, la neutrofilia ereditaria, l’orticaria familiare da freddo. Neutropenia: definita come una riduzione del numero assoluto di neutrofili maggiore di 2 deviazioni standard (DS) rispetto alla media per età, deve essere considerata in presenza di una conta di neutrofili minore di 1,5 × 109/L nei caucasici e 1,2 × 109/L negli africani. Lieve (> 1,0 × 109/L), moderata (0,5-1,0 × 109/L) o severa (< 0,5 × 109/L), può essere acuta o cronica. Le forme più frequenti dipendono da fattori estrinseci, come infezioni, farmaci, radioterapia, ipersplenismo, invasione midollare neoplastica, neutropenie autoimmuni, malattie sistemiche autoimmuni. Meno comunemente la neutropenia dipende da un disordine acquisito o intrinseco dei precursori mieloidi (carenze nutrizionali, processi mieloproliferativi acuti e cronici, insufficienze midollari, immunodeficit, malattie metaboliche, neutropenia ciclica – ELA-2 –, neutropenia congenita severa con lesione genetica nota – ELA2 o HAX1 – o non nota; sindrome di Shwachman-Diamond; sindrome di Pearson).

Linfociti

Rappresentano circa il 30% dei leucociti circolanti del neonato, crescono rapidamente fino a rappresentarne il 60% all’età di 2 anni, per poi ridursi nuovamente a partire dai 5-6 anni di vita. Linfocitosi: le infezioni virali ne rappresentano la causa più comune. Nella mononucleosi infettiva da segnalare la presenza di linfociti T “atipici”, caratterizzati da abbondante citoplasma vacuolato. Cause più rare sono le infezioni batteriche croniche, pertosse, tireotossicosi, morbo di Addison, ipersensibilità a farmaci, vaccini, malattie autoimmuni, immunodeficit. In presenza di una linfocitosi persistente e marcata, è sempre necessario escludere un disordine linfoproliferativo. Linfopenia: per lo più asintomatica, viene spesso identificata accidentalmente. Può

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saper fare

TABELLA 1.  Leucociti: valori normali per età media: n. × 109/L; range: intervallo di confidenza al 95%; %: percentuali

della formula leucocitaria; neutrofili: includono le band cells e un numero ridotto di precursori mieloidi nei primi giorni di vita [da Dallman PR. 1977]. ETÀ

LEUCOCITI TOTALI media

nascita

MONOCITI

EOSINOFILI

(range)

media

NEUTROFILI (range) %

media

LINFOCITI (range) %

media %

media %

(9,0-30,0)

11,0

(6,0-26,0) 61

5,5

(2,0-11,0) 31

1,1 6

0,4 2

12 h

22,8

(13,0-38,0)

15,5

(6,0-28,0) 68

5,5

(2,0-11,0) 24

1,2 5

0,5 2

24 h

18,9

(9,4-34,0)

11,5

(5,0-21,0) 61

5,8

(2,0-11,5) 31

1,1 6

0,5 2

1 settimana

12,2

(5,0-21,0)

5,5

(1,5-21,0) 45

5,0

(2,0-17,0) 41

1,1 9

0,5 4

2 settimane

11,4

(5,0-20,0)

4,5

(1,0-9,5) 40

5,5

(2,0-17,0) 48

1,0 9

0,4 3

1 mese

10,8

(5,0-19,5)

3,8

(1,0-9,0) 35

6,0

(2,5-16,5) 56

0,7 7

0,3 3

6 mesi

11,9

(6,0-14,5)

3,8

(1,0-8,5) 32

7,3

(4,0-13,5) 61

0,6 5

0,3 3

1 anno

11,4

(6,0-17,5)

3,5

(1,5-8,5) 31

7,0

(4,0-10,5) 61

0,6 5

0,3 3

2 anni

10,6

(6,0-17,0)

3,5

(1,5-8,5) 33

6,3

(3,0-9,5) 59

0,5 5

0,3 3

4 anni

9,1

(5,5-15,5)

3,8

(1,5-8,5) 42

4,5

(2,0-8,0) 50

0,5 5

0,3 3

6 anni

8,5

(5,0-14,5)

4,3

(1,5-8,0) 51

3,5

(1,5-7,0) 42

0,4 5

0,2 3

8 anni

8,3

(4,5-13,5)

4,4

(1,5-8,0) 53

3,3

(1,5-6,8) 39

0,4 4

0,2 2

10 anni

8,1

(4,5-13,5)

4,4

(1,8-8,0) 54

3,1

(1,5-6,5) 38

0,4 4

0,2 2

16 anni

7,8

(4,5-13,0)

4,4

(1,8-8,0) 57

2,8

(1,2-5,2) 35

0,4 5

0,2 3

21 anni

7,4

(4,5-11,0)

4,4

(l, 8-7,7) 59

2,5

(1,0-4,8) 34

0,3 4

0,2 3

FLOW CHART 1

neutrofilia

stati infiammatori, infezioni, batteriche, traumi, stress, farmaci, forme congenite

linfocitosi

infezioni virali/batteriche croniche, iatrogena, immunodeficit, malattie autoimmuni, malattie endocrinologiche

monocitosi

infezioni, malattie reumatologiche, disordini gastrointestinali, reazione a farmaci

eosinofilia

allergie, parassitosi, neoplasie, disordini gastrointestinali, malattie reumatologiche, immunodeficit

leucocitosi + piastrinopenia e/o anemia

disordini mieloproliferativi o linfoproliferativi

neutropenia

infezioni, farmaci, neutropenie autoimmuni, malattie autoimmuni sistemiche, immunodeficit, malattie metaboliche, neutropenia ciclica, neutropenia congenita severa, s. Schwachman Dianmond, s. Pearson

isolata

leucocitosi

combinata

Alterazioni quantitative dei leucociti

isolata

linfopenia

leucopenia

combinata

leucopenia + piastrinopenia e/o anemia

infezioni, iatrogena, malattie autommuni, enteropatia proteinodisperdente, sarcoidosi, insufficienza renale, immunodeficienze combinate severe, atassia-telenagectasia, s. Wiskott-Aldrich ipersplenismo, radioterapia, invasione midollare neoplastica, carenze nutrizionali, processi mieloproliferativi o linfoproliverativi, insufficienza midollare

1. Conferma del dato in base ai valori assoluti di riferimento per età ed etnia

2. Quando è insorta? Confronto con emocromi precedenti se disponibili

3. Accurata anamnesi: storia di sintomatologia infettiva, sintomatologia neoplastica, farmaci...

4. Esame obiettivo: particolare attenzione a linfoadenopatie e organomegalia

5. Sospetto diagnostico? Approfondimento bioumorale e strumentale


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dipendere da una ridotta produzione o da un’aumentata distruzione periferica dei linfociti. Tra le cause acquisite le più comuni da ricordare sono le infezioni, le forme iatrogene, le patologie sistemiche. Più rare le forme congenite, come l’immunodeficienza combinata severa, l’atassia-teleangectasia, la sindrome di Wiskott-Aldrich.

Monociti

Sono fondamentali nell’immunità innata contro le infezioni, nella riparazione e rimodellamento dei tessuti e nella risposta immune adattativa antigene-specifica. Il loro numero assoluto varia con l’età, così come la definizione di monocitosi. Questa può dipendere da infezioni batteriche, fungine o parassitarie, disordini ematologici benigni o maligni (processi mieloproliferativi acuti e cronici), malattie reumatologiche, disordini gastrointestinali infiammatori o reazioni a farmaci.

Granulociti eosinofili

Poco rappresentati nel sangue circolante, con un numero assoluto solitamente inferiore a 0,45 × 109/L, non rispecchiano sempre la reale distribuzione nei tessuti. Eosinofilia: lieve (0,7-1,5 × 109/L), moderata (1,5-5,0 × 109/L) o grave (> 5,0 × 109/L), transitoria, episodica o persistente, è conseguenza per lo più di disordini allergici e parassitosi, più raramente di patologie neoplastiche ematologiche e non ematologiche, disordini del tratto gastrointestinale (malattie infiammatorie intestinali, gastroenterite eosinofila), malattie reumatologiche, immunodeficit (sindrome da iper-IgE, sindrome di Wiskott-Aldrich, sindrome di Omenn, sindrome di Löffler).

Granulociti basofili

Coinvolti nelle reazioni allergiche, quando maggiori di 0,1-0,2 × 109/L determinano una condizione di basofilia, per lo più aspecifica e presente in una grande varietà di disordini, tra cui le reazioni da ipersensibilità.

Identikit del globulo rosso

Gli eritrociti fanno parte degli elementi corpuscolati del sangue, ma a differenza dei leucociti, non posseggono nucleo (lo perdono nel passaggio da eritroblasto, ultimo stadio maturativo midollare, a reticolocita nel circolo sistemico). Vengono valutati attraverso diversi parametri, che variano in rapporto a età, sesso ed etnia (Tabella 2). Emoglobina (Hb, g/dL): indica la concentrazione della proteina Hb nelle emazie. Le variazioni legate all’età sono significative: per esempio a 2 mesi di vita il valore minimo fisiologico di Hb è pari a 9,0 g/dL.

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Quando il valore di Hb è inferiore di 2 DS a quanto atteso per età e sesso si instaura un’anemia; quando invece, insieme all’ematocrito, è superiore a 2 DS, si parla di eritrocitosi.

y    la reticolocitosi: indica un midollo atti-

Globuli rossi o eritrociti (GRC): numero di globuli rossi per unità di volume (n. × 1012/L). Da considerarsi in particolare nelle eritrocitosi o poliglobulie relative (come nel soggetto con trait talassemico). La riduzione del numero di GRC, invece, si riscontra in caso di anemia (di varia eziologia) e si accompagna a riduzione dell’Hb.

Ematocrito (Ht): indica la percentuale del volume sanguigno occupata dai GRC. Si modifica contestualmente all’instaurarsi di un’anemia o di una poliglobulia. È indice di emoconcentrazione e aumenta nelle condizioni in cui la quota liquida plasmatica si riduce. Deve essere pertanto valutato in benessere.

Volume globulare medio (MCV, fL): è calcolato mediante la formula: Hct × 1.000/ GRC. Varia considerevolmente in base all’età (es. tra i 6 mesi e i 2 anni un MCV pari a 70 fL è normale), sesso ed etnia. Permette di distinguere tra anemie microcitiche (di cui la più diffusa nei primi anni di vita è l’anemia sideropenica), normocitiche e macrocitiche. Franche macrocitosi sono molto rare nel bambino e tipicamente sono espressione di sindromi da ipoplasia midollare. Le forme carenziali, più frequenti nell’adolescente, da difetto di folati per una dieta inappropriata o in quadri di gastrite atrofica, possono presentare un MCV ai limiti superiori di norma.

Concentrazione emoglobinica corpuscolare media (MCHC, g/dL): è calcolata mediante la formula Hb × 1.000/Ht. È indice della cromia dei GRC, utile nella diagnostica delle anemie emolitiche croniche, come la sferocitosi, in cui è generalmente aumentata.

Volume di distribuzione eritrocitaria (RDW, %): è un indice di anisocitosi relativa, cioè dell’ampiezza di distribuzione volumetrica dei GRC. Risulta aumentato (>14%) in tutte quelle condizioni in cui i GRC hanno volumi differenti (come in caso di reticolocitosi, nelle anemie emolitiche acute e croniche, nelle emoglobinopatie, nell’anemia da deficit di folati in particolare se associata all’anemia sideropenica). Reticolociti: eritrociti giovani immessi nel circolo ematico nelle ultime 24-48 ore. Il nome deriva dall’aspetto reticolato che assumono con colorazioni specifiche (blu di metilene) per la presenza di residui di organuli citoplasmatici ribosomiali. Usualmente sono indicati come valore percentuale, ma sono informativi quando espressi come valore assoluto tanto da divenire indispensabili nella gestione diagnostico-terapeutica di qualunque anemia. Variano tra 3-9 × 109/L e vanno rapportati al valore di Hb. Rappresentano un indice dell’attività eritropoietica del midollo osseo: y    la reticolocitopenia indica un’anemia carenziale (anemia sideropenica o da difetto di vitamina B12 o folati) o un midollo ipoproduttivo (eritroblastopenia transitoria, forme di ipoplasia midollare: Blackfan-Diamond, Shwachman-Diamond, anemia di Fanconi);

vato (ripresa produttiva nelle forme carenziali in trattamento, eritroblastopenia in fase di sblocco e ripresa, emolisi acuta o cronica).

Contenuto emoglobinico medio (MCH, pg): calcolato mediante la formula Hb × 1.000/ GRC. Poco utilizzato. La raccolta di un’anamnesi attenta, la valutazione della familiarità e gli emocromi dei genitori unitamente all’esame obiettivo possono indirizzare la diagnosi. Non addentrandoci nella diagnostica delle anemie (Flow chart 2), ricordiamo di seguito gli “amici del globulo rosso”, cioè quegli esami di laboratorio basilari per un primo inquadramento diagnostico: y    indici di emolisi: bilirubina indiretta, LDH, aptoglobina. Utile valutare contestualmente le urine (emoglobinuria, ematuria, presenza di urobilinogeno). Insieme ai reticolociti, che sono fondamentali, identificano le anemie emolitiche acute o croniche, guidano alla richiesta dei successivi accertamenti diagnostici (test di Coombs ed enzima G6PDH in caso di emolisi acuta; accertamenti di seconda linea sono l’EMA binding, i test di funzionalità di membrana eritrocitaria, la ricerca di emoglobine instabili, ecc.); y    sideremia, transferrina, ferritina: indispensabili congiuntamente per l’inquadramento dell’anemia carenziale sideropenica, la più diffusa nel bambino. La ferritina e la sideremia prese singolarmente non sempre rispecchiano i depositi marziali dell’organismo (la ferritina risente di stati infiammatori acuti e cronici, la sideremia subisce ampie oscillazioni legate al ritmo circadiano). Per questo è utile valutare tali parametri unitamente alla saturazione della transferrina [(sideremia- × 100)/ (transferrina × 1,42)] che non risente

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TABELLA 2.  Eritrociti: valori normali per età e sesso. Hb emoglobina; Ht ematocrito; GR globuli rossi; MCV volume

corpuscolare medcio; MCH Contenuto emoglobinico medio; MCHC concentrazione emoglobinica corpuscolare media; DS deviazioni standard [da Natham DG, et al. 2008]. Hb (g/dL) Ht(%) GR (1012/L) MCV(fl) MCH(pg) MCHC(g/dL) ETÀ media –2 DS media –2 DS media –2 DS media –2 DS media –2 DS media –2 DS Nascita 16,5 13,5 51 42 4,7 3,9 108 98 34 31 33 30 1-3 giorni 18,5 14,5 56 45 5,3 4,0 108 95 34 31 33 29 1 settimana 17,5 13,5 54 42 5,1 3,9 107 88 34 28 33 28 2 settimana 16,5 12,5 51 39 4,9 3,6 105 86 34 28 33 28 1 mese 14,0 10,0 43 31 4,2 3,0 104 86 34 28 33 29 2 mesi 11,5 9,0 35 28 3,8 2,7 96 77 30 26 33 29 3-6 mesi 11,5 9,5 35 29 3,8 3,1 91 74 30 25 33 30 0.5-2 anni 12,0 10,5 36 33 4,5 3,7 78 70 27 23 33 30 2-6 anni 12,5 11,5 37 34 4,6 3,9 81 75 27 24 34 31 6-12 anni 13,5 11,5 40 35 4,6 4,0 86 77 29 25 34 31 12-18 anni Femmine 14,0 12,0 41 36 4,6 4,1 90 78 30 25 34 31 Maschi 14,5 13,00 43 37 4,9 4,5 88 78 30 25 34 31 18-49 anni Femmine 14,0 12,0 41 36 4,6 4,0 90 80 30 26 34 31 Maschi 15,5 13,5 47 41 5,2 4,5 90 80 30 26 34 31

FLOW CHART 2 Hb< -2SD MCV=

MCV↓ sideropenia (ferritina, %Sat TRF↓, TRF↑), reticolociti↓

non sideropenia, reticolociti = o↑ elettroforesi Hb

RDW =, reticolociti ↓

RDW↑

indici emolisi +

ERITROBLASTO PENIA TRANSITORIA

ANEMIA SIDEROPENICA

% Sat TRF↑

Hb↓, MCV↓

ANEMIA SIDERO BLASTICA

persistente ferrocarenza (%Sat TRF ↓) epcidina, TMPRSS6

IRIDA

alterati GB e/o PTL

ANEMIA DA SANGUINAMENTO ACUTO

RDW↑, indici emolisi +

ERITROBLASTO PENIA

Ferro os/ev

AM*

MCV↑

EMOGLOBINO PATIA

EMA binding, ROE, Pink test, test di lisi al glicerolo

G-6PDH, PK

DIFETTO MEMBRANA GR

DIFETTO ENZIMATICO GR

Test di Coombs Hb↓, MCV↓ in/ diretto

ANEMIA AUTO IMMUNE

eADA ↑, subunità ribosomiali alterate BLACKFAN DIAMOND

eritroblasti +, % Sat TRF ↑ ANEMIA DISERITRO POIETICA

Vitamina B12 e/o folati↓

se persistente AM/BOM

Patologia LINFO PROLIFERATIVA

IPOPLASIA MIDOLLARE

elastasi fecale

DEB

FANCONI

ANEMIA da DEFICIT vitamina B12

DISCHERATOSI CONGENITA

PEARSON

SCHWACHMAN DIAMOND

Legenda: Hb emoglobina; MCV volume corpuscolare medio; = normale; ↓ ridotto; ↑aumentato; TRF transferrina; % Sa tTRF percentuale di saturazione della transferrina; RDW volume di distribuzione eritrocitaria; GB globuli bianchi; PTL piastrine; GR gobuli rossi; ROE resistenze osmotiche eritrocitarie, indici di emolisi (reticolocitosi, aptoglobina↓, LDH↑, bilirubina indiretta↑, emolisi allo stick urine); G-6PDH dosaggio G-6PDH eritrocitario; PK dosaggio piruvato chinasi; eADA enzima adenosin-deaminasi eritrocitario; DEB test al diepossibutano; AM aspirato midollare; BOM biopsia osteomidollare; * con colorazione di Perls. NB: esegui sempre un’accurata anamnesi; richiedi sempre origini dei genitori, eventuale consanguineità e i loro emocromi (e altri eventuali approfondimenti ematochimici su di loro); verifica sempre i parametri in rapporto a età, sesso ed etnia.


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TABELLA 3.  Piastrine: valori normali per età, etnia e sesso [da Natham DG, et al. 2008].

PIASTRINE (103/mm3)

ETÀ

Africani-americani

Percentile Sesso

2,5

50

95

Messicani americani e caucasici 97,5

2,5

50

95

97,5

M F M F M F M F M F M F M F M F

1 anno

225

330

475

480

235

375

510

555

2·3 anni

220

335

480

490

225

335

470

530

4-6 anni

220

315

440

470

225

325

440

460

7-10 anni

210

310

420

420

200

295

410

435

180

275

380 410 410 430

190

280

495

420

165 185 245 265 340 375 360 400

180

270

11·14anni 15-18 anni

345 400 360 420

VOLUME PIASTRINICO (103/mm3) Percentile Sesso

2,5

50

95

97,5

2,5

50

95

M F M F M F M F M F M F

97,5 M F

1 anno

6,3

7,6

8,8

9,0

6,3

7,2

8,0

8,4

2·3 anni

6,5

7,5

8,7

8,8

6,2

7,3

8,6

8,8

4-6 anni

6,4

7,7

9,2

9,6

6,5

7,5

8,6

8,9

7-10 anni

6,7

8,1

9,1

9,4

6,5

7,8

9,2

9,6

11·14 anni

6,8

8,2

9,7

10,3

6,7

8,1

9,5

9,7

15-18 anni

7,0

8,2

10,1

10,8

6,9

8,2

9,9

10,2

FLOW CHART 3

Piastrine di grandi dimensioni MPV >11 fL

Volume piastrinico (MPV) fL Piastrine di dimensioni normali

Inclusioni leucocitarie, cataratta, transaminasi elevate, nefropatia, sordità

Malattia MYH9 – correlata AD

Ritardo dell’apprendimento, malformazioni facciali, cardiopatia, delezione 11q23

Trombocitopenia di Paris-Trousseau AD

Riduzione o assenza di espressione del complesso piastrinico GPIb/IX

Sindrome di Bernard-Soulier AD-AR

Mielofibrosi, splenomegalia, elevati livelli di vitamina B12

Sindrome delle piastrine giganti AD-AR

Megacariociti ridotti, assenza bilaterale del radio, malformazioni

Piastrinopenia con assenza del radio AR

Megacariociti ridotti, evoluzione in aplasia midollare, aumento della TPO

Trombocitopenia amegacariocitica congenita AR

Evoluzione in mielodisplasia o leucemia nel 40%

Piastrinopatia familiare con predisposizione a LMA AD

Aumentato rischio leucemico

Trombocitopenia ANKRD26-correlata AD

Immunodeficienza severa, eczema

Sindrome di Wiskott-Aldrich X-linked

No eczema

Trombocitopenia X-linked X-linked

Piastrine di piccole dimensioni MPV < 7 fL

Legenda: MPV volume piastrinico medio; > maggiore; < minore; AD autosomica dominante; AR autosomica recessiva

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degli stati infiammatori: indica depositi marziali adeguati quando > 15%; nelle fasi di rapida crescita (primi anni di vita ed età adolescenziale) è discreta quando > 10%; y    vitamina B12, folati: utili più spesso nell’adolescente con alimentazione inadeguata, povera in frutta e verdura, o nei quadri di gastrite cronica, reflusso gastroesofageo, o a volte nei lattanti allattati al seno con anemie macrocitiche da carenze materne; y    funzionalità renale: creatinina, urea, esame urine nel sospetto di una sindrome emolitico-uremica o di un’anemia da insufficienza renale cronica. L’elettroforesi dell’emoglobina, alterata in caso di sideropenia, non è un esame di primo livello salvo indicazione specifica.

Identikit delle piastrine

La conta piastrinica ha un range di normalità molto ampio (150-450 × 109/L), dovuto al rapido turnover delle piastrine (PTS). Tale dato è da mettere in relazione all’età del paziente (Tabella 3). Altro parametro fondamentale è il volume corpuscolare medio delle PTS (MPV), con valori medi tra 10-12 fL. Piastrinopenia: valore di PTS inferiore a 150 × 109/L, nell’ambito delle piastrinopenie immuni il cut-off è 100 × 109/L. Possiamo distinguerla in lieve (50-100 × 109/L), moderata (20-50 × 109/L), grave (< 20 × 109/L). Un valore di PTS compreso tra 100-150 × 109/L è frequente in soggetti sani di alcune etnie. Di fronte a un primo riscontro di piastrinopenia, è importante valutare l’interessamento delle altre serie per escludere potenziali patologie maligne o aplasie midollari. Nel caso di piastrinopenia isolata è indicato ripetere il prelievo in sodio citrato per

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escludere una pseudopiastrinopenia dovuta alla formazione di aggregati piastrinici in EDTA. Il riscontro di una piastrinopenia moderata-severa a insorgenza acuta, associata a diatesi muco-cutanea, è il quadro tipico delle piastrinopenie autoimmuni (trombocitopenia immune, trombocitopenia neonatale autoimmune). Entrambe sono dovute alla distruzione delle PTS da parte di anticorpi diretti contro antigeni di superficie (HLA, HPA). In questi casi l’MPV sarà spesso aumentato (> 12 fL), per la presenza in circolo di PTS giovani di grossa taglia rilasciate dal midollo in risposta all’aumentato turnover. Di fronte a una piastrinopenia cronica moderata (50-150 × 109/L), si devono invece valutare le forme ereditarie. In questo caso sarà di grande aiuto il valore di MPV (sindrome di Wiskott-Aldrich e varianti alleliche in caso di MPV piccolo o sindrome di Bernard-Soulier se PTS grandi), l’anamnesi familiare, la presenza di alterazioni scheletriche, immunologiche e malformative, la morfologia delle PTS allo striscio periferico e la presenza dei megacariociti a livello midollare (Flow chart 3). Piastrinosi: aumento del numero di PTS circolanti, generalmente superiori a 600 × 109/L; in epoca neonatale invece i valori devono superare 1.000 × 109/L. La piastrinosi è comune in età pediatrica e le cause più frequenti sono le infezioni e le malattie infiammatorie, in quanto le citochine proinfiammatorie stimolano la produzione di trombopoietina a livello epatico. Anche un’anemia microcitica può causare una piastrinosi. Le due linee cellulari infatti condividono recettori per fattori di crescita comuni. Nelle forme secondarie, non sarà necessaria terapia antiaggregante anche in presenza di valori superiori a 1.000 × 109/L, in quanto si risolverà spon-

taneamente nel giro di qualche settimana. Nel caso di una piastrinosi che persiste per più di 6 mesi, sarà invece indicato escludere forme primitive dovute a una produzione megacariocitica incontrollata midollare. * o.montini@campus.unimib.it

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La mia vita in ACP, e anche dopo. Intervista immaginaria a Pasquale Alcaro A cura di Giancarlo Biasini Caro Pasquale purtroppo non siamo riusciti a vederci nell’ottobre del 2019. Eravamo al Congresso di Matera e Fabio, Francesco, io e Giovanna dovevamo incontrarti. La sera prima ci telefonasti: febbre a 39 °C; non si poteva più fare. A fine settembre 2020 ci accordammo per un’intervista chiesta dalla redazione di “Quaderni acp”. Si voleva tornare al tempo della tua vita in ACP e anche dopo. Quale era stata la tua idea di pediatria al Sud, ma che può servire ovunque. Avevamo fissato dei punti e io me li ero scritti. Poi c’è stato un tuo andare fra casa, ospedale e casa e ora siamo di nuovo qui. Tu ci hai lasciato, mio caro, ma il nostro impegno rimane. Le domande le avevamo pensate insieme le risposte sono tue; le ho trovate in ciò che tu hai scritto o detto. Cominciamo? Quando hai incontrato la pediatria? Non ho avuto premotivazioni. Per me ha deciso tutto lo zio che mi ha cresciuto (ardito nella grande guerra, squadrista dopo). Medico, laureato a Bologna, voleva fare il pediatra; non ci era riuscito. Il suo obiettivo per me, era il suo stesso con in più un primariato a Soverato. Ho obbedito e gli sono grato perché la mia vita professionale è stata divertente e felicissima. Laurea e specialità a Bologna poi a Pavia dove era arrivato Colarizi, poi a Catanzaro dal 1961 con il professor Spadea primario di medicina: gran testa, sapeva e parlava di tutto. È anche lui colto, analitico, lungimirante che mi ha costruito: cercare di vedere lontano. Nel 1967 si aprì il nuovo ospedale a Catanzaro con la pediatria: primario Bernardo Concolino e fui con lui. A metà anni degli Settanta un gruppo di intellettuali calabresi, medici e no, fra cui lo stesso Spadea, fondarono un gruppo su “Problemi calabresi di medicina sociale”. Fui con loro. Nel 1979 Concolino diventò primario neonatologo a Catanzaro e io nel 1981 primario a Soverato. Grandi sogni che ricordi anche tu: nel 1978 era passata la legge sul SSN. Nel 1968 avevo cominciato a uscire dalla Calabria per frequentare congressi. Fabio Sereni lo incontrai a Milano a un congresso sui nuovi antibiotici e mi impressionò. Ai suoi convegni a Saint Vincent non mancai mai.

Quello di Saint Vincent fu il primo dei nostri incontri. Dal 1968 non ne persi uno. Poi nel 1972 Cesena. Organizzazione perfetta, inizio puntuale, orari tedeschi, pranzo velocissimo dalla cucina dell’ospedale. Semplice, pratico, all’osso. Tempo eguale per relazione e discussione. Il dibattito valeva più della relazione. Tutto sugo, tutto da portare a casa. Nel 1976 ascoltai a Cesena Franco Panizon a un convegno su “La semplificazione degli interventi”. Una folgorazione. Gli chiesi di frequentare la clinica. In clinica il clou della giornata era la riunione: si discutevano i casi dalle 13 alle 15. Da allora Trieste è stato tutto. Panizon è stato l’ultimo costruttore di me. Ho imparato da lui non solo la pediatria, ma a vivere con impegno e insieme con leggerezza. Oltre ai congressi la frequenza nei grandi ospedali: San Carlo a Milano, Clinica Pediatrica di Roma e poi Berna da Ettore Rossi. Mi resi conto di quanto, a 37 anni, fossi indietro come preparazione, ma in fondo non da buttar via. Appena diventato primario di un piccolo ospedale girai con Nicola D’Andrea per copiare ciò che si poteva copiare. Lecco, Morbegno, Verona da Mastella, San Daniele del Friuli e infine quasi per trarre conclusioni Cesena. Qui incontrai le subspecialità: il fibrocistologo, l’intensivista neonatologo, la gastroenterologa, il diabetologo, il neuropediatra e Francesco Ciotti neuropsichiatra del territorio, ma di qua e di là. Da lì l’idea del visiting professor che veniva a insegnare e controllare. Poi le riunioni di reparto del mercoledì con i pediatri di famiglia. Caposala coi fiocchi, infermiere super. Raccontai tutto alla mia caposala, la signorina Codamo. Soverato doveva essere il migliore reparto di zona: “Non scimmiottando ospedali di maggiore livello, ma se l’ospedale più grande non si fa carico di alcuni problemi di sua competenza un ospedale di zona volenteroso deve svolgere azione vicaria”. Questo mi dicesti. E Soverato dal 1996 fu Centro Regionale per la Fibrosi Cistica con vantaggio per buona parte del Sud. E il “Corso di aggiornamen-

to per i pediatri delle regioni meridionali” a Copanello? Non trovai un nome più corto altrettanto esplicativo. Il primo si tenne in un febbraio freddoso del 1978. Successo inaspettato, dialettica vera e obiettivi centrati. Alla fine si doveva compilare un questionario che dava i voti ai relatori (ma che sfrontati!) e si potevano aggiungere in calce commenti, suggerimenti, critiche, proposte. L’idea era nata a casa di Panizon alla cena di commiato della mia prima andata a Trieste. Di convegni in Italia ve ne erano già due, e solo due, diversi e di accertata utilità: Saint Vincent ottimo, ma superspecialistico e Cesena organizzato da un cespuglioso professor Biasini. A questo voleva assomigliare il nostro. Era pensato per i meno provveduti di possibilità per lontananza geografica o condizioni di lavoro; pediatri di base appena nati, colleghi nucleari, lontani dalle università. A Trieste fu steso rapidamente un abbozzo di programma. Il resto lo avete fatto voi che siete venuti ad aiutarci, compresi i più giovani relatori che già si erano rodati a Cesena: Ventura, Longo, Arcangeli, Tamburlini. Copanello finì nel 1998 un anno prima della mia pensione. Seguirono, al Sud, gli Argonauti dal 2007 al 2015. Al Nord Tabiano, con Boschi continuò Cesena. Il “ freddoso” Copanello è rimasto ancora nel cuore di molti di noi. Che spiegazione ti dai? Copanello era “sentito” da chi ci veniva; partecipanti, tutti giovani, relatori, commessi di organizzazione, ecc. Era così perché così ci si aspettava che fosse. Serviva, qua molto più che altrove. Era un servizio e ha costantemente cercato di esserlo. Molti pediatri sono diventati amici qui. Aggiornamento di base, ma anche allegro; e voleva dire molto. Allegro. Ricordo una sera in cui facevo finta di dirigere un’orchestra dall’alto dell’aula agitando le braccia e tutti si misero a ballare come se ci fosse veramente la musica. Intanto era nata la pediatria di base e incontrarsi e parlarsi era più essenziale che mai. Ma poi ti ponesti il problema del vuoto che c’era fra un

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Educazione in medicina

Copanello e il successivo. Un anno di solitudine era troppo. Bisognava colmarlo. Nacque l’idea di una rivista nella mente di Serafino Ciancio pediatra a Chiaromonte paese lucano. Poteva dare concretezza e continuità al corso, alle conoscenze nate in quella occasione, ma anche consapevolezza, autostima, convinzione del ruolo: permettimi di dirlo marxianamente, coscienza di classe. Le obiezioni alla rivista? Qualcuna anche tua. C’era Prospettive in pediatria, fondata da Fabio Sereni dove Rino Vullo curava una rubrica di aggiornamento professionale utile per allargare gli orizzonti, ma forse difficile per un pediatra isolato. C’era la Rivista italiana di pediatria fondata dall’ACP quando nel 1978 presidente della SIP era Roberto Burgio. Un po’ esclusiva, Bernardo Concolino la chiamava una “rivista in doppio petto” e forse aveva ragione. C’era Novità in pediatria, rivistina in formato ridotto diretta da Giuseppe Masera con la collaborazione di Dante Baronciani e Momcilo Jankovic. Contenuto molto pratico, ma diffusione modesta. Ci voleva una rivista “da campo”. L’idea di Serafino Ciancio ebbe una lunga gestazione: oltre quattro anni. Così nel 1982, da una filiazione di Medico e Paziente nacque Medico e Bambino. Avrebbe dovuto essere privo di pubblicità, progetto che si dimostrò irrealistico. Ci penserà poi Rino Vullo a trovare l’Edifarm come editore. E fu fatta. Ora parlaci dell’ospedale di Soverato. A Copanello dicesti che l’ospedale poteva diventare uno strumento per le deospedalizzazione, sollevando qualche mugugno. Lo dissi, ed era vero. La pediatria a Soverato nasce nel 1982; ne sono stato primario fino al 1999: 8 posti letto, 5 medici, un bacino di utenza 50.000 abitanti, 10.000 sotto i 15 anni. Attento: nel 1992 avemmo 581 ricoveri nel 1998 scendemmo a 425. Il numero di visite ambulatoriali in reparto passò da 8.150 nel 1992 a 3.835 nel 1998. Facemmo passare anche fra la gente, che, per dirla difficile, la redditività e la produttività (sic!) di un reparto non si valuta sul fatturato, cioè sulla quantità dei ricoveri, ma sui non ricoveri, sulle non prestazioni. Cioè sulla quantità di salute dei 10.000 bambini che sono affidati ai pediatri di ospedale e fuori ospedale. Strumenti? Allattamento al seno, copertura delle vaccinazioni, posizione supina nel sonno, corsi prematrimoniali anche fatti con la parrocchia. Pediatri di ospedale e fuori ospedale

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insieme in riunioni per due ore ogni settimana, anche noi il mercoledì come a Cesena, dalle 12,30 alle 15. Discussione dei casi della settimana d’ospedale e di territorio, revisione dei protocolli, articoli con novità, report dai convegni. Un reparto pediatrico ospedaliero non è solo luogo di ricovero ma anche, ed eminentemente, un luogo di integrazione con cui si possono ridurre i ricoveri curando di più a casa. E non per spendere meno riducendo i posti letto, come voleva chi ci ha trasformati in aziende con i guai che abbiamo oggi. Dici “curando più a casa”. Mi fai venire in mente un’altra discussione a Copanello sulla visita domiciliare. Ne sottolineavi l’importanza di fronte a una platea tiepidina. Ho smesso di fare visite domiciliari e io dico: ho smesso di fare il medico nel 1970, ma ancora ne ricordo il fascino, e ne sento la mancanza. Forse non sono sempre indispensabili o non servono solo al bambino, ma sicuramente servono al pediatra, per conoscere quell’ambiente familiare, con i suoi problemi, di povertà, di muffe alle pareti, di carenze igieniche o affettive; per capire l’affidabilità della famiglia, per rafforzare il rapporto di stima, di fiducia e, perché no, di simpatia tra quella famiglia e il suo pediatra. E se no, che pediatra di famiglia è? Nel 1999 la pensione. E dopo? Tu mi avevi avvertito: “Preparati al vuoto”. A Catanzaro dopo una lunga preparazione nel 2004 nacque, per la voglia di incontrarci, il circolo Augusto Placanica, un intellettuale che si è dedicato alla storia della Calabria. Un circolo fra cultura e politica tuttora attivo. A Soverato invece l’evento che più ha contato nella vita “interna” della cittadina è stata l’istituzione di una libreria in un paese dove non ci sono biblioteche. Non per caso si chiama “Incontro” sempre per la voglia di incontrarsi. Tu ne hai scritto su Quaderni. È nata come cooperativa con 16 soci fondatori. È stata effettivamente un incontro fra i fondatori e la cittadinanza e poi è diventata incontro per tutti i cittadini. Gli incontri hanno portato in libreria Lidia Ravera, Antonio Pennacchi, Corrado Augias e tanti altri, ma anche manifestazioni locali continue e apprezzate. Una microstoria della cultura che muove dagli uomini e che potrebbe trovarsi ovunque. Qui uomini di buona volontà forse hanno contato più del destino che il

Copanello 1981.

Mezzogiorno riserva ai suoi paesi poveri. È vero: non è più storia ACP, ma forse l’origine è quella. Torniamo a noi per concludere con un classico. Abbiamo consigli per i pediatri che ci leggono su “Quaderni acp”? Siamo due pediatri del secolo scorso, non in grado di dare consigli. Ma viviamo un momento difficile per i bambini, i ragazzi e le loro famiglie. Ne parliamo in questo numero di Quaderni acp (p. 42) commentando un libro di Matteo Lancini, Cosa serve ai nostri ragazzi. Loro hanno perduto il solido appoggio di insegnanti e compagni, che sono diventati “remoti”, e dei medici da chiamare solo al telefono. Sono soli davanti a uno smartphone. Quello che ieri era un loro trastullo online che preoccupava è diventato un gelido insegnante e un amico di meno. In questo momento le famiglie hanno bisogno di aiuto. So anche che questa atmosfera da “remoto” non sarà poi così breve. Non so cosa possa fare il pediatra per le famiglie in questo momento, ma so che le famiglie ne avrebbero bisogno. Grazie Pasquale. Vedi? Ci hai lasciato, ma non ti abbiamo perduto. È con gioia che ti ricorderemo. Post scriptum. Il contenuto di una parte di questa “ intervista”, deriva da “Il racconto di Pasquale Alcaro”, in Cerasoli CG, Ciotti F. Pediatri e bambini. Sant’Arcangelo di Romagna. 2013:113-131.


Quaderni acp  www.quaderniacp.it  1 [2021] TITOLO RIBRICA

Narrative e dintorni

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Il modello del counseling nutrizionale nella gestione del paziente pediatrico in sovrappeso Emanuela Oliveri1, Fabio Scaramelli2, Maria Stella Valente3, Michele Valente4  Dietista, counselor, Officina di Counseling Nutrizionale, Bra (CN); 2 Professional counselor, Officina di Counseling Nutrizionale, Bra (CN); 3 Dottore in Scienze dell’Alimentazione e Nutrizione Umana, Campus Biomedico, Roma; 4  Pediatra di famiglia e professional counselor, ASLroma1, Roma 1

Il sovrappeso e l’obesità in età infantile sono sempre più diffusi, come attestato anche dai recenti dati dell’osservatorio “Okkio alla Salute” [1-2]; in Italia, il 23% dei bambini di 8-9 anni sono in sovrappeso e il 9% della stessa fascia di età sono obesi. La dietoterapia nel paziente pediatrico si rende quindi sempre più necessaria sia in ambito territoriale, ambulatoriale che in ambito ospedaliero. La dietoterapia e i programmi nutrizionali presentano tuttavia una serie di peculiarità e di complessità, sia da un punto di vista strettamente tecnico biologico, che da un punto di vista di approccio comportamentale e comunicativo. In questo articolo gli autori propongono e analizzano un approccio al bambino e al suo contesto familiare basato sul modello del counselling nutrizionale. Vengono illustrati i principi teorici e le pratiche applicative di un approccio alla nutrizione basato su una visione sistemica del comportamento alimentare. As assessed by the recent data published by the Observatory “Okkio alla Salute” [1-2], the overweight and the obesity are increasingly common in childhood; in Italy, the 23% of kids of 8/9 years are overweighed and the 9% of them are obese. The diet therapy for the pediatric patient is increasingly necessary at local, outpatient and hospital level. The diet therapy and nutritional programmes, however, present some specific issues and complexities, from different points of view (biological and technical, behavioural and communication one). In this Paper, the Authors propose and analyse the approach to the child and its family context based on the Nutritional Counselling model. The Paper illustrates the theoretic principles and applicative practices of an approach based on a systemic view of the nutrition behaviour. La dietoterapia nel paziente pediatrico è un intervento che si rende sempre più necessario in ambito nutrizionale, sia in ambulatorio che in ospedale. In “Okkio alla Salute”, studio promosso dall’Istituto Superiore di Sanità, è ben evidenziata la correlazione tra l’obesità infantile e giovanile con gli stili di vita adottati [1]. Nelle conclusioni dell’edizione 2016, la più recente, è emerso come oltre il 23% dei bambini di 8-9 anni sia in una condizione di sovrappeso e come oltre il 9% dei bambini della stessa età sia obeso [1]. Inoltre questo studio, in aggiunta a questi importanti dati epidemiologici, fa emergere che: y    l’obesità dei bambini o degli adolescenti è correlata alle condizioni familiari [1] e che la principale difficoltà nell’approcciare un bambino con necessità di cambio di stile di vita sia rappresentato dalle famiglie; y    il genitore accudente, spesso, non è in grado di individuare correttamente la condizione di sovrappeso o di obesità del figlio: il 50,3% delle madri di bam-

bini in sovrappeso e il 12,2% delle madri di bambini obesi considerano il proprio figlio normopeso [1]; y    le madri non sono sempre capaci di individuare il fabbisogno energetico per i propri figli: il 73% delle madri di bambini in sovrappeso e il 53,5% di quelli obesi pensano che la quantità di cibo assunta dal proprio figlio sia giusta [1]. Un recente studio irlandese [2] sottolinea inoltre lo stigma a cui è sottoposto il bambino sovrappeso o obeso, evidenza sociale confermata da molti altri studi [3], stigma che può giustificare e condizionare il comportamento di “evitamento” da parte dei genitori. Per la salute dei giovani adolescenti e preadolescenti la situazione diventa ancora più complessa se si tiene presente che spesso spetta al pediatra di famiglia, nelle visite periodiche per valutare la crescita (i cosiddetti bilanci di salute), registrare la situazione di sovrappeso/obesità che si è instaurata. Diventa fondamentale in questi casi

che il pediatra sia consapevole dello stato emotivo in cui il bambino e i suoi genitori si trovano, secondo quanto ben rappresentato dal Ciclo di Di Clemente Prochaska [4] (Figura 1). Come si può evincere dallo schema, se il gruppo familiare si trova in fase precontemplativa è inutile tentare di instaurare un piano dietoterapeutico perché, di fronte alla novità perturbatrice della comunicazione dell’eccesso ponderale, il bambino e la sua famiglia, anche emotivamente, non sono affatto pronti al cambiamento e tendono a non “contemplare” questa possibilità (fase precontemplativa). In questo caso è già un grande successo “accompagnarli” a rendersi conto della situazione, suggerendo la possibilità di un nuovo incontro in cui provare a proporre un cambiamento nello stile di vita (fase contemplativa). Se invece sono i genitori o addirittura il ragazzo a chiedere aiuto, siamo in una fase successiva che può senz’altro favorire l’intervento del professionista (fase della determinazione). Oltre alla difficoltà di aderire ai programmi dietoterapici, un altro problema sottolineato dagli studi in questione è il drop out decisamente alto anche in chi ha inizialmente aderito al percorso; nel citato studio irlandese è del 75% la percentuale di abbandoni in questi percorsi, giustificati prevalentemente da motivi di difficoltà logistica o di “insoddisfazione della famiglia” [2]. Questa insoddisfazione contribui­sce, con gli altri bias cognitivi, a rendere la dietoterapia dell’età pediatrica un percorso particolarmente problematico. I dati della letteratura ci rivelano come uno dei fattori che rendono complessa la dietoterapia, soprattutto nei bambini e nei preadolescenti, sia l’errata percezione del loro peso da parte dei genitori, che tendono a non ritenere necessario questo tipo di intervento. Questa distorta percezione delle reali condizioni di peso rende particolarmente difficile e problematico l’intervento da parte del professionista della salute all’interno del sistema familiare del piccolo paziente. Altri articoli pubblicati

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Figura 1.  Ciclo di Di Clemente Prochaska.

su questa rivista si sono già occupati di comunicazione tra il professionista e il piccolo paziente in ambito nutrizionale, pur analizzandolo da punti di vista lievemente diversi [5-7]. Il modello del counseling nutrizionale, presentato in questo testo, si basa sull’utilizzo di tecniche comunicative strutturate, usate con abilità e piena consapevolezza, con l’obiettivo di instaurare e mantenere una relazione buona, nel nostro caso a fini terapeutici, tra gli attori della relazione stessa; l’uso di queste tecniche ci permette di collocare la catena di dati precedentemente descritti all’interno di una narrazione soggettiva, ritenuta assolutamente vera dal genitore, sebbene slegata dall’opinione del professionista e dalle evidenze scientifiche. Essa è tuttavia percepita, vissuta e narrata dai protagonisti in maniera tale da diventare la storia dominante condivisa da tutto il sistema famiglia [8]. Questo stato di cose può complicare l’azione del pediatra e/o del nutrizionista. Può essere particolarmente utile ovviare in questi casi ai numerosi bias cognitivi che possono infarcire la relazione genitore/figlio: 1 la percezione dello schema corporeo stesso del bambino sovrappeso o obeso; 2 la definizione stessa di obeso o sovrappeso non derivante dall’oggettivo stato fisico ma da una percezione prettamente soggettiva; 3 la condizione di obeso come base dello stigma sociale, dato ampiamente documentato negli articoli citati; 4 lo stravolgimento delle abitudini familiari: tale stravolgimento può interessare banalmente sia la necessità di cambiamento in cucina da parte di chi si occupa dell’alimentazione del bambino sia la relazione, soprattutto tra madre e figlio, in cui il cibo può risultare investito di valenze e significati che si fatica a modificare e che si teme di cambiare. Una cura particolare della comunicazione è indispensabile da parte del professionista sanitario nei confronti della famiglia e

del bambino in modo da inserirsi nella relazione intrafamiliare in modo strategico, professionale, non improvvisato ma consapevole. La necessità di coinvolgere gli adulti di riferimento nei percorsi di cambiamento di stile di vita in età pediatrica è d’altro canto sottolineata anche dagli organismi internazionali e dai vari statement sull’argomento. L’ambiente familiare è infatti considerato come il luogo in cui si forgiano le abitudini alimentari, l’interesse per l’attività fisica o la predilezione per i comportamenti sedentari e altri fattori che influenzano lo stato ponderale del bambino [1]. La relazione che si instaura tra bambino e genitore può essere paradossale e sconcertante per il professionista, come può esserlo per esempio il fatto che un genitore poggi la propria valutazione del peso del figlio sulla propria percezione visiva più che sull’opinione ponderata di un medico o di un professionista della salute [2]. Il professionista non può però ignorare il fatto che ogni famiglia debba essere considerata come un sistema nel quale il cambiamento impresso su un qualunque membro ha ripercussioni sull’intero sistema, secondo i principi tipici della teoria dei sistemi [9], e quindi che la dietoterapia del bambino avrà ripercussioni a molti livelli sull’intero sistema famiglia. Il counseling nutrizionale è una modalità di conduzione dell’incontro professionista-paziente che utilizza tecniche comunicative ben precise, una forma di facilitazione per potersi inserire in modo efficace nella logica dei rapporti genitori/bambini. L’obiettivo è modificare le dinamiche consolidate in quelle famiglie che sono disfunzionali dal punto di vista nutrizionale. Perché ciò accada è necessario che il professionista della nutrizione sia in grado di operare alcuni passaggi del profilo comunicativo: a accogliere le posizioni e anche le opinioni dei genitori (“come se per loro rappresentassero la verità”) [10]. Se i genitori si sentono visti e accolti nelle loro posizioni, non svalutati nelle loro

opinioni, si instaura subito un clima relazionale facilitante. Occorre evitare le contrapposizioni frontali che potrebbero ergere una barriera comunicativa: è invece necessario valutare le informazioni, per quanto bizzarre e giunte da fonti inattendibili, che sono in possesso della famiglia e valutare, come già detto, l’impatto della nuova terapia sull’intero sistema, utilizzando la comunicazione come grimaldello in grado di aprire la porta delle regole familiari; b posizionarsi quindi come professionista e porre in chiaro i dati scientifici di cui si è in possesso e le osservazioni fatte sul bambino, in maniera semplice e chiara; c verificare il grado di comprensione e l’eventuale presenza di difficoltà, dubbi o curiosità e chiudere sempre il colloquio dando una qualche disponibilità o comunque un canale comunicativo che possa offrirsi come strumento di confronto prima del nuovo appuntamento. È come una sorta di danza, un fluire alternato e attento di valutazioni, di domande e di suggerimenti, in cui il bambino e la famiglia si sentono accolti, visti, considerati, ma anche aiutati e rinforzati nella loro determinazione. Questo tipo di movimento comunicativo viene definito nella scuola di counseling sistemico come “movimento dei tre passi”. Questi movimenti permettono al professionista di costruire un’alleanza terapeutica con la famiglia del piccolo paziente; essi sono decisamente insoliti per un sanitario. Egli porta spesso in retaggio dalla propria formazione universitaria l’idea di unidirezionalità delle informazioni e di una relazione lineare [11] con i pazienti, che dovrebbero vederlo nella veste di esperto unico della loro salute e alle cui indicazioni aderire perfettamente. I movimenti comunicativi insoliti sono resi possibili mutando il modo di concettualizzare la relazione. Questa può essere la conseguenza dell’utilizzo del modello del counseling nutrizionale [12] nell’esercizio della propria professione. Le abilità del counseling nutrizionale rendono possibile inserirsi in un rapporto che sembra esclusivo, quale quello genitore/figlio, in modo delicato e contemporaneamente efficace, senza sminuire mai le opinioni dell’adulto, spesso dominanti nella diade con il bambino, ma al tempo stesso senza rinunciare alle proprie competenze nella valutazione della condizione ponderale e nutrizionale di quest’ultimo. Ciò è reso possibile dall’utilizzo di tecniche di ascolto attivo [11] e di restituzione non giudicante che del modello del counseling nutrizionale fanno


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parte integrante. È importante che, nel colloquio esplorativo delle abitudini alimentari, il professionista si inserisca nel rapporto, ascoltando le voci di entrambi i genitori. Egli deve cercare di eludere la tendenza della coppia genitoriale a parlare come se il professionista non fosse presente o al contrario come se conoscesse “tutti i non detto” che caratterizzano le regole familiari [12] in ogni ambito e, segnatamente, nell’area della nutrizione. Addirittura ci sono spesso “segreti” che possono essere non descritti o descritti in un “lessico familiare” difficilmente interpretabile da un estraneo [13], come rischia di esserlo il sanitario. Le tecniche di ascolto attivo e le domande appropriate [11], poste in doppio a bambino e genitore, possono ovviare alla difficoltà nel creare una relazione triadica, in cui i tre comunicanti si pongano su uno stesso piano relazionale, con pari diritto alla parola. L’utilizzo consapevole delle tecniche del counseling nutrizionale potrebbero permettere di inserirci nella relazione in modo da svelare con delicatezza i non detti e in modo da spostare l’asse tra mantenimento delle regole vigenti e necessità di cambiamento dello stile di vita [8], nella direzione di quest’ultimo. È necessario che il sanitario sia in grado di far emergere le difficoltà della famiglia nel resistere alle richieste e alle insistenze del piccolo paziente: ciò può essere reso possibile attraverso una forma di ascolto attivo, non giudicante [15] e con l’utilizzo appropriato di domande, strategicamente orientate ad arte alla coppia genitoriale che abbiamo di fronte. L’utilizzo dell’ascolto attivo e delle domande opportune rivelano spesso le incongruenze di alcune richieste genitoriali. Talora, per esempio, i genitori si aspettano che sia il bambino ad avere la capacità di scegliere il comportamento alimentare giusto o di comprendere le implicazioni sanitarie dell’obesità. Un altro strumento comunicativo potente, da affiancare alla domanda, è l’uso dei riassunti e delle restituzioni strategiche. Esse, se ben utilizzate, ridefiniscono la narrazione del care giver, svelano le sue difficoltà a opporre un diniego alle insistenti richieste, quasi inevitabili, del bambino di fronte a un cambiamento delle regole alimentari. Il bambino può percepire gli atteggiamenti degli adulti spesso come contradditto-

ri rispetto a quelli tenuti fino ad allora e per lui questo è incomprensibile: rischia di rea­g ire emotivamente con una carica negativa, complicando i rapporti intrafamiliari. Il professionista formato con il modello del counseling nutrizionale sa “so-stare” in questa descrizione di difficoltà e ha, soprattutto, i mezzi per riposizionarsi nel proprio ruolo di sostegno e di accompagnamento attraverso l’uso di un altro strumento strategico, una tecnica che rende visibile all’adulto cosa può aiutarlo a gestire la difficoltà stessa. La “magia” di questa tecnica comunicativa è che, come la famiglia ha potuto raccontare la propria difficoltà, così è la famiglia stessa a costruire la propria soluzione, guidata dal professionista in questa verbalizzazione. È possibile che, in questo contesto, le soluzioni scaturiscano dai bambini stessi, o per meglio dire, che siano loro a svelare “il trucco” per renderle visibili agli occhi dei genitori. Questa tecnica “magica”, che si utilizza quando gli interlocutori sono più di uno, consiste in una danza a tre di domande esplorative e riflessive poste nel giusto ordine ai soggetti di fronte a noi: con le opportune restituzioni da parte nostra, queste domande fanno emergere la circolarità dei comportamenti familiari e in che punto il circuito ricorsivo si può spezzare, permettendo alla famiglia di uscire da un circolo vizioso ed entrare in una spirale più virtuosa. Le abilità comunicative del counseling nutrizionale, attraverso l’approccio sistemico che coinvolge il maggior numero di membri possibile della famiglia nella dietoterapia del bambino, l’ascolto attivo e la punteggiatura di domande sulle difficoltà del genitore, la ridefinizione delle responsabilità effettuata in modo non giudicante né contrappositivo, e il più possibile rispettosa delle regole familiari, possono favorire il miglioramento della partnership tra sanitario e famiglia del paziente La conseguenza di tutto ciò è un aumento della “adherence” alla dietoterapia e la diminuzione del drop out, e quindi la possibilità per i piccoli di apprendere una modalità sana di approcciarsi al cibo. Il fine ultimo è che la famiglia intera del bambino possa iniziare un percorso centrato sulla nutrizione, tale da permettere di implementare un approccio salutare, senza attribui­ re l’intero peso della responsabilità delle scelte al piccolo paziente. Ciò implica un

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salto nel livello delle relazioni familiari, conseguente a un diverso livello di apprendimento [16] su ciò che è utile al bambino e ciò che invece è dannoso, anche se per ottenere questo fine può essere necessario rivedere gli equilibri familiari. * mvalente57@gmail.com

1.  Spinelli A, Galeone D, Menzano MT, et al. Gruppo Okkio alla Salute. Il sistema di sorveglianza Okkio alla Salute nel contesto internazionale. In Il Sistema di sorveglianza Okkio alla SALUTE: risultati 2016. Supplemento 1, vol. 31 n. 7-8 (luglio-agosto 2018) del Notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità. 2.  Kelleher E, Davoren MP, Harrington JM et al. Barriers and facilitators to initial and continued attendance at community-based lifestyle programmes among families of overweight and obese children: a systematic review. Obes Rev. 2017 Feb;18(2):183-94. 3.  Van Geel M, Vedder P, Tanilon J. Are overweight and obese youths more often bullied by their peers? A meta-analysis on the correlation between weight status and bullying. Int J Obes (Lond). 2014 Oct;38(10):1263-7. 4.  Prochaska JO, Norcross JC, DiClemente CC. Changing for Good. William Morrow Paperbacks, 1994. 5.  Tanas R, Caggese G et al. Il pediatra e l’obesità: riprova e vinci in 5 mosse. Quaderni ACP 2020;1:4-11 6.  Battino N, Cremonese P. Counselling e sovrappeso infantile: la voce dei pediatri. Quaderni acp 2016;23:31-4. 7.  Cremonese P, Battino N, Picca M. Parliamo di cibo Riflessioni sul problema dell’eccesso di peso. Quaderni acp 2014;21:90-1. 8.  Selvini Palazzoli M, Boscolo L, Cecchin G, Prata G. Paradosso e controparadosso. Raffaello Cortina Editore, 1975. 9.  Malagoli Togliatti M, Lubrano Lavadera A. Dinamiche relazionali e ciclo della famiglia. Il Mulino, 2002. 10.  Gordon T. Relazioni efficaci. La Meridiana, 2005. 11.  Oliveri E. Scaramelli F. Piccolo manuale di counseling nutrizionale. Onda d’Urto Edizioni, 2019. 12.  Oliveri E, Scaramelli F. Counseling Nutrizionale e adherence al cambiamento di stili di vita. Rivista Italiana di Nutrizione clinica Volume III, numero 4, Dicembre 2019. 13.  Bert G. Medicina narrativa. Il Pensiero Scientifico Editore, 2007. 14.  Montagano S, Pazzagli A. Il genogramma. Franco Angeli, 2002. 15.  Quadrino S. Il colloquio di counselling. Change, 2009. 16.  Bateson G. Verso un’ecologia della mente. Adelphi, 1976.

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Libri

Libri

Libri: occasioni per una buona lettura Rubrica a cura di Maria Francesca Siracusano Cosa serve ai nostri ragazzi di Matteo Lancini UTET, 2020, pp. 110, € 13,30

Generazioni “rispettivamente rispecchiate”

Nei giorni esuberanti della scorsa estate il mondo dei giovani tendeva ad abbandonare le prudenze nell’attenzione al Covid-19 di fronte alla stupefazione di buona parte del mondo adulto. Quei giorni sembravano particolarmente adatti per una lettura di questi libri di solo un centinaio di pagine, ma molto dense di Matteo Lancini. L’autore è psicologo e psicoterapeuta, presidente della fondazione Minotauro di Milano e insegna presso il dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Il suo stile è leggero, corrente. I ragazzi sembrano ancora oggi, nell’inverno 2020, di fronte a una ripresa diffusiva del virus, abbastanza spavaldi e più soli. Non è il solo episodio durante il quale gli adulti, genitori o insegnanti o amministratori hanno sentito la propria difficoltà a comprendere i comportamenti dei giovani. Si comportano “male” perché non sono abbastanza informati oggi sui rischi per la salute in questo caso di presenza del virus? Fino a ieri l’altro per l’uso di droghe e alcol? Fino a ieri per l’suo eccessivo delle tecnologie? O le ragazze che sembrano disinvestite rispetto al passato nel racconto alla madre della “prima volta”? Ci sono anche visioni, fini a poco fa “dram-

matiche”, che sono scomparse in genitori e ragazzi; a pochi interessa oggi dei motorini e della loro marmitta. Forse il problema di fondo è appunto che le generazioni non si sentono “rispettivamente rispecchiate” e di ciò si lamentano soprattutto i genitori o in genere gli adulti. Che oggi si lamentano della ricerca di spazi autonomi dei figli in persone o tecnologie, ma dimenticano di averli forzosamente invitati a cercare sfogo in attività musicali, sportive, pittoriche, creative da praticare nei pomeriggi feriali. Questa mancanza di rispecchiamento la si ritrova anche nella scuola dove assume aspetti diversi. Anche se non è la regola, sia insegnanti che studenti si sentono poco o nulla valorizzati, apprezzati e sostenuti dal reciproco interlocutore e in alcuni casi anche mortificati. Il risultato è la dispersione scolastica sul cui danno personale e sociale tutti sono d’accordo, ma esiste un completo disaccordo sul significato della bocciatura (“fermiamolo un anno così maturerà”) e questo allontana sempre di più le due anime. Quindi si vive non sono online, ma come dice qualcuno anche onlife in maniera virtuale su Facebook, Instagram, Tik Tok e soprattutto Whatsapp. Matteo Lancini prova a spiegare queste differenze fra come vorremmo che fossero i nostri nipoti adolescenti e come veramente sono. Per capire cosa serve ai nostri ragazzi. Sono debitore della lettura di questo libro a Pasquale Alcaro con il quale condividevo le preoccupazioni per le generazioni che stanno avendo il loro futuro: a cominciare dai nipoti delle nostre famiglie. Pasquale me lo ha regalato a fine estate; ho fatto in tempo a discuterne con lui promettendogli questa recensione che gli ho inviato allegata a una mail. Non ha avuto il tempo di leggerla. Spero che riesca a farlo nel suo altrove.

Giancarlo Biasini

Cari genitori, benvenuti in biblioteca

di Giovanna Malgaroli, Fabio Bazzoli Editrice Bibliografica, 2020, pp. 144, € 12 La lettura di una bibliotecaria

Quando iniziare a leggere ai bambini? Quali libri scegliere? I bambini possono usare le nuove tecnologie? A queste e molte altre domande – sicuramente poste innumerevoli volte a pediatri, bibliotecari e educatori – Giovanna Margaroli (biblio-

tecaria, Centro per la Salute del Bambino, segreteria nazionale Nati per Leggere) e Fabio Bazzoli (bibliotecario, coordinamento nazionale Nati per Leggere) cercano di rispondere con Cari genitori, benvenuti in biblioteca. Lo fanno prendendo per mano i genitori, accompagnandoli a piccoli passi in biblioteca per fargli scoprire i contenuti del programma nazionale Nati per Leggere che, da oltre vent’anni, promuove la lettura prescolare in ambiente domestico. Il libro, infatti, si rivolge principalmente ai genitori, motivando con evidenze scientifiche e consigli pratici i benefici della lettura – intesa come strumento per consolidare una relazione e un legame indissolubili con i propri bambini – sin dai primi mesi di vita dei figli e suggerendo strategie adeguate all’ambito familiare. È di grandissima utilità però anche a bibliotecari e operatori che accolgono i genitori nelle strutture educative, sanitarie o culturali. Il libro esordisce con un dubbio: siamo “nati per leggere” o forse, più onestamente, dobbiamo ammettere che l’esercizio della lettura implichi fatica e impegno? In numerosi passi gli autori si rivolgono direttamente ai genitori, talvolta delusi nelle loro aspettative: li motivano grazie alla loro esperienza di bibliotecari e provano a smontare la retorica del “piacere della lettura”, che spesso accompagna tante campagne di promozione. Filo conduttore è la passione nei confronti di un programma sentito come strategico nella battaglia contro la povertà educativa e le sue con-


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seguenze sociali, tanto da affermare che “l’uso dei libri e delle biblioteche è un’arma decisiva in questa lotta”. Gli autori prestano, infine, molta attenzione agli stimoli che la società e le sue trasformazioni recenti pongono: il ruolo della paternità, la molteplicità di tipologie di famiglie, l’uso del linguaggio intrinsecamente sessista e le nuove tecnologie.

Silvia Boffelli

La lettura di un pediatra

Nel 1999 al Congresso ACP di Assisi si lanciava anche in Italia la lettura ad alta voce in famiglia attraverso la guida anticipatoria del pediatra. In oltre trent’anni di Nati per Leggere si è accumulata una più profonda conoscenza delle implicazioni biologiche e culturali di questo intervento, che oggi non rimane più confinato nell’area dello sviluppo del linguaggio, ma presenta esiti sul comportamento del bambino, sulla funzione genitoriale, sulle relazioni sociali e lo sviluppo delle capacità cognitive. In questo libro Giovanna Malgaroli e Fabio Bazzoli, raccolgono il sapere scientifico che si è accumulato in questi decenni e ce lo propongono in undici capitoli di pieno interesse. Siamo o non siamo nati per leggere? Quando iniziare? Quante parole ascoltare? Classificare i libri sì o no? Libro o ebook? Chi legge? E ancora: la lettura come atto sociale, la ricerca del piacere nella lettura, la relazione, l’utilizzo della biblioteca, la varietà dei libri di lettura… Questi e altri sono i temi discussi in modo snello e preciso. Alcune note a margine propongono articoli scientifici o libri sull’argomento nel caso in cui il lettore desideri approfondire, come ho fatto io per ogni nota. Due appendici e una bibliografia ragionata chiudono il libro. Perché leggero? È aggiornato e di piacevole lettura, e ci sono molte informazioni che leggeremo per la prima volta. A chi è rivolto: ai genitori, ai bibliotecari, ai pediatri, a tutti insomma, e a me in particolare perché ho bisogno di rinnovare periodicamente la mia motivazione a proporre con regolarità e a tutte le famiglie Nati per Leggere. Insomma, un piccolo libro ma di gran sapore.

Costantino Panza

Libri

C’è dell’altro. Saggi su psicoanalisi e religione di Julia Kristeva Vita e Pensiero, 2019, pp. 160, € 14 Rifondare un nuovo umanesimo

Il volume è una raccolta di scritti di Julia Kristeva, linguista e psicoanalista francese di origine bulgara, attualmente professore emerito all’Università di Paris 7-Diderot. Si tratta di articoli apparsi sulla rivista Vita e Pensiero, dal 2011 al 2019, che si occupano di tematiche diverse, dalla fede alla psicoanalisi, dai giovani jihadisti all’handicap, dalla mistica fino all’antisemitismo di Céline, ma con l’unica comune intenzione di rifondare un nuovo umanesimo. L’attrazione nei confronti delle neuroscienze e dell’intelligenza artificiale ci sospinge verso un ottimismo che rischia di farci dimenticare i “costitutivi antropologici universali”, le vecchie categorie umanistiche e la fede. Julia Kristeva si chiede come mai le religioni esercitino ancora una forte seduzione sulle persone e sulle comunità umane e si interroga sul loro ruolo di consolatrici, educatrici, regolatrici e manipolatrici delle angosce. È la psicoanalisi che, meglio della filosofia, da cinquant’anni si occupa del bisogno di credere e del desiderio di sapere. “L’ascolto freudiano dell’inconscio ha permesso di pensare la trascendenza come immanente all’essere parlante. Come un’irriducibile alterità che ci abita. La psicoanalisi ha scoperto che c’è dell’altro: l’altro che mi fa parlare, che investo e da cui mi separo, per amore e odio, un’estraneità in me che mi altera”. Nella mente dell’adolescente c’è una forte alterità ideale, l’adolescente è un credente, crede che la soddisfazione dei desideri esista. Tuttavia, come avviene nelle periferie francesi, il collasso del patto sociale e il crollo dei legami di fiducia, può spingere i giovani radicalizzati verso il nichilismo e la pulsione di morte. “Il paradiso è la creazione di adolescenti innamorati”. Kristeva non ha ovviamente una ricetta per questa malattia dell’idealità, suggerisce soltanto il ruolo prioritario della formazione, che potrebbe rappresentare “la passerella al di sopra dell’abisso”. E che

dire dell’handicap che fa paura, vergogna e voglia di nascondersi? Secondo Kristeva questa visione dell’handicap è frutto della cultura di un “teomorfismo che stabilisce gli esseri umani come creature eccellenti, che gioiscono e agiscono alla maniera di un Creatore onnipotente. Si tratta di una cultura del potere assoluto dei genitori, cultura che colpevolizza la vulnerabilità allorché essa esclude: è la cultura del figlio perfetto, riparatore del malessere genitoriale”. L’autrice, che ha l’esperienza di un figlio con difficoltà neurologiche, pensa che l’handicap vada considerato come una singolarità irriducibile, perché non siamo tutti vulnerabili, tutti fragili, “no, non siamo tutti handicappati”, perché “la libertà si coniuga al singolare”, e la verità è “in quest’uomo qui e in quella donna lì”. Kristeva diffida anche del termine “integrazione” perché vi ravvisa note di carità, per questo preferisce il termine “interazione, che esprime una politica diventata etica, che allarga il patto politico fino alle frontiere della vita”. L’handicap ci mette a confronto con la mortalità e in questo senso si può considerare l’aspetto moderno del tragico.

Claudio Chiamenti

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FILM

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Miracolo e inganno. Il cinema della Piccola fiammiferaia Rubrica a cura di Italo Spada Comitato per la Cinematografia dei Ragazzi, Roma

Chi dice che il cinema è nato nel 1895, e precisamente quando i fratelli Lumière presentarono il loro primo cortometraggio nel Salone del Grand Café del Boulevard des Capucines di Parigi, indovina e sbaglia. A dargli ragione sarebbero gli storici; a dargli torto, i letterati. Come al solito tutto dipende da personali punti di vista e, soprattutto, da ciò che si intende per cinema. Le definizioni abbondano e, per non fare torto a nessuno, scelgo il punto di vista di Italo Calvino così come appare in Autobiografia di uno spettatore che fa da introduzione ai “Quattro film” di Federico Fellini. Nell’intervista concessa a Lietta Tornabuoni (La Stampa del 23 agosto 1981), Calvino, che quell’anno era stato designato presidente della giuria alla Mostra di Venezia, dopo avere confessato che durante gli anni della sua formazione il cinema era stato il mezzo privilegiato per intravedere l’immagine stessa del mondo, confronta il linguaggio del cinema con quello della letteratura e definisce la sua esperienza di giovane spettatore “un misto di miracolo e inganno”. C’è, in questa affermazione dello scrittore italiano, non solo l’allusione alla reazione degli spettatori di fronte ai primi cortometraggi della storia del cinema (la mera-

viglia per L’uscita dalle officine Lumière, la paura per L’arrivo di un treno alla stazione de La Ciotat, la risata per lo scherzo a L’innaffiatore innaffiato, ecc.), ma anche un omaggio a quel cinema fiabesco inventato ben 47 anni prima (1848), dalla Piccola fiammiferaia del danese Hans Christian Andersen. Rileggiamola, magari con un occhio all’attualità. Notte di San Silvestro. Una bambina si aggira a piedi nudi per la città cercando inutilmente di vendere fiammiferi. Le strade sono deserte, ma non c’è nessuna pandemia e nessun lockdown. La malattia si chiama indifferenza. La bimba ha freddo, ha fame ed è triste. Non vuole tornare a casa perché non ha guadagnato nemmeno un soldino e teme i rimproveri e le botte del padre-padrone. Decide allora di riscaldarsi, mangiare e giocare inventandosi un altro mondo fuori dal mondo, letterario o filmico ante litteram poco importa. Ed è così che diventa sceneggiatrice, produttrice, attrice, regista e spettatrice di sé stessa. La durata è di pochi secondi (il tempo di una fiammata), ancora più breve della prima bobina dei Lumière, ed è ovvio che il suo film è solo un abbozzo, ma in quelle immagini ci sono già tutte le caratteristiche del nuovo linguaggio: scenografia, inquadratura, dissolvenza, sovrimpressione, montaggio, gioco di luci. Nell’arena all’aperto della strada, la scatola di fiammiferi fa da proiettore e a creare il buio in sala ci pensa la natura. Le immagini nascono, acquistano movimento, attraggono, seducono, ingannano. Nessuna meraviglia scoprire che da questa fiaba hanno tratto ispirazione in epoche diverse registi inglesi (Williamson nel 1902), statunitensi (Sullivan nel 1912; la Screen Gems nel 1937; Disney nel 2006), francesi (Renoir nel 1928), italiani (Scarpa nel 1953), giapponesi (due versioni animate negli anni Settanta). Nessuna meraviglia se, in questo 2020 di cinema chiusi, aggiungiamo anche la nostra personale versione, trasformando le parole di Andersen in tre cortometraggi da proiettare nello schermo della nostra fantasia.

Corto n. 1: Il calore della stufa. Si accese una fiamma calda e brillante. Si accese una luce bizzarra, alla bambina sembrò di vedere una stufa di rame luccicante nella quale bruciavano alcuni ceppi. Avvicinò i suoi piedini al fuoco... ma la fiamma si spense e la stufa scomparve. Corto n. 2: Il nutrimento della tavola imbandita. Questa volta la luce fu così intensa che poté immaginare nella casa vicina una tavola ricoperta da una bianca tovaglia sulla quale erano sistemati piatti deliziosi, decorati graziosamente. Un’oca arrosto le strizzò l’occhio e subito si diresse verso di lei. La bambina le tese le mani... ma la visione scomparve quando si spense il fiammifero. Corto n. 3. La gioia dei giocattoli. Appena acceso, s’immaginò di essere vicina a un albero di Natale. Era ancora più bello di quello che aveva visto l’anno prima nella vetrina di un negozio. Mille candeline brillavano sui suoi rami, illuminando giocattoli meravigliosi. Volle afferrarli... il fiammifero si spense... Il calore dello stare insieme, il nutrimento intellettuale, la voglia di evadere: non serve a questo il cinema? Chi ha voglia di rimanere ancora in sala, aggiunga la visione del corto n. 4. A proiettarlo è sempre la bambina, ma soggetto e sceneggiatura sono della nonna e il faro di luce arriva dal cielo sotto forma di stella cadente. Tutto inizia con un flashback, una voce fuori campo (Quando cade una stella, c’è un’anima che sale in cielo) e un’apparizione. Fantasia e realtà si uniscono in un effetto speciale di rara bellezza: la sovrimpressione di un abbraccio tra nonna e nipotina che spiccano il volo per andare “là dove non fa freddo e non si soffre la fame”. Come è possibile che questo avvenga? Miracolo! I passanti che al mattino scoprono il corpicino senza vita della bambina – scrive Andersen – danno una versione prosaica perché “nessuno di loro era degno di conoscere un simile segreto”. Ovviamente, nessuno di loro era mai stato al cinema! * italospada@alice.it


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Info

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Info: notizie sulla salute Rubrica a cura di Sergio Conti Nibali

Una rivoluzione alimentare è necessaria?

La produzione e distribuzione di cibo è al secondo posto tra le attività umane inquinanti, essendo responsabile di una quantità stimata tra 1/4 e 1/3 delle emissioni di gas a effetto serra ogni anno (13,7 miliardi di tonnellate). Di questa porzione, quasi il 60% è legato alla produzione di carne e latticini. Dopo il settore dell’energia, è l’industria alimentare che sta lentamente finendo del mirino degli attivisti per il clima. Ne è prova il fatto che alcuni tra i più grandi fondi comincino a incorporare gli impatti ambientali nel calcolo del valore a rischio degli investimenti nel settore alimentare. A sottolineare l’importanza di una dieta vegetariana ci si è messo anche Sir David Attenborough. Il naturalista e produttore cinematografico britannico ha lanciato il suo nuovo film A Life on Our Planet dicendo che per salvare la biodiversità sulla Terra occorre ridurre, fino quasi a eliminarlo, il consumo di carne. A fine novembre anche la BBC aveva prodotto un documentario sul tema, intitolato Meat: A Threat to Our Planet? Infine, poche settimane fa un gruppo di ricercatori statunitensi ha pubblicato su Nature Sustainability uno studio che stima che l’adozione di una dieta che riduce del 70% il consumo di carne porterebbe a un risparmio di 332 miliardi di tonnellate di CO2, l’equivalente di quanto è stato globalmente emesso negli ultimi 9 anni. Diminuire il consumo di carne è quindi una necessità se si vuole raggiungere, come ha deciso l’Unione Europea, il livello zero di emissioni nette entro il 2050 per rispettare gli obiettivi fissati dall’accordo di Parigi. Ma una simile transizione è fattibile? Come dovrebbero cambiare le nostre diete per essere più sostenibili per l’ambiente? Quali sono le politiche più efficaci per avviare questo cambiamento? I numeri. Il punto di riferimento per quantificare l’impatto della produzione e distribuzione del cibo sul clima del nostro pianeta è uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Science nel 2018 che ha stimato la quantità di anidride carbonica equiva-

lente (che comprende oltre alla CO2 anche gli altri gas serra) emessa per produrre diversi tipi di cibo. Per produrre un chilo di manzo vengono emessi 59,6 kg di CO2eq, quasi il doppio di quanto emesso per 1 kg di agnello (24,5 kg) e il triplo di quanto emesso per produrre un 1 kg di formaggio (21,2 kg), 8 volte le emissioni dovute alla produzione di 1 kg di maiale e 10 volte quelle di 1 kg di pollo. I cibi a base vegetale in confronto inquinano molto meno: 1 kg di tofu comporta l’emissione di 3 kg di CO2eq, 1 kg di pomodori 1,4 kg di emissioni di gas a effetto serra e 1 kg noci solo 0,2 kg di CO2eq. Queste stime sommano le emissioni causate da tutti i passi della produzione: il cambiamento di uso del suolo, la coltivazione dei mangimi, l’allevamento o la coltivazione delle specie vegetali, l’utilizzo dei fertilizzanti, la trasformazione, l’imballaggio, la conservazione e il trasporto. L’analisi pubblicata su Science mostra però che per la produzione di carne il consumo di suolo e l’allevamento sono due fasi di gran lunga più inquinanti delle altre. Consideriamo il manzo: il 25% delle emissioni è dovuto al consumo di suolo, quasi il 70% all’allevamento, dai mangimi derivano il 5% del totale di gas serra emessi e il trasporto comporta un irrisorio 0,5% (mangiare carne a chilometro zero non risolve il problema). Il maggior impatto di manzo e agnello è dovuto al fatto che sono ruminanti e dunque emettono grandi quantità di metano durante il processo di digestione. Il metano è un gas a effetto serra che rimane nell’atmosfera per circa nove anni, un periodo molto più breve dell’anidride carbonica. Tuttavia, il suo potenziale di riscaldamento globale è 86 volte superiore al biossido di carbonio se calcolato in media su 20 anni e 28 volte superiore su 100 anni. Grandi quantità di metano sono anche emesse dallo sterco di polli e maiali. Ma il metano non è l’unico problema, come dicevamo poco fa. Prima ancora che gli animali vengano allevati, enormi estensioni di foresta sono abbattute per fare posto ai pascoli e coltivare i cereali necessari ad alimentare il bestiame, principalmente soia e mais (l’allevamento di bovini e la coltivazione della soia sono considerati la prin-

cipale causa di deforestazione in Amazzonia) ma non solo. La farina di pesce, una pasta ricca di proteine ottenuta da sardine e acciughe, costituisce una parte importante dell’alimentazione di suini e polli e per produrla sottraiamo le prede naturali a una serie di altre specie, tra cui i pinguini di Sud Africa e Namibia che sono ormai a rischio di estinzione. L’obiezione potrebbe essere quella che senza carne non siamo in grado di ricevere una quantità di proteine sufficiente. I dati dello studio di Science smentiscono anche questa credenza. Per produrre 100 grammi di proteine partendo dal manzo emettiamo quasi 50 kg di CO2eq, quasi 20 kg da agnello e montone, 10 kg dal formaggio, 7 kg dal maiale, 6 kg dal pollame e 4,2 kg con le uova. Per ottenere 100 gr di proteine dal tofu vengono emessi circa 2 kg di CO2eq, dalle noci solo 0,26 kg. La transizione a una dieta basata principalmente su alimenti vegetali piuttosto che animali porterebbe dunque a un grande beneficio in termini ambientali. Ma quanto grande? Quanto guadagneremmo rinunciando alla carne? Una risposta a questa domanda è contenuta nel rapporto “IPCC, 2019: Climate Change and Land”. L’IPCC stima che l’adozione globale di una dieta vegetariana farebbe risparmiare annualmente da qui al 2050 circa 6 miliardi di tonnellate di CO2eq. Sostituire il 75% di carne e latticini con cereali e legumi, ci permetterebbe di emettere 5 miliardi di tonnellate in meno di CO2eq ogni anno. Anche cambiamenti meno drastici, come quello di sostituire il 75% di carne rossa con altre carni – la dieta dei cosiddetti climate carnivors – porterebbe a un guadagno annuo di 3,4 miliardi di tonnellate. Se, infine, tutto il mondo seguisse una dieta mediterranea emetteremmo ogni anno 3 miliardi di tonnellate in meno di CO2eq fino al 2050. Come già anticipato, questa stima è stata aggiornata recentemente da un gruppo di ricercatori statunitensi. La loro conclusione è che l’adozione di una dieta che riduce del 70% il consumo di carne comporterebbe un risparmio totale entro il 2050 di 332 miliardi di tonnellate di CO2. Una stima al rialzo dunque, se si considera che per ottenere il guadagno in termini di CO-

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2eq bisognerebbe considerare la mancata emissione anche degli altri gas serra che gli autori non includono. Cosa significherebbe un tale cambio di alimentazione a livello globale per gli obiettivi dell’accordo di Parigi? Per rispondere a questa domanda si può ricorrere al concetto di carbon budget, ovvero la quantità di CO2 che possiamo ancora emettere se vogliamo limitare il riscaldamento globale rispetto ai livelli preindustriali ben al di sotto dei 2 °C o meglio entro 1,5 °C. Questa quantità non è affatto facile da stimare e ha i suoi limiti (per esempio non considera le emissioni negative, quelle associate alla rimozione di CO2 dall’atmosfera) ma l’IPCC l’ha fissata a 420 miliardi di tonnellate di CO2 nel suo rapporto “Special report: global warming of 1,5 °C” pubblicato alla fine del 2018. Nel frattempo abbiamo emesso circa 100 miliardi di tonnellate e il nostro budget residuo è di 335 miliardi di tonnellate. Dunque una dieta con il 70% di carne in meno raddoppierebbe il budget rimanente. Una stima alternativa del peso dell’industria del cibo sul nostro budget di CO2 si trova in uno studio del 2018 pubblicato sulla rivista Climate Policy, che conclude che nel 2030 solo l’allevamento emetterà tra il 27% e il 49% dell’ammontare di CO2eq concessa in quell’anno se vogliamo restare entro il limite degli 1,5 °C. L’allevamento rappresenta circa il 58% del totale delle emissioni del settore alimentare, quindi circa 8 miliardi di tonnellate all’anno. Senza alcun intervento, questa quantità è destinata ad aumentare, per effetto dell’aumento della popolazione umana e della crescente domanda di carne e latticini, fino a raggiungere 9,3 miliardi di tonnellate fra 10 anni, una quantità pari al 27-49% del budget di CO2eq stimato per quell’anno (19-34 miliardi di CO2eq secondo i risultati ottenuti nel 2017 dal progetto ADVANCE). Quanta carne mangiamo? Ma quanto siamo lontani da un’alimentazione vegana? O almeno vegetariana? Nel 2019 il progetto “EAT-Lancet Commission” ha analizzato le abitudini alimentari delle diverse re-

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gioni del pianeta e formulato la cosiddetta planetary health diet, una dieta universale che sia salutare e sostenibile per tutti. Questa dieta è basata principalmente su cereali integrali, frutta, verdura, noci e legumi e prevede una porzione di latticini al giorno e una porzione di carne a settimana. Oggi, soprattutto in Nord America, Europa, Asia Centrale e Sud America, siamo molto lontani da questo bilanciamento. In Nord America il consumo di carne rossa è circa 6 volte quello consigliato, in Europa 4 volte. Al contrario la quantità di verdura e frutta che mangiamo è di molto inferiore a quella prevista. Il Nord Africa è l’unica regione in cui il consumo di carne rossa è equilibrato, ma il consumo di verdura e legumi è insufficiente. Questa fotografia ci fa capire quanto siamo lontani dall’obiettivo di un’alimentazione sostenibile, anche se qualche piccolo passo avanti è stato fatto negli ultimi dieci anni, soprattutto nei Paesi europei, ma anche in USA e in Australia seppure più debolmente. La tendenza opposta si osserva però nei Paesi in via di sviluppo di Asia e Sud America e purtroppo il bilancio è a nostro sfavore: la diminuzione nel consumo di carne pro capite nel “nord” del mondo non compensa l’aumento del “sud” del mondo. Come incentivare un cambio di dieta. I mezzi per modificare i nostri stili di alimentazione sono diversi. Devono agire tenendo conto che le nostre abitudini alimentari sono influenzate da tanti fattori diversi: la nostra cultura e le nostre tradizioni, ma anche la disponibilità di certi cibi e il loro costo, il marketing e la pubblicità a cui siamo esposti, le politiche pubbliche, gli accordi internazionali di commercio. Uno degli strumenti più utilizzato finora sono le linee guida per una sana alimentazione formulate a livello nazionale. Tuttavia diversi studi hanno raggiunto la stessa conclusione: le linee guida alimentari sono scarsamente seguite dalla popolazione e anche se fossero seguite porterebbero a una riduzione delle emissioni largamente insufficiente (al massimo 500 milioni di tonnellate di CO2eq).

Interventi più incisivi hanno trovato resistenza nella classe politica, poco incline a intervenire in una sfera considerata privata della vita delle persone e pressata dagli enormi interessi economici dell’industria alimentare. Tra questi interventi c’è quello sulla tassazione dei prodotti alimentari ad alto livello di emissioni. In alcuni Paesi i Parlamenti hanno preso in considerazione una tassa sulla carne ma non sono mai arrivati ad approvarla, in parte perché si è posto un problema di accessibilità per le famiglie con redditi più bassi. Una misura alternativa è quella che interviene sui pasti serviti dalle istituzioni pubbliche, in particolare nelle scuole. Molti Paesi hanno deciso di diminuire sensibilmente la quantità di carne servita agli studenti, tra questi gli Stati Uniti (grazie al lavoro di Michelle Obama), il Portogallo, la Germania e la Francia. Un’altra pratica che è stata ben accolta dal pubblico è quella del carbon labelling, ovvero etichettare ciascun prodotto alimentare con la quantità di emissioni di gas serra associata. Tuttavia la stima di questa quantità può essere molto difficile e di sicuro è troppo costosa per le aziende. E se rendessimo l’allevamento più sostenibile? L’ultima obiezione che potremmo fare a chi ci dice di mangiare meno carne è se possiamo sviluppare metodi meno inquinanti per allevare il bestiame. La risposta è sostanzialmente negativa. Sempre lo studio pubblicato nel 2018 su Science mostra che anche per gli allevamenti meno inquinanti, in cui per esempio si impiegano mangimi che riducono la quantità di metano emessa durante la digestione o si riutilizza il metano prodotto dallo sterco, emettono comunque quantità di gas serra superiori rispetto alla produzione di cibi vegetali. Per alcuni alimenti vegetali infatti la produzione può addirittura assorbire anidride carbonica dall’atmosfera, come nel caso delle noci. Soprattutto la conversione degli allevamenti intensivi in allevamenti sostenibili non produrrebbe la quantità di carne che consumiamo oggi.

(Fonte: Scienza in rete)


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Lettere

Lettere

Lettere Pubblichiamo volentieri le tre lettere pervenute in redazione. Tutte ruotano intorno alle riflessioni e alle proposte contenute nel documento “Senza confini” allegato al n. 6/2020 della rivista. Ci auguriamo che stimolino un confronto tra le varie anime della pediatria e non solo, e possano essere da stimolo per arricchire le riflessioni avviate.

Michele Gangemi, direttore Quaderni acp

A proposito del ruolo della pediatria di famiglia

Siamo un gruppo di pediatri di famiglia. Pensiamo sia utile far sentire la nostra voce in merito al nostro lavoro, in considerazione del fatto che molte voci istituzionali/accademiche negli anni hanno espresso nei confronti della pediatria convenzionata pareri non sempre benevoli su come dovremmo lavorare e/o collaborare a progetti. Il Libro Bianco per l’assistenza pediatrica 2020 [1] ha evidenziato quanto sia importante assicurare un’assistenza pediatrica qualificata. Il professor Marchetti nel suo editoriale [2], commentando i dati raccolti nel Libro Bianco, sostiene la necessità che la pediatria italiana unita si faccia carico delle criticità emergenti; l’appello è che i pediatri escano dalla logica dell’appartenenza separata ai singoli ruoli professionali. Un ulteriore appello all’azione è quello della dottoressa Brunelli che ha sollecitato nel passato in più occasioni i pediatri tutti a farsi carico della riorganizzazione dell’intero sistema di salute e cura di bambini e adolescenti con responsabilità e professionalità, prima che, per altre motivazioni, si operino tagli seguendo altri criteri; ridisegna una pediatria di comunità che necessita, per forza di cose, del parere dei pediatri che in quella comunità operano con le problematiche di complessità logistica e organizzativa che ne conseguono [3]. È proprio partendo da queste riflessioni sinteticamente riportate che abbiamo pensato, come pediatri di famiglia, di farci sentire e di proporre una riflessione che coinvolga tutta la pediatria. Le vaccinazioni sono state oggetto negli anni dell’attenzione della parte pubblica nei confronti della convenzione pediatrica e come un mantra annualmente ai tavoli sindacali si propone la prospettiva di dare ai pediatri il compito delle vaccinazioni. Da un recente sondaggio effettuato per gli iscritti lombardi della SIMPef sulla disponibilità a vaccinare (antinfluenzale) nel proprio ambulatorio emerge chiara la difficoltà di farsi carico di questa progettualità [4]. Se in un distret-

to territoriale vi è un servizio di igiene che garantisce la copertura vaccinale non comprendiamo il significato dello smantellamento dello stesso a favore del pediatra di turno: ci pare un controsenso in termini di allocazione delle risorse. Pensiamo infatti che si debba saper gestire la realtà del territorio non creando duplicati o entrando in competizione. Il documento Nurturing Care Framework tradotto a cura del CSB [5] evidenzia come i servizi e gli operatori sanitari abbiano la responsabilità di creare un ambiente di supporto prima e dopo la nascita. Il pediatria di famiglia ha la possibilità di intervenire sulle diverse componenti del nurturing care [6] con progettualità a sostegno della famiglia e del bambino; questo significa pensare al nostro lavoro in modo diverso rispetto a quello che facciamo ora e può trovare ostacoli anche nell’ambito della stessa pediatria di famiglia, ma pare a noi fondamentale un cambio di paradigma, che possa rendere il nostro lavoro qualitativamente utile, che consenta anche di realizzare quella ricerca sul campo, già documentata in letteratura, che solo la presenza capillare sul territorio del pediatra di famiglia e il legame di fiducia che il pediatra e la famiglia del bambino instaurano, possono garantire [7]. Abbiamo saputo affrontare la patologia acuta con l’aiuto del self-help, ma ciò non basta in termini di prevenzione o di presa in carico della cronicità. In questo come categoria non siamo stati all’altezza del compito. La prevenzione necessita di mettersi in gioco con le altre figure professionali sanitarie, costruire e far rete è un processo faticoso e spesso frustrante, boicottato talora dagli stessi pediatri o dalle realtà apicali (ATS/ ASL/USSL). Lo stesso discorso vale per la cronicità nella quale è importante cogliere l’aspetto della presa in carico del paziente e del raccordo con la realtà dello specialista ospedaliero. Si può realizzare con la buona volontà di entrambe le parti, necessita di capacità di ascolto e di umiltà d’animo. Gli ostacoli ci sono e sarebbe assurdo negarlo. Pensiamo che si possano superare partendo proprio dalle contrattazioni sindacali della nostra categoria, costruendo progetti di lungo termine che contribuiscano alla collettività, che consentano la reale, efficace presa in carico delle persone che vivono in quel territorio e che coinvolgano tutte le figure professionali, sanitarie e sociali, che ruotano intorno al bambino e ai suoi bisogni. Ci sono esempi di progetti di prevenzione primaria che sono stati realizzati e sperimentati in diverse realtà e possono es-

sere modelli da adattare e replicare in altri contesti; questi progetti nascono proprio da bisogni espressi e inespressi dei genitori dei bambini che curiamo [8-12]. Crediamo che costruire una rete funzionante tra ospedale e territorio debba partire proprio dal reciproco riconoscimento delle diverse professionalità in gioco e che progetti in grado di pensare alle future generazioni anche in termini di protezione dell’ambiente siano parte integrante del lavoro del pediatra di famiglia e delle figure professionali sanitarie delle cure primarie. 1.  FIARPED. Libro Bianco dell’assistenza pediatrica. Dicembre 2019. 2.  Marchetti F. Il Libro Bianco dell’assistenza pediatrica del 2020. Medico e Bambino 2020;1:6-7. 3.  Brunelli A. Assistenza pediatrica 2020: quali prospettive? Medico e Bambino 2020;2:81-2. 4.  Periodico SIMPeF numero 35, maggio 2020 https://simpef-nazionale.it/. 5.  Centro per la salute del bambino: https:// www.youtube.com/watch?v=ojz1ektxQlw. 6.  https://w w w.promozionesalute.regione. lombardia.it/wps/portal/site/promozionesalute/ dettagliopubblicazione/temi/ciclo-di-vita/nurturing-care. 7.  Reali L, Lo Giudice M, Cazzato T. La ricerca nelle cure primarie pediatriche: i contributi italiani nella letteratura internazionale. Prospettive in Pediatria 2017;185:18-32. 8.  ht t p: //a ic pa m.or g /w p-content /uplo ads/2011/02/Sostegno-Amb.pdf. 9.  ht t p s: //a c p. it /a s s e t s /me d i a /Q u a d e rni-acp-2017_242_63-67.pdf. 10.  https://acp.it/it/2013/04/nati-leggere. 11.  ht t ps: //ac p.it /a ssets /med ia /Q uaderni-acp-2014_216_264.pdf. 12.  ht t ps: //ac p.it /assets /med ia /Q uaderni-acp-2020_271.pdf.

Vincenza Briscioli, pdf Pisogne (BS) ATS Montagna; Ettore Tomagra pdf Darfo Boario Terme (BS) ATS Montagna; Angela Ferliga pdf ATS Brescia; Ornella Moretti Pls Brescia; Angela Maria Mele pdf ATS Brescia; Chiara Ravelli pdf Gardone Valtrompia ATS Brescia; Marina Lusardi pdf Desenzano del Garda; Bruna Amedea Gelpi pdf Bovezzo ATS Brescia; Emanuela Bresciani pdf Montichiari ATS Brescia; Giuseppina Pennetta pdf Lograto ATS Brescia; Patrizia Bardelli pdf Milano ATS Città Metropolitana Milano; Asi Hakam pdf Cesano Boscone (MI) ATS Città metropolitana Milano; Lo Russo Patrizia pdf Milano ATS Città metropolitana Milano; Baiocchi Michela pdf Gardone Valtrompia ATS Brescia; Bucci Nicoletta pdf Milano ATS Città Metropolitana Milano; Cristina Paterlini pdf Concesio ATS Brescia; Carla Matiotti pdf Provaglio d’Iseo ATS Brescia

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Lettere

Riflessioni sul documento Senza confini

Ho avuto bisogno di leggere più di una volta il documento Senza confini per poter valutare, comprendere e analizzare e, in ultimo, apprezzare i numerosi temi in esso affrontati. Ognuno meriterebbe un approfondimento e immagino che questo sia l’obiettivo degli estensori del documento: partire dalle analisi e dai suggerimenti relativi alle singole aree della cura dell’infanzia e dell’adolescenza per espanderle, ciascuno nel proprio ambito professionale, e trasformarle in azioni concrete sia nella pratica di tutti i giorni che in policy. Con questa lettera desidero dare un contributo alla discussione sulla domiciliarità delle cure e alla relazione che c’è o dovrebbe esserci tra CPP a ADI minori. È noto ormai che nell’area pediatrica sono in aumento le malattie croniche come esito delle migliori cure prestate sia ai grandi prematuri che a molti pazienti affetti da malattie rare. Questi bambini vivono molto più a lungo e necessitano di una presa in carico multidisciplinare che dovrebbe avere l’obiettivo di ridurre al minimo i ricoveri ospedalieri e gli accessi in pronto soccorso in un’ottica, anche, di miglior qualità di vita per il paziente e la sua famiglia. Tutto questo si può ottenere con un’assistenza domiciliare che tuttavia, perché sia efficace, deve essere normata come “assistenza domiciliare minori” che preveda interventi che tengano conto delle diverse esigenze del paziente pediatrico rispetto al paziente adulto e che si avvalga di operatori e medici con competenze specifiche pediatriche. Attualmente questo tipo di assistenza viene

erogata, tranne rarissime eccezioni, in regime di ADI adulti con tutte le anomalie e le difficoltà che ne conseguono. Un altro aspetto su cui occorre fare chiarezza è che, nelle disabilità gravi e gravissime, esiste un approccio palliativo che è presente sin dall’inizio e che può protrarsi per molti anni. Queste cure palliative, che possiamo definire di bassa e media intensità, possono essere erogate in un contesto di domiciliarità da parte del pediatra di famiglia in collaborazione con l’equipe. Nel momento in cui la situazione clinica progredisce verso la terminalità o con la comparsa di bisogni più elevati ci dovrebbe essere un’integrazione con le CPP specialistiche in un continuum di presa in carico (v. Conferenza di Consenso 2016: Le cure palliative pediatriche. SICP). È d’obbligo il condizionale perché le esperienze sono molto variegate e, purtroppo, non sempre garantiscono le cure più appropriate. Un altro aspetto che va affrontato e risolto a livello legislativo è la frammentazione e la disomogeneità nella concessione di dispositivi, farmaci, cure riabilitative che non solo sono differenti da una Regione all’altra, ma spesso anche tra singoli distretti sanitari. A questo proposito sarebbe necessario che, per alcuni aspetti, ci fossero delle direttive nazionali per rendere omogenea l’acquisizione dei diritti di questi pazienti, pur nel rispetto dei diversi contesti in cui essi vivono. Per brevità limito la mia lettera a questi aspetti più sanitari ma mi allineo a quanto espresso in Senza confini sulla necessità di un lavoro sinergico tra aspetti sanitari e sociali che,

specie in questi pazienti, è imprescindibile per raggiungere l’obiettivo delle migliori cure con una buona qualità di vita. Come si può intuire il lavoro da fare è molto ma questo documento è un ottimo inizio specie se riuscirà a raccogliere intorno a sé discussione, collaborazioni e, possibilmente, un ascolto da parte dei decisori politici.

Patrizia Elli, responsabile Pediatra dell’Assistenza domiciliare minori Fondazione Maddalena Grassi, Milano

A proposito di vaccinazione antinfluenzale Gentile direttore, ho letto con molto interesse l’articolo del dottor Panza, sottoscritto anche da altri pediatri, sulla posizione nei confronti della vaccinazione antinfluenzale di massa a tutti i bambini (sia sani che a rischio). In realtà ho anch’io la loro stessa opinione e mi sono regolata su questa linea nel corso degli anni. Vorrei che se ne potesse discutere più ampiamente, tenendo presente che il pediatra di famiglia può avere un grosso impatto su ciò che avviene nel territorio. Questo vale per EBM, sostegno delle vaccinazioni, NpL, allattamento al seno, alimentazione complementare, buone pratiche, sostegno alla genitorialità, medicina narrativa, ecc. determinando un vero “cambiamento”. Ci sono osservazioni sulla popolazione dei pazienti dei pediatri suddetti rispetto alla popolazione in cui viene consigliata e praticata la vaccinazione antinfluenzale a tutti? Grazie,

Elena Cappellani, PLS ACP Umbria

La terapia del dolore in Italia quattro anni dopo: due passi avanti e uno indietro? Merita attenzione il breve report di un gruppo di lavoro italiano sulla terapia del dolore e cure palliative, rispetto ai progressi realizzati nel quadriennio 2015-2019 nei reparti pediatrici maggiormente coinvolti in questo ambito [1]. Lo strumento utilizzato per la valutazione è il questionario denominato Turn off pain già impiegato per un’analoga indagine nel 2015 [2]. Riproposto nel 2019 a 30 centri pediatrici tra quelli originariamente coinvolti, è riuscito a raccogliere le risposte da solo la metà (n=15) di questi. La buona notizia è che il punteggio medio ottenuto appare in significativo miglioramento, passando da 57,9±15,1 a 65,5±12,5 (p=0,012) su un punteggio massimo di 100. In realtà 11 centri hanno realizzato un miglioramento delle loro performance, mentre per i rimanenti 4 si è osservato un peggioramento. Inoltre, il miglioramento sembra essersi realizzato principalmente nella presenza di servizi dedicati, nella stesura di procedure specifiche e nella comunicazione con i pazienti e le loro famiglie. Segnano il passo o addirittura arretrano, gli ambiti relativi alla disponibilità dei trattamenti, alla ricerca e sviluppo di nuove terapie e alla formazione del personale. Gli autori rilevano come negli anni immediatamente successivi alla Legge 38/2010, ci sia stato un considerevole movimento di sensibilizzazione e formazione dei pediatri sulla terapia del dolore, ma che questo impulso si sia forse progressivamente affievolito nel tempo. Tanto che, solo la metà dei centri invitati a partecipare nel 2019 ha risposto, poi, al questionario. C’è spazio, quindi, per un ulteriore miglioramento e il questionario Turn off pain si è dimostrato strumento adeguato a rilevarlo. 1.  Benini F, Terrenato I, Lazzarin P, et al. Turn off pain: What has changed 4 years later? Acta Paediatr. 2020 Nov;109(11):2428-9. 2.  Benini F, Lazzarin P, Borrometi F, et al. Turn off pain evaluates the quality of pain care provided for paediatric inpatients. Acta Paediatr. 2019 Jan;108(1):16-8.


FaD 2021 www.acp.it

ACP ü I disturbi del movimento in età pediatrica Giovanni Tricomi

ü Il dolore nella complessità assistenziale del minore disabile grave Mario Rossi, Patrizia Elli, Michele Gangemi, Martina Fornaro ü Il trauma cranico da abuso (sindrome del bambino scosso): un

vademecum per il pediatra Melissa Rosa Rizzotto, Martina Bua, Paola Facchin ü Le MICI oltre l’intestino Martina Fornaro, Enrico Valletta

ü Malattie a trasmissione sessuale nelle adolescenti: suggerimenti pratici Gabriele Tridenti, Cristina Vezzani ü La dermatite atopica: ieri, oggi e domani Federica de Seta, Luciano de Seta

18

ECM*


Quaderni acp - Associazione Culturale Pediatri

Editoriale

1

2 FAD

3

29 La potenza del gioco

Quando tutto questo sarà finito, dovremo tornare a occuparci dei bambini

Saper fare

Federica Zanetto

Enrico Valletta

I disturbi del movimento in età pediatrica

Stefania Manetti

Ricerca

17 WIN4ASD. Una piattaforma web per lo screening precoce del disturbo dello spettro autistico nelle cure primarie Paola Colombo, Noemi Buo, Massimo Molteni

21 Le sfide alla salute psicofisica delle famiglie italiane nel periodo dell’emergenza Covid-19: uno studio pilota sull’impatto del burnout genitoriale in diverse categorie professionali

Teresa Di Fiore, Teresa Galanti, Gloria Guidetti, Daniela Marchetti, Paolo Roma, Maria Cristina Verrocchio, Michela Cortini, Stefania Fantinelli

Research letter

Stefania Manetti

31 L’emocromo: così convenzionale, così richiesto, ma così sconosciuto

Giovanni Tricomi

16 Movimenti, gesti e parole senza controllo: i tic

Osservatorio internazionale

Insieme è meglio

Infogenitori

Gennaio - Febbraio 2021 / Vol. 28 n. 1

Margherita Calia, Martina Lattuada, Ester De Luca, Sofia Chiaraluce, Elena Varotto, Paola Corti, Giulia Maria Ferrari, Orsola Montini

Educazione in medicina

37 La mia vita in ACP, e anche dopo. Intervista immaginaria a Pasquale Alcaro

A cura di Giancarlo Biasini

Narrative e dintorni

39 Il modello del counseling nutrizionale nella gestione del paziente pediatrico in sovrappeso

Emanuela Oliveri, Fabio Scaramelli, Maria Stella Valente, Michele Valente

Libri

42 Cosa serve ai nostri ragazzi  Matteo Lancini 42 Cari genitori, benvenuti in biblioteca  Giovanna Malgaroli, Fabio Bazzoli

43 C’è dell’altro. Saggi su psicoanalisi e religione  Julia Kristeva

Film

25 La storia naturale del Covid-19 nel setting delle cure primarie pediatriche in Italia. Uno studio osservazionale

44 Miracolo e inganno. Il cinema della Piccola fiammiferaia

Salute mentale

Lettere

Giacomo Toffol, Laura Reali, Roberto Buzzetti

27 Il disturbo specifico dell’apprendimento, un ABC per il pediatra

Rosalia Rinaldi, Angelo Spataro

Come iscriversi o rinnovare l’iscrizione all’ACP

Info

45 Una rivoluzione alimentare è necessaria? 47 A proposito del ruolo della pediatria di famiglia 48 Riflessioni sul documento Senza confini 48 A proposito di vaccinazione antinfluenzale

La quota d’iscrizione per l’anno 2021 è di 100 euro per i medici, 10 euro per gli specializzandi, 30 euro per il personale sanitario non medico e per i non sanitari. Il versamento può essere effettuato tramite il c/c postale n. 12109096 intestato a Associazione Culturale Pediatri, Via Montiferru, 6 - Narbolia (OR) (indicando nella causale l’anno a cui si riferisce la quota), oppure attraverso una delle altre modalità indicate sul sito www.acp.it alla pagina “Come iscriversi”. Se ci si iscrive per la prima volta occorre compilare il modulo per la richiesta di adesione presente sul sito www.acp.it alla pagina “Come iscriversi” e seguire le istruzioni in esso contenute, oltre a effettuare il versamento della quota come sopra indicato. Gli iscritti all’ACP hanno diritto a ricevere la rivista bimestrale Quaderni acp, le pagine elettroniche di Quaderni acp, la Newsletter mensile Appunti di viaggio e la Newsletter quadrimestrale Fin da piccoli del Centro per la Salute del Bambino, richiedendola all’indirizzo info@csbonlus.org. Hanno anche diritto a uno sconto sulla iscrizione alla FAD dell’ACP alla quota agevolata di 60 euro anziché 80; a uno sconto sulla quota di abbonamento a Medico e Bambino (come da indicazioni sull’abbonamento riportate nella rivista); a uno sconto sull’abbonamento a UPPA se il pagamento viene effettuato contestualmente all’iscrizione all’ACP; a uno sconto sulla quota di iscrizione al Congresso nazionale ACP. Gli iscritti possono usufruire di iniziative di aggiornamento e formazione. Potranno anche partecipare a gruppi di lavoro tra cui quelli su ambiente, vaccinazioni, EBM. Per una informazione più completa visitare il sito www.acp.it.


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