
4 minute read
Nel Libano al collasso giovani senza opportunità ma pieni di desideri
entra in un programma molto più ampio di sostegno a distanza che Fondazione Avsi porta avanti in Libano da diversi anni, oggi sono 1.300 i minori sostenuti. Mohammad e Bader sono due ragazzi normali: i social media, gli amici, l’amore, lo sport, ma ad essere cambiato è il Paese in cui vivono. E quindi i progetti, i viaggi, il futuro vanno posticipati. Non il Libano ma la crisi abissale e dimenticata che lo sta attraversando, gli sta togliendo ogni possibilità. Ma i desideri, quelli no.
Il Libano al collasso
Advertisement
Mohammad, 20 anni, ha “sequestrato” Bader, 21. Sono uno davanti all’altra e lui sembra un maestro d’orchestra. Solo che non la dirige durante una riproduzione musicale, ma per scattare una fotografia: «hayaa ‘urid ‘an ‘ansharah ealaa Instagram» (Dai la voglio pubblicare su Instagram).
Ho pensato di andare via dal Libano.
der sono poco più che adolescenti, a loro piacciono le cose normali: i social media, gli amici, l’amore, lo sport. Siamo nella piana di Marjayoûn, nel Sud del Libano, la zona più rurale e sottosviluppata del Paese. Una distesa lenta dove si alternano — fino al confine con Israele, pattugliato dalle forze di Unifil (forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite) — campi profughi siriani, villaggi cristiani e roccaforti di Hezbollah.
Ma dove? Come?
Con quali soldi?
Mustafa, 24 anni
Mohammad è seduto e si gira di profilo, poi frontale, poi sceglie quello destro e ancora poi torna sul sinistro. E con il dito indica a Bader come posizionare il cellulare: «‘adnaa Bader ‘adnaa» (più in basso Bader, più in basso). Poi cambia idea «la rubama kan sayiyan min qabl» (forse era meglio prima). Mohammad e Ba-
Mohammad e Bader sono due dei 15 ragazzi tra i 18 e 25 anni che fanno parte del progetto di sport ed educazione nato dalla collaborazione tra Fondazione Avsi e associazione italiana calciatori — Aic. L’iniziativa è partita lo scorso giugno. L’obiettivo era formare 15 giovani ragazzi e ragazze libanesi per farli diventate a loro volta allenatori dei minori siriani e libanesi che vivono nella piana di Marjayoûn. Ma l’attività ri-
Una volta il Libano era chiamato la Svizzera del Medio Oriente. Le cose hanno iniziato a cambiare con la guerra civile tra il 1975 e il 1990, e poi il conflitto con Israele nel 2006. Sono cambiate con l’arrivo di un milione e mezzo di profughi siriani su una popolazione di 4 milioni di abitanti, e le stime sono la prima al ribasso, perché i profughi non vengono più registrati dall’Unhcr, e la seconda al rialzo perché l’ultimo censimento della popolazione libanese risale al 1932. La situazione è precipitata, quasi fino al collasso, nell’ottobre del 2019 quando sono partire le proteste di piazza in risposta all’incapacità del governo di trovare soluzioni alla crisi econo -
Il Progetto Di Avsi E Aic Per I Giovani Libanesi
L’attività di sport ed educazione è un’iniziativa nata dalla collaborazione tra Avsi e associazione italiana calciatori
Aic. Sono stati formati 15 giovani libanesi per diventare allenatori di calcio dei minori libanesi e siriani che vivono nella piana di Marjayoûn
Nella foto di apertura, i formatori con i minori siriani e libanesi.
A sx Bader e due suoi compagni di corso. A dx Mustafa e Hanine nel campo profughi di Mary el Kokh durante l’attività con i minori siriani. In basso i coach dell’Aic Junior nel campo profughi di Amra mica. La pandemia di Coronavirus e l’esplosione al porto di Beirut nell’agosto del 2020 hanno dato il colpo di grazia. Il Libano ormai è un Paese che non respira più e dalle luci spente. L’elettricità non c’è, esistono dei generatori per chi può permetterseli, ma chi prima aveva i soldi per comprare il fuel adesso non ce li ha più. Le banche rimangono chiuse per settimane, impossibile prelevare. I conti aperti prima del 2019 sono stati tutti bloccati. Se sei malato ti puoi curare solo se sei molto ricco, altrimenti nelle cliniche non ti fanno neanche entrare. Anche le scuole scioperano spesso, lo stipendio medio di un insegnante è di 90 dollari al mese. E tutti i libanesi controllano spasmodici sui loro cellulari l’applicazione “Lira Exchange”, la moneta locale ormai è carta straccia e l’inflazione è schizzata alle stelle.

I giovani nel limbo
«Io sono un ingegnere», dice Mustafa, 24 anni, «ma non c’è nessun lavoro per me. Ho pensato di andare via. Ma dove? Come? Con quali soldi?». Mustafa è contento di essere diventato allenatore: «Dobbiamo puntare sui bambini», dice. «Libanesi, siriani, non ha importanza, basta puntare su di loro». Badar invece ha un grande desiderio: «Andare all’estero e trovare un buon lavoro: vorrei studiare risorse umane». Mohammad Fayad ancora dice: «Io avevo studiato letteratura araba. Poi ho lasciato quella strada perché mi sono detto: “Ma che lavoro posso fare qui? Nessuno. Forse solo l’insegnante, ma al momento fare l’insegnante in Libano, dopo il crollo degli stipendi, non è un’opzione”. Eppure mi sarebbe piaciuto lavorare con i bambini, dopo questo progetto ho capito di esserne capace». I ragazzi che
I numeri 2019
l’anno in cui i libanesi sono scesi in piazza a protestare contro il governo
4 milioni i cittadini libanesi (stima al rialzo)
2 milioni i profughi siriani e palestinesi in Libano (stima al ribasso)
90 dollari lo stipendio medio di un insegnante hanno preso parte al progetto «sono giovani che abitano in questa zona del Paese», spiega Alice Boffi, responsabile per Avsi del sostegno a distanza in Libano, Iraq e Giordania. «Sono giovani che hanno voglia di darsi da fare per la loro comunità. Alcuni sono ex bambini del sostegno a distanza, altri fratelli o sorelle di minori che Avsi sta ancora supportando».
In Libano i ragazzi stanno smettendo di inseguire i sogni: «Non c’è tempo», dice Rafca, «dobbiamo lavorare per aiutare le nostre famiglia». Hanine lavora ma vorrebbe continuare a studiare: «L’università è a Saida, troppo lontano da qui, non posso chiedere ai miei genitori, ho altre due sorelle che stanno crescendo».

Mohammad sorride, ecco che Bader finalmente gli ha scattato la foto che voleva. Lui, come tutti i ragazzi e le ragazze incontrati, chiedono solo una vita normale. Ma normale in Libano è un aggettivo che non esiste più.

In collaborazione con Welf@reIN







