Poesie Inedite * | Luciano Pizzicono

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LUCIANO PIZZICONI

POESIE INEDITE


LUCIANO PIZZICONI

POESIE INEDITE


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edico questi versi agli Amici che negli ultimi anni mi hanno sollecitato a rompere il silenzio.


«Ascoltami» Ascoltami, Amico (figlio), niente è più radioso e bello di un ideale nell’aurora del suo primo annunciarsi, e neppure più caro, se per esso il destino domanda di adempiersi col sacrificio... Tale è la fiamma assorta che luce nella tua giovinezza e segretamente t’inquieta... perché nulla più fulge in te se te ne privi. E tanto più questo è vero quando il tempo in cui viviamo ci avverte che gli eredi - senza un segno potente mancheranno di vigilare, e tradiranno insieme ciò ch’è scritto nella memoria e la fede che può scrivere l’avvenire. Persino adesso, vedi, niente è per me più dolce da ricordare, benché il vespro mi sottrae l’orizzonte e ciascun uomo al culmine dei suoi passi come me riconosce il peccato che grava sulla sconfitta... E volgendosi sosta: tra il silenzio dell’ombra che dilaga intorno e il clamore immelanconito del giorno che l’abbandona. Tutto ciò che ti dico non lo puoi toccare, eppure sai che diversamente nessuna vita ha sostanza né morte significato... perché soltanto l’aura che t’incorona adesso muta la morte in vita e ti rende sovrano. In Ocre, li 22 febbraio 2010 Luciano Pizziconi

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«Vele» Mi manchi... e quanto più tu mi sfuggi io m’addentro, finché nitida appari, esile e intenta alla luce di quel primo mattino. Ti vedo... nell’abbagliante garrire delle lenzuola - vele d’amore -, fresche dell’innocenza e calde di sole, mentre ancora il profumo del tuo corpo m’avvolge sciolto nell’aria tersa di un giorno felice. E rammento l’approdo delle tue piccole mani, solerti e operose, che nel toccarmi attraverso il lino cedevano, carezzevoli e quiete... Siamo ricordi minimi di uno splendore iniziale. Ora son lacere d’anni, quelle lenzuola, ruvide come sudari, perché il soffio che mi respinge non parla più al medesimo cuore e le tue mani han disfatto quei nodi che si oppongono alla corrente. Tela d’argento e d’oro vorrei, per tornare da te, ma la mia vela opaca è lontana, e tu sei quel vento di terra oltre l’acqua che ci separa.

«Luce» “Nel mondo non c’è verità”, e pativo l’esilio dalla mia terra... Ora sei qui, e in te riconosco il dischiuso orizzonte che la tua bocca e il tuo grembo - come un canto di giubilo per colui che ritorna costantemente rivelano. “Credo”. Così ad ogni sguardo ti bevo, e mentre i tuoi occhi aprono il mio sentiero e l’anima si disseta, rapido ed alto il cuore riconosce il cammino che la fanciulla in te addormentata intatta nel suo fulgore rinnova. “Amo”. Tu dei miei giorni aurora, tu mia novella “Luce”, tu la mia sposa. In Ocre, li 14 dicembre 2010 Luciano Pizziconi

In Ocre, li 7 marzo 2010 Luciano Pizziconi

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«La parola e il vento» … E poiché l’uomo non seppe riconoscere i propri errori, e il suo tempo è trascorso invano, ogni cosa marcisce nel proprio seme e non resta parola che possa interdire il destino. Così il mio verso è nel vento, ed io sono essenza di quello che non fu mai reso umano. In Ocre, li 30 aprile 2011 Luciano Pizziconi

«Maggioranze» … Per prosperare entro i margini occorre “adottare” una maggioranza, rinunciare alla potestà morale, all’autonomia di giudizio. Perciò la menzogna potrà essere errore, codardia o convenienza... e in tal caso verrà difesa contro ogni diritto, contro ogni evidenza, contro ogni giustizia. Avevo solo parole da offrire, ma il male che ci percuote richiede fatti e non intenzioni, che però il “realismo” stesso dell’esistenza rimanda nella zona oscura degli egoismi. Poiché il potere della Parola è occultato dal numero. In Ocre, li 9 luglio 2012 Luciano Pizziconi

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«Ascesa al monte dell’Eremita» (nel cuore della Majella) Prego l’assorto e indifferente cielo, così puro eppur privo di senso, e gli domando a quale amore mi chiami o mutar di orizzonte (benché sappia che la risposta verrà quando sarò affrancato). E m’incammino. Ormai cippi di un evo lontano, pievi costellano questa landa assolata che conobbe il tramestio delle greggi e il clamore abbagliante dei fuochi nelle soste notturne, e i molteplici accenti e le preci di pastori e viandanti. Cerca lo sguardo attonito tracce di pellegrini alacri e transumate genti, che i rovi polverosi trattengono sotto il suolo della pianura. E mentre già s’inerpica il varco dentro il corpo della montagna, chiara presenza avverto degli altri destini che al pari di me conobbero il peso e la densità del cammino. E ripercorro le vestigia antiche lungo erbosi tornanti e per sontuose valli che risalgono boschi dal frondoso respiro... là, dove orante il passo su nuda pietra arranca; là, dove ogni umano dilemma trova la sua propria misura allo snodo di molte vie. S’inoltra l’anima, a precedere il corpo, fino ai muschiosi anfratti dell’umida terra, nel verde cupo del folto, ove non giova interrogare il cielo e più possenti le radici stanno abbarbicate ai sassi sotto morbide spoglie, ove la luce gronda tra caduche foglie in perle che ritingono l’aria e, rimbalzando, tintinnano. - 12 -

Scendere nel profondo ancora, dove l’ombra è invisibile e l’impronta più nera, e con maggior fatica, ogni volta, salire. Così è l’andare per asperrime forre, dove neppure il lupo s’azzarda né il rapace fa nido. Così, per sentieri scoscesi e accecanti giogaie, fin dove forse l’acque dolcemente riaffiorano con sotterranea frescura dalle vene pietrose... acque che poi in vorticoso affluire s’incontrano nell’ascesa, e per mille gole risuonano di tonanti boati precipitando tra le macchie piumate di ginestre ed eringi. Salire, fin dove esposta la frattura si mostra, fin dove altera, la Madre, più non respinge, e chiostra adamantina, in vetta, la sua fronte incorona. E lenisce. Così, al suo cospetto, in silenzio, fare offerta di sé per far pace col mondo. Poi ridiscendere, nell’aria tersa ed asciutta, il sole alle spalle, e con lo sguardo abbracciare coste chiomate di fluenti pini che dirupano immerse in lontane caligini... e così inspirare l’infuso di brezze, la medicina che si fonde alle resine oltre le scabre e frastagliate balze sospese sulla marina. Ma più la vista s’approssima più non distingue quell’ondivago flusso di mutanti alchimie tra l’increspato verde e il respiro azzurrino che reinventano gli elementi. Sicché l’acque che furono divise nuovamente convergono, il «basso e l’alto» come prima della creazione. Ora non vedo che un solo «Orizzonte», e tutto ciò ch’è possibile, così come «allora», appare incontaminato. «Luce» che non si nega, non si possiede né estingue... gemma che inonda e vive come l’amor divino. In Ocre, li 28 luglio 2012 (In ricordo dell’escursione del 18 luglio 2012) Luciano Pizziconi

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«Sesso e potere» … Sesso come potere o potere del sesso: non vedo antitesi. Liberare la carne da improprie eccedenze e tradurla in creatività. Vedo aggirarsi maschere senza alcuna passione, individui involuti che si alimentano di stupidità, fino al conforme quale ambito privilegiato, e l’uniformità quale espressione dell’eccellenza.

«Destini» … Il destino ferisce chi è cieco, finché la cecità stessa consentirà di vedere... Perciò vi dico che il “peccato” è «amartÍa», la piccola colpa, ma il peccato più grande era «ex-amartÍa», l’origine della colpa che io chiamo ignoranza. In Ocre, li 31 dicembre 2014 Luciano Pizziconi

In Ocre, li 21 giugno 2013 Luciano Pizziconi

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«Nocchiero dell’anima» Vano è lottare con gli elementi, poiché tu stesso sei quegli elementi che ti sovrastano. Vince chi perde, poiché sconfitto l’apprende, ed è sconfitto chi vince poiché vittorioso si perde. Secondare si deve, poiché l’ostacolo alimenta il furore che solo liberando si doma. Sogno meschino è stare senza aver navigato, e il mare aperto chiama ogni buon marinaio.

«Storie» … Noi raccontiamo storie sopra il tempo dell’uomo, e il filosofo ne dirà le ragioni... Ma il poeta vive il tempo di Ognuno e ne illumina il volto in un solo ‘Presente’. Storie minute e labili che non hanno peso sulla bilancia, ma che della «Storia» sono l’invisibile trama. E ripetiamo storie come avremmo voluto vivere, ma che possiamo soltanto ricordare dimenticando come invece viviamo. Eppure, alla fine del giorno, questo solo apprendiamo: «Non per amore amati ma amando amare».

In Ocre, li 16 dicembre 2015 Luciano Pizziconi

In Ocre, li 10 giugno 2016 Luciano Pizziconi

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«In una notte tra la fine e il principio» Come la forma al vuoto ogni parola stava nella prima Parola, nella mente dell’Essere, e tutte son state dette dall’inizio del Tempo, sono tutte nella Memoria. E dunque sarebbe vano cercare il “nuovo” in questa notte tra la fine e il principio, dove il verso è banale e mai più Originario.

risonanza e volto? Perché, se fosse, chi mai potrà dire, tra Crepuscolo e Aurora, quale amai più intensamente? Sono due e sono (l’)Una. In Ocre, li 31 dicembre 2016 Luciano Pizziconi (A Nura, per il giorno delle sue nozze)

Pure l’esserci dell’uomo scorre fra i due poli opposti, finché alfa ed omega c’impongono di coincidere, per poi sdoppiarsi e ricongiungerci ancora. E allora, che ti dirò, mia dolce? Volgo le spalle a oriente e lo sguardo a occidente, perché l’alba di ciò ch’è vecchio sbiadisce e l’ombra della sera già eccede i miei passi. E tuttavia mi accompagnano entrambe, perché se Aurora mi langue Crepuscolo mi sostiene. Sono le Antilopi gemelle, nate al dorato silenzio per esser madri e limite di questo e di ogni altro giorno, le amanti di ciascun mondo e di ciascun destino. Allora cercherò per te parole che sono state dimenticate, parole che io possa offrirti in quel Giorno che non è nato. Mi inoltro. Finché da fioca lontananza emersa quale cerva mi appari, nel tuo timido incedere, e quanto di più m’appresso tanto più la mia notte si schiara... poiché, nella visione, come di brezza a primavera il tuo fiato mi sfiora, come di muschio sulle mie ferite il tuo sguardo si posa. Or tutta l’avvenenza tua si rivela. Dunque sarà questo il momento, il tempo e l’ora in cui il Silenzio ebbe sua Forma - 18 -

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«Infedeli» Ognuno esige che la sua verità sia fondante, e tuttavia non pretende che sia ancora fondata. Resta perciò ‘infedele’ colui che non cessa mai di cercare l’oggetto del proprio amore, ed è bensì “fedele”, nel mondo, chi mai dubitò le ragioni del proprio credo. Teologie cadaveriche, ove prolifica soltanto il verme che divora tutto, mentre Egli è il signore della Parola, e ciò che la Parola dice la Parola è...

«Fondersi» … Che cos’è questa vita se non un’attesa di ‘comparire’ per qualcuno che ci ‘conosca’ e, al di là dello sguardo esteriore, possa amarci perdutamente, fondersi con la sostanza stessa della nostra attesa e dare finalmente carne alla nostra visibilità. In Ocre, li 14 novembre 2017 Luciano Pizziconi

Ma la Parola era sempre stata, e ciò che in apparenza crea viene solo alla luce. Non sai che ‘ricordare’ era naufrago nella Memoria? C’è un sapere che precede e un sapere che segue... Mio Dio! quanta «fede» bisogna avere per poter dubitare e insieme credere che ci sei e che ci ascolti? In Ocre, li 31 marzo 2017 Luciano Pizziconi

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«Cilici» … Se per mio padre ho pianto, il pianto per mia madre m’è restato in gola e ancora oggi mi soffoca quando ricordo le sue parole: «Lasciami sola, figlio, perché i vecchi fanno più greve il peso...». Eppure, quanto t’ho amata, madre, quanto mi manchi... Giorno dopo giorno, la vita, stringe come un cilicio e i nodi si allogano, sempre più indistinguibili dalla carne. Tutto mi è tolto, e più si perde più la memoria del dolore mi è cara.

«Universi» … Cercammo le regole di ogni cosa, ma le regole mutano, poiché l’universo è linguaggio molteplice dell’infinitamente ‘possibile’ e, quel Possibile, alimenta di Sé Colui che lo rende ‘fattibile’. Dunque, se nella ‘parola’ è l’Essere, scrivere non è mestiere ma ‘professione di fede’. In Ocre, li 15 gennaio 2019 Luciano Pizziconi

In Ocre, li 20 settembre 2018 Luciano Pizziconi

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«Notte di San Lorenzo» Cede la volta e cade, come arazzo disintegrato. Poi, nel silenzio immoto, unico varco il frinir di cicale assordante nella notte d’agosto ferma e grondante, un sudario che cola la sua luce di cera sopra la pelle nuda, sopra il petto ansimante... Arsa è la terra e gème la pianura che brucia, mentre gli sparsi lumi che interrompono l’ombre sono pensieri spenti, son preghiera che langue... E in lontananza, se chiudo gli occhi avverto roghi che avanzano dalle due direzioni, sì che la fiamma ormai tutto consuma, perché “Nemesi” arde da Oriente a Occidente dissolvendo il delirio di un dio che chiamammo Profitto...

Quando sarà che l’acque le ferite ricoprano, e che in rigoglio, “Madre”, torni a dare i tuoi frutti? Vano orizzonte è questo, inquinato dall’uomo, né può guidarci il cielo oscurato dal fumo. Potestà non avemmo, ma dogmi... Quali parole, allora, quali gli accenti veri? Perciò, che ti giunga la mia invocazione dubito... ma, se mi ascolti, donaci scienza, o “Padre”, dacci tregua e respiro. In Ocre, li 10 agosto 2019 Luciano Pizziconi

Questa è Religio? Servi noi siamo e profughi senza radice, torma fuggiasca e cieca senza speranza. Chi soggetto all’avidità e chi dalla fame spoglio, senza una meta andiamo, senza più che un fardello d’odio...

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«Invocazione» Confortami di questo, Padre di tutto e Madre, e quale che sia il tuo nome, perdona gli errori e le debolezze, perché il mio corpo cede e la mente non regge l’urto del dolore. In Ocre, li 7 novembre 2019 Luciano Pizziconi

«Trattienimi» Contendo i giorni al nemico per amor tuo, ma la muta mi divora e mi sfianca mentre bevo la vita all’orizzonte dei tuoi sguardi e non mi sazio, Anima mia. Trattienimi, perché vivere mi perseguita e stanca mentre il sole si estingue e voglio vedere il giorno che ci sorride. In Ocre, li 12 ottobre 2020 Luciano Pizziconi

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