Manuale cooperazione internazionale

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Manuale di Cooperazione Internazionale (Teorie e pratiche per formarsi e imparare un mestiere)

A cura di Vincenzo Pira

2018

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A coloro che credono che un altro mondo sia possibile e lottano per dare, a chi è escluso dai diritti fondamentali, più dignità, libertà, uguaglianza e fraternità.

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Sommario ISTRUZIONI PER L ’USO ................................................................................. 4 INTRODUZIONE ...................................................................................... 5 1. EVOLUZIONE DELLA C OOPERAZIONE I NTERNAZIONALE .................... 11 2. TEORIE E CONCETTI DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE ............... 19 3. UN NUOVO PARADIGMA : LO SVILUPPO UMANO ........................................ 39 4. TRASFORMARE IL NOSTRO MONDO : L ’ AGENDA 2030 ............................. 53 5. S ISTEMA DELLE NAZIONI UNITE ............................................................. 90 6. L’OCSE ........................................................................................ 104 7. L’UNIONE EUROPEA E LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE .......... 112 8. LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE DELL ’ITALIA ............................. 132 9. RISORSE PER LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO SOSTENIBILE ........... 179 10. AIUTI UMANITARI ............................................................................... 188 11. S TRUMENTI PER PROGETTARE E GESTIRE ........................................... 206 12. Lavorare nella cooperazione internazionale .................................... 261

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ISTRUZIONI PER L ’USO Questo “Manuale” è composto da sezioni in cui si trattano temi fondamentali per capire la Cooperazione Internazionale nei diversi tratti che la caratterizzano. Oltre alla trattazione teorica che va studiata, capita, approfondita, vi sono altri rimandi a :

@ - Siti internet di riferimento

a documenti archiviati

online che è importante conoscere.

KW - Parole chiave

che servono a riassumere concetti importanti che occorre capire come propedeutici per conoscere aspetti trattati successivamente. Di alcune diamo conto nel testo, altre occorre ricercarle e studiarle attraverso i riferimenti bibliografici o nei siti indicati.

- Bibliografia fondamentale di testi per ulteriori fondamentali approfondimenti. DOC - Documenti importanti

§ Testimonianze

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da conoscere e studiare.


INTRODUZIONE “… Nell’interesse dei popoli che serviamo, abbiamo preso una decisione storica su una serie completa e lungimirante di Obiettivi e traguardi universali, trasformativi e incentrati sulle persone. Noi ci impegniamo a lavorare instancabilmente per la piena implementazione di quest’Agenda entro il 2030. Riconosciamo che sradicare la povertà in tutte le sue forme e dimensioni, inclusa la povertà estrema, è la sfida globale più grande ed un requisito indispensabile per lo sviluppo sostenibile. Ci impegniamo nel raggiungere lo sviluppo sostenibile nelle sue tre dimensioni – economica, sociale e ambientale – in maniera equilibrata e interconnessa. Partiremo inoltre dalle conquiste degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio e mireremo a portare a termine le loro questioni irrisolte. Deliberiamo, da ora al 2030, di porre fine alla povertà e alla fame in ogni luogo; di combattere le diseguaglianze all’interno e fra le nazioni; di costruire società pacifiche, giuste ed inclusive; di proteggere i diritti umani e promuovere l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne e delle ragazze; di assicurare la salvaguardia duratura del pianeta e delle sue risorse naturali. Deliberiamo anche di creare le condizioni per una crescita economica sostenibile, inclusiva e duratura, per una prosperità condivisa e un lavoro dignitoso per tutti, tenendo in considerazione i diversi livelli di sviluppo e le capacità delle nazioni”... Sono parole del documento “Trasformare il nostro mondo: l’ Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile “ (DOC), approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel mese di settembre del 2015 e traccia la strategia della cooperazione internazionale per i prossimi anni. La sfida maggiore nell’operatività concreta è quella di congiungere adeguatamente gli aspetti locali con quelli globali, riuscire a far sì che le tante buone pratiche che esistono nella cooperazione internazionale riescano ad avere un maggiore impatto nella soluzione dei problemi ritenuti prioritari.

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È opinione comune che uno dei punti di debolezza di questo processo è la frammentarietà degli interventi e la carenza di coordinamento generale, la mancanza di un sistema globale. Manca un soggetto legittimato a svolgere questo ruolo. In tanti, e noi fra questi, crediamo debba essere svolto dal sistema delle Nazioni Unite, che ha però bisogno di una riforma radicale per poterlo realizzare. Un importante ruolo può essere svolto dagli enti locali che assumono sempre più, come promotori e coordinatori di iniziative di promozione di partenariati territoriali (KW), di assumere maggiori responsabilità nella identificazione di un nuovo approccio che vuole essere innovativo ed efficace.

KW - Partenariati territoriali I diversi attori coinvolti condividono un accordo quadro fra due ambiti territoriali definiti e che corrispondono a livelli di decentramento politico -amministrativo dello Stato. Si tratta, cioè, di concordare accordi-quadro tra i due territori partner (patti interterritoriali) in cui tutti i soggetti dei due territori sono chiamati a progettare e realizzare gli interventi in sinergia tra loro.

La consapevolezza che gli attuali processi di globalizzazione hanno evidenziato la crisi dei modelli di sviluppo finora proposti come risposta ai bisogni della popolazione del pianeta, impone una ricerca di nuovi modelli e, ancor più, di nuove pratiche che rispondano adeguatamente al superamento delle situazioni di grave crisi. Rispondendo a diverse spinte, spesso molto diverse tra loro, i governi centrali dei diversi stati nazionali perdono parte delle loro attribuzioni, che tendono a trasferirsi verso l’alto (enti internazionali, Europa, Nazioni Unite, e questo processo viene definito “multilateralismo” (KW)), come anche verso il basso (governi locali e di prossimità) e verso l’esterno (enti economici e entità della società civile - KW). 6


KW - Multilateralismo: Sistema di cooperazione in cui gli stati decidono di affidare a enti internazionali (Nazioni Unite, Unione Europea, Agenzie internazionali) l’istruzione e la gestione di attività e politiche per risolvere problemi comuni (rispetto dell’ambiente, costruzione di relazioni di pace, lotta al terrorismo, al narcotraffico, ecc.), per essere più efficaci piuttosto che decidere da soli (unilateralismo) o in rapporti tra due stati (bilateralismo). La necessità di un rinnovato multilateralismo efficace presuppone un ruolo importante delle Nazioni Unite e pratiche coerenti con quanto assunto nella Dichiarazione dell’Agenda 2030 per il raggiungimento degli obiettivi in essa contenuti.

Lo stato nazionale non scompare ma perde, in parte, di centralità a favore del nuovo rapporto che intercorre tra esso e una società sempre più globale di cui non è più l’unico potere ordinatore e decisionale. La necessità di governare il mondo in modo diverso ha imposto ai governi locali la responsabilità di diventare in prima persona attori di politica estera e di cooperazione internazionale; questo ha creato difficoltà ma, allo stesso tempo, ha offerto una grande opportunità per combinare in modo efficace la relazione tra problemi locali e globali. La necessaria apertura di una finestra sul mondo, che è diventato un “villaggio globale”, obbliga ad intervenire tutti direttamente nella ricerca di soluzioni a problemi che sono globali ma che vanno risolti soprattutto localmente. Il segreto è proprio nei piccoli cambiamenti locali, che risultano essere i più sostanziali.

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KW – Società civile Tutte le organizzazioni che lavorano assiduamente in favore di un cambiamento politico e sociale possono essere considerate parti influenti della società civile. Il ruolo specifico di questi organismi, nelle democrazie moderne, è connesso con il diritto fondamentale dei cittadini di formare associazioni per perseguire finalità comuni, dimostrandosi le principali strutture della società al di fuori degli organi governativi e della pubblica amministrazione. Dunque, con il termine di società civile, si nomina l’insieme di organizzazioni e associazioni che non fanno parte del mondo governativo, ma rappresentano il mondo del lavoro, i gruppi che condividono un medesimo interesse o determinati settori della società.

Proponiamo strumenti e indicazioni per realizzare attività e progetti per affrontare queste sfide, divulgando informazioni adeguate, facendo crescere consapevolezza e senso di responsabilità per rispondere coerentemente a impegni concreti che la comunità internazionale si è assunta per migliorare la vita nelle diverse comunità locali e a livello globale. Si passeranno in rassegna i concetti fondamentali e i principi della cooperazione internazionale per lo sviluppo umano, in modo che possano essere illustrati ai non specialisti. Ciò include: 

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una revisione delle metodologie di comunicazione specificamente volte a generare consapevolezza e fiducia nelle potenzialità della Cooperazione internazionale; una discussione sulla definizione di diversi paradigmi di cooperazione; un’analisi dei fattori che causano povertà, sofferenza ed esclusione sociale;


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un’immagine di chi finanzia le attività di cooperazione internazionale, con particolare attenzione al contributo europeo; una panoramica delle caratteristiche generali dei principali attori della cooperazione; una descrizione delle fasi e dei metodi di preparazione, attuazione e comunicazione di progetti di cooperazione internazionale e le loro possibili fonti di finanziamento; un insieme di risorse e strumenti specifici per la progettazione e l’attuazione di progetti di comunicazione e di educazione alla cittadinanza globale (KW).

La cooperazione deve diventare, sempre di più, uno strumento di cambiamento culturale che trasformi in positivo il sistema delle relazioni tra i quattro punti cardinali del mondo, attraverso nuove buone pratiche incentrate sul rispetto dei diritti umani fondamentali, sulla promozione di un’economia alternativa e solidale, del rispetto della biodiversità delle diversità culturali e linguistiche, tramite gli scambi di conoscenza e di confronto e dialogo interculturale (KW).

KW – Dialogo interculturale Il dialogo interculturale è un importante strumento per gestire la pluri - appartenenza culturale in un contesto in cui vivono persone di culture diverse (multiculturalismo). E’ uno strumento che permette di trovare sempre un nuovo equilibrio identitario, rispondendo alle nuove aperture o esperienze e aggiungendo all’identità nuove dimensioni, senza per questo allontanarsi dalle proprie radici. Il dialogo interculturale ci aiuta a evitare gli scogli delle politiche identitarie e a restare aperti ai bisogni delle società moderne e favorire la convivenza civile tra diversi.

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Armadilla

(www.armadilla.coop) è una cooperativa sociale che ha persegue, fin dalla sua nascita, nel 1984, l’obiettivo di realizzare attività di interesse generale per contribuire al miglioramento delle condizioni di vita, soprattutto, attraverso attività di cooperazione internazionale. È costituita da una equipe professionale che da oltre 30 anni lavora insieme nel settore, collaborando con importanti istituzioni internazionali: Commissione Europea, Agenzie delle Nazioni Unite – UNDP, UNOPS, OCHA, UNICEF, UNHCR - Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale dell’Italia, regioni e comuni italiani, entità della società civile, fondazioni italiane e internazionali. Tutto ciò che riguarda la sfera delle politiche sociali e della cooperazione internazionale è stato ed è potenzialmente di interesse per Armadilla e fa parte integrante e qualificante della sua “mission”.

Vincenzo Pira

è vice presidente di Armadilla. Sociologo e antropologo. Lavora nella cooperazione internazionale dal 1975. Si augura che questo manuale sia utile ai giovani che vogliono coinvolgersi in questo settore e possa trasmettere informazioni e un po’ di passione che sono alimento per resistere e continuare testardamente a lottare in questo settore.

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EVOLUZIONE DELLA C OOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Obiettivo : Conoscere gli eventi storici più significativi che hanno influito su ciò che la cooperazione internazionale è oggi.

1. Le Origini Si deve andare agli albori della storia dell’umanità per iniziare a parlare di cooperazione tra popoli, tra comunità umane. Con le conquiste tecnologiche che facilitano i grandi viaggi, che propongono nuove modalità di scambi commerciali e di un mercato non più solo locale ma sempre più globale. In questo Manuale non pretendiamo ricostruire tutta la storia di tali rapporti e neanche affrontare tutte le tematiche a ciò collegato. Rimandiamo a riferimenti bibliografici eventuali necessità di approfondimento per chi abbia tale necessità. Il fenomeno storico del colonialismo, (KW) la politica di conquista di territori e risorse (materiali e umane) attuata dalle potenze europee a partire dal XV secolo, segnano l’era moderna dell’umanità e vedono coinvolti tutti i territori del pianeta. Reinhard Wolfgang, Storia del colonialismo, Einaudi, 2002

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Le Grandi Guerre e lo scenario mondiale Con la fine della Prima Guerra Mondiale nasce la Società delle Nazioni, organizzazione internazionale deputata a mantenere la pace in Europa grazie alla riduzione degli armamenti ed alla ricerca di soluzioni alternative alla guerra. La Carta Atlantica del 1941, firmata dal Presidente degli Stati Uniti Roosevelt e dal Primo Ministro Inglese Churchill, richiama il Patto della Società delle Nazioni ed afferma il diritto dei popoli a vivere liberi dal timore e dal bisogno, andando a porre le basi per la susseguente nascita dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), nel 1945. Intanto, nel Luglio del 1944, la Conferenza di Bretton Woods si propone di dettare regole per le relazioni commerciali e finanziarie tra i principali paesi industrializzati, iniziando a porre il dollaro USA come sistema di riferimento per la politica monetaria e l'oro per quello che riguardava le riserve nazionali. Il piano di accordi prevede la creazione del Fondo Monetario Internazionale (FMI - http://www.imf.org ) e della Banca Mondiale (BM - http://www.worldbank.org/), operativi dal 1946, quando cioè l'accordo è ratificato da un numero sufficiente di paesi. L'FMI è finalizzato a garantire prestiti ai paesi in difficoltà economiche ed a mantenere l'equilibrio finanziario internazionale, la BM propone e sostiene piani di sviluppo nazionali. Nel 1947 viene firmato il General Agreement on Tariffs and Trade - Accordo Generale sulle Tariffe ed il Commercio (GATT) oggi chiamata World Trade Organization WTO - https://www.wto.org Ha lo scopo di liberalizzare il commercio mondiale. La struttura creata si affianca all'FMI ed alla BM, e negli oltre quarant'anni di vita disciplina i rapporti commerciali tra gli Stati Uniti e gli altri Stati, europei e non, aderenti all'accordo. Gli accordi negoziali si sono susseguiti nel corso degli anni, ognuno dei quali denominato “round”, con lo scopo principale di abbassare le tariffe doganali sul commercio.

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Il 10 dicembre 1948, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (http://www.un.org ) approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (DOC), riferimento fondamentale per ogni politica di cooperazione.

@1 - Dichiarazione Universale dei Diritti Umani http://www.ohchr.org/EN/UDHR/Documents/UDHR_Translation s/itn.pdf

Dal 1949, con la nascita della NATO e del COMECON, si delineano due blocchi ben delineati e contrapposti. Da una parte gli Usa e i paesi europei, organizzati nell'Organizzazione del Trattato Nord Atlantico (NATO). Dall'altra l'URSS ed i paesi di influenza sovietica, organizzati economicamente dal Consiglio per la Mutua Assistenza Economica (COMECON) e militarmente, dal 1955, con il Patto di Varsavia. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato il 14 dicembre 1960, senza alcun voto contrario, una "Dichiarazione sulla concessione dell'indipendenza ai paesi ed ai popoli coloniali" (DOC), in cui ha proclamato solennemente "la necessità di porre rapidamente ed incondizionatamente fine al colonialismo in ogni sua forma ed in ogni sua manifestazione".

@2 - Dichiarazione ONU sull’indipendenza ai paesi ed ai popoli coloniali https://www.unric.org/html/italian/treaties/indipendenza.html

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Nel 1964 nasce in seno alla Conferenza delle Nazioni Unite il Movimento dei Non Allineati, paesi che si considerano appunto non allineati con le principali potenze mondiali e che dichiarano la loro opposizione al colonialismo, l'imperialismo ed il neocolonialismo. 4 luglio 1976 ad Algeri, veniva proclamata la Dichiarazione universale dei diritti dei popoli, conosciuta come Carta di Algeri (DOC). Si è trattato dell’esito di un complesso percorso, in coincidenza con il compimento - salvo poche eccezioni - del trentennale processo di decolonizzazione avviato nel secondo dopoguerra. Promotore in Italia di tale processo è stato Lelio Basso (foto) e la fondazione che porta il suo nome. (www.fondazionebasso.it )

@3 - Carta di Algeri http://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=algeri

1.2. Nuovi orientamenti e criticità Nel 1972 il Club di Roma, associazione non governativa, nonprofit, di scienziati, economisti, uomini d'affari, attivisti dei diritti civili, alti dirigenti pubblici internazionali e capi di stato di tutti e cinque i continenti, con il suo “Rapporto sui limiti dello sviluppo” (DOC) mette in evidenza.

- Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jørgen Randers, William W. Behrens III, Reinhard Wolfgang, I limiti dello sviluppo, Mondadori, Milano, 1972

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Nel 1980 la “Independent Commission on International Development” coordinata da Willy Brandt, pubblica un importante documento conosciuto come “Rapporto Brandt (DOC). Nuovi paradigmi vengono proposti invitando a una diversa analisi della situazione mondiale focalizzando il concetto di interdipendenza (KW).

Willy Brandt, Nord-Sud: un programma per la sopravvivenza. Rapporto della Commissione indipendente sui problemi dello sviluppo internazionale, Mondadori, 1980

KW – Interdipendenza L'interdipendenza è l'Insieme di legami e rapporti economici, sociali e politici, tali per cui i comportamenti di una comunità o di un intero paese hanno conseguenze su altri. Nell'ambito dei rapporti internazionali, il concetto d'interdipendenza è stato sviluppato soprattutto da studiosi di politica e di economia. Da entrambi i punti di vista, l'interdipendenza crea situazioni per le quali la ricerca di soluzioni vantaggiose per tutti i membri della comunità internazionale richiede il riconoscimento di reciproci diritti, il riconoscimento reciproco della legittimità degli obiettivi e l'adozione di politiche concordate o coordinate. Nel Rapporto Brandt si legge: "E' il mondo, oggi, a essere un'unica " nazione" (...) i cui principi sono: debellamento della fame (...), del sottosviluppo, delle epidemie, dell'analfabetismo, dell'insensata distruzione di risorse. Il riconoscimento dei reciproci interessi di Nord e Sud è il primo passo, che il Rapporto invoca proponendone la traduzione in iniziative concrete (...)".

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Nel 1987 viene pubblicato il rapporto Brundtland (conosciuto anche come “Our Common Future” (DOC) elaborato da una commissione coordinata da Gro Harlem Brundtland). In questo documento, per la prima volta, venne introdotto il concetto di sostenibilità e di sviluppo sostenibile (KW).

@4 - Rapporto Brundtland, Our Common Future http://www.un-documents.net/our-common-future.pdf

§ Sostenibilità e sviluppo sostenibile “Per sostenibilità si intende la capacità dell'umanità di rispondere alle esigenze del presente senza pregiudicare la capacità delle future generazioni di rispondere alle loro necessità”. Questa definizione, però, non spiega in termini semplici cos'è la sostenibilità o come dobbiamo agire per renderla concreta. Pertanto, possiamo prendere in considerazione la definizione più significativa di “lo sviluppo sostenibile: garantire una migliore qualità della vita per tutti, nel presente e per le generazioni future”.

Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (PNUD) elabora il concetto di sviluppo umano (KW) che non legato solo alla voce del Prodotto Interno Lordo - PIL - (KW) ma a diversi indici che riguardano il benessere delle persone. Dal 1990 pubblica annualmente un Rapporto che è diventato un importante riferimento per chi si occupa di cooperazione internazionale. @5 - Rapporti UNDP sullo Sviluppo Umano (1990 – 2016) (DOC) http://hdr.undp.org/en/global-reports

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Dal 1992 le Nazioni Unite organizzano anche importanti Conferenze e vertici su tematiche rilevanti per l’umanità, che riportiamo nella seguente tabella:

Principali Conferenze e vertici ONU       

1992 - Conferenza su ambiente e sviluppo (Rio de Janeiro). 1993 - Conferenza sui diritti umani (Vienna). 1994 - Conferenza su popolazione e sviluppo (Il Cairo). 1995 - Vertice mondiale per lo sviluppo sociale (Copenaghen). 1995 - Quarta Conferenza Mondiale sulle donne (Pechino). 1996 - Vertice mondiale sull’alimentazione (Roma). 2000 - Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Dichiarazione del Millennio (New York).  2001 - Conferenza contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia, e l’intolleranza ad esse connesse (Durban).  2002 - Conferenza internazionale sul finanziamento per lo sviluppo (Monterrey).  2007 – Conferenza sui cambiamenti climatici (Bali).  2012 - Conferenza sullo Sviluppo Sostenibile Rio+20 (Rio de Janeiro).  2013 - Conferenza finale sul commercio delle armi (New York).  2015 - Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Dichiarazione “Trasformare il nostro mondo: l’ Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile “, (New York).  2015 – Conferenza sul clima (COP21 – Parigi) Per ogni conferenza o vertice vi è un Documento conclusivo con indicazioni su come realizzare azioni per raggiungere obiettivi condivisi.

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SCHEDA RIASSUNTIVA Lezione 1 Risultati attesi : Aver identificato i diversi eventi storici che maggiormente hanno influito sulle attività di cooperazione internazionale. Avere consapevolezza di quanto è importante la conoscenza del contesto storico per capire l’evoluzione della cooperazione internazionale.

Parole Chiave : Colonialismo Diritti umani Multilateralismo Prodotto Interno Lordo – PIL Sviluppo sostenibile Sviluppo umano.

Punti di approfondimento : Quanto il colonialismo è storicamente responsabile per le disuguaglianze mondiali ? Quali nuove forme di colonialismo esistono oggi ? Quali sono le diverse generazioni dei diritti umani ? Il PIL è un indicatore adeguato di benessere delle persone ? Perché qualificare la parola “sviluppo” ?

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2. TEORIE E CONCETTI DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Obiettivo: Conoscere i paradigmi importanti che hanno caratterizzato l’evoluzione della cooperazione internazionale negli ultimi decenni: povertà, sviluppo, sottosviluppo, modernizzazione, sostenibilità.

2.1. Cooperazione tecnica allo sviluppo Alla fine degli anni ’40 e nel corso degli anni ’50 apparvero parecchi lavori sull’economia dello sviluppo per definire come superare le persistenti condizioni di povertà (KW) di tanti paesi del pianeta. Sono soprattutto gli economisti che si occupano di questo tema proponendo una economia per lo sviluppo strettamente collegata a una visione che veniva chiamata “progresso naturale verso l’abbondanza”.

KW Povertà La definizione tradizionale di povertà poggiava essenzialmente sul concetto dell’indisponibilità di reddito e beni materiali, cioè una situazione in cui non si è in grado di garantire la pura efficienza fisica delle persone. Partendo da questo concetto, tutto incentrato sul reddito, le strategie di lotta alla povertà fino a tutti gli anni ’60 si sono basate sul miglior modo per far crescere il PIL nei Paesi poveri del mondo. La Banca Mondiale ha utilizzato il concetto di povertà assoluta indicando un limite inferiore pari a $ 2 al giorno, e un limite superiore pari al doppio del primo. Soprattutto grazie al lavoro di Amartya Sen è cambiato il modo di intendere la povertà; Sen ha evidenziato la necessità di considerare le capacità delle persone di dar forma a obiettivi, impegni, valori, piuttosto che il reddito, come indicatore delle possibilità di scelta delle persone.

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Lo sviluppo (KW) veniva identificato come processo per la crescita economica. L’evoluzione culturale dell’uomo, vissuto originariamente come cacciatore e raccoglitore e che aveva la terra come sorgente unica di ricchezza che riusciva a fornire beni di prima necessità con relativa abbondanza è stata, anche per necessità dovuta alla crescita demografica, progressivamente abbandonata. La nascita della vita in comunità e società e la conseguente concentrazione in spazi più ristretti ha portato l’umanità a dover produrre i propri mezzi di sussistenza. L’agricoltura, l’allevamento e poi la rivoluzione industriale e tecnologica hanno prodotto un grande cambiamento. Le conoscenze scientifiche e le innovazioni mediche hanno portato a un aumento delle aspettative di vita e alla diminuzione della mortalità infantile. I nuovi processi di urbanizzazione hanno prodotto uno sconvolgimento delle relazioni tra economia e popolazione. Il processo di industrializzazione (KW) ha rotto infatti i legami tradizionali tra terra e popolazione, tra ricchezza, struttura della popolazione e crescita economica. La ricchezza è diventata la possibilità di possedere beni, di usare servizi per fasce sempre più ampie della popolazione mondiale.

KW - Industrializzazione Processo derivato dalla rivoluzione industriale, che consiste in profonde trasformazioni delle strutture economiche e sociali determinate dal rapido sviluppo dell'industria (intesa come complesso delle attività consistenti nel produrre o nel trasformare beni materiali), favorito da nuove tecniche che danno luogo ad aumenti sostanziali di produttività.

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Per inquadrare tale processo di trasformazione iniziamo considerando il discorso che, nel mese di gennaio del 1949, il presidente degli Stati Uniti d’America Henry Truman fa richiamando l’attenzione sulle condizioni dei paesi più poveri del pianeta e, per la prima volta, li definisce “paesi sottosviluppati”.

§ Testimonianza “E se l’Africa rifiutasse lo sviluppo?”. La sociologa camerunese Axelle Kabou ci pone questa domanda e suggerisce: “Lo sviluppo è morto e continuare a parlarne, e auspicare il suo avvento, è come parlare di un morto che cammina. Una volta decretata la morte dello sviluppo, sarà compito di ciascun popolo e cultura determinare la forma attraverso la quale assicurare la soddisfazione dei bisogni primari e decidere le tappe attraverso le quali passare da ‘condizioni di vita infra-umane a condizioni umane”. (Kabou, Axelle, Et si l'Afrique refusait le développement ?, Harmattan, 1991)

La nascita della nuova parola “sottosviluppo” (KW) non è un fatto accidentale, ma espressione precisa di un punto di vista mondiale: per Truman, tutti i popoli del mondo si muovevano lungo una stessa traiettoria, alcuni più in fretta, altri più lentamente, ma tutti nella stessa direzione. Il mito dello sviluppo come crescita continua e infinita e come nuovo diritto dell’umanità. Il concetto di sviluppo, così come inteso dal Presidente Henry Truman e da allora assunto come paradigma fondamentale dalla moderna cultura occidentale per rispondere alla necessità di intraprendere “un programma nuovo e audace, per rendere disponibili i benefici delle conquiste scientifiche e del progresso industriale americano per l’avanzamento e la crescita delle aree sottosviluppate”.

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@6 - Discorso inaugurale di Henry Truman (1949) http://www.perlaretorica.it/reto-%E2%80%A2-discorsi/trumandiscorso-quattro-punti

Fu lanciata in questo modo la “sfida dello sviluppo”. Il modello era quello della “locomotiva”: le nazioni più ricche ed evolute avrebbero trainato quelle più “sottosviluppate” sulla strada di una crescita continua e illimitata. E lo strumento iniziale l’aiuto, l’assistenza, gli investimenti sussidiati. E per fare ciò avviare processi di modernizzazione. Un economista dell’epoca, Walter W. Rostow (1916 - 2003), ipotizza il processo di modernizzazione (KW) come strada obbligata allo sviluppo in cinque stadi: 1. Società tradizionale 2. Condizioni preliminari per il decollo 3. Il decollo 4. Evoluzione verso la maturità - Intervallo di progresso sostenuto 5. Periodo del grande consumo di massa Le società tradizionali sono definite come caratterizzate da una comprensione pre-scientifica e rudimentalmente empirica della realtà, del credo in divinità e spiriti che facilitano il procurarsi cibo e riparo, piuttosto che la convinzione che tutto dipenda dall’uomo e del suo ingegno. Le norme dell’economia, le procedure che regolano le transazioni sono completamente assenti. Nello stadio della società tradizionale non si ha commercio né tanto meno produzione per il commercio. Le pre-condizioni del decollo sono, per Rostow, che la società cominci ad investire in un sistema di istruzione, a darsi delle regole e delle leggi, delle istituzioni, un sistema di commercio e di transazioni per lo scambio dei beni prodotti e dei servizi, la 22


mobilitazione di capitali, un sistema bancario o del credito, una moneta, cui faranno poi seguito lo sviluppo di attività economiche imprenditoriali che comportano rischi, lo sviluppo della manifattura e poi dell’industria, in pochi e limitati settori. Il passaggio dalla società tradizionale dove lo scambio è assente allo stadio in cui maturano le condizioni del decollo può essere dunque molto lungo, ma anche relativamente ‘breve’. Una volta che però lo stadio viene a maturazione, secondo Rostow, in meno di 50 anni si può arrivare al vero e proprio decollo economico. Questo, però sarà limitato dalle poche tecnologie disponibili e dai vincoli produttivi dello stadio di passaggio. Il decollo avviene quando la crescita dell’economia guidata da alcuni settori si estende a tutti i settori. La società comincia ad essere guidata dai processi di sviluppo economici, piuttosto che dalle tradizioni. Nel discutere il decollo, Rostow sottolinea con forza l’uso del termine tradizione per enfatizzare che il decollo marca il passaggio definitivo da una società tradizionale, nel senso più ampio, ad una economia moderna. Dopo il decollo, un paese può generalmente impiegare dai cinquanta ai cento anni per avvicinarsi alla fase della maturità. L’avvicinamento e l’evoluzione verso la maturità esprimono il bisogno dell’economia di diversificarsi. La maturità è lo stadio della diversificazione. I settori economici che hanno inizialmente guidato la crescita maturano e cominciano a perdere di peso relative, mentre altri settori e nuovi beni e servizi crescono e si diversificano. Tale diversificazione porta generalmente anche alla riduzione dei livelli complessivi di povertà e ad un aumento degli standard di vita, che in tutta la fase del decollo sono generalmente bassi per buona parte della popolazione. Questo viene reso possibile dal fatto che ‘la società non deve più sacrificarsi per rafforzare settori o attività specifiche’ ma può investire le proprie risorse sui settori e le attività desiderate.

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L’età del consumo e della produzione di massa è quella contemporanea in cui le comodità e il benessere sperimentato da molti paesi occidentali sono dovuti al consumo di beni durevoli e di lusso generalizzato, alla produzione su larga scala, e dove le preoccupazioni della sopravvivenza delle età precedenti è un ricordo del passato. Basta avviare processi di modernizzazione (KW), far crescere la ricchezza planetaria e questa automaticamente tracimerà diffondendosi in ogni regione del mondo e diffondendo in ogni latitudine “lo sviluppo”. La famosa teoria denominata “Trickle down” (KW) – dello sgocciolamento – che non ha però funzionato come si pretendeva. Un altro economista, W.A. Lewis (1915 – 1991), usava la metafora della palla di neve: “Non appena la palla di neve comincerà a scendere giù dalla collina, precipiterà per forza di inerzia e diventerà sempre più grossa cammin facendo… Per così dire, bisogna per prima cosa porre la palla di neve sulla montagna; una volta fatto ciò, il resto del lavoro è facile, ma senza fare uno sforzo iniziale non si ottiene nulla”. I processi di modernizzazione si sono caratterizzati per un’idea di un progresso che dovrebbe portare sempre verso una più adeguata modalità di rispondere ai bisogni dell’umanità. In realtà le società nate dalla modernizzazione sono occidentali, europee o di derivazione di culture europee. Si è pensato che questi processi fossero universalmente validi e quindi adeguati in ogni contesto. Per fare gli esempi dell’Africa o dell’India e delle popolazioni indigene americane, le cose sono andate diversamente. Lì le popolazioni indigene erano consistenti e i colonizzatori europei sono stati una minoranza dominante che ha riorganizzato sotto il segno della propria cultura le società locali.

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Si deve parlare, in questo caso, di invasione e colonizzazione. Sebbene la modernizzazione comprenda necessariamente fattori esterni di sviluppo (come, per es., l’industrializzazione, l’urbanizzazione, l’alfabetizzazione, le infrastrutture di comunicazione e trasporto), essa implica soprattutto trasformazioni corrispondenti nella sfera culturale, sociale e politica. Nella sfera culturale indica solitamente il passaggio da società di tipo primitivo, nel senso della tradizionalità, a società di tipo moderno nel senso della razionalità. Nella sfera sociale, prevede in particolare il passaggio da un modello di stratificazione sociale basato su legami rigidi (tribali, castali o di classe) a un modello di mobilità sociale basato sull’uguaglianza delle opportunità e sulla differenza dei meriti individuali. Pensare che le società “moderne” siano migliori o più progredite delle società tradizionali. Cosa che merita miglior analisi specifica e più adeguata valutazione sociologica e antropologica. Altre linee di pensiero si elaborano criticamente a questa visione predominante. Tra queste citiamo la teoria della dipendenza (KW) che viene elaborata in seno alla CEPAL (Comisiòn Ecònomica para América Latina), un organismo regionale delle Nazioni Unite costituito nel 1948 a Santiago del Cile, che iniziò a lavorare sotto la guida dell'economista argentino Raùl Prebish. Politicamente si fa una critica alla borghesia latino-americana, legata a interessi stranieri, incapace di liberare le forze produttive e superare il feudalesimo. Per i teorici della dipendenza il sottosviluppo non è uno stato iniziale, che verrà soppiantato dallo sviluppo, ma un processo continuo, causato dalla penetrazione capitalista e creato da un sistema storico basato sul colonialismo.

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KW - La teoria della dipendenza nasce in seno alla CEPAL (Comisiòn Ecònomica para América Latina), organismo regionale delle Nazioni Unite costituito nel 1948 a Santiago del Cile, che iniziò a lavorare sotto la guida di Raùl Prebish. Punto di partenza delle analisi è la categoria di "periferia" per leggere la condizione di emarginazione dei paesi definiti sottosviluppati. In aperta polemica con il pensiero economico dominante, contesta l'idea convenzionale secondo cui il commercio internazionale avrebbe un ruolo propulsivo nello sviluppo dei paesi sottosviluppati. Il modello teorico elaborato da Prebish ipotizza l'idea di un mercato mondiale polarizzato su un centro (sviluppo) ed una periferia (sottosviluppo), il cui rapporto viene qualificato come strutturalmente asimmetrico.

Nei paesi centrali la corrispondenza fra crescita della produttività ed incremento del reddito porta ad aumento quantitativo e qualitativo della domanda aggregata, con sviluppo e diversificazione della struttura produttiva. Il progresso tecnologico si autoalimenta all'interno di un sistema produttivo integrato. La periferia, al contrario, è caratterizzata da una struttura economica centrata sull'esportazione di prodotti primari, priva di un settore di produzione di beni capitali e con una industria esigua. La tecnologia, essenzialmente importata, è immessa solo nel settore esportatore; la mancanza di capitali e di conoscenze tecniche ade-guate rende difficile la diffusione in altre aree produttive. Utilizza la dicotomia tra centro e periferia e afferma che l'economia mondiale è portatrice di un disegno diseguale e pregiudiziale per i paesi non-sviluppati, a cui viene assegnato un ruolo periferico di produzione delle materie prime con basso valore aggiunto, mentre le decisioni fondamentali sono adottate dai paesi centrali, a cui viene assegnata la produzione industriale ad alto valore aggiunto. 26


Il sottosviluppo non dipende dalla mancanza di capitale, ma dalla divisione internazionale del lavoro, in cui i paesi periferici sono subordinati ai paesi del centro. La soluzione proposta è quella di sganciarsi dal centro e fare affidamento sui propri mezzi (self reliance - KW) . Nel rapporto del 1972 il Club di Roma affronta il tema in una pubblicazione tradotta in italiano con il titolo “I limiti dello sviluppo” (che sarebbe dovuto essere “Limiti della crescita” – confermando ancora la confusione tra sviluppo e crescita . Il titolo originale del rapporto è infatti “Limits to Growth”). In tale Rapporto si sottolinea che “se l'attuale tasso di crescita della popolazione, dell'industrializzazione, dell'inquinamento, della produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse continuerà inalterato, i limiti dello sviluppo su questo pianeta saranno raggiunti in un momento imprecisato entro i prossimi cento anni. Il risultato più probabile sarà un declino improvviso ed incontrollabile della popolazione e della capacità industriale. È possibile modificare i tassi di sviluppo e giungere ad una condizione di stabilità ecologica ed economica, sostenibile anche nel lontano futuro. Lo stato di equilibrio globale dovrebbe essere progettato in modo che le necessità di ciascuna persona sulla terra siano soddisfatte, e ciascuno abbia uguali opportunità di realizzare il proprio potenziale umano”. Sorgono poi nuove tendenze che affermano l’esigenza di elaborare un Nuovo Ordine Economico Internazionale (NOEI) che è utile approfondire e conoscere meglio: • Sviluppo rispondente al Basic Need Approach (KW) - Tale strategia si concentra su ciò che è fornito e sui suoi effetti su bisogni fondamentali delle persone: la nutrizione, la salute, l’educazione piuttosto che sul reddito in sé stesso. Non rimpiazza concetti come produttività, produzione e crescita, che sono mezzi per raggiungere dei fini. Ma l’obiettivo di soddisfare i bisogni essenziali può richiedere il cambiamento della composizione del prodotto, del tasso di crescita dei suoi diversi componenti, la

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distribuzione del potere d’acquisto, la struttura dei servizi sociali e del sistema fiscale e il sistema di distribuzione all’interno delle famiglie. È un approccio che include bisogni materiali ed immateriali. Gli autori di tale approccio sottolineano che per stimolare la crescita economica erano necessari investimenti anche nel capitale umano; occorreva puntare su obiettivi che mirassero in modo chiaro al miglioramento delle condizioni delle fasce più povere e marginali e non limitarsi al mero obiettivo dell’aumento del reddito pro‐capite. Fino ad ora la spesa per servizi sociali è stata considerata non produttiva, uno spreco di risorse nazionali (i bisogni sociali andavano soddisfatti attraverso lo sforzo individuale, sul mercato). Con l’approccio dei bisogni essenziali i bisogni sociali e la redistribuzione del reddito sono, da un lato, un’esigenza normativa e, dall’altro, un’esigenza per stessa crescita economica e per la modernizzazione delle strutture sociali ed economiche. Nella pratica le politiche proposte sono state raramente attuate e hanno avuto uno scarso impatto globale.

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KW - Self‐reliance (KW) Significa contare sulle proprie capacità e fare in modo che "che la società è organizzata in modo tale che le masse arrivano all'autorealizzazione con la partecipazione di altri nella stessa situazione".

Promuovere processi di decentramento nei quali le unità più piccole godono di un notevole spazio di autonomia. Concretamente prende la forma dell'uso delle decisioni locali, della creatività locale, dell'uso dei materiali, terra e capitali locali. Il principio economico di base è quello di usare fattori locali e produrre per il consumo locale. Prima di produrre qualcosa occorre chiedersi: abbiamo veramente bisogno di quel prodotto? Quale grado di dipendenza crea e quanta libertà ci toglie ? Propone, quindi, di cercare di trovare nuove strade per usare le materie prime o le risorse localmente disponibili in modo da ottenere comunque il prodotto necessario. Privilegiare partenariati che permettano l’affermazione di una nuova solidarietà tra paesi poveri e consentire alle loro economie dipendenti di sganciarsi dagli scambi diseguali con i paesi del centro sviluppato. A partire dall’enciclica Populorum Progressio (DOC) di Paolo VI, del 1967, si va ridefinendo lo sviluppo incentrato sulla persona umana e collegato ai processi di costruzione della pace mondiale. Si riassume con chiarezza il paradigma concettuale che si va facendo strada fondando il cosiddetto “dovere di solidarietà”, motivato a sua volta dalla considerazione del “bene comune dell’umanità, di tutta l’umanità”…

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“Lo sviluppo dei popoli (KW), in modo particolare di quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell'ignoranza; che cercano una partecipazione più larga ai frutti della civiltà, una più attiva valorizzazione delle loro qualità umane; che si muovono con decisione verso la meta di un loro pieno rigoglio, è oggetto di attenta osservazione da parte della chiesa”… Promuovere il progresso dei popoli più poveri, favorire la giustizia sociale tra le nazioni, da offrire a quelle che sono meno sviluppate un aiuto tale che le metta in grado di provvedere esse stesse e per se stesse al loro progresso. Giustizia e pace è il suo nome e il suo programma… Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere sviluppo autentico, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l'uomo. Com'è stato giustamente sottolineato da un eminente esperto: «noi non accettiamo di separare l'economico dall'umano, lo sviluppo dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l'uomo, ogni uomo, ogni gruppo d'uomini, fino a comprendere l'umanità intera”.

@7 Enciclica Populorum Progressio di Paolo VI http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_pvi_enc_26031967_populorum.html

Negli anni ’80 il Rapporto Brandt nel suo stesso titolo: “Nord-Sud, un programma per la sopravvivenza” (DOC) esprime le linee fondamentali di questo rapporto; per la prima volta, non si parla più di Primo, Secondo e Terzo Mondo (KW), ma di Nord-Sud (KW) e di interdipendenza (KW). Secondo tale Rapporto : “o dalla grande crisi economica si esce tutti insieme, paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo (KW), oppure la crisi si farà insostenibile per tutti”.

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L’esigenza di conciliare crescita economica ed equa distribuzione delle risorse in un nuovo modello di sviluppo (KW) ha iniziato a farsi strada a partire dalla consapevolezza che il concetto di sviluppo classico, legato esclusivamente alla crescita economica, avrebbe causato entro breve il collasso dei sistemi naturali. La crescita economica di per sé non basta, lo sviluppo è reale solo se migliora la qualità della vita in modo duraturo. Anche parlare di “sviluppo economico” (KW) implica molto più. Considera i miglioramenti in una varietà di indicatori quali i tassi di alfabetizzazione, la speranza di vita ed i tassi di povertà. Il PIL è una misura specifica che non considera le funzioni importanti quali tempo libero, qualità ambientale, la libertà, o la giustizia sociale. Da notare l’uso di determinate categorie : alcuni paesi vengono definiti nel diciottesimo secolo come “primitivi e barbari” (da civilizzare (KW); nel diciannovesimo secoli vengono definiti “arretrati” (KW), nel ventesimo secolo “sottosviluppati” (KW), poi divengo “nazioni meno sviluppate”, “paesi poveri”, e più recentemente “paesi emergenti” e “paesi in via di sviluppo” (KW). Ancora oggi questi termini, seppure ormai anacronistici e non più rispondenti a categorie di analisi adeguate della realtà odierna, vengono utilizzati per pigrizia intellettuale, abitudine nei mezzi di comunicazione. È senz’altro urgente aggiornare il lessico da utilizzare nella cooperazione analizzando criticamente il senso di concetti poco qualificati, ad esempio “paesi sottosviluppati”, “ paesi in via di sviluppo”, “paesi del Terzo Mondo”, ecc. Nel 1986 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva la “Dichiarazione sul diritto allo sviluppo” (DOC). In essa si afferma che : “ Il diritto allo sviluppo è un diritto umano inalienabile in virtù del quale ogni persona umana e tutti i popoli sono legittimati a partecipare, a contribuire e a beneficiare dello sviluppo economico, sociale, culturale e politico, in cui tutti i diritti umani e tutte le libertà fondamentali possano essere pienamente realizzati“.

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@8 Dichiarazione sul diritto allo sviluppo - Nazioni Unite http://unipd-centrodirittiumani.it/it/strumenti_internazionali/Dichiarazionesul-diritto-allo-sviluppo-1986/33

Nel 1987 la Commissione Indipendente sull’Ambiente e lo Sviluppo (World Commission on Environment and Development), delle Nazioni Unite, presieduta da Gro Harlem Brundtland, mette l’attenzione al concetto di sostenibilità (KW) che implica la capacità di un processo di sviluppo di sostenere nel corso del tempo la riproduzione del capitale mondiale, composto dal capitale economico, umano/sociale e naturale.

§ Testimonianza “L’umanità ha la possibilità di rendere sostenibile lo sviluppo, cioè di far sì che esso soddisfi i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità delle generazioni future di rispondere ai loro” .

@9 Our common future – Brundtland Report http://www.un-documents.net/our-common-future.pdf

L’elemento centrale di tale definizione è la necessità di cercare un’equità di tipo intergenerazionale: le generazioni future hanno gli stessi diritti di quelle attuali. Il rapporto Brundtland constata che i punti critici e i problemi globali dell’ambiente sono dovuti essenzialmente alla grande povertà del sud e ai modelli di produzione e di consumo non sostenibili del nord. Il rapporto evidenzia quindi la necessità di attuare una strategia in grado di integrare le esigenze dello sviluppo e dell’ambiente. 32


Questa strategia è stata definita in inglese con il termine «sustainable development» (sviluppo sostenibile - KW). Nel 1989, l’Assemblea generale dell’ONU, dopo aver discusso il rapporto, ha deciso di organizzare una Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo. Una definizione di sviluppo sostenibile, in cui è inclusa una visione più globale, è stata fornita, nel 1991, dalla World Conservation Union, UN Environment Programme and World Wide Fund for Nature, che lo identifica come «un miglioramento della qualità della vita, senza eccedere la capacità di carico degli ecosistemi di supporto, dai quali essa dipende».

Nello stesso anno Hermann Daly (1938), economista ecologista che ha collaborato con la Banca Mondiale per l’elaborazione di linee guida sullo sviluppo sostenibile, propone tre condizioni generali concernenti l'uso delle risorse naturali da parte dell'uomo: 

il tasso di utilizzazione delle risorse rinnovabili non deve essere superiore al loro tasso di rigenerazione;

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 

l'immissione di sostanze inquinanti e di scorie nell'ambiente non deve superare la capacità di carico dell'ambiente stesso; lo stock di risorse non rinnovabili deve restare costante nel tempo.

In tale definizione, viene introdotto anche un concetto di "equilibrio" auspicabile tra uomo ed ecosistema. Nel giugno 1992 si tiene a Rio la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo, la più complessa ed estesa organizzata dalle Nazioni Unite (due anni e mezzo di lavori preparatori, 120 capi di Stato e 178 paesi partecipanti). Essa ha originato cinque documenti formali: 

  

Convenzione sui cambiamenti climatici (per la stabilizzazione delle emissioni dei gas provocanti un effetto serra) (DOC) Convenzione sulla biodiversità (per favorire un accesso equilibrato alle risorse biologiche degli ecosistemi, in particolare le foreste tropicali, l'assistenza ai Paesi in via di sviluppo e il trasferimento delle biotecnologie) (DOC) Dichiarazione dei principi per la gestione sostenibile delle foreste (DOC) Rio Declaration on Environment and Development (DOC) Agenda 21 (DOC)

Nella Dichiarazione di Rio, che comprende un preambolo e 27 principi, vengono date indicazioni volte a promuovere un più sano ed efficiente rapporto tra uomo e ambiente.

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In particolare, si richiama l'attenzione su un numero di argomenti rilevanti per l'ambiente, tra i quali l'equità intergenerazionale, i bisogni del mondo povero, la cooperazione tra Stati, la responsabilità civile e la compensazione dei danni ambientali, il principio inquinatore-pagatore, la valutazione d'impatto ambientale. In quell’occasione fu varata l’Agenda 21 (KW) , ovvero l’agenda delle iniziative da prendere e dei comportamenti da tenere per raggiungere un vero sviluppo sostenibile, in vista del ventunesimo secolo. L’Agenda 21 raccoglie una serie di indicazioni in relazione ai settori, agli scenari e alle strategie possibili ed è divisa in 4 sezioni:    

le dimensioni economiche e sociali della questione ambientale la conservazione e la gestione delle risorse per lo sviluppo (KW) il coinvolgimento e il rafforzamento del ruolo dei cittadini e della società all’interno dei processi decisionali gli strumenti di attuazione delle politiche di sviluppo sostenibile.

Per far sì che il processo di Agenda 21 porti a un intervento concreto nel territorio, rispondente alle esigenze effettive della popolazione e conforme a una sostenibilità non astratta ma calata in un tempo e in un luogo, sono nate e dovranno essere realizzate in futuro Agende 21 Locali (a livello regionale, provinciale, comunale, ma anche scolastico, di impresa…) Nel 1997 si elabora un accordo internazionale noto come protocollo di Kyoto (DOC), con il quale 118 nazioni del mondo si sono impegnate a ridurre le emissioni di gas serra per rimediare ai negativi cambiamenti climatici in atto.

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Per raggiungere questi obiettivi si lavora su due vie: 

il risparmio energetico attraverso l'ottimizzazione sia nella fase di produzione che negli usi finali (impianti, edifici e sistemi ad alta efficienza, nonché educazione al consumo consapevole);

lo sviluppo delle fonti alternative di energia invece del consumo massiccio di combustibili fossili.

Lo Sviluppo Sostenibile (KW) si afferma quindi come paradigma entro cui prendere decisioni a livello internazionale; i principi chiave che, in estrema sintesi, lo definiscono sono:   

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Consapevolezza dell’interdipendenza (KW) tra dimensione economica, sociale e ambientale. Prospettiva di lungo periodo da adottare nei processi di pianificazione / valutazione. Equità intergenerazionale (KW), ossia la pari opportunità per tutte le generazioni (presenti e future) di soddisfare le proprie esigenze e l’uguaglianza di tutti i cittadini del pianeta nell’accesso alle risorse. Efficienza (KW) nell’uso delle risorse naturali, implicante una variazione negli attuali modelli di produzione e consumo ai quali si chiede di rispettare capacità di carico dell’ambiente naturale. La partecipazione (KW): poiché la realizzazione di strategie di sviluppo sostenibile implica l’equilibrio tra valori diversi (economici, sociali, ecologici) che difficilmente possono essere massimizzati contemporaneamente, diventa necessario operare scelte che devono essere condivise da quante più persone possibili.


Si profila, quindi, un nuovo processo decisionale fondato tanto sulla quantificazione dei fenomeni in discussione, quanto sulla diffusione delle informazioni a riguardo e sulla partecipazione degli individui.

Agenda 2030 (2015)

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SCHEDA RIASSUNTIVA Lezione 2 Risultati attesi : Conoscere i paradigmi importanti che hanno caratterizzato l’evoluzione della cooperazione internazionale negli ultimi decenni . Parole Chiave : Povertà - industrializzazione - sottosviluppo modernizzazione - “Trickle down” - dipendenza “self-reliance” - “Basic need “ - interdipendenza civilizzazione - sostenibilità. Punti di approfondimento : • Quali sono le principali cause che creano le condizioni di povertà ? • L’industrializzazione è un processo indispensabile per la lotta alla povertà? • Modernizzazione, civilizzazione e sviluppo sono concetti che indicano un unico processo? • Può esistere uno sviluppo non sostenibile ? • Quali bisogni possono essere considerati “basic” ? Con quali criteri possiamo definire “fondamentali” alcuni bisogni ?

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3. UN NUOVO PARADIGMA : LO SVILUPPO UMANO

Obiettivo : Conoscere i concetti di sviluppo umano – l’indice che lo misura e le componenti fondamentali che lo compongono. Conoscere i rapporti sullo Sviluppo Umano del UNDP.

Dal 1990 UNDP (United Nation Development Programme http://www.undp.org/ ) propone in Rapporti annuali il concetto di Sviluppo Umano (KW) e alcuni indicatori per misurarlo a livello nazionale e globale. Il primo Rapporto è stato divulgato nel 1990, coordinato dall'economista pakistano Mahbub ul Haq (1934-1998), e perfezionato in seguito dall'economista indiano Amartya Sen (1933): “Questo Rapporto si occupa della gente e del modo in cui lo sviluppo ne amplia le scelte. Si occupa di questioni che vanno al di là di concetti quali crescita del PNL (Prodotto Nazionale Lordo KW), reddito e ricchezza, produzione di beni e accumulazione di capitale. La facoltà di una persona di avere accesso ad un reddito rappresenta una di queste possibilità di scelta, ma non la somma totale delle aspirazioni umane”. L’economista Paul Streeten (1917) nel 2000 con un contributo speciale ai dieci anni del Rapporto UNDP afferma: “Lo sviluppo umano è il processo di ampliamento delle scelte degli individui, non soltanto delle scelte tra differenti detersivi, canali televisivi o modelli di automobili, ma delle scelte che vengono create attraverso l’espansione delle capacità e delle funzioni umane, ciò che gli individui fanno o possono fare nel corso della loro esistenza”.

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La possibilità di vedere soddisfatte queste opportunità fondamentali è solo il primo obiettivo dello sviluppo umano; esso dovrà preoccuparsi di promuoverne altre, alle quali le persone attribuiscono un valore che va dalla libertà politica, economica e sociale, alla possibilità di esprimere la propria creatività e produttività, dalla dignità personale al rispetto dei diritti dell’uomo. Il fatto che sia un concetto così ampio, non deve far pensare che si tratti di un concetto vago o indefinito, al contrario: l’intero edificio dello sviluppo umano poggia su solide basi (Rapporto n. 6, 1995): 1. Eguaglianza (KW): lo sviluppo umano è un processo di ampliamento delle opportunità che deve andare a beneficio di tutte le persone e non solo di pochi privilegiati. Le persone devono godere di pari opportunità e ogni barriera contro le opportunità politiche, economiche, sociali e culturali deve essere abbattuta affinché tutti possano trarre benefici. Un percorso di sviluppo che lascia fuori qualcuno da questo cammino, non potrà condurre molto lontano. 2. Sostenibilità (KW): con sostenibilità s’intende la capacità di un processo di sviluppo di garantire la riproduzione delle forme di capitale fisico, umano, sociale e ambientale che lo costituiscono, in modo da contribuire al suo perdurare nel tempo. L’attenzione posta dai Rapporti sulla sostenibilità fa sì che il concetto di sviluppo umano sia spesso sostituito, a partire dal Rapporto del 1992, da quello di “sviluppo umano sostenibile” (KW). Lo sviluppo umano sostenibile è quel processo che garantisce a tutte le generazioni – presenti e future – di utilizzare al meglio le proprie potenzialità. Per raggiungere questo obiettivo il processo di sviluppo deve essere armonizzato con i mezzi che offre la natura, dando la priorità assoluta al rinnovamento dell’ecosistema. Infine, deve contribuire a generare istituzioni interamente dedicate ai diritti delle persone, sia nel funzionamento dei meccanismi dello Stato, sia nelle espressioni della società civile.

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3. Partecipazione (KW): la partecipazione della gente rappresenta uno dei punti centrali dell’approccio dello sviluppo umano. “Partecipazione vuol dire che le persone sono coinvolte in profondità nei processi economici, sociali, culturali e politici che influenzano la loro vita. In alcuni casi, esse possono godere di un controllo completo e diretto di questi processi, mentre in altri questo controllo può essere indiretto o parziale, ma il punto fondamentale è che dispongono comunque di qualche potere. La partecipazione, intesa in questo senso, è un elemento essenziale dello sviluppo umano”. Come si evince, il senso della partecipazione è qui inteso in modo molto più ampio rispetto alla semplice partecipazione politica che si esprime attraverso il voto: è qualcosa che appartiene ad ogni sfera della vita umana. Questo significa che ogni meccanismo di esclusione, di discriminazione (KW), d’impedimento al processo partecipativo nei confronti di un qualunque individuo, rappresenta un limite ed una sconfitta per lo sviluppo umano. 4. Produttività (KW): le persone devono essere messe in grado di incrementare la propria produttività, di partecipare pienamente al processo di produzione dei redditi e di accedere a un impiego remunerato. La crescita economica (KW) costituisce quindi un sotto insieme, comunque fondamentale, dell’approccio dello sviluppo umano. Proprio perché l’aspetto produttivo è importante per ogni approccio che si preoccupi di questioni di sviluppo, solo una popolazione ben nutrita, sana, con adeguate competenze e motivata a partecipare può contribuire all’accrescimento della produttività. Investire sulle persone significa puntare su di un investimento che arrecherà i maggiori profitti a medio - lungo termine, ma è certamente un investimento remunerativo. Longevità, conoscenze e risorse sono le tre dimensioni fondamentali che entrano nel calcolo dell’Indice di Sviluppo Umano (KW), anche se l’UNDP non si stanca mai di sottolineare che il concetto di sviluppo umano è più ampio della sua misurazione e per quanto l’indice, di per sé, possa venire migliorato e perfezionato non potrà mai riflettere in modo adeguato un concetto così complesso.

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Gli indici importanti per lo sviluppo umano sono i seguenti :

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ISU – Indice di sviluppo umano (KW): si concentra su tre dimensioni misurabili dello sviluppo umano: vivere una vita lunga e sana, essere istruiti e avere uno standard di vita dignitoso. L’ISU combina quindi le misure della speranza di vita, dell’iscrizione scolastica, dell’alfabetizzazione e del reddito per permettere una visione dello sviluppo di un paese più ampia di quella che si può ottenere dalla sola osservazione del reddito.

IPU – Indice di Povertà Umana (KW): indice per misurare le deprivazioni nello sviluppo umano di base nelle tre dimensioni dell’ISU: longevità, conoscenza e standard di vita dignitoso (IPU-1). L’IPU per i paesi dell’OCSE (IPU-2) aggiunge, a quelle tre dimensioni, l’esclusione sociale.

ISG – Indice di Sviluppo di Genere (KW): secondo la definizione contenuta nel Rapporto dell’UNDP, misura i risultati raggiunti nelle stesse tre dimensioni e variabili dell’ISU, ma sottolinea le ineguaglianze tra uomini e donne.

Commitment to Development Index (CDI – Indice dell’Impegno per lo Sviluppo - KW): redatto ogni anno dal Center for Global Development di Washington, classifica i 22 Paesi più ricchi del mondo in base all’impegno nell’attuazione di politiche a beneficio delle nazioni povere. Il CDI valuta l’operato nazionale in sette importanti aree d’intervento per i Paesi in via di sviluppo: aiuti, commercio, investimenti, migrazione, ambiente, sicurezza e tecnologia.


3.1. Storico dei Rapporti UNDP sullo sviluppo umano (1990 – 2016) Nel primo Rapporto, del 1990, si definisce il concetto e l’indice di sviluppo umano (KW). Esplora inoltre la relazione che esiste tra crescita economica e sviluppo umano, arrivando alla conclusione che non esiste un legame automatico tra i due processi. E’ possibile raggiungere un buon livello di sviluppo umano anche quando i livelli di reddito sono modesti. Al contrario l’esperienza di alcuni paesi mostra che una forte crescita del prodotto interno lordo non si traduce necessariamente in benefici per la popolazione. É stato preparato da un gruppo di eminenti economisti ed esperti di sviluppo coordinati da Mahbub ul Haq, ex Ministro delle Finanze e della Pianificazione del Pakistan. Tra gli esperti che hanno collaborato sono stati Gustav Ranis, Amartya K. Sen, Frances Stewart, Meghnad Desai, Keith Griffin, Azizur Rahman Khan, Paul Streeten e Shlomo Angel. Il Rapporto del 1991 approfondisce la nozione di sviluppo umano come sviluppo delle persone, analizza le implicazioni del finanziamento degli interventi e delle strategie di sviluppo umano, confermando, in tale scelta, la volontà dell’ UNDP di tradurre la nozione di sviluppo in indicazioni dal carattere fortemente operativo. Spesso l’assenza di volontà politica, e non sempre di risorse finanziarie, è responsabile dei mancati progressi nell’ambito dello sviluppo umano. Il Rapporto del 1992 analizza l’incidenza dell’attuale contesto economico mondiale sulle politiche nazionali di sviluppo umano dei paesi allora denominati “in via di sviluppo” (KW). Il Rapporto arriva alla conclusione che le possibilità di accedere al mercato internazionale e di ottenere finanziamenti sono ancora più necessarie che l’aiuto allo sviluppo per sostenere le iniziative di sviluppo umano nei paesi in via di sviluppo.

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Il Rapporto del 1993 è incentrato sulla partecipazione (KW) degli individui al processo di sviluppo umano. Questo Rapporto valuta il grado di partecipazione delle popolazioni alle decisioni e ai processi che condizionano la loro vita. Presenta delle proposte concrete per un nuovo ordine mondiale (KW) incentrato sulle persone. Il Rapporto del 1994 introduce un nuovo concetto: quello di sicurezza umana (KW) che riguarda la possibilità che gli individui non si sentano minacciati nelle loro case, nella vita professionale, nella loro comunità o a causa del degrado dell’ambiente. Propone numerosi cambiamenti da attuarsi su scala nazionale o internazionale perché questo genere di sicurezza sia garantita a tutte le persone. Il Rapporto mondiale 1995 concentra la sua attenzione sulla relazione tra ineguaglianza di genere e sviluppo (KW). Il Rapporto nota come, praticamente in tutte le società, la donna è oggetto di discriminazione nei diversi ambiti della vita economica, politica, sociale e culturale. Ma questa problematica è spesso assente dal dibattito sullo sviluppo. E tuttavia ignorare la dimensione femminile nello sviluppo significa minare la sua sostenibilità. Il Rapporto introduce due indici per misurare l’ineguaglianza di genere. Il Rapporto 1996 si occupa del legame tra crescita economica (KW) e sviluppo umano (KW), e in particolare di come questi due processi possono rafforzarsi a vicenda. Il Rapporto termina con la considerazione che nuovi modelli di crescita dovranno essere elaborati e messi in atto per impedire che i disequilibri attualmente presenti nell’economia mondiale divengano ancora più marcati. Il Rapporto 1997 è incentrato sul tema della povertà umana (KW). La povertà è considerata come uno stato di deprivazione che non riguarda solo l’aspetto economico ma anche quello sociale, politico e culturale. La povertà è in aumento dappertutto nel mondo, non solo nei paesi in via di sviluppo ma anche nei paesi industrializzati.

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Il Rapporto introduce un nuovo indice di deprivazione, l’indice di povertà umana (IPU - KW). Il Rapporto 1998 si occupa dei consumi. La crescita dei consumi (KW) che ha interessato l’ultimo secolo ha comportato una crescita delle disuguaglianze mondiali, un peggioramento dello stato dell’ambiente e un aumento della pressione sociale. Se da una parte la crescita dei consumi ha significato un ampliamento delle opportunità, dall’altra ha generato nuovi bisogni (KW), quali la necessità di garantire la sicurezza nel processo di produzione e l’informazione dei consumatori. Il Rapporto fa una rassegna delle sfide a cui la gente dovrà far fronte per affermare un modello di consumo che garantisca l’ambiente, l’equità sociale, la salute e la sicurezza del consumatore. Il Rapporto del 1999 affronta il tema della globalizzazione (KW). Questo processo è visto insieme nello stesso tempo come un’opportunità e come una minaccia per i paesi più poveri. La possibilità che la globalizzazione (KW) si trasformi in un’opportunità per tutti presuppone nuove regole e l’affermarsi di istituzioni internazionali che abbiano lo scopo di promuoverle e farle rispettare. Il Rapporto del 2000 tratta il tema dei diritti umani (KW). I diritti umani e lo sviluppo umano hanno lo stesso scopo, quello di garantire libertà, benessere e dignità ad ogni individuo. Il Rapporto non si limita a considerare i diritti umani come parte fondamentale dello sviluppo umano ma fornisce indicazioni su come lo sviluppo stesso di un paese sia in realtà un mezzo per la loro promozione. Il Rapporto del 2001 spiega il rapporto esistente tra nuove tecnologie (KW) e sviluppo. Mentre è provato che molte innovazioni tecnologiche del Nord non sono appropriate ed applicabili ad un contesto povero, è anche vero che la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie mirate alla risoluzione di problemi specifici del Sud del mondo - dalla lotta contro le malattie alla formazione a distanza - possono essere utili strumenti per il raggiungimento dello sviluppo.

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Il Rapporto del 2002 tratta di democrazia (KW) e "governance (KW)". La democrazia è il sistema di governo più capace di mediare e prevenire i conflitti e di assicurare il benessere dei cittadini. Il Rapporto spiega come la riduzione della povertà e lo sviluppo umano siano strettamente legate alla costruzione di forme di governo di natura democratica. Il Rapporto del 2003 si occupa dei "Millenium Development Goals" (KW) (definiti nel 2000 durante il Millenium Summit delle Nazioni Unite) e di come i vari paesi si stanno muovendo per il loro raggiungimento. Il Rapporto del 2004 affronta il tema della diversità (KW) e delle libertà culturali (KW). Lo sviluppo umano significa anzitutto permettere alle persone di vivere il tipo di vita che essi scelgono – fornendo loro gli strumenti e le opportunità per fare questo genere di scelte. Il Rapporto afferma la necessità di politiche di tipo multiculturale (KW) che identifichino le differenze e promuovano le libertà culturali in modo tale che ogni persona possa scegliere di parlare la propria lingua o praticare la propria religione. Il Rapporto del 2005 si sofferma sui costi in termini di sviluppo umano per il mancato raggiungimento di obiettivi e per promesse non mantenute. La disuguaglianza tra paesi e all’interno dei paesi stessi è infatti uno dei principali ostacoli allo sviluppo umano in generale e al raggiungimento degli Obiettivi del Millennio in particolare. Il Rapporto sottolinea il fatto che i governi si trovino ad un vero e proprio bivio: dare finalmente inizio ad una “decade per lo sviluppo” creando investimenti e politiche ad hoc, oppure decidere di abbandonare l’idea di raggiungere gli Obiettivi entro i tempi prefissati. Vengono presi in considerazione i pilastri della cooperazione che hanno estremo bisogno di rinnovo: l’aiuto allo sviluppo (KW), il commercio internazionale (KW) e la sicurezza (KW) - costantemente minacciata da conflitti violenti e violazioni dei diritti umani - mettendo in evidenza sia ruolo dei governi dei paesi sviluppati (KW) che di quelli in via di sviluppo (KW).

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Il Rapporto del 2006 si sofferma su una delle maggiori piaghe del nostro tempo: la scarsità di acqua ed il rapporto tra la mancanza di acqua e la povertà. Contrariamente a ciò che si pensa, e cioè che la crisi idrica mondiale derivi dalla scarsità, il Rapporto afferma che in realtà la povertà, il potere e la disuguaglianza sono le vere cause del problema. Il Rapporto fornisce i dati sul numero di adulti e minori privi di accesso ad acqua e a servizi igienici. Si affrontano temi quali le politiche nazionali ed internazionali per garantire l’accesso globale a questa risorsa vitale; si fa una panoramica sui conflitti provocati dalla ricerca del potere sulle fonti; si parla delle tensioni economiche e sociali che a causa della mancanza di acqua contribuiscono all’emarginazione di alcune regioni del mondo. Il Rapporto evidenzia la necessità di strategie comuni per raggiungere l’universalità dell’accesso all’acqua e propone modelli di gestione delle tensioni provocate dal controllo delle risorse idriche. Il Rapporto 2007-2008 si sofferma sulla lotta ai cambiamenti climatici (KW): la solidarietà umana in un mondo diviso. Inconfutabili dati scientifici confermano ora che i cambiamenti climatici indotti dall’uomo stanno spingendo il mondo verso la catastrofe ecologica, con impatti potenzialmente irreversibili sullo sviluppo umano. Per milioni di persone tra le più povere del mondo, i cambiamenti climatici non sono uno scenario futuro: stanno già minando alle basi i loro sforzi per uscire dalla povertà, e stanno acutizzando la loro vulnerabilità (KW). Anche le generazioni future sono a rischio: dovranno convivere con conseguenze potenzialmente catastrofiche se si proseguirà nella direzione attuale. Gli argomenti a favore di una risposta seria e urgente si fondano su un impegno a sostenere la giustizia sociale, i diritti umani e la solidarietà umana in tutti i paesi e per tutte le generazioni. Il nostro futuro non è predeterminato. La lotta contro i cambiamenti climatici si può vincere, ma solo se le persone di tutto il mondo chiederanno di agire e se i governi elaboreranno soluzioni collettive a una minaccia comune.

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Il Rapporto 2009 riflette sulla migrazione (KW) - sia all’interno che fra le nazioni – sottolineandone il potenziale per aumentare la libertà delle persone e per migliorare le esistenze di milioni di esseri umani in tutto il mondo. Viviamo in un mondo ad alto tasso di mobilità, nel quale la migrazione è non soltanto inevitabile, ma rappresenta anche un’importante dimensione dello sviluppo umano. Quasi un miliardo di persone – una su sette – sono migranti. Il documento “Overcoming barriers: Human mobility and development”, dimostra che la migrazione può arricchire lo sviluppo umano per le persone che si spostano, per le comunità di destinazione e per quelli che rimangono nel loro paese. Il Rapporto sullo Sviluppo Umano 2010 celebra il 20° Anniversario di queste pubblicazioni e ha come titolo “ La vera ricchezza delle nazioni: Vie dello sviluppo umano” . Si riconosce che “negli ultimi vent’anni sono stati compiuti progressi notevoli in molti aspetti dello sviluppo umano. Oggi la maggioranza delle persone è più sana, vive più a lungo, è più istruita e può accedere a una gamma più vasta di beni e servizi. Anche gli abitanti dei Paesi con condizioni economiche svantaggiate hanno visto migliorare considerevolmente i livelli di salute e di istruzione. E al di là dei miglioramenti nei suddetti settori e dell’innalzamento dei redditi, ottimi risultati sono stati conseguiti anche nell’accrescere il potere delle persone di scegliere i propri leader, influenzare le decisioni pubbliche e condividere la conoscenza. Tuttavia, il quadro globale non è del tutto positivo. In questi anni abbiamo assistito anche all’aumento della disuguaglianza, a livello sia nazionale sia internazionale, e all’affermarsi di modelli di produzione e di consumo che si sono rivelati sempre più insostenibili. Per affrontare queste problematiche occorrono strumenti nuovi. In questo Rapporto 2010 si introducono tre misure che vanno ad aggiungersi alla famiglia degli indici (KW) già utilizzati nei Rapporti sullo Sviluppo Umano: 1) l’Indice dello sviluppo umano corretto per la disuguaglianza (KW); 2) l’Indice della disuguaglianza di genere (KW) e 3) l’Indice multidimensionale della povertà (KW). Indici che è utile conoscere e applicare nell’identificare priorità operative anche nella cooperazione internazionale.

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Il Rapporto sullo Sviluppo Umano 2011/2012 ha per titolo “ Sostenibilità (KW) ed equità (KW): un futuro migliore per tutti”. Tale Rapporto sostiene che le urgenti sfide globali della sostenibilità e dell'equità devono essere affrontate insieme - e individua le politiche a livello nazionale e globale, che potrebbe stimolare rafforzino a vicenda i progressi verso questi obiettivi interconnessi. Obiettivo ambizioso è necessario su entrambi i fronti, il Rapporto sostiene, se i recenti progressi di sviluppo umano per la maggior parte di maggioranza povera del mondo è quello di essere sostenuta, a beneficio delle generazioni future come pure per coloro che oggi vivono. Rapporti precedenti hanno mostrato che gli standard di vita in molti paesi sono aumentati - e convergenti - per diversi decenni. Eppure il Rapporto 2011 prevede un'inversione inquietante di queste tendenze, se il degrado ambientale e le disuguaglianze sociali continuano ad intensificare, con i paesi meno sviluppati divergenti verso il basso da modelli globali di progresso entro il 2050. Il rapporto mostra inoltre come le persone più svantaggiate del mondo, soffrono di più dal degrado ambientale, anche nel loro ambiente immediato personale, e in modo sproporzionato la mancanza del potere politico, rendendo ancora più difficile per la comunità mondiale (KW) di raggiungere un accordo sui necessari cambiamenti di politica globale. Il Rapporto sullo sviluppo umano 2013 ha per titolo : “L’ascesa del Sud: il progresso umano (KW) in un mondo in evoluzione guarda alla trasformazione della geopolitica nei nostri tempi, analizzando le questioni e le tendenze emergenti, oltre ai nuovi attori che stanno modellando il panorama dello sviluppo. Il Rapporto sostiene che la sensazionale trasformazione di un gran numero di paesi in via di sviluppo (KW) in importanti economie, dinamiche e con una crescente influenza politica, sta avendo un impatto significativo sull’evoluzione dello sviluppo umano. Il Rapporto rileva che durante lo scorso decennio tutti i paesi hanno accelerato i loro successi nelle dimensioni relative a istruzione, salute e reddito come misurate nell’Indice di sviluppo umano (Isu) – in misura tale che nessuna nazione per la quale vi fossero dati disponibili nel 2012 aveva un valore Isu più basso rispetto al 2000.

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Il Rapporto sullo Sviluppo Umano 2014 ha per titolo “ Sostenere il progresso umano (KW): ridurre le vulnerabilità (KW) e accrescere la propria capacità (KW) di ripresa” . Si fornisce una nuova prospettiva sulla vulnerabilità dell’essere umano e propone modi per rafforzare la propria capacità di recupero. Il Rapporto del 2015 focalizza il tema del lavoro (KW) come pilastro fondamentale dello sviluppo umano sostenibile (KW). Dal punto di vista dello sviluppo umano, la nozione di lavoro è più ampio e più profondo di quello dei posti di lavoro o meramente dell’ impiego. Il lavoro migliora lo sviluppo umano, fornendo redditi e condizioni di vita, riducendo la povertà, e rafforzando la crescita equa. Inoltre permette alle persone di partecipare pienamente alla società, offrendo loro un senso di dignità e del valore dell’esistenza. E il lavoro che coinvolge la cura per gli altri costruisce la coesione sociale e rafforza i legami all'interno di famiglie e comunità. Gli esseri umani che lavorano insieme, non solo aumentare il benessere materiale, accumulano anche un ampio corpo di conoscenze che è la base per far progredire le culture e le civiltà. Il Rapporto del 2016 affronta il tema dello sviluppo umano per tutte le persone (KW). La necessità di rafforzare la visione universalistica (KW) e trovare le modalità per un miglior riformato multilateralismo (KW) per il governo del mondo (KW). Trasmette cinque pilastri fondamentali che vengono analizzati utilizzando dati statistici e rafforzando la connessione con i 17 obiettivi dell’Agenda 2030: 1. L'universalismo (KW) è la chiave fondamentale per lo sviluppo umano e questo è realizzabile per tutte le persone del mondo; 2. Vari gruppi di persone sono vittime di privazioni fondamentali (KW) e devono affrontare difficoltà enormi per superarle.

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3. Lo sviluppo umano per tutti esige un diverso orientamento sugli aspetti analitici e le prospettive di valutazione (KW); 4. Esistono scelte politiche che, se fatte, possono contribuire ad ottenere lo sviluppo umano per tutti; 5. Una governance globale (KW) riformata, rafforzando un multilateralismo piĂš giusto, contribuirebbe a raggiungere lo sviluppo umano per tutti.

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SCHEDA RIASSUNTIVA Lezione 3 Risultati attesi : Aver acquisito il significato di sviluppo umano, il calcolo dell’indice che lo misura e le componenti fondamentali che lo compongono. Aver analizzato i temi fondamentali proposti nei rapporti sullo Sviluppo Umano del UNDP (dal 1990 ad oggi) Parole Chiave : Sviluppo umano PNL - ISU - IPU - CDI globalizzazione diritti umani multiculturalismo vulnerabilità migrazioni Punti di approfondimento : Quale è il punto qualificante ed innovativo del concetto di sviluppo umano ? Quali sono le componenti per comporre l’indice di sviluppo umano? Quali dei tempi proposti dai Rapporti annuali di UNDP sono più interessanti per la cooperazione internazionale attuale ?

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4. TRASFORMARE IL NOSTRO MONDO: L’ AGENDA 2030

Obiettivo: Conoscere l’Agenda 2030 con i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile e le 169 mete collegate.

Coniugando le esigenze dello sviluppo umano sostenibile si è approvato dall’Assemblea generale delle Nazioni unite, nel 2015, il documento “Trasformare il nostro mondo: l’ Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile” (DOC). Tale Documento presenta un quadro di riferimento universale per aiutare tutti i paesi a eliminare la povertà e a conseguire obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030.

@10 Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile http://www.unric.org/it/images/Agenda_2030_ITA.pdf

Nel Preambolo si fissano le finalità proposte : “Questa Agenda è un piano d'azione per le persone, il pianeta e la prosperità (KW). Essa mira anche a rafforzare la pace universale in una maggiore libertà. Ci rendiamo conto che l'eliminazione della povertà in tutte le sue forme e dimensioni, tra cui la povertà estrema, è la più grande sfida globale e un requisito indispensabile per lo sviluppo sostenibile. Tutti i paesi e tutti i soggetti interessati, in partenariato collaborativo, implementeranno questo piano. Siamo decisi a liberare il genere umano dalla tirannia della povertà e curare e proteggere il nostro pianeta. Siamo determinati a prendere le misure audaci e trasformative che sono urgentemente necessarie per cambiare il mondo verso un percorso sostenibile e resiliente. Mentre intraprendiamo questo viaggio collettivo, ci impegniamo a far sì che nessuno sia mai escluso …”

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Si propone il raggiungimento di nuovi obiettivi e la loro misurazione : “Stiamo annunciando oggi 17 obiettivi di sviluppo sostenibile con le 169 mete associate che sono integrate e indivisibili. Mai prima d'ora i leader mondiali avevano assunto un impegno per una azione comune e uno sforzo basato su una agenda politica così ampia e universale. Stiamo mettendo insieme il cammino verso lo sviluppo sostenibile, dedicando noi stessi insieme al perseguimento di sviluppo globale e di cooperazione per tutti che può portare enormi vantaggi a tutti i paesi e tutte le parti del mondo. Riaffermiamo che ogni Stato ha, ed esercita liberamente, la sovranità permanente su tutta la sua ricchezza, le sue risorse naturali e la sua attività economica. Noi realizzeremo l'Agenda a pieno beneficio di tutti, per la generazione di oggi e per le generazioni future (KW). In tal modo, riaffermiamo il nostro impegno per il diritto internazionale e sottolineiamo che l'agenda deve essere attuata in maniera coerente con i diritti e i doveri degli Stati previsti dal diritto internazionale. (KW)”( Punto 18 )… “Sono in fase di identificazione gli indicatori (KW) utili alla verifica di questo lavoro. Dati disaggregati accessibili, puntuali e attendibili per aiutare alla misurazione dei progressi compiuti e per garantire che nessuno sia lasciato indietro. Tali dati sono fondamentali per il processo decisionale. I dati e le informazioni disponibili devono essere utilizzati nella comunicazione sempre ove possibile. Siamo d'accordo nell’ intensificare i nostri sforzi per rafforzare le capacità statistiche nei paesi in via di sviluppo, in particolare i paesi africani, i paesi meno sviluppati (KW), i paesi in via di sviluppo (KW) senza sbocco sul mare, le piccole isole in via di sviluppo e i paesi a medio reddito”( Punto 48) …

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4.1. Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile

Obiettivo 1 - Porre fine alla povertà in tutte le sue forme ovunque 1.1. entro il 2030, sradicare la povertà estrema (attualmente misurata come persone che vivono con meno di 1,25 $ al giorno) per tutte le persone nel mondo; 1.2. entro il 2030, ridurre di almeno della metà la percentuale di uomini, donne e bambini di ogni età che vivono in povertà (in tutte le sue dimensioni secondo le definizioni nazionali); 1.3. implementare sistemi adeguati  -  a livello nazionale  -  di protezione sociale, e, entro il 2030, raggiungere una sostanziale copertura economica per dei poveri e vulnerabili; 1.4. ottenere, entro il 2030, che tutti gli uomini e le donne, in particolare i poveri e i vulnerabili, abbiano uguali diritti di accesso alle risorse economiche, così come l’quello ai servizi di base, la proprietà e il controllo sulla terra e le altre forme di proprietà, eredità, risorse naturali, adeguate nuove tecnologie e dei servizi finanziari; 55


1.5. entro il 2030 costruire la resilienza dei poveri e di quelli in situazioni di vulnerabilità, e ridurre la loro esposizione e vulnerabilità agli eventi estremi legati al clima e ad altre crisi di tipo economico, sociale e ambientale; 1.a. garantire una notevole mobilitazione di risorse da una varietà di fonti, anche attraverso la cooperazione allo sviluppo migliorata per fornire mezzi adeguati e prevedibili per i paesi in via di sviluppo, in particolare i paesi meno sviluppati, indispensabili per attuare programmi e politiche per porre fine alla povertà in tutte le sue dimensioni; 1.b. creare quadri politici  -  a livello regionale, nazionale e internazionale  -  basati su strategie di sviluppo a favore dei poveri e di genere per sostenere gli investimenti a favore dello sradicamento della povertà. Obiettivo 2 - Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere una agricoltura sostenibile 2.1. entro il 2030 porre fine alla fame e garantire l’accesso a tutte le persone, in particolare i poveri e le persone in situazioni vulnerabili, tra cui i bambini, ad una sicura, nutriente e sufficiente quantità di cibo per tutto l’anno; 2.2. entro il 2030 porre fine a tutte le forme di malnutrizione, tra cui il raggiungimento, entro il 2025, degli obiettivi concordati a livello internazionale per soddisfare le esigenze nutrizionali degli adolescenti, donne in gravidanza e in allattamento, persone anziane; 2.3. entro il 2030 raggiungere il doppio della produttività agricola e di reddito dei piccoli produttori di cibo, in particolare per donne, popoli indigeni, famiglie di agricoltori, pastori e pescatori, anche attraverso un accesso sicuro e paritario ai terreni, altre risorse produttive e input, conoscenze, servizi finanziari, mercati, opportunità di aggiunta di valore e di occupazione non agricola;

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2.4. entro il 2030 assicurare sistemi di produzione alimentare sostenibili e attuare pratiche agricole resilienti che aumentino la produttività e la produzione, che aiutino a mantenere gli ecosistemi, che rafforzino la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici, eventi meteorologici estremi, siccità, inondazioni e altri disastri, e che migliorino progressivamente qualità terreno e del suolo; 2.5. per il 2020 mantenere la diversità genetica delle sementi, piante coltivate, d’allevamento e di animali domestici e loro relative specie selvatiche, anche attraverso le banche di sementi e piante diversificati gestite a livello regionale, nazionale e internazionale, e di garantire l’accesso e la ripartizione giusta ed equa dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche e delle conoscenze tradizionali collegate, come concordato a livello internazionale; 2.a. aumentare gli investimenti -  anche attraverso una maggiore cooperazione internazionale, in infrastrutture rurali, servizi di ricerca e di divulgazione agricola  -  e lo sviluppo tecnologico per migliorare la capacità produttiva agricola nei paesi in via di sviluppo, in particolare nei paesi meno sviluppati; 2.b. correggere e prevenire restrizioni commerciali e distorsioni nei mercati agricoli mondiali, tra cui con l’eliminazione parallela di tutte le forme di sovvenzioni alle esportazioni agricole e di tutte le misure di esportazione con effetto equivalente, conformemente al mandato del Doha Development Round; 2.c. adottare misure per garantire il buon funzionamento dei mercati delle materie prime alimentari e loro derivati, e agevolare l’accesso tempestivo alle informazioni di mercato (anche per quanto riguarda le riserve alimentari) al fine di contribuire a limitare l’estrema volatilità dei prezzi alimentari.

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Obiettivo 3 - Garantire una vita sana e promuovere il benessere per tutti a tutte le età 3.1. entro il 2030 ridurre il rapporto di mortalità materna globale a meno di 70 per 100.000 nati vivi; 3.2. entro il 2030 porre fine alle morti evitabili di neonati e bambini sotto i cinque anni; 3.3. entro il 2030 porre fine alle epidemie di AIDS, tubercolosi, malaria e altre malattie tropicali trascurate, combattere l’epatite, malattie di origine idrica, e di altre malattie trasmissibili; 3.4. entro il 2030 ridurre di un terzo la mortalità prematura da malattie non trasmissibili attraverso la prevenzione e il trattamento, e promuovere la salute e il benessere mentale; 3.5. rafforzare la prevenzione e il trattamento di abuso di sostanze, incluso l’abuso stupefacente e consumo nocivo di alcol; 3.6. entro il 2020 dimezzare i decessi a livello mondiale e le lesioni da incidenti stradali; 3.7. entro il 2030 assicurare l’accesso universale ai servizi sanitari sessuali e riproduttivi, anche per la pianificazione familiare, l’informazione e l’educazione, e l’integrazione della salute riproduttiva nelle strategie e nei programmi nazionali; 3.8. conseguire una copertura sanitaria universale, compresa la protezione dei rischi finanziari, l’accesso ai servizi sanitari essenziali di qualità, accesso a farmaci essenziali a prezzi accessibili e vaccini per tutti; 3.9. entro il 2030 ridurre sostanzialmente il numero di decessi e malattie da sostanze chimiche pericolose e causate da contaminazione di aria, acqua e d’inquinamento del suolo;

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3.a. rafforzare l’attuazione della Convenzione sul controllo del tabacco in tutti i paesi; 3.b. sostenere la ricerca e lo sviluppo di vaccini e farmaci per le malattie trasmissibili e non trasmissibili che colpiscono soprattutto i paesi in via di sviluppo, fornire l’accesso ai farmaci essenziali a prezzi accessibili e vaccini, in conformità con la Dichiarazione di Doha (che afferma il diritto dei paesi in via di sviluppo da utilizzare pienamente le disposizioni dell’Accordo TRIPS in fatto di flessibilità per proteggere la salute pubblica e, in particolare, di fornire l’accesso ai farmaci per tutti); 3.c. aumentare notevolmente il finanziamento della sanità e il reclutamento, sviluppo, formazione e mantenimento del personale sanitario nei paesi in via di sviluppo, soprattutto in quelli meno sviluppati; 3.d. rafforzare la capacità di tutti i paesi, in particolare di quelli in via di sviluppo, per il preallarme, la riduzione dei rischi e la gestione dei rischi nazionali e globali per la salute; Obiettivo 4 - Garantire una inclusiva ed equa qualità d’educazione e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti 4.1. entro il 2030 far si che tutte le ragazze e i ragazzi completino una educazione libera, equa e di qualità primaria e secondaria che porti a risultati di apprendimento rilevanti ed efficaci; 4.2. entro il 2030 far si che tutte le ragazze e i ragazzi abbiano accesso ad un sviluppo di qualità della prima infanzia, della cura e dell’istruzione pre -primaria in modo che siano pronti per la scuola primaria; 4.3. entro il 2030 assicurare la parità di accesso per tutte le donne e gli uomini alla formazione tecnica, professionale e universitaria di qualità e a prezzi accessibili;

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4.4. entro il 2030, aumentare il numero percentuale di giovani e adulti che abbiano le competenze necessarie, tecniche e professionali, per l’occupazione, per un lavoro dignitoso e per l’imprenditorialità; 4.5. entro il 2030, eliminare le disparità di genere e garantire parità di accesso a tutti i livelli di istruzione e formazione professionale per i più vulnerabili, comprese le persone con disabilità, le popolazioni indigene, i minori in situazioni vulnerabili; 4.6. nel 2030 a garantire che tutti i giovani e almeno una percentuale considerevole degli adulti, uomini e donne, raggiungano alfabetizzazione; 4.7. nel 2030 assicurare a tutti gli studenti che acquisiscono conoscenze e competenze necessarie per promuovere lo sviluppo sostenibile — attraverso l’educazione allo sviluppo sostenibile e stili di vita sostenibili — i diritti umani, l’uguaglianza di genere, la promozione di una cultura di pace e di non-violenza, la cittadinanza globale, l’apprezzamento della diversità culturale e del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile; 4.a. costruire e aggiornare strutture scolastiche per i ragazzi con disabilità, sensibilizzare sulle questioni di genere, fornire ambienti di apprendimento sicuri, non violenti, compreso ed efficaci per tutti; 4.b. entro il 2020 per espandere una percentuale, a livello mondiale, del numero di borse di studio per i paesi, in particolare quelli meno sviluppati, per i paesi africani in via di sviluppo, stimolandoli ad iscriversi nei settori dell’istruzione superiore, compresa la formazione professionale, l’ICT, tecnica, ingegneria e programmi scientifici dei paesi sviluppati e di altri paesi in via di sviluppo;

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4.c. entro il 2030 aumento in percentuale l’offerta di insegnanti qualificati, anche attraverso la cooperazione internazionale per la formazione degli insegnanti nei paesi in via di sviluppo, in particolare per i paesi meno sviluppati. Obiettivo 5 - Migliorare la uguaglianza di genere e rafforzare tutte le donne e ragazze 5.1. porre fine a tutte le forme di discriminazione contro le donne e le ragazze in tutto il mondo; 5.2. eliminare tutte le forme di violenza contro tutte le donne e le ragazze in ambito pubblico e privato, incluso il traffico sessuale e altri tipi di sfruttamento; 5.3. eliminare tutte le pratiche dannose, come il figlio precoce, il matrimonio precoce e forzato e le mutilazioni genitali femminili; 5.4. riconoscere e valorizzare il lavoro domestico attraverso la fornitura di servizi pubblici, infrastrutture e politiche di protezione sociale, e la promozione della condivisione delle responsabilità all’interno della famiglia; 5.5. garantire la piena ed effettiva partecipazione delle donne e pari opportunità per la leadership a tutti i livelli del processo decisionale nella vita politica, economica, e pubblica del paese; 5.6. garantire l’accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai diritti riproduttivi, come concordato in base al programma d’azione della Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo e della Piattaforma d’azione di Pechino e dei documenti finali della loro conferenze di revisione; 5.a. intraprendere riforme per dare alle donne pari diritti d’accesso alle risorse economiche, così come alla proprietà e al controllo del territorio e altre forme di proprietà, i servizi finanziari, l’eredità, e le risorse naturali in conformità con le leggi nazionali;

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5.b. migliorare l’uso di tecnologie abilitanti, in particolare le Tecnologie di Informazione e Comunicazione, per promuovere l’emancipazione delle donne; 5.c. adottare e rafforzare sane politiche e legislazioni applicabili per la promozione della parità di genere e l’empowerment (KW) di tutte le donne e le ragazze a tutti i livelli; Obiettivo 6 - Garantire una gestione dell’acqua disponibile e sostenibili e igiene per tutti 6.1. entro il 2030, raggiungere l’accesso universale ed equo all’acqua potabile sicura e alla portata di tutti; 6.2. entro il 2030, raggiungere l’accesso ai servizi igienico-sanitari e di igiene adeguato ed equo per tutti, ponendo fine defecazione all’aperto, con particolare attenzione alle esigenze delle donne e delle ragazze e quelli in situazioni vulnerabili; 6.3. entro il 2030, migliorare la qualità dell’acqua per ridurre l’inquinamento, eliminando scarico e riducendo al minimo il rilascio di sostanze chimiche pericolose e dei materiali, dimezzando la percentuale di acque reflue non trattate, e aumentando il riciclaggio e il riutilizzo sicuro, in percentuale a livello globale; 6.4. entro il 2030, aumentare considerevolmente l’efficienza di utilizzo dell’acqua in tutti i settori e garantire ritiri sostenibili e la fornitura di acqua dolce per affrontare la scarsità d’acqua, nonché ridurre sostanzialmente il numero di persone che soffrono di scarsità d’acqua; 6.5. nel 2030 attuare la gestione integrata delle risorse idriche a tutti i livelli, anche attraverso la cooperazione transfrontaliera a seconda dei casi; 6.6. entro il 2020 ripristinare gli ecosistemi di protezione legati all’acqua, tra montagne, foreste, zone umide, fiumi, falde acquifere e laghi;

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6.a. entro il 2030, espandere la cooperazione internazionale e creazione di capacità di sostegno ai paesi in via di sviluppo di acqua e di attività igienico-sanitarie legate e programmi (tra cui la raccolta dell’acqua, desalinizzazione, l’efficienza idrica, trattamento delle acque reflue, riciclo e riutilizzo delle tecnologie); 6.b. sostenere e rafforzare la partecipazione delle comunità locali per migliorare la gestione idrica e fognaria. Obiettivo 7 - Garantire l’accesso conveniente, sostenibile, moderno e a prezzi accessibili all’ energia per tutti 7.1. entro il 2030 assicurare l’accesso universale a servizi energetici moderni e affidabili a prezzi accessibili ; 7.2. aumentare notevolmente la quota di energie rinnovabili nel quadro energetico globale, entro il 2030; 7.3. raddoppiare il tasso globale di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030; 7.a. entro il 2030 migliorare la cooperazione internazionale per facilitare l’accesso a ricerche e tecnologie di energia pulita, comprese le energie rinnovabili, l’efficienza energetica, e avanzate e più pulite tecnologie a combustibile fossile, nonché a promuovere gli investimenti nelle infrastrutture energetiche e tecnologie energetiche pulite; 7.b. entro il 2030 espandere le infrastrutture e la tecnologia di aggiornamento per la fornitura di servizi energetici moderni e sostenibili per tutti i paesi in via di sviluppo, in particolare i paesi meno sviluppati e nei piccoli paesi insulari in via di sviluppo; Obiettivo 8 - Promuovere una crescita economica sostenibile, inclusiva e sostenibile, l’occupazione totale e produttiva e un lavoro decente per tutti

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8.1. sostenere la crescita economica pro capite a seconda delle circostanze nazionali, e in particolare almeno del 7% di crescita del PIL all’anno nei paesi meno sviluppati; 8.2. raggiungere livelli più elevati di produttività economica attraverso la diversificazione, il potenziamento e l’innovazione tecnologica, anche attraverso un focus su alto valore aggiunto e settori alta intensità di lavoro; 8.3. promuovere politiche orientate allo sviluppo che supportino le attività produttive, la creazione di occupazione dignitosa, l’imprenditorialità, creatività e innovazione, e che incoraggino la formalizzazione e la crescita delle piccole e medie imprese anche attraverso l’accesso ai servizi finanziari; 8.4. migliorare progressivamente fino al 2030 l’efficienza delle risorse a livello mondiale nel consumo e nella produzione, e cercare di dissociare la crescita economica dal degrado ambientale in conformità con il quadro di 10 anni di programmi sul consumo e la produzione sostenibile, con i paesi sviluppati adattati a ruolo di guida; 8.5. entro il 2030 raggiungere un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutte le donne e gli uomini, anche per i giovani e le persone con disabilità, e la parità di retribuzione per lavori di pari valore; 8.6. entro il 2020 ridurre sostanzialmente la percentuale di giovani non occupati, aumentando quella di giovani istruiti e formati; 8.7. adottare misure immediate ed efficaci per garantire la proibizione e l’eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile, sradicare il lavoro forzato, e entro il 2025 porre fine al lavoro minorile in tutte le sue forme compreso il reclutamento e l’impiego di bambini soldato;

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8.8. proteggere i diritti dei lavoratori e promuovere un sicuro e protetto ambiente di lavoro per tutti, compresi i lavoratori migranti, in particolare le donne migranti, e quelli con un lavoro precario; 8.9. entro il 2030 elaborare e attuare politiche volte a promuovere il turismo sostenibile, che crea posti di lavoro, promuove la cultura ed i prodotti locali; 8.10. rafforzare la capacità delle istituzioni finanziarie nazionali per incoraggiare e per espandere l’accesso ai servizi bancari, assicurativi e finanziari per tutti; 8.a. aumentare gli aiuti per il sostegno del commercio per i paesi in via di sviluppo, in particolare i paesi meno sviluppati, anche attraverso un quadro integrato rafforzato per i paesi meno sviluppati; 8.b. entro il 2020 sviluppare e rendere operativa una strategia globale per l’occupazione giovanile e l’attuazione del Patto Mondiale della Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL); Obiettivo 9 - Costruire resilienti infrastrutture, promuovere una industrializzazione inclusiva e sostenibile e favorire l’innovazione 9.1. sviluppare infrastruttura di qualità, affidabili, sostenibili e resilienti, comprese le infrastrutture regionali e transfrontaliere, per sostenere lo sviluppo economico e il benessere umano, con particolare attenzione alla possibilità di accesso equo per tutti; 9.2. promuovere l’industrializzazione inclusiva e sostenibile, e per il 2030 aumento significativamente la quota dell’industria dell’occupazione e del PIL, in linea con le circostanze nazionali, e raddoppiare la sua quota nei paesi meno sviluppati; 9.3. aumentare l’accesso dei piccoli industriali e di altre imprese, in particolare nei paesi in via di sviluppo, ai servizi finanziari tra cui credito a prezzi accessibili e la loro integrazione nelle filiere e nei mercati globali;

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9.4. nel 2030 sviluppare infrastrutture di aggiornamento e industrie retrofit (Il retrofit consiste nell'aggiungere nuove tecnologie o funzionalità ad un sistema vecchio, prolungandone così la vita utile – ndr - ) per renderle sostenibile, con un aumento di efficienza nell’uso delle risorse e una maggiore adozione di tecnologie pulite e rispettose dell’ambiente e dei processi industriali, tutti i paesi che prendono azione, conformemente alle loro rispettive capacità; 9.5. migliorare la ricerca scientifica, migliorare le capacità tecnologiche dei settori industriali in tutti i paesi, in particolare i paesi in via di sviluppo, incoraggiando l’innovazione e l’aumento del numero di lavoratori; 9.a. facilitare lo sviluppo delle infrastrutture sostenibili e resilienti (KW)nei paesi in via di sviluppo attraverso un maggiore sostegno finanziario, tecnologico e tecnico ai paesi africani, i paesi meno sviluppati, i paesi meno sviluppati e quelli del sud del mondo; 9.b. supportare la tecnologia nazionale di sviluppo, ricerca e innovazione nei paesi in via di sviluppo anche assicurando un ambiente politico favorevole, la diversificazione industriale e il valore aggiunto alle materie prime; 9.c. aumentare in modo significativo l’accesso alle TIC (Tecnologie di Informazione e Comunicazione), sforzandosi di fornire un accesso universale e accessibile ad internet nei paesi meno sviluppati entro il 2020; Obiettivo 10  -  Ridurre la disuguaglianza all’interno e tra i paesi 10.1. entro il 2030 raggiungere progressivamente e sostenere la crescita del reddito base del 40% della popolazione ad un tasso superiore rispetto alla media nazionale; 10.2. nel 2030 promuovere l’inclusione sociale, economica e politica di tutti, indipendentemente dall’età, dal sesso, disabilità, razza, etnia, origine, religione o condizione economica o di altro fattore;

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10.3. assicurare pari opportunità e ridurre le disuguaglianze di esito, anche attraverso l’eliminazione delle leggi, politiche e pratiche discriminatorie, e la promozione di adeguate legislazioni; 10.4. adottare politiche fiscali, soprattutto salariali, e politiche di protezione sociale per raggiungere progressivamente una maggiore uguaglianza; 10.5. migliorare la regolamentazione e il controllo dei mercati finanziari globali e le istituzioni e rafforzare l’attuazione di tali regolamenti; 10.6. assicurare maggior rappresentanza e voce dei paesi nel processo decisionale nelle istituzioni economiche e finanziarie internazionali in via di sviluppo, al fine di fornire istituzioni più efficaci, credibili, affidabili e legittime; 10.7. facilitare una ordinata, sicura, regolare e responsabile migrazione e mobilità delle persone, anche attraverso l’attuazione di politiche di migrazione pianificata e ben gestite; 10.a. attuare il principio del trattamento speciale e differenziato per i paesi in via di sviluppo, in particolare i paesi meno sviluppati, in base agli accordi OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio); 10.b. incoraggiare gli APS (Advanced Planning System) e i flussi finanziari, compresi gli investimenti diretti esteri, verso Stati dove maggiore è il bisogno, in particolare i paesi meno sviluppati, i paesi africani, i piccoli stati insulari (SIDS) e i paesi meno avanzati (LDC) , in conformità con i loro piani e programmi nazionali; 10.c. ridurre entro il 2030, almeno del 3%, i costi di transazione delle rimesse dei migranti, ed eliminare corridoi di rimesse a costi superiori al 5%;

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Obiettivo 11 -  Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili 11.1. entro il 2030, garantire l’accesso di tutti ad adeguati, sicuri e convenienti alloggi e servizi di base, nonché l’aggiornamento delle baraccopoli; 11.2. entro il 2030, fornire l’accesso ai sistemi di trasporto sicuri, accessibili e sostenibili per tutti, migliorare la sicurezza stradale, in particolare ampliando i mezzi pubblici, con particolare attenzione alle esigenze di chi è vulnerabile a queste situazioni — donne, bambini, persone con disabilità e persone anziane; 11.3. entro il 2030 migliorare l’urbanizzazione e le capacità inclusiva e sostenibili, nonché le pianificazione per un insediamento umano partecipativo, integrato e sostenibile ; 11.4. rafforzare gli sforzi per proteggere e salvaguardare il patrimonio culturale e naturale del mondo; 11.5. entro il 2030 ridurre in modo significativo il numero di morti e il numero di persone colpite a causa di/da perdite economiche relative al PIL, arrecati dalle calamità (come catastrofi legate all’acqua, con l’attenzione per proteggere i poveri e le persone in situazioni vulnerabili); 11.6. entro il 2030, ridurre il negativo impatto ambientale pro capite delle città, anche ponendo particolare attenzione alla qualità dell’aria, dell’acqua e alla gestione dei rifiuti; 11.7. nel 2030, fornire l’accesso universale a spazi sicuri, inclusivi e accessibili e verdi, in particolare per le donne e i bambini, gli anziani e le persone con disabilità; 11.a. supportare legami economici, sociali e ambientali positivi tra le zone urbane, periferiche e rurali rafforzando la pianificazione regionale e nazionale volta allo sviluppo;

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11.b. entro il 2020, aumento in percentuale il numero di città e insediamenti umani che adottano e attuano delle politiche e dei piani integrati volti all’inclusione, all’efficienza delle risorse, alla mitigazione e all’adattamento ai cambiamenti climatici, alla resilienza alle catastrofi, sviluppati e attuati in linea con il Quadro d’azione di Sendai (Hyogo) per la gestione del rischio di catastrofi a tutti i livelli; 11.c. supportare i paesi meno sviluppati anche attraverso l’assistenza tecnica e finanziaria, per gli edifici sostenibili e resilienti che utilizzano materiali locali; Obiettivo 12 -  Garantire consumi e modelli di produzione sostenibili 12.1. Attuare il Piano decennale di programmi sul consumo e la produzione sostenibili in tutti i paesi coinvolti, con i paesi sviluppati messi nel ruolo di guida, tenendo conto dello sviluppo e delle capacità dei paesi in via di sviluppo; 12.2. entro il 2030 attuare una gestione sostenibile e un uso efficiente delle risorse naturali; 12.3. entro il 2030 dimezzare i rifiuti alimentarli globali pro capite, implementando la vendita al dettaglio, e riducendo le perdite alimentari ( tra cui perdite post-raccolto); 12.4. entro il 2020 raggiungere una gestione ecologicamente corretta dei prodotti chimici e di tutti i rifiuti in tutto il loro ciclo di vita, in conformità con i protocolli internazionali concordati, e ridurre significativamente il loro rilascio in aria, acqua e suolo per minimizzare gli impatti negativi sulla salute umana e sull’ambiente; 12.5. entro il 2030, ridurre in modo sostanziale la produzione di rifiuti attraverso la prevenzione, la riduzione, il riciclaggio, il riutilizzo degli stessi;

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12.6. incoraggiare le imprese, in particolare le aziende grandi e transnazionali, ad adottare pratiche sostenibili, integrando le informazioni relative alla sostenibilità nel loro ciclo di informazione; 12.7. promuovere pratiche di appalti pubblici sostenibili in accordo con le politiche e le priorità nazionali; 12.8. far si che entro il 2030 le persone in tutto il mondo abbiano le informazioni e la consapevolezza rilevanti per lo sviluppo sostenibile e stili di vita in armonia con la natura; 12.a. supportare e rafforzare le capacità e conoscenze scientifiche e tecnologiche in grado di dirigerci verso modelli più sostenibili di consumo e di produzione; 12.b. sviluppare e implementare strumenti per monitorare gli impatti di sviluppo sostenibile per il turismo medesimo, che crea posti di lavoro, promuove la cultura ed i prodotti locali; 12.c. razionalizzare sussidi ai combustibili fossili inefficienti che incoraggiano gli sprechi, eliminando le distorsioni del mercato, a seconda delle circostanze nazionali, anche attraverso la ristrutturazione e la tassazione — e progressiva eliminazione —  delle sovvenzioni pregiudizievoli, ove esistenti, in modo da riflettere sul loro impatto ambientale, tenendo pienamente conto della specifica esigenze e delle condizioni dei paesi in via di sviluppo, riducendo al minimo i possibili effetti negativi sul loro sviluppo, in modo da proteggere i poveri e le comunità interessate. Obiettivo 13 -  Prendere misure urgenti per far fronte al cambiamento climatico e ai suoi impatti 13.1. rafforzare la resilienza (KW) e le capacità di adattamento ai rischi legati al clima e alle catastrofi naturali in tutti i paesi, 13.2. integrare e pianificare misure e strategie adatte ai cambiamenti climatici nelle politiche nazionali;

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13.3. migliorare l’istruzione e la sensibilizzazione istituzionale nella mitigazione dei cambiamenti climatici, sviluppando un senso dell’adattamento pianificando la riduzione di impatto che questi comportano; 13.a. attuare l’impegno assunto dai  paesi sviluppati   all’UNFCCC (United Nation Framework Convention for Climate Change) per raggiungere l’obiettivo di mobilitare congiuntamente 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 per rispondere alle esigenze dei paesi in via di sviluppo nel contesto delle azioni di mitigazione significative e della trasparenza dell’attuazione del GCF (Green Climate Fund) attraverso la sua capitalizzazione il più presto possibile; 13.b. promuovere meccanismi per la raccolta di fondi per una gestione e pianificazione di interventi legati ai cambiamenti climatici, soprattutto nei paesi meno sviluppati; Obiettivo 14  - Conservare ed usare in modo sostenibili gli oceani, mari e risorse marine per uno sviluppo sostenibile 14.1. entro il 2025, prevenire e ridurre in modo significativo l’inquinamento marino di tutti i tipi, in particolare causato da attività terrestri, compresi i rifiuti marini e l’inquinamento dei nutrienti; 14.2. entro il 2020, gestire e proteggere in modo sostenibile gli ecosistemi marini e costieri per evitare impatti negativi significativi, anche rafforzando la loro capacità di recupero, e agire per il loro restauro, per ottenere oceani sani e produttivi; 14.3. minimizzare e affrontare l’impatto dell’acidificazione degli oceani, anche attraverso una maggiore cooperazione scientifica a tutti i livelli; 14.4. nel 2020, regolare efficacemente la raccolta e la pesca eccessiva, la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, nonché le pratiche di pesca distruttive, mettendo in atto i piani di gestione su base scientifica per ripristinare gli stock ittici nel più

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breve tempo possibile, almeno a livelli in grado di produrre il massimo rendimento sostenibile determinato dalle loro caratteristiche biologiche; 14.5. entro il 2020, conservare almeno il 10% delle zone costiere e marine, coerenti con il diritto nazionale e internazionale e basati su migliori informazioni scientifiche disponibili; 14.6. nel 2020, vietare certe forme di sovvenzioni alla pesca che contribuiscono allo sfruttamento eccessivo della pesca, eliminando i sussidi che contribuiscono alla pesca illegale, astenendosi dall'introdurre nuove tali sovvenzioni, riconoscendo che un “trattamento speciale e differenziato adeguato ed efficace per lo sviluppo e paesi meno sviluppati dovrebbe essere parte integrante della Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO - World Trade Organization)”; 14.7. entro il 2030 aumentare i vantaggi economici per i piccoli stati insulari (SIDS) e per i paesi meno sviluppati provenienti dall’uso sostenibile delle risorse marine, anche mediante una gestione sostenibile della pesca, dell’acquacoltura e del turismo; 14.a accrescere la conoscenza scientifica, sviluppare capacità di ricerca e trasferimento di tecnologia marina tenendo conto dei criteri della IOC (Intergovernative Oceanographic Commission dell’UNESCO) orientamenti al trasferimento di tecnologia marina al fine di migliorare la salute dell’oceano il contributo della biodiversità marina per lo sviluppo dei paesi in particolare quelli meno sviluppati e del sud del mondo. 14.b. fornire l’accesso ai pescatori artigianali — su piccola scala —  alle risorse e ai mercati marini più vasti; 14.c. assicurare la piena attuazione del diritto internazionale, che si riflette nell’UNCLOS (Convenzione dell’ONU sui diritti del mare), tra cui i già esistenti regimi regionali e internazionali per la conservazione e l’uso sostenibile degli oceani e delle loro risorse dai loro partiti.

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KW – Resilienza indica la capacità di far fronte e reagire in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita sociale e comunitaria superando le situazioni di emergenza e garantendo l’accesso ai diritti fondamentali .

Obiettivo 15 - Proteggere, ripristinare e promuovere un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre, gestione sostenibile delle foreste, combattere la desertificazione, fermare e invertire la degradazione delle terre, arrestando la perdita di biodiversità 15.1. garantire, nel 2020, la conservazione, il restauro e l’uso sostenibile degli ecosistemi di acqua dolce e dei loro servizi (in particolare le foreste, le zone umide, le montagne e le zone aride) in linea con gli obblighi derivanti dagli accordi internazionali; 15.2. entro il 2020, promuovere l’attuazione di una gestione sostenibile di tutti i tipi di foreste, arrestare la deforestazione, ripristinare le foreste degradate, aumentare la forestazione e la riforestazione in percentuale a livello globale; 15.3. avviare, entro il 2020, una effettiva lotta alla desertificazione, ripristinando terreni e suoli degradati, compresi i terreni colpiti dalla desertificazione, siccità e inondazioni, sforzandosi di realizzare un degrado neutro del mondo terrestre; 15.4. nel 2030 garantire la conservazione degli ecosistemi montani, compresa la loro biodiversità, per migliorare la loro capacità di fornire prestazioni che sono essenziali per lo sviluppo sostenibile; 15.5. agire urgentemente e in maniera significativa per ridurre il degrado degli habitat naturali, arrestare la perdita di biodiversità, e nel 2020 proteggere e prevenire l’estinzione di specie minacciate;

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15.6. assicurare una condivisione giusta ed equa dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche e promuovere l’accesso adeguato a queste; 15.7. adottare misure urgenti per porre fine al bracconaggio e al traffico di specie di flora e fauna protette, e affrontare sia la domanda che l’offerta di prodotti illegale di specie selvatiche; 15.8. adottare entro il 2020 misure per impedire l’introduzione  -  e significativamente per ridurre -  l’impatto delle specie esotiche invasive su ecosistemi terrestri e acquatici, controllando o sradicando le specie prioritarie; 15.9. nel 2020, integrare ecosistemi e valori di biodiversità nella pianificazione nazionale e locale, nonché i processi di sviluppo e le strategie di riduzione della povertà; 15.a. aumentare e mobilitare significativamente tutte le fonti di risorse finanziarie, conservandole e utilizzandole in modo durevole a favore delle biodiversità e degli ecosistemi; 15.b. mobilitare in modo significativo le risorse provenienti da tutte le fonti e a tutti i livelli per finanziare la gestione sostenibile delle foreste, fornendo adeguati incentivi ai paesi in via di sviluppo per promuovere la gestione sostenibile delle foreste, anche per la conservazione e la riforestazione. 15.c. rafforzare il sostegno globale agli sforzi per combattere il bracconaggio e il traffico di specie protette, tra cui aumentare la capacità delle comunità locali di perseguire opportunità di sostentamento sostenibili;

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Obiettivo 16 -  Promuovere pacifiche e inclusive società per uno sviluppo sostenibile, fornire accesso alla giustizia per tutti e costruire effettive, responsabile e inclusive istituzione a tutti i livelli 16.1. ridurre in modo significativo tutte le forme di violenza — e di tassi di mortalità connessi  -  ovunque; 16.2. porre fine all’abuso, allo sfruttamento, alle varie tratte e ogni forma di violenza e torture contro i bambini; 16.3. promuovere lo stato di diritto a livello nazionale e internazionale, garantendo parità di accesso alla giustizia per tutti; 16.4. entro il 2030 ridurre in modo significativo i flussi finanziari e di armi illecite, rafforzare il recupero e la restituzione di beni rubati, combattendo ogni forma di criminalità organizzata; 16.5. ridurre sostanzialmente corruzione e concussione in tutte le sue forme; 16.6. sviluppare istituzioni efficaci, responsabili e trasparenti a tutti i livelli; 16.7. garantire un reattivo, inclusivo, partecipativo rappresentativo processo decisionale a tutti i livelli;

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16.8. allargare e rafforzare la partecipazione dei paesi in via di sviluppo nelle istituzioni della governance globale; 16.9. fornire, entro il 2030, un’identità giuridica per tutti, anche alla registrazione delle nascite; 16.10. garantire l’accesso del pubblico alle informazioni e proteggere le libertà fondamentali, in conformità con le legislazione nazionale e gli accordi internazionali;

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16.a. rafforzare le competenti istituzioni nazionali -  anche attraverso la cooperazione internazionale — per la costruzione di capacità a tutti i livelli, in particolare nei paesi in via di sviluppo, per prevenire la violenza e la lotta contro terrorismo e la criminalità; 16.b. promuovere e far rispettare le leggi e le politiche non discriminatorie per lo sviluppo sostenibile. Obiettivo 17  - Rafforzare i significati di implementazione e rivitalizzazione delle partnership globali per uno sviluppo sostenibile Finanza 17.1. rafforzare la mobilitazione delle risorse interne, anche attraverso il sostegno internazionale ai paesi in via di sviluppo, per migliorare la capacità interna di tasse e altre tipi di entrate; 17.2. attuare pienamente - per i paesi più sviluppati  - i loro impegni in materia di Assistenza Pubblica allo Sviluppo (APS), tra cui quello di fornire lo 0,7% del Reddito Nazionale Lordo di APS ai paesi in via di sviluppo, di cui 0,15–0,20% per i paesi meno sviluppati; 17.3. mobilitare ulteriori risorse finanziarie per i paesi in via di sviluppo da più fonti; 17.4. assistere i paesi in via di sviluppo nel raggiungere la sostenibilità del debito a lungo termine attraverso politiche volte a promuovere il finanziamento, riduzione e ristrutturazione del debito (a seconda dei casi); 17.5. adottare e attuare regimi di promozione degli investimenti per i paesi meno sviluppati;

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Tecnologia 17.6. migliorare triangolare la cooperazione regionale e internazionale in materia di accesso alla scienza, tecnologia e innovazione, attuando una condivisione delle conoscenze a condizioni stabilite di comune accordo, anche attraverso un maggiore coordinamento tra i meccanismi esistenti, in particolare a livello delle Nazioni Unite, e attraverso un globale meccanismo di facilitazioni quando accettato dalle parti; 17.7. promuovere lo sviluppo, il trasferimento, la diffusione di tecnologie ecocompatibili ai paesi in via di sviluppo a condizioni favorevoli, anche a condizioni agevolate e preferenziali, come stabilito di comune accordo; 17.8. rendere completamente operativa la Banca Tecnologia e STI (Science, Technology and Innovation), meccanismi di sviluppo delle capacità per i paesi meno sviluppati, entro il 2017, e migliorare l’uso delle tecnologie abilitanti, in particolare, le Tecnologie di Informazione e Comunicazione; Rafforzamento delle capacità 17.9. rafforzare il sostegno internazionale per l’attuazione di efficaci e mirate capacity building (KW) nei paesi per sostenere piani nazionali e attuare tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile, anche attraverso la cooperazione Nord-Sud, Sud – Sud e Triangolare; Commercio 17.10. promuovere un aperto sistema commerciale multilaterale universale basato su regole, non discriminatorio ed equo nell’ambito del WTO; 17.11. aumentare in modo significativo le esportazioni dei paesi in via di sviluppo, in particolare al fine di raddoppiare la quota delle esportazioni mondiali dei paesi più poveri (LDC) entro il 2020;

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17.12. realizzare tempestivamente attuazioni di duty-free, di accesso al mercato senza contingenti su base duratura per tutti i paesi meno sviluppati (in linea con le decisioni del WTO) in particolare garantendo che le norme di origine preferenziale applicabili alle importazioni dai paesi meno sviluppati siano trasparenti e semplici, e contribuire a facilitare l’accesso al mercato. Politica e coerenza istituzionale 17.13. migliorare la stabilità macroeconomica globale anche attraverso il coordinamento delle politiche e la coerenza delle politiche; 17.14. migliorare la coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile; 17.15. rispetto lo spazio politico di ciascun paese e la leadership definendo  -  e attuando  -  le politiche per l’eradicazione della povertà e lo sviluppo sostenibile; Partenariati multilaterali 17.16. migliorare il partenariato globale (KW) per lo sviluppo sostenibile, integrandolo con partenariati multilaterali che mobilitano e condividono conoscenze, competenze, tecnologie e risorse finanziarie per sostenere il conseguimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile in tutti i paesi (quelli in via di sviluppo in particolare); 17.17. incoraggiare e promuovere efficaci partnership di tipo pubblico , pubblico-privato, e civili tra società, sulla base dell’esperienza e delle strategie di risorse di questo partenariato;

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Dati, monitoraggio e responsabilità 17.18. migliorare, entro il 2020, il supporto allo sviluppo di capacità nei paesi in via di sviluppo, anche per i LDC e SIDS, per aumentare in modo significativo la disponibilità di alta qualità, per ottenere tempestivi, affidabili e disaggregati dati in fatto di reddito, sesso, età, razza, etnia, status migratorio, la disabilità, geografico posizione e altre caratteristiche rilevanti delle popolazioni nei loro contesti nazionali; 17.19. costruire, entro il 2030, e su iniziative esistenti volte a sviluppare misure di progresso, uno sviluppo sostenibile integrabile con il PIL dei paesi, sostenendo lo sviluppo di capacità statistiche nei paesi in via di sviluppo. 4.2. Nuovi approcci per un diverso sviluppo L’affermazione di Joseph Stiglitz (1943) “se non misuri la cosa giusta, non fai la cosa giusta” ha incoraggiato economisti, politici e operatori della cooperazione a rivedere modelli di riferimento delle “politiche di sviluppo”(KW) e quindi il come valutarle e misurarle. Un contributo importante nella ricerca di approcci e pratiche adeguate sul tema delle politiche di sviluppo sostenibile è dato dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico - www.oecd.org ) che ha proposto la Better Life Initiative (KW) (Iniziativa per una vita migliore) che intende fornire statistiche volte a misurare gli aspetti della vita che contano per i cittadini. Ciò consente una migliore comprensione di ciò che determina il benessere delle persone (KW) e delle nazioni e di quanto occorra fare per assicurare a tutti maggiori progressi. Legata a tale iniziativa è stato elaborato un indicatore il BLI acronimo di Better Life Index (KW), basato su nuovi parametri diversi da consumi, investimenti ed esportazioni, che tradizionalmente sono indice del benessere e ricchezza di un paese.

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@11 OCSE – Better Life Index BLI http://www.oecdbetterlifeindex.org

Lo strumento invita a confrontare il benessere nei vari Paesi a seconda dell'importanza attribuita agli 11 temi proposti, ovvero: relazioni sociali (KW), istruzione, ambiente, impegno civile (KW) , salute, abitazione, reddito, lavoro, soddisfazione di vita (KW), sicurezza (KW) e equilibrio lavoro-vita privata (KW). Oltre al regolare aggiornamento dei dati e delle analisi sul benessere, l'OCSE lavora per adeguare e ottimizzare le metodologie di studio del benessere. Dal lancio della Better Life Initiative, il dibattito sul benessere si è ampliato, e numerosi Paesi ed organizzazioni hanno lanciato le proprie iniziative per la sua misurazione. La novità è che la graduatoria prodotta non coincide con un giudizio univoco in quanto ognuno può interpretarla in base all’importanza relativa che attribuisce ad ogni criterio. Quindi per chi non ha un interesse particolare per il reddito ma ricerca i valori della comunità e la soddisfazione personale la Danimarca è il Paese migliore; per chi ha a cuore l’ambiente è la Svezia; mentre in Australia e Canada si gode di buona salute. L’Italia si colloca sotto la media Ocse rispetto a quasi tutti i parametri. Alcuni paesi hanno assunto come indicatore la Felicità Interna Lorda – FIL (KW), (in lingua inglese Gross National Happiness GNH) un tentativo di definire - con un evidente ammiccamento ironico, ma con altrettanto evidenti intenti sociologici - uno standard di vita sulla falsariga del prodotto interno lordo (PIL). Una applicazione sperimentale di tale indicatore è stata fatta dato in Bhutan, piccolo stato montuoso dell'Asia. Questo stato già da anni adotta come indicatore per calcolare il benessere della popolazione il FIL. I criteri presi in considerazione sono la qualità dell'aria, la salute dei cittadini, l'istruzione, la ricchezza dei rapporti sociali. Secondo alcuni dati questo paese è uno dei più poveri dell'Asia, con un PIL pro capite (KW) di 2.088 dollari. 80


Tuttavia, secondo un sondaggio, è anche la nazione più felice del continente e l'ottava del mondo. Gli ideatori di questo indice non mirano ad una “retrocessione”, cioè non vogliono passare per antitecnologici o anti-materialisti, ma il loro programma punta a migliorare l'istruzione, la protezione dell'ecosistema e a permettere lo sviluppo delle comunità locali. Il Bhutan è una nazione buddhista, la cui popolazione si aggira attorno ai 740 mila abitanti. Nel corso dei decenni ha cercato di differenziarsi dagli altri Stati, mettendo in pratica un concreto rispetto per l'ambiente e tralasciando l'obiettivo di una crescita economica ad ogni costo. I quattro pilastri di base per la misurazione della felicità del popolo sono: • l’esistenza di uno sviluppo economico equo e sostenibile (KW), che include l’istruzione, i servizi sociali e le infrastrutture, in modo che ogni cittadino possa godere degli stessi benefici di partenza; • la conservazione ambientale (KW), particolarmente importante nel Bhutan dove solo l’8% del territorio è utilizzabile per l’agricoltura; • la cultura (KW), intesa come una serie di valori (KW) che servono a promuovere il progresso (KW) della società ; • e infine il pilastro su cui si fondano tutti gli altri, il buon governo. • La FIL del Buthan, ispirandosi alla stessa filosofia buddhista praticata dai suoi cittadini, pone la persona (KW), microcosmo nel macrocosmo, al centro dello sviluppo inteso come interazione armonica con la vita dell’intero universo, e si pone,

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da questo punto di vista, come contraltare della visione individualista occidentale. Tuttavia il Bhutan non è del tutto chiuso allo sviluppo, soprattutto con l'obiettivo di incrementare l'occupazione e di ridurre la povertà. Ecco dunque che per tenere le fila tra il vecchio e il nuovo sarà necessario rivolgersi a punti fermi che permettano che il Paese non ceda all'urbanizzazione sconsiderata e al mero consumismo.

§ Testimonianza «Come buddhista, sono convinto che il fine della nostra vita è quello di superare la sofferenza e di raggiungere la felicità (KW). Per felicità però non intendo solamente il piacere effimero che deriva esclusivamente dai piaceri materiali. Penso ad una felicità duratura che si raggiunge da una completa trasformazione della mente e che può essere ottenuta coltivando la compassione, la pazienza e la saggezza. Allo stesso tempo, a livello nazionale e mondiale abbiamo bisogno di un sistema economico che ci aiuti a perseguire la vera felicità. Il fine dello sviluppo economico dovrebbe essere quello di facilitare e di non ostacolare il raggiungimento della felicità» ( Dalai Lama ) .

In Italia, Enrico Giovannini (1957), ex presidente dell’Istat, ha creato d’intesa con il CNEL un “gruppo di indirizzo sulla misura del progresso della società italiana”, composto da rappresentanze delle parti sociali e della società civile. L’obiettivo dichiarato è di costruire un “Approccio multidimensionale del Benessere Equo e Sostenibile” (BES), che possa integrare il dato della ricchezza nazionale con altri parametri, fra cui le diseguaglianze (non solo di reddito) e la sostenibilità, non esclusivamente ambientale. I 12 domini identificati dal comitato CNEL-ISTAT per affiancare l’indicatore PIL nella misurazione del benessere dei cittadini italiani riguardano: 82


1. La salute - Dimensione essenziale del benessere individuale, la salute incide su tutte le dimensioni della vita delle persone e in tutte le sue diverse fasi, modificando le condizioni di vita e condizionando i comportamenti, le relazioni sociali, le opportunità e le prospettive dei singoli e, spesso, delle loro famiglie. 2. L’istruzione e la formazione - I percorsi formativi hanno un ruolo fondamentale nel fornire agli individui le conoscenze, le abilità e le competenze di cui hanno bisogno per partecipare attivamente alla vita della società e all’economia del Paese. Inoltre, livelli di competenze più elevati possono avere effetti positivi sul benessere delle persone relativamente alla salute, alla partecipazione sociale e alla soddisfazione personale. 3. Il lavoro e la conciliazione dei tempi di vita - Il lavoro costituisce l’attività basilare di sostegno materiale e di realizzazione delle aspirazioni individuali. La piena e buona occupazione è uno dei parametri principali della stabilità economica, della coesione sociale e della qualità della vita. Obiettivo di questo dominio è misurare sia la partecipazione al mercato del lavoro sia la qualità del lavoro, qualificando i diversi segmenti dell’occupazione in relazione alla stabilità del lavoro, al reddito, alle competenze, alla conciliazione degli orari tra tempi di lavoro, personali e familiari, alla sicurezza del lavoro e nel lavoro, alla partecipazione dei dipendenti alla vita dell’impresa / ente /amministrazione, alla soddisfazione soggettiva verso il lavoro. 4. Il benessere economico - È il mezzo attraverso il quale un individuo riesce ad avere e sostenere un determinato standard di vita. Un’analisi del benessere economico fa riferimento al reddito, alla ricchezza, alla capacità di consumo, ma anche ad alcune dimensioni di benessere materiale che tali strumenti permettono di acquisire (condizioni abitative, possesso di beni durevoli, ecc.).

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5. Le relazioni sociali - I rapporti che si intrattengono con gli altri e la rete sociale nella quale si è inseriti non solo influiscono sul benessere psicofisico dell’individuo, ma rappresentano una forma di “investimento” che può rafforzare gli effetti del capitale umano e sociale.

6. La politica e le istituzioni - La qualità e la correttezza del processo di decisione politica sono essenziali per la fiducia nelle istituzioni e per il buon funzionamento della democrazia. Apertura e trasparenza migliorano i servizi pubblici e riducono i rischi di frode, corruzione e cattiva gestione dei fondi pubblici. Una società coesa esiste solo se i cittadini hanno fiducia nelle loro istituzioni e nella pubblica amministrazione. L’opportunità di partecipare al processo decisionale è elemento rilevante per la qualità della vita. 7. La sicurezza - Essere vittima di un crimine può comportare una perdita economica, un danno fisico e/o un danno psicologico dovuto al trauma subito. L’impatto più importante della criminalità sul benessere delle persone è il senso di vulnerabilità che determina. La paura di essere oggetto di atti criminali può influenzare molto le libertà personali, la qualità della vita di un individuo e lo sviluppo dei territori. 8. Il benessere soggettivo - Con questo dominio si intende misurare il benessere percepito dalle persone rilevando opinioni soggettive sulla propria vita. Queste informazioni soggettive forniscono un’informazione complementare, e allo stesso tempo in qualche modo omnicomprensiva, a quella fornita dai dati oggettivi. 9. Il paesaggio e il patrimonio culturale - Il paesaggio, la ricchezza e la qualità del patrimonio artistico, archeologico e architettonico hanno una rilevanza particolare nel caso

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italiano. Il diritto alla bellezza e la tutela del paesaggio non sono un’attività “fra altre” dello Stato, ma una delle sue missioni più proprie, pubblica e inalienabile. L’articolo 9 della Costituzione recita infatti: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. 10. L’ambiente - Considerato come il capitale naturale che influenza il benessere umano in molteplici domini sia direttamente attraverso le risorse sia indirettamente attraverso i servizi, l’ambiente condiziona fortemente la vita dei cittadini, dalle risorse che alimentano la produzione e l’economia, al piacere che ci dà il contatto con la natura. 11. La ricerca e l’innovazione - Esse danno un contributo fondamentale allo sviluppo sostenibile, tanto più importante in un’economia, come quella italiana, che mostra un pesante ritardo in un contesto che attende risposte alle sfide del cambiamento economico, demografico e sociale. 12. La qualità dei servizi - L’analisi del benessere richiede una valutazione della dotazione infrastrutturale e dei servizi riletta alla luce della loro efficacia, del grado di utilizzo, delle misure di accessibilità, della qualità del servizio generato.

@12 Indicatori del benessere https://www.istat.it/it/files/2016/12/Indicatori-del-benessere.pdf

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4.3. L’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) L’ 11 marzo 2016 si è costituita l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (http://www.asvis.it ) che ha assunto l’obiettivo di far crescere nella società italiana, nei soggetti economici e nelle istituzioni la consapevolezza dell’importanza dell’Agenda Globale per lo sviluppo sostenibile, mettendo in rete coloro che si occupano già di aspetti specifici ricompresi negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals - SDGs) allo scopo di: 

favorire lo sviluppo di una cultura della sostenibilità a tutti i livelli, orientando a tale scopo i modelli di produzione e di consumo;

analizzare le implicazioni e le opportunità per l’Italia legate all’Agenda per lo sviluppo sostenibile;

contribuire alla definizione di una strategia italiana per il conseguimento degli SDGs (anche utilizzando strumenti analitici e di previsione che aiutino la definizione di politiche per lo sviluppo sostenibile) e alla realizzazione di un sistema di monitoraggio dei progressi dell’Italia verso gli SDGs.

È stato pubblicato il 1° Rapporto dell’anno 2016 che fa il punto sulla situazione dell’Italia rispetto alla vasta gamma di obiettivi economici, sociali, ambientali ed istituzionali contenuti nell’Agenda 2030 e avanza numerose proposte per mettere tale impegno al centro dell’attenzione dell’intero Paese e per contribuire alla predisposizione della Strategia italiana di sviluppo sostenibile cui sta lavorando il Governo.

@13 Rapporto ASviS http://www.asvis.it/public/asvis/files/ASviS_RAPPORTO2016.pd f

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Creare le condizioni affinché gli SDGs divengano un impegno cogente, pluriennale e persistente di tutti i soggetti economici e sociali, verificato nel tempo mediante indicatori statistici appropriati, dettagliati e tempestivi. L’ASviS propone al Governo di imprimere un’accelerazione ai lavori finalizzati alla definizione della Strategia; comunicare quanto prima al Segretariato delle Nazioni Unite l’intenzione di presentare la Strategia italiana all’High Level Political Forum; inserire nella prossima Legge di Bilancio interventi in grado di avviare, da subito, cambiamenti positivi per gli aspetti su cui il nostro Paese è più indietro e costituire un “Fondo per lo Sviluppo Sostenibile”, con il quale finanziare azioni specifiche che verranno inserite nella Strategia per l’Agenda 2030. Si propone che il Governo predisponga annualmente un “Rapporto sullo sviluppo sostenibile in Italia” che valuti il percorso del nostro Paese verso gli SDGs. Si ritiene importante il disegno e la realizzazione di una campagna informativa estesa e persistente nel tempo sui temi dello sviluppo sostenibile, che diffonda in modo capillare e in forma facilmente comprensibile i contenuti del Rapporto annuale di cui sopra. Infine, poiché a un anno dalla firma dell’Agenda 2030 il Paese non dispone ancora di una base dati “ufficiale” con gli indicatori esistenti per l’Italia tra gli oltre 230 selezionati dalle Nazioni Unite rilevanti per l'Italia, si reitera la richiesta all’Istituto nazionale di statistica di realizzare quanto prima tale strumento, con dati riferiti non solo alle medie nazionali, con disaggregazioni territoriali (in particolare per le città), per gruppi socio-economici rilevanti e per genere. Si invita il Governo ad assicurare che il Sistema statistico nazionale disponga delle risorse umane e strumentali per elaborare tutti gli indicatori definiti dalle Nazioni Unite, assicurarne la tempestività e il dettaglio, così da massimizzarne l’utilità per tutte le componenti della società.

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Sul piano delle politiche, il Rapporto avanza numerose proposte utili per il disegno della Strategia in una logica “sistemica”, articolate intorno a sette temi: cambiamento climatico e energia; povertà e disuguaglianze; economia circolare, innovazione e lavoro; capitale umano, salute ed educazione; capitale naturale e qualità dell’ambiente; città, infrastrutture e capitale sociale; cooperazione internazionale. Molte raccomandazioni riguardano la ratifica urgente di importanti convenzioni ed accordi internazionali, come l’Accordo di Parigi sulla lotta ai cambiamenti climatici, e soprattutto l’attuazione di normative già esistenti, il che renderebbe possibile il conseguimento di numerosi SDGs. Nuove strategie a medio termine andrebbero elaborate in specifici settori o su aspetti di natura trasversale: ad esempio, si propone l’elaborazione di una Strategia per le aree urbane, in analogia a quanto già fatto per le aree interne, sostenuta da investimenti pluriennali orientati alla mitigazione dei rischi derivanti dal cambiamento climatico, dal dissesto idrogeologico e dai rischi naturali, come quello sismico. Una tale impostazione, unita a politiche orientate allo sviluppo della cosiddetta “economia circolare”, estesa anche agli aspetti sociali, riuscirebbe non solo a ridurre l’impatto delle attività umane sull’ambiente, e quindi a migliorare le condizioni di vita delle persone, ma anche ad offrire nuove opportunità di sviluppo economico e occupazionali. Il tema delle disuguaglianze economiche, sociali, di genere, generazionali e territoriali va posto al centro di tutte le politiche, pena l’insostenibilità dello sviluppo e degli assetti istituzionali: su questo tema si avanzano alcune proposte specifiche, da leggere insieme a quelle riguardanti l’educazione e lo sviluppo della cultura, elementi fondamentali per sostenere e potenziare il capitale sociale. Infine, ma non per questo meno importante, in tema di cooperazione internazionale si sottolinea la necessità di dare piena attuazione alle azioni avviate negli ultimi anni, utilizzando il quadro concettuale dello sviluppo sostenibile come orientamento degli interventi da realizzare nei paesi terzi.

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SCHEDA RIASSUNTIVA Lezione 4 Risultati attesi : Aver studiato l’Agenda 2030 e conosciuto i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile con le 169 mete collegate. Aver conosciuto le proposte per l’Italia dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) e gli indicatori BES. Parole Chiave : Diritto internazionale prosperità sicurezza alimentare equità resilienza mainstreaming empowerment desertificazione LDC SIDS Punti di approfondimento : Quali innovazioni significative propone l’Agenda 2030 ? Quali sono i tre obiettivi prioritari (mainstreaming) per la cooperazione internazionale ? Su quali criteri si definisce l’indicatore di benessere equo e sostenibile?

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5. SISTEMA DELLE NAZIONI UNITE

Obiettivo : Conoscere il sistema, la storia e il ruolo delle Nazioni Unite nella cooperazione internazionale e aumentare la consapevolezza sulla necessità di governare i processi globali.

Le sfide del presente vanno assunte sapendo coniugare adeguatamente l’appartenenza alla propria comunità locale e allo stesso tempo a una appartenenza di cittadinanza globale (KW). I processi di globalizzazione hanno provocato il rifiuto di omologazione a una cultura unica universale che tenta di imporre come modello unico il concetto di sviluppo inteso come crescita economica infinita e senza limiti e lo stato di diritto come elaborato nei secoli scorsi nell’Europa e negli Stati Uniti. La crisi dello stato nazionale, incapace di governare i fenomeni epocali che la modernità impone, richiede da una parte la cessione di sovranità a entità multilaterali per governare il pianeta e affrontare adeguatamente i gravi problemi che lo affliggono e dall’altra il rafforzamento dei processi di decentramento capillare per dare dignità e capacità decisionale ai governi di prossimità. Ma anche le attuali istituzioni internazionali si mostrano inadeguate al compito di governo globale a cui sono chiamate. Da anni si auspica una profonda riforma di tali istituzioni come dell’intero sistema delle Nazioni Unite ancora fermo agli anni ’50 del secolo scorso.

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Le critiche alle Nazioni Unite (ONU) e alle sue agenzie si moltiplicano da tutte le parti : accuse di impotenza; di sperperi di risorse, di inefficienza. Molto spesso tali accuse sono fondate e da anni si chiede una riforma che porti a un miglior funzionamento democratico di questa istituzione. Però l’ONU è come la terra, è l’unica che abbiamo. Sapere che è debole e inquinata non ci consente di buttarla via. Ci piacerebbe che le Nazioni Unite fossero più democratiche più efficienti nel rispondere ai fini per i quali sono state costituite: 

Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai princìpi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace;

sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto del principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'autodeterminazione dei popoli (KW), e prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale;

conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere economico, sociale, culturale od umanitario, e nel promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua o di religione;

costituire un centro per il coordinamento dell'attività delle nazioni volta al conseguimento di questi fini comuni.

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@14 Carta delle Nazioni Unite http://www.un.org/en/charter-united-nations/index.html

Purtroppo, per troppo tempo ha funzionato come l’ONU degli Stati e in particolare degli Stati più forti che, dopo aver vinto la seconda guerra mondiale, hanno ottenuto lo status speciale di membri permanenti con il potere di veto. Un potere che troppo spesso è stato usato per difendere interessi di parte; un potere che permette a USA, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina di non essere vincolati alle stesse regole del gioco degli altri. Ma se una regola non è uguale per tutti, non è più una regola ma un privilegio che non è coerente con le regole democratiche e con l’esigenza di trovare soluzioni efficaci e condivise dai più e non solo dai più potenti. Così gli stati sono costantemente tentati ad usare l’ONU come e quando corrisponde ai propri desideri: per difendere interessi di parte o per fare quello che non riescono a fare da soli avendo bisogno di un riconoscimento e legittimità basata sul consenso e non sulla forza. Anche gli stati più forti hanno bisogno dell’ONU ma generalmente non tollerano interferenze e intromissioni nei propri affari interni. Così non si può decidere democraticamente di alcuni nodi irrisolti nello scenario internazionale : sia che si tratti del rispetto dei diritti umani in Cina, o delle persecuzioni che il popolo curdo soffre da parte del governo turco; delle risoluzioni per la soluzione del conflitto tra Israele e Palestina o di interventi poco strategici e finiti male come è avvenuto in Somalia e in Libia. La lista delle atrocità coperte dal principio di non ingerenza è infinita. Da una parte gli Stati approvano quaranta Convenzioni internazionali in materia di diritti umani e dall’altra ignorano al proprio interno senza che le Nazioni Unite possano intervenire.

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Questa doppiezza è all’origine di tante delle contraddizioni in cui si dibatte l’Organizzazione. Da una parte le si chiede di “assicurare la pace nel mondo” e dall’altra le si negano i poteri reali e mezzi per intervenire si affida il compito di “promuovere lo sviluppo economico e sociale di tutti i popoli” e poi la si esclude da ogni vero centro decisionale. La si incarica di affrontare tutti i peggiori guai de nostro tempo, di promuovere la libertà e i diritti umani, di regolare la vita internazionale, prevenire i conflitti, soccorrere i profughi, combattere la fame, la povertà, il narcotraffico, ecc. e poi si obbliga il Segretario Generale a dichiarare banca rotta perché i governi membri non pagano in tempo e per intero le rispettive quote. Così mentre cresce nel mondo la domanda dei servizi dell’ONU, crescono anche le critiche e le accuse di fallimento.

KW Globalizzazione L’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (OCSE) la definisce come “un processo attraverso cui mercati e produzione nei diversi paesi diventano sempre più dipendenti tra di loro a causa della dinamica dello scambio di beni e servizi, e attraverso i movimenti di capitale e tecnologia”. Si tratta, quindi, di un insieme di fenomeni di elevata intensità e rapidità su scala mondiale, in campo economico, sociale, culturale, e ideologico tendenti a superare le barriere materiali e immateriali favorendo la circolazione di persone, cose, informazioni, conoscenze e idee. Tale processo tende ad uniformare le condizioni economiche, gli stili di vita e una visione del mondo che pretende essere universalmente condivisa.

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Negli ultimi tempi si scorge anche la tentazione di decisioni unilaterali da parte di tante potenze regionali in nome della propria sicurezza e per combattere il terrorismo e credono che abbiano il diritto di infrangere ogni regola di umanitĂ sia che si tratti di dichiarare guerre sia di controllo del rispetto dei diritti delle popolazioni coinvolte o dei prigionieri di guerra. Basti citare la non ratifica da parte di alcuni stati di importanti trattati internazionali (da quello di Kioto sulle emissioni di Co2, al controllo del commercio delle armi leggere, delle mine antipersona, l’adesione alla Corte Penale Internazionale o l’abolizione della pena di morte). Il processo di democratizzazione non è semplice: vi è una forte opposizione al cambiamento da parte di stati che non tollerano alcun controllo sulle proprie politiche interne e internazionali.

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Per questo è importante riaffermare che l’ONU non è solo degli Stati ma deve essere anche e soprattutto dei popoli. E questi ultimi devono fare pressione affinché diventi veramente uno strumento democratico che risponda ai fini per cui è nato. Il problema delle regole dell’economia internazionale e del commercio sono altro punto dolente e le critiche a entità quali il WTO, FMI e Banca Mondiale sono le più violente tra le varie entità del sistema ONU. Il diritto e la sovranità degli Stati - nazione, hanno ormai hanno ampiamente dimostrato la necessità di dover ricorrere ad istanze sovranazionali per poter garantire la sostenibilità del futuro del pianeta. Ciò impone la ricerca di nuove regole ispirate alla giustizia sociale, nonché al rispetto del diritto inalienabile di ogni uomo ed ogni donna del pianeta di essere soggetto e fine di ogni azione intrapresa e di ogni decisione assunta nei Paesi ricchi così come in quelli dei diversi "Sud del mondo". Un sistema di regole e dei meccanismi decisionali nei quali il più debole abbia gli stessi diritti e le pari opportunità del più forte, dove il criterio di “un dollaro un voto” non sia l’unico che si deve imporre in ogni ambito decisionale.

§ Testimonianza “Vorrei che il sistema delle Nazioni Unite fosse riformato alla luce di criteri di maggior democraticità, di maggior efficacia ed efficienza e di accresciuta trasparenza e diventasse il soggetto istituzionale principale nella tutela e nella promozione della pace e della giustizia nel mondo. L’autorevolezza delle Nazioni Unite deve essere accompagnata da una fattiva volontà dei singoli Governi a riconoscerne le decisioni, assumere le proprie responsabilità e mantenere fede agli impegni assunti in sede internazionale”.

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Tra le attività importantissime che l’ONU realizza vi è il Peacekeeping (KW), strumento essenziale di risposta internazionale alle situazioni di conflitto.

@15 Peacekeeping ONU http://www.unric.org/it/60-anni-di-peacekeeping-onu/17484

Le operazioni di pace dell’ONU garantiscono sicurezza e sostegno a milioni di persone, sostenendo nel contempo le fragili istituzioni che sorgono nella fase post-bellica. Gli operatori di pace dell’ONU raggiungono paesi in guerra dove nessun’altro può o vuole andare allo scopo di prevenire la ripresa o l’inasprimento dei conflitti. Strumento imparziale ed ampiamente accettato, il peacekeeping dell’ONU permette di intervenire efficacemente nelle situazioni di conflitto e di condividerne il peso. Agevolando il processo di pace, le operazioni di pace dell’ONU danno un forte contributo alla stabilizzazione della sicurezza postconflittuale; tuttavia, quando la particolare situazione di crisi lo renda necessario, può rendersi necessario utilizzare anche altri strumenti d’intervento. Non possedendo una forza militare propria, l’ONU si avvale di personale fornito dagli Stati Membri. Le più recenti operazioni di pace e sicurezza ONU si sono svolte in alcuni dei luoghi più conflittuali ed ingovernabili del mondo, dove nessuna missione internazionale era mai giunta prima. Gli operatori di pace raggiungono regioni dove nessun altro può o vuole andare, facilitando stabilizzazione, pace duratura e sviluppo. Dalle operazioni di polizia nei quartieri poveri di Port-au-Prince, a Haiti, fino alla missione effettuata con Unione Africana e Unione Europea in Darfur, le operazioni di pace dell’ONU continuano ad evolversi per affrontare le grandi sfide contemporanee, dalla pace 96


mondiale alla sicurezza. Dalla protezione della popolazione civile nella zona orientale della Repubblica Democratica del Congo (DRC) alla tutela delle operazioni elettorali svoltesi a Timor-Est e in Liberia, alla forte presenza di UNIFIL nel sud del Libano alla presenza in Afghanistan e in diversi paesi africani, le operazioni di pace dell’ONU armonizzano gli strumenti delle Nazioni Unite al fine di mantenere e costruire una pace sostenibile. Ai difficili processi di mediazione nei paesi coinvolti oggi in quella che è stata chiamata la “Terza guerra Mondiale a pezzi”, in Medio Oriente, dove solo in Siria vi sono stati circa 500 mila morti e 13 milioni di sfollati, in Iraq, Libia, Sudan, Mali, ecc. Da qui l’esigenza di assumere misure concrete da parte dei Governi per ripudiare la guerra ed il ricorso alla violenza per la risoluzione dei conflitti nazionali ed internazionali; per la attuazione degli accordi internazionali sulla messa al bando delle mine e delle armi leggere come primo passo verso per la messa al bando di ogni tipo di commercio delle armi e per la riduzione della corsa agli armamenti e delle spese militari in nome di inutili progetti di difesa.

§ Attività di peacekeeping Nel 2017 vi sono 20 operazioni dirette dal Dipartimento delle Nazioni Unite per le Operazioni di Pace (DPKO) che vedono impegnate oltre 104.000 persone in quattro continenti e 12 fusi orari diversi, con effetti diretti sulle vite di centinaia di milioni di individui. Il numero di operatori di pace ONU impiegati oggi è di sette volte superiore rispetto al 1999.

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5.1.2. La Riforma dell’ONU Le proposte di riforma interna dell’ONU sono state codificate in quattro punti : 1.

la creazione di un Assemblea parlamentare delle Nazioni Unite;

2.

la riforma del Consiglio di sicurezza;

3.

la revisione degli strumenti di governo e di controllo della politica economica mondiale;

4.

il potenziamento del ruolo delle organizzazioni della società civile e delle rappresentanze dei corpi intermedi democratici.

Quella della riforma del Consiglio di sicurezza è considerata la principale ma anche la più difficile. I cinque grandi conservano su ciò il loro potere di veto e sono disponibili, forse a cooptare volta per volta paesi più per motivi economici e di sicurezza che di rappresentatività democratica. Il Consiglio di Sicurezza (CdS) dell’ONU è stato istituito il 24 giugno 1945 e in base all’articolo 24 della Carta delle Nazioni Unite gli viene conferita la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Il CdS si compone di 5 membri permanenti e 10 membri non permanenti eletti fra i paesi che fanno parte dell’ONU. Quanto ai membri permanenti del Consiglio, essi sono le cinque potenze uscite vincitrici dalla Seconda Guerra Mondiale ovvero: Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina. Ma altri paesi da almeno venti anni stanno bussando alla porta del Consiglio per farne parte come membri permanenti, anche senza diritto di veto.

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I seggi permanenti non sono mai cambiati dalla nascita del CdS, mentre quelli non permanenti sono passati da 6 a 10 nel 1965 mentre in meno di 70 anni si è passati da 50 paesi membri dell’ONU a ben 193 con la creazione e l’ingresso del Sud Sudan. L'ex segretario generale Kofi Annan fu tra i primi ad occuparsi ad esporre delle raccomandazioni in merito ad una riforma del CdS, proprio perché negli ultimi decenni gli equilibri e i rapporti di forza sono mutati. Una delle soluzioni proposte fu quella di ampliare il numero di membri permanenti. Dal settembre 2004, infatti, il cosiddetto gruppo G4 (Brasile, India, Giappone e Germania) ha concordato di appoggiarsi reciprocamente per ottenere un allargamento dei seggi permanenti e non. Inoltre bisogna sottolineare che tra i paesi che hanno fatto richiesta di divenire membri permanenti, il Giappone e la Germania sono rispettivamente il secondo e il terzo paese finanziatore delle Nazioni Unite, un dato da non trascurare (l'Italia risulta settimo contributore finanziario ai bilanci obbligatori dell'Onu). Ma dietro e prima di una riforma che rifondi la Carta dell’ONU c’è la volontà della Comunità internazionale degli Stati che si esprime attraverso la formazione di regole essenzialmente consuetudinarie, regole che riflettono la volontà delle forze preminenti nella Comunità internazionale stessa - con il concorso di tutte le altre - secondo il procedimento di formazione classico del diritto internazionale generale. Tale procedimento rifiuta di farsi ingabbiare e congelare da un trattato internazionale, pur importante, quale la Carta delle Nazioni Unite.

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5.1.3. Cooperazione internazionale e nuovo multilateralismo La solidarietà e la cooperazione internazionale promossa dai popoli e dagli Stati devono essere riconosciute e sostenute come le strade più efficaci per il superamento dei conflitti che interessano numerose aree del mondo. La partecipazione ed il coinvolgimento delle società civili, del nord e del sud del mondo, costituiscono il metodo ed insieme l’obiettivo che devono caratterizzare il lavoro futuro. I Governi e le istanze sovranazionali devono fare del dialogo e del confronto con le rappresentanze e le forme organizzate della società civile un “must” dei loro processi decisionali, in particolare per quanto relativo alla elaborazione delle politiche di cooperazione internazionale. Per quanto riguarda le entità della società civile e il loro ruolo in questo contesto si può dire che sono forse tra le più coinvolte e interessate a un reale processo di democratizzazione del sistema. Sono un riferimento per la realizzazione di progetti specifici nelle comunità, sono le entità che più diffondono e difendono la Carta delle Nazioni Unite, la dichiarazione Universale dei diritti umani, la loro attualizzazione in diritti economici, sociali e culturali, dei rapporti annuali sullo sviluppo umano del UNDP, le Conferenze mondiali a partire da Rio 1992 sull’ambiente, Cairo sulla popolazione, Sviluppo sociale a Copenaghen, il tema di genere a Pechino, dei diritti umani a Vienna, del razzismo a Durban, dell’infanzia a New York, le risorse per lo sviluppo a Monterrey e nel 2015 ad Addis Abeba. Un discorso particolare merita la Dichiarazione del Millennio del 2000 con la proposta di otto obiettivi da raggiungere entro il 2015 e la sua attualizzazione nell’Assemblea Generale del 2015 con l’approvazione dell’Agenda 2030.

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Nel mondo, 795 milioni di persone soffrono la fame, 11 bambini di età inferiore ai 5 anni muore ogni minuto e 33 mamme muoiono ogni ora. 37 milioni di persone vivono con l'HIV e 11 milioni soffrono do tubercolosi. Circa 830 milioni di persone nel mondo sono lavoratori poveri ( meno di 2 $ al giorno). Inoltre, 1.500 milioni sono occupati vulnerabili in condizioni di scarsa dignità del lavoro e assenza di rappresentanza sindacale e di sicurezza previdenziale e sociale. Circa l’ 80% della popolazione del pianeta possiede solo il 6% della ricchezza globale. Nel 2016 l’ 1% delle persone più ricche possiederà il 50 % del totale delle ricchezze del mondo. Una concentrazione in poche mani che crea disuguaglianza e che contrastata con politiche globali e locali adeguate. L’ONU è il solo forum universale di negoziazione multilaterale per poter affrontare i problemi del pianeta: le “regole” del multilateralismo e dell’universalismo, se condivise, dovrebbero condurre gli Stati membri ad adottare un comportamento che non sia la promozione esclusiva dei loro obiettivi nazionali, in quanto incoraggerebbero la concezione della globalizzazione dei problemi e tratterebbero questi ultimi sotto l’angolo generale e non più secondo il prisma di interessi particolari. Universalismo (KW) e multilateralismo (KW) dunque, permetterebbero alle Nazioni Unite di proporre una problematica nuova delle relazioni internazionali, che, per contraccolpo, dovrebbero influire sull’approccio adottato dagli Stati nel gestire questi problemi. Se le Nazioni Unite venissero concretamente così caratterizzate ciò probabilmente permetterebbe di sostituire al carattere paludato delle relazioni internazionali classiche, una dimensione politica e comportamentale fondata su regole di valutazione di emanazione dell’ONU.

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Questa situazione complessa dovrebbe condurre innanzitutto a riaffermare i valori che hanno portato alla creazione delle Nazioni Unite e che sono ancor più attuali e necessari oggi di quanto non lo fossero alla fine del secondo conflitto mondiale: l’universalismo e il multilateralismo. L'Agenda 2030 presenta un quadro di riferimento universale per aiutare tutti i paesi a eliminare la povertà e a conseguire uno sviluppo sostenibile entro il 2030. Prevede un processo ambizioso per i prossimi 15 anni e codificato nel documento approvato nel vertice straordinario delle Nazioni Unite a New York a settembre 2015. Insieme alla sfida di raggiungere gli obiettivi proposti nell’Agenda 2030, assumere le indicazioni che i Forum internazionali dell’OCSE DAC (da Parigi del 2005 a Busan del 2011) hanno dato per garantire efficienza ed efficacia nei processi di cooperazione internazionale. Soprattutto l’ultimo punto in cui si invita a creare una cabina di coordinamento e di regia per la promozione della partnership globale e che il sistema delle Nazioni Unite si coinvolga assumendo la responsabilità di coordinamento e di direzione dei diversi attori internazionali coinvolti in questo processo.

@16 Documento OCSE DAC di Busan https://www.oecd.org/dac/effectiveness/Busan%20partnership.pdf

Ma finora le scadenze non sono state rispettate e tra il dire e il fare resta in mezzo troppo spazio di mare.

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SCHEDA RIASSUNTIVA Lezione 5 Risultati attesi : Aver acquisito informazioni sulla storia, ruolo e prospettive del sistema delle Nazioni Unite nell’ambito della cooperazione internazionale. Parole Chiave : globalizzazione peacekeeping universalismo multilateralismo Punti di approfondimento : Quale è la principale funzione dell’ONU ? Quali sono le principali proposte di rinnovamento del sistema delle Nazioni Unite ? Elenca le principali agenzie ONU e la loro funzione In quali paesi è maggiore la presenza di interventi di peacekeeping?

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6. L’OCSE

Obiettivo : Conoscere la funzione dell’OCSE nella cooperazione internazionale e i principi elaborati nei Forum del DAC.

6.1. L’organizzazione L'OCSE è stata istituita con la Convenzione sull'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, firmata il 14 dicembre 1960,ed entrata in vigore il 30 settembre 1961, sostituendo l'OECE, creata nel 1948 per amministrare il cosiddetto "Piano Marshall" per la ricostruzione postbellica dell'economia europea. Dai 20 Paesi iniziali, tra cui l’Italia, Paese fondatore, l’OCSE è passata oggi a 35 Paesi membri (Australia, Austria, Belgio, Canada, Cile, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Islanda, Israele, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Messico, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Repubblica di Corea, Repubblica Slovacca, Slovenia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria). L’ultimo Paese ad aderire all’Organizzazione è stata la Lettonia (1 luglio 2016), mentre sono attualmente in corso i lavori per l’adesione di Colombia, Lituania e Costa Rica. È in fase di verifica l’adesione di altri 7 Paesi candidati (Argentina, Brasile, Bulgaria, Croazia, Perù, Romania e Sri Lanka). Per quanto concerne il processo di adesione della Federazione Russa, avviato nel 2007 e tutt’ora in corso, a seguito delle vicende in Ucraina, il Consiglio dei Rappresentanti Permanenti dell’OCSE ha deciso di rinviarne tutte le relative attività. Nella sua attività l’OCSE ha rafforzato le relazioni con altri Paesi a economia in rapida trasformazione (India, Cina, Sud Africa e Indonesia) fortemente integrati nell’economia globale, al fine di avvicinare il più possibile le loro economie alle iniziative OCSE rivolte ad affrontare le problematiche a medio e lungo termine dell’economia mondiale.

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L'OCSE, che ha sede a Parigi, si avvale di un Segretariato, strutturato in Direzioni Generali, che corrispondono alle attività di oltre 200 tra Comitati, sotto-Comitati, Gruppi di lavoro e Gruppi di esperti, che operano nel contesto dell’Organizzazione, in cui prendono parte i delegati delle amministrazioni e degli enti dei Paesi membri. 6.2. Gli obiettivi Gli obiettivi dell'OCSE, che tendono alla realizzazione di più alti livelli di crescita economica alla luce del concetto di sviluppo sostenibile, di occupazione, di tenore di vita, favorendo gli investimenti e la competitività e mantenendo la stabilità finanziaria, sono altresì orientati contribuire allo sviluppo dei Paesi non membri. Questi obiettivi vengono perseguiti attraverso varie attività quali l’individuazione di principi comuni, la predisposizione di intese con valore vincolante e di Convenzioni; la raccolta e armonizzazione di dati; l’elaborazione di studi nazionali e comparativi; gli esamiPaese secondo il metodo della "peer review", o "giudizio dei pari"; l’attività preparatoria e seguiti di incontri internazionali ad alto livello, la definizione di linee guida e coordinamento delle politiche di cooperazione allo sviluppo attraverso il Comitato di Aiuto allo Sviluppo (DAC). All’interno del vasto panorama degli organismi internazionali e di fronte all’urgenza di delineare uno scenario economico sostenibile, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico continua a pieno titolo a rivestire un ruolo politico e scientifico di primo ordine nel favorire l’integrazione dei mercati e il raggiungimento di prospettive economiche e sociali condivise.

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Occupandosi di tematiche economiche (concorrenza, agricoltura, imprese, servizi, sviluppo locale e commercio); finanziarie (mercati finanziari, assicurazioni, pensioni, investimenti, imposte, nonché trasparenza e cooperazione fiscale); sociali (istruzione, lavoro, salute e migrazioni); nonché di governance (riforme aziendali, pubbliche e lotta alla corruzione), sviluppo sostenibile (ambiente, energia, pesca e sviluppo sostenibile), cooperazione ed innovazione (biotecnologie, ICTs e ulteriori questioni scientifiche), l’Organizzazione parigina rappresenta un forum prestigioso in cui poter scambiare ed identificare le migliori esperienze, nonché coordinare le politiche nazionali ed internazionali. Attraverso il ruolo di foro di confronto e di armonizzazione delle politiche sin dalle fasi del loro concepimento e della loro elaborazione, l'OCSE si rivolge alle varie Amministrazioni dei Governi dei paesi membri ed alle strutture di ricerca e di elaborazione delle politiche che ne affiancano l'attività. L'OCSE riconosce il prezioso contributo della società civile al processo decisionale delle politiche governative e conferisce molta importanza all'attività di consulenza e di dialogo con le organizzazioni che rappresentano la società civile (OSC). Informazioni più approfondite sull'OCSE sono disponibili sul Sito internet della Rappresentanza Permanente d'Italia presso le Organizzazioni Internazionali a Parigi (www.italiarapparigi.esteri.it) e sul sito dell'OCSE (www.oecd.org ).

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6.3. Forum di Alto Livello sull’efficacia degli aiuti L’obiettivo generale dei Forum è quello di costruire un ampio consenso su una nuova Agenda per rafforzare l'efficacia della cooperazione internazionale. Coordinato dalla Direzione per la cooperazione allo sviluppo dell'OCSE, gli incontri si sono realizzati a Roma (2003), Parigi (2005) e Accra (2008) e Busan (2011), Città del Messico (2014) e Nairobi (2016).

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Nella Dichiarazione di Parigi del 2005, attualizzata in quella di Accra del 2008, si propongono cinque principi fondamentali per monitorare e valutare l'impatto e il valore effettivo delle risorse destinate alla cooperazione internazionale : 1. ownership, (Titolarità) i paesi partner di cooperazione stabiliscono le proprie strategie di lotta alla povertà, migliorano le proprie istituzioni e combattono la corruzione; 2. Alignment (Allineamento), i paesi donatori si uniformano a questi obiettivi e si appoggiano ai sistemi locali; 3. Harmonisation (Armonizzazione), i paesi donatori coordinano, semplificano le procedure e condividono le informazioni per evitare duplicazioni; 4. Managing for Results (raggiungimento di risultati verificabili), l'attenzione dei paesi in via di sviluppo e dei donatori è rivolta ai risultati che devono essere misurabili; 5. Mutual Accountability (responsabilità reciproca e obbligo di trasparenza) - i donatori e i partner sono entrambi soggetti attivi per il raggiungimento dei risultati di sviluppo sostenibile in uno spirito di collaborazione corresponsabile. Gli obiettivi proposti al Forum di Busan del 2011 sono stati : • Costruire un ampio consenso a sostegno dello sviluppo sostenibile nel mondo; • Rafforzare l’efficacia degli aiuti allo sviluppo; • Ribadire gli impegni presi dai paesi donatori e beneficiari nei Forum di Parigi e Accra; • Delineare una nuova governance che relazioni positivamente il locale e il globale.

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Il Documento finale adottato nel 4° Forum contiene alcune importanti novità per orientare la cooperazione internazionale: a) Riconosce le nuove esigenze nate nel contesto internazionale e il protagonismo degli attori , eterogenei tra loro (governi, ONG, società civile, organizzazioni internazionali, università, imprese, ecc.). Si individuano, per la prima volta, due tipologie di donatori : quelli tradizionali e quelli con “doppio status” (donatore/ricevente che riguarda soprattutto alcuni paesi tra cui il Brasile, India, Cina, Messico e Sudafrica). b) Propone il passaggio dal concetto di “Aid Effectiveness” (efficacia dell’aiuto) a quello più comprensivo di “Development Effectiveness” (efficacia dello sviluppo). c) Rinnova il ruolo dei paesi nuovi protagonisti nell’agenda mondiale, sottolineandone la responsabilità in termini di impegno per la crescita sostenibile e la condivisione di valori democratici; d) Ribadisce l’importanza del partenariato globale per la cooperazione internazionale che coinvolga tutti i donatori; e) Richiede la necessità di decentramento dei processi decisionali sull’efficacia spostando l’attenzione sui paesi partner (beneficiari) con la richiesta di valorizzare gli aspetti locali dei singoli contesti. f)

Ribadisce gli impegni assunti nei Fora di Parigi e Accra per tutti i paesi firmatari con i rispettivi impegni assunti.

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I progressi più significativi compiuti a Busan (oltre a quelli già citati) sono: • un rafforzato impegno nella lotta contro la corruzione e l’esigenza di una maggiore trasparenza nei flussi dell’aiuto; • un più ampio coinvolgimento dei parlamentari e delle amministrazioni locali, per creare un adattamento democratico, favorire la partecipazione e la rendicontazione fra nazioni; • la crescita degli sforzi, che mirano a raggiungere l’uguaglianza di genere ed a migliorare l’autonomia delle donne. Attuare un nuovo organo di Governance in ambito OCSE / DAC denominato “Global Partnership for Effective Development” a cui collaborerà l’agenzia per lo sviluppo mano della Nazioni Unite UNDP.

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SCHEDA RIASSUNTIVA Lezione 6 Risultati attesi : Aver chiaro il ruolo dell’OCSE e in particolare del DAC nell’ambito della cooperazione internazionale. Aver conosciuto le proposte elaborate nei Forum DAC Parole Chiave : Allineamento peer review ownership accountability Punti di approfondimento : Quale è l’obiettivo del DAC ? Quale è la finalità delle peer review ? Quali sono i 5 pilastri proposti nel 2005 a Parigi per rinnovare la cooperazione internazionale ? Nel forum del 2011 a Busan (Corea) si propone il passaggio dal concetto di “Aid Effectiveness” (efficacia dell’aiuto) a quello di “Development Effectiveness” (efficacia dello sviluppo). Quale è la differenza nella pratica della cooperazione ?

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7. L’UNIONE EUROPEA E LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Obiettivo: Conoscere le politiche di cooperazione internazionale dell’Unione Europea, i nuovi strumenti di relazione esterna e le opportunità esistenti di coinvolgimento progettuale.

La cooperazione internazionale dell’Unione Europea ha come recente riferimento normativo la Dichiarazione comune del Parlamento, Consiglio e Commissione Europea approvata il 7 giugno 2017 dal titolo “Il nostro mondo, la nostra dignità, il nostro futuro” – Nuovo consenso europeo in materia di sviluppo. Tale documento propone una nuova visione strategica che guiderà d'ora in poi l'attuazione della politica europea in questa materia in linea con l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile approvata dall'ONU nel settembre 2015. Il nuovo Consenso europeo recepisce i principi dell'Agenda 2030, e dei suoi Obiettivi di sviluppo sostenibile focalizzando i seguenti temi chiave: Persone, Pianeta, Pace, Prosperità e Partenariato ("5P") e, per la prima volta, si applica in tutti i suoi elementi a tutte le istituzioni europee e a tutti gli Stati membri.

@16 Consenso europeo http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=OJ:C:2017:210:FULL&from=ES

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In esso (nel punto 2) si sottolinea che “ Il passaggio dagli obiettivi di sviluppo del Millennio (MDG) agli obiettivi di sviluppo sostenibile rispecchia il mutato approccio allo sviluppo globale: esso si fonda sullo sviluppo sostenibile e sui diritti umani ed è pienamente coerente con i valori e i principi dell’UE. L’Agenda 2030 e i suoi 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS) sono universali e si applicano a tutti i paesi in tutte le fasi di sviluppo, sulla base della titolarità nazionale e della responsabilità condivisa. I partenariati multilaterali sono essenziali per l’attuazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile”. KW – Partenariato Il principio di partenariato comporta una stretta collaborazione negli Stati membri tra le autorità pubbliche a livello nazionale, regionale e locale, come pure con il settore privato e il terzo settore. È opportuno un coinvolgimento attivo dei partner nel corso dell'intero ciclo dei programmi: preparazione, attuazione, sorveglianza e valutazione. Il partenariato va visto in stretta correlazione con l'approccio della governance multilivello e dei principi di sussidiarietà e proporzionalità. Con governance multilivello si intende un'azione coordinata dell'Unione europea, degli Stati membri e delle autorità regionali e locali, fondata sul partenariato e volta a definire e attuare le politiche dell'UE. @17 Il principio di partenariato nell'attuazione dei Fondi del quadro strategico comune – elementi per un codice di condotta europeo sul partenariato http://ec.europa.eu/regional_policy/sources/docoffic/working/s trategic_framework/swd_2012_106_it.pdf

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7.1. La cooperazione internazionale della UE in materia di sviluppo L'Unione Europea e i suoi stati membri sono i maggiori investitori nel mondo, con il 55 % del totale, per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030. Un riferimento importante sono le indicazioni elaborate nei forum dell’OCSE DAC per quanto riguarda l’efficacia dei processi di cooperazione, aggiornate all’ultimo documento approvato a Nairobi nel mese di dicembre del 2016 :

@18 Forum OCSE DAC di Nairobi 2016 http://effectivecooperation.org/wpcontent/uploads/2016/12/OutcomeDocumentEnglish.pdf

Efficacia che, per quanto riguarda l’Europa, può e deve essere migliorata intensificando gli sforzi di coordinamento e di armonizzazione sia tra gli stati membri sia nella relazione con i paesi partner. Nel punto 18 del Consenso Europeo si afferma: “L’efficacia dello sviluppo (KW) è fondamentale per il conseguimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile e dovrebbe essere alla base di tutte le forme di cooperazione allo sviluppo. L’UE e i suoi Stati membri applicheranno i principi dell’efficacia dello sviluppo, convenuti nel 2011 in seno al partenariato globale per un’efficace cooperazione allo sviluppo durante il Forum ad alto livello di Busan sull’efficacia degli aiuti e rinnovati nel 2016 in occasione della riunione ad alto livello di Nairobi.

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Si tratta, in particolare, della titolarità (KW) delle priorità di sviluppo da parte dei paesi in via di sviluppo, dell’attenzione ai risultati, dei partenariati inclusivi per lo sviluppo, della trasparenza e della responsabilità reciproca”… Il Trattato di Lisbona ha istituito le figure del Presidente del Consiglio Europeo e dell’Alto Rappresentante dell’Unione per la Politica estera e la Politica di sicurezza (High Representative of the Union for Foreign Affairs and Security Policy). @19 Trattato di Lisbona http://www.europarl.europa.eu/aboutparliament/it/20150201P VL00008/Il-trattato-di-Lisbona

Per sostenere l’attività dell’Alto Rappresentante dell’Unione, il Trattato di Lisbona ha inoltre creato il Servizio europeo per l’azione esterna (European External Action Service), - EEAS - che è entrato in funzione a partire dal 1° dicembre 2010, anche se non tutte le competenze sono state chiaramente definite. Di fatto, lo EEAS costituisce il ministero degli Esteri dell’Unione Europea e ne gestisce la politica estera e l'attività diplomatica. D’altra parte, le decisioni sulla politica estera e di sicurezza vengono prese dal Consiglio dei Ministri degli Esteri dell'Unione, che è a sua volta presieduto dall'Alto Rappresentante dell’Unione.

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I nuovi strumenti sono sia di carattere geografico che tematico. A livello geografico sono stati creati tre strumenti:

1. il vicinato (European Neighbourhood Instrument - ENI) che comprende i paesi esterni alla frontiera dell’UE e si applica ad Algeria, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Egitto, Georgia, Israele, Giordania, Libano, Libia, Moldova, Marocco, Palestina, Siria, Tunisia e Ucraina; 2. la preadesione (Instrument for Pre-Accession Assistance IPA) a sostegno del processo di integrazione europea dei paesi balcanici occidentali e riguarda i seguenti paesi: Turchia, Albania, Montenegro, Serbia e l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia; 3. la cooperazione internazionale (Development Cooperation Instrument - DCI) che copre i restanti paesi asiatici, africani e latinoamericani.

Il principio dei benefici comuni – articolo 1 del regolamento ENI – in linea con i nuovi principi di reciprocità della Cooperazione Decentrata e dello sviluppo reciproco, riconosce la cooperazione transfrontaliera quale nuova modalità di relazione tra territori del confine esterno dell’UE, attuando una inedita saldatura tra politica esterna e interna. Esiste anche la cooperazione territoriale, assunta come terzo obiettivo della “politica di coesione sociale europea” che si complementa con le altre linee. In questo modo si vuole creare una convergenze tra Cooperazione allo Sviluppo e altri ambiti quali: l’internazionalizzazione economica e della conoscenza, gestione dei flussi migratori, le politiche ambientali, con la finalità

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di rendere coerenti le diverse politiche per ottenere gli obiettivi e l’impatto generale auspicati nel Trattato della UE. La Commissione gestisce anche programmi di portata mondiale, come l’Iniziativa europea per la democrazia e i diritti umani (EIDHR), che opera in tutto il mondo. EuropeAid provvede anche al coordinamento delle missioni degli osservatori elettorali dell’UE, che mirano ad assicurare il libero e regolare svolgimento delle elezioni. Altri programmi su scala mondiale riguardano l’ambiente e le risorse naturali, la sicurezza alimentare, la parità tra uomini e donne, la salute, l’immigrazione e l’asilo, la sicurezza nucleare e la stabilità. L'importo totale proposto per tutti gli strumenti previsti ammonta a 96,25 miliardi di euro per il periodo 2014-2020 che contribuirà a sostenere i paesi partner nel mondo, con una particolare attenzione ai paesi confinati e quelli che stanno preparando l'adesione all'UE. La Guida Pratica è il più importante strumento di lavoro, che spiega le procedure di aggiudicazione applicabili a tutti i contratti per gli aiuti esterni dell'UE finanziati dal bilancio generale dell'Unione Europea (Bilancio) e 10 ° Fondo europeo di sviluppo (FES). @20 Guida per le procedure UE http://ec.europa.eu/europeaid/prag/?header_description=DEVCO +Prag+to+financial+and+contractual+procedures+applicable+to+ex ternal+actions+financed+from+the+general+budget+of+the+EU+a nd+from+the+11th+EDF&header_keywords=ePrag%2C+europa

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7.2. “Il nostro mondo, la nostra dignità, il nostro futuro” Nuovo consenso europeo in materia di sviluppo. Documento approvato il 7 giugno 2017, ha per titolo “Il nostro mondo, la nostra dignità, il nostro futuro” – Nuovo consenso europeo in materia di sviluppo. Presenta una visione collettiva e un quadro d'azione per la cooperazione allo sviluppo dell'Unione europea (UE) e dei suoi Stati membri. Si tratta di un piano che allinea la politica di sviluppo dell'Unione all'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Questa nuova e ambiziosa politica europea comune di sviluppo affronta in modo integrato i principali punti cardine che ispirano l'azione dell'Agenda 2030 riguardo alle persone, al pianeta, alla prosperità, alla pace e al partenariato. Il nuovo Consenso contribuisce agli obiettivi e ai principi dell'azione esterna dell'Unione europea come stabilito nel trattato di Lisbona e sostiene la strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell'UE. Gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) rappresenteranno un elemento trasversale nel quadro dell'attuazione della strategia globale dell'UE. L'UE e i suoi Stati membri, in quanto maggiori fornitori a livello mondiale di aiuti pubblici allo sviluppo, con 75,5 miliardi di euro erogati collettivamente nel 2016, rappresentano già una forza che lavora per un mondo più equo, prospero e sostenibile. Ma come sottolinea la Commissione nel suo documento di riflessione sulla gestione della globalizzazione, molto rimane ancora da fare.

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L'adozione dell'Agenda 2030 e dei suoi obiettivi di sviluppo sostenibile da parte della comunità internazionale nel 2015 ha segnato una tappa importante per il modo in cui si deve perseguire l'eliminazione della povertà e per la realizzazione dello sviluppo sostenibile a livello mondiale. L'Unione europea ha partecipato attivamente ai negoziati sfociati nell'adozione dell'Agenda 2030 e resta in prima linea nella sua attuazione come sottolineato nel Documento che stiamo analizzando. L'eliminazione della povertà rimane l'obiettivo principale della politica di sviluppo nell'ambito del nuovo Consenso, assumendo maggiormente l’attenzione a tre diverse dimensioni per lo sviluppo sostenibile : l’economica, la sociale e l’ambientale. Si sottolinea l'interazione tra lo sviluppo, la pace e la sicurezza, gli aiuti umanitari, la migrazione, l'ambiente e il clima. L'applicazione è trattata in maniera globale, basandosi sul quadro convenuto nel 2015 nel programma d'azione di Addis Abeba nel contesto della terza conferenza internazionale sul finanziamento dello sviluppo, nel quale gli aiuti sono combinati con altre risorse, politiche valide e un approccio rafforzato volto a garantire la coerenza delle politiche per lo sviluppo. Il nuovo Consenso prende atto delle interconnessioni tra i diversi obiettivi di sviluppo sostenibile e pone un accento particolare sui casi in cui le azioni possono creare benefici collaterali e a soddisfare molteplici obiettivi in maniera coerente. Il Consenso sottolinea quindi importanti elementi trasversali che offrono un autentico potenziale di trasformazione, senza i quali sarà impossibile concretizzare l'ambiziosa visione prospettata nell'Agenda 2030.

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Fra tali elementi si evidenziano i seguenti : a) Le nuove generazioni – L'UE e i suoi Stati membri si concentreranno su azioni concrete per soddisfare le esigenze specifiche dei giovani, come l'aumento delle opportunità di occupazione e imprenditorialità di qualità, il miglioramento delle loro competenze e dell'accesso alle tecnologie e ai servizi digitali, nonché il rafforzamento dei loro diritti e la loro emancipazione. b) La parità di genere – L'UE e i suoi Stati membri garantiranno che la prospettiva di genere sia sistematicamente integrata in tutte le politiche e accelereranno gli sforzi volti a raggiungere un'autentica parità di genere e l'emancipazione delle donne e delle ragazze. c) La mobilità e la migrazione – L'UE e i suoi Stati membri intensificheranno gli sforzi tesi ad affrontare le cause profonde della migrazione irregolare e degli sfollamenti forzati e a promuovere una migliore gestione della migrazione nei paesi partner in tutti i suoi aspetti, affrontando le sfide ad essa connesse e sfruttandone appieno gli aspetti positivi. Consolideranno la migrazione come un aspetto fondamentale del dialogo politico esterno dell'UE, anche attraverso l'elaborazione di risposte mirate e partenariati rafforzati, in modo trasparente e democratico, puntando a risultati evidenti in termini di sviluppo. d) Le fonti di energia sostenibili e i cambiamenti climatici L'UE e i suoi Stati membri perseguiranno tre obiettivi chiave interconnessi:

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 

affrontare le carenze nell'accesso all'energia; aumentare l'efficienza energetica e la produzione di energie rinnovabili, al fine di raggiungere un equilibrio sostenibile tra produzione e consumo di energia; contribuire alla lotta globale contro i cambiamenti climatici.

e) Gli investimenti e gli scambi - L'UE e i suoi Stati membri si adopereranno per promuovere gli investimenti combinando i finanziamenti pubblici e privati a favore dello sviluppo sostenibile, l'assistenza tecnica volta a sviluppare progetti sostenibili e attrarre gli investitori, e adotteranno misure tese a contribuire al miglioramento della governance economica e del contesto imprenditoriale, lottare contro la corruzione e dialogare con il settore privato. Tramite la sua politica commerciale, l'Unione europea continuerà inoltre a garantire che i paesi in via di sviluppo, in particolare quelli più vulnerabili, raccolgano i frutti della crescita inclusiva e dello sviluppo sostenibile. f)

Il buon governo, la democrazia, lo Stato di diritto e i diritti umani - L'UE e i suoi Stati membri promuoveranno istituzioni responsabili e trasparenti e favoriranno i processi decisionali partecipativi e l'accesso del pubblico alle informazioni. Promuoveranno l'indipendenza e l'imparzialità dei tribunali, favoriranno l'amministrazione di una giustizia equa e sosterranno iniziative contro la corruzione.

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g) Un dialogo innovativo con i paesi in via di sviluppo – L'UE e i suoi Stati membri svilupperanno nuovi partenariati con i paesi in via di sviluppo più avanzati al fine di promuovere l'attuazione dell'Agenda 2030, attraverso uno spettro più ampio di strumenti di cooperazione, compresi gli scambi, la condivisione delle conoscenze e la fornitura di assistenza tecnica. L'UE e i suoi Stati membri collaboreranno con tali paesi per promuovere la cooperazione sud-sud e quella triangolare in linea con i principi di efficacia dello sviluppo. h) La mobilitazione e l'utilizzo delle risorse interne - L'UE e i suoi Stati membri promuoveranno una mobilitazione e un uso efficaci ed efficienti delle risorse, anche mediante iniziative quali "Collect more, Spend Better" ("Riscuotere di più, spendere meglio"). Essi combatteranno l'evasione fiscale, l'elusione fiscale e i flussi finanziari illeciti, e favoriranno l'efficienza, l'efficacia e l'equità dei regimi fiscali e del finanziamento della previdenza sociale. Nel quadro del nuovo Consenso, l'UE e i suoi Stati membri perfezioneranno ulteriormente le loro modalità di cooperazione, anche migliorando il modo di lavorare insieme, traendo così il massimo beneficio dai rispettivi vantaggi comparativi. Ad esempio, a livello nazionale, l'UE e i suoi Stati membri intensificheranno la programmazione congiunta in materia di cooperazione allo sviluppo, al fine di aumentarne l'impatto complessivo. La programmazione congiunta dovrebbe ridurre i costi di transazione per i governi dei paesi partner e favorire una chiara e coerente divisione dei compiti fra i donatori e i governi partner.

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Qualora opportuno, l'UE e i suoi Stati membri cercheranno anche occasioni per mettere in comune le risorse e rendere rapidi e flessibili il processo decisionale e l'attuazione, segnatamente attraverso i fondi fiduciari dell'UE. La combinazione di sovvenzioni e prestiti al fine di mobilitare i finanziamenti privati è un altro importante strumento per l'attuazione dell'Agenda 2030. Sarà necessario un maggior impegno da parte del settore privato, attraverso strumenti finanziari innovativi intesi ad attrarre maggiori finanziamenti privati destinati allo sviluppo sostenibile, compresa l'azione per il clima. Le proposte relative a un nuovo piano dell'UE per gli investimenti esterni, presentate nel settembre scorso, contribuiranno a mobilitare il sostegno da altre fonti e sono un esempio di questo nuovo approccio. Tutte le forme di cooperazione allo sviluppo da parte dell'UE si baseranno sui principi di efficacia dello sviluppo, vale a dire la titolarità delle priorità in materia di sviluppo da parte dei paesi in via di sviluppo, l'enfasi sui risultati, i partenariati inclusivi nonché la trasparenza e la responsabilità reciproca. Il nuovo Consenso attribuisce la massima importanza ad un regolare monitoraggio e follow-up dei progressi compiuti. Ciò comprende la responsabilità nei confronti dei cittadini dell'UE attraverso il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali. L'UE e gli Stati membri adatteranno progressivamente i rispettivi sistemi di comunicazione delle relazioni nell'ambito della cooperazione allo sviluppo per allinearli al processo di follow-up e agli indicatori dell'Agenda 2030, e per monitorare meglio il processo di relazione a livello dei singoli paesi.

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Ogni quattro anni, in occasione della riunione a livello di capi di Stato in seno al forum politico di alto livello delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, l'UE e i suoi Stati membri elaboreranno una relazione di sintesi congiunta sull'attuazione del consenso, come contributo alla dichiarazione globale a livello delle Nazioni Unite. La comunicazione della Commissione sulle prossime tappe per un futuro europeo sostenibile del novembre 2016 illustra come le priorità politiche della Commissione contribuiscono all'attuazione dell'Agenda 2030 e come l'UE intenda raggiungere uno sviluppo sostenibile in futuro, anche in settori che esulano dalla politica di sviluppo.

@21 Sviluppo sostenibile UE http://www.sinanet.isprambiente.it/gelso/svilupposostenibile/CELEX_52016DC0739.pdf

La Commissione ha deciso di istituire una piattaforma multilaterale per sostenere il follow-up dell'attuazione degli obiettivi di sviluppo del millennio e permettere lo scambio delle migliori pratiche in materia. 7.3. Partecipazione a Bandi di gara in Europa Tutte le istituzioni pubbliche , e in particolare la Commissione Europea, utilizzano lo strumento della “Call for Proposal” o dei bandi pubblici per l’approvazione dei progetti. Sono tante le domande che si pongono i diversi attori della cooperazione internazionale :

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Come venire a conoscenza dei bandi di gara ?

Quali sono le tipologie esistenti ? Quali soggetti possono partecipare ?

Che tipo di documenti occorrono per partecipare ?

L’ufficio europeo per la cooperazione esterna è denominato EuropeAid .

@22 sito di EuropeAid https://ec.europa.eu/europeaid/node/22_en

In tale sito si hanno tutte le indicazioni necessarie per poter partecipare ai diversi bandi. L’obiettivo di EuropeAid è far giungere gli aiuti dove ce n’è più bisogno in modo rapido ed efficiente. Prima di destinare dei fondi ad un’azione di sviluppo, vengono condotte attente analisi e consultazioni. Rigorosi controlli servono a garantire che i milioni di euro stanziati ogni anno siano spesi efficacemente e in modo trasparente. Ogni azione è valutata e seguita per assicurarne la conformità ad elevati standard di qualità. Per l’erogazione degli aiuti la Commissione può scegliere tra tre diversi tipi di approccio. 

L’approccio per progetti viene utilizzato per mettere a disposizione un finanziamento destinato a conseguire obiettivi specifici entro un determinato termine e nell’ambito di uno stanziamento specifico. 125


L’approccio settoriale lascia ai paesi partner un margine decisionale più ampio in campo strategico e finanziario rispetto al più tradizionale approccio per progetti.

Il sostegno al bilancio consente alla Commissione di erogare un finanziamento direttamente al governo del paese beneficiario.

EuropeAid eroga finanziamenti a fondo perduto (sovvenzioni) per la realizzazione di progetti o attività nell’ambito dei programmi di aiuto esterno dell’Unione europea. Esistono due tipi di sovvenzioni: 1. sovvenzioni per attività che rientrano programmi gestiti dalla Commissione;

nei

2. sovvenzioni di funzionamento, destinate a coprire le spese sostenute da organizzazioni aventi sede nell’UE che svolgono attività in linea con gli interessi di EuropeAid. Lo strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo migliora il quadro precedente della cooperazione comunitaria allo sviluppo in quanto riunisce i vari strumenti geografici e tematici in uno strumento unico. 7.4. Direzione generale per gli Aiuti umanitari (ECHO) Sulla base dei principi internazionali sanciti nel Consenso europeo sull’aiuto umanitario, l’UE fornisce un’assistenza umanitaria basata sui bisogni. La sua attenzione si rivolge prevalentemente alle vittime più vulnerabili.

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@23 sito ECHO http://ec.europa.eu/echo/who/about-echo_en

ECHO finanzia gli aiuti umanitari sulla base del regolamento del 1996 relativo all'aiuto umanitario, che consente di finanziare operazioni al di fuori dell’UE per fornire assistenza, soccorso e protezione alle popolazioni colpite da catastrofi naturali o provocate dall’uomo e simili emergenze. ECHO interviene in collaborazione con altre organizzazioni, come le organizzazioni non governative; i fondi, i programmi e le agenzie specializzate delle Nazioni Unite; la Croce Rossa/Mezzaluna Rossa e le agenzie specializzate dei paesi dell’UE.

@24 Regolamento UE – Aiuti umanitari http://eur-lex.europa.eu/legalcontent/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32016R0369&from=IT

Tale regolamento consente all’UE di fornire un sostegno di emergenza ai paesi europei colpiti da gravi catastrofi naturali o provocate dall’uomo, che danno luogo a gravi conseguenze umanitarie ad ampio raggio, come terremoti, alluvioni ed incidenti industriali. Esso entra in gioco solo quando gli altri strumenti si rivelano insufficienti ed è progettato per sostenere e integrare le azioni dei paesi dell’UE colpiti.

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7.5. Difficoltà a partecipare ai Bandi La partecipazione ai bandi di gara non è un processo semplice e servono esperienza e professionalità adeguate per poterci riuscire. La documentazione disponibile in rete è molto utile ma tale disponibilità non è sufficiente per poter elaborare, presentare e vedersi approvate proposte di progetto nelle diverse linee disponibili. Occorre avere persone preparate e di esperienza che possano coordinare i processi di predisposizione e preparazione dei progetti in accordo alle normative vigenti. Il primo passo è quello di identificare i bandi di proprio interesse (Call for proposal o Tender) nei siti in cui vengono pubblicati . Per quelli della Commissione Europea il sito è :

@22 Bandi europei https://ec.europa.eu/europeaid/about-funding_en

La risposta al bando non può essere affrontata solo come un onere burocratico a cui rispondere per essere in regola con le formalità. Se si limita la progettazione alla compilazione dei modelli proposti lo spessore qualitativo sarà insufficiente per ottenere risultati positivi.

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La Commissione Europea mette a disposizione nel proprio sito di vari documenti di riferimento riguardanti le normative generali, i format per la scrittura dei progetti e la loro parte finanziaria. Una qualsiasi entità che vuole concorrere con efficacia a tali processi deve avere dei requisiti previi indispensabili tra i quali menzioniamo i seguenti : 

Essere legalmente riconosciuta e avere una adeguata esperienza di cooperazione internazionale. Ciò significa conoscere ed essere operative in ambiti territoriali di cooperazione. Oggi buona parte dei bandi sono gestiti delle Delegazioni locali della CE.

Essere obbligatoriamente iscritte al Registro PADOR della Commissione Europea (parleremo in seguito come farlo).

Far parte di consorzi o reti internazionali con entità che possano partecipare come partner alla presentazione delle proposte. Si richiedono generalmente partner di altri paesi dell’Unione Europea e dei paesi terzi in cui fare cooperazione esterna.

Una equipe di risorse umane preparate ed esperte nel settore europea capace di preparare buone proposte progettuali rispettando le scadenze (che generalmente sono di 2 mesi di tempo);

Una banca dati di esperti disponibili a coinvolgersi nella gestione delle attività progettuali presentate;

Una equipe amministrativa e contabile adeguata.

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Sostenibilità finanziaria per il co-finanziamento e per la sostenibilità economico finanziaria nella gestione del progetto.

7.5. PADOR - Potential Applicant Data On-Line Registration Service PADOR è un database gestito da EuropeAid che contiene i nomi di tutti i soggetti che partecipano ai bandi dell’UE.

@23 Registrazione a PADOR http://ec.europa.eu/europeaid/funding/about-callsproposals/applicants-registration-pador_en

Iscriversi a PADOR è necessario per partecipare a tutti i bandi dell’UE. Grazie a questo sistema è possibile aggiornare i propri dati e far si che la Commissione Europea possa verificare l’ammissibilità dei progetti che partecipano ad un bando. PADOR è un database al quale è obbligatorio iscriversi per poter partecipare ai bandi di EuropeAid. Grazie a questo sistema è possibile aggiornare i propri dati e far si che la Commissione Europea possa verificare l’ammissibilità dei progetti che partecipano ad un bando. Una volta completata la procedura d’iscrizione, il database rilascia un apposito EuropeAid ID per accedere al servizio. @24 Guida PADOR https://ec.europa.eu/europeaid/pador-guide-applicants_en

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SCHEDA RIASSUNTIVA Lezione 7 Risultati attesi : Avere acquisito informazioni e conoscenza sul funzionamento della cooperazione internazionale della Unione Europea, la struttura gestionale, gli strumenti e le opportunità esistenti per progettualità. Parole Chiave : Partenariato vicinato pre – adesione efficacia Pador ECHO Punti di approfondimento : •

Quali sono i 5 temi chiave (5P) del Consenso Europeo ?

Quali paesi sono coinvolti dallo strumento “Vicinato”?

Quali sono le funzioni di EuropeAid ?

Che cosa è il PADOR ?

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8. LA COOPERAZIONE

INTERNAZIONALE DELL ’ITALIA

Obiettivo : Conoscere come funziona la cooperazione italiana, le sue priorità, gli enti che la gestiscono e le opportunità di partecipazione

8.1. Brevi cenni storici La politica di cooperazione internazionale dell’Italia degli anni ’50 del secolo scorso, nel secondo dopo guerra, si caratterizza per una frammentazione degli interventi, l’assenza di quadro normativo e istituzionale, la limitatezza delle risorse destinate agli aiuti, l’indifferenza degli attori politici e l’inadeguatezza dell’impegno italiano nelle sedi ed istituzioni internazionali. Tuttavia, il dibattito sui temi dello sviluppo e le pressioni internazionali (in sede OCSE DAC e ONU) per interventi più incisivi a favore degli allora denominati “Paesi in via di sviluppo – Pvs” spinsero l’Italia ad assumere, seppur in maniera ridotta, se paragonata ad altri paesi europei, maggiori impegni nella cooperazione tecnica allo sviluppo. La legge 1033 del 1966 ( Legge Pedini), è stata la prima (seppur limitata) risposta ad una visione solidaristica globale ed alla promozione di una cittadinanza più aperta ai problemi del mondo. La legge 1222 del 1971 (Cooperazione tecnica con i Paesi in via di sviluppo) nasce dal progressivo rafforzarsi dei fattori delineati (le pressioni delle Istituzioni internazionali e del mondo delle ONG, gli interessi politici ed economici sul piano delle relazioni estere, nonché la scadenza naturale della disciplina in vigore), e mantiene una visione riduttiva della cooperazione allo sviluppo. Essa non appare rilevante sia per le poche risorse investite sia per la mancanza di un definito quadro istituzionale del settore.

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La legge 38 del 1979 (Cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo), rappresenta una presa di coscienza a livello politico e sociale dell’importanza, anche per l’Italia, di dotarsi di normative e strumenti che regolino la cooperazione internazionale. Si crea nell’ambito del Ministero degli Esteri un Dipartimento per la cooperazione atto a gestire le attività di cooperazione rafforzando l’operatività delle entità che operano nel settore ; ONG, Università, imprese. Si iniziano a coordinare le diverse attività di cooperazione tecnica e finanziaria, diversificando le modalità di azione a livello bilaterale e multilaterale. Aumentano le risorse finanziarie investite e si valorizza il volontariato internazionale e il ruolo delle ONG. La creazione del FAI (Fondo Aiuti Italiani) con la legge 73 del 1985 un fondo straordinario di 1.900 miliardi di lire, per 18 mesi a disposizione di un sottosegretario agli Affari Esteri da usare, citando il titolo stesso della legge, per la «realizzazione di programmi integrati plurisettoriali in una o più aree sottosviluppate caratterizzate da emergenza endemica e da alti tassi di mortalità» (art. 1). In realtà la prima proposta di Legge prevedeva lo stanziamento, fuori bilancio, di 1.400 miliardi di lire «per salvare 3 milioni di persone minacciate dalla fame». Il FAI non si coordinò mai con il Dipartimento per la Cooperazione allo Sviluppo ma, a causa di una struttura amministrativa a durata limitata, riuscì a erogare solo la metà di fondi disponibili ai 29 Paesi indicati come aree di intervento del Fondo. Fu abolito con l’approvazione della nuova legge di cooperazione nel 1987. La legge 49 del 1987 (Nuova disciplina della cooperazione dell’Italia con i Paesi in via di sviluppo) è stata approvata dal parlamento coinvolgendo attivamente tutte le componenti politiche.

@25 Legge 49/1987: http://www.esteri.it/MAE/normative/leg26.2.87.pdf

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In essa si afferma che “La cooperazione allo sviluppo è parte integrante della politica estera dell'Italia e persegue obiettivi di solidarietà tra i popoli e di piena realizzazione dei diritti fondamentali dell'uomo, ispirandosi ai principi sanciti dalle Nazioni Unite e dalle convenzioni CEE - ACP. Essa e' finalizzata al soddisfacimento dei bisogni primari e in primo luogo alla salvaguardia della vita umana, alla autosufficienza alimentare, alla valorizzazione delle risorse umane, alla conservazione del patrimonio ambientale, all'attuazione e al consolidamento dei processi di sviluppo endogeno e alla crescita economica, sociale e culturale dei paesi in via di sviluppo. La cooperazione allo sviluppo deve essere altresì finalizzata al miglioramento della condizione femminile e dell'infanzia ed al sostegno della promozione della donna. Aumentano le risorse disponibili e si riconoscono diversi soggetti di cooperazione, in particolare le ONG, le università, gli enti locali e le imprese. Si istituisce la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo – DGCS – e si incarica per la gestione l’Unità Tecnica Centrale (UTC) con sezioni decentrate (UTL). Resterà in vigore fino al 2014 nonostante dopo alcuni anni si sia iniziato a discutere sulla necessità di un profondo rinnovamento di tale legge. La legge 49/87 prevedeva che la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo sia nel Ministero degli Esteri a cui competeva il coordinamento del settore. La non applicazione piena di quanto previsto inizialmente dalla Legge, i continui tagli alle risorse, casi di corruzione, hanno portato a un fallimento di tale gestione e a un spezzettamento delle competenze. Negli anni 1993 – 94 il ministro degli esteri dell’epoca, Beniamino Andreatta, arrivò alla conclusione che a causa dei continui scandali era meglio azzerare la cooperazione bilaterale e puntare unicamente a quella multilaterale affidando alle Nazioni Unite e all’Unione Europea risorse e responsabilità che l’Italia non era capace di gestire. Ciò ha portato a una crisi del sistema Italia nella cooperazione internazionale, a uno svuotamento del ruolo del

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Ministero degli Esteri e un nuovo protagonismo soprattutto del Ministero del Tesoro (oggi Economia) che gestiva la maggior parte delle risorse e dei rapporti internazionali nel settore. Operativamente si è privilegiata la “finanziarizzazione” della cooperazione, dando priorità ai rapporti con le banche per lo sviluppo, con Banca Mondiale, FMI e WTO. In questo contesto anche altri ministeri (Interni, giustizia, ambiente, difesa), la protezione civile e enti locali (cooperazione decentrata - WK) aumentano le loro relazioni internazionali e gli interventi di cooperazione, ognuno per proprio conto, senza una regia generale e guardando unicamente a obiettivi specifici mai a strategie generali condivise in un sistema organico (multilaterale, europeo e tanto meno in un sistema Italia). Per questo in tanti hanno proposto la scelta di un ministero di coordinamento della cooperazione internazionale che dipenda direttamente dalla Presidenza del Consiglio. La Legge 49/87 non è mai stata applicata pienamente e veti contrapposti tra governo, parlamento e società civile non ne ha permesso una puntuale revisione per più di vent’anni. L’incapacità di trovare una mediazione alta possibile tra i diversi interessi ha portato al blocco e allo svuotamento quasi totale del settore e sono rimaste solo macerie e poco altro. La politica non riteneva prioritario il tema e si è avuto per anni un confronto marginale e di poco rilievo istituzionale. In Parlamento pochi deputati e senatori se ne occupavano occasionalmente senza essere riusciti ad ottenere il risultato di una nuova normativa di orientamento. Il risultato è stato la diminuzione delle risorse disponibili (la cooperazione bilaterale pubblica è stata quasi azzerata) , le Unità Tecniche (Centrale e Locali) si sono gradualmente svuotate di personale e di competenze; i diplomatici sotto attacco e chiamati a un ruolo di rappresentanza nelle istanze multilaterali da posizioni di debolezza e senza potere contrattuale.

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L’ OCSE DAC nella Peer Review del 2010 ha tracciato un quadro critico della cooperazione italiana. Ha rilevato che non esisteva ancora un ampio consenso politico su come arrivare ad una riforma della Legge n. 49/87, nonostante i diversi tentativi fatti nelle precedenti legislature e l’unanime consenso di tale necessità. Si notava che l’Italia mancava di molto l’obiettivo europeo per il 2010 per risorse destinate allo sviluppo, lo 0,51% del PIL. La raccomandazione è stata quella di presentare un piano d’incrementi di lungo periodo che consentirebbe à all’Italia di avere un programma di cooperazione credibile. Lo scarso investimento politico-finanziario e l’inadeguatezza della normativa contribuivano a spiegare anche altre carenze messe in evidenza dal documento del DAC:  l’assenza di una visione strategica d’insieme e di valutazioni sistematiche per i programmi di cooperazione allo sviluppo dal 2002;  l’insufficiente coordinamento tra Ministero degli Affari esteri, Ministero dell’Economia, Ministero dell’Ambiente, dipartimento della Protezione civile e amministrazioni locali per le iniziative di cooperazione allo sviluppo;  la progressiva riduzione del personale tecnico per la cooperazione allo sviluppo;  una programmazione geografica inattuata, con l’Africa Subsahariana che vede ridurre progressivamente la quota d’aiuto italiano nonostante sia regione prioritaria dal 2005;  nessun progresso sulla questione della coerenza delle politiche tra le relazioni esterne dell’Italia e gli obiettivi della cooperazione allo sviluppo;  la maggior parte delle misure non realizzate sono a “costo zero”, ma lo scarso investimento finanziario ha un peso. È il segnale del disinteresse della classe politica e del progressivo smantellamento della struttura della cooperazione allo sviluppo, che non trova ragioni e motivazioni per riformarsi profondamente dal suo interno ma procede per inerzia, a vista.

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Sono decine le voci critiche sul modo di fare cooperazione internazionale, non solo degli stati, ma anche delle società civili (ONG, associazioni, imprese). Le ONG Internazionali hanno subito importanti cambiamenti negli ultimi vent’anni. Strutturate e professionalizzate, hanno raggiunto e spesso superato i livelli di qualità delle imprese private e delle Organizzazioni Internazionali, nella progettualità e nella realizzazione; hanno prodotto e diffuso metodologie e tecniche innovative; hanno capitalizzato il loro ruolo dotandosi di strumenti e strategie di comunicazione e advocacy (KW); hanno riportato importanti vittorie politiche.

§ Testimonianza Fare advocacy per le ONG consiste nell’azione di rappresentare le richieste dei gruppi sociali più deboli e vulnerabili e tutelare i loro diritti nei confronti dei poteri costituiti (parlamenti, governi, istituzioni pubbliche). Attraverso questo tipo di attività si mira al miglioramento delle legislazioni locali e internazionali, all’inserimento nell’agenda politica dei temi legati allo sviluppo umano sostenibile e il rispetto dei diritti umani fondamentali garantiti nelle Dichiarazioni universali e nelle Costituzione degli stati nazionali.

Alcuni operatori indicano come criticità da considerare lo sbilanciamento tra l’attenzione agli aspetti tecnico-burocratici (elaborazione di documenti programmatici, contabilità, rendiconti, ecc.) su quelli più di impatto delle attività (raggiungimento degli obiettivi prefissati, efficacia delle azioni, coinvolgimento reale dei beneficiari, crescita della coscienza politica e civica delle popolazioni coinvolte, miglioramento del “buon governo”, ecc.). I modelli di gestione e gli strumenti sono “imposti” dalle entità donanti; la focalizzazione eccessiva sullo strumento “progetto” se da una parte ha permesso di definire obiettivi e risultati concreti condivisi, dall’altra ha il limite di pretendere di risolvere problemi 137


complessi in troppo poco tempo (i progetti non durano in media più di tre anni). Peccano di frammentarietà e non sono inseriti in una logica di processo strategico. Un altro punto critico fatto presente da vari partner è la scarsità d’informazioni e di “trasparenza” sulla gestione dei finanziamenti nelle attività di cooperazione sia per quanto riguarda i fondi bilaterali sia quelli gestiti nel multilaterale o dalle ONG. Si pone la questione di quanto dei finanziamenti approvati arrivi veramente ai beneficiari diretti e quale debba essere la parte che si può destinare per garantire l’esistenza e il funzionamento delle entità implementatrici. Molte organizzazioni locali lamentano la difficoltà di ottenere risorse per il loro rafforzamento istituzionale e la loro crescita organizzativa per poter adeguatamente rispondere alle richieste che le attuali regole di funzionamento o le ONG partner europee chiedono: documenti di analisi della situazione, studi di fattibilità di progetti, stati di avanzamento delle attività, rendicontazioni, ecc. Le comunità beneficiarie, nel momento in cui si organizzano ed entrano da protagoniste nel processo di sviluppo sostenibile, questionano le regole su cui si basa la cooperazione: chiedono se sia corretto che nei programmi di assistenza tecnica si spenda la quasi totalità delle risorse per pagare – dal loro punto di vista eccessivamente – esperti esterni e se il rapporto costi/benefici sia positivo per gli interessi delle comunità. In altri termini quale deve essere il rapporto tra costo del personale locale e quello degli espatriati. L’irrompere sulla scena internazionale delle emergenze complesse (KW) ha creato una drammatica semplificazione del pensiero politico sulla cooperazione. L’imperativo umanitario spazza via i dubbi metodologici e le considerazioni politiche, risolve ogni contraddizione con la pura semplicità del suo paradigma morale: il dovere di soccorrere, l’imparzialità, la neutralità (peraltro messa in discussione dalla natura stessa dei conflitti moderni, diretti

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indiscriminatamente contro le popolazioni civili); tuttavia l’umanitario si muove all’interno di margini ristrettissimi, di fatto gli operatori e le ONG “rispondono ad un’inarrestabile sequenza di eventi, che li logora nel tempo”. Troppo spesso le “campagne umanitarie” vengono gestite utilizzando “lo spettacolo della sofferenza”, inventando emergenze che non esistono, evitando di parlare dei veri motivi che determinano disgrazie e disastri, tappezzando le città di manifesti con richieste di aiuti il cui obiettivo “non è di farci pensare alla fame o alla povertà. È sollevarci dal fardello di doverci pensare”. Questo rischio riguarda molte ONG che, preoccupandosi quasi unicamente di trovare fondi, rischiano di non interrogarsi più in maniera profonda sui progetti di cooperazione; molte corrono il rischio inoltre di diventare una sorta di enti “esecutori” ai quali vengono appaltati servizi che lo Stato non può o non vuole più erogare (sanità, pubblica assistenza, ecc.). Dal momento in cui le organizzazioni divengono “esecutrici”, perdono la loro caratteristica fondamentale, ovvero l’autonomia. 8.2. La nuova legge della cooperazione italiana, n. 125/2014 La nuova Legge ”Disciplina Generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo” (L. 11 agosto 2014 n. 125), è stata approvata in via definitiva dal Senato il 1 agosto 2014.

@26 Legge 125/2014 http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2014/08/28/14G00130/sg

La nuova legge da un lato ha l’obiettivo di aggiornare in modo sistematico la fotografia del sistema dopo 27 anni dall’approvazione della Legge 49/1987 sulla Cooperazione allo sviluppo, rimettendo in ordine soggetti, strumenti, modalità di intervento e principi di riferimento maturati nel frattempo nella 139


comunità internazionale; dall’altro, quello di adeguare il sistema italiano di cooperazione allo sviluppo ai modelli prevalenti nei paesi partner dell’Ue. La nuova legge definisce una nuova architettura di “governance” del sistema della cooperazione, la cui coerenza e coordinamento delle politiche saranno garantiti attraverso il Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (Cics), una regia costituita dai dicasteri che hanno competenze in materie che sono oggetto di attività di cooperazione allo sviluppo. Indica gli obiettivi della cooperazione nello sradicamento della povertà, nella riduzione delle disuguaglianze, nell’affermazione dei diritti umani e della dignità degli individui - compresa l’uguaglianza di genere e le pari opportunità -, nella prevenzione dei conflitti e nel sostegno ai processi di pacificazione. È prevista l'adozione di un Documento triennale di programmazione e di indirizzo della politica di cooperazione allo sviluppo, approvato dal Consiglio dei ministri, previa acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro il 31 marzo di ogni anno. I poteri di indirizzo e controllo del Parlamento, espletati tramite i pareri delle Commissioni competenti, si estendono anche agli schemi di regolamento per lo Statuto dell’Agenzia italiana per la cooperazione internazionale e per il riordino della struttura del Ministero. Sul fronte domestico, la politica di cooperazione contribuisce, anche per il tramite delle comunità di immigrati presenti sul territorio nazionale, alla delineazione di politiche migratorie condivise mentre, sul versante esterno, l’appropriazione (ownership - KW) dei processi di sviluppo da parte dei Paesi beneficiari è indicata nella nuova legge come uno dei presupposti per l’efficacia degli aiuti, che non possono, neppur in forma indiretta, essere utilizzati per finalità militari. Il provvedimento afferma, quanto al canale multilaterale, il principio di armonizzazione delle politiche nazionali di cooperazione con quelle dell’Unione europea mentre, per il partenariato territoriale,

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riconosce alle Regioni ed agli altri Enti territoriali la possibilità di attuare iniziative di cooperazione allo sviluppo con organismi di analoga rappresentatività territoriale. Nell’ambito dell’aiuto pubblico allo sviluppo rientrano anche gli interventi di emergenza umanitaria deliberati dal Ministro degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale. Essendo la cooperazione definita come ”parte integrante e qualificante della politica estera”, toccherà al Ministero degli Esteri, nella figura del Vice Ministro delegato, il compito di tirare le fila di questo esercizio unitario e coerente. Anche le risorse, oggi distribuite sui capitoli di diversi ministeri, saranno facilmente leggibili attraverso un apposito Allegato al bilancio. La Legge 125/2014 definisce inoltre una nuova struttura di gestione, prevedendo la nascita dell’Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo (AICS).

@27 Sito dell’AICS http://www.aics.gov.it

L’Agenzia, un modello che esiste in tutti i principali paesi europei, corrisponde ad un’esigenza fortemente richiesta dagli attori della cooperazione e avanzata nelle proposte di riforma di iniziativa parlamentare; essa consentirà di valorizzare le professionalità già esistenti e di attirarne di nuove; permetterà infine di potersi cimentare, grazie alla maggiore flessibilità, con le modalità più innovative di cooperazione oggi esistenti, non normativamente compatibili con l’assetto attuale. Per gli interventi maggiormente onerosi (oltre 2 milioni di euro) l’Agenzia lavorerà assieme al Ministero degli Esteri in un apposito Comitato Congiunto. 141


La riforma disegna infine un rapporto di partecipazione del Parlamento, che esercita le funzioni di indirizzo e controllo sul documento triennale di programmazione, e della Conferenza nazionale, un organo di discussione e di consultazione, che darà stabilità all’esperienza di dialogo fra soggetti pubblici e privati. La legge ribadisce gli impegni che l’Italia ha assunto a livello internazionale ma il DAC OCSE richiede che si definiscano anche meccanismi coerenti di monitoraggio, analisi e documentazione per concretizzare una politica efficace in questo settore. Quanto si auspica nell’articolo 2 della nuova legge, comma 3 “Nel realizzare le iniziative di cooperazione allo sviluppo l’Italia assicura il rispetto: 

dei princìpi di efficacia concordati a livello internazionale, in particolare quello della piena appropriazione dei processi di sviluppo da parte dei Paesi partner, dell’allineamento degli interventi alle priorità stabilite dagli stessi Paesi partner e dell’uso di sistemi locali, dell’armonizzazione e coordinamento tra donatori, della gestione basata sui risultati e della responsabilità reciproca;

di criteri di efficienza, trasparenza ed economicità, da garantire attraverso la corretta gestione delle risorse ed il coordinamento di tutte le istituzioni che, a qualunque titolo, operano nel quadro della cooperazione allo sviluppo…”

Le raccomandazioni principali fatte nella Peer Review dell’OCSE DAC, nel 2015, erano le seguenti : L'Italia per rispettare gli impegni internazionali assunti deve seguire il percorso che ha impostato per aumentare costantemente il Rapporto APS / RNL. Concentrandosi su un minor numero di partner multilaterali strategici consentirebbe

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all'Italia di impegnarsi con questi partner, nel corso di un lungo periodo e con finanziamenti prevedibili, e aumentare le sinergie con il programma bilaterale di aiuto. Senza risorse adeguate non vi può essere coerenza e possibilità di rispetto degli impegni assunti. Tale decisione passa molto attraverso l’acquisizione, da parte dei politici e dell’opinione pubblica, che tali fondi non sono un costo ma un investimento. L’obbligo di intervenire ex post per risolvere conflitti internazionali, o lenire le condizioni di catastrofi umanitarie o naturali hanno un costo maggiore e una efficacia minore. L’articolo 22 della legge n. 125/2014 definisce i soggetti della cooperazione allo sviluppo :    

le amministrazioni dello Stato, le università e gli enti pubblici; le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali; le organizzazioni della società civile e gli altri soggetti senza finalità di lucro di cui all’articolo 24. i soggetti con finalità di lucro, qualora agiscano con modalità conformi ai princìpi della presente legge e aderiscano agli standard comunemente adottati sulla responsabilità sociale, le clausole ambientali, nonché le norme sui diritti umani per gli investimenti internazionali.

Possono essere soggetti di cooperazione allo sviluppo anche imprese commerciali e soggetti con finalità di lucro quando agiscono con finalità conformi ai princìpi della presente legge, per la promozione della pace e della giustizia nel quadro di relazioni solidali e paritarie con gli altri popoli. La quantità di risorse dell’Italia per la cooperazione internazionale allo sviluppo è diminuita tra il 2008 e il 2012 da 4,86 miliardi di dollari a 2.74 miliardi di dollari; dallo 0,22 % al 0,14% del suo Reddito Nazionale Lordo (RNL). Non ha, pertanto, raggiunto l’obiettivo intermedio proposto dalla UE dello 0,56% previsto entro 143


il 2010, ed è ben lungi dal raggiungere l'obiettivo dello 0,7% entro il 2015. L’attuale governo ha invertito questo trend negativo: le risorse sono aumentate nel 2013 e nel 2014 e ha assunto l’impegno ad aumentare costantemente il rapporto allo 0.31% entro il 2017 e ciò è un segnale positivo. Nel 2012 le risorse complessive sono state pari a 2,74 miliardi di dollari. Il Rapporto sulla Cooperazione allo Sviluppo dell’OCSE 2015 presenta il profilo dell’Aiuto pubblico dell’Italia (APS) fornendo i diversi tipi di flussi dall’Italia verso i (così definiti ancora dall’OCSE) Paesi in via di sviluppo :    

8,1 miliardi di USD di flussi finanziari privati a condizioni di mercato nel 2012. Tali flussi erano principalmente composti da investimenti esteri diretti (98%). 3,3 miliardi di USD di Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) nel 2013 (dati preliminari). 196 milioni di USD di altri flussi finanziari (Other Official Flows - OOF) nel 2012. 91 milioni di USD di fondi privati nel 2012, provenienti da organizzazioni non governative e fondazioni.

Nel 2013 l’APS dell’Italia è ammontato a 3,3 miliardi di USD con un aumento del 13,4 % in termini reali rispetto al 2012. L’Italia è all’11° posto tra i paesi del Comitato per l’Aiuto allo Sviluppo (DAC) in termini di volumi di Aiuti e si è impegnata ad aumentare il Rapporto APS/RNL che era pari allo 0,16 % nel 2013 e che dovrebbe passare all0 0,28 – 0,31 % nel 2017. In conclusione non è sufficiente approvare una buona legge per la cooperazione internazionale dell’Italia se non vi è poi una sua applicazione coerente e disciplinata prevedendo sanzioni per chi non compie con il proprio mandato. Negli ultimi decenni l’Italia ha visto anche in questo settore troppa lentezza, scarsa trasparenza nelle procedure in vigore che hanno rappresentato il principale ostacolo che si è dovuto affrontare per poter sviluppare un’azione più efficace e coerente.

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8.2.1. Riforma del Sistema della cooperazione italiana (LG. 125/2014) Nel 2015 si è approvata buona parte della normativa secondaria prevista dalla Legge, “fra cui la definizione e l’entrata in vigore, il 30 luglio 2015, dello Statuto dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), che ha stabilito al 1 gennaio 2016 la piena operatività della riforma; nonché altri importanti atti normativi secondari (regolamenti di organizzazione e di contabilità dell’AICS, convenzioni fra i principali soggetti del sistema: MAECI, MEF, Agenzia, Cassa Depositi e Prestiti) e connessi processi di riorganizzazione interna delle predette istituzioni, al fine di agevolare la complessa e delicata fase di entrata a regime della riforma” ... La Legge n. 125/2014 presenta importanti aspetti di riforma basati fondamentalmente su cinque pilastri: 1. Il Comitato Interministeriale per la Cooperazione allo Sviluppo (CICS) assume un ruolo centrale di coordinamento dell’azione di tutti i Ministeri coinvolti nel campo della cooperazione internazionale; il Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo (CNCS) è costituito dai principali soggetti pubblici e privati, profit e non profit, come forum di condivisione e partecipazione organica della società civile e degli altri stakeholder della cooperazione. Si tratta di un meccanismo di controllo istituzionalizzato che vedrà coinvolto il Parlamento, chiamato a dare il proprio indirizzo politico, in particolare nella discussione del Documento di programmazione triennale di all’art. 12 della Legge. 2. Il nuovo ruolo assunto dal Ministero degli Affari Esteri che ha preso la denominazione di Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI). Al MAECI (attraverso la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo – DGCS) è attribuito un ruolo centrale di indirizzo strategico e di coordinamento tra tutti gli attori nazionali della cooperazione.

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3. La creazione dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), quale nuova struttura tecnica di gestione delle iniziative di cooperazione, sotto la responsabilità politica, supervisione e controllo del MAECI e l’’istituzione di un Comitato Congiunto presieduto dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, composto dal Direttore Generale per la Cooperazione allo Sviluppo e dal Direttore dell’Agenzia. Mentre al MAECI spetta il ruolo fondamentale di analisi e programmazione delle politiche, oltre che la cura dei profili legati alle relazioni internazionali, all’Agenzia è affidato il compito – altrettanto fondamentale – di completare l’istruttoria sul campo, suggerire le azioni da intraprendere, predisporre i bandi, curare l’effettiva realizzazione dei progetti, valutarne l’efficacia e gestore la rendicontazione delle spese. Il 23 novembre 2015, il Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro degli Esteri, ha proceduto alla nomina della dottoressa Laura Frigenti a Direttrice dell’AICS. 4. L’istituzione di nuove modalità di partenariato pubblico-privato e il riconoscimento del ruolo svolto da soggetti di cui al Capo VI della Legge, appartenenti del mondo non-profit (ONG, ONLUS, organizzazioni di commercio equo e solidale, associazioni delle comunità di immigrati, imprese cooperative e sociali, organizzazioni sindacali, fondazioni, organizzazioni di volontariato…), nonché soggetti con finalità di lucro di cui all’art. 27. 5. Il ruolo innovativo assegnato a Cassa Depositi e Prestiti quale Istituzione finanziaria per la cooperazione allo sviluppo (art. 22). In questa veste, la Cassa potrà istruire e gestire profili finanziari di iniziative di cooperazione allo sviluppo con strumenti innovativi, anche in regime di cofinanziamento con soggetti privati, pubblici o internazionali. L’art. 15 della Legge attribuisce al CICS il compito di assicurare la programmazione e il coordinamento di tutte le attività in materia di cooperazione allo sviluppo, nonché la coerenza tra queste e le politiche nazionali. Il Comitato interministeriale assumerà un ruolo di definizione strategica e di coordinamento tra le competenti

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Amministrazioni e si riunirà almeno due volte l’anno, rispettivamente per l’approvazione del documento triennale di programmazione e di indirizzo e della relazione sulle attività di cooperazione svolte nell’anno precedente (art. 12 della legge), nonché per l’approvazione della proposta di ripartizione degli stanziamenti per l’attuazione delle politiche di cooperazione ai sensi dell’art. 15, comma 4, della Legge. Nell’ambito del CNCS sono stati istituiti quattro gruppi di lavoro tematici: 1. 2. 3. 4.

Seguiti dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile: coerenza delle politiche, efficacia e valutazione; Strategie e programmazione della cooperazione italiana allo sviluppo; Ruolo del settore privato nella cooperazione allo sviluppo; Migrazioni e sviluppo.

Il rilancio del ruolo strategico della Cooperazione italiana, tramite l’aumento delle risorse e il completamento di una riforma “che la proietterà verso il futuro”, è stato il principale messaggio politico emerso nel corso delle prime riunioni del CNCS. In primo piano anche il tema dei flussi migratori ed il rapporto fra migrazioni e sviluppo - da tempo un tema prioritario per la Cooperazione italiana. La partecipazione a ciascun gruppo è aperta a tutti i membri del Consiglio Nazionale. Su proposta del Coordinatore, potranno inoltre essere invitati a partecipare ai lavori esperti sulle singole materie, nonché istituiti sotto-gruppi di lavoro per trattare, in formato più ristretto, specifiche questioni. La Legge 125/2014 introduce altri importanti elementi di innovazione: un sistema di governance che rafforza il ruolo politico della cooperazione allo sviluppo con l’istituzione della figura del Vice Ministro con delega in materia di cooperazione; un meccanismo di coordinamento inter-istituzionale per un più forte coinvolgimento degli attori pubblici e privati impegnati nello sviluppo; un maggiore coordinamento tra le politiche nazionali e le

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politiche di cooperazione allo sviluppo per garantire la coerenza; l’obbligo d’indicazione nel bilancio di tutti gli stanziamenti nazionali destinati a sostegno delle politiche di cooperazione; una nuova Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo; nuovi strumenti finanziari affidati alla Cassa Depositi e Prestiti. Nell’imminente futuro, la coincidenza data dalla contemporanea entrata in piena applicazione della nuova Legge 125/2014 e della nuova Agenda 2030 propone nuovi spazi e chiama a nuove responsabilità le realtà locali e regionali: in particolare, la logica del co-sviluppo e la dimensione della sostenibilità fanno emergere il trasferimento di esperienze fra territori concreti come uno strumento imprescindibile. Principalmente i territori sono in grado di chiamare a raccolta forze, sapere e dinamismi capaci di declinarsi in un rapporto tanto reale quanto essenziale con le esigenze umane e di sviluppo delle comunità e con le fragilità concrete degli ecosistemi da coinvolgere in un percorso di co-sviluppo. Pertanto, il coordinamento e la sinergia fra l’iniziativa governativa e le iniziative territoriali è chiamato a intensificarsi sia con gli strumenti formali previsti, quali i gruppi di lavoro tematici e la rappresentanza delle realtà territoriali nel CICS, sia con prassi, canali, e strumenti informali che si delineeranno rispondendo alla crescita dei partenariati. La Legge 125/2014 riconosce la rilevanza dei partenariati territoriali per lo sviluppo, partenariati tra territori del Nord e del Sud in cui le amministrazioni e i diversi attori a livello locale operano per lo sviluppo umano sostenibile attraverso processi di governance democratica. Pertanto, ci si adopererà per favorire la collaborazione tra la cooperazione nazionale, quella territoriale e quella delegata nell’ambito dell’Unione Europea in un dialogo strutturato che comprenda, tra gli altri:

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 

  

l’individuazione di strumenti di cofinanziamento, per favorire sinergie con risorse europee e multilaterali; la realizzazione e l’aggiornamento delle banche dati sulla cooperazione territoriale per ogni Paese prioritario e oltre, grazie anche al mandato conferito all’AICS di creare una banca dati comprensiva; la collaborazione a livello nazionale e territoriale sul tema cruciale dell’educazione allo sviluppo; il sostegno alle “reti” di auto-coordinamento d’iniziativa delle diverse realtà territoriali; assistenza tecnica al rafforzamento delle governance locali nei Paesi partner, attraverso il trasferimento di competenze, ad esempio nel campo della pianificazione urbana e dei servizi sostenibili; il coinvolgimento delle comunità dei migranti in Italia in progetti di co-sviluppo.

8.2.2. Riferimenti strategici Sul piano internazionale, con la scadenza alla fine del 2015 dell’Agenda di Sviluppo del Millennio, si è posta in sede ONU l’esigenza dell’elaborazione di un nuovo quadro di riferimento per le politiche dello sviluppo, da sostituire a quello delineato con gli obiettivi di sviluppo del millennio (MDG), che tenesse conto dell’evoluzione nel frattempo realizzatasi del contesto globale. A coronamento dell’intenso sforzo di preparazione, lo svolgimento del Vertice ONU di settembre 2015 e l’adozione della nuova agenda rappresentano un risultato che a giusta ragione è stato definito storico. Ciò per una serie di ragioni. Innanzitutto perché il nuovo quadro di riferimento adottato a New York amplia in modo sostanziale le politiche dello sviluppo, prima limitate alle esigenze di base del sottosviluppo rappresentate dagli 8 Obiettivi di Sviluppo del Millennio. Con l’Agenda 2030 si realizza, infatti, un’integrazione completa delle tre componenti (economica, sociale e ambientale) dello sviluppo sostenibile e se ne aggiunge una quarta, relativa alla pace 149


internazionale, basata su società stabili e pacifiche, fondate sul rispetto del principio di legalità, di non discriminazione e dei diritti umani. Le componenti dello sviluppo sono efficacemente sintetizzate nel preambolo del documento dalle 4 “P”: People, Planet, Prosperity e Peace, cui se ne aggiunge un’altra, Partnership, a sottolineare lo spirito di collaborazione e solidarietà che dovrà informare l’azione collettiva della comunità internazionale verso lo sviluppo sostenibile. 8.3. Expo 2015 di Milano : Sicurezza alimentare, un settore prioritario L’Expo Milano 2015 ha costituito una vetrina unica ed irripetibile per accrescere la consapevolezza dell’opinione pubblica sul ruolo della Cooperazione italiana - delle sue tradizioni e best practices, delle capacità di innovazione, nonché di trasmissione di conoscenze, know-how e tecnologie - quale espressione di una Italia solidale nel mondo. La partecipazione della Cooperazione italiana ad Expo è stata definita attraverso un processo di consultazione multistakeholder, che ha coinvolto l’Unione Europea, le Nazioni Unite ed in particolare le Agenzie del Polo romano dell’ONU, organismi internazionali, ONG, università, istituzioni scientifiche e di ricerca, oltre al settore privato sul tema della sicurezza alimentare. L’azione di comunicazione sui grandi processi globali e l’attività di sensibilizzazione del grande pubblico sui temi dello sviluppo sostenibile, della sicurezza alimentare e della nutrizione, realizzata nel corso di Expo, hanno condotto all’adozione della Carta di Milano, un documento partecipato e condiviso che richiama ogni cittadino, associazione, impresa e istituzione ad assumersi le proprie responsabilità per garantire alle generazioni future l’accesso al cibo e un futuro più equo e sostenibile.

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La stessa Carta di Milano contiene numerose indicazioni che potranno guidare le iniziative della Cooperazione italiana negli anni a venire, facendo tesoro dell’immenso patrimonio che l’Expo ci lascia in eredità anche sul piano dello sviluppo. @28 La Carta di Milano si trova nel seguente sito : http://carta.milano.it/it/

Sono stati presi impegni che meritano di essere trasformati in progettualità. Riportiamo citando quanto compete ai cittadini e alla società civile: “Poiché sappiamo di essere responsabili di lasciare un mondo più sano, equo e sostenibile alle generazioni future in quanto cittadine e cittadini, noi ci impegniamo a: 

    

avere cura e consapevolezza della natura del cibo di cui ci nutriamo, informandoci riguardo ai suoi ingredienti, alla loro origine e al come e dove è prodotto, al fine di compiere scelte responsabili; consumare solo le quantità di cibo sufficienti al fabbisogno, assicurandoci che il cibo sia consumato prima che deperisca, donato qualora in eccesso e conservato in modo tale che non si deteriori; evitare lo spreco di acqua in tutte le attività quotidiane, domestiche e produttive; adottare comportamenti responsabili e pratiche virtuose, come riciclare, rigenerare e riusare gli oggetti di consumo al fine di proteggere l’ambiente; promuovere l’educazione alimentare e ambientale in ambito familiare per una crescita consapevole delle nuove generazioni; scegliere consapevolmente gli alimenti, considerando l’impatto della loro produzione sull’ambiente; essere parte attiva nella costruzione di un mondo sostenibile, anche attraverso soluzioni innovative, frutto del nostro lavoro, della nostra creatività e ingegno. 151


In quanto membri della società civile, noi ci impegniamo a:     

far sentire la nostra voce a tutti i livelli decisionali, al fine di determinare progetti per un futuro più equo e sostenibile; rappresentare le istanze della società civile nei dibattiti e nei processi di formazione delle politiche pubbliche; rafforzare e integrare la rete internazionale di progetti, azioni e iniziative che costituiscono un’importante risorsa collettiva; promuovere l'educazione alimentare e ambientale perché vi sia una consapevolezza collettiva della loro importanza; individuare e denunciare le principali criticità nelle varie legislazioni che disciplinano la donazione degli alimenti invenduti per poi impegnarci attivamente al fine di recuperare e ridistribuire le eccedenze; promuovere strumenti che difendano e sostengano il reddito di agricoltori, allevatori e pescatori, potenziando gli strumenti di organizzazione e cooperazione, anche fra piccoli produttori;

8.4. Cambiamenti climatici – COP21 di Parigi L’anno 2015 si è chiuso all’insegna della collaborazione internazionale sul clima, con lo svolgimento a Parigi della XXI Conferenza delle Parti (COP21) della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) dal 29 novembre al 12 dicembre 2015… “… Il grande elemento innovativo (e l' indubbio successo) di Parigi – adeguatamente etichettato da Ban Ki-Moon con l' aggettivo "storico" – è risieduto, prima di ogni altra considerazione, nell'avere ottenuto in pratica dall'intera membership mondiale (poco meno di 190 Paesi) pubblici impegni sulla consistenza dei propri contributi di riduzione delle emissioni clima alteranti (INDCs), assortite dall' impegno all' effettiva implementazione delle stesse, quale sostanzioso passo in avanti rispetto ad un sistema di "business as usual". 152


In altri termini, il grande passo in avanti di Parigi è consistito nell' aver innescato un meccanismo tendenzialmente irreversibile ed aver "dinamizzato", seppure in maniera ancora non perfettamente compiuta, un contesto che a Kyoto era stato rigidamente suddiviso fra un ridotto gruppo di Stati (identificati con i membri OCSE) con determinati obblighi a carico e il resto della comunità internazionale esonerato dagli stessi. Quanto precede nell' ottica del riconoscimento del carattere globale della "minaccia climatica" che esige risposte adeguate e coordinate da parte dell' intera membership, pur nel doveroso riconoscimento (evidenziato nelle disposizioni di natura finanziaria dell' Accordo) delle responsabilità di ordine storico incombenti, nella qualità di "tradizionali" principali emettitori, sui Paesi industrializzati”… 8.5. Le Politiche italiane di cooperazione in ambito UE Nel 2015 l’Italia si è impegnata per dare seguito alle priorità e ai risultati raggiunti nel corso della Presidenza italiana del Consiglio dell’UE. Grande rilievo è stato assicurato al tema della migrazione e sviluppo, sia in ambito di definizione delle politiche che di individuazione di strumenti finanziari ad hoc. L’Italia ha sfruttato appieno la portata globale delle politiche di sviluppo dell’UE per dare risalto ai temi prioritari menzionati nella definizione delle policies e delle strategie. Per quanto riguarda il nesso migrazione-sviluppo si è continuato sul cammino già tracciato dalla presidenza italiana, che ha promosso un approccio integrato per i fenomeni migratori volto a: rafforzare i fori di dialogo politico con i Paesi d’origine e di transito (processi di Rabat e Khartoum); includere nell’Agenda 2030 la nozione di migrazione come “enabling factor” dello sviluppo; favorire una risposta comune dell’UE ai fenomeni migratori.

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Il risultato di maggior rilievo è senz’altro la creazione del Fondo fiduciario di emergenza UE per affrontare le cause profonde delle migrazioni in Africa, ufficialmente istituito il 12 novembre 2015 a margine del Vertice di La Valletta. Il Fondo ha una dotazione finanziaria di 1,881 miliardi di Euro ed è destinato a 23 Paesi partner africani divisi su tre "finestre geografiche" (Sahel, Corno d'Africa e Nord Africa), per finanziare progetti di: sviluppo economico e creazione di opportunità d’impiego; resilienza e sostegno ai servizi sociali di base; gestione della migrazione e capacity building (KW); governance, stato di diritto, aspetti di sicurezza e sviluppo. La Cooperazione italiana ha inoltre monitorato e contribuito all’esecuzione degli strumenti finanziari di azione esterna dell’UE. Si è agito, come in passato, in maniera da assicurare coerenza tra le linee strategiche definite nelle policies e nella programmazione e l’esecuzione dei singoli strumenti finanziari. Il 2015 ha infatti costituito il secondo anno di implementazione del quadro finanziario pluriennale 2014-2020 e dell’XI Fondo Europeo di Sviluppo (FES). In tale quadro l’Italia si è confermata il terzo contribuente al bilancio UE in materia di sviluppo ed il quarto contribuente all’XI FES. Sono stati approvati i documenti di programmazione multi-annuali elaborati d’intesa con i Paesi partner e approvati dai comitati d’esame degli strumenti finanziari, presieduti dalla Commissione e composti dagli Stati Membri dell’UE. Si è in particolare seguita l’attuazione dello European Neighborhood Instrument (ENI) e del Development Cooperation Instrument (DCI), ovvero due strumenti geografici finalizzati al finanziamento di attività di cooperazione nei Paesi del Vicinato meridionale e negli altri Paesi terzi in via di sviluppo. La programmazione del DCI ha anche previsto interventi tematici per settori trasversali quali i beni pubblici globali, il sostegno alla società civile, la migrazione e lo sviluppo, ai quali si è dato ampio rilievo…

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Per quanto concerne la Programmazione congiunta, ovvero il processo mediante il quale un documento congiunto di programmazione di tutto l'aiuto programmabile in favore di un Paese partner sostituisce i singoli documenti di programmazione dell’UE e degli Stati Membri, l’Italia ha svolto un ruolo di grande impulso nel coordinamento UE. Grazie alla sua rete di Unità Tecniche Locali della Cooperazione, oltre all’attivo coinvolgimento delle Ambasciate in Paesi senza UTL, l’Italia partecipa attualmente al processo di programmazione congiunta in ben 19 Paesi partner. L’accreditamento alla gestione di programmi UE, già ottenuto nel 2012, ha consentito di gestire risorse aggiuntive per le iniziative di cooperazione allo sviluppo, attivando collaborazioni con l'UE in quei Paesi e settori nei quali è riconosciuto un ruolo di guida al nostro Paese (cd. cooperazione delegata). 8.6 I Paesi prioritari della Cooperazione italiana Sono attualmente 22: AFRICA SUB-SAHARIANA (9): Burkina Faso, Senegal, Niger, Etiopia, Kenya, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Mozambico. MEDITERRANEO (2): Egitto, Tunisia. MEDIORIENTE (3): Libano, Palestina, Giordania. BALCANI (2): Albania, Bosnia. AMERICA LATINA E CARAIBI (3): Bolivia, Cuba, El Salvador. ASIA (3): Afghanistan, Myanmar, Pakistan.

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8.7. L’Agenda 2030 riferimento strategico per il Sistema Italia La nuova Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile rappresenta un piano ambizioso per eliminare la povertà e promuovere la prosperità economica, lo sviluppo sociale e la protezione dell’ambiente su scala globale. Il preambolo della Dichiarazione “Trasformare il Nostro Mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile” afferma: “Siamo decisi a liberare l’umanità dalla tirannia della povertà e vogliamo guarire e rendere sicuro il nostro pianeta per le generazioni presenti e future. Siamo determinati a fare i passi coraggiosi e trasformativi che sono urgenti e necessari per mettere il mondo su un percorso più sostenibile e duraturo. Mentre iniziamo questo cammino comune, promettiamo che nessuno sarà escluso”. Nell’evidenziare l’obiettivo dell’eliminazione della povertà entro il 2030, la nuova Agenda si focalizza sull’integrazione dei pilastri economico, sociale, ambientale e di governance dello sviluppo, e invita tutti i Paesi ad attivarsi in un percorso di sviluppo comune senza lasciare indietro nessuno. Le cinque “P”- Persone, Pianeta, Prosperità, Pace e Partnership - rappresentano i principi sui quali poggia l’Agenda. L’Agenda 2030 ci spinge ad affidarci sempre più ad un approccio integrato, multi-settoriale e “territorializzato” che individua le cause della povertà in fattori socio-economici strettamente legati al territorio quali il sistema produttivo locale, le istituzioni, le risorse naturali, l’ambiente e il clima, le infrastrutture, il capitale sociale, lo sviluppo urbano e rurale, la cultura e le tradizioni locali: un modello di sviluppo quindi che individua nel territorio, inteso come entità socio-economica, le potenzialità, la capacità e gli strumenti per combattere la povertà e le disuguaglianze. (…)

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8.8.

La Cooperazione Multilaterale

La nostra cooperazione multilaterale sosterrà prioritariamente l’azione di Agenzie e Programmi delle Nazioni Unite, sia a livello regionale sia a livello paese, nell’implementazione dell’Agenda 2030 e nel raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, in particolare nelle attività di “normative setting”, rafforzamento delle istituzioni e del funzionamento democratico, promozione dei diritti umani, lotta alle disuguaglianze e all’esclusione sociale, protezione dei gruppi più vulnerabili e più esposti ai rischi di emarginazione e discriminazione, gender mainstreaming (KW); lavoro dignitoso, sviluppo umano sostenibile. Un’attenzione particolare sarà anche data alle attività che le Nazione Unite svolgono nei contesti di fragilità e nelle situazioni di conflitto o post conflitto e alla più generale interconnessione tra pace e sicurezza e sviluppo che trova una puntuale sintesi nell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 16 dell’Agenda 2030. La rilevanza del contributo italiano sul canale multilaterale in rapporto a quello bilaterale obbliga il nostro Paese a porsi nei prossimi anni dei traguardi importanti di miglioramento su tre linee strategiche di fondo: 1.

in fase ascendente, continuare a sviluppare la capacità nazionale di orientare il dibattito e l’adozione di politiche di sviluppo nelle sedi deliberative degli organismi europei ed internazionali tramite l’indicazione ai nostri rappresentanti in quelle sedi di chiari indirizzi programmatici;

2.

in fase discendente, la volontà di promuovere e impegnare tutti gli attori del sistema Italia nel loro ruolo di soggetti attuatori delle iniziative adottate dalle diverse organizzazioni e organismi internazionali;

3.

in tutte le fasi del percorso, la necessità di assicurare coerenza con le priorità della nostra agenda nazionale,

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diffusione delle informazioni, controllo sull’utilizzo delle risorse e sull’efficacia. Anche nel caso della cooperazione multilaterale, si opererà nel prossimo triennio per il perseguimento di alcuni obiettivi di fondo: 

 

158

concentrare la collaborazione su un numero più limitato di organismi internazionali, in linea con le raccomandazioni contenute nella Peer Review dell’OCSE, con l’obiettivo di ridurre la proliferazione di nuovi canali multilaterali e scegliere gli strumenti ritenuti in grado di massimizzare l’impatto dei progetti nei settori prioritari della Cooperazione Italiana, garantendo adeguata visibilità al contributo italiano; migliorare il coordinamento tra i Donatori e tra le Agenzie multilaterali sostenendo il processo interno di razionalizzazione del sistema operativo ONU (“system wide coherence”); vigilare sull’operato e sull’efficacia delle agenzie multilaterali, facendo ricorso anche a valutazioni internazionali indipendenti, in particolare quelle elaborate dal MOPAN; assicurare la coerenza degli aiuti nel rispetto del principio di “ownership” dei Paesi beneficiari e in linea con le previsioni dei documenti di strategia Paese; privilegiare le iniziative degli Organismi Internazionali nei Paesi prioritari per la Cooperazione Italiana nonché la loro complementarietà e sinergia con la nostra cooperazione bilaterale; valorizzare e sostenere l’opportunità di sinergie con i poli internazionali nel settore dello sviluppo presenti in Italia (in particolare i poli onusiani di Roma e Torino), dando loro speciale attenzione in sede di programmazione dei contributi volontari; accrescere l’uso dello strumento dei Fondi Fiduciari multidonatori (KW) tematici, assicurando laddove possibile una presenza strategica negli organi di governance.


Oltre alla concessione dei contributi obbligatori, l’Italia concede contributi volontari a organizzazioni, agenzie, fondi di sviluppo internazionali, enti con finalità umanitarie e operanti nelle situazioni di emergenza. Nel triennio si prevede che il ruolo della cooperazione multilaterale rimanga significativo, all’interno di un generale re-allineamento dei finanziamenti con le priorità strategiche della Cooperazione italiana, in linea con gli obiettivi sopra menzionati. L’eventuale componente “ventilata” sarà allocata tenendo conto delle rispettive priorità nazionali e dell’Agenzia internazionale alla quale viene concesso il contributo, nonché delle specifiche iniziative sul piano tematico/settoriale o geografico e della necessità di evitare l’eccessiva frammentazione degli aiuti. 8.9.

La Cooperazione con l’Unione Europea

L’Italia è uno dei principali contributori della cooperazione allo sviluppo dell’UE: il terzo per gli strumenti di bilancio (IPA, ENI, DCI) ed il quarto per il Fondo Europeo di Sviluppo (FES). Il contributo italiano è pari al 13% circa dell’aiuto allo sviluppo dell’Unione Europea. L’Italia partecipa alla definizione delle politiche di cooperazione allo sviluppo dell’Unione Europea e alla definizione delle allocazioni finanziarie nel quadro dei competenti gruppi di lavoro del Consiglio dell’Unione Europea e dei Comitati di esame degli strumenti finanziari, nonché dei “Blending Frameworks” regionali. Il MAECI assicurerà continuità ed efficacia a tale partecipazione con l'obiettivo di orientare gli orientamenti strategici, le scelte politiche e le allocazioni finanziarie decise a Bruxelles. Il MAECI elaborerà le linee di policy e le scelte strategiche in linea coerente con l’azione bilaterale e le priorità politiche e strategiche e sosterrà un’azione di raccordo con la Commissione Europea e con le Presidenze di turno per identificare punti di incontro e assicurare continuità alle priorità strategiche della Cooperazione Italiana, in primis il nesso migrazione-sviluppo, la sicurezza

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alimentare e nutrizionale e il ruolo del settore privato nello sviluppo. Particolare attenzione sarà inoltre riservata ai temi dell’occupazione giovanile, della protezione delle categorie vulnerabili, della disabilità, delle migrazioni, dell’empowerment femminile e al ruolo della Società Civile, delle regioni e degli enti locali nello sviluppo. 8.10.

La Cooperazione delegata

La Cooperazione italiana contribuisce all’esecuzione di programmi europei di cooperazione allo sviluppo, anche partecipando alla gestione centralizzata indiretta (“cooperazione delegata” KW). Ciò favorisce una maggiore concentrazione ed efficacia dell’azione in Paesi e in settori prioritari facendo emergere il valore aggiunto italiano. Allo stato, la DGCS ha ricevuto in affidamento dalla Commissione Europea la gestione di quattro programmi, due in Sudan, uno in Egitto e uno in Etiopia, per un totale di oltre 50 milioni di Euro, in virtù dell’accreditamento per la gestione indiretta ottenuto nel 2012. L'azione della DGCS in materia di delegata sarà orientata, da un lato, a continuare ad assicurare il coordinamento delle attività in loco di gestione dei programmi in corso e, dall'altro, a fornire il necessario sostegno all'Agenzia nel processo di audit per ottenere l’accreditamento. In parallelo, sulla base dell'esperienza maturata e riconoscendo la valenza politica della cooperazione delegata, la DGCS, in raccordo con l’AICS, proseguirà l'azione di identificazione di opportunità progettuali con l'obiettivo di mantenere il trend in crescita della Cooperazione Italiana nella partecipazione ai programmi europei di azione esterna. La cooperazione delegata offre infatti la possibilità di gestire per conto della UE programmi di volume finanziario importante e di impatto rilevante, consente di valorizzare i nostri programmi bilaterali favorendo le sinergie e la complementarietà, offre opportunità di coinvolgimento dei soggetti italiani del sistema di cooperazione allo sviluppo e di impiego di expertise italiana.

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La firma di un accordo di delega rappresenta inoltre il riconoscimento di un ruolo prominente come donatore nel Paese, favorisce le occasioni di interlocuzione con le Autorità locali, rafforza il rapporto con la Delegazione UE e aumenta il volume delle risorse a disposizione per la cooperazione allo sviluppo. L’individuazione dei programmi di cooperazione delegata terrà conto delle linee programmatiche e di indirizzo e dei bisogni dei Paesi partner. Priorità sarà data all'individuazione di programmi nell’ambito del Fondo Fiduciario UE di emergenza migrazione in Africa. L’AICS, in attesa della finalizzazione delle procedure di accreditamento, assicurerà ogni utile supporto di natura tecnicooperativa alla realizzazione degli interventi anche attraverso la rete dei suoi uffici all’estero. 8.11.

L’Efficacia della Cooperazione allo Sviluppo

II Foro ad Alto livello OCSE DAC sull’efficacia dell’aiuto tenutosi a Busan nel 2011 ha segnato uno spartiacque nelle politiche di cooperazione allo sviluppo, inserendosi nel solco di un processo, iniziato col Foro sull’Armonizzazione degli aiuti di Roma del 2003 e proseguito con i Fori di Parigi del 2005 e di Accra nel 2008, volto a perseguire una maggiore qualità ed efficacia all'aiuto allo sviluppo. La Global Partnership ha messo a punto un sistema di monitoraggio dell’efficacia della cooperazione allo sviluppo a livello sia globale sia locale e ha avviato il secondo esercizio di monitoraggio degli impegni assunti a Busan in vista del Secondo Foro ad Alto Livello in programma a Nairobi nel novembre 2016 (il primo esercizio di monitoraggio sfociò nel rapporto presentato al Foro ad Alto livello di Città del Messico nel 2014). La raccolta dati è fondamentale per garantire il successo dell’esercizio di monitoraggio, per avere un quadro aggiornato dei progressi realizzati e avere indicazioni su cosa deve essere rivisto o riadattato, su come orientarsi nel futuro. Gli Uffici di rappresentanza in loco dell’UNDP daranno supporto ai Paesi partner e gli Uffici di cooperazione all’estero saranno chiamati a contribuire al processo di raccolta dei dati.

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Il Sistema italiano della Cooperazione allo sviluppo dovrà applicare i princìpi sull’efficacia adottati a Busan che la Legge 125/2014 ha pienamente recepito. Concentreremo gli sforzi sulla divisione del lavoro, in particolare sulla programmazione congiunta, sull’aderenza alle priorità dei Paesi partner, sulla trasparenza. Nell’ottica di una maggiore efficacia dell’azione di cooperazione allo sviluppo, la nostra programmazione nei Paesi partner non potrà non tenere conto della programmazione congiunta, un processo – come lo definisce l’Unione Europea – che sfocia in un documento condiviso che copre tutto l’aiuto programmabile in favore di un Paese e che include una strategia congiunta di risposta alla strategia di sviluppo del Paese partner e una divisione del lavoro a livello paese (con indicazione dei ruoli degli Stati Membri per settore e delle allocazioni indicative). La programmazione congiunta offre molti benefici: rafforza l’efficacia e la coerenza dell’aiuto, accresce l’impatto e migliora i risultati, riduce la frammentazione, aumenta la trasparenza, la prevedibilità e la responsabilità dei donatori, consolida il nostro ruolo di donatore rafforzando la collaborazione con i Paesi partner e valorizzando gli interventi bilaterali in corso, offre la prospettiva di sinergie concrete con le altre programmazioni bilaterali. (…) Sempre in tema di efficacia, l’Italia assicurerà un impegno sempre maggiore sul piano della coerenza delle politiche per lo sviluppo, partecipando al dibattito che si sta sviluppando soprattutto in ambito UE e OCSE sulla “coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile” in relazione agli specifici impegni previsti a tale riguardo dall’Agenda 2030 (Target 17.14), oltre che sul piano più generale del “nesso” fra la sua applicazione esterna ed interna. Sul piano interno, il Gruppo di Lavoro del CNCS “Seguiti dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, coerenza delle politiche, efficacia e valutazione” potrà contribuire alla elaborazione di un Piano di Azione sull’Efficacia e sulla Coerenza delle Politiche per lo Sviluppo.

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A livello operativo, occorrerà aggiornare le linee d’indirizzo per l’efficacia sull’aiuto (“Piano Efficacia III”), adottate nel 2012, facendo riferimento anche alle Direttive del DAC sulla notifica dei dati APS recentemente aggiornate, e definire un sistema di monitoraggio e valutazione che includa indicatori qualitativi e quantitativi, secondo gli indicatori OCSE-DAC, e un quadro di riferimento basato sui risultati ai diversi livelli (i progressi nei Paesi partner, il contributo a tali progressi, la performance) in linea con il “Development Results Framework” dell’Unione Europea. 8.12.

I partenariati territoriali

L’esigenza di realizzare un rinnovato modo di concepire la solidarietà e lo sviluppo equo e sostenibile tra i popoli, fondato sulla partecipazione, sulla promozione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, sul rafforzamento delle capacità e dei poteri degli attori decentrati e in particolare dei gruppi sociali più svantaggiati è stato assunto dalla legge 125/2014 che regola la cooperazione internazionale dell’Italia. Punti di partenza sono il territorio e l’impegno di solidarietà dei cittadini, dell’amministrazione pubblica, delle ONG, delle associazioni e gruppi locali, dei sindacati, cooperative, imprese, enti formativi, ecc. Decentramento e partecipazione sono le parole chiavi. La solidarietà tra comunità è la base da cui partire per realizzare partenariati territoriali che siano efficaci nel raggiungere quegli obiettivi che la cooperazione internazionale si propone raggiungere. In questo contesto si riconosce pari dignità e responsabilità a tutti gli attori coinvolti, mirando il raggiungimento di obiettivi condivisi: ridurre i fenomeni che producono emarginazione e povertà, promuovere l’estensione dei diritti umani ai gruppi che ne sono esclusi e responsabilità nei comportamenti e nelle scelte personali e comunitarie (rispetto dell’ambiente, delle diversità culturali, coscienza dell’appartenenza ai processi globali).

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I diversi attori coinvolti condividono un accordo quadro fra due ambiti territoriali definiti e che corrispondono a livelli di decentramento politico-amministrativo dello Stato. Si tratta, cioè, di concordare accordi-quadro tra i due territori partner (patti inter-territoriali) in cui tutti i soggetti dei due territori sono chiamati a progettare e realizzare gli interventi in sinergia tra loro. L’aspetto più rilevante che ne deriva è l’impegno strategico per la pace, per sradicare la povertà dal mondo, garantire in tutte le comunità locali i diritti umani sanciti dalla Dichiarazione Universale del 1948 e rendere efficaci le azioni di cooperazione ribadite nell’Agenda 2030. La costruzione di una governance locale democratica è considerata come una pre-condizione per fondare le traiettorie di sviluppo territoriale e per il funzionamento dei processi di decentramento. Si ribadisce quindi un approccio per lo sviluppo e per la cooperazione di carattere multi-attoriale e di processo. Essenziale è operare sull’interazione tra i governi locali, la società civile e il settore privato, per la costruzione di un ambiente istituzionale e di un capitale sociale secondo i principi della partecipazione, equità, trasparenza, della responsabilità e del rendere conto (accountability), dello stato di diritto e della legittimità. 8.13. Ruolo degli enti locali Si possono identificare tre diversi funzioni per inquadrare l’attività svolta dagli enti locali nell’ambito di quella che negli anni scorsi si è definita “Cooperazione Decentrata” e che oggi si ripropone con l’obiettivo di “promuovere partenariati territoriali” : • • •

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Finanziamento Gestione progettuale Promozione, indirizzo, sensibilizzazione e coordinamento.


In un periodo di forte crisi economica come quello attuale, per gli enti locali europei è molto difficile trovare direttamente dal loro bilancio risorse finanziarie significative per finanziare attività di Cooperazione Internazionale. Anche per quanto riguarda le regioni l’impegno finanziario è in genere minimo e proporzionale alla dinamica del territorio oppure risente di una scarsa attenzione verso le richieste delle associazioni e ONG presenti nel territorio; scarsa anche la possibilità di ricercare insieme cofinanziamenti attraverso bandi comunitari o internazionali. Per quanto concerne i finanziamenti va fatto notare che gli Enti e le Autonomie locali stanno operando secondo un doppio ruolo: da un lato sono implementatori di progetti, dall’altro finanziano progetti che vengono realizzati da altri. Mentre la prima modalità di lavoro è conforme a quello che la Cooperazione Decentrata prevedeva, la seconda – in assenza di una vera relazione tra territori e attori che ne caratterizzano il tessuto sociale – si limita ad essere uno strumento aggiuntivo per il sostegno finanziario di azioni di cooperazione, non necessariamente decentrata. L’Ente Locale che sostiene le iniziative di cooperazione di attori presenti nel proprio territorio (ONG, associazioni di volontariato, chiese, ecc.) si pone il problema dell’effettività del proprio contributo e della necessità di evitare frammentarietà e mancanza di coordinamento. Cerca di promuovere azioni per creare delle sinergie e orientarle verso alcuni interessi geopolitici ritenuti prioritari per l’amministrazione locale. In questo caso si nota: 

un’istituzionalizzazione relativa accompagnata da organismi consultivi, formalizzati e no, con le organizzazioni, cooperative e associazioni del territorio; uno scarso coordinamento interno ma un interesse ad ampliarlo;

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 

la creazione di tavoli per cercare di ampliare le iniziative verso città partner; una definizione generica delle priorità geografiche e tematiche a cui si abbina il sostegno a rapporti preferenziali con alcune città partner; un impegno finanziario di media (e in alcuni casi alta) dimensione ma con una ancora scarsa attenzione alla ricerca di cofinanziamenti; l’interesse a partecipare a programmi multilaterali nei quali vengono valorizzate le competenze dei diversi soggetti del territorio.

Negli ultimi anni si è assistito ad una crescente convergenza tra Cooperazione Decentrata e cooperazione territoriale: la sussidiarietà verticale (principio caratterizzante della cooperazione tra i territori) è stata per la prima volta inclusa nelle politiche esterne UE, quali quella di Vicinato e quella di preadesione, che prevedono la partecipazione di Enti locali e di diversi soggetti territoriali in azioni trans-nazionali e transfrontaliere. Viene, dunque, concretamente riconosciuto il valore aggiunto apportato dalle autonomie locali e dai diversi soggetti per quanto riguarda la realizzazione di iniziative a carattere trans-locale che si esprime nella formazione di partenariati territoriali. In questo senso, la metodologia della cooperazione territoriale, che viene dalla politica interna di sviluppo regionale, interagisce con quella della Cooperazione Decentrata, che deriva dalla politica esterna di cooperazione allo sviluppo. Il partenariato territoriale implica un coinvolgimento ad ampio spettro e multidimensionale da parte degli attori territoriali coinvolti, vale a dire un approccio che, rispetto a quello vettoriale tipico della cooperazione allo sviluppo tradizionale, può essere definito circolare, fondato sull’intensità degli scambi materiali e immateriali, sulla reciprocità degli interessi e degli obiettivi e sul co-sviluppo.

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È possibile definire una serie di elementi di qualità (in termini di principi ed approcci) alla base di questo concetto:    

 

    

il dialogo politico tra pari; la ownership (titolarietà) condivisa delle politiche da promuovere; la reciprocità di responsabilità, impegni e condizionalità tra le autorità e società coinvolte; la multi- attorialità e quindi l’adozione di metodi partecipativi di sostegno alla cittadinanza attiva, nel quadro di processi di democratizzazione e di decentramento e nel rispetto dei principi di buon governo; la multidimensionalità, e quindi la coerenza, la complementarietà e il coordinamento tra le politiche portate avanti; il passaggio da un approccio per progetti (guidati dall’offerta, portati da esperti, a breve termine) ad un approccio processuale con strategie e programmi (guidati dalla domanda e di medio-lungo termine); La cooperazione territoriale, e cioè la cooperazione tra territori a livello transfrontaliero e transnazionale, è ora un obiettivo della politica di coesione sociale europea, mentre precedentemente era un’iniziativa comunitaria: il programma Interreg, un approccio per piccoli passi, di apprendimento e costruzione di fiducia, mirato al rafforzamento delle capacità delle istituzioni e degli attori della società civile; un approccio territoriale per uno sviluppo endogeno aperto e sostenibile, che valorizzi le vocazioni e identità dinamiche; la continuità nel tempo della relazione; la sperimentazione e applicazione di iniziative innovative da mettere in rete e confrontare in un processo di apprendimento condiviso; l’inserimento in un quadro di governance multilivello delle relazioni. Il concetto di partenariato territoriale risulta essere particolarmente innovativo in quanto inserisce il classico 167


obiettivo della cooperazione per la lotta alla povertà all’interno di un quadro di riferimento più ampio e multidimensionale, che comprende l’insieme delle relazioni delle autonomie locali italiane così come, e soprattutto, dei diversi soggetti del mondo sociale, imprenditoriale e culturale dei territori, “qui e là”. La Cooperazione tra territori non dovrebbe essere dunque intesa unicamente come cooperazione tra amministrazioni: essa si basa sulle relazioni che s’instaurano tra i diversi soggetti del territorio secondo il principio della governance democratica. In questo senso, tale Cooperazione crea capitale sociale tra territori, attivando dei processi relazionali con una loro storia ed una loro evoluzione e che si innescano grazie, in particolare, all’azione degli attori sociali. È importante, inoltre, ribadire che non si tratta semplicemente di una cooperazione dove operano assieme attori diversi, quanto di una cooperazione che si fonda su metodi partecipativi e che ha come fine la costruzione di una società più democratica a livello locale, dove tutti – in particolare le persone più svantaggiate – abbiano la possibilità di acquisire capacità e potere di cambiamento. È il contenuto quindi che conta: non è solo una questione “di chi”, ma anche e soprattutto di “come” e “per cosa”. È lo scopo che determina l’agire. La Cooperazione fra territori è un’occasione per ricostruire nuove identità singole e collettive, grazie ad un incontro con un’altra prospettiva, con altre realtà con altre lotte e altri contesti. L’obiettivo di tale processo è quello di costruire un complesso reticolo di scambi per l’edificazione di un mondo plurale, in netta contrapposizione con la cultura dominante che va, invece, nella direzione opposta di omologazione totalizzante.

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Per favorire questo scambio, un nuovo modo di fare cooperazione internazionale può intendersi come costruzione di laboratori dove si confrontano culture ed esperienze diverse, si sperimentano soluzioni e alternative che possano servire anche a sbloccare situazioni di stallo di territori più difficili con problemi e situazioni più gravi e compromesse. La Cooperazione fra territori può riconnettere le società locali (senza distinzioni tra Nord e Sud) tra loro in modo non gerarchico, ma con relazioni di tipo orizzontale capaci di riconoscere e rispettare i diversi “stili di sviluppo”. Suo compito è quindi quello di contribuire all’“emersione” e/o alla creazione delle condizioni a sostegno dello sviluppo, basato sulla tutela e valorizzazione delle identità locali nella crescita dei poteri delle comunità che consapevolmente decidono di scambiare esperienze e conoscenze, nell’ottica di un reciproco arricchimento culturale sociale e politico. La Cooperazione tra territori inoltre dovrebbe e potrebbe avere uno spazio di azione nella modernizzazione dello stato, nella territorializzazione della cittadinanza, nella riforma dell’azione pubblica, apportando ai processi di governabilità, ai poteri locali e alla costruzione di società più democratiche, aiutando nella riappropriazione del territorio da parte delle collettività locali favorendo l’apertura di nuovi spazi di concertazione e governabilità. Il territorio, il patrimonio locale in ogni angolo del mondo è immenso. Partire dal locale vuol dire partire dal patrimonio identitario disponibile come elemento fondamentale e fondante in tutte le fasi della Cooperazione Internazionale. I territori sono il punto centrale – di partenza, di arrivo e di attraversamento – delle azioni e dei processi di Cooperazione. È quindi di fondamentale importanza definire cosa si intende per territorio e la sua valenza non solo nella Cooperazione Internazionale ma anche in relazione al contesto in cui un

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determinato territorio è inserito. Se l’abitante è il depositario della sapienza dei luoghi, occorre allora sapere identificare, far emergere e trasformare queste competenze spesso nascoste. L’apporto innovativo di tale pratica consiste infatti nel porre al centro le capacità delle comunità locali di organizzare la propria crescita ricostruendo la memoria della propria identità (il patrimonio territoriale), da mettere in relazione con altre identità, attraverso la co-operazione, cioè l’operare congiuntamente per la costruzione di un complesso reticolo di scambi in un mondo plurale. Nella sapienza dei luoghi si tratta di riconoscere e saper valorizzare le competenze presenti nei territori in qualsiasi latitudine si trovino. La sfida diventa pertanto di assegnare uguale dignità a tutte le competenze e questo comporta anche il rispetto e l’apertura per le differenze e l’abbandono dei pregiudizi. La reciprocità e la circolarità sono elementi centrali della Cooperazione tra territori, in quanto i territori e i soggetti che li abitano al nord sono attori di cambiamento tanto quanto i soggetti e i territori al sud. Il cambiamento avviene grazie ad una reciproca capacità di mettersi in discussione, grazie ad uno scambio e a una volontà di cambiamento che avviene pariteticamente e reciprocamente nei due territori. Questo permette di uscire dalla logica degli aiuti, da posizioni di supremazia e inferiorità, per collocarsi in una posizione di parità e di cambiamento reciproco. La reciprocità è intesa come apprendimento reciproco da esperienze concrete utili identificate in entrambi i territori, reciproca crescita culturale, costruzione di una visione condivisa, ricerca comune di soluzioni condivise e, per quanto riguarda in particolare noi, ripensamento e modifica di comportamenti e scelte di politica di sviluppo.

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La circolarità parte dalla necessità della quotidianità, dal dover ripetere alcuni gesti, alcuni processi relazionali. Ma la ripetizione non è mai un fare uguale a prima, non è una semplice ripetizione di pratiche, in quanto la pratica cambia sia il contesto di riferimento sia la persona che la attua. L’aver già fatto una determinata azione, l’aver sperimentato una pratica dà consapevolezza di alcuni meccanismi, il rifarla dà la possibilità di sperimentarla meglio e d’identificare il valore aggiunto dell’azione stessa. La circolarità quindi prende la sua forza dal ripetere ampliando il raggio di azione dell’azione stessa, allargando gli orizzonti esperienziali e di contesto. Non si tratta di chiudere il cerchio, ma di ampliarlo, quasi con un meccanismo a spirale. Dal punto di vista dell’apprendimento questo meccanismo è alla base del percorso esperienziale in cui l’azione è soltanto il primo passo per l’apprendimento stesso. Anzi, non c’è apprendimento se c’è soltanto un’azione e se questa non è seguita da altre tre tappe fondamentali: la rilettura dell’azione e dell’esperienza per analizzarla; la concettualizzazione della stessa inserendola nel campo delle conoscenze acquisite; la pianificazione dell’esperienza divenuta conoscenza per una successiva azione. Se la reciprocità è la chiave per comprendere fino in fondo la Cooperazione tra territori, allora è importante analizzare alcuni presupposti ed effetti dei suoi processi e precisamente il protagonismo e la partecipazione, ambedue indispensabili per un corretto processo di reciprocità. Affrontare i concetti di partecipazione e protagonismo comporta presentare gli elementi di un dibattito molto complesso e tuttora in corso sugli approcci, le metodologie e le esperienze. Non entriamo nel merito di questo dibattito. Ci preme qui evidenziare l’importanza della partecipazione di tutti gli attori locali all’interno dei processi di sviluppo locale di un territorio e quindi nei processi di cooperazione internazionale .

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La partecipazione è quindi strumentale all’azione “dell’abitante” che si riconosce in problemi ed obiettivi comuni la cui risoluzione passa attraverso processi decisionali condivisi. L’abitante, primo attore del processo di cambiamento, ha la possibilità di contribuire attivamente alla promozione dello sviluppo sostenibile del territorio locale. La cooperazione tra territori e l’attivazione di processi di sviluppo che li mettano al centro comportano tempi lunghi e richiedono un nuovo atteggiamento progettuale. Ciò è alla base di una rinnovata strategia di fondo che può e deve caratterizzare la Cooperazione Internazionale. I concetti di locale e di sostenibilità (o autosostenibilità) comportano infatti una ridefinizione dell’approccio metodologico ed operativo dei progetti, legandoli maggiormente alle peculiarità dei luoghi e ai processi che in queste comunità si manifestano. Come esempio tra i diversi accordi sui principi della Cooperazione tra territori, in un seminario tenutosi tempo fa a Trento è stata portata all’attenzione la Carta d’Intenti della Cooperazione e Solidarietà Internazionale dei Comuni, che definisce i valori della cooperazione condivisi a seguito del coinvolgimento dei diversi attori:  

la partecipazione e il dialogo, il rispetto delle differenze e la valorizzazione delle autonomie (autodeterminazione); la sostenibilità e la giustizia sociale, la trasparenza.

In particolare a proposito del principio relativo al rispetto delle differenze si legge: “Si tratta di abbandonare il paradigma unico dello sviluppo e uscire da un immaginario economico fondato esclusivamente sul concetto di crescita, sull’aumento di produzione, dei profitti, dei consumi e delle prestazioni tecnologiche.

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A tale proposito, i punti di riferimento non dovrebbero essere solo i tradizionali indicatori quantitativi e materiali, bensì nuovi indicatori ambientali, del benessere, della qualità di vita, capaci anche di rispecchiare le differenze tra le diverse culture indigene. Si tratta di pensare ad un nuovo modo di fare cooperazione che investa sulle idee e sulle relazioni, capace di rispondere agli interessi e ai bisogni reali espressi dalle nuove generazioni, in un’ottica di reciprocità e di rispetto dell’autodeterminazione di ogni popolo”. Sono diversi orientamenti che meritano una discussione più circostanziata:  “l’adozione nella cooperazione di un approccio fondato su reciprocità, partenariato e co-sviluppo;  la necessità di cooperare tra territori per far fronte a problemi comuni, come quello del depauperamento delle risorse naturali o, all’opposto, del rapporto con l’abbondanza delle stesse;  il bisogno di coerenza nei comportamenti e nelle politiche su questioni fondamentali come l’energia, la riduzione dei rifiuti, la gestione della mobilità, sia qui, nel nostro territorio a livello locale, così come a livello globale;  la conservazione della biodiversità con forme di sviluppo locale che consentano l’inclusione sociale;  la promozione della partecipazione dei diversi attori;  l’emersione di una nuova tematica che si può definire come statualità sostenibile e cioè il ruolo che le istituzioni pubbliche devono avere nel definire regolazioni migliori e nel gestire questioni relative alla sindrome Nimby (Not In My Back Yard) a partire da un concetto non localistico ma globale della sostenibilità”. Si è detto che la Cooperazione tra territori deve uscire dalla marginalità ed auto referenzialità promuovendo un confronto più serrato tra le diverse sfere di azione degli attori e delle politiche, individuando regole, criteri ed iniziative comuni e coerenti, o esplicitando i motivi di conflitto e contraddizione. 173


8.14. La Valutazione Nel 2014 la DGCS si è dotata di un “Programma triennale di valutazione”, che accoglieva quanto indicato dalle Linee Guida vigenti e dagli indirizzi di programmazione. La scelta dei settori e dei Paesi da valutare è il risultato della volontà di rafforzare, in termini di trasparenza, efficacia ed efficienza, la gestione delle risorse e della necessità di conoscere per innovare, per migliorare i risultati, per definire le priorità e le strategie dell’azione di cooperazione allo sviluppo, nonché per favorire uno scambio di esperienze con altre Agenzie di cooperazione. Gli esercizi di valutazione sono ispirati ai principi, alle metodologie e alle migliori pratiche consolidatesi a livello internazionale, in primis in ambito OCSE-DAC, con speciale attenzione al cosiddetto “results based approach”. Affinché la cooperazione con i nostri partner fornisca i massimi effetti, è necessario che tutti i soggetti coinvolti ai vari livelli si attengano a modalità attuative omogenee e condivise. Il monitoraggio e la valutazione rappresentano, quindi, parte integrante delle iniziative di cooperazione allo sviluppo, qualunque sia la dimensione dell’investimento. E’ pertanto opportuno creare anche le condizioni finanziarie affinché la valutazione possa rientrare a pieno titolo nelle attività gestionali delle iniziative di cooperazione ed essere quindi applicabile a tutti i programmi. In questo quadro, si ritiene necessario mettere l’accento sulla necessità di formalizzare un sistema di “management response” alle valutazioni, affinché le loro risultanze influiscano sulle decisioni strategiche e sulla gestione, in particolare attraverso un’efficace disseminazione dei risultati delle valutazioni, sia presso gli attori del “Sistema Italia” di cooperazione, sia nei Paesi partner.

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Proprio per tenere in considerazione alcune delle osservazioni emerse nel corso dell’ultima “Peer Review” OCSE-DAC (2015), la DGCS si è dotata di un Comitato Consultivo per la Valutazione, composto anche di personalità indipendenti, in rappresentanza del mondo universitario (CRUI), dei raggruppamenti delle Organizzazioni della Società Civile partecipanti al “Gruppo Efficacia” e dell’Associazione Italiana di Valutazione, con i compiti, fra l’altro, di esprimere un parere sul Programma di valutazione ed effettuare un esame del suo stato di attuazione, redigendo un parere sulla qualità delle valutazioni effettuate rispetto agli standard internazionali (OCSE-DAC) e sui seguiti operativi dati alle valutazioni stesse. Con il sostegno di tale Comitato, cui è stata associata l’AICS, si sta inoltre procedendo a un aggiornamento delle Linee Guida sulla Valutazione. 8.15.

Trasparenza e Comunicazione

L’orientamento emerso nel Foro di alto livello di Busan punta alla trasparenza, alla condivisione delle informazioni e al libero accesso ai dati (“open data”), sfruttando al massimo le potenzialità della rete. Si continuerà a dare massima attenzione alla trasparenza, alla diffusione delle informazioni, alla comunicazione e alla rendicontazione, per dare conto all’opinione pubblica delle scelte effettuate, delle attività intraprese, dei risultati conseguiti. L’Agenzia si sta dotando di un proprio sito web e di una banca dati che, raccogliendo tutte le informazioni relative alle iniziative di cooperazione realizzate e in corso di realizzazione, sarà uno strumento di supporto all’attuazione dei programmi, alla gestione degli interventi e all’espletamento delle procedure di monitoraggio e controllo. Il sito web sarà lo strumento per assicurare il contatto diretto, permanente e interattivo con i cittadini e la Società Civile che si occupa di sviluppo e cooperazione. Sarà organizzato su tre aree interconnesse, con l'ambizione di fornire informazioni trasparenti

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che rispondano pienamente alle esigenza di accountability nei confronti dei cittadini, in linea con il Piano per la Trasparenza, definito entro il 2016. (…) La Cooperazione italiana si è dotata nel 2014 della piattaforma “Open Aid”, che mette a disposizione i dati e le informazioni sull’Aiuto Pubblico allo Sviluppo italiano, in particolare il volume e la destinazione dei fondi per la realizzazione dei programmi e delle iniziative di cooperazione allo sviluppo a partire dal 2004. … Nella Peer Review dell’OCSE del 2015 si proponevano le seguenti raccomandazioni : “… Nel considerare diversi assetti istituzionali in relazione alla cooperazione allo sviluppo, l'Italia deve mantenere un equilibrio e coordinamento tra la politica e gli aspetti operativi, assicurare lo stretto rapporto tra competenza e programmazione, mantenere bassi i costi operativi e evitare la frammentazione istituzionale. L'Italia deve elaborare un piano per le risorse umane per la sua cooperazione allo sviluppo da abbinare il fabbisogno di personale e competenze agli obiettivi generali della DGCS, chiarire i ruoli e la divisione dei compiti tra le istituzioni e lo staff e elaborare una politica delle risorse umane per il personale locale con una formazione adeguata. Creare un sistema Italia inclusivo, in cui i diversi stakeholders siano portatori di specifiche competenze condividendo le finalità e le modalità di esecuzione proposte attraverso collaborazione e sinergia tra i diversi soggetti. La scelta di priorità tematiche che specializzino il sistema Italia anche a livello settoriale è un altro dei punti fondamentali da considerare. Nell’ambito della promozione dei partenariati territoriali è importante la scelta di tematiche che specializzino gli interventi anche a livello tematico.

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Un altro punto da considerare riguarda l'adozione di nuovi strumenti operativi capaci di riattivare in modo sostanziale la nostra cooperazione bilaterale (destinando ad essa più risorse) anche per rendere più agile l'utilizzazione, come Sistema Italia, del canale multilaterale. Un ultimo punto è la valorizzazione nel Sistema delle nuove generazioni. Nella programmazione non si focalizza sufficientemente il ruolo che devono avere i giovani nella cooperazione internazionale : la necessità di aumentare il numero di operatori in generale (in tantissimi studiano, si specializzano con master e dottorati che aumentano nelle Università italiane) che faticano a trovare occupazione e continuità di lavoro nel sistema di cooperazione italiana. In tal senso l’includere sistematicamente le esperienze del Servizio Civile Universale, del volontariato internazionale nelle sue diverse articolazioni (campi di lavoro, caschi bianchi, protezione civile, peace keeper, etc.) può essere una delle soluzioni da assumere.

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SCHEDA RIASSUNTIVA Lezione 8 Risultati attesi : Aver chiaro il sistema di funzionamento della cooperazione italiana, le sue priorità, gli enti che la gestiscono e le opportunità di partecipazione Parole Chiave : DGCS AICS CICS advocacy cooperazione decentrata capacity buiding mainstreaming cooperazione delegata partenariato territoriale Punti di approfondimento : Quali sono le attuali finalità prioritarie per la cooperazione italiana? Quali sono i soggetti operativi che la cooperazione riconosce ? Quale la differenza tra cooperazione decentrata e partenariati territoriali ? Quali funzioni hanno la DGCS e l’AICS ? Quali sono i paesi prioritari per la cooperazione italiana ? Con quali criteri di priorità sono stati scelti ?

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9. RISORSE PER LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO SOSTENIBILE

Obiettivo : Aumentare la consapevolezza dell’importanza delle risorse finanziarie investite nella cooperazione internazionale per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Conoscere gli impegni assunti dagli stati nazionali e dalla comunità internazionale nelle conferenze di Monterrey, Doha e Addis Abeba. Si è realizzata ad Addis Abeba (Etiopia), dal 13 al 16 luglio 2015 la Terza Conferenza Internazionale sui Finanziamenti allo Sviluppo organizzata dalle Nazioni Unite. Vi hanno partecipato rappresentanti politici di alto livello, tra cui capi di Stato e di Governo, i Ministri delle Finanze, degli Affari esteri e della Cooperazione allo sviluppo, così come tanti attori ei entità multilaterali, le organizzazioni non governative ed altri enti del settore privato. La Prima Conferenza si è realizzata a Monterrey (Messico) nel 2002, la seconda a Doha (Qatar) nel 2008. A Monterrey, si formalizzò l’esigenza di un partenariato globale tra paesi industrializzati e i cosiddetti paesi in via di sviluppo (PVS) per il finanziamento dello sviluppo di questi ultimi e, più specificamente, per quello degli otto Obiettivi di sviluppo indicati nella Dichiarazione del Millennio del 2000. L’Agenda fu denominata “Consenso di Monterrey” e aveva identificato sei aree in cui la comunità internazionale doveva concentrare gli sforzi con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo dei PVS, e soprattutto dei Paesi meno sviluppati (i cosiddetti Least Developed Countries, o LDC): a) b) c) d)

la mobilitazione di risorse interne per lo sviluppo; la mobilitazione di risorse internazionali; il commercio internazionale come motore di sviluppo; la cooperazione allo sviluppo internazionale; 179


e) l’indebitamento estero; f) le questioni sistemiche, cioè la coerenza e la consistenza del sistema monetario, finanziario e commerciale internazionale ai fini della promozione dello sviluppo.

@ 29 Il Documento Consenso di Monterrey http://www.un.org/esa/ffd/monterrey/MonterreyConsensus.pdf

Nella Conferenza di Doha si è riafferma la validità degli obiettivi di Monterrey e l’impegno della comunità internazionale a perseguirli. Allo stesso tempo, il documento osserva che, nonostante i progressi realizzati in molte aree del Consenso di Monterrey, l’ingiustizia è aumentata a livello globale, sia all’interno dei singoli paesi che tra di essi. Lancia, inoltre, l’allarme su una molteplicità di crisi e sfide globali correlate che rischiano nel prossimo futuro di ostacolare l’auspicato processo di avvicinamento delle condizioni di vita tra paesi ricchi e poveri: l’insicurezza alimentare, le oscillazioni dei prezzi di energia e materie prime, i cambiamenti climatici, la crisi finanziaria globale, i mancati risultati dei negoziati commerciali. Il documento solleva poi la questione della lotta al terrorismo e delle implicazioni del terrorismo per lo sviluppo economico e la coesione sociale. Infine, sottolinea che la sfida principale per lo sviluppo si combatterà in Africa: è più che mai necessario, quindi, un particolare impegno internazionale per combattere la povertà in quel continente. @ 30 Il documento completo della Conferenza di Doha si trova in http://www.un.org/esa/ffd/doha/documents/Doha_Declaration_F FD.pdf

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Lo sviluppo umano viene indicato come priorità delle politiche nazionali: essenziale è la realizzazione della piena occupazione e di un lavoro dignitoso. Il documento raccomanda – confermando una linea che prosegue da almeno cinque anni – che i paesi donatori multilaterali e bilaterali forniscano assistenza tecnica e condividano best practices (KW) per incoraggiare gli investimenti, mentre le agenzie multilaterali devono contribuire ad attenuare alcuni dei rischi cui sono esposti gli investitori privati nei PVS. Questi, a loro volta, devono continuare a impegnarsi per creare un clima stabile e prevedibile per gli investimenti. Le agenzie multilaterali e regionali sono chiamate a sostenere gli investimenti privati in infrastrutture per lo sviluppo, soprattutto quelle finalizzate a superare il divario digitale nei PVS. Sono incoraggiati gli sforzi realizzati sia in ambito multilaterale che nei singoli ambiti nazionali per promuovere gli standard di Responsabilità Sociale di Impresa e le iniziative volte ad aumentare la trasparenza nell’operato delle aziende. Sottolinea il ruolo crescente svolto dalle rimesse degli immigrati come fonte di risorse private per lo sviluppo dei paesi di origine; raccomanda di incentivare la riduzione dei costi di transazione delle rimesse stesse, tramite la cooperazione tra paesi di origine e di destinazione delle migrazioni, e di creare opportunità per investimenti orientati allo sviluppo. Viene ribadito il ruolo essenziale degli aiuti pubblici allo sviluppo (APS), come complemento ad altre fonti di finanziamento, nel facilitare il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo nazionali ed internazionali. Il documento finale della Conferenza di Doha esprime apprezzamento per l’aumento del 40% in termini reali dell’APS tra il 2001 e il 2007. Nota però con preoccupazione che a partire dal 2002 una parte significativa dell’APS è stata destinata agli aiuti umanitari e a iniziative per la riduzione del debito dei Paesi meno

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sviluppati. Il mantenimento degli impegni verso l’APS è essenziale, e tra questi spicca l’obiettivo sottoscritto da molti paesi industrializzati di destinare lo 0,7% del Reddito nazionale lordo agli aiuti entro il 2015. Si osserva, comunque che il documento, cercando di sottolineare gli elementi più incoraggianti, trascura di menzionare come i 22 paesi OCSE abbiano destinato nel 2007 solo 103,7 miliardi di dollari in aiuti, addirittura meno del 2005 (107,1 miliardi di dollari); e come, escludendo le voci destinate alla riduzione del debito, gli aiuti siano aumentati soltanto dallo 0,23% (2002) allo 0,25% (2007), ben al di sotto dello 0,33% raggiunto nei primi anni Novanta. Soprattutto, non viene rimarcato il fatto che per onorare gli impegni assunti a Monterrey nel 2002 occorrerebbe aumentare le risorse di oltre il 14% all’anno (ben più del triplo rispetto a quanto si è fatto sinora); e anche in questo caso, non si andrebbe al di là dello 0,35% del Reddito nazionale lordo entro il 2015, al netto degli aiuti per ridurre il debito, esattamente la metà dell’obiettivo fissato dalle Nazioni Unite. Lo scopo della conferenza di Addis Abeba era stato definito nelle Risoluzioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (N. 68/204 e 68/279) e indicava i seguenti obiettivi :

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1.

Valutare i progressi compiuti nell'attuazione del Consenso di Monterrey e della Dichiarazione di Doha ed individuare gli ostacoli e i limiti incontrati nel raggiungimento degli obiettivi in esse stabiliti, nonché le azioni e le iniziative per superare tali vincoli.

2.

Affrontare le nuove problematiche emergenti, anche nel contesto dei recenti impegni multilaterali per promuovere la cooperazione internazionale allo sviluppo:


   

3.

l'attuale evoluzione del mondo della cooperazione allo sviluppo; le interrelazioni di tutte le fonti di finanziamento dello sviluppo; le sinergie tra gli obiettivi di finanziamento attraverso le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile; la necessità di sostenere l'Agenda di Sviluppo ONU Post-2015. Rinvigorire e Rafforzare i processo di controllo dei finanziamenti allo sviluppo.

Il Documento finale di Addis Abeba riprende, in 45 pagine, i temi più rilevanti dell’Agenda Globale della Cooperazione internazionale.

@31 Documento di Addis Abeba 2015 http://www.un.org/ga/search/view_doc.asp?symbol=A/CONF.227 /L.1&referer=http://www.un.org/esa/ffd/ffd3/index.html&Lang=E

Riaffermando quanto definito nel Consenso di Monterrey e nella Dichiarazione di Doha si pone anche nuovi obiettivi : “Il nostro obiettivo è quello di porre fine alla povertà e alla fame, e raggiungere lo sviluppo sostenibile nelle sue tre dimensioni : promuovere la crescita economica inclusiva, la protezione dell'ambiente e l'inclusione sociale. Ci impegniamo a rispettare tutti i diritti umani, compreso il diritto allo sviluppo. Garantire la parità di genere e l'empowerment delle donne e delle ragazze. Promuoveremo società pacifiche e inclusive e andremo verso un sistema economico mondiale equo, in cui nessun paese o nessuna persona rimanga indietro, favorendo il lavoro dignitoso e garantendo mezzi produttivi vitali per tutti, preservando il pianeta per i nostri figli e per le generazioni future…” ( Cap. 1, par. 1) 183


“…Tenere traccia degli impegni e valutare i progressi nell'attuazione del Consenso di Monterrey e la Dichiarazione di Doha; rafforzare ulteriormente il quadro per il finanziamento dello sviluppo sostenibile e le modalità di attuazione del programma di sviluppo oltre il 2015; e rivitalizzare e rafforzare il processo di monitoraggio di finanziamento per lo sviluppo al fine di garantire che le misure siano attuate in modo appropriato, inclusivo, tempestivo e trasparente”. ( Cap. 1, par. 2) “…Nonostante questi miglioramenti, molti paesi, i paesi in via di sviluppo in particolare, devono ancora affrontare notevoli sfide, e alcuni sono ancora molto indietro. In molti paesi, la disuguaglianza è aumentato drammaticamente. Le donne, che rappresentano la metà della popolazione mondiale, così come le persone indigene e persone vulnerabili, restano esclusi dalla piena partecipazione all'economia”. ( Cap. 1, par. 4) “… Riaffermiamo che i paesi meno sviluppati sono il gruppo più vulnerabile di paesi, hanno bisogno di un supporto globale rafforzato per superare le difficoltà strutturali che devono affrontare per raggiungere gli obiettivi del programma di sviluppo dopo il 2015 e gli obiettivi dello sviluppo sostenibile”. ( Cap. 1, par. 8) Richiamo al rispetto degli impegni presi e coerenza da parte degli stati nel realizzare, coerentemente, i programmi sottoscritti. “…esprimiamo la nostra preoccupazione per il fatto che molti paesi non hanno pienamente rispettato gli impegni di assistenza ufficiale allo sviluppo e occorre ribadire che il rispetto di tutti gli impegni di assistenza ufficiale allo sviluppo assunti rimane fondamentale. I fornitori di assistenza ufficiale allo sviluppo confermano i rispettivi impegni, compreso l'impegno di molti paesi sviluppati per raggiungere l'obiettivo dello 0,7% del reddito nazionale lordo all'aiuto pubblico allo sviluppo e 0,15% a 0 il 20% degli aiuti pubblici allo sviluppo lordo per i paesi sviluppati reddito minimo nazionale”. ( Cap. 2, par. 50)

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…Accogliamo con favore la decisione dell'Unione Europea, che ribadisce il suo impegno collettivo a destinare lo 0,7% del reddito nazionale lordo all'aiuto pubblico allo sviluppo entro i termini fissati nell'agenda di sviluppo dopo il 2015 e l’ impegno a soddisfare collettivamente l'obiettivo del 0,15% e 0,20% del reddito nazionale lordo per l'assistenza allo sviluppo per i paesi meno sviluppati a breve termine… ( Cap. 2, par. 51) Si ribadisce la necessità di governare i processi di globalizzazione e di riconoscere il ruolo guida delle Nazioni Unite nei processi di promozione dello sviluppo umano sostenibile : “…A Monterrey si era già sottolineata l'importanza di continuare a migliorare la governance economica globale e rafforzare il ruolo guida delle Nazioni Unite nel promuovere lo sviluppo. Si è inoltre sottolineata l'importanza della coerenza dei sistemi finanziari, monetari e commerciali internazionali a sostegno dello sviluppo… Adotteremo misure per migliorare e promuovere la governance economica globale e raggiungere un rappresentante di sviluppo più forte, più coerente e più inclusiva e sostenibile per l'architettura internazionale, e i mandati delle rispettive organizzazioni siano rispettati. Riconosciamo l'importanza della coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile e inviteranno i paesi a valutare gli effetti delle loro politiche in materia di sviluppo sostenibile…” ( Cap. 2, par. 103) … Sulla base della visione del consenso di Monterrey, siamo determinati a rafforzare la coerenza e la consistenza delle istituzioni multilaterali e piattaforme relative a questioni commerciali, investimenti finanziari e le politiche di sviluppo e ambiente, nonché la cooperazione aumento tra grandi istituzioni internazionali, mentre i mandati e le strutture di governo siano rispettati. Ci siamo impegnati a fare un uso migliore delle competenti sedi delle Nazioni Unite per promuovere la coerenza globale e universale e e rispettare gli impegni internazionali per promuovere lo sviluppo sostenibile”… ( Cap. 2, par. 113)

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Il Documento finale della Conferenza di Addis Abeba enfatizza anche il ruolo futuro che la cooperazione Sud-Sud e la cooperazione triangolare potranno giocare, in opposizione a una tradizionale distinzione tra un Nord donatore e un Sud beneficiario, e di sostenere la creazione di strumenti finanziari innovativi, con un’attenzione particolare all’uso di risorse pubbliche quali catalizzatori della mobilizzazione di quelle private, in stretto partenariato con la società civile e il settore privato, sottolineando l'importanza dei principi di accountability, trasparenza e responsabilità. La Conferenza di Addis Abeba è soltanto il primo dei tre importanti incontri internazionali realizzati nel 2015. "Il summit sui Sustainable Development Goals” delle Nazioni Unite a settembre e il successivo vertice sul cambiamento climatico, di dicembre a Parigi (COP 21), due occasioni importanti per i governi per impegnarsi negli aiuti allo sviluppo umano sostenibile e in una più equa distribuzione delle risorse del pianeta. Ad Addis Abeba è emerso che la Rivoluzione dei Dati sarà la pietra angolare nella mobilitazione delle risorse e nel monitoraggio degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Si tratta di rafforzare le capacità statistiche e a lavorare sull’armonizzazione dei dati, traendo vantaggio delle nuove tecnologie dell’informazione che permettono di accedere più facilmente alle informazioni (specialmente attraverso gli open data – KW -).

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SCHEDA RIASSUNTIVA Lezione 9 Risultati attesi : Aver aumentato la consapevolezza dell’importanza delle risorse finanziarie investite nella cooperazione internazionale per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Aver assimilato gli impegni assunti dagli stati nazionali e dalla comunità internazionale nelle conferenze di Monterrey, Doha e Addis Abeba Parole Chiave : APS Best practices Open data Accountability Crediti d’aiuto Empowerment Punti di approfondimento : Quali sono le 6 aree prioritarie indicate nel documento di Monterrey ? Quali son state le proposte integrative del documento approvato a Doha nel 2008 ? Quali gli obiettivi che si è proposta la conferenza di Addis Abeba del 2015 ? Quale è la percentuale di PIL proposta agli stati nazionali come APS? Perché la maggior parte degli stati non la rispetta ?

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10. AIUTI UMANITARI

Obiettivo : Conoscere il sistema internazionale degli aiuti umanitari, le sue finalità, il codice di condotta e le sue criticità.

10.1. Finalità degli aiuti umanitari In accordo a quanto definito sia a livello di Nazioni Unite che dalle normative assunte dalla Croce Rossa e all’Unione Europea, le azioni di aiuto umanitario perseguono i seguenti obiettivi prioritari: a) salvare e preservare vite umane in situazioni di urgenza e posturgenza immediata successive a catastrofi naturali che abbiano comportato perdite di vite umane, sofferenze fisiche, danni sociali e materiali ingenti ; b) apportare l’assistenza ed il soccorso necessari alla popolazione coinvolta nelle crisi più durature derivanti da conflitti o guerre che abbiano provocato gli stessi effetti citati nel punto a), in particolar modo nel caso in cui quelle stesse popolazioni non abbiano ricevuto soccorso dalle autorità locali; c) contribuire all’erogazione dell’aiuto e del suo accesso ai destinatari attraverso tutti i mezzi logistici disponibili e per mezzo della protezione dei beni e del personale umanitario ad esclusione delle azioni che abbiano implicazioni di difesa; d) nel breve periodo: sviluppare opere di riabilitazione e di ricostruzione in particolare di infrastrutture e di equipaggiamento in collaborazione con le strutture locali al fine di facilitare l’arrivo dei soccorsi, di prevenire l’aggravarsi degli effetti della crisi. Nel lungo periodo, aiutare le popolazioni colpite a ritrovare un livello minimo di autosufficienza e tenere in conto, quando sia possibile, gli obiettivi di sviluppo.

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e) far fronte alle conseguenze di trasferimenti di popolazioni (KW - : rifugiati, smobilitati, rimpatriati) a seguito a catastrofi naturali o di eventi generati dall’uomo attraverso azioni di rimpatrio e di aiuto al reinsediamento delle popolazioni medesime nei loro paesi di origine, quando vi siano le condizioni previste dalle convenzioni internazionali in vigore; f) garantire una preparazione previa per i rischi di catastrofi naturali o di eventi imprevisti e utilizzare un sistema di allerta rapido e di intervento appropriato; g) sostenere le azioni civili di protezione in favore di vittime di conflitti o circostanze straordinarie paragonabili conformi alle convenzioni internazionali in vigore. 10.2. Nazioni Unite e aiuti umanitari Diverse agenzie del sistema delle Nazioni Unite si occupano specificamente di aiuti umanitari in situazioni di emergenza. L'Ufficio per gli affari umanitari ( OCHA dall'inglese Office for the Coordination of Humanitarian Affairs - www.unocha.org ) è un ufficio creato nel 1991 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 46/182, per sostituire l'Ufficio del coordinatore delle Nazioni Unite per i disastri naturali, creato nel 1971, e il Dipartimento per gli affari umanitari, creato nel 1972. L'ufficio venne creato per dare un più efficace e rapido intervento durante le crisi umanitarie e coordinare le agenzie ONU durante le catastrofi per fornire una risposta omogenea alle emergenze. L'aiuto alimentare urgente (che si attua con l'invio mirato di generi alimentari, destinati alle popolazioni minacciate dalle carestie o da gravi penurie, qualunque ne sia stata l'origine) è coordinato dal World Food Programme, (http://it.wfp.org ) agenzia che si occupa di assistenza alimentare per combattere la fame. Nelle emergenze, l’agenzia fornisce cibo là dove è necessario, salvando la vita alle vittime di guerre, di conflitti civili e di disastri naturali. Una volta conclusa l’emergenza, l’assistenza alimentare aiuta le persone a ricostruire la propria vita e quella delle comunità in cui vivono.

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L'aiuto ai rifugiati ed ai profughi (inteso ad organizzare sia l'accoglienza nei paesi ospitanti che il rimpatrio delle persone sfollate) è coordinato dal UNHCR (www.unhcr.it ) che opera in 123 paesi del mondo e si occupa di oltre 40 milioni di persone. Il mandato dell’UNHCR è di guidare e coordinare, a livello mondiale, la protezione dei rifugiati e le azioni necessarie per garantire il loro benessere. L’Agenzia lavora per assicurare che tutti possano esercitare il diritto di asilo e di essere accolti in sicurezza in un altro Stato. Insieme ai governi, l’UNHCR aiuta i rifugiati a tornare a casa, ad essere accolti nel paese dove hanno trovato rifugio o in un paese terzo. Oltre alle agenzie dell’ONU importante compito viene svolto dalla Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, entità indipendenti che coordinano su scala mondiale il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), la Federazione internazionale delle società nazionali di Croce Rossa e di Mezzaluna Rossa e le società nazionali costituite in ogni singolo paese. Obiettivi di questi enti sono il contribuire in caso di conflitto armato allo sgombro delle vittime, alla cura dei feriti e dei malati di guerra, allo svolgimento dei compiti di carattere sanitario e assistenziale connessi all’attività di difesa civile; disimpegnare il servizio di ricerca e di assistenza dei prigionieri di guerra, degli internati e dei dispersi; organizzare e svolgere, in tempo di pace, servizi di assistenza sociale e di soccorso sanitario in favore di popolazioni colpite da calamità e da situazioni di emergenza. @ 32 Il codice di condotta sugli aiuti umanitari : http://unipd-centrodirittiumani.it/it/strumenti_internazionali/Codicedi-condotta-per-il-Movimento-Internazionale-della-Croce-Rossa-e-dellaMezzaluna-Rossa-e-per-le-Organizzazioni-non-Governative-ONGdurante-le-operazioni-di-soccorso-in-caso-di-catastrofe-2004/147

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10.3. Unione Europea e aiuti umanitari L’Unione europea è il principale donatore di aiuti umanitari al mondo. Insieme, gli Stati membri dell’UE e la Commissione europea finanziano oltre la metà degli aiuti a livello mondiale. La Direzione generale per gli Aiuti umanitari e la protezione civile (ECHO) della Commissione europea ha il mandato di salvare e proteggere vite umane in caso di calamità naturali o causate dall’uomo, finanziando la consegna di aiuti a chi ne ha più bisogno. L’intervento include l’assistenza ai profughi e agli sfollati e il sostegno a progetti che aiutino le vittime a ristabilire la propria autosufficienza e a programmi per preparare la popolazione ad affrontare future calamità naturali.

@33 Sito di ECHO http://ec.europa.eu/echo/index_en

L’assistenza umanitaria dell’UE si basa sui principi di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza. Gli aiuti umanitari sono slegati da qualsiasi finalità politica e sono rivolti ai più bisognosi, senza distinzione di nazionalità, religione, sesso, origine etnica o appartenenza politica. ECHO dispone di circa 300 effettivi che lavorano nella sede di Bruxelles e di oltre 450 effettivi nei 44 uffici locali sparsi in tutto il mondo. Subito dopo una catastrofe, gli esperti si recano sui luoghi della crisi per valutare i bisogni e successivamente per controllare la realizzazione dei progetti finanziati. Grazie una rete di 200 organizzazioni partner, ECHO può dislocare rapidamente finanziamenti e personale. Dalla sua creazione nel 1992, ECHO ha erogato circa 14 miliardi di euro alle vittime di conflitti e catastrofi in più di 140 paesi. Dettati dalle necessità e guidati dai principi, gli aiuti sono un’ancora di salvezza per milioni di vittime di calamità nel mondo intero. 191


10.4. Cooperazione italiana e aiuti umanitari La cooperazione italiana segue le linee guida della Good Humanitarian Donorship Initiative che è stata lanciata nel 2003 a Stoccolma nel corso di una conferenza cui presero parte i rappresentanti dei Governi donatori, le agenzie delle Nazioni Unite, la Commissione Europea, il Comitato e la Federazione Internazionali della Croce Rossa e della Mezza Luna Rossa ed altre organizzazioni coinvolte nell’azione umanitaria. In questa occasione i Governi donatori presenti e la Commissione Europea, per tramite della Direzione Generale ECHO, sottoscrissero un documento in 23 punti in cui si enucleavano i principi e le buone pratiche del finanziamento e dell’attuazione dell’azione umanitaria

@34 Sito Good humanitarian donorship initiative http://www.goodhumanitariandonorship.org/

Tale documento, oltre a stabilire una definizione comune di azione umanitaria, fissandone finalità e obiettivi, ha consentito di individuare una serie di esempi di buone pratiche che dovrebbero essere perseguite dai Governi donatori. Finalità della Good Humanitarian Donorship Initiative (GHD) è, dunque, quella di rendere sempre più efficiente ed efficace l’aiuto umanitario nel quadro del rispetto dei principi fondamentali di Umanità, Neutralità, Imparzialità ed Indipendenza che costituiscono la base per qualsiasi intervento. Dato che la Good Humanitarian Donorship Initiative prevede l’adozione di piani di attuazione specifici che mettano in pratica i principi sottoscritti, la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo ha costituito, nel quadro della sua iniziativa volta a migliorare l’efficacia degli aiuti, un tavolo specifico MAE-ONG finalizzato all’elaborazione del piano attuativo. 192


Specifiche linee guida sono state elaborate dalla DGCS e rappresentano il risultato di tale esercizio nella consapevolezza che, seppure la GHD ricada sui singoli donatori, il riferimento è al sistema umanitario nel suo complesso. Infatti, in un mondo caratterizzato da un incremento delle crisi e delle istituzioni e organizzazioni impegnate nella risposta umanitaria, solo un’azione coordinata a livello internazionale, nella condivisione dei principi e delle finalità dell’aiuto umanitario, può consentire la necessaria coerenza al fine di evitare gli sprechi e massimizzare l’impatto degli interventi a beneficio delle popolazioni colpite.

@35 Linee guida DGCS sugli aiuti umanitari http://www.cooperazioneallosviluppo.esteri.it/pdgcs/Documentaz ione/GHDLineeGuida_finale.pdf

L’aiuto umanitario italiano si rifà ai principi del “Do No Harm”, cercando sempre di prevenire gli effetti negativi comunemente associati all’azione umanitaria, in particolare: gli effetti distorsivi dell’economia del conflitto, il rischio di creare sistemi paralleli a quelli statali in contesti dove l’autorità centrale è debole, il rischio di stimolare micro conflittualità locali legate alla distribuzione degli aiuti. Inoltre il Governo italiano si impegna ad evitare in ogni modo che l’azione umanitaria sia utilizzata come surrogato dell’azione politica, riconoscendo che entrambi gli interventi in zone di crisi sono indispensabili, ma che gli attori coinvolti, le attività da intraprendere ed i mandati sono differenti. Particolare attenzione dovrà essere attribuita ad azioni di prevenzione soprattutto nell’ambito delle crisi derivanti da catastrofi naturali. Si riconosce infatti in tale settore un valore particolare alle azioni di prevenzione che, oltre ad essere efficienti in termini economici, consentono di salvare un maggior numero di vite. 193


Questo impegno risulta tanto più strategico se inquadrato nell’ambito dei cambiamenti climatici in atto nel pianeta che, senza una corretta azione di prevenzione, rischiano di ingenerare numeri elevati di vittime nonché di migranti climatici. Per quanto concerne le crisi complesse e i paesi in particolari condizioni di fragilità l’Italia - sempre nel rispetto della neutralità dell’aiuto umanitario - garantirà un focus specifico dell’azione umanitaria nell’ambito dello State Building al fine di rafforzare i meccanismi di resilienza locali. Si esclude in ogni caso che le azioni in tali contesti possano configurarsi come interventi militari, salvo quando espressamente richiesto dal paese colpito o dalle organizzazioni umanitarie delle Nazioni Unite e solo per periodi limitati e definiti nei compiti e nei tempi, come nel caso di apertura di corridoi umanitari o di tutela dei convogli umanitari. Le ONG europee fanno riferimento al progetto Sphere che rappresenta lo sforzo volontario di alcune tra le più importanti organizzazioni umanitarie a livello internazionale di riunirsi attorno ad un obiettivo comune: migliorare gli standard di qualità dell’assistenza umanitaria e la capacità di rendicontare le attività svolte a donatori e beneficiari dei progetti. I principi e gli standard definiti all’interno del manuale Sphere, rappresentano oggi le linee guida riconosciute internazionalmente nella risposta alle crisi umanitaria. Nell’ottica di mantenere costante il processo di perfezionamento della risposta umanitaria, lo Sphere Project ha previsto l’istituzione di referenti (Focal Point) nazionali, per migliorare l’interazione e lo scambio fra i diversi attori internazionali coinvolti e per fornire in maniera allargata strumenti e risorse adeguate.

@36 Sito del progetto SPHERE http://www.sphereproject.org/

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10.5. World Humanitarian Summit – Istanbul 2016 Si è concluso a Istanbul il 24 maggio 2016 il World Humanitarian Summit, vertice che ha raccolto 9000 partecipanti da 173 Paesi, tra cui 55 capi di Stato e di governo, rappresentanti del settore privato, della società civile e delle organizzazioni non governative, con lo scopo di definire un piano di responsabilità condivisa della comunità internazionale per affrontare le odierne crisi umanitarie.

@37 Summit Istanbul 2016 https://www.worldhumanitariansummit.org/

Dal Summit è uscita chiaramente la consapevolezza che gli aiuti umanitari da soli non possono soddisfare e ridurre i bisogni di 130 milioni di persone vulnerabili nel mondo: è necessario far fronte alle cause profonde del problema, strutturando meglio le politiche diplomatiche per prevenire e risolvere conflitti, facendo insieme sforzi in ambito umanitario, di sviluppo e di costruzione della pace. Il piano d’azione a guida del World Humanitarian Summit è l’Agenda for Humanity, 'Agenda per l'Umanità', il rapporto del Segretario Generale ONU frutto di tre anni di consultazioni con oltre 23.000 persone in 153 paesi. L’Agenda for Humanity propone trasformazioni profonde del sistema umanitario che, una volta attuate, contribuiranno ad alleviare le sofferenze, mitigare i rischi e ridurre le vulnerabilità a livello globale. Essa stabilisce inoltre 5 Responsabilità-chiave a cui tutti, cittadini e leader mondiali, siamo chiamati un condiviso senso di umanità:

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1) Responsabilità-chiave n.1: Prevenire e porre fine ai conflitti Se i leader politici non dimostreranno di voler prevenire e far cessare le crisi, poco cambierà per i milioni di bambini, donne e uomini che di queste crisi subiscono l’impatto. I leader- inclusi i membri del Consiglio di Sicurezza – devono porre la compassione e il coraggio al cuore dei processi decisionali. Devono agire in anticipo per stroncare i conflitti sul nascere. Devono ricorrere a tutte le leve in loro possesso per prevenire i conflitti e trovare soluzioni. E devono mettere da parte le divisioni e investire in società pacifiche e inclusive. 2) Responsabilità-chiave n.2: Rispettare il diritto che regola le modalità di guerra Se non vi è il rispetto e il monitoraggio del diritto umanitario e dei diritti umani a livello internazionale, e se i responsabili non sono chiamati a rispondere delle loro violazioni, i civili continueranno a costituire la maggioranza delle vittime dei conflitti, mentre ospedali, scuole e case continueranno ad essere distrutti. Inoltre, gli operatori umanitari continueranno a fronteggiare impedimenti nell’assistenza ai civili, e nel tentativo di portare soccorso metteranno a rischio la propria vita. 3) Responsabilità-chiave n.3: Non lasciare indietro nessuno Immagina di essere una delle persone più vulnerabili al mondo. Sei stato costretto ad abbandonare la tua casa, o la siccità ha bruciato il raccolto per il quinto anno di fila. Sei apolide, o il bersaglio di discriminazioni in ragione della tua razza, della tua religione o della tua nazionalità. Ora immagina che il mondo ti dica che nessuna di queste persone verrà lasciata indietro – che i più poveri del mondo beneficeranno di programmi di sviluppo, che i leader mondiali si impegneranno per ridurre i fenomeni di sfollamento, che donne e giovani donne vedranno affermati e rafforzati i loro diritti, e che tutte le bambine e tutti i bambini- sia che si trovino in zone di conflitto, sia che siano stati sradicati dalle loro abitazioni- potranno ricevere un’istruzione. Tutto questo potrà diventare realtà se i leader prenderanno in proposito impegni concreti.

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4) Responsabilità-chiave n.4: Lavorare diversamente per porre fine al bisogno Potremmo farci cogliere di sorpresa da disastri naturali improvvisi, ma molte delle crisi che richiedono il nostro intervento possono essere prevenute. Immagina di lavorare con le comunità esposte ai rischi e con attori-partner per contribuire a renderle maggiormente preparate ai rischi e meno vulnerabili nel caso in cui queste si manifestino. Immagina se potessimo non solo raccogliere dati di migliore qualità sul rischio-crisi, ma anche farne uso sin dalle prime fasi. In questo modo, potremmo ridurre rischi e vulnerabilità a livello globale. 5) Responsabilità-chiave n.5: Investire nell’Umanità Se davvero vogliamo dare seguito alle nostre responsabilità verso i più vulnerabili, dobbiamo investire su di loro, sul piano politico e su quello finanziario. Ciò significa aumentare i finanziamenti non solo per la risposta alle emergenze, ma anche per la prevenzione e la preparazione ai rischi, per i conflitti protratti e per gli sforzi di peace-building (KW). Significa rafforzare la risposta a livello locale convogliando risorse alle ONG del luogo e a fondi comuni. Significa sbloccare investimenti cruciali, come i flussi delle rimesse. E significa anche trovare forme di finanziamento innovative, attraverso prestiti, sovvenzioni, obbligazioni e meccanismi assicurativi; attraverso collaborazioni con banche di investimento, società di credito e meccanismi di finanza sociale islamica. E' inoltre necessaria una maggiore flessibilità nei metodi di finanziamento impiegati dai donatori, e la massima efficienza e trasparenza possibili circa il modo in cui le agenzie umanitarie investono le loro risorse. Per poter assumere tale responsabilità si è costituito il Regional Organisations Humanitarian Action Network, con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione tra le organizzazioni regionali impegnate nell’aiuto umanitario.

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Si è istituita anche la Global Prepardedness Partnership per aiutare i Paesi più vulnerabili a raggiungere un livello minimo di reazione agli shock futuri entro il 2020. Il vertice di Istanbul ha rafforzato il ruolo cruciale dei finanziamenti come fattore chiave per intervenire alle radici delle crisi umanitarie. I partecipanti hanno annunciato di volere giungere ad un “Grande Accordo” volto a migliorare l’efficienza e l’efficacia degli investimenti nel settore umanitario, per rendere le organizzazioni più trasparenti e meno concorrenti tra di loro. L’accordo prevede il progressivo trasferimento agli operatori locali e nazionali delle risorse finanziarie messe a disposizione dagli aiuti umanitari, le quali devono essere gestite il più possibile dai protagonisti locali che si trovano in situazione di crisi. Non sono mancate anche voci critiche che hanno denunciato incoerenze e gravi omissioni. Tra queste rilevante la posizione di Medici senza Frontiere che ha assunto la decisione di ritirarsi dal vertice motivandola nella seguente maniera : “Non abbiamo più alcuna speranza che il WHS affronti i punti deboli dell’azione umanitaria e della risposta alle emergenze, in particolare nelle aree di conflitto o in casi di epidemie. Il focus del WHS sembra essere quello di incorporare l’assistenza umanitaria in una più ampia agenda sullo sviluppo e la resilienza. Inoltre, il vertice trascura di rimarcare gli obblighi degli Stati a rispettare e implementare le leggi che hanno sottoscritto sugli aiuti umanitari e i rifugiati. Mentre continuano su base quotidiana scioccanti violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti dei rifugiati, i partecipanti al WHS sono spinti a dare il loro consenso su buone intenzioni, del tutto generali, per ‘sostenere norme' ed ‘estinguere bisogni’. Il summit è diventato una foglia di fico fatta di buone intenzioni, che consente a queste sistematiche violazioni, in primo luogo da parte degli Stati, di essere ignorate.

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Ai partecipanti al vertice, siano Stati, agenzie delle Nazioni Unite o ONG, viene chiesto di dichiarare i loro nuovi e ambiziosi “impegni”. Ma porre gli Stati sullo stesso piano delle organizzazioni non governative o delle agenzie delle Nazioni Unite, che non hanno gli stessi poteri o doveri, porta a minimizzare la responsabilità degli Stati. Inoltre il carattere non vincolante degli impegni comporta che pochissimi attori sottoscriveranno impegni che non abbiano già preso in precedenza. Speravamo che il WHS avrebbe previsto istanze come l’accesso e la protezione, rafforzando il ruolo degli aiuti umanitari indipendenti e imparziali, e ponendo particolare attenzione alla necessità di migliorare la risposta alle emergenze. Purtroppo non l’ha fatto e si è concentrato invece sull’ ambizione di "aiutare in modo diverso" e "estinguere i bisogni", belle parole che minacciano di dissolvere l'assistenza umanitaria in agende più ampie fatte di sviluppo, peace-building e politica. Non riusciamo più a capire come il WHS aiuterà il settore umanitario a rispondere agli enormi bisogni causati dalle continue violenze contro i pazienti e il personale medico in Siria, Yemen e Sud Sudan; dal fatto che i civili intenti a fuggire vengono bloccati alle frontiere in Giordania, Turchia e Macedonia; dal trattamento inumano di rifugiati e migranti che cercano disperatamente di trovare un sicurezza in Grecia e in Australia; dalle gravi lacune durante la risposta all'epidemia di Ebola, che troviamo ancora oggi, anche se su scala minore, nell’epidemia di febbre gialla in Angola; dalle gravi restrizioni imposte da alcuni Stati all’accesso umanitario, che negano alle persone i servizi di base e dalla continua mancanza di una mobilitazione efficace per affrontare le ricorrenti epidemie in Repubblica Democratica del Congo. In tutte queste situazioni, le responsabilità degli Stati nel crearle e la minore capacità del sistema umanitario di rispondere, con conseguente aumento di sofferenza e morte, resteranno irrisolte.”

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10.6. Il “continuum” tra emergenza, riabilitazione e sviluppo Tali motivazioni sono anche alla base dell’analisi delle condizioni dei Paesi meno sviluppati attraverso il modello articolato nelle fasi di emergenza, riabilitazione e sviluppo e nei relativi strumenti. È necessario, innanzitutto chiarire che suddetta suddivisione è essenzialmente virtuale, nel senso che nella realtà non potranno mai riscontrarsi circostanze caratterizzate unicamente dagli elementi costituenti le singole categorie in esame. Quindi, nella realtà potranno molto più probabilmente riscontrarsi situazioni caratterizzate da un mix degli elementi qui considerati. Infine, le suddette categorie potranno presentarsi secondo un ordine cronologico differente rispetto a quello proposto, addirittura alcuni elementi potranno presentarsi simultaneamente nello stesso contesto geografico. L’EMERGENZA (Emergency/Relief) è caratterizzata dalla presenza di condizioni disastrose causate da eventi umani (es. guerra) o naturali (es. terremoti, siccità, alluvioni). La situazione richiede assistenza immediata per la sopravvivenza stessa delle vittime della crisi. La maggior parte degli interventi d’emergenza sono organizzati in tempi brevissimi (12-48 ore) e sono destinati a durare per periodi piuttosto limitati nel tempo (ECHO, l’agenzia della Commissione Europea che si occupa dell’emergenza delimita, salvo condizioni particolari, gli interventi di emergenza ad una durata di 8-12 mesi). L’obiettivo principale è quello di salvare il maggior numero di vite umane, attraverso il ripristino dell’accesso alle risorse primarie per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali (cibo, acqua, soccorso). In tali circostanze normalmente si assiste ad un cospicuo immediato investimento in termini di personale e finanziamenti esterni. Notoriamente, gli interventi di emergenza più complessi sono quelli che vedono coinvolte le vittime di conflitti civili caratterizzati da consistenti spostamenti di popolazione.

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I recenti tragici eventi dello Tsunami hanno però evidenziato che le calamità naturali, quando avvengono in contesti già caratterizzati da sottosviluppo strutturale o da sanguinosi e duraturi conflitti, possono determinare crisi acute che possono facilmente sfociare nelle cd. “crisi complesse”. La fase di RIABILITAZIONE (Rehabilitation) è caratterizzata dallo sforzo di ricostruzione di un minimo di normalità nelle vite dei sopravvissuti al disastro naturale o umano. Spesso il periodo di riabilitazione si sovrappone a quello di emergenza e prevede un periodo massimo di due anni per la conclusione delle attività corrispondenti. Gli obiettivi principali sono il ripristino delle condizioni minime (strutture ed assetti materiali e sociali) utili a favorire il graduale rientro dei beneficiari a normali condizioni di vita, avviando la progressiva ricostruzione di infrastrutture a livello nazionale e a livello locale e preservando le vite umane al di là dei bisogni immediati. Poiché uno degli principali obiettivi specifici è l’autosufficienza dei beneficiari, si tende gradatamente a devolvere la gestione dei programmi di intervento ai quadri locali. Inoltre, questa è la fase in cui normalmente vengono varati programmi di riavvio delle attività generatrici di reddito. In situazioni caratterizzate da instabilità continuata, la fase di riabilitazione prevede anche l’introduzione di aspetti legati alla prevenzione (in modo da evitare il ricostituirsi delle cause che hanno scatenato l’emergenza) ed alla mitigazione dei disastri (in modo da ridurre ogni possibile deterioramento della situazione). In questa fase è importante perseguire il raggiungimento della stabilità strutturale per l’avvio dei processi di sviluppo. La fase di SVILUPPO (Development) è caratterizzata da obiettivi cosiddetti a lungo termine, ovvero che si estendono oltre i due anni, e presume condizioni di sicurezza sostanziale unitamente ad un apparato amministrativo con obiettivi nazionali e strategie

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pianificate ed attuabili in collaborazione con partner esterni. In questa fase si inaugurano studi di fattibilità per iniziative di largo respiro che tengano conto della dimensione nazionale, quella regionale e locale degli obiettivi specifici. Particolare importanza viene data in questa fase agli aspetti ambientali ed allo sviluppo degli equilibri sociali anche in relazione agli aspetti di genere. È importante sottolineare nuovamente che le tre fasi sopra descritte non necessariamente nella realtà rispettano l’ordine cronologico presentato, ma possono presentarsi simultaneamente. Le diverse forme di assistenza determinate dalla suddivisione delle suddette fasi possono meglio essere definite in base agli obiettivi immediati e alla durata delle azioni, piuttosto che sulla base di presunti virtuosismi e sequenze logiche o cronologiche che dall’emergenza portano allo sviluppo. Da un punto di vista operativo le tre fasi sono considerate come una sorta di “continuum”, dove già in fase di emergenza si debbono mettere le basi per il raggiungimento di quelli che sono gli obiettivi previsti per la fase di sviluppo, sia nel settore socioeconomico che in quello istituzionale ed ambientale. Molteplici sforzi si sono compiuti in tal senso, anche se a tutt’oggi risulta ancora estremamente complesso far si che le agenzie internazionali siano in grado di superare le rigidità amministrative e di programmazione che tendono a racchiuderle in gusci operativo/gestionali angusti e poco corrispondenti alle necessità effettive del contesto reale. A questo proposito è importante sottolineare che le ONG presentano ovviamente un grado di flessibilità invidiabile rispetto ad esempio alle agenzie delle Nazioni Unite. Il problema, tuttavia, è far corrispondere tale flessibilità operativa alle linee strategico -operative dei vari donatori (concretizzate poi nelle linee-guida stabilite in sede di definizione delle varie linee di finanziamento).

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Le emergenze complesse Negli ultimi anni, in molti paesi (come la Siria, l’Iraq, Somalia, il Sudan e l’Afghanistan) si sono andati moltiplicando casi di coesistenza simultanea delle tre fasi descritte per periodi di tempo anche estremamente prolungati (nel caso della Somalia possiamo parlare di più di 20 anni). Emergenza, lavori di riabilitazione e assistenza allo sviluppo tendono a coesistere insieme a focolai di conflitti e crisi interagendo in innumerevoli modi. Ecco quindi quelle che vengono definite EMERGENZE COMPLESSE (complex emergencies). Le emergenze complesse sono generalmente caratterizzate da uno stato di sottosviluppo strutturale combinato a un’emergenza permanente; in concreto, da apparati socio-economici completamente o grandemente danneggiati, fenomeno al quale si connette una distruzione quasi totale o totale degli apparati politico-istituzionali. Queste condizioni possono inizialmente derivare da disastri umani o naturali, ma i loro effetti sono spesso ingigantiti e resi permanenti da una sorta di “politicizzazione” della crisi. Le crisi normalmente avvengono in condizioni generali in cui predomina la scarsità; la gente combatte per la sussistenza a fronte di trascurabili risorse economiche. Generalmente, in ambiti di emergenze complesse coesistono fazioni di combattenti con noncombattenti e tra questi fronti si creano flussi di popolazioni profughe. Le emergenze complesse sono crisi che richiedono una risposta internazionale che va oltre il mandato o la capacità della singola agenzia e che può richiedere il coinvolgimento di una presenza militare per questioni di sicurezza o di competenza logistica sul terreno.

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La grande sfida presentata dalle emergenze complesse è che disorientano completamente le esistenti strutture di cooperazione internazionale con la necessità di vedere affrontati allo stesso tempo casi tipici dell’emergenza acuta e dello sviluppo. In realtà si pone quindi la necessità di integrare, piuttosto che coordinare, tra loro emergenza, riabilitazione e sviluppo in un quadro strategico a lungo termine. Un esempio tipico è quello di prevedere iniziative di prevenzione o mitigazione di disastri in quadri strategici di sviluppo sostenibile. In pratica è spesso possibile conciliare in una stessa attività obiettivi di breve termine (tipico dell’emergenza) ed obiettivi di lungo termine (tipico della fase di sviluppo) ed indirizzare simultaneamente le necessità tipiche dell’emergenza insieme a quelle dello sviluppo. Ad esempio, l’aiuto umanitario può fare uso dei mercati locali esistenti per la distribuzione degli aiuti. Infatti, nonostante i disordini e i conflitti, le reti di attività imprenditoriali ed economiche (formali e soprattutto informali), tendono a ricostituirsi immediatamente, magari secondo logiche e potenzialità differenti e possono conseguentemente essere ben utilizzate per la distribuzione di beni essenziali alla popolazione. Un modo particolarmente efficace per unire aiuti umanitari con criteri di sviluppo è quello di procedere ad una mappatura sistematica degli assetti produttivi e sociali dei distretti e delle regioni coinvolte dalla crisi. In tal modo non solo è possibile misurare l’impatto dei vari interventi, ma è possibile cogliere eventuali segni di prossimo cedimento (e quindi di potenziale crisi) nelle varie aree. I risultati di tale raccolta dati devono poi essere messi a disposizione delle varie agenzie in modo da rendere quanto più possibile coordinato il lavoro a vari livelli (pianificazione delle iniziatine, gestione delle risorse, monitoraggio dell’impatto, ecc.).

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SCHEDA RIASSUNTIVA Lezione 10 Risultati attesi : Aver conosciuto il sistema internazionale degli aiuti umanitari, le sue finalità, il codice di condotta e le sue criticità. Aver identificato le entità che si occupano di aiuti umanitari e come lo fanno. Parole Chiave : Emergenza – emergenze complesse – riabilitazione – rifugiati – profughi – smobilitati – rimpatriati – OCHA – ECHO – SPHERE – Peace-building Punti di approfondimento : Qual è la finalità principale degli aiuti umanitari ? Quali agenzie delle Nazioni Unite si occupano principalmente di aiuti umanitari ? Su quali principi si basa l’assistenza umanitaria dell’Unione Europea ? Quale Direzione se ne occupa ? Quali sono le finalità del GHD ? Quali gli obiettivi di SPHERE ? Quali sono le 5 responsabilità chiave dell’Agenda for Humanity ?

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11. STRUMENTI PER PROGETTARE E GESTIRE

Obiettivo : Conoscere come gestire l’intero ciclo del progetto nelle sue diverse fasi; sapere utilizzare gli strumenti di analisi e di costruzione di un progetto. Conoscere il Quadro Logico; saper costruire un bilancio preventivo e le esigenze di rendicontazione.

La Commissione Europea, dal mese di marzo del 2002, propone il “Project Cycle Management – Handbook”, come strumento fondamentale per la progettazione e gestione delle iniziative di cooperazione internazionale. Il Ciclo del Progetto – Project Cycle Management (PCM) –– è un processo operativo, assunto da tutte le entità di cooperazione internazionale e prevede l’utilizzo di vari concetti e strumenti per garantire qualità nelle diverse fasi del ciclo di vita di un progetto (ideazione, progettazione esecutiva, realizzazione, monitoraggio e valutazione).

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Questa metodologia:   

si basa sull’analisi dei problemi, da cui poi scaturisce la logica dell’intervento; si fonda sulla relazione di causa-effetto tra i problemi e quindi tra gli obiettivi; s’ispira alla “programmazione per obiettivi”, secondo la quale è opportuno stabilire prima gli obiettivi (intesi come benefici duraturi per i beneficiari dell’intervento) e identificare solo dopo le attività da realizzare per il loro raggiungimento; non è una procedura da seguire “a tavolino”; essa è veramente utile se si coinvolgono nella fase di progettazione i soggetti che a livello locale sono interessati ai problemi individuati (primi fra tutti i beneficiari cui il progetto è rivolto).

Le diverse fasi del PCM sono dunque le seguenti: Analisi del contesto :   

analisi dei problemi analisi degli obiettivi identificazione degli ambiti d’intervento

Definizione del progetto di massima:  

scelta degli ambiti d’intervento definizione del progetto di massima con il Quadro Logico

Codificazione ed esecuzione del progetto:   

scrittura del documento del progetto e del budget pianificazione operativa (risorse, tempi e scadenze) monitoraggio e valutazione

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Analisi del contesto Ogni progetto deve proporsi di trovare risposte adeguate ai reali problemi di esclusione individuati. Il primo passo consiste, pertanto, in una dettagliata analisi dei problemi dei beneficiari. Per condurre una corretta analisi è necessario interpellare direttamente i beneficiari circa i problemi che sentono maggiormente e che vivono con particolare disagio. Solo quando i beneficiari non possono essere contattati e intervistati direttamente è opportuno rivolgersi a soggetti diversi (organismi rappresentativi, educatori, volontari, ecc.) o utilizzare questionari.

§ Testimonianza Se i tuoi progetti valgono un anno, semina il grano. Se valgono dieci anni, pianta un albero. Se valgono cent’anni, istruisci le persone. (Kuan - Tsen VII sec. a.C.)

Perché condurre l’analisi del contesto? Una corretta ed approfondita analisi del contesto:   

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fornisce una descrizione completa della realtà in cui si vuole intervenire con riferimento alle condizioni di vita dei beneficiari; stabilisce i nessi causali prima nell’ambito dei problemi e degli obiettivi; “fotografa” la situazione problematica nella quale i diversi soggetti interessati (stakeholder) si possono riconoscere e identificare.


La descrizione del contesto include i seguenti passi:   

l’analisi dei problemi; l’analisi degli obiettivi (trasformazione dei problemi in obiettivi); l’identificazione degli ambiti di intervento (clustering).

Attenzione! L’esperienza dimostra che uno dei fattori che maggiormente ha determinato il fallimento di progetti è l’insufficiente partecipazione dei beneficiari in tutto il ciclo di vita di un progetto, ma soprattutto nella fase di progettazione di massima, dove l’idea fondamentale del progetto si forma. Per questo motivo è importante possedere capacità di ascolto, in tutto il corso del progetto: nella fase iniziale, per definire con precisione i problemi, durante l’erogazione dei servizi per tenere sotto controllo le attività, e al termine per verificarne l’esito. È assolutamente necessario, pertanto, che tutto il processo di progettazione, dall’analisi dei problemi alla progettazione vera e propria, sia il prodotto di un lavoro sviluppato con il coinvolgimento diretto dei beneficiari, dei loro rappresentanti e di tutti gli attori coinvolti, possibilmente sotto la guida di un facilitatore/coordinatore.

Analisi dei problemi Il primo passo della progettazione consiste nell’identificazione dei problemi che esistono relativamente a un contesto o una situazione. Può essere, per esempio, una situazione di povertà estrema, una condizione di discriminazione sociale o lavorativa dei beneficiari finali o, nel caso di progetti rivolti ai beneficiari intermedi, una situazione di difficoltà o d’inefficienza delle strutture o dei sistemi.

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Il problema è uno stato di disagio/difficoltà vissuto dai beneficiari. In altre parole, il problema è una condizione negativa esistente nella realtà oggetto dell’analisi. In questa prima fase è opportuno identificare, con l’aiuto di tutti i partner e dei beneficiari, i problemi legati alla condizione di discriminazione che si vuole affrontare. Può essere utile identificare soprattutto le cause che determinano lo specifico problema di discriminazione o difficoltà che è alla base dell’idea progettuale. Il primo vero passo della progettazione consiste in un’identificazione dei problemi che esistono in una determinata situazione o, per meglio dire, relativamente all’entità prescelta. È importante chiarire i due termini-chiave che si usano in questa fase di analisi (problema e obiettivo):

 

un problema indica una situazione attuale negativa; un obiettivo indica una situazione futura positiva.

È importante che i problemi siano formulati a partire dalla realtà, non sulla base di idee, teorie o prefigurando soluzioni, seppure auspicabili. Quanto più l’identificazione dei problemi è basata sugli aspetti concreti e tangibili della realtà, tanto più il lavoro di progettazione sarà di qualità.

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Attenzione! Evitare di formulare i problemi in termini di “mancanza” – la cosiddetta “soluzione assente” – (ad esempio, “mancanza di strutture di orientamento e assistenza...”): in questo modo non si identifica il vero problema dei beneficiari dell’intervento, vale a dire che cosa essi non possono o non sono in grado di fare, ma si delinea già una delle possibili soluzioni al problema (“le strutture di orientamento e assistenza”, per l’appunto). Ci si dovrebbe, invece, chiedere: “Quale problema sarebbe risolto con le strutture di orientamento e assistenza?”; a questa domanda una risposta possibile può essere ad esempio: “I beneficiari non sanno come costituire un’impresa individuale”. Descrivere il problema in modo diretto, senza ricorrere ad una terminologia specialistica: un problema descritto in maniera esplicita (ad esempio “numerosa parte gli abitanti non hanno alloggi”) aiuta l’analisi delle possibili cause ed effetti e favorisce l’individuazione del conseguente obiettivo. Astenersi dalle valutazioni personali (ad esempio “l’Ente Parco è incompetente”; in questo caso il problema può essere invece “l’Ente Parco non sia in grado di svolgere questa attività”). Evitare le affermazioni generiche (ad esempio “cultura insufficiente”); in questo caso è opportuno specificare meglio il problema, formulandolo ad esempio come “alto tasso di abbandono scolastico”.

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Le caratteristiche che devono avere i problemi identificati in questa fase sono le seguenti:     

reali, basati cioè su fatti concreti e non su idee o opinioni; oggettivi, basati su fatti certi e dimostrabili; espressi in termini negativi, che rappresentino quindi delle condizione negative attuali e non delle soluzioni; chiari, comprensibili; specifici, riferiti cioè a aspetti o elementi precisi (persone, luoghi, tempi, quantità, ecc.).

Una volta identificati i problemi, questi si collocano in un diagramma ad albero costruito secondo delle relazioni di causaeffetto dal basso verso l’alto (albero dei problemi - KW).

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Analisi degli obiettivi In seguito alla costruzione dell’albero dei problemi, occorre trasformare tutti i problemi in possibili obiettivi da raggiungere, riformulando in positivo la situazione negativa precedentemente individuata. L’obiettivo, così inteso, rappresenta una condizione positiva da raggiungere. L’albero dei problemi diventa, così, un albero degli obiettivi .

Identificazione degli ambiti d’intervento Costruito l’albero degli obiettivi, è opportuno raggruppare questi ultimi secondo ambiti di intervento omogenei. Ciò significa includere nello stesso ambito quegli obiettivi per raggiungere i quali è necessario mettere in campo competenze tecniche e istituzionali sostanzialmente simili. Il grafico che segue fornisce un esempio di come individuare tali ambiti di intervento (definiti anche cluster).

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Check list 1. Raccolta dati e informazioni Si sono adeguatamente coinvolti e sentiti i beneficiari? Si è chiesto loro: quali sono i problemi intesi come stati di disagio/difficoltà? Sono disposti a partecipare attivamente alla progettazione? Si sono individuati gli attori che potrebbero assumere un ruolo attivo in merito alle aree problematiche del progetto? Sono state considerate tutte le fonti statistiche rilevanti? 2. Formulazione dei problemi Si sono formulati i problemi in termini di “cosa i beneficiari non possono o non sono in grado di fare”? Si sono formulati i problemi in maniera chiara e precisa? Si sono formulati i problemi in modo negativo e oggettivo? 3. Connessione logica tra problemi e tra obiettivi Sono stati ricontrollati i legami causa-effetto dell’albero dei problemi? Sono stati ricontrollati i legami causa-effetto dell’albero degli obiettivi?

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Il metodo della SWOT analysis È uno strumento utile a:   

cambiare gli atteggiamenti mentali di fronte ai problemi; fornire un’istantanea generale o dettagliata dello stato di benessere di un determinato territorio; capire vantaggi e svantaggi di singole operazioni economiche / affari.

Si basa su una matrice divisa in quattro campi dedicati a:

   

punti di forza (strenghts); punti di debolezza (weaknesses); opportunità (opportunities); minacce (trhreats).

In In questo questo quadrante quadrante sisi collocano collocano quegli quegli aspetti aspetti positivi positivi che che caratterizcaratterizzano zano ilil territorio territorio ee ne ne rappresentano rappresentano le le intrinseche intrinseche specificità specificità

In In questo questo quadrante quadrante sisi collocano collocano quegli quegli aspetti aspetti negativi negativi che che caratterizcaratterizzano zano ilil territorio territorio ee ne ne rappresentano rappresentano le le intrinseche intrinseche specificità specificità

S W O T In questo quadrante si collocano quelle leve (opportunità) potenziali e/o future in grado di generare vantaggi e occasioni di sviluppo

In In questo questo quadrante quadrante sisi collocano collocano ii rischi rischi (minacce) (minacce) potenziali potenziali e/o future che e/o future che possono possono generare generare aree aree di di crisi, crisi, ostacolando ostacolando processi processi di di sviluppo sviluppo 6

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La SWOT analysis è utile per prendere decisioni su quali sono i punti di forza su cui puntare, o i punti deboli su cui intervenire, e su quali sono le minacce che possono essere trasformate in opportunità. Svantaggi:   

rischio di procedure soggettive da parte del team di valutazione nella selezione delle azioni; può descrivere la realtà in maniera troppo semplicistica; se non viene attuata in un contesto di partnership c’è il rischio di uno scollamento tra piano scientifico e politicopragmatico.

Vantaggi: 

    

modo efficace d’identificare i punti di forza e di debolezza, e di esaminare le opportunità e le minacce a cui fare fronte. Aiuta a focalizzare le attività nelle aree in cui si è forti e dove risiedono maggiori opportunità; l’analisi approfondita del contesto orienta nella definizione delle strategie; consente di raggiungere un consenso sulle strategie (se partecipano all’analisi tutte le parti coinvolte nell’intervento); evita interventi disastrosi; flessibilità e realismo; utile per identificare obiettivi, partner, mezzi e risorse necessarie al progetto; da una idea delle dinamiche sociali che possono essere a vantaggio o svantaggio e come queste possono essere “manipolate” per raggiungere l’obiettivo del progetto.

Questo strumento di analisi colloca e valuta il progetto in un’ottica “sistemica”, consentendo di individuare e mappare i punti di forza e di debolezza per la costruzione dell’edificio progettuale.

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La letteratura solitamente classifica i fattori endogeni “positivi” come punti di forza e quelli “negativi” come punti di debolezza; lo stesso vale per i fattori esogeni, definiti come opportunità e rischi. Tra i primi si considerano tutte quelle variabili che fanno parte integrante dell’organizzazione o del Sistema: su queste è quasi sempre possibile intervenire per perseguire obiettivi prefissati. Sui secondi, invece, non è possibile intervenire direttamente, ma è opportuno predisporre strumenti di controllo che ne analizzino l’evoluzione al fine di prevenire gli eventi negativi e sfruttare quelli positivi. Tra i fattori esogeni, possiamo indicare, a scopo puramente esemplificativo, il contesto sociale, economico, normativo e politico; il livello di sviluppo tecnologico; le barriere all’ingresso, il prezzo di mercato del bene o servizio; la concorrenza. Tra i fattori endogeni, l’immagine dell’Ente in rapporto ad un servizio specifico, il know how, le tendenze evolutive del servizio, le competenze tecnologiche. L’esaustività e la bontà della valutazione condotta con metodologia SWOT sono funzione della completezza dell’analisi “preliminare”; per condurre una buona analisi non è sufficiente conoscere nel dettaglio il tema specifico, ma si rende necessaria la piena conoscenza del contesto generale all’interno del quale il progetto si colloca.

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Il Quadro Logico Il Quadro Logico (Logical Framework) è una matrice di progettazione – ampiamente utilizzata nei programmi promossi dalla Commissione europea e da altri organismi internazionali – utile per definire in maniera chiara i diversi elementi di un intervento progettuale e per visualizzarli in modo efficace. Secondo la definizione del Nucleo di Valutazione del Development Assistance Committee (DAC-OCSE), è uno strumento di gestione che consiste in “un insieme di concetti interconnessi, utilizzati in maniera dinamica per l’elaborazione, il monitoraggio e la valutazione di un Programma o di un progetto”. Permette di riassumere, in termini oggettivi, gli elementi di un programma (mezzi, risultati, scopo, obiettivo), i rapporti di causalità tra gli aspetti operativi (risorse, attività, risultati) per facilitarne la pianificazione, la realizzazione e la valutazione. Secondo le linee metodologiche adottate dalla Commissione Europea per la Sorveglianza e valutazione degli interventi Strutturali, l’applicazione di questo schema logico permette di evidenziare le relazioni e la coerenza tra i diversi livelli d’intervento e la necessaria articolazione “a cascata” degli obiettivi – risultati – interventi per i Programmi e Progetti. Il Quadro Logico è articolato in tre colonne: la prima, la logica d’intervento, descrive gli elementi fondamentali del progetto secondo una logica di causa-effetto dal basso verso l’alto. Ciò significa che le attività portano ai risultati, i risultati conducono al raggiungimento dello scopo del progetto e lo scopo contribuisce al raggiungimento degli obiettivi generali; la seconda presenta gli indicatori oggettivamente verificabili: un indicatore è ciò che si può oggettivamente osservare quando un risultato o un obiettivo è raggiunto;

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la terza descrive le condizioni esterne, vale a dire quei fattori esterni al progetto che però condizionano il raggiungimento degli obiettivi progettuali.

Logica di intervento Obiettivi Generali Rappresentano i miglioramenti e i cambiamenti di cui le strutture, i sistemi e gli operatori potranno giovarsi grazie alla riuscita e alla diffusione del modello innovativo proposto. Obiettivo specifico Definisce il miglioramento della vita dei beneficiari finali o di un aspetto importante della loro vita. Di norma esso è la trasposizione in positivo del problema di discriminazione alla base del progetto. È consigliabile identificare con precisione uno o due al massimo di questi miglioramenti dal momento che è difficile che progetti, sebbene complessi, producano più di uno o due effettivi miglioramenti. Questo miglioramento è il vero “banco di prova” della riuscita del progetto. In questo senso è importante che il progetto prenda in considerazione, già nella fase d’ideazione, tutti quegli elementi che possono favorire la durata nel tempo di questo beneficio. Molto spesso infatti, il miglioramento ottenuto viene meno dopo un certo periodo proprio perché non si è tenuto conto di fattori importanti quali la capacità imprenditoriale dei beneficiari stessi o la mentalità degli altri attori sociali, ecc. Questo aspetto della durata nel tempo del beneficio è ciò che nell’approccio PCM si chiama sostenibilità. Risultati attesi Definiscono cosa i beneficiari finali saranno in grado di sapere, fare, o essere grazie alle attività del progetto. I risultati non si riferiscono alle infrastrutture realizzate ma ai servizi offerti nell’ambito di tali infrastrutture.

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Attività Sono le azioni che saranno realizzate nell’ambito del progetto per raggiungere i risultati previsti. In sintesi, le attività conducono ai risultati, che a loro volta portano allo scopo del progetto, e lo scopo del progetto contribuisce a raggiungere gli obiettivi generali. Indicatori È necessario dimostrare l’efficacia delle innovazioni che si intendono introdurre. Un indicatore è ciò che si può osservare nella realtà nel momento in cui si raggiunge un obiettivo (o un risultato). Esso, di norma, è costituito dai seguenti elementi:    

una variabile; un target-group; un tempo di osservazione; un valore di riferimento.

Ad esempio, l’indicatore dell’obiettivo “Giovani disoccupati inseriti nel mondo del lavoro nella provincia di Maputo” potrà essere: aumento dal 40 al 50% (valore di riferimento) del tasso di occupazione (variabile) i giovani (14-25 anni) residenti in un dato territorio (gruppo di riferimento) entro 3 anni dalla fine del progetto (tempo di riferimento). È possibile definire indicatori per tutti e quattro i livelli del Quadro Logico, tuttavia è importante, soprattutto ai fini del monitoraggio e della valutazione intermedia, definirli per lo scopo e i risultati. Condizioni esterne Gli interventi progettuali, a causa di risorse o competenze limitate, non possono operare in più settori allo stesso tempo. Questo fa sì che per raggiungere certi obiettivi, il progetto debba ipotizzare che si verifichino altre condizioni esterne e indipendenti dal progetto.

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Ad esempio: i progetti formativi per i disoccupati sono finalizzati ad aumentarne l’occupazione, eppure, affinchÊ questo obiettivo sia raggiunto, tali progetti fanno implicitamente affidamento sul fatto che altre condizioni (ad esempio aumentata richiesta di manodopera da parte delle imprese, ecc.) si verifichino in modo del tutto indipendente dal progetto di formazione. Le precondizioni sono quelle condizioni che devono pre-esistere per rendere fisicamente fattibili le attività .

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Check list 1. Ambiti di intervento Gli ambiti di intervento scelti corrispondono effettivamente alle possibilità di intervento proposto? 2. Definizione del progetto di massima con il Quadro Logico Lo scopo del progetto esprime effettivamente il miglioramento della condizione sociale o lavorativa dei beneficiari finali coinvolti? Si è tenuto conto di tutti quegli aspetti che garantiscono la durata nel tempo di questo miglioramento? I risultati sono formulati in termini di nuove competenze, atteggiamenti, acquisiti dai beneficiari finali? Questi nuovi atteggiamenti e competenze sono sufficienti per garantire il miglioramento della condizione sociale o lavorativa dei beneficiari finali coinvolti? Esistono altri fattori, esterni al progetto, che contribuiscono al miglioramento della condizione sociale o lavorativa dei beneficiari finali coinvolti? Le attività previste sono effettivamente innovative? Si è verificato che gli indicatori scelti mostrino aspetti tangibili e misurabili? L’obiettivo specifico sarà la soluzione più “a valle” nel flusso causaeffetto tra le soluzioni che intendiamo realizzare. Il o i risultati attesi sono la o le soluzioni che vengono appena prima nel flusso. Le azioni sono le soluzioni che verranno appena prima. L’obiettivo specifico influenzerà il raggiungimento dello o degli obiettivi generali (anche se non sarà nostro impegno conseguirli).

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TABELLA PER LA PREPARAZIONE DEL QUADRO LOGICO Fonti e strumenti per la verifica Quali sono le fonti di informazion e per questi indicatori?

Condizioni esterne necessarie

Logica dell’intervento

Indicatori verificabili

Obiettivi generali

Quali sono gli obiettivi generali entro i quali si colloca questo progetto e ai quali intende contribuire?

Quali sono gli indicatori chiave relativi agli obiettivi generali?

Obiettivo specifico

Qual è l’obiettivo specifico che sarà raggiunto da questo progetto?

Quali sono gli indicatori in grado di verificare se e in che misura è stato raggiunto l’obiettivo specifico del progetto?

Quali sono le fonti di informazion e che esistono o che saranno raccolte dal progetto per questi indicatori? Quali metodi saranno usati per raccogliere queste informazioni ?

Quali sono le condizioni esterne (non direttamente sotto il coordinamento del leader del progetto) che debbono verificarsi affinché il progetto abbia successo? Quali sono I rischi esterni che il progetto deve prendere in considerazione?

Risultati attesi (prodotti benefici migliorame nti)

Quali sono i prodotti che il progetto raggiungerà, e che permetterann o il raggiungimen to dell’obiettivo specifico?

Quali sono gli indicatori in grado di verificare se e in che misura sono stati realizzati i prodotti, arrecati i benefici, apportati i

Quali sono le fonti di informazion e per questi indicatori?

Quali sono le condizioni esterne (non direttamente sotto il coordinamento del leader del progetto) che debbono verificarsi affinché il

Quali aspetti macro devono essere tenuti in considerazione per prevenire eventuali rischi per il progetto?

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Attività

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Quali sono i benefici che il progetto arrecherà? Quali miglioramenti il progetto apporterà?

migliorament i previsti?

Quali sono le attività che saranno condotte nel progetto (per produrre i risultati attesi) e in che sequenza saranno realizzate?

Risorse e strumenti Quali risorse e strumenti saranno necessarie alla realizzazione delle attività (personale, attrezzature, servizi subappaltati, ecc.)? Quanto costeranno?

progetto produca i risultati attesi?

Quali sono le fonti di informazion e per monitorare e valutare l’andamento del progetto?

Quali sono le condizioni preliminari necessarie affinché le attività di progetto possano avere inizio? Quali sono le condizioni esterne (non direttamente sotto il coordinamento del leader del progetto) che debbono verificarsi perché le attività di progetto possano compiersi?


Punti di verifica del Quadro Logico Se il quadro logico è bene articolato, un lettore esterno è facilmente in grado di capire:                       

Perché è necessario il progetto ? In cosa consiste l’originalità del progetto ? Su quale obiettivo di sviluppo si vuole contribuire ? Chi beneficerà del progetto (quantità e qualità, diretti ed indiretti) ? Quale obiettivo immediato si propone di conseguire ? Come verrà misurato l’ottenimento dell’obiettivo ? Quali saranno i risultati reali che permetteranno di ottenere l’obiettivo immediato ? Come saranno ottenuti ? Quali attività si dovranno intraprendere ? Qualità e quantità di risorse necessarie ? Chi sono gli attori ? L’organigramma del progetto è chiaro ? Chi realizzerà il progetto e come ? Quando e quanto durerà. La pianificazione delle attività è chiara ? Quali sono le condizioni di partenza necessarie ? Come il progetto reagirà se una di queste condizioni non si concretizza ? Il progetto è sostenibile ? Analisi “costo-beneficio” Analisi “costo pro-capite” Il budget risponde allo schema del finanziatore ? Le proporzione fra le linee di budget sono coerenti ? Gli apporti di ciascuno degli attori sono chiari ? L’apporto del finanziatore è sostenibile?

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IL DOCUMENTO DI PROGETTO Definiti tutti gli elementi del progetto, si passa alla redazione del documento di progetto, per la sua consegna al finanziatore. Per quanto riguarda il suo utilizzo bisogna considerare che il documento di progetto costituisce un accordo, un patto che vincola tutti gli attori primari di un progetto. In esso verranno definite le risorse ed il tempo a disposizione degli attori per il raggiungimento degli obiettivi concordati. Il documento sarà il riferimento principale per monitorare e valutare il progetto. Per quanto riguarda il suo contenuto, esso varia a seconda del tipo di finanziatore. Anche qui non esiste un modello unico. Di seguito viene proposto un possibile schema:

1. Contesto generale 2. Contesto specifico 3. Politica generale in atto 4. Politica specifica 5. Caratteristiche del settore d’intervento 6. Beneficiari 7. Problematica a risolvere 8. Altri interventi nella zona 9. Descrizione dell’intervento 10. Metodo 11. Risorse 12. Cronogramma di esecuzione 13. Piano di spese 14. Sostenibilità dell’intervento 15. Impatto 16. Monitoraggio/Valutazione

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Alcune domande poste dagli enti finanziatori Nell’analisi di un progetto, il finanziatore si pone alcune domande per poter decidere la sua approvazione. Alcune fra di esse vengono riportate sotto e sono di estrema utilità se vengono utilizzate a modo di checklist per controllare un progetto prima di consegnarlo al finanziatore.                          

Dove sarà realizzato il progetto? Rientra tra i paesi eleggibili? Perché è necessario il progetto? In cosa consiste l’originalità del progetto? Su quale obiettivo di sviluppo si vuole contribuire? Chi beneficerà del progetto (quantità e qualità, diretti ed indiretti)? Quale obiettivo immediato si propone di conseguire? Come verrà misurato l’ottenimento dell’obiettivo? Quali saranno i risultati reali che permetteranno di ottenere l’obiettivo immediato? Come saranno ottenuti? Quali attività si dovranno intraprendere? Qualità e quantità di risorse necessarie? Chi sono gli attori? L’organigramma del progetto è chiaro? Chi realizzerà il progetto e come? Quando? E quanto durerà? La pianificazione delle attività è chiara? Quali sono le condizioni di partenza necessarie? Come il progetto reagirà se una di queste condizioni non si concretizza? Il progetto è sostenibile? Quali sono le condizioni? Analisi “costo-beneficio” Analisi “costo pro-capite” Il budget risponde allo schema del finanziatore? Le proporzione fra le linee di budget sono coerenti? Gli apporti di ciascuno degli attori è chiaro? L’apporto del finanziatore è sostenibile? 227


Una volta controllato il progetto su queste e altre domande aggiuntive, il progetto viene presentato formalmente a uno dei finanziatori descritti sopra e quindi viene finanziato. A questo punto scatta un’altra fase del ciclo del progetto, quella della messa in opera. Messa in opera Solitamente a partire dal momento in cui un finanziamento viene erogato, inizia il progetto. A questo punto con l’insieme delle risorse disponibili, gli attori metteranno in opera il progetto. Di seguito vengono riportati i passi più importanti da seguire nella messa in esecuzione di un progetto: Gli accordi operativi: in questa fase del progetto, se non fatto prima, vengono definiti gli accordi di cui si è parlato sopra, che impegnano le parti nella realizzazione del progetto. Le metodologie, sia generali che specifiche, vengono analizzate e definite in dettaglio. Le autorità locali (politiche, tecniche, religiose, ecc.) se non coinvolte attivamente nell’esecuzione del progetto, vengono informate dell’inizio delle attività progettuali. Il personale espatriato e locale viene individuato, contrattato, formato e messo in condizioni operative possibilmente con una missione d’accompagnamento. Il documento di progetto, se non fatto prima, viene tradotto, consegnato agli attori principali e autorità locali ed analizzato insieme. In fase esecutiva, gli elementi fondamentali in analisi saranno i seguenti:

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Risorse/Metodo/Azioni/Risultati/Tempo Viene realizzata la pianificazione: in generale si tratta di definire precisamente chi-fa-cosa-come-con quali risorse-quando?, ecc. Sede del progetto: verrà individuata ed attrezzata con computer, telefono, fax, ecc. Definiti i contratti di affitto, elettricità, acqua, telefono, ecc. Acquisto delle attrezzature: pratiche di esonero, bollo e assicurazione per macchine, controlli, riparazioni, manutenzione, ecc. Acquisto dei materiali di costruzione: esoneri, ecc. Per quanto riguarda i terreni o costruzioni esistenti che verranno impiegati nell’esecuzione del progetto, si dovrà definire: proprietà, accordi di utilizzo durante e dopo il progetto, ecc. Il percorso delle risorse finanziarie esterne dovrà essere stabilito con chiarezza sia in andata che in ritorno: budget preventivo, bonifici, spese, fatture, prima nota, rendiconti, ecc. L’apporto delle risorse interne deve essere definito chiaramente: qualità, quantità, tempistica, ecc. Si contatteranno le altre organizzazioni di cooperazione attive nella stessa zona d’intervento per raccogliere le esperienze fatte da altri nello stesso settore o con lo stesso gruppo di beneficiari. Si stabiliranno degli incontri periodici di coordinamento e scambio con queste realtà. Si realizzerà una inchiesta con lo scopo di conoscere in profondità la realtà ed scattare la “foto del momento zero del progetto”. Si realizzeranno gli organigrammi sia del progetto sia dei partner coinvolti, individuando i livelli di collegamento e le persone coinvolte in ogni collegamento.

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MONITORAGGIO E VALUTAZIONI Monitoraggio Si tratta di controllare il grado di realizzazioni delle attività e il grado di utilizzo delle risorse. Gli strumenti principali di monitoraggio sono il cronogramma esecutivo ed il controllo budgetario. Il monitoraggio agisce sugli aspetti “tattici” di un progetto (risorse, attività e risultati). Alcune scuole considerano anche dentro al monitoraggio, l’analisi dei risultati prodotti da una attività. I risultati sono il raccordo operativo fra la tattica e la strategia di un progetto. È importante quindi controllare che un progetto in fase esecutiva produca il flusso di benefici previsti perché se così non fosse, l’impianto progettuale non sta funzionando. Questo controllo dei risultati può essere fatto anche in sede di valutazione. Valutazione La valutazione agisce sugli aspetti “strategici” di un progetto (obiettivo specifico e obiettivo generale). La valutazione va fatta per controllare che la macchina progettuale produca i benefici previsti e quindi raggiunga gli obiettivi. È da notare che un progetto può avere un monitoraggio che indica un funzionamento soddisfacente mentre in sede di valutazione il risultato è negativo. Questo sta a dimostrare che un progetto sta producendo risultati che non hanno nessun impatto sul raggiungimento degli obiettivi. In questo caso il progetto va ritarato nelle sue attività. In questo senso è più corretto lasciare i risultati nel campo della valutazione.

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Per quanto riguarda le responsabilità esecutive di queste due azioni, si può affermare che il monitoraggio è di responsabilità di chi esegue operativamente il progetto, mentre la valutazione è dell’insieme di attori. Vediamo di seguito come viene strutturata una valutazione seguendo alcune parole chiave: Perché? Per misurare-stimare i cambiamenti introdotti da un progetto all’interno di un sistema. Quando? Ex-ante: studi preliminari-fattibilità Iniziale: momento “zero” del progetto On going: durante la fase esecutiva Finale: alla fine del progetto Ex-post: dopo la fine del progetto Cosa? Attività: pertinenza, efficacia, sostenibilità, impatto Metodo: coerenza del metodo, riproducibilità Obiettivi /risultati: pertinenza, efficacia, sostenibilità, impatto Risorse: efficienza, coerenza dei mezzi, sostenibilità, riproducibilità Istituzioni: impatto Come? Soft: superficiale, allargata, impatto globale Hard: profondità, settoriale, impatto specifico Chi? Esterna: esperto esterno Interna: auto-valutazione Co-valutazione: mista

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La pertinenza Questo concetto è associabile a tre temi diversi: Per quanto riguarda l’attività, le domande da porsi sono: a tempo progettuale scaduto, le azioni realizzate continuano ad essere prioritarie per i beneficiari? Era possibile realizzare altre attività per raggiungere gli stessi obiettivi che risultassero più adatte alla popolazione e al contesto? Per quanto riguarda il metodo, le domande da porsi sono: la metodologia impiegata era la più adatta per raggiungere gli obiettivi previsti? Era possibile impiegare altri metodi per raggiungere gli stessi obiettivi che risultassero più adatte alla popolazione e al contesto? Per quanto riguarda l’obiettivo, le domande da porsi sono: a tempo progettuale scaduto, gli obbiettivi raggiunti continuano ad essere prioritari per i beneficiari? La pertinenza di un progetto riguarda la sua formulazione e riguarda l’entità in cui il disegno originario: • • •

riflette i bisogni dei beneficiari e affronta i problemi identificati; riflette le priorità di sviluppo e le politiche dei partners locali; contribuisce alle priorità delle ONG.

La pertinenza deve essere valutata lungo tutto l’arco di vita del progetto e si incentra sulla adeguatezza della idea progettuale rispetto ai problemi che devono essere affrontati in due momenti: quando il progetto è scritto e quando è valutato.

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L’analisi della pertinenza si riferisce alla logica progettuale e si basa su: l’adeguatezza del disegno progettuale rispetto alla situazione locale e la coerenza con altri interventi: identificazione e selezione di gruppi target e beneficiari; identificazione dei bisogni dei gruppi target e dei beneficiari; partecipazione di stakeholders locali nella fase di progettazione; valutazione delle capacità locali di implementazione; coerenza con altre iniziative nella stessa regione/paese. la logica complessiva della proposta progettuale: qualità del LF, inclusi condizioni esterne e rischi identificati; realismo nella selezione degli obiettivi e dei rischi identificati grado complessivo di flessibilità. Efficienza L’efficienza si riferisce alla misura in cui:   

i servizi sono gestiti e forniti; le attività previste sono state condotte nella maniera più adeguata date le risorse ed il tempo disponibili; le attività sono sviluppate al minor costo possibile.

Inoltre, l’efficienza ha a che fare con la questione se altre vie potevano essere percorse per raggiungere il medesimo risultato, con costi minori ma stessa tempistica o stessi costi ma tempistica più breve. L’analisi dell’efficienza si basa sulla qualità della gestione:    

gestione del budget; fornitura nei tempi; relazione con gli stakeholders, i beneficiari ed altri istituzioni/autorità locali; qualità delle procedure di monitoraggio, incluso l’uso di indicatori di efficienza.

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L’uso di alternative a costo inferiore se paragonate ad altri progetti o approcci similari; Efficacia L’efficacia è in riferimento al grado in cui:  

il progetto produce i risultati attesi; i risultati attesi contribuiscono all’obiettivo del progetto.

L’efficacia indica se gli obiettivi sono stati raggiunti e se i benefici sono stati percepiti dai beneficiari del progetto. In particolare presta attenzione a:     

i fattori che influenzano il raggiungimento dell’obiettivo specifico, inclusi fattori esterni imprevisti; la capacità gestionale di assicurare che il raggiungimento dei risultati porti al raggiungimento degli obiettivi; la reazione dei beneficiari e l’uso dei risultati del progetto; i risultati inattesi che verosimilmente produrranno effetti positivi; l’effetto che potenzialmente i risultati ottenuti possono avere su temi trasversali quali questione di genere, ambiente e riduzione della povertà.

Impatto L’impatto si riferisce agli effetti del progetto sui beneficiari così come alla sua più ampia ricaduta su di un più vasto numero di persone, all’interno del settore o dell’area geografica, in termini di fattori tecnici, economici, socio-culturali ed istituzionali. Si riferisce alla relazione esistente tra obiettivo generale ed obiettivi specifici e tiene conto del fatto che a questo livello il progetto è solo una delle variabili che influenza un certo risultato.

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L’impatto si concentra soprattutto su:     

la misura in cui l’obiettivo viene raggiunto e il contributo del progetto a tale raggiungimento; i fattori esterni che hanno influenzato l’impatto complessivo e la capacità del progetto di rispondere a tali fattori; il possibile impatto non previsto e l’effetto di questo sull’impatto complessivo; i possibili effetti a lungo termine del progetto; l’impatto del progetto rispetto alla questione di genere, l’ambiente e la povertà.

Sostenibilità La sostenibilità è spesso il criterio di valutazione più rilevante e si riferisce alla misura in cui:  

l’impatto positivo del progetto a livello di obiettivo specifico continuerà dopo che il progetto sarà stato valutato; i beneficiari vogliono e possono prendere in carico il progetto e continuare a perseguirne gli obiettivi.

Questo criterio è estremamente ampio e l’importanza relativa dei differenti livelli dipende dalla natura del progetto e dalla sua relazione con il contesto locale. L’analisi della sostenibilità s’incentra su: 

la ownership (proprietà e controllo dei processi) da parte dei beneficiari degli obiettivi del progetto (partecipazione nella loro definizione) e risultati attesi (partecipazione durante la durata del progetto);

sostenibilità istituzionale: misura in cui il progetto è connesso ed adeguato alle strutture locali istituzionali/organizzative, la capacità di queste strutture di 235


svilupparsi dopo la fine del progetto e l’adeguatezza del budget a questo scopo; 

sostenibilità finanziaria: se i servizi offerti ai beneficiari verosimilmente continuano anche dopo la fine del finanziamento; se ci sono fondi sufficienti per coprire i costi e se questi verosimilmente continueranno ad esistere dopo la fine del finanziamento;

sostenibilità socio-culturale: se il progetto prende in considerazione la percezione locale dei bisogni e se rispetta il sistema e le credenze locali; se i cambiamenti prodotti dal progetto sono stati accettati dai beneficiari e altri stakeholders ed in quale modo;

sostenibilità tecnica: se la tecnologia e la competenza fornita è compatibile con le tradizioni, le abilità e le conoscenze esistenti; se verosimilmente i beneficiari saranno in grado di mantenere questa tecnologia senza bisogno di assistenza;

possibilità di replicare esiti di successo per la possibile estensione del progetto o altri interventi simili.

Tipi di valutazione: Auto-valutazione: valutazione condotta da persone direttamente coinvolte nell’implementazione del progetto sul campo; Valutazione interna: valutazione condotta da persone che fanno parte dello staff dell’organizzazione che fornisce aiuto ma sono esterne al progetto; Valutazione esterna: valutazione condotta da persone esterne tanto all’organizzazione quanto al progetto.

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Fasi del ciclo di progetto: Valutazione intermedia (a volte indicata come “on-going” – in corso d’opera –): valutazione condotta durante l’implementazione del progetto con l’obiettivo di valutare la performance fino a quel momento e dare raccomandazioni per aggiustamenti nel corso dell’implementazione; Valutazione finale: valutazione condotta al termine del progetto. Se il progetto è parte di un’iniziativa multi-fasica, la valutazione dà informazioni che aiutano l’implementazione delle fasi successive; Valutazione ex-post: valutazione condotta dopo (di solito due/tre anni) la fine del progetto con lo scopo di valutare l’impatto a lungo termine e tirare conclusioni per progetti futuri simili. Le tappe per la preparazione di una proposta progettuale            

Chiara identificazione del problema di discriminazione Identificazione dei problemi dei beneficiari e del contesto Collocazione dei problemi individuati in un diagramma di causa-effetto (albero dei problemi) Trasformazione dei problemi (condizione negativa attuale) in obiettivi (condizione positiva futura) Identificazione di aree di obiettivi omogenei (ambiti di intervento) Scelta degli ambiti di intervento su cui il progetto interverrà Definizione dello scopo del progetto (inteso come beneficio per i beneficiari) Definizione degli obiettivi generali (impatto su strutture e sistemi) Definizione dei risultati (che cosa i beneficiari saranno in grado di sapere, fare, o essere grazie alle attività del progetto?) Definizione delle attività (attività innovative per raggiungere i risultati) Identificazione delle condizioni esterne Definizione degli indicatori 237


Modelli di rapporto È utile che i Termini di riferimento contengano un modello del rapporto di valutazione da presentare a compimento dell’incarico. Quello qui sotto è quello più comunemente usato dalla Commissione Europea. La tabella riprende la suddivisione del Manuale Operativo di Monitoraggio e Valutazione delle iniziative di Cooperazione allo Sviluppo della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo, Ministero degli Affari Esteri. Sezione Riassunto

Rilevanza del progetto, rilevanza e coerenza dell’intervento

Preparazione e disegno del progetto

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Descrizione In questa sezione si descrive in modo sintetico e con linguaggio non tecnico il contenuto del rapporto di valutazione. Si illustrano in questa sezione gli obiettivi del progetto in relazione ai problemi che ci si prefigge di risolvere e in rapporto al contesto sociale, economico, politico e ambientale in cui si effettua l’intervento. Si considera in questa analisi la coerenza e la la fattibilità del disegno progettuale. Si descrivono gli attori, i beneficiari diretti e indiretti del progetto e gli altri portatori d’interesse. Questa sezione contiene la descrizione dettagliata del progetto e la sua evoluzione dall’idea iniziale alla proposta finale di finanziamento. Si illustra in che modo sia stato concepito il progetto, come sia stato eseguito lo studio di pre-fattibilità, quali siano i risultati, ecc. L’attenzione è posta soprattutto sulla logica e coerenza interna del progetto, considerando soprattutto: la precisione nell’identificazione degli attori, dei beneficiari e degli altri portatori


d’interesse coinvolti; la coerenza e il realismo dell’impianto del progetto (rapporto tra obiettivi e risultati, attività, risorse, rischi.) Realizzazione del Considerando l’implementazione progetto e analisi di dell’intervento si stimano gli indici di efficienza produttività delle risorse impiegate e si effettua l’analisi di efficienza. Analisi dei risultati e Questa sezione riguarda l’analisi della analisi di efficacia relazione tra risultati attesi e risultati raggiunti e della relazione tra risultati e obiettivi. Effetti complessivi

Qualità, sostenibilità, replicabilità complessiva

Conclusioni e raccomandazioni

Spesso si identifica con l’ analisi d’impatto e analizza il contributo del progetto in riferimento ad un più ampio contesto socioeconomico. Il valutatore è chiamato ad esprimere un parere sulla complessiva sostenibilità del progetto in termini e prospettiva di lungo periodo. Vanno analizzate le possibilità di replicare gli eventuali successi. Particolare attenzione dovrebbe essere data a:  misure di supporto politico  sostenibilità economica e finanziaria  implicazioni socio-culturali  tecnologia appropriata  protezione ambientale  capacità istituzionale e di gestione, pubblica e privata In questa sezione si traggono le conclusioni finali e si formulano proposte per attività future. Ad ogni conclusione dovrebbe corrispondere una specifica raccomandazione. Ogni raccomandazione deve essere supportata riferimenti sintetici a dati, 239


Lezioni apprese.

documenti o elaborazioni da cui scaturisce, e, dall’indicazione della sezione del manuale in cui tali riferimenti compaiono. In questa sezione vengono riassunte le raccomandazioni che possono essere tenute in considerazione per il futuro.

Caratteristiche degli indicatori Non ci sono principi universali per costruire un buon indicatore, sebbene le caratteristiche SMART siano utili e possano essere applicate a tutti i settori e tipi di intervento. Indicatori SMART Specifici: gli indicatori devono riferirsi alle condizioni specifiche che il progetto vuole modificare. Per questo motivo devono essere definiti assieme alla controparte locale e gli stakeholders e in relazione alle condizioni locali Misurabili: indicatori quantitativi sono spesso preferiti, perché sono più facilmente gestibili e permettono ulteriore analisi statistica dei dati. Comunque, gli indicatori possono anche cogliere aspetti qualitativi. È importante definire come i dati necessari possono essere raccolti e ridurre al minimo il numero degli indicatori con una componente soggettiva. Accessibili: l’informazione connessa agli indicatori deve avere costi ragionevoli utilizzando un metodo di raccolta dati appropriato. Gli indicatori inoltre devono essere semplici e di numero limitato. Una accurata valutazione dei dati richiesti, la loro disponibilità, il costo della loro raccolta e trattamento deve essere considerato prima della selezione degli indicatori Rilevanti: gli indicatori devono essere pertinenti alla gestione del bisogno di informazione delle persone che useranno i dati. Lo staff sul campo potrebbe aver bisogno di indicatori particolari che non hanno rilevanza per chi gestisce o è nei quartier generali. Per 240


facilitare la valutazione complessiva della performance il numero di indicatori deve rimanere limitato per ogni livello di obiettivi considerati. Tempi: gli indicatori devono essere raccolti e condivisi nei tempi opportuni per influenzare le decisioni della gestione. Gli indicatori di processo misurano che cosa accade durante l’implementazione e si riferiscono soprattutto alla realizzazione delle attività. Possono essere definiti come un collegamento tra le attività e i risultati, visto che di solito sono indicati come un insieme di milestones prese da un piano d’azione ed illustrano i passaggi per giungere ai risultati. Oggi, monitoraggio e valutazione danno meno attenzione, rispetto al passato, agli indicatori di processo perché è diventato chiaro che il rispondere loro non assicura risultati di qualità o progetti di successo. Comunque, è stato anche mostrato da molti rapporti di valutazione che limitate performance in termini di risultati, spesso dipendono dal processo di implementazione. Monitorare il processo di implementazione attraverso indicatori di processo è dunque importante per creare condizioni per raggiungere i risultati concordati. Inoltre, per progetti volti allo sviluppo delle capacità, come di rafforzamento istituzionale o con pratiche partecipative, tradizionalmente portati avanti dalle ONG, gli indicatori di processo hanno un ruolo importante. Essi chiariscono la strategia seguita ed inoltre permettono il monitoraggio della qualità del processo di sviluppo in corso; quando sono concordati con i beneficiari, accrescono la capacità di auto- valutazione ed il senso di appartenenza dei risultati. Bisogna notare che nel LFM gli indicatori di processo non sono previste nella colonna degli Strumenti di Verifica.

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Comunque, visto che sono cruciali per monitorare l’avanzamento, devono essere inclusi del quadro di monitoraggio e valutazione in corrispondenza delle attività, al posto degli Inputs. Gli indicatori di processo possono essere dedotti da altri progetti, come anche il piano di lavoro o a descrizione del progetto. Esempi di indicatori di processo:      

Stato della disponibilità di libri di testo Numero di centri medici equipaggiati Data in cui i fertilizzanti vengono dati ai contadini Numero di comitati di villaggio creati Numero di corsi sviluppati Beneficiari di cibo per genere

Gli indicatori di risultati si riferiscono ai prodotti/risultati forniti dal progetto (outputs) ed i cambiamenti necessari per raggiungerne gli obiettivi (outcomes). Un buon approccio per combinare dimensione quantitative e qualitative è usare indici di partecipazione (dimensione quantitativa), con alcuni indicatori di maturità socio-istituzionale focalizzati su specifiche abilità e cambiamenti che il progetto vuole apportare. Ad esempio:        

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Numero di gruppi formati Numero e ricambio dei membri Frequenza ai corsi Numero di gruppi connessi tra loro Frequenza dei membri ai workshops di leadership e acquisizione di abilità Cambiamenti democratici (elezioni) Produzione consensuale di micro piani e piani di implementazione Prove che i piani di lavoro sono stati seguiti fedelmente e che si sono raggiunti i risultati attesi


  

Effettiva applicazione delle abilità per mantenere i gruppi al lavoro (costruzioni, attrezzature, acqua, ecc.) Supporto reciproco in attività non progettuali Membri del gruppo che hanno accesso a risorse non progettuali da alter istituzioni locali.

Gli indicatori d’impatto si riferiscono a cambiamenti di mediolungo periodo e si riferiscono di solito all’obiettivo generale del progetto, anche se alcune agenzie parlano d’impatto anche a livello di obiettivo specifico. Visto che l’impatto è definito come la differenza tra la situazione precedente e quella successiva all’intervento o al confronto tra realtà simili con e senza l’intervento, la sua misura richiede una chiara descrizione della regione/situazione/popolazione originaria. Comunque, misurare l’impatto richiede statistiche complesse sulla situazione sociale ed economica ed una raccolta dati impossibile in determinate situazioni/paesi. Inoltre, questa misurazione è complicata dalla difficoltà d’individuare l’effetto di uno specifico intervento su di una situazione dipendente da molti elementi differenti. Visto che gli indicatori d’impatto si riferiscono all’obiettivo generale, dovrebbero essere connessi agli indicatori di sviluppo individuati dal paese beneficiario e più generalmente agli indicatori concordati. Esempi di indicatori di sviluppo:  

Tasso di alfabetizzazione; Tasso di mortalità infantile.

Data la difficoltà di raccogliere dati e di isolare gli effetti di un singolo progetto, l’impatto sarà misurato usando misure indirette legate ai risultati attesi da una o più condizioni esterne. Esempi di indicatori: Tasso di alfabetizzazione: percezione, da parte dei beneficiari, di accresciute opportunità economiche e sociali; 243


Tasso di mortalità infantile: percezione dei genitori della resistenza dei bambini ad alcune malattie; Indicatore di entrata: il tasso di case con tetto di latta – e/o in possesso di una bicicletta o di un aratro – (la condizione è che famiglie con maggiore reddito tendano ad investirlo in migliorie per la casa o materiali per la fattoria).

Un nuovo approccio : the Theory of Change La “Teoria del Cambiamento” (Theory of Change) che da qualche anno richiama l’interesse anche delle entità che si occupano di cooperazione internazionale e la ricerca di nuovi strumenti di progettazione e valutazione degli interventi per garantirne l’efficacia. La necessità di coniugare i processi di globalizzazione con l’agire locale ha spinto la comunità internazionale ad assumere nuove sfide per risolvere problemi epocali che il mondo e gli specifiche realtà locali devono affrontare. Se la globalizzazione offre infatti rilevanti opportunità, attualmente i benefici che essa procura e gli oneri che impone non sono ripartiti in maniera equa. La necessità di cancellare le povertà umilianti in cui milioni di persone vivono, includere nel godimento dei diritti umani fondamentali i miliardi di persone che ne sono esclusi sono i punti prioritari di una agenda internazionale per lo sviluppo umano sostenibile che nella Dichiarazione del Millennio del 2000 e nell’Agenda 2030 “Trasformare il nostro mondo” nel 2015 la comunità internazionale ha assunto come impegno e responsabilità collettiva. Dall’idea alla realizzazione comporta un processo decisionale adeguato in cui si devono affrontare e risolvere alcuni problemi nodali che da sempre si presentano e utilizzare gli strumenti e le

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metodologie più adeguate per essere efficaci (cioè raggiungere nel miglior modo possibile i risultati auspicati). Ci si è resi conto che l’assistenzialismo e gli aiuti non sono sufficienti per realizzare una efficace cooperazione e che occorre cambiare e innovare metodologie e strumenti per essere coerenti con le finalità che si vogliono raggiungere. La necessità di trasparenza e di coerenza richiede che ogni programmazione sia fatta con logicità e coerenza esplicitando il riferimento strategico che si vuole perseguire (a quale cambiamento generale la nostra azione intende contribuire), quali obiettivi specifici e risultati collegati intendiamo raggiungere e, in una logica progettuale, in quali tempi e con quali risorse. Definendo metodologia, monitoraggio e modalità di valutazione. La Commissione Europea e le principali entità finanziatrici di progetti hanno dai primi anni 2000 proposto il “Project Cycle Management ” (PCM) come strumento fondamentale per la progettazione e gestione delle iniziative di cooperazione internazionale. Questa metodologia:   

si basa sull’analisi dei problemi, da cui poi scaturisce la logica dell’intervento; si fonda sulla relazione di causa-effetto tra i problemi e quindi tra gli obiettivi; s’ispira alla “programmazione per obiettivi”, secondo la quale è opportuno stabilire prima gli obiettivi (intesi come benefici duraturi per i beneficiari dell’intervento) e identificare solo dopo le attività da realizzare per il loro raggiungimento;

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non è una procedura da seguire “a tavolino”; essa è veramente utile se si coinvolgono nella fase di progettazione i soggetti che a livello locale sono interessati ai problemi individuati (primi fra tutti i beneficiari cui il progetto è rivolto).

 Il Quadro Logico (Logical Framework), è una matrice di progettazione utile per definire in maniera chiara i diversi elementi di un intervento progettuale e per visualizzarli in modo efficace. Secondo la definizione del Nucleo di Valutazione del Development Assistance Committee (DAC-OCSE), è uno strumento di gestione che consiste in “un insieme di concetti interconnessi, utilizzati in maniera dinamica per l’elaborazione, il monitoraggio e la valutazione di un Programma o di un progetto”. Permette di riassumere, in termini oggettivi, gli elementi di un programma (mezzi, risultati, scopo, obiettivo), i rapporti di causalità tra gli aspetti operativi (risorse, attività, risultati) per facilitarne la pianificazione, la realizzazione e la valutazione. Proprio questo strumento è forse il riferimento sintetico di come impostare l’elaborazione progettuale e su cosa focalizzare attenzione e priorità. E la necessità di farne uno strumento efficace ha portato a rivederlo in quanto considerato troppo rigido e non adeguato a identificare i processi di cambiamento e di trasformazione che avvengono nella realtà e a focalizzare maggiormente gli aspetti tattici e gli adempimenti (output) e meno l’impatto strategico e il raggiungimento degli “outcome”. Pertanto diverse entità internazionali e l’ufficio per la cooperazione internazionale della Commissione europea (Europeaid) hanno proposto un nuovo modello di Quadro Logico collegato alla definizione previa di una teoria del cambiamento di

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riferimento (Theory of change) che va esplicitata e tenuta presente nella realizzazione dei processi di cooperazione. Definire come la Teoria del Cambiamento è un adeguato riferimento di pianificazione strategica e come può essere utile strumento per programmare gli interventi. Quindi come la Teoria del Cambiamento può essere utilizzata per migliorare la qualità e la coerenza della progettazione della tua organizzazione. Infine, come la Teoria del Cambiamento può essere un riferimento per la valutazione degli interventi di cooperazione internazionale. Nelle prossime pagine tentiamo di dare un contributo di analisi e riflessione riferendoci a alcune proposte elaborate che definiscono cosa è una “teoria del cambiamento” e le criticità incontrate nell’adozione del nuovo modello di Quadro Logico e il rischio di scarsa definizione operativa nell’applicare una teoria, ancora vasta e poco sistematizzata nell’ambito della cooperazione internazionale, e come applicarla alle “call for proposal” e bandi del settore. Faremo riferimento, tra gli altri, ai seguenti documenti : 1. “Teorìa de cambio” a cura de Iñigo Retolaza Eguren – PNUD – Hivos, 2010,Guatemala https://inversionsocial.files.wordpress.com/2010/05/guiateoria-de-cambio-pnud.pdf 2. La teorìa del cambio, de Patricia Rogers, RMIT University, UNICEF https://www.unicefirc.org/publications/pdf/Brief%202%20Theory%20of%20C hange_ES.pdf

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3. “Contributi all’interpretazione del nuovo Quadro Logico Europeaid (a cura di Christian Elevati) http://www.info-cooperazione.it/wpcontent/uploads/2017/04/Paper-nuovo-LF_2016_it.pdf 4. Sito dedicato al tema : http://www.theoryofchange.org/what-is-theory-ofchange Cosa è la “teoria del cambiamento” La teoria del cambiamento è stata definita come “la descrizione di una sequenza di eventi che dovrebbe portare a un particolare risultato desiderato”. Si tratta della catena causale che collega le risorse alle attività, le attività alle realizzazioni (output), le realizzazioni ai risultati (outcome) e i risultati ai cambiamenti (impact).

§ testimonianza Dana H. Taplin e Heléne Clark, nella loro pubblicazione (“Theory of Change basics” ActKnowledge, New York, 2013, pag. 4) definiscono che “La Theory of Change è un processo rigoroso e partecipativo nel quale differenti gruppi e portatori di interesse nel corso di una pianificazione articolano i loro obiettivi di lungo termine [impact] e identificano le condizioni che essi reputano debbano dispiegarsi affinché tali obiettivi siano raggiunti. Tali condizioni schematizzate negli outcomes che si vogliono ottenere e sono organizzate graficamente in una struttura causale.”

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È importante anche sottolineare che cosa NON è una teoria del Cambiamento : a) Non è una verità assoluta e indiscutibile sul come si deve dare il cambiamento o come si desidera che avvenga tale processo. b) Non è una ricetta definitiva che aiuta ad eliminare l’incertezza esistente nei processi sociali emergenti e complessi, c) Non è un sostituto del Quadro Logico come strumento di progettazione rigida. d) Il cambiamento non si verifica in assenza di motivazione. Ed è questa la parte in genere più complessa del processo di cambiamento. e) Comporta sempre un ridisegno del contesto, dei ruoli, delle funzioni e delle responsabilità associate Le persone costituiscono il cuore di qualsiasi cambiamento. Ogni cambiamento nell’organizzazione, sia esso a livello di struttura, di composizione dei gruppi, di sistema di ricompensa o di riorganizzazione generale, richiede pur sempre un cambiamento nell’individuo. Il fatto che gli obiettivi di cambiamento in atto siano molto desiderabili non significa che non si verifichi comunque un certo grado di resistenza al cambiamento.

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Per essere efficace una teoria del cambiamento richiede che si rinforzino comportamenti, atteggiamenti e pratiche organizzative nuove. Occorre misurare le performance del processo di cambiamento secondo specificità a una nuova politica come le fondamenta stanno alla struttura di un edificio. L’enfasi sulla progettazione deriva da un’osservazione più volte ripetuta dai ricercatori e dalle persone che a vario titolo si occupano di politiche pubbliche: molte importanti domande di valutazione rimangono infatti senza una risposta soddisfacente a causa di una progettazione superficiale. Sebbene la progettazione perfetta non esista, è possibile utilizzare una serie di passaggi in modo che l’energia utilizzata per lo sviluppo e lo svolgimento di una valutazione d’impatto produca i risultati che merita. Questi passaggi sono stati integrati in un unico quadro noto, appunto, come ‘teoria del cambiamento’. Una buona teoria del cambiamento focalizza alcuni aspetti qualificanti : 1) Bisogni: è la valutazione dei problemi sofferti dalla popolazione target. 2) Input: sono le risorse che saranno utilizzate per la realizzazione dell’intervento. Queste comprendono il tempo impiegato dagli implementatori e dai valutatori del progetto e i costi sostenuti per la sua attuazione (ad esempio per l’acquisto di beni e servizi). La domanda cruciale è: fino a che punto queste risorse consentiranno l’erogazione dell’intervento? 3) Output: è ciò che è stato erogato. Può consistere in una trasmissione di informazioni, nella fornitura di un sussidio o di un servizio, etc. La domanda chiave è: in che misura l’intervento è in grado di produrre le realizzazioni previste nel breve termine?

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4) Outcome: sono i risultati osservabili che potrebbero essere raggiunti una volta che il servizio è stato erogato. I risultati nel settore delle politiche sociali di solito appaiono nel medio termine. 5) Impatto (impact): è il cambiamento nei risultati osservati attribuibile all’intervento sperimentato. 6) Infine, una teoria del cambiamento dovrebbe documentare le ipotesi (assunzioni) utilizzate per giustificare la catena causale. Queste ipotesi devono essere supportate dalla ricerca e dalla consultazione degli stakeholder. Questo rafforzerà la plausibilità della teoria e la probabilità che i risultati dichiarati saranno effettivamente raggiunti. E permetterà di migliorare non solo la capacità di rendere conto della politica (accountability), ma anche di rendere i risultati più credibili perché erano stati previsti. Durante l’implementazione, la teoria del cambiamento può essere utilizzata per controllare l’avanzamento del programma e mantenere la rotta, e anche come modello per la valutazione che produca indicatori misurabili del successo. Una volta che l’intervento è terminato, può infine essere aggiornata e utilizzata per documentare le lezioni apprese su quanto è realmente accaduto. Una teoria del cambiamento è un potente strumento di comunicazione in grado di catturare la complessità di un’iniziativa e sostenerla con i finanziatori, i policy maker o gli altri organi di governo. Il contesto economico difficile, così come la forte pressione su governi e organizzazioni perché dimostrino l’efficacia della propria azione, significa che i leader sono sempre più selettivi quando sostengono progetti di ricerca.

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Una rappresentazione visiva del cambiamento che la politica si propone sulla comunità e del modo in cui questo si realizzerà dovrebbe però rassicurare sulla credibilità dell’iniziativa. In questo modo il processo di attuazione e di valutazione può essere più trasparente, in modo che tutti sappiano cosa sta succedendo e perché. Una teoria del cambiamento è il risultato di due processi paralleli e simultanei che implicano ricerca e partecipazione. Il processo di ricerca mira a generare i dati alla base del programma e a verificarne i presupposti. Le aspettative sul fatto che un nuovo intervento porterà al risultato desiderato sono spesso giustificate dalla nostra ‘esperienza’ o ‘buon senso’. Nella misura del possibile, le valutazioni d’impatto dovrebbero evitare di fare affidamento su tali misure soggettive che sono altamente discutibili e non offrono alcuna garanzia del successo dell’intervento. Per essere veramente dimostrato (evidence based), il nesso di causalità tra l’intervento e il risultato dovrebbe contare su una solida base scientifica. Una buona teoria del cambiamento aiuta a gestire la complessità de modo adeguato senza correre il rischio delle eccessive semplificazioni. Un intervento efficace richiederà contributi di varie discipline: economia, sociologia, antropologia, psicologia, scienze politiche, etc. È fondamentale che tali competenze siano coinvolte sin dalle fasi preliminari del progetto. Il processo partecipativo di solito comprende una serie di incontri con tutti i partner coinvolti e con altri stakeholder.

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L’obiettivo è duplice: a) ottenere un feedback sulle conclusioni e le implicazioni della ricerca preliminare; b) ottenere il pieno coinvolgimento delle parti interessate, che è un fattore di successo essenziale. Una adeguata teoria del cambiamento dovrebbe includere sempre una esplicitazione chiara delle ragioni alla base dei cambiamenti reali e duraturi in una specifica area tematica e delle relative preconditions (fattori al di fuori del controllo del management che possono influenzare il legame causale delle Teoria) . L’articolazione di un percorso che porta a tali cambiamenti attraverso lo sviluppo di strutture e di competenze organizzative specifici e programmi/progetti. Un sistema di impact management & evaluation in grado di implementare quel percorso e di testare i presupposti, le risorse e gli strumenti messi in campo. Quando affrontiamo la Teoria del Cambiamento in un programma o progetto, l’esplicitazione delle assumptions è cruciale. Le assumptions riguardano il modo in cui crediamo che le cose possano cambiare e dipendono da ideologie, valori, preconcetti, stereotipi o visioni del mondo. Si tratta quindi di idee che spesso assumiamo in modo implicito, come soggetti singoli o come organizzazione, e che più sono inconsapevoli più sono pericolose poiché “agiscono senza che ce ne rendiamo conto, guidando di fatto le nostre scelte”.

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La Teoria del Cambiamento è uno strumento fondamentale per rispondere alle seguenti domande:    

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Che cosa è cambiato (o no) a livello di outcomes e perché? Quanto questi risultati sono sostenibili nel tempo? Qual’é l’impact che questi risultati hanno prodotto? Qual’é stato il contributo del programma/intervento/progetto a questi outcomes rispetto ad altre cause o influenze? Quali sono le implicazioni per le politiche e per le strategie (locali, nazionali, internazionali)?


Teoria del cambiamento e strumenti di gestione Passare dalla teoria alle pratiche di cambiamento pone il problema di quale siano gli strumenti più adeguati pe farlo con coerenza ed efficacia. Da diverse parti si sottolinea la mancanza di accordo quando dai principi generali si prova a concretizzarne l’applicazione nel campo di specifici programmi di cooperazione internazionale. L’elaborazione di linee guida condivise e di come aggiornare i diversi strumenti applicativi hanno aperto un dibattito che anche in Italia si è avviato nel sito www.info-cooperazione.it e riassunto da Christian Elevati nella pubblicazione citata. EuropeAid ha introdotto nel luglio 2015 una nuova tabella di Quadro Logico, che si fa notare non risulta coerente con l’attuale il Project Cycle Management Manual proposto dalla Commissione, mentre per altri versi sembra essere in linea con le metodologie utilizzate da altre agenzie di sviluppo, in particolare di matrice anglosassone (USAID, DFID), ambiti nei quali la Teoria del Cambiamento di fatto è nata e si è maggiormente sviluppata.

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Si denuncia una fretta nell’introdurre nei nuovi bandi nuovi strumenti non ancora perfezionati e una mancanza di una consultazione previa fra la Commissione Europea e le Organizzazioni di cooperazione internazionale per istruire in maniera condivisa tali innovazioni. Scrive Elevati. “ A ben vedere, fra la Theory of Change e il Logical Framework (LF) vi sono dei legami molto forti. Innanzitutto, fanno parte entrambi della più generale famiglia dell’ingegneria gestionale e della teoria della programmazione. Inoltre, fra i due strumenti c’è certamente continuità logica (intervention logic), in una catena (la results chain appunto, presente nella prima colonna del nuovo LF) che segue una linea causale dal piccolo al grande, dal vicino nel tempo a orizzonti temporali più estesi. D’altra parte, è altrettanto vero che questi due strumenti hanno finalità differenti. Il LF è chiaramente definito nella sua funzione, molto operativa, di strumento obbligatorio per la partecipazione a bandi di numerosi donatori e come base per impostare, attraverso gli indicatori osservabili, un sistema di monitoraggio e di valutazione su progetti specifici”... Concludendo il riferimento alla Teoria del Cambiamento e i nuovi strumenti applicativi vogliono focalizzare maggiormente la necessità di esplicitare e strutturare il più possibile oggettivamente il processo di cambiamento. Dare maggior attenzione all’impatto (e quindi alla strategia) prevedendo valutazioni finali ed ex post adeguate (con indicatori attualizzati periodicamente da un efficiente monitoraggio). Valorizzare maggiormente gli outcomes dando agli inputs il ruolo di risultati intermedi inadeguati e poco utili se non contribuiscono a raggiungere l’obiettivo generale e l’impatto auspicato.

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La nuova matrice di Logical framework proposta da EuropeAid La matrice del logical framework può essere aggiornata nel periodo di realizzazione del progetto: è possibile aggiungere nuove righe per l'elenchi di nuove attività e nuove colonne per i target intermedi (punti di riferimento) quando è rilevante e i valori verranno aggiornati regolarmente nella colonna prevista per la funzione di reportistica (vedere la colonna di " Current value"). Indica tors

Baseli ne (incl. refere nce year)

Curre nt value Refere nce date

Targe ts (incl. refere nce year)

Source s and means of verifica tion

Assump tions

Outcome(s)

Activities

Outputs

Specific objective(s):

Overall objective: Impact

Res ults chai n

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Christian Elevati nel documento citato rileva alcune criticità e contraddizioni aperte che meritano un dovuto approfondimento e chiarimento : 1) “In assenza di preparazione ed esperienza pregressa specifica, può risultare estremamente complesso disegnare un’efficace catena di risultati (results chain), che integri la funzionalità di un LF con una Teoria del Cambiamento coerente e realistica. 2) La complessità della struttura e degli indicatori che disegnano la Teoria del Cambiamento di un programma/progetto è spesso scoraggiante, soprattutto per chi si trova a doverli definire per la prima volta in occasione di un bando. Saranno avvantaggiate ONG con una lunga storia di presenza in un territorio e già in possesso di una analisi di contesto (la fase di Identification del PCM) aggiornata, come dimostra anche l’introduzione nel LF di una colonna “baseline” (indicatori di partenza della situazione che si vuole cambiare definendone il periodo). Da informazioni di prima mano di colleghi che in diversi Paesi hanno preso contatto con le Delegazioni per richiedere chiarimenti, soprattutto sulla necessità di inserire i dati di baseline (per alcune aree effettivamente 258


non reperibili) e sull'interpretazione della colonna Current Value, risulta che alcune Delegazioni hanno lasciato ai proponenti la possibilità di compilare i dati di baseline dopo l'approvazione del progetto, ammettendo la difficoltà nel reperimento di dati ufficiali. In altri casi, la colonna Current Value è stata interpretata come si trattasse dei dati di partenza, che invece dovrebbero essere quelli della colonna baseline. In questa fase di "sperimentazione" del LF si suggerisce dunque di prendere contatto con le Delegazioni UE in fase di progettazione per verificare eventuali specifiche interpretazioni delle voci dello schema da compilare. 3) Questa criticità ne porta con sé un’altra, relativa all’aumento di carico di lavoro per chi gestisce sul campo l’operatività, il monitoraggio (organizzativo e finanziario) e la valutazione interna dei programmi/progetti, in particolare, il monitoraggio e la valutazione degli indicatori relativi agli outcomes e agli outputs (principali ed eventuali intermedi)… 4) Un output può contribuire a vari outcomes (principali o intermedi); come esplicitarlo nella matrice del nuovo LF? 5) La forza della Teoria del Cambiamento si basa anche sulla possibilità di premiare la capacità di individuare per tempo che cosa non ha funzionato e di intervenire per correggere la rotta in corsa. Al momento questo tipo di premialità non è presente nei bandi EuropeAid. Il rischio è che, al contrario, la paura di perdere accountability nei confronti del donor spinga gli operatori e operatrici della cooperazione a evitare in tutti i modi un’ammissione, anche parziale, di fallimento.

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SCHEDA RIASSUNTIVA Lezione 11 Risultati attesi : Saper utilizzare gli strumenti necessari per progettare adeguatamente in accordo agli standard richiesti dalle entità finanziatrici Parole Chiave : Ciclo del progetto – Albero di problemi e degli obiettivi – SWOT analysis – Quadro logico – Indicatori SMART – Monitoraggio – Valutazioni – Pertinenza – Efficienza - Efficacia – Impatto – Input – Output – Outcome – Sosteniblità – Cambiamento Punti di approfondimento : Quali sono le fasi principali del Ciclo del progetto ? Quali sono le 4 caselle della SWOT analysis ? Monitoraggio e valutazione sono la stessa cosa ? Quale la differenza tra efficienza e efficacia ? Che cosa è la pertinenza ? Quale la differenza tra output e outcome? Quali sono le differenze tra il quadro logico tradizionale e quello proposte dalla teoria del cambiamento ?

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12. Lavorare nella cooperazione internazionale

Obiettivo : Conoscere necessità e opportunità per poter lavorare nel mondo della cooperazione internazionale.

Negli ultimi vent’anni sono aumentate le facoltà universitarie, i master, i dottorati che offrono specializzazioni nelle professionalità delle relazioni internazionali e della cooperazione. Spesso, alla fine del percorso formativo parte degli studenti si imbatte in una difficoltà spesso non risolvibile : l’ingresso nel mondo del lavoro, la possibilità di inserirsi in attività che gli permettano di fare esperienza e di valorizzare il suo investimento formativo. E’ un problema che merita di essere affrontato da tutti i soggetti che fanno parte di questo settore : politici, amministratori, enti non statali. L’escludere le nuove generazioni, il non favorire il loro inserimento nei livelli operativi e dirigenziali inficia la possibilità di costituzione del tanto desiderato “sistema Italia” auspicato nella nuova legge sulla cooperazione internazionale (n. 125/2014). Un sistema che veda pubblico e privato impegnarsi a creare sinergie e collaborazione, condividendo obiettivi comuni e garantendo che vi siano pari opportunità di inserimento anche per le giovani generazioni. Riuscire a fare in modo che tale esperienza sia fatta non da una élite minoritaria di prescelti ma da un sempre maggior numero di professionisti. Preoccupante, come è successo spesso anche negli anni passati, che la Ragioneria dello Stato imponga come priorità procedure e 261


aspetti burocratici sulla necessità di risolvere problemi o raggiungere obiettivi importanti. Ma su questo, forse, vi è una carenza e omissione del ruolo politico. La Legge 125/2014 prevede per l’Agenzia un organico di 200 dipendenti in Italia e un centinaio nelle sedi degli uffici all’estero. Ad oggi l’Agenzia ha a disposizione 127 persone in Italia e solo 26 all’estero, per questo è urgente organizzare un concorso con l’obiettivo di reclutare il personale mancante degli operatori dell’Agenzia. La direttrice Laura Frigenti in una recente intervista ha ribadito che : “L’idea dell’Agenzia per lo sviluppo è quello di avere un corpo di esperti tecnici guidati da dirigenti tecnici. Purtroppo è molto difficile trovare queste figure all’interno dello Stato”. E quindi l’esigenza di aprire il concorso al personale esterno alla pubblica amministrazione. Il Responsabile dei Rapporti Istituzionali dell’Agenzia, Emilio Ciarlo, fa riferimento a "profili con una formazione universitaria nel settore della cooperazione allo sviluppo e con quattro o cinque anni di esperienza professionale in un’ONG o un organismo internazionale”. Insomma dei giovani su cui puntare, formare e che andranno a sostituire i tecnici della vecchia generazione… Da qui ai prossimi cinque anni, il 40% del personale attuale andrà in pensione. Questi pensionati vanno sostituiti, e bene, il che significa reclutare nuovi tecnici il più presto possibile per prepararli ad assumere in un prossimo futuro funzioni dirigenziali e non all’interno dell’Agenzia”. Una opportunità di qualificazione del sistema Italia di cooperazione Internazionale che può permettere un ampliamento delle risorse umane disponibili non solo a gestire l’Agenzia ma a rafforzare una presenza capillare attraverso i progetti per permettere la promozione dei partenariati 262


territoriali e recuperare un ruolo dell’Italia, a livello internazionale, coerente con le potenzialità e la ricchezza che il nostro Paese può offrire. In questo capitolo vogliamo affrontare il tema del come lavorare nel settore della cooperazione internazionale e dare indicazioni pratiche sul come orientare i giovani, e chiunque fosse interessato ad approfittare delle occasioni esistenti. Il lavoro nella cooperazione internazionale, sia che si tratti di progetti internazionali per lo sviluppo umano o di assistenza umanitaria, suscita generalmente rispetto e ammirazione, al punto che un impegno in questo settore assume talvolta i caratteri di eccezionalità o addirittura di eroismo e conferiva in passato, quando ancora era una scelta per pochi, aura attraente di mistero e di avventura. Questa visione romantica di un lavoro che è in realtà tra i più concreti non è priva di fondamento. Generosità, solidarietà, idealismo – l’agire per una buona causa – sono dei valori intimamente legati a tutti gli sforzi di cooperazione internazionale. Chi sceglie di coinvolgersi nelle attività di cooperazione internazionale, nonostante le diverse motivazioni iniziali, condivide una visione finalizzata ad esigenze di solidarietà, di giustizia sociale, di miglioramento delle condizioni di vita di porzioni dell’umanità. Ma è doveroso sottolineare che lavorare nella cooperazione internazionale non si discosta da qualsiasi altra professione, nel momento in cui apporta un salario e delle possibilità di carriera a chi vi si dedica. Quando si parla di professionalità, ci si confronta con l’eterno dibattito sul ruolo degli operatori e come sono stati storicamente e normativamente definiti : volontari, cooperanti,

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esperti, espatriati, consulenti, operatori junior o senior, omologhi o collaboratori locali. Efficienza, saggezza, diplomazia e capacità di analisi, sia pure condite di coraggio e creatività, sono doti indispensabili. Soprattutto, non bisogna mai smettere di pensare, ragionare su quello che si fa, affrontare i dubbi, porsi i problemi, riflettere: un operatore deve sempre essere consapevole delle conseguenze delle proprie azioni, non può farsi travolgere dagli eventi o trascinare dalla routine. Anche i comportamenti sono un aspetto delicatissimo: cose normali come ridere, bere del vino, frequentare persone dell’altro sesso, o farsi delle amicizie possono risultare negative in certi contesti. Anche la convivenza con i colleghi, può presentarsi difficile e richiede equilibrio e serenità. In ogni caso, muoversi all’interno di una comunità, e di un processo di sviluppo o di assistenza presuppone un costante stato di consapevolezza dell’effetto delle proprie azioni come della propria responsabilità, e della delicatezza delle dinamiche che si generano. Nei processi sociali, ogni atto è estremamente sensibile: l’errore è sempre in agguato, il clima reattivo, le conseguenze imprevedibili. C’è dunque bisogno di una professionalità elevata, multiforme, flessibile, accompagnata da una grande ricchezza di competenze accessorie in settori tecnici, amministrativi e politici. Inoltre, molti master si presentano piuttosto come “estensione” del corso di laurea: ampiamente teorici, dedicano un peso spropositato a materie come l’economia, le relazioni internazionali o il diritto, mentre il “saper fare” viene di solito mortificato, e strizzato nella parte finale dei corsi. Sia pure con alcune lodevoli eccezioni, normalmente il diplomato del master manca della capacità di inserirsi rapidamente ed efficacemente in un ambiente di lavoro.

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Il peso, quindi, ricade sulle organizzazioni, che dispongono di scarse risorse e si trovano costrette a dedicare tempo e fatica al vero e proprio tirocinio, che si presenta spesso come un frettoloso apprendistato sul lavoro. Per i molti che hanno già completato la loro formazione universitaria, o che già lavorano e sono impegnati nella formazione continua – indispensabile in questo campo – ci sono possibilità limitate. Nella precedente legge (n. 49/87) che disciplinava la cooperazione dell’Italia con i Paesi in via di sviluppo si definivano alcuni ruoli professionali nei progetti di cooperazione finanziati dal Ministero degli Affari Esteri dell’Italia e che riportiamo per ricostruire storicamente queste figure. Nell’articolo 31 della Legge venivano “considerati volontari in servizio civile i cittadini italiani maggiorenni che, in possesso delle conoscenze tecniche e delle qualità personali necessarie per rispondere alle esigenze dei Paesi interessati, nonché di adeguata formazione e di idoneità psicofisica, prescindendo da fini di lucro e nella ricerca prioritaria dei valori della solidarietà e della cooperazione internazionale, abbiano stipulato un contratto di cooperazione della durata di almeno due anni registrato ai sensi del comma 5, con il quale si siano impegnanti a svolgere attività di lavoro autonomo di cooperazione nei paesi in via di sviluppo nell'ambito di programmi previsti dall'articolo 29 (Comma modificato dall’art.2 della Legge 29/8/1991 n.288). Nell’articolo 32 si definivano i Cooperanti delle organizzazioni non governative : “Le organizzazioni non governative idonee possono inoltre impiegare nell'ambito dei programmi riconosciuti conformi alle finalità della presente legge, (…) cittadini italiani maggiorenni in

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possesso delle conoscenze tecniche, dell'esperienza professionale e delle qualità personali necessarie, che si siano impegnati a svolgere attività di lavoro autonomo nei paesi in via di sviluppo con un contratto di cooperazione, di durata inferiore a due anni, per l'espletamento di compiti di rilevante responsabilità tecnica gestionale e organizzativa… I contratti dei cooperanti possono essere per missioni brevi (meno di quattro mesi) o lunghe (da quattro a ventiquattro mesi). Le retribuzioni variano a seconda dell'esperienza e delle competenze. Oltre a queste figure si prevedeva l’impiego di esperti, professionisti altamente specializzati in settori prioritari della cooperazione internazionale, per compiti di particolare complessità e responsabilità, generalmente con contratti a progetto e una retribuzione che varia in funzione degli specifici compiti e della durata dell’incarico. L’articolo 28 della Legge 125/2014 definisce che : “ Nell’ambito delle attività di cooperazione allo sviluppo, le organizzazioni della società civile e gli altri soggetti di cui all’articolo 26 possono impiegare all’estero personale maggiorenne italiano, europeo o di altri Stati esteri in possesso di adeguati titoli, delle conoscenze tecniche, dell’esperienza professionale e delle qualità personali necessarie, mediante la stipula di contratti, i cui contenuti sono disciplinati in sede di contrattazione collettiva, nel rispetto dei princìpi generali in materia di lavoro, anche autonomo, stabiliti dalla normativa italiana… Il personale di cui al presente articolo deve assolvere alle proprie mansioni con diligenza in modo conforme alla dignità del proprio compito ed in nessun caso può essere impiegato in operazioni di polizia o di carattere militare.

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Nel paragrafo 2 : “L’Italia riconosce e promuove il volontariato prestato nell’ambito delle iniziative di cooperazione allo sviluppo. Le organizzazioni della società civile e gli altri soggetti di cui all’articolo 26 possono impiegare il personale di cui al comma 1 del presente articolo anche a titolo volontario, senza la costituzione di un rapporto di lavoro… “ E nel paragrafo 10 : “ L’Italia promuove e sostiene le forme di volontariato e servizio civile internazionale, ivi incluse quelle messe in atto dall’Unione europea per la partecipazione dei giovani alle attività di cooperazione allo sviluppo. I soggetti di cui all’articolo 26, accreditati ai sensi degli articoli 3 e 9 della legge 6 marzo 2001, n. 64, organizzano contingenti di corpi civili di pace, destinati alla formazione e alla sperimentazione della presenza di giovani volontari da impegnare in azioni di pace non governative nelle aree di conflitto o soggette a rischio di conflitto o nelle aree di emergenza ambientale”. La legge richiede competenze e qualità personali necessarie. Ma quali sono, come si acquisiscono ? Ormai si richiede quasi sempre una formazione specialistica del massimo livello (universitaria o post universitaria) e spesso anche anni di esperienza pregressa nel settore specifico di inserimento. Analizzando gli avvisi di selezione delle organizzazioni internazionali e dei diversi enti che si occupano di cooperazione tentiamo di identificare le competenze più richieste. In un avviso per un operatore di coordinamento in Medio Oriente una ONG italiana richiedeva i seguenti requisiti •

Laurea in cooperazione internazionale, scienze politiche, sociologia o altre discipline umanistiche rilevanti per la posizione;

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Minimo 4 anni di esperienza professionale maturata all’interno di ONG o agenzie di cooperazione, di cui almeno 3 sul campo; Spiccata capacità di lettura di contesti differenti e complessi, con analisi di rischi e opportunità in chiave strategica; Esperienza pregressa nella gestione, amministrazione, monitoraggio e valutazione di programmi di cooperazione internazionale; Eccellenti capacità di redazione, reportistica e scrittura progetti per donatori istituzionali internazionali; Conoscenza delle linee guida dei donatori associata a precedente esperienza di lavoro, preferibilmente con progetti promossi da Unione Europea, Nazioni Unite, USAID, DFID, AFD e/o MAECI; Ottima e comprovata conoscenza dell’intero ciclo del progetto, dei principali strumenti di gestione e delle fasi di implementazione; Buona conoscenza della regione, delle dinamiche e degli attori presenti in Medio Oriente e/o nello specifico della crisi siriana; Ottime doti relazionali e comunicative a tutti i livelli; Flessibilità e attitudine alla risoluzione dei problemi; Forti doti di coordinamento, pianificazione leadership e gestione di team internazionali all’interno di programmi complessi e multi-paese; Perfetta padronanza della lingua italiana e inglese, sia orale che scritta. La conoscenza dell’Arabo o di altre lingue in uso nella regione costituirà titolo preferenziale; Disponibilità a frequenti, regolari missioni nei Paesi, di durata anche media e programmabili anche con breve anticipo;


La figura richiesta è per un ruolo di particolare responsabilità ma anche per occupare il posto di volontario le richieste non sono poche. Ecco che cosa richiede una ONG di ispirazione cristiana : •

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Disponibilità ad un servizio di almeno due anni. Questo garantisce un inserimento più radicato nella realtà socioculturale locale e nel progetto dando maggiori garanzie di efficacia del progetto stesso e del servizio di volontariato. Conoscenza e condivisione della missione e della identità della ONG e dello spirito missionario; Competenza professionale specifica. I profili maggiormente richiesti sono: rappresentante paese, project manager, amministratore, educatore, tecnici. Ci occupiamo solo marginalmente di progetti sanitari per cui candidature in ambito sanitario saranno prese in considerazione in maniera residuale; Capacità di lavorare in équipe: con la comunità ecclesiale, con la popolazione locale e con gli altri volontari. Nei paesi in cui siamo maggiormente radicati ci sono vere e proprie comunità di volontari che lavorano in vari progetti, per questo si richiede disponibilità alla condivisione con gli altri volontari e buone doti di comunicazione. Buona conoscenza delle tematiche correlate allo sviluppo e alla cooperazione internazionale; Buona conoscenza della lingua internazionale parlata nel paese in cui si presta servizio Le modalità del volontariato internazionale Il rapporto di collaborazione che si instaura con un volontario viene regolamentato con un contratto di collaborazione a progetto secondo le normative vigenti. A tutti i volontari, a prescindere dalla tipologia di contratto, sono garantiti: un viaggio di andata e ritorno per 269


ogni anno di servizio, la copertura assicurativa, un compenso definito secondo parametri da concordare e l’alloggio in loco. La mancanza di esperienza è tra le maggiori difficoltà da affrontare per i neolaureati e per chi desidera accedere ad una carriera nel settore della cooperazione internazionale. E vi è un circolo vizioso in quanto è responsabilità di tutto il “sistema Italia” (nessuno si senta escluso o assolto da questa responsabilità) se non si facilita alle nuove generazioni il poter fare esperienza. E’ preoccupante il divario che vi è tra la domanda (e l’investimento che tante famiglie fanno sulla formazione dei giovani in questo settore – si sono moltiplicate negli ultimi anni facoltà universitarie, master, corsi perfezionati su cooperazione internazionale) e l’opportunità a poter sperimentare nel campo quanto appreso teoricamente e quanto si impara solo sperimentando e lavorando. Esistono tuttavia delle opportunità, anche se insufficienti in quanto offrono poche garanzie di sostenibilità e autonomia, a disposizione dei più giovani che, oltre a rappresentare un’importante esperienza da inserire nel curriculum e un canale di ingresso lavorativo, permettono di mettere alla prova motivazione e capacità indispensabili per operare in questo ambito. Una di queste opportunità è il servizio civile volontario, con inserimento per 12 mesi, sia in Italia che all'estero, riservata ai giovani dai 18 ai 28 anni di età. E’ prevista una retribuzione mensile (circa 433,80 euro). Per il servizio all'estero l'Ente di invio deve provvedere al vitto, alloggio, viaggio a/r del volontario e corrisponde una piccola indennità giornaliera. Offerta che sta diventando significativa sia livello quantitativo che qualitativo.

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Per partecipare occorre rispondere ai bandi nazionali e regionali pubblicati annualmente dall’Ufficio per il Servizio Civile Universale. @ Servizio civile Universale http://www.serviziocivile.gov.it/ Un’altra opportunità di educazione non formale è offerta dall’Unione europea ai giovani dai 17 ai 30 anni. La durata dei progetti può variare dai 2 ai 12 mesi. Ci sono due modi per poter fare questo tipo di esperienza: rispondere a un bando di un ente con già un progetto di Servizio Volontario Europeo – SVE - già approvato oppure contattare un ente consultando il database sul sito europeo con il quale costruire un progetto SVE da far approvare. Il finanziamento della Commissione Europea comprende:    

copertura completa dei costi di vitto e alloggio del volontario; rimborso delle spese di viaggio fino a massimale; assicurazione sanitaria completa per tutto il periodo di volontariato all'estero; formazione linguistica del paese di destinazione.

Lo SVE è un programma di volontariato internazionale completamente gratuito per chi partecipa: la Commissione Europea infatti proibisce di chiedere quote di iscrizione o di partecipazione in qualunque forma ai volontari in partenza e tantomeno ai candidati per poter partecipare alle selezioni. Le spese di viaggio all'andata e al ritorno vengono rimborsate (è previsto un massimale a seconda della distanza) e vitto e alloggio sono coperti dal programma Erasmus+. Inoltre il volontario riceve un pocket money mensile per le piccole spese e ha diritto ad alcuni giorni di "ferie" oltre al riposo settimanale. 271


Lo SVE è aperto a tutti: non esistono infatti requisiti discriminatori per poter partecipare, titoli di studio o di cittadinanza: esistono soltanto dei limiti di età e può partecipare soltanto chi è legalmente residente nel paese di partenza. I possibili temi dei progetti SVE e quindi le attività da svolgere spaziano da tutti i campi in cui sono attive le organizzazioni noprofit: dall'assistenza ai disabili, agli anziani o agli ammalati all'animazione con i bambini, gli adolescenti o i giovani, dall'educazione ambientale all'ecologia allo sviluppo sostenibile, dalla cultura alle arti, dalla musica al teatro, e a tanto altro ancora. Oltre allo SVE, esistono altre opportunità di volontariato internazionale, le puoi trovare sul sito che include tutte le opportunità di Volontariato Internazionale. Se invece sei interessato a stage all'estero, lavoro all'estero o ad altre opportunità di mobilità internazionale (Leonardo, au pair, summer camps, borse di studio, concorsi, campi di lavoro, bandi) puoi trovare più informazioni sul sito dedicato agli Scambi Internazionali ( http://www.scambieuropei.info ). Per approfondimenti vedere anche il sito http://serviziovolontarioeuropeo.it/ Il portale della Agenzia del MAECI offre un database, con relativo motore di ricerca, dei profili professionali richiesti dalla stessa dall’Agenzia, dalle ONG e dalle Organizzazioni internazionali con sede in Italia: https://www.aics.gov.it/?page_id=3852 La SISCOS, l’associazione che da oltre trent’anni gestisce le assicurazioni di chi parte nei progetti delle ONG italiane, pubblica vacancy sul sito Lavorare nel mondo, nato proprio per rendere più

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facile l’incontro tra coloro che intendono operare nella cooperazione internazionale e le ONG che cercano personale da impiegare nei loro progetti. http://www.lavorarenelmondo.it/il-progetto.html Altro sito da consultare per offerte di lavoro e collaborazioni è quello del VIS - Volontariato Internazionale per lo Sviluppo che ospita gli annunci di più ONG e associazioni per progetti di cooperazione in tutto il mondo. http://www.volint.it/vis/offerte-lavoro Laureati e laureandi hanno la possibilità di effettuare stage in alcune organizzazioni Internazionali. Il numero dei candidati ammessi e la durata del tirocinio variano da istituzione ad istituzione. Gli interessati possono indirizzare la loro candidatura direttamente alle Organizzazioni, inviando un curriculum e una lettera di presentazione . Le attività di informazione sul programma, la raccolta e la preselezione delle candidature sono curate dall’Ufficio ONU – Risorse Umane per la Cooperazione Internazionale : www.undesa.it EPSO è lo sportello unico per tutti i cittadini dell'UE che desiderano lavorare presso le istituzioni europee. Il concetto di un servizio comune per tutte le istituzioni dell'UE è apparso per la prima volta nel Libro bianco intitolato “Una riforma amministrativa”, che nel 2000 ha dato via ad un processo di modernizzazione e miglioramento dell'efficienza amministrativa. In passato, ciascuna istituzione gestiva in maniera autonoma i propri processi di selezione e assunzione del personale con procedure diverse. L'EPSO è nato con lo scopo di armonizzare e razionalizzare

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il processo di selezione, rendere più professionali le relative procedure e garantire un uso più efficiente e produttivo delle risorse grazie alla realizzazione di economie di scala http://europa.eu/epso/index_it.htm I Tirocini La maggior parte delle Organizzazioni Internazionali offre a laureandi e neolaureati la possibilità di effettuare un periodo di tirocinio (stage), in genere di tre mesi, all’interno delle proprie strutture. Sono molti i vantaggi di un periodo di tirocinio. Dall’acquisizione di una certa familiarità con l’ambiente delle Organizzazioni Internazionali, all’esercizio pratico delle attitudini di flessibilità ed apertura mentale, alla continua esercitazione nelle lingue straniere. Tutti requisiti, questi, a cui le Organizzazioni Internazionali pongono molta attenzione. Inoltre il Tirocinio costituisce una prima reale opportunità di cominciare ad accumulare quell’esperienza lavorativa che viene sempre richiesta per una occupazione nelle Organizzazioni Internazionali. D’altra parte è importante anche tenere a mente i limiti dei tirocini. Il principale è rappresentato dal fatto che in genere non esiste una remunerazione per i periodi di stage ed i costi di viaggio e permanenza sono a completo carico dello stagiaire. Inoltre va detto che l’aver frequentato uno o più tirocini non implica alcun tipo di impegno da parte delle Organizzazioni Internazionali ad estendere sotto altra forma il periodo di collaborazione. Nonostante tali limitazioni, lo stage rimane una importante esperienza di lavoro in una Organizzazione Internazionale a cui i neolaureati possono realisticamente aspirare.

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COME CANDIDARSI AD UN POSTO Cosa sono gli Avvisi di vacanza di posto? La selezione del personale da parte delle Organizzazioni Internazionali avviene generalmente tramite specifici avvisi a diffusione generale denominati “vacancy notice” o “vacancy annoncement”. Questi annunci tendono all’assunzione di personale tramite contratti a tempo determinato che la stessa Organizzazione stipulerà con il candidato valutato più idoneo tra quanti concorreranno per il posto pubblicizzato. Ogni vacancy è di norma simile, nella sua strutturazione, per tutte le Organizzazioni Internazionali e specifica: • La data di emissione; • Un numero di riferimento; • La scadenza per la presentazione della candidatura; • L’unità organizzativa nella quale il neoassunto verrà collocato; • Il titolo della posizione (es. economista, responsabile di progetto, ecc.); • La sede di lavoro; • Il grado. Molto importanti sono le descrizioni sintetiche del ruolo che dovrà ricoprire il neoassunto e delle principali responsabilità ad esso correlate, nonché dei requisiti e delle caratteristiche che bisogna avere per poter presentare la propria candidatura. I requisiti sono spesso suddivisi in due categorie, quelli essenziali e quelli “desiderabili”. Occorre però tenere conto del fatto che, data l’elevata competizione e l’alto tasso di preparazione richiesto,

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molti candidati sono spesso in possesso anche dei requisiti auspicabili, con la conseguenza che, di fatto, diventano requisiti necessari. Alla fine, quindi, la distinzione perde gran parte del suo significato. Più in dettaglio i requisiti richiesti in un avviso di posto vacante riguardano la conoscenza delle lingue, la formazione, l’esperienza, le capacità/attitudini, le conoscenze informatiche. Inoltre riservano particolare attenzione alle pari opportunità. • Le lingue È imprescindibile la conoscenza di almeno due lingue dal momento che, solo in rare eccezioni, un’Organizzazione Internazionale richiede la conoscenza di una sola lingua straniera. Generalmente le lingue richieste sono l’Inglese ed il Francese. Talvolta, in alternativa al Francese, è la richiesta dello Spagnolo. Spesso, oltre all’Inglese, la seconda lingua può essere una a scelta tra le lingue ufficiali dell’Organizzazione. Importante è la terminologia usata dalle Organizzazioni per graduare il livello di conoscenza di una lingua straniera. Indicativamente i livelli di riferimento sono: “Excellent/Fluent” implica una perfetta padronanza, sia scritta che orale; “Working Knowledge” significa capacità di lavorare in modo indipendente, preparare ogni tipo di documento, partecipare attivamente a riunioni e/o discussioni professionali; “Limited Knowledge” indica la possibilità, per il funzionario, di telefonare, leggere testi di lavoro, seguire riunioni o discussioni alle quali si potrà intervenire in altra lingua.

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• La formazione Nell’avviso viene specificato il titolo di studio richiesto. Può trattarsi di una o più lauree specifiche o di lauree non specificate, ma attinenti al posto vacante. È bene sapere che la laurea italiana è, generalmente, considerata equivalente al Master’s Degree (Master americano – Maitrise francese). Nonostante questo, per molte Organizzazioni Internazionali tale equivalenza è tutt’altro che scontata, assimilando il titolo italiano al Bachelor of Arts/Science. • Esperienza È sicuramente l’ambito di selezione più restrittivo e bisogna essere sicuri di possedere tutti gli elementi richiesti. Se, ad esempio, si richiede un’esperienza di cinque anni nel campo dei diritti umani in ambito africano, i selezionatori dell’Organizzazione molto difficilmente prenderanno in considerazione una candidatura supportata da un’esperienza inferiore ai cinque anni o, comunque maturata in altra zona geografica. Inoltre bisogna aggiungere che l’esperienza professionale che viene, in genere, presa in considerazione è quella acquisita dopo la laurea. • Capacità/attitudini Spesso vengono richieste qualità definite in termini generali, le cui formule più ricorrenti sono: flessibilità, capacità di lavorare sotto pressione, abilità nello stabilire e mantenere relazioni di lavoro con persone di nazionalità e retroterra culturali differenti, qualità redazionali di sintesi, disponibilità a viaggiare (specialmente nei Paesi in Via di Sviluppo).

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• Informatica In tutte le Organizzazioni Internazionali l’uso dei personal computers è ormai parte della quotidiana attività d’ufficio e sempre più spesso è esplicitamente richiesto che i candidati abbiano una conoscenza abbastanza approfondita dei programmi più utilizzati. Ciò significa saper usare senza problemi un programma di trattamento testi (word processor) e di elaborazione dati (foglio elettronico), nonché saper utilizzare correntemente internet (posta elettronica e navigazione). In alcuni casi il saper realizzare pagine Web può essere un apprezzato elemento aggiuntivo. E’ importante valutare tali richieste alla luce delle proprie attitudini ed aspirazioni, in quanto ognuna di esse potrebbe formare oggetto di approfondita analisi in un’eventuale intervista di selezione. (vedi www.jobadvisor.it )

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