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Una Factory a mille mani
Un vecchio tappeto dal quale sono state incise cinque parole: il gesto dell’incidere comunica immediatamente la credibilità di quello che ci dicono, il loro significato. “Our Diversity is our Strenght”. C’è un “noi” innanzitutto. Ed è il “noi” costituito dall’artista che si è mobilitata, Loredana Longo, catanese che oggi vive e lavora a Milano, e dai bambini e ragazzi di Dynamo Art Factory, l’esperienza che ha preso il via nel 2009, come spin off della grande avventura di Dynamo Camp, il camp di Terapia Ricreativa in Italia dedicato ai bambini con patologie. Sono 90 gli artisti che in questi 15 anni si sono avvicendati con i bambini e ragazzi di Dynamo Camp, donando la propria creatività oltre che il proprio tempo. Gran parte di questi laboratori si sono tenuti nell’Oasi di Limestre, sugli appennini pistoiesi, che ospita gratuitamente bambini e ragazzi affetti da patologie gravi e croniche, i fratelli sani e le loro famiglie, per periodi di vacanza e divertimento. Per festeggiare questo compleanno Dynamo Art Factory ha presentato una selezione dei lavori che fanno parte di questo straordinario “museo della vita” alla Triennale di Milano, con una mostra dall’impatto davvero spettacolare, curata da Diva Moriani e Marco Bazzini. La mostra alla Triennale è davvero sorprendente perché l’intenzionalità programmatica che c’è dietro ogni lavoro, viene assorbita nella gran parte dei casi dalla bellezza dell’esito che si impone senza bisogno di giustificazioni o spiegazioni. Non chiede spiegazioni l’opera realizzata da Loredana Longhi con i ragazzi, perché il semplice e ordinato gesto del levare materia dalla superficie del tappeto, parla di una convinzione: che la fragilità non è un problema ma un prezioso punto di vista altro sul mondo e sulla vita. E questo punto di vista non può essere certo prestabilito o vincolato a regole, come dimostra l’opera realizzata con Marco Fantini, vicentino, pure lui con base a Milano. È un’opera invece assolutamente irregolare, dove è stata liberata l’istintività sua come quella dei bambini che hanno lavorato con lui. Un panorama visivo anarchico e felice che comunica quel senso di libertà insopprimibile che è proprio dell’arte come della vita.
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