San Pietro a Onna. Architettura e vicende costruttive.

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ORLANDO ANTONINI



ORLANDO ANTONINI


A tutte le vittime del sisma del 2009: in particolare le 42 di Onna che hanno trascorso la loro esistenza all’ombra materna della parrocchiale di San Pietro, unite alle 17 di Villa S. Angelo mio paese, ormai ad Onna legato in una fratellanza di morte e di distruzione. Ma anche di resurrezione.

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PREFAZIONE “L’esperienza del sacro è indissolubilmente legata allo sforzo compiuto dall’uomo per costruire un mondo che abbia un significato.” (Mircea Eliade) Onna. E avremmo detto già tutto. Qualora però si volesse aggiungere qualcosa, cosa si potrebbe, circa il paese che ha aperto tristemente le cronache nazionali ed internazionali per settimane, senza cedere a espressioni di cordoglio ormai esauste o al racconto catatonico di quella notte e dei giorni successivi da un’altra ennesima soggettiva? Il fatto è che a ben vedere l’unica constatazione possibile è che la realtà accade, così nel manifestarsi inspiegabile della vita e dell’essere in generale stesso, così come nel fenomeno naturale, in tutta la sua energia. Una volta consapevoli di ciò, unica possibilità di contrapporsi a ciò che accade o a ciò che è, è la volontà che ci caratterizza come esseri umani. Quella volontà che si cela nella scoperta e nei saperi condivisi, nel rito e nelle tradizioni e che si manifesta con la scelta, con l’appartenenza e con la difesa di un luogo e con la costruzione della civiltà. La ripetitività stessa delle gesta umane nel ciclo annuale delle stagioni e del calendario agricolo, che contengono a loro volta il ripetersi delle settimane e delle ore del giorno, costituiscono il continuo esorcismo dell’uomo contro la morte: in contrapposizione al tempo cosmico infinito e lineare dove tutto è indifferente e dove l’unica certezza è la fine dell’oggetto in favore della conservazione eterna di materia ed energia, l’istituzione del Tempo umano e la sua ciclicità non possono certo impedire la morte dell’individuo, ma possono decretare la sopravvivenza del popolo a cui l’individuo apparteneva, proteggendo le tracce del passato che testimoniano le scelte di chi ha deciso di restare in un luogo, lo ha reso fertile e abitabile. C’è un momento, infatti, in cui l’espressione “la nostra terra” si confonde con “siamo figli di questa terra” e, purché opposte, le espressioni restano contemporaneamente valide: non è una questione di proprietà, ma di appartenenza. In quel 3


momento nasce un Popolo e solo con questa premessa di reciproca appartenenza ci si può accostare alla storia di Onna e dei suoi abitanti. Ho avuto l’opportunità di esserne testimone, anche se da straniero. L’invito di Berardino era sempre valido, così un sabato pomeriggio, senza preavviso gli feci visita, ma non era a casa. Era primavera, e la legna raccolta nelle prime giornate di sole dai generosi pioppi che costeggiano le sponde del fiume Aterno, andava tagliata e messa ad asciugare. Lo raggiunsi in un terreno poco fuori dal paese sulla strada che poi arriva a Monticchio; mi offrii di aiutare, ma mi rispose che non essendo io abituato a farlo gli sarei stato più di intralcio che di aiuto e allora su suo consiglio mi limitai ad assistere, senza parlare. Così, guardandomi intorno, scoprii il fascino di quella posizione privilegiata, in direzione del paese, sullo sfondo Paganica e il Gran Sasso nella sua posa più morbida e rassicurante, dall’altra parte la montagna di Bagno con le creste ancora innevate, più a sud il Castello di Ocre, il Convento di Sant’Angelo, Fossa e il Monastero di Santo Spirito, dalla parte opposta la montagna di Roio e la città dell’Aquila imponente, ma quasi infinitamente lontana. Lì in città il senso di comunità era già sparito, non ci si conosceva tutti e non ci si ricordava tutti a vicenda, con il semplice comportamento quotidiano, il dovere e il rispetto nei confronti dei genitori e dei nonni, verso i compari e vicini di casa e verso il Paese tutto. Ci incamminammo verso casa di Berardino incontrando, salutando e scambiando due parole con una decina di persone; anziani, giovani e bambini, tutti al loro posto, con un ruolo definito in quella micro società costruita in piano, circondata tutta intorno da montagne altissime, ma senza mura di difesa, tra i castelli maggiori che fondarono la Città dell’Aquila, ma senza una torre civica. Da sud la Chiesa di Onna non si mostra subito allo sguardo, infatti un vicolo che sembra cieco, che compie poi una svolta a destra ad angolo retto, pare voler celare la piazza, poco più grande di un cortile, che poi invece si intuisce mentre si fiancheggia la navata aggiunta al corpo principale dell’edificio. Berardino abitava lì, ma prima di entrare a casa, ci tenne a dirmi timido e orgoglioso allo stesso tempo: questa è la Piazza di Onna e questa è la Chiesa di Onna. Non era molto alta, come altri esempi della stessa epoca, ma con la facciata era comunque l’edificio maggiore della piazza e del borgo antico, costituito per lo più

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di piccole case al piano terra, di pagliai, di cantine e di rimesse per gli attrezzi agricoli. Se la costruzione di un’abitazione nel passato coronava lo sforzo “privato” di una famiglia per trovare un riparo e una collocazione nella società, l’edificazione di una chiesa per una comunità, era opera ben più grande e significativa. Non solo opera necessariamente partecipata e condivisa nello sforzo fisico ed economico della costruzione, ma sigillo simbolico del patto di reciproca appartenenza tra il Popolo e il suo Luogo. Non fa in fondo parte di quella volontà prettamente umana di cui abbiamo parlato, la sfida alla legge cosmica di gravità che si concretizza nell’arte della edificazione? Così, come per dire rispettivamente al cielo e alla terra, “noi siamo qui, perciò tu abituati a sopportare la mia altezza, e tu il mio peso”, si sottraevano alla terra pietre e calce e si restituivano al mondo nella combinazione più imponente e bella possibile. E questo, come si evince dal volume di Mons. Antonini, che ha ripercorso il fenomeno di sovrascrittura architettonica che insiste sul sito della chiesa di Onna, è un rituale che si è ripetuto più volte nel corso della storia del contado, dettaglio che ce lo fa apparire come luogo sacro per eccellenza. Ancora una volta, se qualcosa di spaventoso è accaduto comunque, l’uomo può tornare ad imporsi sulla natura soltanto facendo le scelte giuste. Lo scenario di Onna oggi pare, forse ancora una volta, quello di un cantiere medioevale intorno ad una grande opera in costruzione: un villaggio di case di legno, mezzi, materiali, persone e cose che vanno e vengono, impalcature, gru e ponteggi e una chiesa ricostruita, che in mezzo a tante macerie pare l’esempio materiale dell’accezione letterale dell’espressione “cattedrale nel deserto”. Eppure sono convinto che se Berardino potesse vederla di nuovo in piedi, ne sarebbe estremamente contento.

Marco Di Gregorio

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1. Veduta aerea dell’abitato di Onna con, al centro del nucleo urbano piÚ antico, le diversificate volumetrie della chiesa e del centro parrocchiale. Le zone verdi di fronte e a lato della chiesa sono da immaginare con i distrutti aggregati edilizi ricostruiti.

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2. San Pietro. La facciata della chiesa in familiare colloquio coi palazzetti e le case a schiera del borgo che contornavano ad ‘L’ la piazza, in una foto degli anni Ottanta del ‘900.

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LA CHIESA NEL SUO CONTESTO STORICO-TOPOGRAFICO Ad Onna, paese simbolo delle devastazioni che han colpito l’Aquilano nel terremoto del 2009 avendo gran parte degli edifici distrutti e specialmente il maggior numero di vittime umane fra i borghi del ‘cratere’, la nota pragmatica formula friulana di ricostruzione post-sismica “prima le fabbriche, poi le case, poi le chiese” si è dovuta seguire all’inverso: qui la ricostruzione del centro storico è iniziata dalla chiesa, la parrocchiale di San Pietro Apostolo. Per motivi vari. Uno dipende dalla complessità della società odierna e delle sue istituzioni pubbliche rispetto a quelle dei secoli passati, la quale fa in maniera che anche la ricostruzione post-sismica in parola si faccia complessa, e si specializzi: ricostruzione privata, ricostruzione pubblica, ricostruzione monumentale, ognuna affidata a soggetti attuatori diversi, i quali intervengono in tempi differenti a mano a mano dispongano dei fondi ad hoc, anche questi di provenienza diversificata – nazionale, europea, o da sponsors come nel caso in specie. Si tenga poi presente che da noi, accanto alle fabbriche vere e proprie – in realtà l’attività economica qui si esplica piuttosto nel settore commerciale e nel terziario – ‘fabbriche’ sono anche, anzi principalmente, gli edifici religiosi e civili monumentali i quali, assieme alle risorse naturalistiche, costituiscono oggi, tramontati pastorizia e zafferano su cui da tempi immemorabili l’economia di base dell’Abruzzo montano si fondava, la sola materia prima di cui si dispone per la ripresa economica del territorio (1). Si tenga presente altresì che la formazione di un borgo a partire dall’edificio di culto è ricco di riscontri nella storia. Per 9


limitarci al nostro caso, negli incastellamenti di XI-XII secolo furono appunto molte chiese preesistenti – le note ‘pievi’, o plebane, contestuali all’assetto insediativo sparso della popolazione, anteriore a quello odierno accentrato e parrocchiale – a costituire poli attrattivi di urbanizzazione e, poi, nuclei di partenza e gangli generatori della loro strutturazione abitativa (2). Per questo, nella volontà degli Onnesi, la ricostruzione della loro parrocchiale si dimostra il fattore più socialmente identitario che motiva il non abbandono del sito e, come essi han fatto dopo tutti i ciclici devastanti terremoti storici precedenti, la ricostruzione dov’era dell’avito borgo distrutto. La priorità ricostruttiva data a Onna all’edificio sacro è dovuta anche al fatto che di esso, gravemente leso nella canonica e sulla parte alta destra della facciata e totalmente nella torre campanaria la quale a sua volta ha trascinato seco l’intera sottostante abside, erano almeno rimasti in piedi tre lati,

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3. La spaventosa cascata di rovine nella zona presbiteriale del santuario causata nel sisma per il crollo su di essa della torre campanaria settecentesca


nonché le coperture. Il che ha permesso potesse essere incluso assieme a ‘Casa Onna’, il Museo ed il piano di ricostruzione del paese, nel noto, solidale finanziamento del governo tedesco. Ciò che colpisce del San Pietro è che esso sia rimasto in piedi – sebbene in parte – non soltanto nel tremendo sisma del 2009 ma anche in quello di trecentosei anni prima, di cui secondo il Mastri questo del 2009 è ‘fotocopia’ e che nel 1703, cinque volte più forte, fu causato dalle spinte delle stesse faglie di oggi: quelle a Sud ed a Sud-Est dell’Aquila (3). Se anzi si considera che dell’edificio sacro nel 2009 son restate ancora in piedi le sezioni più antiche – la facciata, la fiancata Nord e tutto il lato Sud (4) – dovrebbe dirsi che la chiesa sia rimasta solo in parte danneggiata in tutti gli scuotimenti tellurici della sua storia. Dunque la piattaforma geologica aquilana – a maggior ragione quella di Onna – la cui crosta di detriti di

4. La devastazione fin quasi dalle fondamenta dei locali della sacrestia e degli uffici parrocchiali sul retro dell’abside, restando in piedi l’aula e le relative coperture.

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cui è composta negli strati superficiali un noto studio geologico presentato nel 1999 sottolinea funzionare da amplificatore naturale dei terremoti avendo un fattore moltiplicativo di movimento tellurico di circa ben dieci volte (5), non reagisce ogni volta ugualmente alle sollecitazioni in ogni sua area. Nel terremoto del 1703 ad esempio, causato come detto dalle stesse faglie, la zona maggiormente colpita non fu come nel 2009 quella sotto l’Aquila, il Forconese, bensì quella sopra l’Aquila, l’Amiternino: ad Onna, nonostante sorga su terreno alluvionale, nel sisma settecentesco non solo non crollò la chiesa e non si contò che un solo decesso, ma anche il paese patì danni a ragione di un solo anno di esenzione fiscale rispetto ai 10 dell’Aquila od agli 8 di Civitareale e di Pizzoli (6). Per questo non sorprende la documentata, mai cessata presenza umana nel sito onnese: non solo in epoca romana come dimostrano i reperti scultorei e le iscrizioni sepolcrali di cui al Mommsen, al Persichetti, al Moscardi, al Iovenitti, al D’Ercole (7), il finora non notato lacerto d’iscrizione su un concio della facciata della chiesa (8) e quando, in parole del Parisse, la piana costituì “il granaio della Città che conquisterà il mondo allora conosciuto” (9), ma anche in età pre-romana. In proposito, magari la nota Duronia di Tito Livio che ancora nel 1962 risultava correntemente identificata con l’attuale Onna (10) non farà testo per il nostro caso, in quanto oggi la si identifica più esattamente con la Duronia molisana (11). 5-6. Resti scultorei romani nella chiesa: a sinistra, un lacerto di cornice dentata forse di trabeazione templare, riutilizzata in periodo romanico per ricavarvi l’ornato a fogliame e uccello bezzicante; a destra, il concio del paramento della facciata con resto d’iscrizione.

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Ma fanno certamente testo i resti archeologici vestini, di cui ancora al D’Ercole, e la nota vasta necropoli, pre-romana e addirittura protostorica, ai lati di un asse stradale in basole litiche e con mansio di età romano-imperiale. La necropoli in parola, riscoperta nel 1992 sotto il nucleo industriale di Bazzano ed utilizzata senza soluzione di continuità dall’VIII secolo a.C. fino al I sec. d.C., nella sua completa estensione poteva servire da necropoli non solamente all’attiguo documentato vicus Offidius ma altresì ad altri vici vestini dello stesso pagus, non documentalmente trasmessi e dei quali uno, secondo il Persichetti poteva sorgere appunto sul sito di Onna, distinto da Offidium e del quale proprio di recente, nei lavori di modifica dell’ingresso stradale al paese, a 3 metri sotterra si è rinvenuta la relativa necropoli (12). Detta presenza umana nel territorio onnese, peraltro, dopo l’età romana continuò anche in età alto-medioevale, testimone chiaro essendone l’erratica scultura longobardo-franca riscoperta nel restauro del San Pietro sulla sua fiancata Nord. Sarà lecito in conclusione supporre che la chiesa di Onna, per esser rimasta salva praticamente in tutti i sismi dové esserlo anzitutto e di certo per essere stata ben costruita, ma forse anche perché fu impostata su un banco meno argilloso di quello della piana d’attorno; banco, magari individuato da quei “multi astrologi” che a detta di Buccio di Ranallo anche nella fondazione dell’Aquila intervennero “per colliere l’hora et lo punto” della fondazione medesima (13).

7-8-9. Ritrovamenti archeologici della necropoli riscoperta nel 2016; nell’ordine: vasetto balsamario per olii e profumi, testina in pasta vitrea del IV sec. a.C., olla per cibarie.

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10. La sagoma volumetrica complessiva dell’edificio sacro con la facciata volta ad Occidente e la fiancata volta a Settentrione.

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CONFIGURAZIONE ARCHITETTONICA ESTERNA La chiesa imposta al cuore dell’insediamento, il quale ha, si noti, un tessuto urbano piuttosto sfrangiato. Il che non sorprende. Onna non solamente è sempre detta ‘villa’ nei documenti, quindi borgo non fortificato bensì agglomerato aperto, ovvero privo di cinta muraria difensiva, ma è anche il solo, contrariamente agli altri centri storici del territorio, a giacere tutto in pianura nel punto più basso del fondovalle: il che, da insediamento agricolo qual è, lo induce ben poco a strutturarsi a maglia edilizia compatta. La trama urbana è coesa limitatamente all’insula abitativa di cui la chiesa è il fulcro, quasi memoria della pars massaricia della curtis prima probabilmente farfense, come vedremo, e poi vescovile, che precedette la formazione del borgo (14). Si conforma così una piazza ad ‘L’ non priva di certo carattere – vogliamo parlarne 11. Pianta topografica del astraendo dalla distruzione, centro del borgo con, eviad esorcizzazione del maledetto sisma denziato in rosso, il centro – e con palazzo Orsini del 1714 sulla parrocchiale di chiesa e campanile, congrega, canonica, destra guardando la facciata, di qualuffici e piccolo giardino. che interesse architettonico nel cortile loggiato, quello Pezzopane al centro e, a sinistra, quello Di Costanzo o Zuppelli, arco cavalcavia all’angolo, mentre l’altra 15


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CONFIGURAZIONE ARCHITETTONICA INTERNA La versione architettonico-plastica dell’interno che oggi vediamo, realizzata come vedremo circa gli anni Venti del ‘700 nelle strutture, ed a metà del ‘700 medesimo nell’opera decorativa, nonché modificata nel 1896-97 come si rilegge nel cartiglio in stucco che era ed è di nuovo in chiave alla modanata mostra dell’oculo in controfacciata, è stata danneggiata nel sisma del 2009 ma egregiamente recuperata tra il 2013 e il 2016. I lavori hanno interessato in particolare: l’abside ed il campanile, che sono stati ricostruiti ab imis; la trabeazione perimetrale sottovolta, che come fra poco diremo nella demolizione 1896-97 della sottostante parete destra era stata tagliata, in alto è stata opportunamente reintegrata su tutta la lunghezza della trave muraria con gli appropriati elementi architettonico-plastici orizzontali e verticali, ricostituendo in tal modo l’identità della monoaula settecentesca; i dipinti riscoperti sotto gli intonaci come la tardo-trecentesca Crocifissione sulla controfacciata in basso entrando a destra, ed altri lacerti sulla stessa controfacciata a sinistra, che sono stati restituiti al godimento (24). La nave oggi consiste in un’aula rettangolare, lunga esattamente il doppio della larghezza, terminata a santuario quadrato voltato a botte e dilatata, sul lato destro, nello spazio, pure rettangolare, della ex cappella della Congrega. Prima del 1896-97, quando la parete Sud fu abbattuta per mettere in comunicazione chiesa e cappella, la costruzione sacra conservava l’originario tipico impianto planimetrico cistercense riscontrabile ancor oggi nei duecenteschi esemplari locali della citata Santa Maria ad Cryptas a Fossa, di Sant’Angelo e di Santo Spirito ad Ocre, di San Nicola ad Arischia e, con i dovuti distinguo, anche di San Nicola a Monticchio e di San Gregorio Magno a S. Gregorio, dichiarandola coeva: ovvero, una monoaula rettangolare conchiusa in un coro quadrato, voltato non a botte come oggi, ma a crociera (25). 19. Nella pagina a fronte: l’interno settecentesco della monoaula dopo la reintegrazione post-sismica.

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faceva anch’esso il paio con altro a destra, ospita l’edicola a muro del fonte battesimale, oggi esponente reliquiari tra basi lignee di fioriere e sostituito con altro a colonna in pietra, lavorata da Antonio di Biase di Lettomanoppello.

Gli scomparti minori, invece, nel presbiterio si aprono in nicchie per statue con, sottostanti, vani di porte di comunicazione definiti a fini piedritti ed architravi lapidei, mentre nell’aula, in alto ospitano finestrature a mostre plastiche decorate, in basso le mostre in pietra, sagomate, dei ricettacoli per 26. La stupenda quattro-cinquecentesca Madonna con Bambino, o delle Grazie, in legno dipinto e dorato, variamente attribuita, la solennità della cui festa nel mese di maggio, forse per essere l’originaria Titolare della chiesa, supera in solennità e manifestazioni quella dell’attuale Titolare, S. Pietro.

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27. L’edicola in pietra del precedente Battistero, ora riutilizzata a mostra custodia di reliquiari e suppellettile sacra.

28. L’attuale Fonte Battesimale, opera moderna di Antonio Di Biase in pietra di Lettomanoppello a piede in pietra e bronzeo cono di copertura.


te e quattro le facce da un tralcio vitineo ad uccelli bezzicanti e grappoli d’uva, simboli eucaristici, rinvenuta tra le macerie del 2009. Ed a fianco della nuova mensa, è stato posizionato entro custodia in vetro un pregevolissimo manufatto antico: la trecentesca croce processionale in argento di scuola sulmonese. La spazialità della nave laterale non presenta spunti di lettura architettonica, trattandosi di vano dall’involucro parietale a liscio. Unici elementi animatori son costituiti dai grandi luminosi lunettoni. A livello decorativo, invece, spiccano le tele distribuite sulle superfici e soprattutto, sulla parete di fondo, dal moderno supporto in vetro sostenente il pregiato ligneo 37. L’affresco di Madonna del Cardellino, opera del sec. XV entro contorno ogivale, che fu scoperto a fine ‘800 quando la parete destra dell’aula venne sfondata per allargarne l’area. Sotto il dipinto è il moderno altare a vetri, esponente il pregevole tabernacolo ligneo dorato del XVII secolo, ad ante dipinte.

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cancellata dal posteriore scavo per le sepolture, doveva situarsi ad un buon mezzo metro sotterra rispetto ad oggi (50) - in tal caso, entrando, dalla soglia romanica del portale, più bassa dell’odierna per 21 centimetri, si sarebbe scesi di un tre gradini (51). Doveva anche, con feritoie tipo quelle di San Crisante di Filetto, essere scarsamente illuminata. Infine alla stregua delle chiese dell’epoca sia in Oriente che in Occidente, doveva splendere tutta di cicli pittorici (52) od almeno di parati decorativi a stilature rosse dipinte sulla malta dei ricorsi di conci, tipo quello del 1002 riscoperto sulle pareti presbiteriali del San Sisto all’Aquila ed altri simili che si riscontrano pure fuori dell’Abruzzo (53). Vi ipotizzerei anche l’esistenza di una iconostasi: tra le macerie è stata rinvenuta una stele in pietra di sezione quadra, la quale, essendo ornata su tutte e quattro le facce da un tralcio vitineo ad uccelli bez-

41. Testimonianze scultoree della Santa Maria romanica: l’architrave ad ornati vegetali e fioroni del portale d’ingresso.

zicanti e grappoli d’uva, simbolo eucaristico, poteva appunto costituire uno dei pilastri laterali su cui, sopra i plutei di base, poggiava la trabeazione della consueta pergola di colonnine, separante il santuario presbiteriale dall’aula dei fedeli. In breve, doveva trattarsi di costruzione da poter far rientrare nel novero di quel “bianco manto di chiese” che a detta di Raudulphus Glaber ricoprì l’Europa a partire dal fatidico anno Mille. Costruzioni sacre del XII secolo, queste, che nascevano in un contesto culturale aperto alla simbologia ed obbedivano a leggi edilizie oggettive tratte dalla geometria platonica e trasmessa alle associazioni di costruttori. È da tali 46


Per detto periodo artistico, quindi, può essersi trattato della realizzazione di nicchie a muro con affreschi, come la citata più tarda Madonna del Cardellino o statue lignee come la quattro-cinquecentesca Madonna delle Grazie. Nicchie le quali, analogamente alla ricordata coeva Santa Maria di Roio Colle, poterono farsi aggettare dai muri con le usuali edicole lapidee ad archivolti riposanti su colonnine pensili laterali, anch’esse brillanti di policromature. Questa ipotesi si basa sul fatto che, sempre nel corso dell’ultimo restauro post-sismico della chiesa, nel rimaneggiare le murature si è rinvenuto un rocco di colonnina, con collarino e incipiente capitello a fogliame, che potrebbe appunto aver fatto parte di una edicola del genere. Quanto al secondo Quattrocento, l’Antinori registra che nel terremoto del 1461-62 ad Onna “non restò casa in piedi” (75); il che non deve leggersi in senso assoluto visto che, esattamente come nei sismi del 2009 e prima ancora del 1703, San Pietro rimase in piedi in tutta la sua scatola muraria: il fatto che nel recente restauro sia stata rinve57. Testimonianze architettonico-scultoree del nuta una delle feritoie duecensec. XIV: lacerto di colonnina forse proveniente tesche della parete longitudinada un’edicola di ‘cappella’ affrescata. le a dritta - quella demolita nel 1896-97 nella sua zona centrale - dimostra come in detto 1461-62 la chiesa cistercense fosse scampata non solamente nel prospetto, nella fiancata Nord e nell’abside quadra, che salvo quest’ultima sono ancora al loro posto, ma anche nella quarta parete. San Pietro, insomma, sarà stato bensì parzialmente danneggiato, in quel sisma, ma non crollò, sicché non vi fu difficoltà a che, mentre si ricostruiva il paese, nella chiesa si procedesse a parziali restauri e 61


tetto sostituendolo con quello che si vede - a capriate lignee e pianellato dipinto come suggerito dalla Soprintendenza ai monumenti su valutazione di Luigi Biordi - e si costruì la nuova sacrestia per il cui accesso si ricavò l’odierno corridoietto prolungando il muro Nord esterno della chiesa. Lavori tutti i quali, certificato che fu, in data 23 gennaio 1928, che essi eran stati regolarmente eseguiti, si collaudarono per L. 35.895 (88). Infine nel 1957, per ulteriori ragioni di funzionalità ma senza aver avuto cura di testimoniare graficamente e fotograficamente lo stato anteriore, si intervenne con un’ulteriore operazione per la quale, smontato il tetto, si eliminò del tutto la struttura laterale a due archi per aprire completamente, come oggi si vede, lo spazio dell’aula ed ottenere un’unica ampia navata (89). Pare fosse in quella occasione che si sia applicato un cordolo in cemento armato sopra tutto il perimetro parietale, determinando in conseguenza l’ultimo lieve rialzo - quanto maldestro (90) - della facciata. E contestualmente, ed opportunamente, si curò di bloccare la scatola muraria con catene in ferro: è grazie anche ad esse che la costruzione sacra onnese nel terremoto del 2009 si è salvata un’ennesima volta. Il che viene a confermare quanto i presidi anti-sismici di tal genere escogitati dai nostri antichi mastri si dimostrino tuttora i più efficaci e protettivi - lo comprovano ampiamente i non pochi monumenti aquilani su cui si applicarono dal ‘400 in poi e che risultano usciti indenni in tutti i successivi sismi distruttori del 1703, del 1915 e del 2009 - anche a fronte del cemento armato succitato, efficace ed al contempo pericoloso a seconda dei casi (91). Possa oggi la ricostruzione post-sismica 2009, con gli accorgimenti di sicurezza antichi e nuovi di cui la si è dotata, evitare, in futuro, danni sia alla chiesa sia al paese, “vago e dilettoso luogo” come lo descriveva nel 1600 Scipione Pisanelli Napolitano (92) e ultima importante tappa del ‘cammino del perdono’ celestiniano prima di approdare a Collemaggio. 72


NOTE 1. In quanto permette lo svilupparsi di un turismo culturale ed ambientale molto attrattivo. In merito mi si permetta di rinviare a O. ANTONINI, L’Aquila nuova negli itinerari del Nunzio, L’Aquila 2012, specialmente alle pgg. 31-48. Da cui ben si evince come fabbriche e industrie vere e proprie non sarebbero precisamente le benvenute nel nostro territorio, soprattutto se inquinanti e se, a differenza delle risorse offerteci dall’arte e dalla natura, facilmente delocalizzabili. In ogni modo qui nel sisma del 2009 fabbriche e capannoni industriali non sono crollati, evidentemente perché costruiti già con sistemi anti-sismici a differenza di quelli in Friuli o in Emilia Romagna: il settore che è stato più penalizzato è il commerciale. Da noi la ricostruzione post-sismica è dunque iniziata non dalle fabbriche ma dalle case delle periferie le quali, danneggiate parzialmente in quanto più moderne e cantierizzabili, han potuto essere oggetto di quasi pronto intervento, sicché la maggior parte dei circa 75.000 sfollati è potuta rientrare nelle proprie abitazioni già dopo due-tre anni dal terremoto. Contestualmente, sebbene più lentamente, è partita anche, nel centro storico antico, la ricostruzione di edifici monumentali, per i quali in quanto tali si poteva attingere a fondi pubblici specifici od a sponsors. Quanto alla coltura dello zafferano, sembra fortunatamente profilarsi una promettente ripresa, visto che il prezioso fiore starebbe dimostrando possedere virtù terapeutiche contro i tumori, finora sconosciute. 2. Il fenomeno si è spesso ripetuto negli ultimissimi secoli nelle terre cosiddette di Missione, Africa e altrove: villaggi e cittadine, nonché città vere e proprie, si son formate appunto attorno al nucleo missionario – chiesa, presbiterio, dispensario e scuola che, per necessario corollario, recavano con sé anche il mercato – assurto a ruolo di calamita urbanistica, attrattiva di popolazioni anteriormente insediate in ordine sparso nel territorio circostante. Di tale interessante fenomeno insediativo (e conseguente adattamento delle strutture ecclesiastiche) con accentramenti e decentramenti demici alternantisi ad ogni millennio o mezzo millennio, riguardo al nostro territorio mi si permetta per comodità di rinviare ai miei schematici riassuntivi testi del 2001-2010 (AA.VV., Recupero e riqualificazione dei centri storici del ‘Comitatus Aquilanus’, I, Colledara (TE) 2001, 184-188, ripreso quasi di peso in O. ANTONINI, Villa S. Angelo e Dintorni ecc., L’Aquila 2006, 12-16, e riprodotto ancora in ID., Chiese ‘extra moenia’ del Comune dell’Aquila prima e dopo il sisma, Colledara 2010, 43-46) e, per quanto concerne il caso delle chiese parrocchiali aquilane ‘intra moenia’, v. AA.VV., La Chiesa Aquilana. 750 anni di vita (1256-2006). Appunti per una storia, a cura di Paola Poli, Atti del Convegno, L’Aquila, Cattedra Bernardiniana 6-7-8 73


dicembre 2005, Roma 2007, 401-419. In base allo studio del Clementi, in Abruzzo la prima menzione di una plebs o pieve è dell’anno 840 (A. CLEMENTI, Pievi e parrocchie degli Abruzzi nel Medioevo, in «Italia Sacra». Studi e documenti di storia ecclesiastica, Vol. 36: Pievi e parrocchie in Italia nel basso Medioevo (sec. XIII-XV), Atti del VI Convegno di storia della Chiesa in Italia (Firenze, 21-25 sett. 1981), Vol. II, 1065). Delle pievi alto-medioevali forconesi, preesistenti alla formazione dei borghi e fungenti da poli attrattivi di urbanizzazione ma restatene ai margini, si vedano, tra gli altri, i casi di Santa Maria Assunta ad Assergi, di San Giovanni a Camarda, di Santa Maria Assunta a Paganica, di San Michele a Villa Sant’Angelo, di Sant’Andrea a Stiffe. Delle pievi, invece, che poi funsero da nuclei generatori della strutturazione abitativa diventando chiese ‘castrali’ a tutti gli effetti si vedano, tra gli altri, i vicini esempi di Santa Giusta a Bazzano, di San Gregorio Magno a S. Gregorio e, appunto, di Santa Maria de Unda a Onna. 3. P. MASTRI, 3.32 L’Aquila. Gli allarmi inascoltati, Pescara 2009, 65-71. 4. Come si dirà poi, questo lato fu demolito nel 1896-97 per aprire l’aula chiesastica allo spazio della Congrega: della fiancata demolita rimasero soltanto le sezioni iniziale e terminale, collegate, in alto, da grosso cordolo di cemento armato cui si appoggiò la pendiva di copertura della Congrega medesima; ciononostante, il sisma del 2009 non l’ha minimamente danneggiato. 5. P. MASTRI, 3.32 L’Aquila…, 41-48 e 59-63. 6. Per i danni del terremoto del 1703 a Onna, cfr. G. PARISSE, Onna. Anno 1000-6 aprile 2009. Con un saggio di Vincenzo Vivio, L’Aquila 2010, 25, mentre per gli sgravi fiscali deliberati il 28 ottobre 1703 dal Collaterale di Napoli v. R. COLAPIETRA, Antinoriana. Studi per il Bicentenario della morte di A.L. Antinori, III, L’Aquila 1978, 1195 (521) a Nota 48. 7. Si tratta di iscrizioni lapidarie sepolcrali rinvenute in gran parte presso il Ponte delle Grotte in territorio onnese (T. MOMMSEN, Corpus Inscriptionum Latinarum, Berolini MDCCCLXXXIII, IX; N. PERSICHETTI, Notizie degli Scavi di Antichità, Aquila 1895, 128, 470, 471, 472, 476; V. MOSCARDI, Cenni topografici e storici degli antichi castelli aquilani, Paganica, Tempera, Bazzano ed Onna, in BSSPALA a. X (1898), punt. XIX, 72-131; E. IOVENITTI, Paganica attraverso i secoli - dalla Paganica Vestinorum alla fine della Paganica Comunale, Sulmona 1973, 40 a Nota 9, 52 al n. 7 e 56 al n. 13; V. D’ERCOLE, Archeologia a Onna, in AA.VV., I Vestini tra L’Aquila e Onna 3000 anni fa, L’Aquila 2013, 8-9). 8. L’iscrizione non è leggibile in quanto il concio di riutilizzo fu segato proprio sul rigo superiore dei caratteri incisi; il resto della lapide sarà 74


INDICE PREFAZIONE

3

LA CHIESA NEL SUO CONTESTO STORICO-TOPOGRAFICO

9

CONFIGURAZIONE ARCHITETTONICA ESTERNA

15

CONFIGURAZIONE ARCHITETTONICA INTERNA

27

CRONOLOGIA

39

Le origini

39

La Santa Maria romanica

44

La Santa Maria cistercense

51

Da Santa Maria ‘de Unda’ a San Pietro Apostolo

57

La chiesa fra secondo Trecento e Cinque-Seicento

60

Il Settecento

62

Ottocento e Novecento

69

NOTE

73

REFERENZE FOTOGRAFICHE

94

95


ISBN 12-200-3538-6

Redazione, editing e progetto Creazione Soc. Coop. (L’Aquila) Concept e graphic design Vincenzo Ricci In copertina foto di Artur Dariusz Jeziorek elaborazione grafica Vincenzo Ricci Finito di stampare nel mese di agosto 2018 da Pixartprinting S.p.A. Via 1° Maggio, 8 30020 - Quarto d’Altino (Ve)

1ª edizione, 2018 (c) Copyright Mons. O. Antonini / Creazione Soc. Coop. L’Aquila La traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con qualsiasi mezzo (ivi compresi microfilm e fotocopie), nonché la memorizzazione elettronica sono riservati.

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ORLANDO ANTONINI

Il volume analizza con taglio concreto e linguaggio chiaro e immediato le vicessitudini che hanno portato all’attuale configurazione architettonica della parrocchiale di Onna. Dal primo assetto romanico del XII sec., quando era dedicata a Santa Maria ‘de Unda’, passando per la versione cistercense che si è andata a sovrapporre alla prima nel corso del XIII secolo con relativa intitolazione a San Pietro Apostolo. Più tardi, nel Trecento l’assetto cistercense fu rinnovato nella fronte nonché, successivamente, arricchito ed abbellito nell’arredo pittorico e scultoreo. Fino a giungere, infine, alla versione attuale settecentesca (restaurata a seguito del sisma che ha colpito l’aquilano nell’aprile 2009), senza tralasciare le piccole variazioni, soprattutto nell’interno, avvenute nell’Ottocento e Novecento.

EURO 10,00 1ª edizione, 2018


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