Diario Alternativo | Luciano Pizziconi

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DIARIO ALTERNATIVO LUCIANO PIZZICONI


DIARIO ALTERNATIVO LUCIANO PIZZICONI


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l’esperienza razionale stessa ad affermare che il processo immaginativo-intuitivo della nostra mente produca il sostrato della realtà in cui siamo immersi, e io penso che vagliato ogni ambito evolutivo della specie umana, nel bene e nel male, a tale assunto non si possa obiettare.


L.P. – 4 ottobre 2020 Allora immaginamo per un poco “Dio” come un “dormiente”, un vuoto originario non visitato da desideri o affanni e non ancora abitato da sogni, un “puro spazio di relazione” che attende di essere colmato, perché custodisce in sé l’embrione del suo “Modello”, non soggiacente a interpretazioni: idea fattrice dell’“Ideatore” stesso, capace di destarlo all’esserCi di ogni forma e colore, di ogni suono e parola... Mi domando: ma cosa potrebbe muoverlo al risveglio dalla perfetta beatitudine, dal nirvana del suo perfetto stato di quiete se non la volontà di conoscersi?... Mi rispondo: se amare è conoscenza e conoscenza è amore, il “cum” è tutto, e chi più cerca “Dio” più si dispera della sua assenza (perché nel mondo non c’è verità), sicché il dubbio non è blasfemo poiché ne evoca la “presenza”. Cerca oltre i dogmi delle verità concluse perché il fondamento sta nell’“altrove”. Ti dico: «Come potrai conoscerTi / se Tu non mi ami? / E come potrò conoscermi / se io non Ti amo?» (L.P. – Atti Alchemici – 1999). Mi dico: dunque «Fa luogo in te stesso / per accogliere l’A-altro, / soltanto allora si farà P-presenza.» (L.P. – Atti Alchemici – 1999).


(L.P. – 5 ottobre 2020) Per libera interpretazione, e se ben ricordo, i greci sostenevano che il contenente di ogni cosa (causa, res) fosse la “necessità” (Ananke), cui anche la volontà degli dèi soggiace... Ma che l’altra sua faccia, il contenuto, agisse all’interno di questo mondo quale “amore” (Eros, e, per estensione, “vincolo solidale”), capace di legare l’insieme educando le parti alla visione di un “orizzonte di senso” comune. Ma se pare che la funzione di Ananke fosse tale da restare indifferente rispetto ai singoli contenuti, per non inficiarne il divenire con varchi preferenziali, e che similmente “Dio” non ascolti dai margini estremi che ci contengono (mentre ogni sua potenzialità si espande), pur tuttavia Eros è l’emanazione oggettiva del proprio esserCi, perché essendo Egli quello stesso modello in sé contenuto, è pure quel “Tu” sofferente che siamo e materia (Mater) soggetta a trasformazione. Perciò il “dormiente originario” e il “destato” sono al contempo limite transitorio e perpetua unione di ciascuno ad Ognuno entro il mutarsi, il riprodursi ed effondersi della “memoria” che, nel variare ed elevarsi delle forme viventi, sintetizza ciò che talvolta diciamo “Spirito” o “Sè”. Ma forse sono influenzato da recondite analogie, perché appunto ogni seme nasce da una “diversità” precedente, ma è sempre l’“Originario” che produce il nuovo: non l’originale, che è mistficazione del vecchio, bensì l’Archè, che porta il suo Modello nella storia con quella voce che l’epoca richiede ma senza degradarsi mai. Dunque io credo che “Dio” non sia come vorremmo fosse secondo gli schemi egoici dei no-

stri singolati bisogni e preferenze quotidiani, o delle arcaiche stratificazioni mendaci indotte dal Controllore di turno (che contrappone al “modello di relazione autentico” il modello metastorico di relazione falsificata servendosi dei suoi valletti, i corruttori mediatici, e dei suoi ministri, il parassita economico e il parassita ontologico). Perché il senso dell’“Essere” non può costringersi nei soli rapporti privilegiati verso alcuni o talune cose, ma nell’estensione del nostro abbraccio fino ai lembi più estremi di quel “Tutto” che riverbera l’“Uno Originario”, ci comprende nella stessa memoria e, ravvivato, ci torna dal medesimo “Sé” amplificato. Dunque «Io sono» è il solo nome che gli convenga, se dentro di noi non mente: perché sarebbe inascoltato e assente.


L.P. – 6 ottobre 2020

L.P. – 7 ottobre 2020

Ma, allora, se destarsi è l’affermare «Io sono» ciò implica la distinzione da “altro” complementare che si specchia e si genera in quella “Sillaba Prima”, una “Pristina Coppia” che colloquiando si nutre e vicendevolmente si crea, con innocenza giocando come fanno i bambini mentre scoprono mondi ch’eran loro in potenza (enérghéia ed enteléchéia). “Energia Pura”, destandosi l’“Io” attua quel “Noi” che sostanzia e fa emergere la molteplicità delle forme, l’archetipo del “Modello”, il “Comune Denominatore” tra identità e differenza: “l’Eguale” nella diversità. Così, all’interno di tale inscindibile dualità primigenia (io/tu, maschile/femminile, attivo/ passivo, umido/secco, positivo/negativo, ragione/intuizione, ricevente/trasmittente, conscio/inconscio...) si instaura quell’equilibrio ch’è perno della bilancia tra le opposte forze centrifughe (trasformazione-espansione) e centripete (contrazione-conservazione) del Tu e dell’Io, che rievoca il “Modello Referente” nel rapporto che diciamo “Coscienza” (da: sunoida, cum-scientia, conosco assieme). Coscienza che costituisce il tramite e il discrimine capace di mutare il piombo dell’ego, quando reso ipostatico, nell’aureo linguaggio del “Noi”, il terzo androgino, quando nel colloquio sappia fondersi all’“A-altro” generando il mondo e l’uomo che attendevamo: la sua “Forma Veniente”, che reca un’altra epifania dell’“Uno”.

Intelligere e considerare (da: cum-sidereo, mi consiglio col cielo). Secondo un linguaggio antico si seimila anni, la croce è il simbolo dell’oro alchemico: ovvero quello spirito aureo del sé che affiora talvolta quale “memoria da un altro luogo”, come per “successive cotture” dell’ego nel forno (athanòr) ch’è l’uomo stesso. C’è una memoria che precede, infatti, e una che segue, ma dalla prima attinge l’alchimista soltanto, affrancato dal piombo delle strutture manipolatorie. Talché, nella «Croce», potrei ravvisare il modello di relazione se, interpretando, nel suo braccio orizzontale si riconosca il “linguaggio dell’accoglienza” verso il prossimo che mi guarda, il “Tu immanente” e, nel suo braccio verticale l’“Axis mundi”, il rapporto col “Senza-Nome” ch’è avanti l’essere delle distinzioni assolutizzate, il legame di Ognuno verso ciascuno: il “Tu trascendente” (che necessariamente ascolta solo se tu l’accogli ascoltando la diversità del tuo simile. Così, riepilogate le componenti biochimiche, culturali e psichiche che ci hanno permesso di sopravvivere, evolvere e prosperare, e che sono al fondo indifferenziate, credo possibile una sfera emozionale più alta, affinata dal trasmettersi di quei vincoli solidali che della specie costituiscono il fulcro, la sostanza e l’anima. Occorre perciò ristabilire il nesso tra identità e differenza, ormai guasto nel tempo nostro, perché soltanto questo sarebbe un sentire privilegiato capace di disattivare le mine vaganti degli squilibri e del pregiudizio, che irretisce la folla, esacerbando la “normalizzazione” forzata dell’ignoranza (ex-amartia, la “grande col-


pa”) indotta dal controllore, anziché elevare a «Norma» l’autonomia morale e la potestà di giudizio che giacciono nel «Modello di relazione». Sicché è la violenza del rifiuto a permanere, collettiva o individuale, causando e reiterando la negazione di quella parte di sé che potrebbe erodere l’identità fittizia, emarginandola dal gregge o dal branco. Cerca la consistenza della “maschera”.

L.P. – 8 ottobre 2020 Dunque dire “io” è dire “conscio” (cum sciens, che sa)... Ma è autoinganno se non vuol dire “noi” mentre ancora navighiamo alla cieca nell’oceano inconscio del Tu più profondo, ovvero dei quesiti che non sapremmo porre fino a che non percepiamo il flusso delle correnti , il vento che ci sospinge e la riacquisita capacità di immergerci oltre la superficie del mondo che erroneamente appare come vissuto, mentre invece nulla sappiamo di ciò che muore o che vive dentro e fuori di noi. Ma ogni luce sta oltre le tenebre dell’incertezza, e la discesa dell’ego è sempre la sola via per giungere al “Numinoso” che tutto abbraccia, per ricordare e cancellare, decriptando, le assolutizzazioni che impongono concettuosi steccati tra pullulanti e spergiuranti religio (che han bandito la «religiosità»), tra generi e classi, ideologie e dottrine, razze ed etnie... E giù, ancora più nel profondo, alla ricerca del “Semplice”, del “Non-Soggiacente” a identità fittizie, a maschere contraffatte, nonostante le collidenti forze che ci respingono e attraggono. Giù, fino all’oviparo, al rettile, fino alla cellula, al batterio, al nucleo dell’indifferenziato, al niente della forma: all’Uno. Per ricomporre il Tutto cancellando il discrimine tra il disumano e l’umano di ogni tecnica e artifizio, di ogni pregiudizio o linguaggio bugiardo, di ogni conclamata filosofia politica e dottrina economica che conducano alla perdita della memoria ancestrale, alla obliterazione del vincolo solidale tra ogni uomo e il suo “A-altro” e tra la Terra e l’uomo: ovvero alla necrosi della civiltà, alla embolia del sistema economico ed alla desertificazione di qualunque futuro.


L.P. – 9 ottobre 2020 È in tale viaggio sotterraneo che, riconoscendo l’inquietudine degli istinti, delle passioni, degli impulsi e di ogni altro a-priori corrispondente alla nostra sequenza evolutiva, nonché alle contraffazioni del controllore, sapremo apprendere a incanalarne gli effetti, trasferendo al conscio, quale energia positiva, la carica aggressiva che ne deteneva l’inconscio. Spinta che si converte, allora, nella più alta capacità coesiva, unificante e creativa... Solo così, io avverto, le voci stratificate di questa innumere “comunità” che mi precede e mi abita (pure irrorata dagli eccessivi clamori del corrutore mediatico) può essere condotta ad eleggere una “maschera” che la rappresenti in una forma di identità coincidente all’essere che noi siamo. Identità che, dunque, consapevolmente percepisca, accolga e sintetizzi empaticamente in sé molteplicità e diversità, ristabilendo un orizzonte di senso non deformato da interferenze che inquinano la relazione tra osservatore e osservato, tra un io che domanda e un tu che risponde. Solo così, io credo, maschera e persona, identità e sostanza coincidono. Similmente, l’immagine-identità di “Dio” non si avverte se non come maschera (metatron) dell’intuizione, che è espressione della capacità di accogliere la presenza dell’A-altro, perché «Io sono» non è nome né volto, ma esserCi ovunque e in ognuno. Così cerco analogie e vecchie reminescenze, e mi figuro Brahman e l’atman: l’Essere che dà anima agli esseri... Oppure, se vuoi, mi dico: disegna nella mente uno spazio interiore (mandala) per dare margine alla tua ricerca... Poi fissa lo sguardo su un oggetto specifico (yantra) che

fortifichi la tua attenzione liberandoti da ogni altro pensiero... Infine recita una onomatopea (mantra) che assimili i battiti del tuo cuore al pulsare dell’universo, e vivi l’intero della Sua pienezza come quando fluttuavi nel grembo della Mater. Ogni mondo è un respiro di “Dio” (Ruah).


L.P. – 10 ottobre 2020 Non posso negarlo: stiamo vivendo la necrosi di una civiltà e l’embolia di un substrato che divora se stesso. Perché ad ogni epifania nella «Storia» del “Modello autentico di relazione”, il controllore oppone un suo corrispondente modello metastorico che ne rende altrettanto attuale l’aspetto, ma identico nella sostanza al vecchio contenuto: il delirio di onnipotenza dei poteri, che infine si rassume e contrae nel Dio Profitto, con i suoi corollari di linguaggi che fanno del verosimile il vero. Un camuffamento. «Ama il potere il debole / che ne è dominato, / non ne conobbe l’uso / ma soltanto l’abuso. / Rende giustizia il forte / che lo detiene per l’A-altro.» (L.P – Atti Alchemici – 1999). Risultante è il controllo attaverso la teocrazia del parassita ontologico (che agisce sulle categorie che governano la relazione) e l’autocrazia del parassita economico (che amministra le risorse della sopravvivenza) coadiuvati dal corruttore mediatico (che ne assembla il dettato). Tale è la Triade che determina e obbliga le discrasie del sistema e delle sue strutture relazionali, ivi incluse quelle culturali e psichiche, produttive e ambientali. È così che il singolo viene pre-occupato, separato e sconnesso dalla contiguità del reale, e nulla avverte al di là di una quotidianità vessata da obblighi e mistificazioni. Ed è così che i poteri si nascondono entro camere insonorizzate per non essere ascoltati, mentre i burocrati stanno dietro muri di gomma per non ascoltare... ma la folla dei minuti e dei persi sciama, reclamando i diritti che non verranno perché, quegli stessi poteri, «Consolano di giorno il guasto / che annottando coltivano.» (L.P. - Atti Alchemici – 1999).

Dunque è tra le due facce (forze) della “Coppia primigenia”, per ontogenesi complementari, che si interpone il modello del controllore, sbilanciando i termini del colloquio e falsificando le relazioni, i cui poli, sempre più, agiranno su livelli opponenti, facendo divergere significato e significante. È l’imperio della identità fittizia, che si vuota dell’A-altro, perché “io e tu” non sono più correlati agli spazi relazionali comuni, e la perdita del vincolo interrompe l’integrità della coscienza e la vitalità degli scambi. La percezione dell’intero si perde, e l’orizzonte dell’“Uno” vanisce. «Come sarebbe il mondo / non è dato sapere, / ma vediamo qual è. / Ora dovremo scegliere / come vorremmo fosse.» (L.P. – Atti Alchemici – 1999). Colloquio illimite, nella “Forma Veniente” dell’“Unus Mundus” ch’era già qui: “Alfa” di un centro immoto eppur vivo nel percorso di un’“Omega” che cerca il compiuto del Suo divenire, attratta dal “Punto di congiunzione” senza compiersi mai compiersi mai... Perché mi piace pensare che noi stessi partecipiamo, nella “Memoria del Tutto”, ad esaltare le infinite potenzialità del “Possibile”, che non si estingue nella circolarità conclusa di un «Essere» che si ripete, ma nella sferica espansione di «Sé» che abbraccia (ed è contenuto) il primo “Osservatore-amante”. Ricomporre l’«Originario». «Ora sei l’altro di te stesso, / e l’altro di te stesso è il Santo.» (L.P. – Atti Alchemici – 1999).




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