ONNA - Luci e Ombre della Rinascita

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ONNA LUCI E OMBRE DELLA RINASCITA TESTIMONIANZE A 10 ANNI DAL TERREMOTO



ONNA

LUCI E OMBRE DELLA RINASCITA TESTIMONIANZE A 10 ANNI DAL TERREMOTO


Dedicato a Giuseppa Antonacci Fabio De Felice Berardino Bruno Giuseppina Zugaro Elisa Colaianni Anna Berardina Bonanni

Daniele Colaianni Dora Colaianni Susanna Maria Celeste Pezzopane Benedetta Pezzopane Andrea Cupillari Daniel Silviu Muntean

Maria Calvisi Giuseppe Marzolo Antonio Centi Ludovica Centi Andrea Fabiana Passamonti

Luana Mastracci Mario Papola

Antonio De Felice Alexandro De Felice Lorenzo De Felice Ada Emma Colaianni Paolo Di Marco Stefania Di Marco Antonina Colaianni M. Gabriella Paolucci

Domenico fu Giustino Parisse Domenico Parisse Maria Paola Parisse Arturo Papola Iole Pezzopane Silvana Rotellini Edvige Sbroglia

Giovanna Damiani

Maria Santa Scimia

Caterina Di Vincenzo

Vittoria Silvestrone

Adriana Enesiou

Assunta Spagnoli


Introduzione

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uesto libro scritto a più mani nasce dalla voglia di testimoniare. Sono passati 10 anni dal sei aprile 2009. Onna quel giorno perse 40 dei suoi abitanti, il paese fu cancellato dalla storia. La speranza, allora, era che 10 anni sarebbero bastati per ricostruire tutto. La realtà è ben diversa, forse di anni ce ne vorranno altri 10 o magari di più. Gli onnesi pur fra mille ostacoli esterni e interni sono qui, oggi, a raccontare il passato ma soprattutto a guardare avanti con fiducia. I testi che leggerete in questo volume, che Onna Onlus e Pro Loco hanno voluto far uscire in occasione del decennale, pur nella loro diversità hanno un filo rosso: dolore, memoria, voglia di rinascita. L’idea del libro è maturata quando abbiamo capito che dieci anni dopo la tragedia c’è bisogno ancora di testimoni che puntellino una storia che ha rischiato e rischia di sfaldarsi sotto i colpi dei ritardi, delle beghe burocratiche, delle risse da condominio (o da aggregato), dello scarso senso comunitario. Gli scritti che leggerete hanno un’anima dolente ma un corpo combattente. Solo se ricostruiremo case e spazi pubblici mettendoci dentro il sapore delle nostre tradizioni, gli insegnamenti che abbiamo avuto da chi ci ha preceduto, l’umanità solidale che nessun ingegnere può disegnare sui progetti, solo se metteremo da parte qualche egoismo di troppo pensando che ciò che lasceremo non è per noi ma per chi verrà dopo di noi, solo allora la Storia ci riconoscerà un ruolo positivo e costruttivo magari indicandoci come esempio da seguire. Altrimenti saremo seppelliti dall’oblio e additati come chi, in nome di interessi inconfessabili, ha ucciso il futuro.

Giustino Parisse

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Onna, 6 Aprile 2009-2019

V

ivere il terremoto è una esperienza traumatica, nulla possono le parole o le immagini. La tua vita scompare per cominciarne un’altra che non ti appartiene.

Quando, con la sua tragedia, la comunità di Onna è entrata nelle case di tutto il mondo, quando tutti i giornali si sono occupati di lei, quando tutti i potenti sono venuti a vedere, quando tante persone amiche hanno dato la loro forza e coraggio, Onna era una comunità annientata materialmente e psicologicamente. Guardandomi indietro, penso di non aver mai abbastanza ringraziato e baciato quelle mani tese che ci hanno dato la forza di immaginare un presente e pensare ad un futuro, persone dai volti sconosciuti, venute da ogni parte lasciando le loro case e lavoro, diventate i nostri angeli. Grazie! Ricordi sommessi di antiche guerre trasformati in amicizie consolidate e presenti tuttora, pronte a sostenere la rinascita materiale e sociale del borgo. Grazie! Sono trascorsi dieci lunghi anni, gran parte della comunità, è ospitata ancora nei Map. Dire come e perché significherebbe iniziare un dibattito a più voci e interlocutori. La burocrazia, le leggi farraginose, un’interpretazione spesso soggettiva del piano di ricostruzione di Onna, insieme a personaggi nati dal nulla ˗ incantatori di gente sprovveduta e bisognosa di certezze e quindi pronta, a volte, ad accettare compromessi ˗ sono forse le concause di questa lenta e interminabile, estenuante ricostruzione.

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Come attuale presidente della Onna Onlus, guardo i cantieri ultimati e mi auguro che tutto sia stato fatto secondo scienza e coscienza. C’è ancora molto da fare, la gente del paese lentamente tornerà ad abitare le nuove case, ma l’augurio più sincero è che le strade tornino ad animarsi di ragazzi che giocano. A loro l’augurio di vivere questo nuovo paese nella consapevolezza del passato e nel rispetto della Natura e del Territorio, perché la vita è preziosa e va vissuta per intero. Onna, 6 Aprile 2019

Margherita Nardecchia Marzolo Presidente Onna Onlus

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Una tragedia da non dimenticare

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olo se sei seduto o disteso riesci a percepire alcune delle centinaia di ‘scossette’ dello sciame sismico che nei mesi precedenti aveva scosso, perdonatemi la ripetizione, la quotidianità di L’Aquila e dintorni. Stando sempre fuori, in macchina, girando la città per lavoro, di tutte ne ho avvertita solo una, forse la più forte fino a quel momento, nel pomeriggio del lunedì precedente quando ero fermo presso uno studio legale in zona Porta Napoli. Ma mi sono realmente preoccupato? Sinceramente no, e come me tanti altri. Ho l’impressione che tutta la frenesia dell’epoca in cui viviamo abbia sopito il nostro istinto di sopravvivenza, a differenza di tanti anni fa, quando si scappava fuori (nel frattempo ci hanno insegnato che non si scappa ma ci si deve riparare sotto qualcosa) al primo movimento tellurico che veniva avvertito. Ricordo ancora perfettamente che da bambino dormii in macchina per qualche notte con i miei nonni materni all’interno della villa comunale perché bisognava mettersi in salvo da quello che sarebbe potuto succedere. Pochi giorni dopo, la tragedia. L’Italia intera si è mobilitata per aiutarci e non dimenticheremo mai quanto è stato fatto, così come non dimenticheremo mai l’ambasciatore tedesco Michael Steiner e il suo impegno tangibile, giunto a Onna da amico vero. Abbiamo stretto nuove e profonde amicizie con tante tante persone. Grazie di cuore a tutti. Intanto sono passati 10 anni ormai e di quello che è accaduto non si parla più, quasi fosse diventato argomento tabù. Per fortuna che a ricordarcelo ci sono ancora le macerie, gli ampi spazi vuoti lasciati da quelli

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che vengono ormai chiamati aggregati e i nostri cari che non ci sono più. La Storia ha una brutta abitudine, quella di ripetersi. L’Uomo, tra le tante, quella di dimenticare o fare finta di dimenticare, perché conviene. Viviamo in un territorio sismico e i cittadini, i tecnici, gli amministratori e i politici devono necessariamente tenerlo sempre bene a mente, come fanno in tutti gli altri paesi del mondo che sono ad alto rischio. E noi abbiamo il difficile compito di mantenere viva la memoria di ciò che è accaduto e tramandarla alle generazioni future affinché non commettano da adulti gli errori del passato. Onna, 6 Aprile 2019

Vincenzo Angelone Presidente Pro loco di Onna

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Anziani, fragili e vulnerabili

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li anziani hanno risentito in maniera particolare delle conseguenze del terremoto. Fragili e vulnerabili, feriti dalla perdita degli affetti, del paese e delle case. Il senso di frustrazione, rassegnazione e sconforto rimane profondo.

Davanti un futuro di incertezze, paure ma anche di speranze riposte nella ricostruzione. Una generazione con un passato fatto di fatiche, lavoro, emigrazione, guerra e che ha dovuto subire questa ulteriore prova dela vita. Il villaggio Map ha permesso loro di restare accanto al proprio paese, al proprio orto, agli animali, a tutto quello che rappresenta e ha sempre costituito “la propria vitaâ€? ma la lentezza e i ritardi della ricostruzione hanno messo addosso nuove paure e incertezze. Fino a quando i nostri anziani potranno adattarsi ancora a questa provvisorietĂ ?

Gianfranco Busilacchio Presidente Centro Anziani Onna

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Onna è entrata nel mio cuore

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o un ricordo vivissimo: ad un mese dal sisma, il Commissario Nazionale della Croce Rossa Italiana mi chiede cosa rispondere al dottor Bertolaso che proponeva alla Croce Rossa di assumersi il compito e l’onere di costruire “Il Villaggio Onna”. Non aspettai un minuto e dissi: “Certo che sì, che bella cosa! Questo significa impiegare bene i soldi che ci hanno affidato tante persone che volevano aiutare L’Aquila e dintorni all’indomani del sisma!” e aggiunsi: “Ti rendi conto che tutto il mondo parla di Onna diventata immagine, simbolo, icona del disastro?” Detto, fatto. Fatta la gara d’appalto con il supporto della Protezione Civile, cominciò un lavoro febbrile con le ditte del Trentino che lavoravano incessantemente giorno e notte. Così Onna è entrata nel mio cuore. Ho avuto prima il compito di lavorare con la Onlus appena costituita per la prima assegnazione delle case; fui chiamata, poi, dal Prefetto Gabrielli, di domenica, mentre ero a Roma per un battesimo per decidere l’assegnazione dei Map ormai completi perché il governo aveva stabilito la data del 15/09/2009 come giorno della consegna delle prime case: quanta emozione! Quel giorno eravamo tutti commossi, tesi, orgogliosi di ridare un’alloggio decoroso agli abitanti del Paese con il maggior numero di vittime: Onna. Per questo amo Onna: ho pregato davanti all’albero della memoria, ho ringraziato i trentini che hanno lavorato così bene, sono orgogliosa da sempre di come gli Onnesi curino i Map, i viali, i giardini, le strade. Mi piace tanto la chiesina col suo campanile donata dai trentini, anche 9


se capisco benissimo perché gli Onnesi siano affezionati alla loro chiesa antica riportata al suo splendore dalla Germania. Certo, Onna e gli Onnesi mi hanno fatto pure un po’ patire con le richieste incessanti di assegnazione, con i piccoli sotterfugi per cercare di convincermi a favore dell’uno o dell’altro, con lettere non sempre gradevoli. Ma Onna ha per me un fascino ed un posto particolare nel cuore perché è viva, gli Onnesi amano il loro angolo e perché ad Onna ho trovato anche degli amici veri. Nel Natale appena trascorso, degli Onnesi si sono ricordati di me solo per farmi gli auguri di vero cuore, sentiti e mi hanno fatto di nuovo commuovere perché le parole e... qualche deliziosa specialità aquilana mi hanno ricompensato largamente di incomprensioni, amarezze e dimenticanze. A dieci anni dal terribile 6 aprile 2009, tante persone hanno lasciato i Map per tornare alle loro case vere, ma la corsa alla riassegnazione delle case continua! Tuttavia, constato con piacere che è stata raggiunta una certa serenità che fa vivere più pacatamente il grande dolore che quella notte ha colpito tutte le case, tutte le famiglie di Onna. Il grande asilo, diventato l’asilo di L’Aquila, mi ha fatto rincontrare due cari ex alunni, i genitori di Giulia Carnevale, la progettista della bellissima scuola dell’infanzia, anche lei vittima del sisma. E con il pensieri ai bimbi di Onna, rivolgo un saluto a tutti gli Onnesi ed in particolare al Direttivo di Onna Onlus che si è ricordato di me senza però dimenticare il Direttivo della prima ora con il quale ho lavorato con un senso di fratellanza che ancora oggi mi fa inumidire gli occhi. Maria Teresa Letta Croce Rossa Italiana 10


Trasformare la storia: il terremoto di Onna

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ella notte del 6 aprile 2009 fui svegliato dai rumori che le scosse del terremoto causarono nella mia stanza da letto a Roma. Non seppi valutare la dimensione dell´accaduto ma fui turbato ed ebbi un cattivo presentimento. La mattina successiva ebbi conferma dell´esperienza notturna, leggendo e ascoltando le prime notizie sulla dimensione drammatica del terremoto accaduto in Abruzzo. Capii che era stata una catastrofe con delle conseguenze terribili. Ero in procinto di partire per un viaggio ufficiale a Milano ma decisi di tornare il prima possibile a Roma. Mi ricordo ancora quando in macchina da Fiumicino all’Ambasciata preparammo il comunicato per esprimere la nostra vicinanza agli Abruzzesi e soprattutto alle famiglie delle tante vittime. In quel momento, non sapevo ancora di Onna e del suo tragico passato. Il giorno successivo il capo ufficio stampa dell´Ambasciata Niklas Wagner mi disse che aveva visto “Porta a Porta” con Bruno Vespa che menzionò la strage nazista del 1944 ad Onna. Questa notizia mi indusse ad andare in Abruzzo per vedere di persona cosa il terremoto aveva causato. Nonostante le autorità italiane avessero - per buone ragioni - dichiarato la zona inaccessibile, con l´aiuto del mio autista dell´Ambasciata, abruzzese che conosceva bene la zona, partimmo. Fu terribile vedere la distruzione che il terremoto aveva causato. Scesi ad Onna, e nella tenda della Croce Rossa Italiana, parlai con persone che avevano perso tutto – famigliari, amici, casa. Persone che anche nel momento più triste e buio della loro vita mantennero una profonda dignità. Fu uno dei momenti più emozionanti e toccanti della mia vita. Successivamente, tentando di apprendere le dimensioni della distruzione, camminando e scavalcando tra ciò che era rimasto del paese, mi imbattei nella facciata, una delle poche rimaste in 11


piedi, del palazzo sulla cui fronte era affissa la lapide che ricordava la tragica morte di 17 Onnesi, vittime di un crimine di guerra della Wehrmacht tedesca nel 1944. Rimasi profondamente colpito da questa duplice sofferenza inflitta nell´arco di una vita a questo piccolo borgo abbruzzese. Decisi che sarei dovuto intervenire. Seppur non ebbi subito un idea di come esattamente procedere, seppi all´istante che qualcosa dovevamo fare. Nei mesi precedenti alla mia prima visita ad Onna mi ero occupato intensamente del destino dei militari internati italiani in Germania, che successivamente a causa di varie peripezie giuridiche erano stati esclusi dagli indennizzi riservati ai lavoratori forzati civili. Secondo me la Germania qui non aveva fatto abbastanza per superare l´amarezza residua. Proprio su questo sfondo i due colpi inflitti dal destino alla comunità di questo piccolo borgo, e al contempo la dignità e fiducia degli Onnesi nei nostri confronti mi toccarono profondamente. Prese così forma l´idea di voler dare un contributo per scrivere una nuova storia. Non si trattava di un risarcimento a posteriori, ma di un occasione per trasformare la storia: Se i tedeschi erano stati nel 1944 autori di una devastazione, allora nel 2009 sarebbero dovuti diventare autori di un contributo positivo e sostenere la ricostruzione. Un importante passaggio per realizzare il nostro sostegno avvenne con i progetti del Governo Italiano e della Protezione Civile di distribuire gli abitanti delle zone terremotate in diversi alloggi sparsi nel territorio. Ascoltare i cittadini di Onna, testimoniare il loro desiderio di restare uniti come comunità e cogliere la disperazione dinanzi alla possibilità di dover lasciare il loro paese creò un’ urgenza. Fui profondamente commosso dall´unanime bisogno di voler restare insieme ed affrontare le difficoltà in quanto comunità, e dal forte desiderio di restare e ricostruire il loro paese, Onna. Quante volte fummo ad Onna in quei mesi! Insieme ai miei colleghi dell’Ambasciata mi attivai su entrambi i fronti, tedesco e italiano: presso la protezio12


ne civile italiana per ottenere al più presto il permesso perché il Technisches Hilfswerk (THW) tedesco potesse attivarsi ad Onna, e sul fronte tedesco per far in modo che il THW arivasse il prima possibile ad Onna. Fortunatamente ne conoscevo il capo da comuni esperienze di ricostruzione a seguito dei conflitti nell´Ex-Jugoslavia e lui acconsentì subito di venire in Abruzzo per garantire tutto il supporto possibile. Presto però nuove difficoltà amministrative e giuridiche vennero ad incalzare i nostri sforzi: per poter accelerare ed ampliare il sostegno agli Onnesi e per evitare che la comunità venisse dispersa fu necessario creare un soggetto giuridico che potesse fungere da interlocutore amministrativo. Fu così che prese forma l´idea di una Onlus. E di nuovo rimasi profondamente toccato dagli Onnesi che nonostante i lutti, le perdite e la devastazione subita, riuscirono ad organizzarsi per fondare la Onna Onlus che esiste ancora oggi. Da li in poi cominciò per me un pellegrinaggio in cerca di fondi per Onna. Insieme al team di addetti ad Onna che nel frattempo avevamo costituito presso l´Ambasciata, decidemmo di raccogliere sostegno presso il governo, il mondo economico ma anche presso privati. E la reazione della maggior parte dei miei interlocutori fu positiva: Tutti capirono immediatamente la necessità di aiutare e fecero il possibile. Tra tanti va ricordata la spontanea donazione di 1 milione di euro dell´allora AD di Volkswagen Martin Winterkorn sostenuto da Giuseppe Tartaglione, allora capo di Volkswagen Italia. Emblematico anche il gesto dell´allora Primo Ministro della Baviera, Horst Seehofer che, dopo aver visitato Onna ed esser stato viziato dalle capacità culinarie delle signore onnesi, in occasione del suo compleanno chiese donazioni per la ricostruzione di Onna invece di regali. Che gioia fu quando insieme potemmo finalmente inaugurare Casa Onna e vedere la chiesa di Onna risplendere. La verità é che ricevere dagli Onnesi tanta fiducia e amicizia è stato uno dei più bei regali della mia vita. Grazie Onna!

Michael Steiner 13


Ringraziamenti

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doveroso ma sinceramente sentito, un ringraziamento a tutti coloro che sono giunti in nostro soccorso nel momento del bisogno e a quelli che ci sono stati e continuano ad esserci vicini. A tutta quella umanità che si è rivelata nella sua parte migliore e all’umanità che si è rivelata nella sua fragilità.

GRAZIE! A chi ci ha dato una coperta nel gelo della notte A chi ha scavato a mani nude per noi e con noi A chi ha avuto pietà per i nostri morti A chi ha diretto e gestito i soccorsi A chi è arrivato da lontano spinto dal suo cuore A chi è arrivato da lontano spinto dal dovere A chi si è prodigato per darci un tetto dignitoso A chi ci ha preparato un pasto caldo A chi ha pensato a vestirci A chi si è esposto al pericolo per recuperare pezzi della nostra vita A chi ci ha donato amicizia disinteressata A chi ci ha donato una chiesa A chi ci ha ricostruito la chiesa A chi ha asciugato le nostre lacrime A chi ha mostrato le nostre lacrime 14


A chi ha pianto insieme a noi A chi ha raccontato il nostro dolore A chi ci ha fatto sorridere A chi ci ha fatto ridere A chi ha curato le nostre ferite A chi ha maledetto il mondo per la rabbia A chi ha pregato per noi Alle amicizie nate e anche a quelle perse A chi ci ha portato l’Eucarestia A chi ci ha benedetto A chi ci ha donato del suo A chi ci ha fatto arrabbiare A chi ci ha fatto sperare A chi ha puntellato la nostra storia A chi c’è stato, comunque A chi ci ha dato conforto e ora riposa nella pace 15



Testimonianze

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Valentina Brunetto Il tremore, attutito per i primi attimi dalla sonnolenza, si sentì in tutto il suo impetuoso frastuono. Pochi secondi ancora e mi resi conto che le pareti di cartongesso mi cadevano addosso. Boato assordante, poi il silenzio. Apro gli occhi, oscurità. Mi rotolo giù dal letto fin sul pavimento, cerco tastoni gli occhiali sul comodino. Niente. Afferro solo pezzi di cemento e muro e una madonnina luminosa. La prendo, rinuncio a cercare gli occhiali. Mi avventuro nel buio. “Mamma! Papà!” “Valentina!” voci che si cercano. La mia camera è diventata un tutt’uno con il bagno, poco male. Vado verso la porta, verso l’uscita. Trovo mamma sul pianerottolo, cerchiamo di andare oltre... Il nulla. Il vuoto sotto i nostri piedi. Alzo lo sguardo. Un silenzio mai udito prima, buio assoluto, ma il cielo è stellato. Mi viene in mente il famoso versetto di Dante, strane associazioni nei momenti meno opportuni. Saprò solo più tardi che molti da quell’Inferno non sarebbero mai usciti. Papà è giù, caduto sulle macerie della casa, con Tyson in braccio. Ci parla, sta bene. I nonni pure. Poi le prime voci da fuori, ci chiamano, rispondo che ci siamo, e io sento anche te. Si, ci sei, ne sono certa, ti sento chiamare il mio nome insieme agli altri. Ancora oggi ne resto convinta. Pochi minuti di fredda lucidità: la priorità è uscire da lì. Nuove scosse, dobbiamo fare in fretta prima che venga giù anche il resto. Mamma è immobile per la paura e prega. La scuoto, le dico ‘Che ti preghi, qua dobbiamo uscire!’ Penso a cosa fare: cerco di togliere le lenzuola dal letto per annodarle ma non ci riesco, sono bloccate da macerie cadute dal tetto. Noto sul cuscino di mamma un blocco di cemento enorme, ‘Grazie Tyson per essere balzato nervosamente sul letto poco prima della scossa’. Le persiane delle camere sono bloccate, non si aprono; il tetto, ormai appoggiato sui nostri armadi, le comprime. Ultimo tentativo: la finestra del bagno. Si apre! Un sussulto di gioia. Mi affaccio e vedo i miei compaesani radunati giù che ci chiamano; i 19


miei nonni sono stati soccorsi da alcuni di loro, mio papà pure. Manchiamo noi. Mi lanciano una corda da giù. Uno, due, tre tentativi; finalmente la prendo e la lego con uno, due, tre nodi, ai tubi del termosifone. Ci caliamo, prima io poi mamma. Sembra un film vederla scendere con una corda dal secondo piano, ancora mi chiedo come abbia fatto con una spalla rotta.. Ci abbracciamo, siamo salve, siamo vive. Penso al bimbo dentro di me, spero stia bene anche lui. Lo sarà. La bocca sa di polvere, il naso pure. La fontanella è lì, l’acqua sembra più fresca che mai. Tanta gente è lì ma subito inizia la conta di chi c’è e di chi manca. Improvvisamente dall’orto si sente gridare: arriva un uomo impolverato e dolorante. È sconvolto, è tuo padre. Lo abbraccio, mi chiede di te. Lo rassicuro, gli dico che ci sei, che sei vivo, che ti ho sentito chiamarmi mentre ero su. “Non preoccuparti zio, Berardino è lì a scavare, ad aiutare gli altri”. E dove altro potevi essere se non in prima linea ad aiutare i tuoi compaesani? Io ti ho sentito! Per me, ancora oggi, tu eri lì. Il suono della tua voce ha aiutato me: mi ha dato coraggio, mi ha dato la forza... Grazie ancora cuginetto mio...

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Elisa Bruno Oggi 9 settembre 2018 per la prima volta dopo tanto tempo prendo un foglio e una penna per descrivere quella che è “ora” la mia/nostra quotidianità dopo 9 anni da quella orrenda notte. Questa mattina ho incontrato un’amica di Paganica, Milena, figlia di una cara amica d’infanzia di mamma, parlando dell’ingresso alla scuola primaria di mio figlio, ad un certo punto con una faccia triste mi domanda: “Come va?” Io rimango qualche secondo in silenzio e poi capisco che forse vuole intendere come va in questa vita dopo aver perso la famiglia d’origine. Oggi dopo tanti-troppi anni qualcuno si è ricordato di loro. Ormai le giornate scorrono talmente veloci che di loro, del prima e del tuo stato d’animo non ti domanda più nessuno. Sono qui a scrivere nella cucina di una casa, sempre ad Onna, nella quale siamo entrati 4 anni fa, dopo aver vissuto per 5 anni nei Map, alla quale sarebbe dovuto entrare mio padre Ludovico, che purtroppo 5 anni fa in un piccolo Map del villaggio, ha perso la vita in una mattina di maggio, colpito da un arresto cardiaco. Mentre ho la matita in mano, mio figlio Berardino, nome di mio fratello che quella tremenda notte ha perso la vita a soli 27 anni, e mio marito Vincenzo prendono la vespetta di “nonno Ludo”. Mio figlio ci sente ripetere spesso: “Sei simpatico come zio Bera, hai ripreso proprio da zio Bera” oppure “la macchina di zio Bera, i canestrini di nonna Pina, le ferratelle di nonna Lisa, le pizze fritte di nonna Dina, il trattorino di Fabio, i piattoni di pastasciutta di Alessandro e il sorriso di Lorenzo”. Lui sa che di tutte queste persone e di tante altre abbiamo dovuto far a meno dal 6 aprile 2009 e che ci guardano e vegliano dal cielo. La famiglia unita che ho oggi con un marito ed un figlio purtroppo non colma il vuoto immenso che ho dentro.

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Marcella Busilacchio Accanto al sentimento di dolore e di vuoto, ci accompagna la forte volontà di restare, di resistere, di ricostruire e ricordare. Senza memoria non esistiamo come comunità. Non abbiamo abbandonato il nostro territorio, abbiamo vissuto straordinari momenti di partecipazione, cooperazione e di proteste. Dove c’è partecipazione c’è anche ricostruzione. Tornare a “casa” è stata una conquista, una lotta, contando i giorni che ci separavano dal rientro. La ricostruzione materiale non è solo lenta, è sofferta e piena di ostacoli, ti sfinisce! Finalmente a “casa” ma è un posto diverso, era qui, ma non è questa. La via di giorno è un cantiere rumoroso, di sera è silenziosa e buia. Pesa l’assenza di chi abbiamo perduto. Noi che rimaniamo ci riappropriamo di spazi, ci adattiamo a una nuova quotidianità, un passo in avanti verso un ritorno alla normalità che sembra quasi a portata di mano. Ci vorrà ancora tempo per elaborare tutto. Bisognerà impegnarsi ancora e insieme per riavere una città.

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Don Cesare Cardozo 21 maggio 2012 Lettera ai terremotati emiliani Don Cesare Cardozo è il parroco di Onna, uno dei comuni più colpiti dal sisma del 6 aprile 2009 in Abruzzo. Queste le sue parole di conforto e speranza rivolte ai cittadini dell’Emilia-Romagna: Cari Amici, quando ho saputo quanto accaduto in Emilia-Romagna mi è sembrato di rivivere tutto ciò che ha vissuto la comunità di Onna quel 6 aprile di tre anni fa, quando il terremoto ha tolto la vita a 309 cittadini abruzzesi. In momenti come questi non è mai facile parlare ma forse è sempre meglio dire qualcosa che possa in qualche modo aiutare. Le nostre parole devono innanzitutto essere rivolte a Dio affinché ci aiuti ma soprattutto ci dia la forza per affrontare con il massimo della speranza tutte le conseguenze di un terremoto devastante. La speranza deve proseguire anche oltre e non fermarsi mai: a Onna ancora non possiamo rientrare nelle case e quelle più antiche non sono state ancora ricostruite, ma anche di fronte a situazioni così complesse e difficili, con l’aiuto di Dio tutto può essere visto in un’altra ottica. È da qui che si ricavano le forze per andare avanti e per superare ogni difficoltà. In un momento come questo è importante che la popolazione emiliana riscopra la solidarietà, la fraternità e il farsi coraggio l’uno con l’altra. I cittadini devono guardarsi in faccia e capire che bisogna rimanere uniti e impegnarsi per andare avanti, senza che la paura o la disperazione possano avere la meglio. Di fronte a un disastro simile i dubbi e la tristezza cercheranno di farsi avanti e dominare, proprio per questo è importante che ci sia sempre qualcuno che dica di andare avanti, di non fermarsi e di cominciare a ricostruire un nuovo futuro grazie alle forze di tutti. Soprattutto in un momento del genere bisogna sempre di più essere portatori di speranza: quando si osserva la propria 23


casa distrutta, dopo averla costruita nel tempo con grandi sacrifici, sembra che in quel momento tutto sia finito e che non ci sia più una speranza. Ma non è così, perché tutti dobbiamo essere portatori di speranza anche quando la stessa persona che parla di speranza può avere qualche dubbio. Bisogna rimanere uniti, perché solo dove c’è unità c’è la forza di ricostruire, di sperare e di giungere ad una situazione migliore. In Abruzzo, a seguito del terremoto, quasi tutte le chiese sono rimaste inagibili. Sono per lo più edifici antichissimi, i primi a cadere a seguito di una scossa così forte. Però, nonostante la chiesa sia un edificio di culto, sono più importanti le persone che si trovano intorno, pronte a ricostruirlo.

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Carlo Cassano LA LENTA RISALITA Da molto giovane ho avuto una forte attrazione per la fotografia. Una passione che mi ha portato a registrare tutto ciò che mi suscitava emozione o interesse sociale. Tenere in mano ed andare in giro con la macchina fotografica mi dava la sensazione di una leggera euforia e una singolare carica di energia. Quella notte del sei aprile 2009, appena arrivato in strada e resomi conto della gravità della situazione ho provato d’impulso la spinta a recuperare la mia macchina fotografica e registrare quello che stava accadendo in quello che ormai considero anche il mio borgo. Una spinta subito repressa perché ho prontamente preso coscienza che avrei invaso la sfera personale del dolore delle persone e della comunità che, come me, ancora non realizzava la reale portata della tragedia. Ho vissuto come tutti l’inizio della vita nella tendopoli, incominciando a prendere gradualmente atto della nuova precaria situazione. La macchina fotografica non era più nei miei pensieri fino a quando un mio nipote, duramente colpito dal triste evento, mi ha consegnato la sua fotocamera chiedendomi di scaricare le foto che vi erano contenute e di fare alcuni scatti. Ho incominciato timidamente, con molta discrezione. La grande attenzione mediatica cui Onna era soggetta ed i continui avvenimenti istituzionali mi hanno man mano portato a registrare con maggiore frequenza quanto avveniva. Stimolato in ciò sopratutto da Giustino che spesso telefonicamente mi preavvisava degli eventi e mi chiedeva di fare foto o riprese che poi gli trasmettevo per le sue personali esigenze di documentazione professionale. Tutto ciò mi ha provocato la strana sensazione di chi, trovan25


dosi nel profondo di un tunnel, a fatica tenta di guadagnarne l’uscita e conquistare luce e ossigeno. Oggi, sebbene il tunnel sia alle spalle, non ho ancora ritrovato gli originali stati emotivi poiché in fondo all’anima c’è sempre l’ombra di quanto ci ha colpito. La soddisfazione è di avere creato un archivio fotografico in continuo arricchimento con tutto ciò che ancora avviene e interessa la nostra Onna, e a disposizione della comunità per scopi di ricerca e documentazione.

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Tiziana Colaianni Non è facile avere davanti un foglio bianco e trasformare in parole dieci anni di vita vissuta diversamente da come ti saresti aspettato di viverla. Cerco inutilmente cose positive da raccontare ma si affollano, si accavallano e sopravanzano i ricordi di tutte le negatività accumulatesi. In questi anni si è passati dalla condivisione dettata dalla disperazione ad essere chiusi a riccio nei propri problemi; ad alternare la cocciuta speranza nel ricominciare con la disillusione di poterlo fare; dalla convinzione che potesse rinascere una vita nuova e migliore dalle macerie che in parte sono ancora lì al pensare che al peggio non vi è mai fine. Abbiamo una chiesa, un museo e un centro sociale grazie all’intervento della Germania ma la chiesa è rimasta per anni come cattedrale nel deserto. Il museo ed il Centro Sociale si specchiano ancora nelle macerie della vita che fu. Gli anni trascorsi hanno tolto a molti la speranza di poter rientrare nella loro casa, alcuni sono già tornati alla casa del Padre altri pensano che presto la raggiungeranno. È mancata una visione alta ed ampia delle necessità future delle comunità colpite, sono mancate procedure snelle che derogassero alle pastoie burocratiche sì da permettere una ricostruzione veloce dei centri abitati. Combattiamo contro cavilli ed interpretazioni delle varie regole costruttive; la nostra logica semplice ed ingenua si è infranta quasi quotidianamente contro l’interpretazione ed applicazione del Piano di Ricostruzione che sembra quasi da intralcio piuttosto che facilitatore. E nel frattempo si è cambiati: la parte migliore dell’uomo, attuata col soccorso ricevuto e dalla comprensione e condivisione dei terribili momenti passati, è stata sostituita come lento avvelenamento, dall’arrivismo, dall’egoismo, dall’invidia, dall’aver soddisfazione delle difficoltà di altri; le meschinità dell’uomo sono a nudo ma il voler mantenere l’illusione che 27


le cose possano andare meglio ti fa tacere e soprassedere alle cattiverie sussurrate o palesi, ai dispetti reiterati, alle invidie sul niente e alle rivalse per antichi rancori. E vai avanti, sopravvivi ai tuoi lutti e vai avanti. Zittisci e nascondi il tuo dolore e vai avanti o lo prendi per mano il tuo dolore e provi a farlo diventare altro. Io l’ho incanalato nel volontariato provando a ricambiare ciò che ho ricevuto nel 2009. Ho scelto di diventare volontario del soccorso in Croce Rossa perché la Croce Rossa Internazionale ci ha dato un tetto, un villaggio, una Onna provvisoria in cui vivere o sopravvivere e di questo le sono riconoscente. Da terremotata mi sono trovata a prestare aiuto a chi ha subito il terremoto del 2016. Da indigente perché tale ero al 6 aprile del 2009, presto qualche ora del mio tempo a chi indigente lo è oggi. Con la mia famiglia e con l’aiuto di amici, abbiamo realizzato un’area ludico sportiva alla quale davamo accesso ai ragazzi di Onna ma la cattiveria umana, ha fatto sì che venisse smantellata ed in questo ci ha rimesso solo la gioventù. Non vi racconto della meschinità che ne ha causato la chiusura, ma solo del dispiacere che ho per i ragazzi. In fondo potevo pure aspettarmelo da concittadini in mezzo ai quali c’è chi, alle mie richieste di realizzare qualcosa per i giovani, mi ha detto di smetterla di rompere l’anima per i quattro ragazzi che erano rimasti ad Onna dopo il terremoto.

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Stefania Coppola Da qualche giorno ho trovato il coraggio di scrivere due righe riguardo i dieci anni trascorsi, dopo la terribile scossa che ci ha colpito. Ho difficoltà a raccontare le mie emozioni perché, sinceramente, il vivere quotidiano da quel sei aprile ad oggi, è stato caratterizzato dalla contrapposizione di tanti sentimenti... Il forte dolore dei primi tempi si è, pian piano, trasformato in tenerezza negli occhi di nostro figlio Stefano, allora di un anno appena. Stefano e Gloria, l’altra figlia di dieci anni, ci hanno illuminato le giornate, ci hanno dato la voglia di continuare a vivere e la forza di rialzarci, ripartendo da zero. Ci ha aiutato la consapevolezza di essere ancora una famiglia, salva, unita, nonostante i tanti disagi che la vita ci aveva riservato. Così abbiamo conosciuto un mondo solidale ed amorevole… A caldo la percezione di una tragedia non è mai al massimo: è quando poi ci si rende conto che tutto non è più come prima, soltanto allora, la tristezza, il rimpianto e la nostalgia, si impadroniscono di nuovo, di te. Gli amici e i parenti che non vedevi più nei momenti di aggregazione, un tempo condivisi con loro; il modulo abitativo dove era iniziata una nuova vita, che non sentivi tuo; ed ora, negli ultimi tempi, il rendersi conto che Onna degli “onnesi” non c’è più. Devi condividerla con persone estranee che non comprendono il tuo trascorso emotivo e il tuo modo di vivere il paese come una grande famiglia. Abbiamo vissuto momenti di smarrimento, perché quando perdi l’identità ci vogliono anni per ricrearla... Abbiamo perso la speranza nel futuro, perché quando incontri la morte e riesci a sopravvivere, ci vogliono anni per cancellarla... Abbiamo lottato con tutte le nostre forze perché riuscissimo a rialzarci con dignità... Ora i nostri figli sono diventati grandi e ci chiedono 29


come e quando potranno vedere la loro nuova casa... A dieci anni non sai ancora cosa rispondere loro! Ma tutto questo è nulla al pensiero dei nostri cari che quella notte non ce l’ hanno fatta! 23 Novembre 2018

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Gabriele De Cata Ci sono momenti in cui, nella vita di una comunità e nella vita professionale, si è portati a dare il meglio di se stessi, per alleviare le sofferenze altrui: donne, bambini, anziani in particolare. E’ accaduto, per quel che mi riguarda, in modo totale durante il terremoto che ha raso al suolo L’Aquila e gran parte del suo territorio, Onna in particolare, il borgo in cui vivo con la mia famiglia. Questa piccola frazione ha perso 40 persone sotto le macerie, un sesto dei suoi abitanti, risultando il centro più colpito in assoluto, sia per i morti che per i danni agli edifici a partire dalla Chiesa Parrocchiale. Ho ancora in mente quegli attimi di terrore e non potrà esserci mai sollievo dato dagli anni che passano, così come quegli attimi immediatamente dopo il sisma e nei giorni e settimane successivi mi sono rimasti nell’animo provocando ancora in me un grande dolore ma anche la consapevolezza che la mia professione di medico abbia potuto essere di sollievo per i feriti che ho soccorso. Sotto le tende dei feriti, accanto a coloro che scavavano freneticamente per salvare vite umane, mi sono sentito io stesso un uomo del dolore come tutti gli altri sopravvissuti, e in quanto tale ho cercato di dare tutto me stesso per alleviare la sofferenza altrui e portare loro una parola di speranza che li facesse sentire amati e non abbandonati. In un baleno rivedo come in un film i momenti più belli trascorsi con loro, quella generazione di persone abituata alla sofferenza e alla fatica dei campi, gente che si è spaccata la schiena sulla terra per farla diventare fertile, uomini e donne dal volto segnato dal patire ereditato da secoli; tutto questo è stato per me oggetto di attenzione estrema e la mia intima soddisfazione è derivata soltanto dall’essermi dedicato anima e corpo a loro. Oggi il paese incomincia a fatica a risollevarsi: la popolazione di Onna un po’ alla volta sta riacquistando fiducia nel futuro. La mia professione di medico è uscita enormemente rafforzata da 31


questa esperienza di distruzione e di dolore. Per tutta la vita essa farĂ parte della mia memoria rafforzando in me l’amore e la dedizione verso quei pazienti che si affidano fiduciosi alle mie cure e nelle quali io, come durante terremoto di Onna, cercherò di vedere soltanto il volto di Dio.

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Carmela De Felice CASSETTI SOCCHIUSI Alcuni cassetti, nella vita, restano chiusi serrati con lucchetti invisibili. Lì dentro puoi trovare sentimenti schiacciati ferite profonde, polvere e macerie difficili da raccontare. A volte un’increspatura dell’aria o della voce fa entrare un po’ d’aria in quei rifugi bui all’improvviso. E il tempo svanisce. Questo mi è accaduto oggi, amica mia. Una musica d’altri tempi, un canto sacro d’amore e d’appartenenza saliva al cielo ed io, con gli occhi ti cercavo in mezzo ad altri volti conosciuti. Ti cercavo, amica mia. E la disillusione, è arrivata anche oggi. La conosco bene. Mi ricordo che non ci sei e sento un vuoto d’aria nello stomaco e nel cuore. Respiro forte. D’un tratto ti sorrido. Sento che ci sei anche tu. Ti giri, mi guardi in quel modo che è solo nostro e mi sorridi. 33


Nel canto che sale in questa sera, tra queste antiche mura Sei qui. A respirare quest’aria dolce di un canto antico cui nessuno vuol mancare. E tu non manchi. Amica mia sei qui, con noi, anche stavolta a riscaldarmi il cuore.

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Antonella Foresta DIECI ANNI: UN’ALTRA VITA… Ebbene sì! Se penso a questi ultimi dieci anni mi viene proprio da definirli “un’altra vita”. Credo che questa riflessione non sia soltanto mia, ma di tutti coloro che come me hanno vissuto quella tragica notte del 6 aprile 2009 che ha sconvolto e stravolto le nostre vite. Il pensiero più grande, però, va a chi non c’è più e ci ha lasciato in quei momenti funesti. Tante, troppe le vite spezzate e la loro mancanza ci ha svuotati per sempre. Abbiamo tristemente subito la perdita e la precarietà dei luoghi e dell’ esistenza, ma abbiamo anche sorprendentemente ricevuto un’infinita solidarietà che mai finiremo di ringraziare con profonda gratitudine. Per me sono stati dieci anni terribilmente dolorosi duranti i quali sono venuti a mancare alcuni dei miei legami più forti e degli amori più grandi. Parenti ed amici meravigliosi, colonne portanti nella mia vita, che purtroppo mai nessuno potrà più restituirmi. La loro assenza genera in me tanto vuoto, dolore e smarrimento ma sono preziosi Angeli custodi che ogni giorno illuminano il cammino e mi danno la forza per andare avanti. Quest’anno ricorrono anche dieci anni dalla prematura scomparsa di mio marito Luca, un giovane meraviglioso che rappresenta tutto per me e che una tremenda malattia ha strappato via dalla gioiosità della vita. Lo scorso anno, invece, è venuto a mancare mio cugino adorato Domenico, un maresciallo della Guardia di Finanza che in quella tragica notte sin da subito è corso a Onna insieme a colleghi, paesani, vigili del fuoco, volontari della Protezione Civile e tanti altri, per prestare i primi soccorsi. Domenico era una persona speciale per tutti, sempre tesa al bene degli altri. Desidero rivolgere un grazie di cuore a tutti coloro che numerosissimi nell’Emergenza post sisma ci hanno donato conforto 35


e supporto di ogni genere e in ogni istante, grazie a quanti lo hanno continuato a fare con affetto in questi anni e grazie a voi, che in occasione del decennale, siete di nuovo qui insieme a noi. Spesso, con grande rammarico e nostalgia, penso con quanta gioia vivevamo prima del terremoto, anche in modo inconsapevole, e quanta tristezza oggi, invece, attanaglia i nostri cuori. Forse è proprio questa tristezza latente che ci rende più cupi, schivi ed egoisti, ma dobbiamo reagire guardando al futuro con ottimismo e vivendo con coraggio e tenacia la nostra esistenza. Occorre aprire i cuori alla speranza, e mi auguro che le Istituzioni possano alimentarla sempre più con un giusto operato. Tanto è stato fatto, grazie allo Stato, alla solidarietà e all’onestà dei cittadini che quotidianamente adempiono al proprio dovere, ma tant’ altro bisogna ancora fare in questo immane disastro. Lo dobbiamo a noi stessi, ma soprattutto a chi non c’è più e ai giovani che sono il futuro della nostra città. Non tutti i dolori possono essere cancellati dal semplice scorrere del tempo, alcune sofferenze sono semplicemente destinate a restare segretamente celate all’interno di pochi e segreti angoli del cuore . 6 aprile 2019, sono trascorsi esattamente dieci lunghi anni da quella tragica notte ma il ricordo della perdita è ancora irrimediabilmente legato alla memoria dell’intera comunità profondamente colpita nell’ anima . Così come la fenice rinasce dalle proprie ceneri, allo stesso modo gli abitanti di Onna credo siano in grado di ricostruire “ mattone per mattone “ le proprie vite, la tragedia non è riuscita a scalfire il tenace animo del nostro paese pronto a tutto pur di tornare alla propria semplice quotidianità. Camminando per le vie del nuovo villaggio, donato grazie alla generosità della Croce Rossa Italiana e realizzato dalla Provincia Autonoma di Trento è possibile sentirsi a casa, ogni sorriso, 36


ogni evento organizzato dalle Associazioni di Onna, ogni celebrazione civile o religiosa, ogni singolo attimo trascorso in collettività assume il dolce sapore della parola “Rinascita”. Ebbene il primo simbolo della rinascita è stato per noi onnesi proprio il nuovo villaggio, che in questi dieci lunghi anni ed ancora oggi viene gestito con costante dedizione e vivo interesse dalla Dottoressa Maria Teresa Letta, e che ci ha dato la possibilità di restare uniti come comunità nel nostro territorio. Il silenzio assordante che per tanto tempo aveva dominato le strade del centro storico aquilano sta progressivamente lasciando posto alle gioiose risate dei bambini intenti a giocare, le luci delle attività commerciali recentemente riaperte, illuminano e colorano gli antichi palazzi storici cittadini tornati a nuova vita dopo gli accurati lavori di restauro, basti pensare allo splendore del Palazzo Pica Alfieri. A Onna invece, già possiamo rivivere ed ammirare la maestosa Chiesa Parrocchiale di San Pietro Apostolo ristrutturata grazie alla solidarietà del governo tedesco. Auspico che presto l’aria intorno a noi profumi di vita nuova, solamente restando uniti sarà possibile ricostruire ciò che è stato violentemente ed ingiustamente distrutto ben dieci anni fa, il ricordo delle vittime dovrà sopravvivere in noi perché ogni grande amore non è mai destinato a scomparire. Restando uniti sarà possibile volgere lo sguardo verso un nuovo domani, un futuro solido sorretto dalla dedizione e dal profondo rispetto della nostra terra.

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Rodolfo Foresta ONNA 6 APRILE 2019 La mia nuova casa è quasi pronta, mancano gli infissi e le porte. Tornerò a vivere, con la mia famiglia, in via degli Oppieti 29b. Da dieci anni, insieme a mia moglie Anita, viviamo nel Map 89, in una cucina˗soggiorno, una camera da letto, un bagno. La nostra vita si svolge in 40 metri quadrati. Questi anni li ho trascorsi pensando al giorno in cui sarei tornato a casa mia, una casa che aveva resistito alla scossa e che quella notte ha accolto tanti vicini smarriti, feriti, straziati dalle morti e che avevano visto la loro casa crollare come cartapesta. Riadattarsi in pochi metri quadrati non è stato facile, ma bisogna riconoscere che nella disgrazia siamo stati fortunati perché tutto il mondo è venuto ad aiutarci. Non abbiamo trascorso nessun inverno al freddo, dalle tende siamo usciti per entrare nelle casette, ci sembravano bellissime e accoglienti. Anche se ci era stato detto di non appendere nulla alle pareti, mia moglie, come tutti, ha personalizzato le stanze, appendendo quadri e foto ricordo: un po’ della vita passata che ci seguiva. E’ riuscita a fare dolci, pranzi natalizi, pasquali e patronali, a fare conserve e marmellate in una cucina minuscola. Come in un puzzle, ogni cosa deve stare al suo preciso posto, non c’è spazio per il superfluo. In questi lunghi dieci anni mi sono recato ogni giorno alla mia “vecchia” casa, attraverso il garage accedevo all’orto che ho coltivato con passione e amore. Quando l’hanno demolita ho capito che era finita una parte della mia vita. L’iter burocratico per la ricostruzione della nuova casa è stato lungo. Dopo otto anni dal terremoto abbiamo avuto il via per la ricostruzione dell’aggregato (insieme di più case sulla stessa via). La progettazione è stata lunga e sofferta, sia per le numerose ordinanze e la burocrazia del comune, sia perché è 38


difficile mettere d’accordo tante persone che hanno bisogni e aspettative diverse. E perché gli ingegneri, a volte, possono commettere degli errori. Io, che quando ero in America ho lavorato nell’edilizia e, tornato a Onna, ho impastato il cemento, fatto da carpentiere, elettricista e idraulico per farmi casa, ora, nel dover ricostruirla, ho avuto problemi con tecnici e ingegneri. Ho sofferto nel vedere spesso la superficialità nell’esecuzione dei lavori e ho sollecitato chi di dovere affinché ripristinasse al meglio. Forse, mentre leggete questo scritto, sarò già tornato in Via degli Oppieti 29b. Se mi venite a trovare vi offrirò un caffè all’americana e la torta preparata dalla mia Anita. Ha un profumo e un sapore buonissimo. Un caro augurio a tutti da Rodolfo Foresta e Anita Castelli.

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Raffaele Ludovici ONNA 2019 Nel 1204 appare per la prima volta il nome Unda e poi Onna che deve il nome all’abbondanza delle acque tra il fiume Aterno e il fiume Vera. Nel 1529 il principe d’Oranges assegnò il feudo a Lopez de Aspetias, poi il villaggio passò ai Carafa, ai Porcinari, agli Orsini e da ultimo al duca Di Costanzo. Nel 1927 insieme a Paganica fu inglobata con il Comune dell’Aquila. Si sviluppò una ricca nobiltà terriera come quella dei Pica Alfieri, Zuppelli e altri. Durante il Risorgimento fiorirono in Onna la Carboneria e la Giovine Italia. A Onna giunsero da Sestri Levante nel 1883 le suore di Maria Santissima Presentata al Tempio che si diffusero in Abruzzo con il nome di suore di Onna. All’inizio del 1900 nel villaggio erano presenti fornaci di calce e di laterizi, botteghe del legno. Sul finire del secondo conflitto mondiale, nel 1944, Onna fu teatro di un episodio di guerra in cui furono uccise 17 persone. 6 aprile 2009... un boato... solo al mattino al bivio di Onna l’immagine delle case del paese crollate... rabbia... timore... paura... dolore... emozioni che ancora oggi provocano turbamenti. Sulla base di una convenzione tra la Croce Rossa italiana e la provincia autonoma di Trento fu realizzato il villaggio che comprende 47 moduli abitativi (per 94 alloggi) sorti su un terreno messo a disposizione dalla famiglia Pica Alfieri in comodato gratuito. Solo nella primavera del 2014 sono arrivati i primi operai in via degli Oppieti e nel settembre 2015 sono iniziati i lavori del primo aggregato. A dicembre 2016 erano stati avviati 4 cantieri su 22. Ad oggi non si è in grado di stabilire tempi certi per il rientro della popolazione nelle proprie abitazioni e sussiste la necessità di permanenza di quest’ultima nei moduli abitativi provvisori. La ricostruzione avanza lentamente e molte perso40


ne del paese dubitano di tornare in tempi brevi nelle proprie case ricostruite. L’8 maggio 2016 è stata inaugurata la chiesa parrocchiale. “Alle 11.30 del 27 febbraio 2016 - scriveva Giustino Parisse - erano quasi sette anni che la campana taceva. E’ stata una piccola grande emozione. Nell’antica civiltà contadina il suono della campana scandiva le giornate. Oggi è la vita che ricomincia piano piano”. Quale vita ricomincia? Insieme al dolore per la perdita di persone care e alla sofferenza di vedere il proprio paese scomparso e sepolto dalle macerie rimane ancora un senso di vuoto e di terrore. Questo turbamento psichico produce reazioni comportamentali che inducono la persona ad adottare una strategia di sopravvivenza. Il villaggio viene abbellito con fiori e piante come reazione di adattamento per ristabilire l’equilibrio. Quando l’evento traumatico non viene più considerato dai media e per gli altri torna la normalità gli abitanti si sentono trascurati, hanno l’umore depresso e si sviluppa il senso di abbandono e di solitudine . Dov’e il nostro pinnerone? La nostra fontana? Il nostro forno? Le strade, la piazza, le facciate non sono solo luoghi fini a se stessi ma simboleggiano forme di vita, sono simboli sociali fondamentali per la costruzione dell’identita’ personale. Ogni luogo evoca ricordi personali e collettivi. E’ per mezzo dei significati che una persona contribuisce allo sviluppo del proprio io. Sono trascorsi 10 anni e rimane ancora la memoria lacerante del sisma ma anche il bisogno di costruire e ricordare. Onna risorgerà e avrà nuovi edifici, ma è bene che conservi le ferite perché da quelle le future generazioni possono rigenerarsi e far tornare l’identità di una comunità viva e operante. Novembre 2018 41


Marzia Masiello ... TERREMOTARE “SIGNIFICAR PER VERBA NON SI PORIA” L’Aquila quando sarà tutta ricostruita sarà bellissima. Così anche Onna. Intanto dieci anni di post terremoto mi hanno insegnato a non essere una fotografa edificante, né una cantrice compiacente. Passo da momenti di acuto sconforto a qualche giornata buona. Rifletto tra me. Sono sulla terrazza panoramica del Campidoglio, è il tramonto ed è San Michele. Oggi i pastori sono partiti dalla Basilica di Collemaggio per Foggia, e i colori sui Fori Imperiali sono una foglia di oro e rosa di buon auspicio. C’è una strana consonanza. L’aria ha una voce nuova e sa di vita. Ho in borsa il libro “Homo sacer” di G. Agamben e trovo su una panchina il libro “La violenza e il sacro” di R. Girard. Per scrivere oggi qualcosa di sensato, autentico, personale, ho chiesto consiglio tanto al Giudizio quanto al Cuore. Entrambi franchi. “Non ci sono mai due cose giuste” dice il Giudizio per cui o è tutto bianco o è tutto nero. “Se la ricostruzione a Onna è stata cosa buona va enfatizzata se è cosa cattiva va urlata”. Ricostruzione? Beh non esageriamo... piano piano... “Negli anni prima del terremoto il paese era diventato borgo, villaggio”. Non che prima non lo fosse, ma il fatto divenne coscienza collettiva, nel senso del sentirlo tale anche dal comportamento degli abitanti, solo negli anni Novanta. “Alcuni tratti dell’identità e della storia erano stati valorizzati... e così, durante la ricostruzione post sisma, sono stati ancor più apprezzati i ritrovamenti delle pitture e della struttura antica, ad esempio, della Chiesa”. Questo lo dice il Cuore, quel cuore che spesso siede con entusiasmo a Casa Onna, e ascolta chi, da fuori, ci sa 42


raccontare di noi. Penso, ad esempio, al caso di monsignor Orlando Antonini e al suo libro “San Pietro a Onna – architetture e vicende costruttive”. Uno strumento per riflettere e per crescere in orgoglio, per costruire il futuro cambiando il passato, potendo conoscerlo meglio. Quel cuore lì si sa stupire. Per lui ancora esistono le sfumature; e di quelle accetta tanto la rabbia quanto la compassione intesa come con-passione. Sono onnese per nascita, abruzzese di madre e di padre emigrato dalla Campania, da Sapri, di cui è famosa la patriottico risorgimentale “Spigolatrice” che narrava il fallimento dell’impresa anti borbonica di Carlo Pisacane “eran trecento eran giovani e forti e sono morti”. Transumante, tanto di natura quanto di locazione.Vivendo sul Tratturo Magno, quando torno a casa da Roma il mio punto di vista, parziale, si intende, parte, appunto, da quella striscia di terra un tempo larga 111 metri, il Tratturo. Zona di confine, zona dell’anima, al limite di ogni luogo e di ogni tempo. Sotto il tetto di casa nasce il nome e il senso del movimento “Tracturo3000, a work in walk”, una antichità che attraversa l’oggi e lo interpreta. A casa, chiamata un tempo “Taverna Piedi”, nasce la carta dei valori del Tratturo: dinamica, vivace, per i pastori antichi e nuovi, pastori di pecore, globe-trotter. Del Tratturo il cammino è il mezzo, l’evoluzione il fine. Si torna cambiati. Si lascia il Tratturo dopo avergli donato un pezzo di sé per abitarlo e per accompagnare il deserto, spesso desolato, di chi lo respira tutti i giorni, in mezzo alle colline, in mezzo alle fabbriche, in mezzo alle pianure sconfinate. Che poi non ho ancora ben capito se io ora vivo a Onna, oppure dentro il desolato nucleo industriale che poi è il fiorente nucleo commerciale di Bazzano... o semplicemente sulla statale 17. Comunque: dopo il terremoto l’orizzonte da casa mia è migliore. Lo Sky Line è ricco di variazioni, essendo stati spianati nel 2017 gli alberi che avevano da sempre ostacolato la mia visuale sul paese. Gli stessi alberi che delimitavano il terreno demaniale che un tempo era stato concesso a mio nonno una volta tornato dalla seconda guerra mondiale, perché lo coltivasse e 43


vi sfamasse la famiglia, poi passato a mio padre. Quel tripudio di frutta, verdura, noci, meli, peschi giapponesi, rose, tulipani, patate, grano, albicocche, ortaggi... certo era un gradevole accompagnamento, una éntrée specifica al paese, ma non era utile alle magnifiche sorti e progressive... e .... quanto all’affetto verso quel luogo, possiamo ben rimandare a letture più alte di queste: chi vuole può ben gustarsi “Il giardino dei Ciliegi”di Čekov. Da quando al teatro Colosseo interpretai il ruolo della serva del suddetto “giardino”, sto scrivendo pigramente “io e Dunjaša” (la serva, appunto); testo da cui emerge in più occasioni quella strana esclamazione del giovane lacchè Jaša, che è insofferente alle nostalgie dei vecchie ama tanto esclamare la parola “Imbecilli!”. Attenzione! Qui sta parlando il sarcasmo e, anche se sappiamo essere cosa volgare e disdicevole, il cuore contempla anche questo. E ad esso dà man forte il #tuttonero che ricorda quando un’opera ben più sensata avrebbe potuto esser proposta, in luogo del sottopasso effettivamente realizzato per far scorrere il traffico- verso dove, poi... Ma di danze se ne sono viste a iosa, portando, molte, addosso i nomi e i cognomi degli utili idioti asserviti all’adulazione e al potere, a volte chiaro a volte scuro. Dopo il sarcasmo arriva l’ironia... “e sopra lo cotto l’acqua bollita (sopra il cotto (cade) l’acqua bollente)... Ricorda a chi legge che non è bastato quel dispiacere, che era tormento per la cancellazione di un orto che era un affetto solo tuo ... e ci stava anche che in nome dell’evoluzione tutti se ne fregassero ... a quel sapore di fiele e di acido si è aggiunto il vomito per lo scempio incomprensibile: di un ingresso deturpato da un sottopasso pedonale pleonastico, eccessivo, ridondante; e la movimentazione di un traffico che impatterà sempre di più sul paese. Una umiliazione perfetta alla bellezza semplice della natura. È come aver avuto una piccola Monna Lisa e averle detto “adesso ti sfregio io per bene, prima che Leonardo ti faccia la festa.” Questi dieci anni sono serviti a farci cuocere nell’acqua come 44


rane bollite. Questa è la verità. È la mia verità, ci mancherebbe. E ciò che fino ad oggi è stato fatto secondo me è stato poco. In questo essere uccidibili, uccisi e sacri siamo diventati prima eccezionali poi normali, alcuni tra le vittime, altri tra i carnefici, alcuni tra la massa altri in gruppo, alcuni rassegnati a sopravvivere altri decisi a ricominciare. Siamo diventati prima un po’ morti, poi un po’ vivi, poi un po’ mitologici. Ma in tutto questo abbiamo precorso i tempi e siamo stati la grande metafora delle macerie di un Paese, l’Italia, soprattutto quella delle così dette aree interne, che fa fatica a riconoscere la sua grande forza, i suoi riti, la sua antropologia, il suo dna, la sua volontà. Siamo stati la prima frontiera delle calamità naturali che oggi fanno la guerra con le migrazioni. “Aiutiamo più gli sfollati di casa nostra o più i negri che sbarcano qui e che, vestiti, lavati e profumati, se ne vanno in giro a delinquere?” Istruzioni per l’uso e l’interpretazione di questa frase: lì parla a vanvera l’ignoranza. Oppure parla l’uomo che fa parte di quei cinque milioni di poveri assoluti che non arrivano a fine mese. Oppure parla la pancia di quanti sono bloccati e introflessi, tutti pieni e orgogliosi della loro personalità immutabile. Un mondo diverso è possibile. È possibile una terza via. Considero spesso insieme i migranti ambientali di quei paesi lontani lontani, e noi, che abbiamo pure fatto una migrazione legata al territorio. Per qualcuno questo è “accocchiare” – ovvero fare un gran pastrocchio _ in quanto le due categorie, per genere numero e caso, hanno specificità molto lontane tra loro. Io non concordo. Ricordo il momento esatto in cui iniziò a farsi strada in me tale esigenza di “mettere insieme” le due specie e di spingere sempre più verso una macro categoria di umanità. Ero a Roma per intervenire al dibattito sul documentario“Daesh” (Isis), di Gianni Sartorio, sui Peshmerga, combattenti contro lo Stato Islamico. L’accoglienza dei profughi e le dinamiche di quei campi non sono affatto diverse dai campi allestiti per noi sfollati italiani. Se i motivi dell’allontanamento da casa sono diversi, gli effetti prodotti sono gli stessi. 45


Se siamo dentro il creato per abitarlo, viverlo e restituirlo migliore, allora abbiamo forse tutti lo stesso diritto di accesso alla terra come bene comune; come abbiamo tutti lo stesso obbligo di averne cura e rispetto. Certamente le regole sono importanti. I criteri con cui mettersi d’accordo pure (i criteri con cui mettersi d’accordo per prosperare, non per ammazzarsi gli uni gli altri). “Adesso non ci si capisce più niente. Lo scontro ideologico è troppo alto. Mancano l’attesa, il dialogo, il desiderio dell’utile e del buono”. Parla lo scoraggiamento. “Le politiche degli ultimi anni hanno prima creato le gabbie, poi ci hanno messo dentro l’attesa, e fuori dalle gabbie ci hanno messo come carcerieri i legittimi proprietari di quell’attesa”. Benvenuta signora contestazione. “Siamo lì. Dentro le Gabbie. Io sono lì. Mentre do le spalle alla mia ombra ed evito di parlare persino con me stesso, perché per ora è meglio non farsi domande.” Questa è Depressione – se qualcuno la conosce, gli mandi un po’ di Gioia (cito il film “Inside Out” da vedere, se non altro per farsi due risate). “Occorre sopravvivere. Meglio la mia vita che la tua”. Ecco, ci mancava il signor #stabeneroccostabenetuttalarocca. C’è un libretto edito da Minimum Fax che a tal proposito mi sento di suggerire. Autore George Saunders, titolo “L’egoismo è inutile – elogio della gentilezza”. Scrive Saunders “c’è un equivoco in ciascuno di noi, anzi, una malattia: l’egoismo. Ma esiste una cura...” Poi, in fondo, di tutto questo gioco qualcuno decide di comunicare sui media solo gli aspetti emergenziali. Ma quanta umanità e quanta bellezza in mezzo al caos! Se penso al percorso interiore che a ogni essere umano la vita concede di fare... soprattutto nei momenti di difficoltà mi vengono i brividi. Vero è che il rischio di arrendersi è costante e continuo. In dieci anni ho imparato a ridimensionare il livello di aspettativa. Sono stata nominata portavoce della popolazione nelle ore successive alla tragedia. 46


Non per merito ma perché i saggi naturalmente referenti erano purtroppo trafitti dal dolore, il dolore, della perdita di figli, di padri... La scelta cadde su di me, in quanto donna e in quanto impegnata nel mondo delle oggi tanto odiate ong. Imparai a mie spese cosa significhi la solitudine del re. E altrettanto conobbi lo spartiacque tra il coraggio e la paura. Non per essere coraggiosa ma per essere paurosa. Fu tra i miei demeriti aver fortemente voluto la Onlus di cui sono stata co-fondatrice e che nel tempo breve si è trasformata in uno straordinario collo di bottiglia che ha strozzato ogni capacità e voglia di partecipazione della cittadinanza, legittimando la voglia di disimpegno, della auto commiserazione e della rabbia silenziosa. Alla divisa di consigliere associativo sono state affibbiate più colpe che pregi. Tra i membri direttivi ci sono veri eroi ed eroine. Impercettibili esempi di umanità e di servizio al bene comune. E non accuso nessuno, se non me stessa, per aver tradito la fiducia di alcuni. Cito Pio L. ed Elisabetta B. per tutti: lei una sera, un paio di settimane dopo quella notte, mi disse: tu sei il capo noi seguiamo te. Camminava tre metri dietro le mie spalle - e io dissi NO. Ebbi paura. Non la guardai. Avrei dovuto rinunciare al mio lavoro a Roma. Avrei dovuto combattere con i maschi, adulti più di me, locali più di me, per detronizzare successioni feudali. Su quel terremoto più di qualcuno ha imposto il suo ius primae noctis in maniera tanto insipida quanto aberrante. Tra i rantoli e le bestemmie dei padri e delle madri che hanno latrato e ancora latrano rantolano e bestemmiano, in dignità e silenzio, piangendo la memoria dei figli, l’insipienza e la viltà hanno falciato quelli e altre vittime, a mano bassa. Col senno di poi riconosco di aver intuito che non avrei avuto la saggezza per essere il capo di cui aveva bisogno Elisabetta. Ma mi pento comunque di non averla saputa rassicurare, generando speranza anziché sconforto. 47


“Ma altri invece sono stati gesti regali.”... parla il Cuore... come è tenero a volte. Da quella notte la forbice tra il bianco e il nero si è dilatata per alcuni versi. Non c’è più molto margine di compromesso fra occhi consapevoli e occhi corrotti, fra la dignità e il tradimento. Forse. Per altri versi il bianco e il nero si sono sovrapposti offuscando tutto. “Nunc est bibendum”... è diventato un triste puttanaio di valori, sentimenti, emozioni confuse. Soprattutto, di quegli adolescenti del 2009 mi chiedo cosa ne ho fatto. Niente. E se si sono salvati lo hanno fatto da soli o grazie alla caparbia delle loro madri “Madonne vestite a lutto con le sette spade dei sette dolori confitte nel seno” (Ennio Flaiano, lettera a Pasquale Scarpitti sull’Abruzzo). Ho abdicato davanti a Elisabetta nella presunzione che avrei potuto dare un significativo contributo da fuori. Per portare dentro nuove energie e per testimoniare fuori: cosa? La resilienza? Il niente? 6 aprile 2012 scrivo di getto La ballata del sentimento glocale. In essa parlo delle vittime di Sarajevo e delle vittime del terremoto. Quel giorno ci fu un concerto per ricordare il ventennale dall’assedio della città da parte delle milizie serbe. Furono disposte 11.541 sedie rosse, a memoria delle persone uccise. Seicento quarantatré erano sedioline, coperte di fiori e giochi. Un concerto, su Ulica Maršala Tita, la via principale, di fronte a una interminabile striscia rossa di sedie vuote. Piene di quelle cose che solo i muscoli spaccati possono vedere e sentire. Essenziali. 6 aprile 2016. Proietto in Senato Habitat di Emiliano Dante. L’arte ci può ancora salvare. La bellezza ci può ancora salvare. Il senso dello stato e di servizio ci possono ancora salvare. Dopo il sisma del 2016 porto con Ai.Bi. a Montereale il progetto “Un Paese ci vuole”... nel continuo tentativo, fatto di alti e bassi, di ritrovare una via verso casa, verso Onna, verso il paese mio e di mio nonno, Michele Ettorre, scendendo qui attraverso il paese di mia nonna materna, Caterina Di Marcantonio, nata a Fiugni, frazione di Cagnano Amiterno. 48


Ho desiderato e lavorato affinché nell’immaginario comune, e dunque nel masterplan della ricostruzione di Onna, entrassero piste ciclabili, una economia agricola fiorente, pastori messi in condizione di far crescere le loro economie familiari, un treno con una stazione deliziosa che rivitalizzasse la memoria del nostro vecchio casellante, Lorenzo Chiavelli, poeta e narratore di storie, un luogo che parlasse della sua acqua, delle sue fontane, dei suoi lavatoi, del suo fagiolo che ha avuto tanto osanna e tanto lustro... un luogo dove venissero censiti i talenti oltre ai bisogni di tutte le famiglie. Con Eliese Steiner, moglie dell’ambasciatore tedesco, avevamo persino immaginato un caffè letterario, una orangerie dove contadini, operai, filosofi e poeti potessero incontrarsi. La struttura poteva essere un collegamento – corridoio tra il vecchio asilo e la vecchia scuola, tra la Casa della Cultura e Casa Onna. Ho sognato un luogo in cui il nucleo industriale-commerciale fosse perfettamente integrato con il borgo e con la natura. Dopotutto cosa ci vuole a bonificare le aree di risulta a piantare rose, mettere panchine, punti d’acqua, alberi, piste sportive ... “Marzia, cresci, è ora di finirla con questa storia di Onna paese degli orti, giardino fiorito, pecore...” Così fui zittita in una riunione ai vertici in cui chiedevo a Fs una compensazione per il paese rispetto allo sfregio che sarebbe stato imminente. Non è facile rimuovere la puzza delle stalle che saliva dal pian terreno, mentre noi abitavamo al piano di sopra. Questo scenario era ancora vivo il 5 aprile 2009, a via della Colonna, dove c’era casa di mia nonna e dove ho abitato i miei primi otto anni di vita. E invece che rimuoverla, quella puzza, ne ho capito negli anni la grandissima forza. Uscire di giorno, d’inverno, da casa, per andare a fare i bisogni al piano terra. Proprio accanto alle stalle dove Gervasio e Pasquale avevano le mucche, il fieno, il cavallo... vuoi mettere che goduria la tinozza per il bagno d’inverno davanti alla stufa a legna, da cui saliva l’odore delle mele cotte: spero che ora, che non puzziamo più di sterco, riusciamo a ricordare che da lì comunque nascono i fiori. Se non altro perché l’agricoltura è un grande inve49


stimento sulla lunga durata di questo mondo, di questa Madre Terra, Laudato Sì. È il Cuore a farmi sorridere e a farmi cantare e citare, allo stesso tempo, l’enciclica di Papa Francesco: in fondo i miei anni di infanzia sono molto più vicini a quelli di mio nonno che a quelli di mio nipote Filippo che ha poco più di un anno. Avevo desiderato che i rapporti si instaurassero in serenità e in trasparenza, con voci chiare, con riunioni chiare, con possibilità di accesso per tutti alle informazioni. Poi ho imparato a capire che io ero stata superba, che non mi ero saputa spiegare, che avevano ragione gli “altri”, che c’è un iter da seguire... in quanto femmina, in quanto giovane, in quanto fuori campo durante l’emergenza, in quanto lavoratrice fuori sede, in quanto (privilegiata) rientrante nelle norme di ricostruzione delle periferie..., ho imparato che c’è l’iter ed essendoci prima lui, devi metterti in fila, saper stare al tuo posto e tenere a bada parole e sogni. Ma chi sarà mai questo Iter così importante da far aspettare dieci anni, così grasso, lento e ciccione che i miei genitori hanno deciso di delocalizzare, lasciare all’Iter la casa a Onna e prenderne un’altra a Sant’Elia... Chi sarà mai questo Iter così mangione che s’è mangiato la mia lingua e quella di tanti... con cui abbiamo fatto serate e discussioni appassionate... e che poi se ne sono andati, me inclusa, chi facendo le spallucce, chi preso dal timore, chi dal dispiacere o per la frustrazione di non saper che fare... Ho smesso di scandalizzarmi. Ho smesso di chiedermi perché Onna non sia diventata il laboratorio, la buona prassi di una piccola ricostruzione. Ho smesso di proporre. Tutta l’Italia era accanto a Onna. Perché siamo ancora qui? Perché gli onnesi sono ancora nel villaggio provvisorio? Dieci anni non sono tanti nella storia dell’evoluzione umana. Per un essere umano sono il tempo di una vita che nasce, cresce, si forma. Dieci anni sono L’Aquila, Amatrice, Norcia, Genova, i barconi, tre legislature dalla XVI alla XVII, sei Governi: Berlusconi, Monti,Letta, Renzi, Gentiloni, Conte. 50


Dieci anni sono stati anni di rabbie furiose e di parole gentili. Di abbandoni e di sorprese. Dieci anni sono bastati per inflazionare parole come giustizia, bellezza, famiglia, comunità, accoglienza. E mentre la parola ha diminuito il suo fascino, si è deflazionato il denaro. Il suo potere di acquisto è aumentato in maniera sproporzionale. Tutto diventa acquistabile. Tutto ha un prezzo nell’opinione comune, nel sentimento diffuso di una corruzione diffusa di una coscienza di massa diffusa – opinioni - veleno che spesso si diffondono nei social network. Ma sono fiduciosa e sono certa che presto impareremo, a nostre spese necessariamente, che l’intelligenza artificiale così come la rete o saranno governati dall’etica o saremo pronti per l’autodistruzione. Al momento ci tocca la perversione degli algoritmi digitali per cui spesso ci illudiamo di governare la Parola, mentre la stiamo annientando, annientando noi stessi. Ci stiamo annientando credendo di essere infelici. Per una ricostruzione che non arriva mai alla fine, perché sono tutti corrotti perché piove governo ladro.... Perché perché perché.. Quanti cambiamenti in dieci anni. Allora abitavo in via dei Martiri. Per tanto tempo era un snc, senza numero civico. Poi ci assegnarono un bel numero sette. Oggi se potessi scegliere il nome della via in cui abito sarebbe via della Corrente. Tutto scorre. Tutto si trasforma. Niente si distrugge. Sono stati anni di un amore pazzo per Onna, alternato all’odio. A Onna tra i vari progetti, percorsi, gioie, ricordo tre cose con grande intensità. La prima è un momento diventato memoria: il momento in cui con i vigili del fuoco prelevammo la campana della chiesa di Onna. Quando fu posta sull’autocarro per essere portata via esalò un vero ultimo respiro prima di risorgere tanti anni dopo. Fu atroce. Il mio grazie al vigile del fuoco Gianluca Graniero che mi tenne in piedi mentre mi si spezzavano le gambe e il fiato. La seconda è un momento diventato storia: con l’Ambasciatore Michael Steiner decidemmo che la ricostruzione dovesse ripartire dalla chiesa – eravamo sotto una tenda. 51


Lui, Vincenzo Angelone presidente della Pro loco di Onna ed io. E fu un momento di grande commozione. La Germania che aveva seminato Martiri e distruzione a Onna nel 1944 ora veniva a portare pace. “E il Verbo si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi” (Giovanni 1, 14)... La terza è una cosa che è diventata tempo: si tratta del solo albero sopravvissuto tra quelli piantati da nonno Michele, tra le altre cose guardiano del paese e bidello presso la scuola di Onna, dove ora sorge Casa Onna... “Tutti dovrebbero sapere, anche tu, che quando un albero cade, in un bosco, dà spazio a piccoli alberi di crescere.” Mi dice il Cuore e mi accarezza la testa. Quell’albero dietro alla fontana della vecchia Parisse è il mio collegamento ipertestuale al mio paese. “La natura non é mai cattiva... Dopo essere stata bruciata Roma ha raggiunto la massima bellezza nella ricostruzione...” mi dice il Giudizio #tuttobianco e anche lui mi accarezza la testa... #tuttonero ci mette una zeppa a suo modo “ E di quei trecento, che eran giovani e forti?” Provoca... Mi converrà riflettere ancora su come ogni essere umano possa scegliere di migliorare se stesso e superare i conflitti, le guerre, le pochezze della propria anima, i lutti, coltivandola visione del futuro, la gentilezza, la potenza, la volontà, la legge, l’armonia. Quanto a me... che non so se è sempre il caso di enfatizzare o di urlare... Consapevole di aver ceduto alla tentazione di lasciare traccia di questa mia storia... “Me ne torno ogni mattina a transumare, avendo quei trecento dentro al cuore”.

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Luigi Nardecchia Marzolo ONNA, 6 APRILE 2009 - 6 APRILE 2019 La sola parola “terremoto” provoca paura, se poi ci si trova a viverlo è un’ esperienza terribile. Quando accadeva in altri luoghi, mi sentivo triste per la tragedia che aveva colpito le persone, anche se lontane e sconosciute; il 6 aprile 2009 il terremoto si è verificato con tutta la sua violenza proprio nel nostro territorio, ci ha portato via amici e parenti, ha distrutto le nostre case e sconvolto le nostre vite. Tutti siamo partecipi del dolore di tante famiglie e noi superstiti, scampati a quel disastro, terremo sempre nel nostro cuore chi purtroppo non c’è più e pregheremo per loro. In questi dieci anni, il ricordo costante di quanto accaduto quella notte si è affiancato alle faticose procedure per la ricostruzione; dopo tante difficoltà diversi cantieri sono attivi, ma ancora molte zone del paese sono ferme e spero che quanto prima inizino i lavori anche lì e che tutti noi onnesi possiamo riavere finalmente nostro paese anche se non sarà mai più lo stesso.

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Margherita Nardecchia Marzolo ONNA, 6 APRILE 2009-2019 Nella vita di un uomo, dieci anni possono rappresentare un attimo o un’eternità: se siamo felici il tempo vola, se abbiamo una pena, un dolore, il tempo ˗ pur inarrestabile ˗ non passa mai. A Onna sono trascorsi dieci anni dalla notte che segnò un Prima e un Dopo. Prima eravamo una comunità piccola, parentale, stretta nei vicoli e nelle semplici case ereditate e ritinteggiate, ognuno sapeva dell’altro (nel bene e nel male), la domenica tutti ˗ o quasi ˗ a messa. La festa della Madonna delle Grazie era motivo di orgoglio e partecipazione commossa. Per i vicoli si poteva indovinare, dagli odori, il pranzo della festa. Fuori le case, i fiori e la panchina per spettegolare della giornata o del sentito dire, le corse in bicicletta dei ragazzini, il pallone che finisce sotto una macchina posteggiata proprio dove non dovrebbe, ma “tanto mi chiamano se debbo spostarla”, il gocciolare delle fontanelle che la sera fa eco nella piazza, le pecore che rientrano nella stalla attraversando la strada... pulita, le risate e i primi amori aju pinnirò, la voce di una mamma che chiama per la cena. Il diploma, la laurea, mete condivise con malcelato orgoglio. Quando sul paese scende la sera e ognuno nel suo rifugio pensa alla giornata trascorsa, al da farsi del domani e il sonno ti rende inerte e debole... accade che ti ritrovi nel Dopo. In quel Dopo molti non ci sono più, quelli che invece dovevano esserci perché giovani, non c’è più nulla del Prima se non la disperazione della morte. Eppure il paese, circondato da tante mani tese all’aiuto, riesce a far corpo, a proteggere i sopravvissuti, a ridisegnare un futuro e a vivere il presente. 54


Il paese diventa un villaggio di Map, ogni famiglia ha la sua casetta con tante comodità che molte prima non avevano, ognuno si richiude lì, con l’illusione di aver riconquistato la vita. Oggi le macerie di troppe case sono ancora lì, che guardano pensierose il villaggio; molte, troppe sono coperte di erbe e alberi. Pochi cantieri scandiscono con il rumore dei mezzi le giornate immobili. Ci siamo abituati a vivere questa realtà. Il Dopo è ora. In questi lunghi dieci anni, se è sceso un velo che avvolge il ricordo della sofferenza, il desiderio di andare avanti è diventato spesso ingordigia. Non ci basta una casa ricostruita antisismica. Accanto ad una burocrazia macchinosa, soffocante ed estenuante, spesso si rincorrono i tecnici e gli ingegneri che, oberati dei tanti progetti accaparrati, a volte sono assenti nelle necessità del singolo. Si sottoscrivono dichiarazioni fantasiose, si rincorrono e si cercano ditte che potrebbero forse darci “il di più” . Ora è il momento di avere il tutto e se per tutto rischio di ritardare l’inizio lavori del mio aggregato pazienza, sono solo passati 10 anni e la colpa non può essere solo mia. E intanto, i bambini di Prima sono giovani ragazze e ragazzi, i nati Dopo hanno 10 anni, li accomuna la mancanza di storia, l’assenza di legami e conoscenze del Prima, la mancanza di radici e tradizioni, l’indifferenza verso il nuovo Paese. Un paese che rischia di avere case con “il di più”, ma non l’anima di una comunità. Dieci anni sono una eternità per chi vive nel ricordo, sono niente per chi non ha più radici!

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Rosita Nardecchia Marzolo SISMA 6 APRILE 2009 – 6 APRILE 2019 Non mi è facile esprimere pensieri ed emozioni sul dramma del “nostro” terremoto, a distanza di dieci anni sento che il lutto, dentro di me, non è stato ancora elaborato e penso non lo sarà mai... Pur non avendo perso affetti parentali, ho perso amici, conoscenti, paesani... il meraviglioso puzzle della Vita di cui faccio parte e ove il Signore mi ha destinata, non è più lo stesso senza di loro... Il mio paese sta pian piano risorgendo più forte di prima e sarà certamente, diversamente, molto bello, ma il fascino delle mura antiche, vissute, testimoni della quotidianità nostra e dei nostri antenati, è ormai perso per sempre; gli odori, i profumi e persino i rumori nei vicoli, verranno recepiti, a livello emozionale, diversi dal “prima”; ciò che era prima del terremoto vive in me, con me, fa parte del mio sentire... del nostro sentire... in una straziante e dolce malinconia... Come testimoni viventi, abbiamo il dovere di raccontare alle nuove generazioni, che non conoscono il “prima”, come era il nostro paese, le persone e i particolari che nel tempo lo hanno caratterizzato... gli scalini di pietra, dove ci si sedeva nelle sere d’estate, a raccontarsi la vita tra amici o semplicemente a respirare l’aria profumata di fiori e fieno sotto un cielo stellato che, silenzioso, ospitava i nostri pensieri... ...l’odore del fumo dei camini accesi in inverno, quando la “strina”, gelida, correva tra i vicoli stretti... e tanto... tanto... tanto altro ancora... Abbiamo inoltre il dovere di raccontare loro il dramma del nostro terremoto, la grande solidarietà ricevuta da ogni parte, l’impegno tangibile del popolo tedesco per il nostro paese, al fine di tramandare la memoria di quanto accaduto e renderli quindi, cittadini consapevoli e responsabili...

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Nel ripercorrere con la mente il terremoto, il mio pensiero va agli anziani, alla resilienza con cui hanno affrontato questo dramma, adattandosi a situazioni estreme per la loro età, mostrandosi teneramente fragili e forti insieme. Sebbene impregnati di dolore e sentimenti nostalgici, è necessario ricominciare a sperare e soprattutto trasmettere la speranza ai giovani, guardare avanti impegnandoci tutti nel ricostruire un futuro migliore, non solo con abitazioni sicure ma anche con la rinascita di una vita sociale e spirituale, dove sperimentare i valori autentici della nostra esistenza. Emozioni del mio cuore dedicate a tutti noi del 6 aprile 2009. NATALE Tornerà il Natale con le sue atmosfere le sue gioie le sue malinconie... e troverà noi ancora oggi e sempre testimoni del dolore nostro e altrui generazione assunta alla sofferenza che si consola solo nel silenzio della capanna lontano da ogni altra luce effimera. NOTTE Gli occhi al cielo persi nel tombolo di luci siderali respiro l’aria umida di pioggia odorante di polvere bagnata I piedi, fermi, tra sampietrini sconnessi e tutt’intorno il silenzio profondo di una notte che lenta... va incontro al giorno. 57


Piera Nardecchia Marzolo DIECI ANNI Dieci anni. Cosa sono dieci anni nella vita di una persona? Certo non poca cosa: in dieci anni chi era solo un neonato impara a camminare e a parlare, frequenta la scuola primaria, crea un suo mondo di esperienze, conoscenze, affetti, amicizie, relazioni con la realtà che lo circonda. Un bambino di dieci anni invece si ritrova giovane ventenne, ha iniziato l’università oppure ha un lavoro o lo sta cercando. E così via, di dieci in dieci, scorrono le età della vita; si passa ad esempio da 80 anni a 90, come mio padre, che ha appunto compiuto 80 anni qualche settimana dopo la fatidica notte del 6 aprile 2009. Eppure, dieci anni possono non essere abbastanza se si parla di terremoto: non sono stati abbastanza per dimenticare le sensazioni provate quella notte; non sono stati abbastanza per mitigare qualcosa che resterà indelebile e immutabile, cioè il dolore per la perdita di persone care, amici, compaesani, conoscenti; non sono stati abbastanza per ricostruire L’Aquila, Onna e tutti gli altri centri colpiti pesantemente dalla forza devastante della Natura, che, nostro malgrado, segue le sue leggi. Non si può non pensare, con affetto e profonda tristezza, alle tante, troppe persone, che non hanno potuto vivere questi dieci anni, nel bene e nel male, soprattutto ai numerosi giovani, bambini, ragazzi, a cui è stata tolta la possibilità di crescere, di costruire la propria esistenza, di sognare, di realizzare le proprie aspirazioni. La loro mancanza ci ha accompagnato e ci accompagnerà sempre, e forse la sentiremo ancora di più il giorno che torneremo a popolare il nostro paese. Dieci anni sono trascorsi via veloci e nello stesso tempo faticosi, tra i tentativi di rimettere ordine ciascuno nella vita che gli è stata risparmiata, l’adattamento alla situazione di prolungata provvisorietà, le battaglie per la ricostruzione, la necessità di districarsi tra burocrazia, ditte, ingegneri, uffici pubblici, consorzi, tutto per arrivare a riavere una casa “vera”, e possibilmente “sicura”, un paese “vero”, una città di nuovo 58


vivibile, perché la vita, come si sa, deve andare avanti... Infine, vorrei dire dei “grazie”: grazie a quanti si sono prodigati per soccorrerci, arrivando da ogni parte, senza risparmiarsi e, quella notte, non hanno riso, ma si sono attivati per noi; grazie a quanti stanno lavorando per la ricostruzione in scienza e coscienza; grazie a chi non dice:” ti stanno rifacendo la casa nuova... non sei contenta?”; grazie ai familiari di chi non c’è più, per l’esempio che ci danno ogni giorno da dieci anni con la loro compostezza, la loro forza, il loro impegno per la comunità in vari settori.

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Francesco Paolucci Il vento suona delicato in un fitto pioppeto, appena fuori un piccolo paese; vicino ad un fiume ecco le luci di un’ alba clemente nel caldo mese di luglio; delle figure vestite di bianco, uomini, donne, ragazzi ed anziani, camminano lente sull’erba ancora bagnata dall’umidità del mattino; una musica, un coro, un dolce lamento si diffonde, riempie l’aria e guida questo gruppo di persone verso il centro storico del paese, verso la chiesa di San Pietro Apostolo di Onna. Come in un sogno queste figure sono indefinite e si confondono tra una leggera foschia e il bagliore della luce del sole. Chi sono queste persone? Queste anime, queste figure guidano tutto. Ecco le prime parole e le prime immagini venute fuori durante il primo incontro con Giustino Parisse, ormai più di un anno fa, quando mi ha proposto di realizzare un documentario per raccontare Onna alle porte del decimo anniversario dal sisma del 6 aprile 2009. Questa immagine forte e leggera allo stesso tempo è stata la lanterna che mi ha guidato durante tutto il lavoro. Un cammino appassionante, non semplice e ancora da completare. Un cammino non semplice per diversi motivi. Alcuni legati al mio rapporto personale con il paese e altri di carattere prettamente professionale. Forse i due aspetti sono connessi e provo, brevemente, a spiegare il perché. Il mio primo contatto forte con il paese è stato durante la realizzazione della docu-fiction sull’eccidio nazista “Onna 44” nella quale ho interpretato uno dei ragazzi onnesi che andava riprendere il cavallo rubato dai tedeschi. Ero giovane, mi dilettavo con modesti risultati come attore, era il 2004. 60


Poi il 6 aprile 2009. Alle 10 di mattina entro ad Onna dalla via di Monticchio. Una lunga crepa sull’asfalto taglia trasversalmente la strada, un uomo sui sessant’anni con un gilet amaranto e un cappellino blu con la visiera parla al telefono, racconta a qualcuno cosa è accaduto facendo un elenco di persone ferite e decedute. Nel tono sostenuto della sua voce la rabbia e al tempo stesso un sentimento al quale tutt’ora non saprei dare un nome; finita la telefonata si gira verso di me, portavo una piccola telecamera, e comincia a parlare come un fiume in piena: “... ondulatorio, sussultorio... ha fatto di tutti i tipi sto’ figlio di puttana. Guarda quanto si è abbassata la strada... guarda... si è abbassata di trenta centimetri...”. Poi un elicottero rumoroso sulla testa, il cartello bianco con scritto Onna e sullo sfondo il Gran Sasso ricoperto di neve, un cielo troppo blu, un uomo anziano seduto con la testa tra le mani su una sedia in mezzo alla strada e in lontananza qualcuno che si allontana con una coperta sulle spalle trascinando un trolley. Poi ho spento la telecamera per accenderla di nuovo un mese dopo. Quel giorno ero un giovane giornalista praticante che stava di lì a poco per finire una scuola di giornalismo. Conoscevo persone ad Onna e quella mattina venni a sapere che non c’erano più. Sono trascorsi dieci anni e torno ad Onna quasi come fosse un appuntamento lasciato in sospeso a raccontare e a raccontarmi. Sono un giornalista, ma sono anche un terremotato e mi riconosco negli sguardi delle persone incontrate per le interviste, ogni parola mi risuona come un’eco, il dolore e la voglia di riscatto appartengono in qualche modo anche a me, o meglio appartengono al racconto collettivo e condiviso che arriva a toccare i dieci anni. 61


10 anni. Sono tanti? Sono pochi? Un istante, il 6 aprile sembra ieri. Dall’istante successivo sembra essere trascorso mezzo secolo. Ho sempre pensato al “tempo” dopo il terremoto come ad un mantice di una fisarmonica, ora più aperto, ora più chiuso e dentro a questo mantice il “dolore”. Un dolore difficile da comprendere e da raccontare: “Ogni giorno per noi è il 6 aprile. Chi ci guarda da fuori potrebbe pensare che sia tutto passato e, vedendoci sorridenti, che il dolore si sia alleviato. Non è così. Il dolore non passa. Ma andiamo avanti e cerchiamo di percorrere la strada che loro, le persone che amavamo e che non ci sono più, hanno tracciato. Dobbiamo andare avanti e dobbiamo farlo anche per loro”. Queste le parole di una delle persone intervistate e poi ancora: “Chi è stato toccato direttamente dal dramma del terremoto ha un’energia in più. Per forza! Non reagire sarebbe come abbandonare i propri cari”. Poi c’è lo “spazio”, il luogo o meglio i luoghi. Uno di questi il villaggio provvisorio: “Quando sono arrivata alla mia casetta mi sono messa a zappare il terreno. Ho pulito tutto il pezzettino davanti alla mia nuova piccola casa. Ho cominciato a mettere i mattoni, mi sono fatta il vialetto, ho cominciato a mettere i fiori perché avevo visto tanto buio e volevo vedere i colori. Quei colori mi aiutavano a digerire quello che mi era capitato. Tutti, poi, passando davanti casa si fermavano e guardavano, forse all’inizio qualcuno mi avrà preso anche per matta, però poi mi hanno imitata tutti e io di questo ne sono stata felice”. I piccoli e curati giardini, infatti, sono la prima cosa che si nota percorrendo “Via del Volontariato”, “Via della Ricostruzione”, Via della Comunità di Onna”. Di fronte al villaggio, a qualche centinaia di metri, il paese o quello che resta. I segni della ricostruzione sono ancora impercettibili: “Non vedo l’ora che ricostruiscano casa e non vedo 62


l’ora di riprendermi un caffè dentro casa mia, fatto a modo mio, perché il caffè nella casetta di legno ha un altro sapore. Non so spiegare perché, ma non è la stessa cosa”. Intanto, sul sagrato della chiesa di legno, mentre dentro si svolge la messa, i bambini di Onna giocano a pallone e a nascondino. Francesco Paolucci Giornalista e documentarista

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Paolo Paolucci La scossa ci ha colpiti nel sonno. Ci fu prima un boato fortissimo e poi un movimento pazzesco. Siamo usciti dalla nostra casa danneggiata, spaccata in quattro, per fortuna il tetto non è caduto e quindi siamo riusciti a metterci in salvo con le nostre gambe senza neanche un graffio. Siamo usciti da una fessura che si è aperta su una parete saltando sui tetti delle altre case buttate giù. Ho lasciato i miei in uno spazio e ho detto a mio figlio “stai attento a tua madre”. Mi sono avvicinato alla casa di mia madre ma già a 30 metri di distanza, nonostante il buio, ho visto che l’abitazione dove sono nato non c’era praticamente più. Ho pensato. “Non ce la possono aver fatta”. Mi sono arrampicato sulle macerie, c’era un odore terribile di gas, sono salito fin quasi all’altezza della camera da letto. Chiamavo “mamma” “Gabriella” - mia sorella - ma non mi rispondevano. Ho aspettato un po’ e ho ricominciato a invocare i loro nomi ma niente.... In un attimo, in quella confusione assoluta, ho sentito fisicamente addosso la mia lucidità, ho capito che era inutile pensare ai morti dovevo concentrarmi sui vivi o almeno su quelli che sapevo fossero vivi. Dopo aver aiutato loro e i feriti mi è venuta in mente la nostra chiesa, la nostra Madonna. Noi di Onna quando diciamo “la Madonna” intendiamo la statua in legno, un’opera d’arte meravigliosa della fine del 1400 conservata nella chiesa del paese. Era protetta da un sistema di allarme elettronico e davanti aveva un vetro blindato. Onna era uno dei pochi luoghi in Italia dove potevi lasciare le chiavi attaccate alla porta e stare tranquilli. Però per la nostra Madonna abbiamo voluto eccedere in sicurezza, temevamo che qualcuno ce la potesse rubare. Arrivato davanti alla chiesa ho visto che non sarebbe stato facile entrare. Si passava solo tra le macerie, un brivido ha percorso tutto il mio corpo poi con i vigili del fuoco di Roma mi sono avvicinato di più per vedere meglio. Tutto era crollato, i pompieri mi chiesero come era la planimetria della chiesa e dove fosse ubicata la nostra Madonna. Quando siamo entrati abbiamo visto tutti i santi menomati, in pezzi, ma lei, 64


la Madonna delle Grazie, era al suo posto solo con la polvere addosso. Recuperata e spolverata, la statua fu messa in un container per essere trasferita in luogo sicuro. Il 10 maggio 2009 dovevamo festeggiare come ogni anno la nostra Madonna. Ho chiesto alle autorità competenti che ce la lasciassero almeno per il giorno della festa. La dottoressa Veronica De Vecchis dei Beni culturali mi disse che non era possibile, era stata già imballata e doveva essere messa al sicuro al più presto. Penso di essermi messo a piangere, non potevamo fare la festa senza la statua. La dottoressa si è commossa e ce l’ha lasciata fino al 10 maggio. Mi incontravano delle persone di Onna e mi dicevano: caro priore della Congregazione senti un po’, ma tu che stai sempre in mezzo ai Santi e con la Madonna puoi chiedere loro dove stavano la notte fra il 5 e 6 aprile? Io posso solo raccontare quello che è successo a me: siamo usciti in quattro da casa senza nemmeno un graffio, ho fatto su e giù dai tetti scalzo per ore e non ho nemmeno una scheggia nei piedi, ho scavato con le mani nude in mezzo ai ferri arrugginiti e a pezzi di muro che sembravano lame e non mi sono fatto nemmeno un taglio. Noi dovevamo essere morti invece siamo qui a raccontare. Mistero della Fede. Paolo Paolucci priore della congregazione di Maria Santissima delle Grazie

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Franco Papola 10 ANNI DOPO 6 Aprile 2009: paura, incredulità, disperazione, case distrutte, odore di gas, voci concitate, persone che corrono nel buio a prestare aiuto a chi poteva essere ancora salvato, morte. 40 morti, la maggior parte dei quali in pochi secondi e quei momenti non potranno mai essere dimenticati da chi li ha vissuti. I sentimenti provati quella notte sono ancora cristallizzati dentro di noi a distanza di 10 anni dal sisma. 8 Aprile 2009: la disperazione è ancora palpabile nei volti di tutti i cittadini onnesi. Dormiamo in tendoni militari in cui filtra pioggia, vento, c’è la totale assenza di privacy. Mi sto rendendo conto di essere su una china che ci sta togliendo la forza di reagire a quello che ci sta accadendo. Intorno a noi tanta solidarietà, cibo, vestiario e beni di prima necessità (anche tanto egoismo: nei momenti critici vengono esaltati gli estremi delle possibilità umane). Gli Onnesi hanno sempre fatto corpo nei momenti di difficoltà grazie all’associazionismo presente nel borgo (vedi sagra dell’ortolana, feste, celebrazioni, ricorrenze, necessità pubbliche) ma in quella situazione quel tipo di associazionismo non bastava più. La Pro-loco si stava riorganizzando (nonostante i gravi lutti nel direttivo), ma se da un lato era in grado, forse, di supportare le necessità correnti, dall’altro era già chiaro di non avere forza sufficiente per far capire e imporre ai servizi nazionali le reali esigenze dei cittadini nel momento della post-emergenza. Ecco poi una opportunità. Un signore passato forse per caso o per solidarietà nella tendopoli ci consigliò, visto che anche lui si era trovato in questa situazione, di creare una associazione specifica con pochi punti di impegno ma molto chiari: aiutare la popolazione nell’opera dell’emergenza e della ricostruzione così da avere un peso specifico nel riportare le esigenze delle persone ai rappresentanti delle istituzioni con un mandato da parte di tutti i cittadini coinvolti. 66


Così il 18 Aprile 2009 nacque l’Associazione “Onna Onlus” registrata ad Avezzano per ovvi motivi logistici con un comitato promotore di cui io ero stato nominato presidente. Il 20 aprile furono indette le elezioni e si votò il 1° consiglio direttivo che mi confermò presidente. Nel frattempo ci fu un incontro speciale con una persona che non finirò mai di ringraziare e a cui mi lega ancora una profonda amicizia: l’ambasciatore della Germania in Italia Michael Steiner. Ricordo la semplicità e l’umiltà con cui Steiner si presentò e ci assicurò tutto il suo appoggio per cercare di uscire da quel momento drammatico. Con lui e con il direttivo iniziammo a ipotizzare le necessità prioritarie per la popolazione. La prima era la ricostruzione dei nuclei e della privacy familiare che si stava perdendo dentro la tendopoli. L’ipotesi era trovare i fondi per permettere la costruzione di un villaggio provvisorio in attesa della ricostruzione definitiva di Onna (che all’epoca era prevista in 10-15 anni.. ahimè!) vista anche l’impossibilità (divieto assoluto) di ottenere moduli abitativi per le frazioni, se non quelli che erano in via di preparazione (le “case di Berlusconi” dette “progetto Case” che a Onna non erano previste). Michael Steiner, in una riunione dentro una tenda bianca, insieme al direttivo ci assicurò che avrebbe iniziato una indagine di fattibilità. Va considerato che i cittadini onnesi per la maggior parte non volevano lasciare il paese per andare nelle abitazioni sostitutive offerte dalla protezione civile ed essere quindi dispersi con la possibilità di rottura dei legami interpersonali che si erano per anni stabiliti all’interno del paese. Due giorni dopo la riunione nella tenda bianca, la protezione civile ci disse che erano stati trovati i fondi grazie alla Croce Rossa Internazionale (soprattutto grazie alle contribuzioni dal Canada) per la costruzione di un villaggio provvisorio con moduli abitativi bifamiliari. Rimanemmo sbalorditi, molto piacevolmente sorpresi e un po’ increduli da quella comunicazione che però era reale e infatti ci venne chiesto, come Onna Onlus, di collaborare alla realizzazione del progetto. Insieme alla Pro-loco di Onna facemmo una bozza di progetto per rispettare i rioni del vec67


chio abitato in modo da non stravolgere la vecchia realtà paesana e iniziammo a contare le famiglie interessate per valutare quante ne avessero necessità e rientrassero nelle regole imposte dalla Protezione Civile. Lavoro enorme, condiviso con tutta la popolazione in più riunioni sia a gruppi che collegiali con firme di accettazione. Nonostante questo, qualcuno presentò un esposto alla procura della Repubblica per contestare le conclusioni fatte, senza naturalmente ottenere nulla per estrema trasparenza di tutte le operazioni effettuate. Il risultato era un fabbisogno di massima di 102 unità abitative. Per mancanza di fondi, riuscimmo ad ottenerne solo 94, numero peraltro abbastanza adeguato alle più impellenti necessità anche se con qualche problema dovuto al numero di stanze rispetto alle necessità familiari. Tutto questo lavoro portò, il 15 Settembre 2009 alla consegna delle prime unità abitative abilmente e rapidamente costruite da ditte del Trentino Alto Adige su terreno offerto in comodato d’uso gratuito dalla famiglia di Fabrizio Picalfieri. Un caro ricordo va ad Angelo Picalfieri, membro del primo consiglio direttivo e purtroppo prematuramente scomparso. La scelta fatta a Onna fu ripetuta anche in altre frazioni del Comune dell’Aquila - quelle più danneggiate - in modo da evitare la dispersione degli abitanti. Come Consiglio Direttivo pensammo di organizzare un evento che avesse una duplice finalità: gettare le basi per un’idea di ricostruzione di Onna inserita nell’ambito del circondario della città dell’Aquila (anch’essa doveva iniziare ad essere ricostruita) e ringraziare tutti coloro che ci avevano offerto tanta solidarietà nei momenti peggiori delle nostre vite, soprattutto i volontari ma anche le istituzioni. Il convegno “il primo giorno – insieme per la ricostruzione” ebbe luogo il 27 Settembre 2009 nella tenda allora adibita a chiesa e a luogo di riunioni e vide la presenza di un grande numero di volontari, di rappresentanti delle istituzioni ed ebbe una notevole risonanza nazionale ed oltre. Un’altra necessità era quella di creare un luogo di aggregazione dove poter discutere sulle tematiche da affrontare relative 68


alla ricostruzione e alla qualità della vita della popolazione. Un primo passo fu l’acquisizione gratuita dei terreni della Curia arcivescovile e la realizzazione del “centro Polifunzionale”, con annessa foresteria, resa possibile in parte dai fondi offerti da vari club di servizio trainati dal Club 41 (Agorà, Ladie’s Circle, RoundTable) e in parte grazie ad altri fondi arrivati a Onna Onlus in segno di solidarietà fra cui quelli raccolti dal “blog-beppegrillo”. Il Centro polifunzionale si basò su un progetto che era stato ideato prima del sisma da Giulia Carnevale, una studentessa di architettura, della provincia di Frosinone, deceduta all’Aquila a causa del terremoto. In seguito, dopo una raccolta di fondi da parte dell’ambasciata tedesca attraverso il continuo interesse dell’ambasciatore Steiner e con il coinvolgimento di varie importanti ditte tedesche (i fondi furono raccolti anche attraverso concerti ed altre manifestazioni organizzate dall’ambasciata stessa) fu costruita Casa Onna. La prima pietra fu posta il 6 aprile del 2010. L’inaugurazione della struttura avvenne il 7 ottobre 2010. In quel periodo ci furono riunioni continue con Michael Steiner, sia nella tendopoli di Onna, sia alla sede dell’ambasciata a Roma, anche con cene di lavoro offerte al direttivo di Onna Onlus per valutare e predisporre azioni per migliorare le condizioni degli onnesi. C’era da pensare però alla ricostruzione del paese: nel 20092010 c’erano ancora molti dubbi sulle procedure da seguire e sembrava che uno dei modi per velocizzare la ricostruzione fosse la predisposizione di un “ masterplan” cioè di un piano di ricostruzione che comprendesse anche un piano paesaggistico per scongiurare le brutture che stavano per essere perpretate nel nostro territorio fra cui la variante sud che avrebbe per sempre separato il paese dalla sua fonte di vita e di esistenza, il fiume Aterno. In quel periodo Onna stava per essere devastata anche da altri progetti quali il sottopasso ferroviario (poi realizzato), il depuratore del nucleo industriale (che nacque provvisorio ed è rimasto in via definitiva) e infine quello più impattante per l’intero territorio della bassa valle dell’Aterno, la centrale a biomasse che veniva spacciata come importantis69


sima per l’economia provinciale. Anche in questo caso Onna Onlus, in collaborazione con la Pro-Loco dovette affrontare le varie problematiche cercando di adattare i progetti (già finanziati dagli enti pubblici prima che tutti noi ne venissimo a conoscenza) per renderli più accettabili e cercando di verificare i loro millantati benefici per la popolazione, come sostenuto, ad esempio, da una ditta che aveva appaltato la costruzione della centrale a biomasse e che indicava la possibilità di ottenere un riscaldamento per tutte le case di Onna (e tutto il Nucleo Industriale di Bazzano) attraverso il recupero del calore generato dalla centrale stessa. Il direttivo di Onna Onlus voleva però capire meglio questi vantaggi e fece commissionare un progetto di fattibilità. Lo studio di fattibilità indicò l’impossibilità di recupero del calore per le case di Onna e la firma dello studio di fattibilità del progetto venne spacciato dalla ditta, in varie riunioni pubbliche, come un sì da parte nostra alla costruzione della Centrale. Una bugia bella e buona. Ancora una volta l’ambasciata tedesca fu fondamentale per non permettere l’aggressione del territorio di Onna finanziando la realizzazione di un masterplan che fosse oltre che piano di recupero urbano anche un piano di recupero paesaggistico che prevedesse lo spostamento della “variante sud”, un progetto del sottopasso meno impattante e altre questioni relative al futuro del Paese. La realizzazione del masterplan fu affidata a Teodor Christian Shaller di Colonia, Giovanna Mar di Venezia con il coordinamento di Wittfrida Mitterer docente alla facoltà di architettura dell’Università di Innsbruck. Il piano di ricostruzione fu condiviso da tutti gli abitanti del paese e da innumerevoli ingegneri che già stavano ipotizzando il loro intervento nella progettazione degli aggregati del paese attraverso un numero enorme di riunioni dei soci dei singoli aggregati, di assemblee generali, di incontri tecnici anche con l’intervento delle istituzioni come il Comune, l’Ufficio Speciale per la Ricostruzione dell’Aquila, gli uffici regionali ecc. Per quanto riguardava il sottopasso, furono previste varie ipotesi nel piano paesaggistico, tutte disattese, come pure sono state 70


disattese le ipotesi relative alla predisposizione del parco fluviale e di un impianto fotovoltaico che poteva fornire energia a tutto il paese. Onna Onlus fu l’organizzatrice e la sostenitrice della condivisione di tutto ciò che veniva scritto nel piano e il Masterplan fu consegnato agli uffici comunali il 6 Aprile 2011 e approvato dal consiglio comunale stesso il 18 novembre 2012 a Casa Onna con una valutazione piuttosto esatta dei finanziamenti necessari per ricostruire tutto il paese che erano approssimativamente gli stessi necessari per ricostruire un paio di medio-grandi palazzi signorili al centro dell’Aquila. Amareggia il fatto che al momento della predisposizione dei progetti, a volte con finanziamenti già stanziati, gli stessi ingegneri che avevano partecipato alla stesura del Masterplan hanno detto alla popolazione che il masterplan stesso era troppo vincolante, che imponeva delle grandi restrizioni e tutto questo forse per coprire la loro inefficenza nell’applicare le regole già condivise che miravano a non stravolgere l’aspetto esterno delle abitazioni in modo da avere una memoria storica continuativa. A proposito di memoria storica, Onna Onlus si pose il problema di come preservare e mostrare la storia del paese dalle sue origini fino al terremoto e poi nella seconda vita durante e dopo la ricostruzione. L’unica possibilità era la realizzazione di un luogo della memoria in cui fossero inseriti dei reperti archeologici e materiali rappresentativi degli eventi più importanti del nostro paese. Anche in questo caso l’ambasciata tedesca con Michael Steiner, il ministro plenipotenziario Frederich Dauble, e poi i successori, l’ambasciatore Michael Gerdts, il ministro plenipotenziario Martina Nibbeling–Wriessnig, fu fondamentale per permetterci la realizzazione della “Casa della Cultura” mettendo a disposizione i fondi per la ristrutturazione e adeguamento dell’ex asilo comunale, il restauro di reperti archeologici da inserire nella sezione museale con la possibilità di chiedere al ministero dei Beni Culturali di darci il supporto per l’esposizione dei reperti. Nella casa della cultura c’è oggi anche documentazione dei tragici eventi dell’11 Giugno 1944, eventi che avevano comunque portato l’attenzione della comunità tedesca verso il nostro paese e che stavano permettendo la re71


alizzazione di opere che ci facevano sperare in un futuro migliore. Nella “Casa della Cultura”, grazie a un altro tedesco, il sismologo Thomas Brown, predisponemmo una sezione relativa al sisma del 6 aprile 2009, sezione collegata con un sismografo che ci informava (e ci informa continuamente) sulle scosse che hanno continuato a colpire il nostro borgo. C’era però la necessità di documentare i progressi della ricostruzione, un luogo cioè dove inserire foto, documentazioni, interviste, progetti e quant’altro potesse far memoria per le generazioni future per non ricadere nelle tragiche vicende che purtroppo noi avevamo dovuto attraversare. Ecco quindi l’idea dell’architetto Wittfrida Mitterer di costruire un luogo ad alta tecnologia che potesse conservare tutta la documentazione coinvolgendo anche l’Università di Firenze. L’Infobox, inaugurato il 6 aprile del 2013, ospita sofisticate attrezzature multimediali ricche di documentazione facilmente consultabile dal pubblico e dagli addetti ai lavori, una grande parete interattiva e un tavolo “touch and screen” con tecnologia futuristica. Questa realtà è stata resa possibile dalla forza di volontà di Wittfrida Mitterer che riuscì a trovare i fondi e le collaborazioni necessarie oltre che dall’impegno costante di tutto il direttivo di Onna Onlus. Sentimmo la necessità di avere un ambulatorio medico per permettere ai malati e agli anziani del paese di non spostarsi dalle loro case ed ecco ancora la solidarietà di un paesino della Campania, Sant’Angelo di Alife che attraverso una raccolta fondi ci permise di costruire l’ambulatorio arredato poi dalla Croce Rossa dell’Aquila. I Consigli Direttivi di Onna Onlus, nei due mandati in cui io sono stato presidente hanno sempre stimolato l’avvio della ricostruzione del paese. Questo è avvenuto con incontri con la popolazione e con i tecnici per la presentazione delle schede parametriche e dei progetti, con incontri con le istituzioni per attivare procedure specifiche per le frazioni all’inizio completamente dimenticate, con convegni per il rispetto della legalità. Questa opera culminò con la formazione di un comitato delle frazioni, stimolato da Onna Onlus che, attraverso l’inter72


vento del Presidente della giunta regionale, Luciano D’Alfonso, del vicepresidente Giovanni Lolli e altri gettò le basi per la ricostruzione con priorità per Onna e San Gregorio e poi man mano per le frazioni vicine. Nella visione del Consiglio Direttivo di Onna Onlus, tutto quello che era stato costruito, dal Centro polifunzionale, a Casa Onna, a Casa della Cultura, al masterplan paesaggistico, doveva essere la base per dare alle generazioni future di Onna la possibilità di lavoro soprattutto su base turistica e per questo furono previsti e realizzati vari interventi. In incontri con i comuni del circondario (Rocca di Mezzo, Santo Stefano di Sessanio fra gli altri) fu ideato e messo a punto un progetto sulla gestione dei Beni culturali con la previsione di poter creare lavoro per i giovani, una sorta di mini incubatore di impresa capace di dare sostegno a progetti di cui dovevano essere protagonisti soprattutto i ragazzi. L’inizio di questo progetto fu reso possibile grazie ad un cospicuo contributo erogato dalla Fondazione Adc Onlus (Associazione dottori commercialisti) allora presieduta dal dottor Fausto Bertozzi con un convegno organizzato il 17 dicembre 2014 a cui parteciparono l’Ordine commercialisti dell’Aquila e Sulmona, la direzione regionale Beni culturali, l’Università dipartimento Scienze umane, la Camera di commercio e il Comune dell’Aquila. Lo scopo era quello di seguire i giovani aspiranti imprenditori per le richieste e l’ottenimento di fondi nazionali ed europei che potessero far sorgere nuove cooperative o imprese locali inserendoli in un contesto di imprenditoria soprattutto a base turistica. Ci ponemmo anche il problema di creare un monumento in memoria delle vittime del terremoto di Onna e pensammo di utilizzare, per la sua realizzazione, la parete della canonica della chiesa di San Pietro Apostolo di Onna appena restaurata. Insieme a Giuseppe Bacci curatore del museo di arte sacra “Stauros” del santuario di San Gabriele e vulcano di idee, pensammo a un concorso nazionale per selezionare l’opera più rappresentativa delle nostre esigenze. Fra oltre 90 bozzetti presentati, la giuria scelse l’opera dell’ar73


tista Alessandro Kokocinski che la realizzò lavorando in prima persona e coordinando i lavori per il posizionamento della scultura nel posto dove oggi è possibile ammirarla, nonostante una gravissima malattia che lo aveva colpito e che lo ha portato a morte prima che noi potessimo ringraziarlo degnamente. L’aver conosciuto un artista di tale talento è una delle cose che mi rimangono nel cuore. Il 2 ottobre 2015 finalmente a Onna apre il primo cantiere privato. Il lavoro fatto nei sei anni del mio mandato insieme ai membri del Consiglio Direttivo è stato veramente molto, con tanto lavoro svolto anche di notte a causa degli impegni di lavoro della maggior parte di noi. Abbiamo avuto belle soddisfazioni ma anche critiche, spesso ingiuste, che a volte venivano fatte per coprire interessi personali. Mi ha permesso di conoscere tantissime persone, alcune di grande cuore e professionalità, altri un po’ meno, alcune con un senso di solidarietà innato, alcune con forti influssi egoistici e sentimenti di invidia, altri di ammirazione, tutti aspetti dell’animo umano che, nei momenti drammatici, vengono fortemente ingigantiti. Dopo la rielezione al 3° consiglio direttivo mi sono trovato nell’impossibilità di continuare il mio percorso all’interno di Onna Onlus a causa dei miei impegni lavorativi sempre più gravosi e un pò anche per conflitti di interesse che io vedevo in alcuni degli altri eletti. L’idea dei dirigenti di Onna Onlus nei primi due mandati era quella di predisporre le basi che potessero aiutare le nuove generazioni ad avere un futuro centrato su vere e serie possibilità di lavoro. Purtroppo il piano paesaggistico comprendente il parco fluviale non si è realizzato, l’idea della formazione di imprese giovanili si è spenta, la ricostruzione va a rilento forse anche per poco impegno di alcuni proprietari delle abitazioni e dei tecnici ad essi collegati e sicuramente per la poca disponibilità delle istituzioni, il polo museale e la biblioteca predisposta anche attraverso progetti obiettivi finanziati da benefattori, sta lentamente perdendo la sua capacità attrattiva. Comunque alcune abitazioni del paese antico sono oggi già abitate, altre lo 74


saranno a breve. Ci sono poi nuove famiglie che hanno scelto Onna come luogo di residenza e tutto questo porta speranza per la rinascita del nostro borgo.

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Giovanna Papola Sono trascorsi più di nove anni da quella brutta notte del 6 aprile del 2009. Sento ancora nel cuore e nel cervello il rumore di quel terrificante boato, proveniente dalle viscere della terra, che ha sconvolto le case, il territorio, la vita di tantissima gente. Non voglio e non posso ricordare il numero delle vittime falciate dal sisma proprio nel giorno della pace. Nel giorno in cui ognuno di noi porta il ramoscello d’ulivo alla propria mamma, ai parenti e agli amici più prossimi, con i quali vuole condividere momenti di serenità e di tranquilla convivenza. Questo gesto non potrò farlo più, non per mia volontà, ma per la devastante azione svolta da un terribile sisma che ha sconvolto la mia esistenza, privandomi del bene più prezioso che abbia potuto ricevere: la mamma. Nell’intimità dell’anima mi sento responsabile, anche se ho fatto del tutto per evitare l’immane tragedia che ha colpito la mia famiglia. Da troppi giorni, da troppi mesi la terra tremava quasi quotidianamente, ma nessuno dava peso agli eventi. Le varie tesi che vennero messe in circolazione miravano a tranquillizzare le popolazioni del cratere. La terra sta sprigionando gradualmente energia, ragion per cui non ci sarebbero stati movimenti tellurici di rilievo. Ebbene, così non avvenne. La sera del 5 aprile si verificarono dei movimenti sismici abbastanza significativi. Movimenti che aumentarono d’intensità subito dopo la mezzanotte, quando era già iniziato il nuovo giorno. Il primo istinto fu quello di correre a casa di mamma per portarla da noi, in un ambiente più sicuro, dal quale era facilmente raggiungibile l’esterno per mettersi in salvo, la casa materna era invece situata proprio al centro storico del nostro paese, certamente esposta ad ogni possibile pericolo. Ho sempre impressa nel cuore e nella mente la figura di mia madre che, pur essendo minuta e piccolina fisicamente, aveva un carattere fermo, deciso, sicuro e forte. Tanto forte che non riuscii a convincerla a venire a casa con me. Dopo tante insistenze, rassicurata anche dalle notizie diffuse pubblicamente sulla necessità di non allarmarsi e di non lasciarsi travolgere 76


dal panico, decisi di assecondare i voleri della mamma, sempre più determinata a non abbandonare la propria dimora. Oggi, a distanza di tanti anni, non verso più lacrime, non mi dispero, ma non posso fare a meno di vivere nel rimorso. Mi rimprovero costantemente di non aver speso tutte le capacità persuasive per indurre mamma a mettersi in salvo. Alle 3.32 ebbe luogo la catastrofe e, di nuovo, mi precipitai a casa di mamma. I miei occhi furono offuscati da una scena apocalittica. Il cervello rifiutava la visione. Il cuore mi batteva forte in gola. Ho cercato invano un segno di vita. Una mano. Un piede. Un fazzoletto, capace di testimoniare la presenza della mamma. Niente. Nessuna speranza. Il buio assoluto. Non riuscivo a vedere neppure cosa stesse accadendo attorno a me. Con mio marito a fianco abbiamo cercato disperatamente di spostare pietre, mattoni, tavole, travi. Nessun segno di vita. In quel momento, tutti e due, sostenendoci moralmente, non sapevamo più cosa fare. Siamo stati pervasi dall’incertezza e l’incertezza è sicuramente il peggiore dei mali, fino al momento in cui la realtà non ce la fa rimpiangere. Una realtà triste, amara, crudele, dalla quale vorremmo fuggire, ma senza alcuna speranza, perché ti insegue, ti tortura fino all’inverosimile. C’è stato un momento di silenzio. Ci siamo ammutoliti, ci siamo abbracciati, mantenuti in equilibrio, sorretti dal dolore che ci aveva pietrificati. Soltanto allora abbiamo cominciato a percepire il sommesso suono di un pianto lontano. Alcune laceranti grida hanno invaso l’aria. Tanti nomi, urlati a gran voce, viaggiavano nell’oscurità del cielo, reso ancora più cupo da una incessante pioggia. Nomi dei figli, dei genitori, delle mogli, dei compagni di vita, dei nonni, dei nipoti. Moltissimi silenzi e pochissime risposte. A questo punto, l’anima mi ha posto un interrogativo. È giusto che ti lamenti per la perdita della mamma. È altrettanto giusto che ti disperi per non essere riuscita a persuaderla a mettersi in salvo con te. Guarda cosa è accaduto vicino a te. Sono scomparsi bambini, ragazzi, giovani, genitori e nonni. E tu, ti lamenti di aver perduto la mamma che hai avuto la fortuna di avere con te per tanti anni? L’anima fortunatamente ha un interprete, spesso inconsapevole, ma fedele: lo sguardo. Alzammo gli occhi io e 77


Carlo, quasi contemporaneamente. In un attimo ci rendemmo conto della tragedia che aveva colpito la nostra comunità. Con gli occhi lucidi, con uno sguardo penetrante che è arrivato fino al cuore, abbiamo capito che avremmo dovuto condividere il dolore con i nostri familiari, i parenti, gli amici e con tutti i conoscenti del posto, perché, proprio nel dolore, possa emergere tutta la nostra intelligenza, le nostre capacità, i nostri valori umani, civili, religiosi e sociali. Il migliore dei nostri pensieri accompagni l’anima di tutte le vittime del terremoto dell’aprile 2009 alla ricerca della pace eterna.

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Giustino Parisse INTERVENTO AL CONVEGNO “RI-COSTRUIRE LA VITA” DEL 21 APRILE 2018 La tematica al centro del convegno “Ri-costruire la vita” è naturalmente complessa e lo è ancora di più per chi come me e come tanti altri miei compagni di sventura nel terremoto dell’Aquila, che risale “ormai” a più di nove anni fa, hanno perso tutto: affetti, beni materiali, luoghi, pezzi della nostra storia privata e pubblica. Credo che proprio per questo vada operata una distinzione fra la ri-costruzione della comunità e nel mio caso la comunità di Onna che la notte del terremoto ha perso 40 dei suoi abitanti su circa 350 che il sei aprile 2009 abitavano nel centro storico e la ri-costruzione della mia vita e delle persone che mi stanno più vicine e in particolare mi riferisco a mia moglie Dina che è oggi qui con me. L’esigenza e il dovere di ri-costruire la comunità sia dal punto di vista materiale che sociale sono stati per me una necessità e una priorità sin dal primo momento. Ricordo che il mercoledì successivo al terremoto (avvenuto come noto il lunedì santo) incontrai un vicino di casa che aveva collaborato con me a lungo nella Pro loco e dandogli sulla spalla un pugno (che poi mi accorsi era stato molto forte) quasi gli ordinai: noi questo paese lo dobbiamo ricostruire. E prima possibile. E anche da quel gesto del tutto spontaneo che _ grazie a tanti onnesi volenterosi _ nacque, qualche giorno dopo, la Onna Onlus associazione che si aggiunse alla Pro loco come punto di riferimento nell’emergenza e, poi, nell’avvio della rinascita. Un punto di riferimento importante per i miei compaesani, per chi ci venne ad aiutare, per le autorità e gli amministratori dell’epoca e per quelli che si sono avvicendati in seguito. Nel caso di Onna il dolore per le perdite umane _ che ha toccato e inciso se pur in maniera chiaramente diversa su quasi tutta la 79


popolazione _ nelle prime settimane ha come creato una barriera che ha impedito il definitivo sgretolarsi della comunità. Tutti hanno avuto la consapevolezza che il paese di Onna era stato totalmente raso al suolo, cancellato dalla geografia e dalla storia. La sua identità azzerata e rimasta latente solo nel dna delle singole persone che però, a causa dello choc, l’avevano di fatto quasi rimossa o, necessariamente, messa in secondo piano. Quella consapevolezza ha provocato una reazione positiva. La più eclatante fu quando dopo meno di un mese la protezione civile pianificò la costruzione degli alloggi provvisori nel territorio del Comune dell’Aquila. Per Onna non erano previste casette in loco _ pare ci fosse un problema idrogeologico _ e gli abitanti secondo una prima ipotesi sarebbero stati dispersi nei cosiddetti piani case (ne furono costruiti 19) passati alla storia come le case di Berlusconi. La forza mediatica, dovuta purtroppo all’alto numero delle vittime, fece sì che la protesta contro quella scelta “scellerata” della Protezione civile ebbe una eco enorme e tutte le autorità si convinsero che Onna doveva avere un villaggio provvisorio il più possibile vicino al centro storico distrutto dal terremoto (che poi fu realizzato grazie ai soldi della Croce Rossa e al lavoro degli artigiani del Trentino). Persino il disegno urbanistico delle “casette” fu fatto copiando la forma del vecchio abitato. E, nel momento dell’assegnazione degli alloggi, a metà settembre 2009, si provò a mettere gli ex vicini di casa il più contigui possibile. Lo sradicamento e la cancellazione definitiva della storia e dell’identità di paese furono impediti anche dall’intervento della Germania memore della strage nazista che 65 anni prima aveva provocato 17 vittime e la distruzione quasi totale del borgo a colpi di bombe. Quel ricollegare e mettere insieme due eventi drammatici _ che legavano momenti della storia recente del borgo _ è stata la prima vera spinta alla rinascita, rinascita che ha significato inizialmente soprattutto strutture per la vita della comunità: chiesa, casa Onna, casa della cultura e piano di ricostruzione il quale ha quantificato la spesa fra ricostruzione pubblica e privata in 80


circa 70 milioni di euro. Poi lì è mancata la volontà politica _ alimentata pure da piccole beghe locali e vari interessi di bottega _ di affrontare di petto la ricostruzione partendo subito con i lavori su tutto il paese contemporaneamente, paese che oggi sarebbe stato già totalmente ricostruito mentre in realtà siamo a circa il 20-30 per cento. A ben guardare, lo spirito comunitario ha funzionato senza particolari screpolature fino a quando tutto veniva dato e donato. Onna per almeno 4 o 5 anni ha quasi “subìto” decisioni di altri (pur lodevoli). Quando ci si è trovati a gestire tutto quel ben di Dio e a doversi assumere delle responsabilità sono rimasti in pochi a impegnarsi per la cosa pubblica. Altri hanno cominciato a rifugiarsi nei propri egoismi. L’arrivo dei soldi per la ricostruzione ha fatto da stura agli aspetti peggiori del carattere dei singoli (non di tutti naturalmente) in base al seguente ragionamento: “se la cosa mi riguarda e ne traggo un beneficio mi impegno e chiedo la solidarietà della comunità altrimenti mi disinteresso totalmente e anzi se mi gira metto pure i bastoni fra le ruote agli altri” (per invidia, vecchie ruggini, antipatie etc). Allo spuntare o forse al ri-spuntare degli egoismi privati si sono affiancati i tempi lunghi della ricostruzione che “sfiancano”, tolgono l’entusiasmo, demotivano. Onna a quasi dieci anni dal sisma è ricostruito come dicevo fra il 20 e 30 per cento, solo pochi giorni fa il primo abitante è tornato nella sua casa ricostruita dalle fondamenta in centro storico. E il secondo dovrà attendere parecchio ancora. Inoltre non si parla di ricostruzione pubblica: strade, sottoservizi, piazze, parcheggi, pavimentazioni, illuminazione. Nei progetti approvati persino i vecchi portali in pietra (alcuni risalenti al 1700) sono stati ignorati e sostituiti da materiali posticci. Gli anziani muoiono nei loro map (moduli abitativi provvisori), ed è una tristezza infinita veder partire i funerali da alloggi provvisori pensando che quelle persone, per tutta una vita, hanno lottato fra mille difficoltà per “costruirsi o aggiustarsi” una casa. Ad esempio c’è il caso di Antonio, 85 anni, morto il giorno dopo l’avvio del cantiere di casa sua. I giovani crescono senza sapere nulla del 81


loro passato, di come era il paese fino al 2009, e quindi in futuro abitare a Onna o in qualsiasi altro posto dell’Aquila, d’Abruzzo o d’Italia sarà del tutto indifferente. È qui che entra in gioco la memoria. In questi anni a Onna abbiamo prodotto mostre fotografiche, libri, video, documentari, convegni e lo faremo ancora. C’è la Casa della Cultura con dentro reperti, testimonianze, documenti sulla storia del circondario onnese dall’ VIII secolo avanti Cristo a oggi. Ma la partecipazione agli eventi è sempre più scarsa (non che antesisma fosse maggiore anche se per 15 anni, dal 1985 al 1999, a Onna abbiamo realizzato una sagra, la sagra dell’ortolana a cui partecipava tutto il paese). La sfida adesso è proprio quella di non rompere il filo rosso della memoria. Altrimenti sarà molto più complicato ridare una identità forte alla comunità che comunque non sarà più esattamente come quella di prima. E magari fra 10 o 20 anni scoprirà di essere cambiata anche dal punto di vista antropologico. ASPETTO PERSONALE. C’è poi l’aspetto personale. Premetto che un dolore così forte _ il terremoto nel mio caso ha cancellato in un attimo il passato (mio padre Domenico di 74 anni) e il futuro (i miei figli Domenico di 18 anni e Maria Paola di 16) _ un dolore così forte dicevo non si supera e né si colma. Ci si può solo convivere, trasformarlo in un amico-nemico che ti segue ogni giorno e, sembrerà strano, a volte può anche consolare. Il dolore nel mio caso ha liberato tutte le incrostazioni negative con cui nella normalità, vorrei dire nella grigia quotidianità, si è costretti a convivere. Con il dolore cade ogni maschera, l’ipocrisia che spesso si legge negli occhi di chi ti mostra un falso pietismo diventa insopportabile. La corsa verso fulgide carriere, ricchezze che sembrano non bastare mai, ricerca spasmodica di piaceri fittizi perdono di senso. Rivaluti le piccole cose, i momenti con i tuoi figli che al momento ti erano sembrati banali ora giganteggiano e danno forma all’idea di felicità, felicità che tu sai di dover cancellare per sempre dalla mente e persino dal “vocabolario” che usi ogni giorno. Ti senti in colpa per mille cose, per quello che poteva essere fatto e non è stato 82


fatto in quei momenti tragici ma ti senti in colpa persino se, per sbaglio, ti scappa un sorriso o se apprezzi un piatto di pasta ben cucinato. Tutto diventa vuoto e insignificante. Si reagisce? Sì. Meglio, si combatte col dolore, amico e anche nemico - come detto - magari pronto a colpirti mortalmente quando meno te lo aspetti. Ecco dunque che ri-costruire significa raccogliere i pezzi che ti sono rimasti: ricordi, oggetti, volti sorridenti e felici. Ho salvato la mia biblioteca con oltre 10.000 libri e una miriade di documenti sulla storia di Onna degli ultimi 50 anni (oltre che copie di carte più antiche). Io non ho voluto vedere i miei figli quella mattina. A volte penso di aver fatto male, altre volte mi convinco che così andava fatto. Quell’immagine tragica si sarebbe aggiunta a quel grido che si era perso fra le macerie della mia casa dopo pochi secondi: papà papà. Pochi giorni fa rovistando fra una parte dei quaderni scolastici dei miei figli _ molti li conservo gelosamente _ ho trovato due cartelle mediche, due ecocardiogrammi di Domenico e Maria Paola. Li ho portati a casa. C’è l’immagine del loro cuore che batte e che il sei aprile si è fermato schiacciato dall’orrore. Poi ti aiuta il fatto che un pezzetto di famiglia ti è rimasto. Mamma e papà (Io e mia moglie) sono sempre lì - e non sanno perché loro sì e voi no- e continuano a nutrire la memoria con lacrime amare. E poi il lavoro. Io faccio il giornalista e in questi anni ho cercato di raccontare il terremoto, me stesso dentro il terremoto e le tante contraddizioni di una ricostruzione in cui la speculazione materiale e persino quella dei sentimenti la fa da padrone. La memoria dei figli aiuta a non cedere mai a tentazioni o a cercare facili scorciatoie. Un’etica del dolore, mi spingo a dire. Ogni anno, il sei aprile scrivo una lettera a Domenico e Maria Paola. In quella del 2018 c’è un passaggio con il quale concludo il mio intervento: “Adesso vi voglio dire di quest’ultimo anno. Per me sono stati mesi un po’ travagliati anche sul lavoro. Ma li ho superati tenendo sempre in mente un principio che, dopo il vostro transito, è di83


ventato valore assoluto: non indietreggiare mai davanti a chi vorrebbe calpestare quelle cose che il terremoto mi ha voluto lasciare in eredità: dignità e dolore, la sola miscela che ogni mattina accende il motore di una macchina sempre più stanca e affannata. Ho fatto delle rinunce, dure, ma ne sono contento. A un certo momento l’alternativa a un posto e a uno stipendio ricco e sicuro era diventata insultare la vostra memoria e fingere un’altra vita che non potrà e non dovrà esserci. Ho scelto voi. Dignità e dolore. Ieri, oggi e per sempre”. Roma, 21 aprile 2018

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Berardino “Dino” Pezzopane LUOGO DELLA MIA STIRPE Luogo a me sempre caro, in te esistei in quel breve tempo da fanciullo e giovinetto, in quel tempo ormai lontano. E’ il paese di Onna attorniato da corsi d’acqua dall’antico tracciato del tratturo e dal maestoso Gran Sasso. Da secoli disteso nella ridente e fertile pianura della conca aquilana che si estende sino a Fagnano Campana. Sei la sola ad avere questa prelazione a confronto ad altre contrade arroccate nelle circostanti alture. Allorché le massaie con le conche di rame attingevano l’acqua nella pubblica fontana Onna, di te serbo dei stupendi ricordi da adolescente vissuti e mostruosi momenti, l’eccidio dell’11 giugno 1944 e il terremoto del 6 aprile 2009 Gubbio, 2018

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Claudio Pezzopane Come di consueto, quasi tutte le domenica andavo a casa di mia madre, Ada Marucci, a Onna. Domenica 5 aprile 2009, dopo aver passato la giornata con lei, siamo tornati a casa nostra con un pensiero fisso che ci angosciava perché a casa sua, in un angolo della sala si vedeva una piccola crepa lasciata dalle piccole e intense scosse che ormai colpivano tutto il territorio aquilano. Mi sono affidato alla protezione del Signore per mia madre e Carolina che spaventata dalle continue scosse, nella notte del 6 aprile si mise accanto a lei nella piccola e unica stanza rimasta intatta dopo la forte scossa distruttiva delle 3:32. Grazie a Dio la notte del 6 aprile siamo usciti di corsa da casa e senza ancora aver superato il terrore, ci siamo recati subito a Onna per trovare mamma perché il pensiero era che vivendo in una vecchia casa la stessa poteva essere crollata. Non ci eravamo ancora resi conto di quanto fosse stata colpita Onna. Arrivammo al bivio e non si poteva andare avanti con la macchina in quanto già prima del passaggio a livello era tutto bloccato, perché i vecchi muri di cinta realizzati in pietra e terra erano crollati ostruendo il passaggio carrabile. Abbiamo proseguito a piedi e appena superata la linea del treno pestavamo e scavalcavamo con difficoltà le macerie delle mura crollate (tra l’altro indossavo le pantofole tutte e due del piede sinistro, di cui una era mia e l’altra più piccola di Sandra) si sentivano le case che crollavano ancora, le tegole che scivolavano dai tetti e grida di dolore delle persone sconvolte da quello che era appena successo. Pensando a lei, e al solo pensiero brutto del pericolo che poteva aver corso, mi tolse momentaneamente la facoltà di ragionare e mi misi a piangere e ripetere che forse era morta vedendo le macerie che mano a mano si svelavano più e ancora di più. Sandra mi disse: chiamala! Una madre sente la voce del suo figlio e sicuro ti risponderà, vedrai è viva, tieni fede e forza... andiamo ancora più avanti e chiamala forte. Gridai con la voce rotta dal pianto: Mamma... mamma... mamma... mammaaaa!! Qualcuno, non ricordo chi, mi chiese: chi è tua madre? Non ero in grado di 86


dire il nome di mamma... tremavo, piangevo, allora Sandra gli rispose: si chiama Ada Marucci e avemmo un grande sollievo nella sua risposta. Tua mamma sta più avanti insieme a Carolina, sta bene. Era riuscita a scavalcare la ringhiera del piccolo balcone di casa ed era scesa dalla scala messa da Carolina e Giulio Colaianni. Grazie a tutti e due, ma soprattutto a Carolina che si è calata giù dalla camera con una fune fatta con un lenzuolo rimasto appeso per tanto tempo come ricordo, fino a che la casa è stata demolita totalmente. Oggi come allora sento un abbraccio che mi stringe, mi calma, che entra nella mia anima, che mi trasporta dentro il cuore suo, dove ha tenuto i suoi più cari affetti e in serenità ci rassicura che lì troveremo sempre la pace perché lei per sempre ci amerà. Mamma... mamma... mamma... mammaaaa... nel cuore mio la chiamo ancora! Se n’è andata via con i suoi 100 anni insieme al rammarico di non aver rivisto la sua casa ricostruita.

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Gabriella Pezzopane RIFLESSIONI SUL DOPO TERREMOTO (CON UN PO’ DI NOSTALGIA) C’era una volta un paesino, Onna, un po’ “rotto” sì, ma con una sua identità di borgo di campagna, tutti contadini e tanti animali in mezzo alle strade. C’era una volta un paesino, Onna, che voleva evolversi: i ragazzi studiavano, cambiavano la qualità del lavoro, alcuni andavano a lavorare fuori; contadini rimanevano solo padri e madri anziani. Ma tutti amavano il loro paese e si davano da fare per creare iniziative da vivere insieme e farsi conoscere nei dintorni. Nasce la Pro Loco, il Centro Anziani, si dà vita ad attività ludiche e culturali: ecco le recite natalizie, con l’aiuto delle suore, la Sagra dell’ortolana, Piazza Grande, i concerti a Ciancone, il “Fagiolo d’oro”... 6 aprile 2009: arriva “l’orco” e distrugge il piccolo felice paese. Tanti non ci sono più Lentamente chi è rimasto cerca di reagire. Prende forma una nuova associazione “Onna Onlus” con lo scopo di aiutare e seguire la ricostruzione delle case. Nel frattempo tanti, tanti, tanti con varie iniziative aiutano le persone a ritrovare un po’ di serenità. (Come dimenticare tutto ciò che l’ambasciatore tedesco in Italia con tanto amore ha fatto per gli onnesi). Vengono donate tante strutture così Onna si arricchisce di un centro polifunzionale, di una struttura chiamata “Casa Onna” usata per riunioni, assemblee, concerti; ancora di un museo “la Casa della Cultura”, dell’Infobox. Settembre 2009: nasce il “provvisorio piccolo paese Onna”. Si esce dalle tende e gli onnesi hanno di nuovo un tetto sulla testa. Piccole casette, ben fatte, sì, ma non sono sufficienti a ricreare il clima di comunità, la voglia di fare, l’entusiasmo 88


che c’era prima; la serenità che si respirava soprattutto nelle ore serali passate a chiacchierare nei vari angoli del paese su di una panchina di pietra o un tronco d’albero (la corda) messo lì per sedersi dopo una giornata di lavoro. Il “provvisorio piccolo paese” a volte sembra quasi deserto e la sera le persone sono chiuse nelle loro case. Intanto i tempi della ricostruzione si allungano, la situazione da provvisoria sembra diventata definitiva. La speranza di rivedere il paese ricostruito per molte persone non c’è più perché loro stesse non ci sono più. La popolazione cambia: nuove famiglie sono arrivate da fuori, Onna è quasi diventato un paese multietnico. Le tre associazioni molto attive all’inizio, con il passare del tempo faticano ad andare avanti. C’è stanchezza fra i vari componenti. Vengono meno incontri con la popolazione, si saltano alcune manifestazioni importanti; perdono l’entusiasmo e quindi non riescono più a trasmetterlo alle persone per cercare di dare vitalità al paese. Ma c’è un luogo dove bambini ragazzi adolescenti s’incontrano, giocano, corrono, ridono: sono felici; un luogo dove non a caso è stato trasportato il famoso “pinnerone”. È la piazzetta della chiesa provvisoria. Il piccolo paese Onna per loro è questa piazzetta. Aprile 2019: 10 anni sono passati lasciandosi dietro solamente lo struggente pensiero dei parenti, amici, conoscenti inghiottiti dalla tragedia ed il trascinarsi faticoso della speranza di rivedere prima o poi il borgo ricostruito e vivo. E alla fine Onna lo sarà un paese non più’“rotto”, ma tutto “nuovo” più bello di prima….ma non rivedremo più come era una volta l’ingresso al paese: una croce, la croce, grandi alberi sui due lati della strada, un piccolo passaggio a livello e un cartello con scritto “Onna” e sotto Frazione dell’Aquila. Ora si entra da un anonimo sottopasso e un cartello con scritto “Onna” 89


e sotto scritto Località dell’Aquila. Come arrivare in una brutta periferia di una città, di una città però che stenta a decollare (L’Aquila). Quando Onna sarà tutta ricostruita, ci sarà modo di studiare un ingresso al paese meno freddo e anonimo dell’attuale? Lo vorrei tanto!

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Giovanna Rotellini Non c’è giorno in cui non penso a quella notte. Non c’è giorno in cui non penso alla vecchia Onna, paese semplice ma per me stupendo. Non c’è giorno in cui con la mente ripercorro tutte le vie del Mio paese... sembra quasi di risentirne gli odori... le voci... i rumori. Non c’è giorno in cui non penso alla vita nella tendopoli dove ho conosciuto tanta gente che ci ha aiutati, confortati e dove, la cosa più speciale, ho avuto modo di conoscere appieno tanti paesani con i quali avevo poca confidenza. Quanta gente è passata dalla tendopoli... quanta gente si è prodigata per noi... Ora c’è il villaggio di Onna... sì... da settembre 2009 con la mia famiglia vivo in una delle casette di legno di questo grazioso villaggio. Entrare dentro la casetta è stata una bella sensazione, ritrovare un po’ di privacy, sentirsi nuovamente un tetto sopra la testa... è stato emozionante... grazie. Non c’è giorno in cui non penso a quella notte...

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Aldo Scimia QUEL CHE MI RESTA È QUEL CHE MI MANCA ... tuttavia, abbiamo amato il deserto. All’inizio sembra fatto di nient’altro che 1di vuoto e silenzio; ma solo perché non si dà agli amanti di un giorno. [...] Il deserto per noi era ciò che nasceva in noi. Ciò che noi apprendevamo su noi stessi”. Antoine de Saint-Exupéry - Terre des hommes – 1938 Ricordare: re = di nuovo, addietro; cor = con il cuore, dare = donare. Il 6 aprile prossimo venturo mi appresterò, se la vita mia vorrà, ad avere 62 anni. Dieci di più di quando la mia esistenza è cambiata. Il 6 aprile 2009: momento di cesura del mio mondo, della mia esistenza. Da allora esiste un “prima”ed un “dopo”in ogni pensiero, in ogni ricordo, quasi due vite vissute. Diverse tra esse, diametralmente opposte tra loro, vuoi per il correre imperterrito dell’età verso il tramonto, vuoi perché tutto è cambiato dentro di me, come anche fuori di me. Qualcuno oggi mi definisce più gelido, addirittura più cattivo, forse, a ragione. Di quel “dopo” mi resta qualche amico trovato, belle persone devo dire, unica congiunzione poche persone che mi sono care, la mia famiglia. Di altro molto poco. Certo che sono cambiato, ed ho imparato ad amare il deserto, il mio deserto. La constatazione che quel momento male-detto mi ha donato un deserto al di fuori del quale tutto è diviso: il prima ed il dopo; chi piangeva e chi rideva; “terremotisti” e “terremotati”; osan1 92


nanti scalzi e oppositori, dichiarati riverenti e ingrati. Ho potuto constatare che vivo in uno stato patrigno che si fa beffa dei nostri morti. D’altronde cosa potrebbe essere oggi il bene-detto? Nel mio deserto ho trovato il dolore unico compagno dell’essere umano, che non tradisce, resta fedele. Nessuno mi aveva mai detto che il dolore assomiglia tanto alla paura. Col tempo mitigati i trionfalismi, le pacche sulle spalle impregnate di ipocrisia, le esaltanti passerelle, il feticismo del turismo della disgrazia, l’esortazione alla religione della “Resurrezione Facile” in cui le ferite verrebbero subito guarite, resta il deserto. Mi trovo spesso a girare per le strade vuote e disastrate della mia città, e a volte provo un gran freddo, dentro il petto, immagini di non luoghi privi di rapporti tra gli spazi e la memoria. Il mio paese, i miei luoghi, i miei racconti affondano nel vuoto. L’oblio ammanta la visuale come le piante rampicanti che occultano le pietre. E le case ricostruite destinate per lo più a rimanere vuote hanno la stessa profondità degli occhi di alcune persone che incontro, la sensazione di incontrare un paesaggio fragile. Comunque vorrei terminare questo mio breve scritto con una poesia ascoltata per la prima volta tornando a casa a notte fonda, in auto: “La cosa migliore”ed è una di quelle cose che mi fa bene ri-cor-dare, naturalmente rivolgendo lo sguardo a Lei, mia madre. La cosa migliore che ho fatto per mia madre è stato sopravviverle cosa per cui non ho meriti. Anche se sono felice che non abbia dovuto vedermi morire. Come tanti 93


(suppongo) sento che avrei dovuto fare di più per lei. Per esempio? Non ero un cattivo figlio. Avrei voluto amarla quanto lei amava me ma non potevo avevo una vita un figlio mio una moglie e la giovinezza che correva forse troppo a lungo. E ora la amo di più e di più così che forse alla mia morte il nostro amore sarà uguale anche se dubito seriamente che il mio cuore potrà mai essere grande quanto il suo. Ron Padget

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Dina Sette “Il rapporto con i miei genitori va alla grande, io con loro sto bene, passo giornate piene di emozioni e di cose nuove da scoprire e io ne sono felice... Le sensazioni che provo sono: felicità e tanto amore e affetto... Ora è il momento di lasciarci amico. A presto!” Domenico Parisse Si è chiusa un pagina di diario e il 6 aprile 2009 è finita una grande storia. La notte del 6 aprile 2009, sono tornati al Padre i miei due figli: Domenico e Maria Paola di 18 e 16 anni. Dieci anni fa, una vita e una famiglia spezzate con tante cose da affrontare e tante cose a cui rinunciare, l’inizio di un cammino difficile. Dal 6 aprile al settembre 2009 io e mio marito Giustino ci siamo trasferiti a casa di mia sorella Anna Maria, nel mio paesello natìo a Marruci di Pizzoli. Lì, abbiamo trovato una casa, un tetto dove stare, una famiglia con tanto affetto e amore: grazie a loro e agli amici veri, a queste luci sempre accese, che ci hanno sostenuto e incoraggiato ad andare avanti, a non fermarci nonostante tutto. Intanto a Onna, paese completamente distrutto, nasceva la tendopoli, allestita dalla Protezione Civile. Parte degli abitanti di Onna era nella tendopoli, parte negli alberghi sulla costa e parte a casa di parenti o amici. La vita era diventata per tutti una sofferenza fisica e morale. Si vagava nel vuoto alla ricerca di un qualcosa, di un perché. A far visita agli onnesi, sempre nella tendopoli, sono arrivate molte associazioni laiche e religiose proveniente da diverse zone d’Italia. Con il loro aiuto spirituale e materiale, ma soprattutto con la loro presenza costante, gli abitanti non si sono sentiti soli. 95


Il 28 aprile 2009, papa Benedetto XVI ci ha fatto visita. Si è presentato con veste bianca e scarpe rosse. Per raggiungere la tendopoli ha percorso un tratto di strada tra la polvere e il fango. Con sobrietà e umiltà ha abbracciato i parenti delle vittime incoraggiandoli ad alzare lo sguardo al cielo. Poche parole per ogni persona, ma importanti. Sì, poche parole, perché davanti al dolore immenso bisogna fare silenzio e rispettare chi è stato colpito al cuore. Nei mesi successivi io e mio marito Giustino quasi ogni giorno siamo andati nei paesi dell’Aquilano più colpiti dal terremoto: Tempera, Paganica, Bagno, Arischia, San Gregorio, Villa Sant’Angelo, e tanti altri ancora, per raccontare la storia e la vita vissuta del “vecchio” paese e quello che era rimasto dopo la scossa. Tutti i giorni ci recavamo nella tendopoli di Onna e tutte le volte andavo in quel luogo definita “zona rossa”, dove ci sono vissuta 17 anni, dove sono nati e cresciuti i miei figli. Entravo in quel giardino e “rivedevo” loro e tutti i bei momenti trascorsi insieme. Purtroppo la realtà era ben diversa: macerie e rovine. Non mi facevo prendere dallo sconforto, scavalcavo quelle rovine, entravo per cercare di recuperare oggetti, foto, ricordi dei miei figli. Quando andavo via, con gli occhi pieni di lacrime, stringevo al petto quello che avevo trovato, con amarezza e tanta rabbia nel cuore. Dietro invito di associazioni religiose e laiche, per dare testimonianza a quella realtà surreale, con mio marito Giustino, abbiamo girato paesi d’Italia dalla Lombardia al Veneto, dalla Liguria alla Toscana, dalla Campania al Molise, dalla Basilicata alla Sardegna. Trovando in questi luoghi tanta umanità e solidarietà. Il richiamo alla solidarietà, alla vicinanza, fu ascoltato da tanti paesi del mondo. La Croce Rossa Internazionale in collaborazione con la Provincia di Trento realizzò i map (moduli abitativi provvisori). Nel settembre del 2009 le casette furono assegnate agli onnesi sfollati. 96


Subito dopo la catastrofe è intervenuto il governo tedesco per cercare di ristabilire un rapporto di pace e condivisione con il popolo onnese nel ricordo dell’eccidio nazista dell’11 giugno del 1944. Grazie a loro sono nate Casa Onna e Casa della Cultura ed è stata ricostruita la Chiesa parrocchiale di San Pietro Apostolo. Un gesto di vicinanza e di solidarietà c’è stato da parte dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Poi anche il suo successore Sergio Mattarella il 15 novembre 2015 ci ha fatto visita. Ha camminato per le strade del paese distrutto, ha salutato le persone presenti nel piazzale antistante la chiesa della Madonna delle Grazie, infine si è recato nella scuola materna gestita dalle suore della Presentazione. Anche la vicinanza di tante persone ci ha permesso di andare avanti pur se a fatica. A me e a mio marito, a fine settembre 2009, hanno assegnato il map numero 86 in via Vittime del 6 aprile. Da Marruci di Pizzoli ci siamo trasferiti di nuovo a Onna. I vicini di casa erano le famiglie di Vincenzo Pezzopane, Rodolfo Foresta, Gianfranco Busilacchio, Umberto Papola, Paolo Paolucci. Con loro e con tutti gli abitanti di Onna che vivevano nei moduli c’è stato un ottimo rapporto fatto di stima, di rispetto e di cordialità. Siamo rimasti in queste abitazioni provvisorie quasi tre anni. Il tempo scorreva. Come robot si andava avanti a fare le cose che si erano sempre fatte negli anni passati, ma in realtà non era così, perché la vita era avvolta nel dolore. Ti alzavi la mattina per recarti a lavoro e anche qui la situazione era drammatica. Gran parte delle strutture dell’Università erano inagibili. Le segreterie amministrative e didattiche dei Dipartimenti dell’Università dell’Aquila erano situate nell’atrio della Facoltà di Scienze in Coppito e successivamente spostate sotto le tende nel piazzale antistante la Facoltà. Più tardi i Dipartimenti e Centri furono trasferiti in strutture agibili presenti nel territorio. 97


Dopo il lavoro il rientro a “casa”, una “casa” vuota, priva di calore. Nel pomeriggio andavo a Paganica alla mia seconda casa: la cappellina al cimitero, dove riposano i miei figli. Poi alle Clarisse nel Monastero a Paganica per partecipare alle funzioni scandite nelle ore della giornata. Lì ho trovato un po’ di pace, grazie al loro aiuto spirituale, sempre pronte a dedicarmi parte del loro tempo. Con loro ho stretto un rapporto di amicizia vera e le ringrazio affettuosamente una ad una. I giorni passavano lenti e la vita era sempre un cumulo di macerie che non potevano essere né ricostruite né eliminate. Nel frattempo abbiamo costruito una piccola casa a nostre spese, in via delle Massale. Siamo andati via dal map 86 il 10 maggio 2012, il giorno del compleanno di mia figlia Maria Paola. La casa “nuova” è circondata da prati verdi, davanti abbiamo realizzato un frutteto con 40 piante in ricordo delle 40 persone di Onna volate in cielo quella notte. Abbiamo costruito una piccola edicola con la statua della Madonna di Lourdes. In una teca c’è il modellino della chiesa Parrocchiale San Pietro Apostolo, con la relativa piazza e case tutt’intorno com’erano prima del terremoto. In altri tempi avrei parlato di un angolo di Paradiso in terra, ma oggi no, visto che manca l’ossigeno della famiglia: Domenico e Maria Paola. Si va avanti restando attaccati al tralcio della vite per non precipitare. La vita non ha ripreso il suo ritmo e neanche il cuore tornerà a battere come prima, a distanza di dieci anni non sono riuscita a colorare il mondo con i colori della gioia, forse sarà così per il resto della mia vita terrena. Settembre 2018

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Testimonianza delle Suore di Onna È per noi, Suore, un grande segno di affetto l’averci richiesto di unire anche la nostra voce alle tante che, nel decennale del terremoto, vogliono tenere viva la memoria della tragedia che ci ha colpito e, soprattutto, dei nostri cari che in essa sono deceduti. Quella tragica notte la nostra piccola Comunità era composta da suor Pia, superiora, l’unica rimasta, in questi dieci anni, nella comunità di Onna, suor Maria Lilia e suor Enrica. Da subito hanno condiviso tutto con gli Onnesi, vincendo anche la tentazione di cedere alle sollecitazioni preoccupate dei Superiori perché trovassero momentaneamente riparo in qualche altra casa della Comunità. Non hanno voluto lasciare i fratelli e le sorelle che in quel momento erano in grave difficoltà, ma si sono come loro, “adattate” a vivere in tenda con tutte le difficoltà che gli Onnesi hanno conosciuto bene. Hanno cercato anche di essere loro vicino, come hanno potuto, e prospettandosi la possibilità di continuare l’anno scolastico della Scuola Materna, hanno subito accettato. Si è così riaperta, nella tendopoli, in una tenda come le altre, la prima, crediamo, scuola materna post terremoto. Questo sforzo di Suor Pia e Suor Maria Lilia, (Suor Enrica, dopo qualche tempo, per seri motivi di salute ha dovuto obbedire ai superiori e spostarsi nella Casa di Pescara), letto alla luce della santa Volontà di Dio, è stata premiata con il dono della prima scuola Materna ricostruita, che oggi vediamo e la cui commovente anche se tragica storia conosciamo tutti. È stata una benedizione per molti genitori, perché nei primi anni successivi al terremoto, vi hanno trovato un punto di riferimento sicuro per i propri bambini, anche di paesi non proprio vicini a Onna e della stessa L’Aquila. Il loro numero, in quegli anni, si avvicinava alle 100 unità. La disponibilità di Suor Pia e Suor Maria Lilia hanno sicuramente permesso che questa loro presenza a Onna, ormai da 135 anni, continuasse. 99


Antonio Valenti Improvvisamente arriva il dolore! Un grido straziato dal pianto! Che sta succedendo? Momenti interminabili, tutto crolla, la vita si blocca! Il dolore, la sofferenza, si tocca con mano un’impotenza che fa paura, quella tenebra che non sempre si riesce a comprendere, proprio perché è oscura, senza la luce giusta. Paura e speranza cominciano a rincorrersi... speranza di vivere una vita piena di senso, paura del contrario. Ogni volta che abbiamo cercato di “dare un nome” a quella “zona oscura” che è il dolore, abbiamo corso il rischio di “giustificare” ciò che è inspiegabile. Cosa fare quando la vita è ferita, quando sentiamo venir meno le forze e, nella nostra solitudine non c’è luce sufficiente? È il tempo del coraggio! Coraggio di rafforzare i passi vacillanti, di riprendere il cammino interrotto, di riacquistare fiducia nella forza che ogni “missione” porta con sé. È proprio dalla vita che ci viene richiesto il coraggio di lottare, non necessariamente per vincere; per essere alternativi, per resistere all’incredulità, anche se tutto questo è solo un tassello di un lungo cammino! È con queste convinzioni nel cuore, anche se alcune volte la paura di non farcela prende il sopravvento, che ci impegniamo ad essere più coraggiosi possibile, perché abbiamo conosciuto il vero significato della parola “speranza” che nulla c’entra con la parola ottimismo. Intanto il tempo insegna il valore della pazienza, smussa gli spigoli altrimenti taglienti, allarga orizzonti, apre i cuori, accoglie le lacrime distribuisce abbracci, crea una trama misteriosa che continuamente allena alla pace più profonda, alla conquista della serenità necessaria per vivere. Ricominciare, non è sempre e soltanto andare avanti; a volte serve tornare sui propri passi, non per coltivare la malinconia e il rimpianto ma, per raccogliere i semi di futuro che avevamo accuratamente conservato per proteggerli dall’illusione. Certo, non è facile coltivare le pianticelle dei nostri sogni davanti ad un albero forte e rigoglioso pur con il tronco scolpito da tante ferite, però è sempre necessario puntare in alto, anche con la fatica del cammino, con nel cuore la 100


“pace interiore” che non è felicità. Papa Francesco ci ricorda spesso di cercare e scoprire “... l’inaudita prossimità di Dio proprio nell’ora della tempesta e del naufragio, perché il Signore, vuole irrompere nella nostra vita, lì dove la nostra ferita è più profonda”. La speranza è, allora, permettere a Dio di trasformare le ferite in feritoie, attraverso le quali far passare la sua Misericordia e la sua Grazia. Quante volte, chi è stato particolarmente colpito e ferito ha sentito il bisogno di “resettare” il passato, di avvalersi del diritto dell’oblio; però piano piano, ha cambiato idea perché ha nutrito la speranza che c’è qualcuno che lo aspetta, pronto ad accogliere e curare le ferite. Nell’ottica cristiana, la sofferenza può e deve essere combattuta ma anche accettata, trasformata, offerta. Donandoci la sua luce e la sua forza, il Signore trasfigura la cruda esperienza del dolore e, se la paura e il pianto trovano istintivamente l’opportunità di esprimersi ancora, non è disperazione ma solo l’espressione di ciò che siamo: è il limite della natura umana, è un bisogno, è speranza nell’attesa, è invocazione accorata e fiduciosa.

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Massimo Valenti Mi faccio coraggio e descrivo, così come posso, ciò che il cuore mi dice. Porto su di me, i segni tangibili di momenti di dolore e di sconforto, momenti in cui più volte mi sono domandato: perché? Subito dopo una pioggia di se, di ma, di forse; poi, quando la terra smette di tremare e sembra che il peggio sia passato, ti guardi attorno e ti accorgi che una tristezza, una sofferenza sottile e persistente si pianta nel cuore e non ti abbandona più. Dove trovi la forza per ricominciare, per tornare a vivere, per tornare a sperare quando il dolore diventa insopportabile e ti lascia senza respiro? Non capisci, cerchi di leggere negli eventi, anche quando sono catastrofici ma, non resta che ripetersi e offrire “una parola di speranza”. Già, quale speranza?... Non certamente quella parola vuota che definisce un’attesa evanescente o un’aspettativa illusoria di una vita senza problemi, bensì l’atteggiamento di chi si ritrova ad affrontare l’esistenza con coraggio e sa stare nel proprio tempo con responsabilità, la forza di chi si impegna nella ricostruzione del presente, immaginando di procedere verso un futuro aperto, migliore, affidato alla promessa di Dio. Una fresca mattina di primavera, contemplando l’azzurro del cielo, a tratti attraversato da stormi di uccelli che si rincorrevano cinguettando allegramente, lungo la strada asfaltata davanti alla casa dove abito, fui attratto da un segno piccolo piccolo: un filo d’erba sottile e tenero, aveva avuto la forza di crescere vincendo la dura crosta dell’asfalto. Mi attirò quel semplice filo d’erba e distrasse la mia attenzione da ciò che stavo ammirando. Era fragile, sarebbe bastato un nulla, anche un solo movimento da parte mia e sarebbe rimasto schiacciato... Eppure la forza di quel seme aveva vinto ogni resistenza! Alzai gli occhi per osservare tutto ciò che mi stava attorno: aiuole fiorite, tanto verde, alberi maestosi, case dall’aspetto molto curato, persone affaccendate, bambini gioiosi, mentre i rintocchi delle campane della Chiesa vicina, invitavano alla preghiera e al ringraziamento. Tutto esprimeva vitalità, anche se, a pochi metri di distanza, oltre un grande 102


prato verde, la visione terribile di case distrutte, di cose cadute e abbandonate riportava a una triste e amara realtà. Mi ritornò subito, nelle orecchie, negli occhi, nelle gambe, il rombo terribile di una “potenza” che smuove e sconvolge... momenti indicibili che danno inquietudine e angoscia, stanchezza che blocca e sospende tutti i sogni della vita. Ho sentito il bisogno di riguardare quel filo d’erba, di considerare il duplice aspetto che mi rimandava: la fragilità esterna e la forza interiore, segno di una vita semplice e quotidiana: la vita di tutti noi. Mi sono commosso fino alle lacrime pensando che è proprio in questa semplice quotidianità che si rivela a noi la grandezza di Dio. È proprio vero, Dio vede e provvede! Se il dolore o la prova rendono curvi, incapaci di stare in piedi, il coraggio alimentato dalla fede in Dio, raddrizza, con l’umiltà e la tenacia del filo d’erba. Il coraggio fa cogliere la mano di Dio che passa accanto durante la prova, ecco allora farsi concretamente presente il conforto dell’amicizia e dell’amore; chi più di me può affermare che l’amore e l’amicizia possono trasformare tutto! E che dire della ricchezza di tanti incontri, di tanti sorrisi donati e ricevuti, di strade percorse insieme, di sofferenze e gioie condivise, che improvvisamente diventano esplosione di gioia che contagia! Ho avuto modo di conoscere persone con nel cuore un dolore infinito, come un lago amaro, tante di loro sono riuscite a superarlo attraverso la Speranza, quella forza interiore che maturata dalle prove della vita, è cresciuta nella fiducia in Dio che ha permesso di guardare al futuro con occhi diversi. Tante lacrime sono state così asciugate, tante risposte sono arrivate ai tanti interrogativi e al grido di dolore, tutto, piano piano ha cominciato ad avere un senso. Oggi, avverto già una ricompensa, sì proprio un sorso d’acqua fresca, qui su questa terra martoriata che, con tenacia, vuole tornare a vivere. È quindi il tempo della Speranza, un altro segno di risposta che Dio offre al nostro dolore. La vita percorre sentieri davvero inaspettati!

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Cristina Valeri Se sono felice, rido anche per voi. Se sono triste, a volte lo sono anche per voi. Ma poi, inspiro quel tanto d’aria che mi fa spiegare le ali e volo anche per voi. Vivete dentro di me. Ogni giorno.

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Arcangela Zugaro Erano i giorni di quel lontano marzo-aprile 2009. Erano momenti tristi, perché ogni tanto si avvertivano scosse di terremoto. Io per natura sono ottimista e mi toccava sempre rasserenare mia figlia Fabiana. E...così si arrivò a quella notte fatale. Erano le 11 quando sentimmo un’altra scossa. Arrivò tempestiva la telefonata di mia figlia e io la rassicurai perché ormai era passata e cosi andammo a dormire. Ma... alle tre di notte arrivò la spaventosa scossa che ci agghiacciò tutti. Io ero sola e non sapevo cosa fare. Aprii il portoncino e subito sentii la voce di Marcello, il mio dirimpettaio, che mi chiamava. Uscii coprendomi con una vestaglia. Vidi e sentii i cocci che cadevano, le credenze che si inclinavano. Ma devo dire che mai avrei immaginato tanto orrore. Mi misero in macchina; loro erano feriti e uscirono scalzi e svestiti. Poi mi presero i miei figli e andammo verso Picenze. In macchina si rincorrevano le varie telefonate che arrivavano dai parenti. I miei figli rispondevano che Onna era distrutta; io mi arrabbiavo tra me perché pensavo che stessero esagerando e parlavano pure di morti! ma rimanevo impietrita e non osavo rispondere. Era buio e io non vidi nemmeno che era quasi crollato il garage e il muro di cinta. Rimanemmo fuori quella notte in macchina. Qualcuno osava rientrare in casa e ci portava il caffè. Era tutto un pianto: grossi e piccoli. Ma quando verso le otto di mattina rientrammo capii ciò che era successo veramente. Urla, sgomento, pianti, disperazione. Uomini scalmanati scavavano in quelle macerie anche con le mani. Chi può descrivere la paura, il dolore, di quei momenti? La mia casa era tutta lesionata ma era in piedi; casa Ludovici, dove abitavano le figlie, era diventata un mucchio di sassi. Non abbiamo avuto morti perché mia nipote Martina stava a Chieti per puro caso. Fabiana abitava col marito alle 99 cannelle. Al ri105


torno da Picenze già M. Lucia col marito erano arrivati da Roma con molte difficoltà. E così cominciarono i giorni tristi. Vedevo Fabiana che camminava per il paese con la sua borsa dove teneva le cose più importanti, triste e silenziosa; sembrava una randagia che vagava di qua e di là. Sono passati ormai 10 anni e io tutti i giorni ricordo al Signore, oltre ai miei parenti, le anime di quel tremendo 6 aprile, che scomparvero dal paese. È forse perché mi sento in colpa che io invece l’ho scampata e loro no? Questo non lo so. Ma loro sono rimasti nel mio cuore e rimarranno fino a che io non li raggiungerò... Intanto tutti si davano da fare: alzarono tendoni, dormitori, cucine e... tante altre necessità. Ma io non potevo dormire lì, perché ero vecchia e malata di cuore già allora e la notte dovevo alzarmi spesso. Perciò mi feci coraggio e, di nascosto da tutti, dormivo a casa, senza nessuna utenza. Mio figlio mi procurò una lampada da minatore che, con un elastico, mettevo in fronte e... cosi potevo camminare per casa a mio piacimento. Il giorno e la sera andavo a mensa. E in questi giorni scoprii la cosa più bella che c’è nel mondo: la solidarietà, la bontà e tanta gente buona. Forse è che i cattivi fanno più rumore, perciò sembrano di più. Arrivarono aiuti da ogni parte d’Italia, in più la Germania ci sostenne per tanto tempo. Ricordo che Antonella, un’amica di Fabiana arrivò tra i primi, col marito, da Carsoli con un camion di ogni ben di Dio... Poi fu un viavai continuo di persone, di camion pieni di generi vari. Che meraviglia vedere tutte queste persone che facevano a gara a chi poteva aiutarci di più! E questo mi fa riflettere che il mondo non è poi così cattivo se guardiamo l’altra faccia della medaglia. È perché sono ottimista o è proprio così? Chi lo sa! Ora sono passati 10 anni e le case sono ancora tante da ricostruire. Certo mi dispiace non ricordare la casa ricostruita, dove sono entrata sposa, perché ho 89 anni e malata. Sarà quel che Dio vorrà. 106


In ricordo di quel triste periodo tengo molto cara una penna rossa, forse magica, perchÊ ancora scrive sul calendario le date da ricordare, poi ho una torcia, che m’illumina quando ne ho bisogno... Infine un banchetto che ci regalarono i tedeschi, quando stettero con noi per aiutarci. Ne costruirono tanti proprio per darli a noi! E ora non ci resta che sperare che vengano tempi migliori per i nostri bimbi che stanno crescendo!

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Padre Emiliano Antenucci O.F.M. Capp. RINASCERE COME LA FENICE Non ci sono più macerie, ma case di legno, cuori di carne, occhi aperti: dove si leggono storie di voragini di dolore di quel fatidico 6 Aprile cicatrizzate, ma non chiuse solo dalla luce della fede. Onna: epicentro del terremoto, ma anche centro del mio cuore, dove provvidenzialmente il Signore mi ha mandato in quei mesi indimenticabili della tendopoli. Onna nel cuore, gente semplice, frazione in mezzo a piccoli fiumi, vissuta con il panorama romantico della Bella Addormentata che ogni tanto si sveglia sia per il terremoto come per qualche tragedia come Rigopiano, ma persone tenaci e “dure” come il Gran Sasso, forse proprio questo è il segreto della resistenza al dolore e alle fatiche della mia terra d’Abruzzo. Il grande manager Sergio Marchionne scomparso prematuramente diceva: “Tenacia; senso del lavoro; l’orgoglio di fare le cose e farle bene” ... “Non ho mai visto un abruzzese arrendersi. Non l’ho mai visto aspettare che arrivasse un salvatore da chissà dove a regalargli un domani migliore. Gli abruzzesi cadono e si rialzano da soli, non perdono tempo a lamentarsi, ma fanno, producono, ricostruiscono. Credo che questo sia l’atteggiamento di cui ha bisogno l’Italia oggi”... La solidarietà e la generosità _ ricordava il grande manager _ sono tratti peculiari degli abruzzesi. E portava un esempio eloquente: “Queste qualità hanno permesso agli abruzzesi di trasformare una regione, che era tra le più povere dell’Italia del Dopoguerra, in una delle più fiorenti del Paese”. Mi vengono in mente anche le parole del nostro grande scrittore Ignazio Silone: “II destino degli uomini nella regione che da circa otto secoli viene chiamata Abruzzo è stato deciso principalmente dalle montagne […] il fattore costante della loro esistenza è appunto il più primitivo e stabile degli elementi, la natura […] Le montagne sono dunque i personaggi più prepotenti della vita abruzzese, e la loro particolare conformazione 108


spiega anche il paradosso maggiore della regione, che consiste in questo: l’Abruzzo, situato nell’Italia centrale, appartiene in realtà all’Italia meridionale […] E questo perché la storia, che quel carattere ha formato, è stata spesso assai dura, oscura e penosa, in un ambiente naturale quanto mai aspro, tra i più tormentati dal clima, dalle alluvioni, dai terremoti. Il carattere peculiare dell’uomo abruzzese è dunque un’estrema resistenza al dolore, alla delusione, alla disgrazia; una grande e timorosa fedeltà; una umile accettazione della “croce” come elemento indissociabile della condizione umana”. Il Gran Sasso ci dà la forza, la Majella la gentilezza ed il mare Adriatico l’apertura e l’accoglienza verso tutti. Siamo un po’ orsi, ma abbiamo anche la grinta del lupo e la bontà del pastore abruzzese. Tu, Signore, non dormivi quel 6 aprile, la gente si è svegliata improvvisamente dal sonno, non ti chiedo perché. Anzi, caro Dio, ti dovrei chiedere tanti perché sulla vita degli altri, sulla mia vita, sulla sofferenza, sul male, sulla morte... ma forse un giorno tutti questi “perché” li chiariremo “a faccia a faccia”, quando sarò da Te nel mondo della Luce e della Verità tutta intera. Che cosa ha detto alla mia vita il terremoto? Svegliati Emiliano! Ogni momento che vivi è un dono, una grazia, un presente che non si ripete, un’attimo di eternità sulla terra. Ogni persona che incontri è un regalo, quindi non scartarla, ma scartala con cura, donagli fiducia, conforto e misericordia insieme al perdono di Dio e la gioia di vivere. Ogni persona che incontri lascia parte di se e tu anche gli dai parte di te. Gli incontri ci cambiano la vita, soprattutto quelli con i poveri, gli ultimi, i diseredati dalla storia, gli abbandonati della vita. Tutto questo ci cambia la visuale di vedere il mondo, gli altri e la realtà. L’Aquila, ritorna a volare, perché solo se metterai queste ali, potrai avvicinarti al sole e dare forza a tutti i deboli che incontri nel cielo della vita, perché “quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi” (Is 40,31). 109


La morte, per noi cristiani, è la nascita al Cielo, è l’inizio del grande respiro eterno, ed è per noi che restiamo sulla terra una “maestra della filosofia della vita (Paolo VI)” ed è una meditazione intensa su come dobbiamo vivere e come viviamo. Non c’è più tempo per odiare, ma solo per amare. Signore, facci rinascere come la fenice che dalle ceneri della vita rinasce a vita nuova. Grazie Signore per il dono del Tuo Amore e della Tua Consolazione, grazie Signore che mi hai donato tante persone che mi vogliono bene. Signore, non ti chiedo di essere Luce, ma solo una traccia di Luce, che non lasci me stesso, ma Te che hai messo in me dall’eternità. Onna, 2018

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Padre Emiliano Antenucci O.F.M. Capp. TREMA LA TERRA MA IL CUORE RESTA SALDO IN CIELO La terra trema e tutte le sicurezze umane scompaiono in pochi secondi… Il grido dei perché che si alzano al cielo e i cuori straziati dal dolore e dalla paura per il terremoto che ha fatto tremare il cuore e la vita. Tu, Dio, resti a guardare… No, non voglio crederlo… Sotto le macerie si rialza la croce luminosa che illumina ogni uomo e ogni donna sulla terra. Non ci credo che sei un Dio ingiusto e che punisci i tuoi figli, perché come mi ripeteva un vecchietto di Onna: “Anche il demone più feroce non può nulla contro la croce”. E tu, Maria, Madre dell’umanità sei sempre salva nelle chiese, nelle case e appesa sui muri ci ricordi che sei la Madre della Speranza: una virtù che è in crisi davanti alla catastrofe che la natura ha provocato. Maria ci tieni per mano e asciughi le lacrime delle mamme che hanno perso i loro angeli volati al cielo per un misterioso destino che tu Padre delle misericordie conosci. Sole, pioggia, anche il tempo fa capricci… i volontari con generosità si prodigano per alleviare il disagio di vivere in tenda come tu bambino di Betlem che al freddo e al gelo provasti il soffrire dell’umana natura. Mi inviti ad una conversione quotidiana e mi richiami che non basta solo pregare, ma bisogna agire amando e viceversa un’azione senza preghiera è vuota di senso. La vita è un attimo ed è come una cometa, non bisogna perdere la luce che irradia quest’astro venuto dal cielo altrimenti cosa resta... Si può vivere bene e per sempre senza pensare a noi stessi: questo è il trucco che l’Amore potente di Dio fa tremare il cuore. Case frantumate, vite spezzate, polvere che impedisce di vedere il cielo e di parlare di Te… C’è disperazione…No, non ci credo che ci abbandoni. C’è solo la consolazione della fede cosi mi sussurra all’orecchio una mamma che ha perso due figlie, ma è tranquilla perché i suoi due angioletti sono con Gesù. L’altra mamma addolorata mi dice mio figlio ha spalancato le porte del Paradiso me lo ha detto anche il Santo Padre e sono felice. Sembrano scene da 111


film, ma è la realtà viva e cruda: Dio mio, Dio mio perche? Il Tuo grido Gesù si unisce ai tanti gridi, il cuore sobbalza, la saliva si ferma sulla bocca, gli occhi sono quasi chiusi allo scenario di morte… ma mi ricordi di leggere il libro della vita: la croce che è la dichiarazione d’Amore che fai ad ogni uomo. Se ogni dichiarazione d’Amore che Tu fai è cosi sofferta e tratti così quelli che tu ami… mi inginocchio e credo che tu sei il Signore della vita e ridoni ad ogni uomo la speranza di andare avanti e di riparare, come per Francesco d’Assisi, la casa del mondo che crolla grazie ai nostri peccati. Donaci, Signore grazia su grazia per sperare e non disperare davanti al buio e alle tenebre della morte. Donaci la tua pace che non ci lascia in pace davanti alle sofferenze dei fratelli. Donaci il silenzio e il rispetto davanti al dolore di ogni uomo. E Tu Maria che rimani salda nelle macerie per indicarci il Tuo Figlio Amato donaci il conforto della fede e il coraggio di affrontare la vita con più slancio, con più amore con più grinta con più forza. L’anelito nel cuore di Francesco 800 anni fa vale per ciascuno di noi: fratello, và e ripara la mia casa... La casa del cuore, la casa dove vive Cristo sepolto nelle macerie dei nostri peccati, la casa che ci attende per contemplare in eterno la luce del Padre. Non c’è tempo per fermarsi, bisogna agire, amare e ricostruire il mondo che sta crollando. L’Amore potente di Dio faccia tremare il nostro cuore. Amen. Onna, Aprile 2009

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Pasquale Somma Da quel 6 aprile la vita di molti è cambiata. Da quella tragica esperienza non ho smesso di credere ancora che Dio ha un sogno su ciascuno: che porti frutto, che la vita di ognuno conosca fecondità. Sì, perché esiste anche la tremenda possibilità di fallire la vita in una triste sterilità. Non è la morte a farci fallire ma noi possiamo morire pur rimanendo in vita. La nostra storia personale sta tutta dunque in questo compito: fruttificare, maturare, diventare ciò che possiamo essere. Il primo comandamento di Dio nella Bibbia è proprio: “Siate fecondi” (Gn 1, 22). La vita è insomma un fecondare il proprio essere, venire alla luce di se stessi, un emergere dalla propria interiorità. Se vogliamo, un rinascere. E da Onna è rinata la speranza durante quella notte stessa. Ho visto la dignità sui volti di quella gente seduta lungo i tavoli del tendone. Volti solcati dal dolore che con pazienza aspettavano una parola. Tutti avevano perso la casa, chi aveva perso due figli, madri che avevano perso bambini di pochi mesi. Donne, uomini, vecchi che non si sono mai rassegnati alla morte e hanno saputo trasformare il dolore in speranza. Sono venuto in mezzo a voi con decine di giovani desiderosi di aiutare e farsi prossimi. Abbiamo spezzato il pane, condiviso il vino nel segno dell’amicizia e mentre il tempo ci ha cambiati siamo rimasti ancora uniti e vicini.

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Reportage fotografico Archivio fotografico: Carlo Cassano Didascalie: Giustino Parisse

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001 Via del Forno prima del sisma. Prende il nome dal forno comunale posto all’inizio della strada stessa. Forno che le donne di Onna usavano per cuocere il pane fino a pochi decenni fa. 002 Via dell’Arco prima del sisma. L’arco caratterizzava uno degli angoli della piazza del paese. A fianco c’erano le pietre tonde e squadrate dove d’estate ci si sedeva per conversare e stare insieme. 002

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003 Via Alfieri prima del sisma. Lungo questa strada si affacciava il palazzo di campagna della nobile famiglia Pica Alfieri. Parte della vasta tenuta che la circondava è stata ceduta dopo il terremoto e utilizzata per ospitare il villaggio map. 004 Via Ludovici prima del sisma. Via Ludovici, ex via del Carro rotto ed ex via XXVIII ottobre collega via dei Martiri con via Oppieti, era l’unica che conservava la pavimentazione completa con i selci bianchi realizzata nel secondo dopoguerra. 004

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005 Aprile 2009. Casa Ludovici, luogo dell’eccidio dell’11 giugno 1944. Si nota la lapide posta a memoria. L’immagine è dei giorni immediatamente successivi al sisma.

006 Ciancone prima del sisma. Il cortile di Ciancone è all’interno di un palazzo edificato fra la fine del 1600 e l’inizio del 1700, probabilmente dalla famiglia Orsini. Su un portale esterno era incisa la data 1702. 006

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007 Via delle Massale sotto la neve prima del sisma. Questa foto è stata scattata il 18 febbraio del 2009. La strada parte dalla piazza ma prosegue poi verso la campagna.

008 31 maggio 2008. Il rito della “discesa della Madonna” che si svolge il vespro del sabato, vigilia della festa dedicata alla Madonna delle Grazie. È il momento più sentito, commovente ed emozionante per l’intera collettività onnese. 008

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009 Il Pinnerone portato in tendopoli. Il Pinnerone è una pietra tondeggiante utilizzata originariamente come “torchio”. Prima del sisma era all’incrocio fra via dei Martiri e via dei Calzolai ed era il punto di ritrovo privilegiato dagli onnesi. Frase tipica: “Dove ci vediamo?”, “A ju pinnirò.” 010 Interno di una tenda. Le tende sono state il rifugio post terremoto per la gran parte degli onnesi. Furono sistemate dalla protezione civile sul terreno, di proprietà della parrocchia, che fino al 2009 era utilizzato come campo sportivo. 010

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011 Benedetto XVI entra in chiesa. Questa foto è fra quelle che passerà certamente alla storia del terremoto 2009. Il pontefice volle entrare nonostante le perplessità degli uomini della sua sicurezza.

012 Visita Benedetto XVI. Il Papa, dopo aver visitato la chiesa si recò nella tendopoli. La foto fissa il momento in cui saluta le suore. In primo piano suor M. Lilia. 012

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013 Nell’immagine scattata il 30 aprile 2009 si vede un un mattone che si è sfilato dall’arco in laterizio. L’abitazione si trovava al centro di Onna, a fianco al pinnerone. La foto dà il senso della potenza della scossa. 014 La devastazione all’interno delle abitazioni è totale. Ogni intimità è violata, i muri sono venuti giù e attraverso uno specchio si notano i caschi dei soccorritori. La foto è del 30 aprile 2009. 014

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015 La chiesa di San Pietro Apostolo devastata dal terremoto. Questa è la parte che gli onnesi chiamano della “Congrega”, antica sede della Congregazione di Maria Santissima delle Grazie. Sull’altare c’era un antico affresco venuto giù. 016 La chiesa di Onna fotografata l’8 maggio 2009, l’abside è imploso anche a causa del campanile che è crollato. L’altare è quasi completamente sepolto dalle macerie. 016

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017 Per evitare che la chiesa finisse di crollare sia per altre scosse che per fattori climatici l’edificio fu puntellato dai vigili del fuoco ed è rimasto così fino al 2013 quando sono stati avviati i lavori di ricostruzione. 018 10 maggio 2009. La processione con la Madonna delle Grazie si svolse nella tendopoli. Gli onnesi, nonostante la tragedia, non vollero rinunciare alla tradizionale festa patronale. In primo piano le suore e sullo sfondo l’Arcivescovo dell’Aquila monsignor Giuseppe Molinari. 018

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019 10 maggio 2009. I componenti della Congregazione di Maria Santissima delle Grazie con l’ambasciatore tedesco in Italia Michael Steiner. Steiner è stato fra i “padri” della rinascita onnese. 020 3 giugno 2009. Nei pressi della tenda-chiesa il priore della Congregazione Paolo Paolucci realizza un cuore con 40 piccole pietre, su ognuna c’è il nome di un onnese che non ce l’ha fatta la notte del 6 aprile 2009. 020

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021 9 giugno 2009. Per garantire la continuità didattica viene montata una tenda che sarà scuola dell’infanzia provvisoria (gestita dalle Suore della Presentazione) fino alla realizzazione di quella nuova, nel settembre 2009, dedicata a Giulia Carnevale. 022 Estate 2009. Campo Onna: un momento della festa organizzata dalle donne del paese e dai cuochi della protezione civile per accogliere il Ministro del governo tedesco, Horst Seehofer e ringraziare le autorità tedesche dell’aiuto e dell’amicizia ricevuti. 022

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023 Maggio 2009. Nella tendopoli allestita nell’ex campo sportivo di proprietà della parrocchia il medico dottor Gabriele De Cata incontra gli anziani di Onna per le visite e per le ricette mediche. In quei mesi tutto era precario anche se l’assistenza sanitaria fu sempre garantita.

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024 Maggio 2009. Ancora l’improvvisato ambulatorio medico essenziale per le persone avanti con l’età e con qualche problema di salute.

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025 14 giugno 2009. Il bucato non può attendere e allora ci si attrezza come si può all’esterno della tendopoli. Una situazione precaria andata avanti circa sei mesi.

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026 5 luglio 2009. L’ambasciatore tedesco Michael Steiner a Onna, zona Sant’Antonio, per un sopralluogo in attesa della visita della cancelliera Angela Merkel, all’Aquila per il G8 che si è tenuto presso scuola della Guardia di Finanza a Coppito. 027 8 luglio 2009. Il presidente del consiglio italiano Silvio Berlusconi e la cancelliera tedesca Angela Merkel a Onna, in piazza Umberto I, per un sopralluogo nella chiesa che sarà ricostruita grazie ai fondi del governo tedesco (3,5 milioni di euro). 027

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028 8 luglio 2009. Il presidente del consiglio Silvio Berlusconi e la cancelliera Angela Merkel escono dalla chiesa di Onna. Alle loro spalle il presidente della Onna Onlus Franco Papola, a fianco giornalisti e personale della sicurezza. 029 10 luglio 2009. Il premier inglese Gordon Brown (anche lui all’Aquila per il G8) con la moglie visita alla tendopoli la musicista Joanna Griffith-Jones, inglese ma che per motivi di lavoro vive a Onna. 029

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030 16 luglio 2009. Dopo l’individuazione dell’area ceduta in comodato d’uso al Comune dalla famiglia Pica Alfieri partono i lavori per realizzare le piattaforme in cemento armato per i moduli abitativi provvisori. 031 14 luglio 2009. Dai camion vengono scaricati i materiali per la costruzione delle abitazioni provvisorie. I bracci delle gru si sollevano per posizionare i vari pezzi dei map. 031

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032 Estate 2009. In alto alcuni map appena montati e a cui mancano solo delle rifiniture, in basso un momento della costruzione con i pezzi che vengono man mano assemblati.

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033 14 luglio 2009. Il grande tendone della Protezione civile oltre che da mensa ha funzionato per mesi anche come luogo per riunioni e assemblee della popolazione che man mano veniva informata degli sviluppi della fase emergenziale. 034 17 luglio 2009. Nella tendopoli le vecchie tradizioni non sono venute meno, in questa foto si fanno le ferratelle (preparate per la festa regalata da THW) un dolce di relativamente facile realizzazione ma di grande bontĂ per il palato. 034

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035 17 luglio 2009. Nella tendopoli furono realizzate anche delle docce utilizzate a turno dagli sfollati. Ci si doveva arrangiare per ogni necessità con abitudini e modalità stravolte rispetto alla precedente quotidianità . 036 17 luglio 2009. Nel tardo pomeriggio si approfittava di un po’ di frescura per ritrovarsi fuori dalle tende per riposare, chiacchierare e socializzare mentre tutto intorno i lavori di manutenzione e sistemazione da parte della protezione civile andavano avanti senza sosta. 036

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037 18 luglio 2009. Fra i tanti gesti di solidarietà anche il servizio per il taglio dei capelli. Piccole necessità in apparenza ma che nella situazione che si era venuta a creare erano diventate grossi problemi risolti grazie alla generosità di tante persone. 038 22 luglio 2009. Questo è l’ingresso alla tendopoli con le bandiere della protezione civile (a Onna operò in particolare quella della Regione Lazio) e con la grande scritta Onna sopra allo stemma storico del paese (onde in campo d’argento). 038

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039 23 luglio 2009. La cucina nella tendopoli era un servizio essenziale curato dalla Protezione civile ma alla quale collaboravano a seconda delle necessità anche donne e uomini di Onna. 040 26 luglio 2009. Anche volontari islamici al lavoro in cucina. Un segno di grande solidarietà e fratellanza umana, uno dei tanti ricevuti dagli onnesi nel periodo dell’emergenza ma anche dopo. 040

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041 26 luglio 2009. Questo è il muro esterno della canonica . Dove oggi c’è l’opera d’arte che ricorda la tragedia prima del sisma c’era un’immagine della Madonna posta in quel luogo nel 1965. 042 27 luglio 2009. Volontari della protezione civile tedesca (THW) subito dopo aver realizzato una fontana nella tendopoli. Furono gli unici a cui fu permesso di intervenire nel territorio a sostegno dei Vigili del Fuoco. 042

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043 29 luglio 2009. Volontari e uomini del soccorso al lavoro per recuperare materiali, mobili e oggetti nelle case distrutte . Un lavoro che andrà avanti per mesi e che terminerà solo con la completa rimozione delle macerie. 044 29 luglio 2009. Il Ministro del governo tedesco, Horst Seehofer, nella tenda mensa per un incontro con gli onnesi. I vertici dell’esecutivo sono stati piÚ volte a Onna per verificare il lavoro che si stava facendo e programmare gli interventi. 044

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045 29 luglio 2009. Il lavoro in cucina non manca mai, qui si taglia e si lava l’insalata che poi sarà distribuita come contorno a pranzo, intorno alle 13, e a cena, intorno alle 19.

046 5 agosto 2009. Altra simbolica immagine del recupero di oggetti da sotto le macerie. In questo caso Pio Sbroglia ha in mano un vecchio grammofono. Sullo sfondo i vigili del fuoco. 046

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047 27 agosto 2009. Foto di gruppo degli onnesi in gita in Germania su invito del governo tedesco. Qualche giorno fuori dall’inferno del terremoto per visitare luoghi e bellezze naturali della Germania. 048 29 agosto 2009. Il sindaco Cialente con l’ambasciatore tedesco Michael Steiner a Onna, con le macerie sullo sfondo mentre discutono delle iniziative per aiutare gli onnesi. 048

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049 3 settembre 2009. Volontari del servizio Civile al lavoro sulle macerie per recuperare oggetti e pietre utili per la ricostruzione, qui in particolare siamo all’interno del cortile Ciancone. 050 3 settembre 2009. Altra foto del cortile Ciancone distrutto, è rimasto piedi solo l’arco con sopra la loggia con balaustra. Uno degli angoli piĂš belli di Onna quasi cancellato del tutto. 050

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051 6 settembre 2009. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel nuovo villaggio di Onna che sarà ufficialmente inaugurato dieci giorni dopo. Con lui autorità di governo nazionale e locale. 052 15 settembre 2009. Nel nuovo villaggio vengono sistemate anche panchine e tavoli dove ci si siede, si legge un giornale e si chiacchiera: l’argomento terremoto non manca mai. 052

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053 15 settembre 2009. Qui invece siamo in uno spazio fra i map dove sono stati piantumati alberi e sistemati siepi e fiori. Tutto fu fatto con la massima cura e attenzione. 054 15 settembre 2009. Scatole varie fuori dai map con generi alimentari e bevande per rifornire frigoriferi e dispense degli alloggi. Gli onnesi troveranno anche una bottiglia di spumante e farina per la polenta. 054

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055 - 056 16 settembre 2009. Alcuni momenti della cerimonia per la consegna delle casette e dell’asilo. In alto il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, l’arcivescovo Giuseppe Molinari e alcune autorità locali. Nella foto in basso, al centro la dottoressa Maria Teresa Letta della Croce Rossa Italiana che ha seguito l’intera fase organizzativa e di costruzione del villaggio.

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057 19 settembre 2009. A mano mano che vengono consegnate le casette provvisorie vengono smantellate le tende. A fine settembre 2009 non c’era praticamente piĂš traccia della tendopoli. Quella di Onna fu una delle prime a essere smantellata. 058 26 settembre 2009. Negli spazi del villaggio map pur con tanta tristezza si cerca di trovare occasioni per stare insieme. Parlare e confrontarsi sul presente e sul futuro è stato uno dei modi di venir fuori dall’incubo. 058

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059 27 settembre 2009. All’interno del nuovo asilo realizzato in tempi record si svolge una cerimonia in cui gli onnesi ringraziano l’ambasciatore tedesco Michael Steiner per tutto quello che ha fatto e che farà in seguito. 060 25 ottobre 2009. I Vigili del fuoco continuano il lavoro di recupero dei beni materiali rimasti sotto le macerie o nelle case pericolanti. Un’opera preziosa per la quale gli onnesi non finiranno mai di ringraziare i vigili del fuoco giunti da ogni parte d’Italia. 060

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061 24 ottobre 2009. Ada Marucci, all’epoca ultranovantenne seduta davanti a casa sua in via delle Massale assiste al lavoro dei vigili del fuoco impegnati a recuperare nell’abitazione oggetti di uso quotidiano.

062 24 ottobre 2009. Il nuovo villaggio visto dall’alto. 062

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063 5 dicembre 2009. Il taglio del nastro per la inaugurazione della chiesetta in legno realizzata dall’associazione Nu.Vo.La. con raccolta fondi “Un Sole per Onna”. Un luogo di culto piccolo ma confortevole ancora oggi utilizzato dalla popolazione di Onna. 064 23 dicembre 2009. Ecco come appare all’esterno la chiesetta di legno con a destra il campanile e davanti la piccola piazzetta dove verrà sistemato anche il pinnerone. 064

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065 22 gennaio 2010. Inaugurazione del centro Polifunzionale per i giovani di Onna. I fondi furono raccolti e donati alla Onlus di Onna dal Club 41 e dalle associazioni ad esso collegate. Altri fondi arrivarono a Onna Onlus grazie al blog di Beppe Grillo. Di recente è stato rifatto il pavimento grazie alla ditta Edil costruzioni group. 066 22 gennaio 2010. Cerimonia di inaugurazione del Centro Polifunzionale vista dall’interno. La struttura fu realizzata sulla base di un’idea progettuale di Giulia Carnevale, la ragazza universitaria deceduta sotto le macerie della casa in cui viveva all’Aquila. 066

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067 28 marzo 2010. È la domenica delle Palme. Un anno prima la festa che precede la Pasqua fu l’ultimo giorno “normale” per gli onnesi. Dopo poche ore la tragedia. La cerimonia si svolge nello spazio del ricordo (con una Madonnina di bronzo donata dal fioraio Ninnittu) all’interno del nuovo villaggio. 068 1 aprile 2010. La via Crucis del Venerdì Santo fra le macerie del paese distrutto. Nel 2009 proprio il Venerdì Santo si svolsero i funerali delle vittime nella scuola della Guardia di Finanza. 068

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069 Notte fra il 5 e il 6 aprile 2010, ore 3.32. L’ambasciatore tedesco Michael Steiner posa la prima pietra di Casa Onna, il luogo della comunità e della rinascita. 070 Altra immagine della posa della prima pietra di Casa Onna. Nel contenitore di cemento è stato inserito un messaggio per le generazioni future che fra qualche secolo qualcuno forse recupererà e leggerà. 070

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071 8 maggio 2010. La statua della Madonna delle Grazie conservata nel post terremoto nella sede del museo delle Paludi di Celano - ed esposta in mostre in tutta Italia - torna a Onna per la festa parrocchiale. 072 16 giugno 2010. Ci sono anche gli onnesi nel corteo di protesta che attraversa L’Aquila e tutta la periferia per chiedere maggiore attenzione al governo rispetto alla ricostruzione. Dieci anni dopo siamo ancora qui a parlare di ricostruzione e ritardi. 072

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073 26 settembre 2010. La nuova chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie viene arricchita di uno splendido crocifisso ligneo opera del maestro artigiano trentino Loris Angeli. In foto il momento della benedizione da parte del parroco.

082 7 ottobre 2010. Sulle ceneri della vecchia scuola elementare nasce Casa Onna. La struttura costruita grazie a finanziamenti privati giunti dalla Germania diventa luogo di riferimento per gli onnesi ma non solo. 074

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075 7 ottobre 2010. I locali di casa Onna vengono benedetti dall’arcivescovo ausiliare Giovanni D’Ercole. Al taglio del nastro erano presenti autorità civili italiane e l’ambasciatore di germania a Roma Michael H. Gerdts. 076 16 ottobre 2010. A Casa Onna viene organizzata una mostra di ceramiche realizzate dall’associazione I Cocci di Onna nell’ambito di un progetto di laboratorio di ceramica donato alla popolazione dalle maestre ceramiste Maria D’Alessandro e Anna Mileto. 076

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077 4 aprile 2011. La nuova campana donata agli onnesi (che poi sarà sistemata sul campanile restaurato della chiesa parrocchiale) viene “appesa” nel retro della chiesetta di legno. 078 6 aprile 2011. A Casa Onna viene sottoscritto il piano di ricostruzione dall’allora Sindaco dell’Aquila Massimo Cialente, dall’ambasciatore di Germania a Roma Michael H. Gerdts e dalla Onna Onlus rappresentata da Franco Papola. 078

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079 30 ottobre 2011. Inaugurazione della grande targa in bronzo in ricordo della visita di Benedetto XVI nell’aprile del 2009. Il monumento è un bassorilievo, realizzato dallo scultore di Torre del Greco Vincenzo Giggiano Borriello, raffigurante Papa Benedetto XVI che benedice le 40 vittime onnesi del sisma. 080 29 agosto 2012. Don Cesare Cardozo benedice l’ambulatorio medico. Nel corso della cerimonia, don Mario, parroco di Sant’Angelo D’Alife, ha sottolieneato lo spirito di solidarietà e l’affetto profondo dei suoi concittadini per la comunità di Onna. 080

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081 29 agosto 2012. Inaugurazione dell’ambulatorio medico realizzato grazie alla donazione della cittadina di Sant’Angelo D’Alife, gemellata con L’Aquila, e alla Croce Rossa italiana che ha provveduto agli arredi. 082 Estate 2016. Un’immagine notturna del nuovo villaggio di Onna. Siamo in particolare in via Geremia Properzi. Il buio della notte è spezzato dalla luce dei lampioni. Un altro giorno è passato, un altro sta per arrivare. 082

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083 6 aprile 2012. Inaugurazione dell’Infobox, una struttura altamente tecnologica nata per essere un luogo della memoria, dell’incontro, del confronto, e della documentazione di cosa è stato e di cosa potra’ essere. 084 6 aprile 2012. Alcune delle autorità presenti alla inaugurazione dell’infobox in visita alla Casa della Cultura. 084

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085 6 aprile 2012. L’interno dell’infobox. La struttura, leggera ed ecocompatibile, ospita sofisticate attrezzature multimediali. Il progetto è stato ideato e coordinato da Wittfrida Mitterer, docente dell’Università di Innsbruck. 086 10 maggio 2014. La processione in occasione della festa patronale passa anche dentro il paese ancora in macerie. Qui siamo fra via del Forno e via dei Martiri. La statua della Madonna delle Grazie è scortata dai carabinieri in alta uniforme. 086

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087 Onnesi al lavoro per il completamento del nuovo arredo del Luogo della Memoria con il posizionamento di lacerti recuperati tra le macerie. Grazie agli sponsor, realizzata una protezione per la Madonnina, una stele dedicata alle vittime ed una nuova illuminazione. 088 22 agosto 2015. Inaugurazione parco giochi per bambini “L’Isola che non c’era� realizzato a fianco della chiesetta di legno voluto dal Centro Sociale Anziani e Parrocchia di Onna, con un contributo economico della Provincia. 088

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089 Concerto organizzato dalla Parrocchia di Onna con l’associazione “I Cantieri dell’Arte”, nell’auditorium “Renzo Piano” per raccogliere fondi a favore del progetto “Opere Nostre: conservazione e restauro opere d’arte”. 090 11 settembre 2015. L’interno della chiesa parrocchiale dedicata a San Pietro apostolo dopo il restauro. Successivamente saranno riposizionate le opere d’arte, le statue dei Santi e gli arredi.

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091 15 novembre 2015. Inaugurazione dell’opera di Kokocinski in ricordo della tragedia del terremoto. È stata fissata sulla parete della canonica dove, ante sisma, c’era un’immagine della Madonna. 092 15 novembre 2015. La cerimonia di inaugurazione dell’opera di Kokocinski alla presenza dell’arcivescovo Giuseppe Petrocchi e di autorità locali. C’è anche un rappresentante del governo tedesco. 092

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093 6 aprile 2016. La fiaccolata nella notte fra il 5 e il 6 aprile in memoria delle vittime del sisma. La fiaccolata si snoda all’interno del centro storico distrutto. Solo nel settembre 2015 è stato aperto il primo cantiere privato. 094 26 ottobre 2015. L’artista Alessandro Kokocinski in piazza a Onna durante la realizzazione della sua opera (vincitrice di un concorso nazionale) in ricordo delle vittime del terremoto del 2009. 094

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095 16 novembre 2015. Il Presidente della Repubbica Sergio Mattarella riceve una confezione di fagioli di Onna, produzione tipica del paese, specialità gastronomica e vanto del territorio. 096 16 novembre 2015. Il Presidente Mattarella in visita a Onna nell’ambito di una serie di appuntamenti istituzionali all’Aquila. Poco prima aveva visitato anche la chiesa in ricostruzione. Con lui ci sono il parroco di Onna, le suore e le autorità locali. 096

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097 16 novembre 2015. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in visita a Onna si intrattiene con i bambini della scuola dell’infanzia.

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098 29 aprile 2016. Gli esperti danno gli ultimi ritocchi all’affresco della Madonna del Cardellino - XV secolo - fortemente danneggiato dal terremoto. Ora è stato agganciato al muro in modo da resistere a scosse come quella del 2009 o di poco superiori. 099 26 aprile 2016. Gli onnesi aiutano i restauratori e le restauratrici a riposizionare le statue dei Santi al loro posto. In questa foto la statua è quella di Sant’Emidio il protettore dai terremoti. 099

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100 7 maggio 2016. Inaugurazione della chiesa di San Pietro Apostolo. Presenti il Sottosegretario ai Beni Culturali Ilaria Borletti Buitoni, il Segretario di Stato tedesco Gunther Adler, l’Ambasciatrice di Germania a Roma Susanne M. Wasum-Rainer, il Dottor Michael Steiner e l’Arcivescovo Metropolita dell’Aquila Cardinal Giuseppe Petrocchi. 101 7 maggio 2016. Inaugurazione della chiesa di San Pietro Apostolo inserita nell’ambito della festa parrocchiale 2016. Per la prima volta la processione si svolse senza la neo reataurata statua lignea della Madonna delle Grazie, opera che va tutelata al massimo. Al taglio del nastro, il Segretario di Stato Adler e il Sottosegretario Borletti-Buitoni. 101

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102 7 maggio 2016. La ri-consacrazione dell’altare da parte dell’arcivescovo. Da quel momento la chiesa parrocchiale, dopo oltre sette anni, torna a pieno titolo a essere luogo di culto carico anche di storia e tradizione. 103 6 aprile 2017. Il capo della polizia Franco Gabrielli, all’epoca del sisma prefetto dell’Aquila, partecipa alla commemorazione delle vittime del sisma. La messa è stata preceduta dalla fiaccolata nel centro storico distrutto. 103

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104 5 agosto 2017. Nell’ambito della rassegna “Musica e Architettura” promossa dalla Società Aquilana dei Concerti “B. Barattelli”, concerto dell’Orchestra da Camera di Perugia con il bandoneonista Daniele Di Bonaventura. 105 24 giugno 2018. All’interno della chiesa parrocchiale si è svolto un importante evento musicale a cura della Onna Onlus e del Goethe Institute. Si sono esibiti i Signum Saxophone Quartet composto da quattro giovani sassofonisti tedeschi: Blaž Kemperle, Erik Nestler, Alan Lužar e Guerino Bellarosa. 105

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106 21 Gennaio 2018. Si rinnova l’incontro con gli amici del “Four Clubs One Vision”.

107 Progetto “Archeologo per un giorno”, laboratori per i bambini organizzati per la conoscenza e la rinascita del territorio. 107

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108 Primavera 2017. Visita di cortesia del Sottosegretario del Governo di Germania Herr Gunther Adler accompagnato dal Ministro Plenipotenziario a Roma Frau Ingmar Maria Fellern, di ritorno da Amatrice

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109 Agosto 2017 Inaugurazione esposizione oggetti di Cultura Materiale.

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110 2 Ottobre 2017. Il Collegium Cantorum di Rottweil in concerto con la Corale 99

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111 31 maggio 2018. Una immagine della facciata della chiesa parrocchiale, anche la croce è stata riposizionata a fianco al portale.

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Indice Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Onna, 6 Aprile 2009-2019 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Una tragedia da non dimenticare . . . . . . . . . . . . 6 Anziani, fragili e vulnerabili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 Onna è entrata nel mio cuore . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Trasformare la storia: il terremoto di Onna . . 11 Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 Testimonianze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 Valentina Brunetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 Elisa Bruno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21 Marcella Busilacchio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22

23 Carlo Cassano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 Tiziana Colaianni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 Stefania Coppola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 Gabriele De Cata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31 Carmela De Felice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 Antonella Foresta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 Rodolfo Foresta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 Raffaele Ludovici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 Marzia Masiello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 Don Cesare Cardozo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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53 Margherita Nardecchia Marzolo . . . . . . . . . . . . . . . 54 Rosita Nardecchia Marzolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 Piera Nardecchia Marzolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58 Francesco Paolucci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 Paolo Paolucci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64 Franco Papola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 Giovanna Papola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 Giustino Parisse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 79 Berardino “Dino� Pezzopane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 Claudio Pezzopane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 Gabriella Pezzopane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88 Giovanna Rotellini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91 Aldo Scimia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92 Dina Sette . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 Testimonianza delle Suore di Onna . . . . . . . . . . . 99 Antonio Valenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100 Massimo Valenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 Cristina Valeri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 Arcangela Zugaro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 Padre Emiliano Antenucci O.F.M. Capp. . . . . . . 108 Padre Emiliano Antenucci O.F.M. Capp. . . . . . . . 111 Pasquale Somma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 Luigi Nardecchia Marzolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Reportage fotografico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 175


Redazione e progetto

(L’Aquila) Concept, editing e graphic design Vincenzo Ricci Pubblicazione a cura di Onna Onlus Pro loco Onna Centro Sociale Anziani - Onna Con l’Alto Patrocinio di

Con il Patrocinio di

Provincia dell’Aquila

Con il contributo di

Comune dell’Aquila

Si ringrazia

In copertina foto di Carlo Cassano Referenze fotografiche: archivio Carlo Cassano: foto 001-004, 006-021, 023-111 archivio Michael Steiner: foto 005, 022 Finito di stampare nel mese di marzo 2019 negli stabilimenti di Pixartprinting S.p.A. - Quarto d’Altino (Ve) © 2019 Onna Onlus. La traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con qualsiasi mezzo (ivi compresi, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, microfilm e fotocopie), nonché la memorizzazione elettronica sono riservati.

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Gli scritti che leggerete hanno un’anima dolente ma un corpo combattente.

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