Cultura e identità pensando a Dorgali

Cultura e identitĂ pensando a Dorgali A cura di Vincenzo Pira

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Ottobre 2020

Introduzione In queste pagine ho tentato di fare una breve analisi di come possano relazionarsi “Cultura” e “Dorgali” per continuare la riflessione sul complesso concetto di identità dorgalese di cui mi sento figlio. Le politiche culturali sono strettamente legate, oggi più che mai, al mondo del lavoro, della produzione, dello sviluppo sostenibile e del benessere della comunità.

Ogni operatore economico, ogni lavoratore, ogni amministratore debbono sapere che l’aspetto culturale può garantire il benessere e il “ben vivere” della propria comunità per l’oggi e per il futuro.

Una volta data una definizione di tali concetti di riferimento ho cercato quanto possibile esista di pubblicazioni di dorgalesi, o che parlano di Dorgali, e della sua cultura. Chiedendo previamente perdono per le tante persone che non sono riuscito a identificare, non riesco ad essere esaustivo nella mia enciclopedica ignoranza che tanto vorrei colmare. Dimenticanze e le lacune che altri potranno correggere e integrare in elaborazioni più complete. Cerco di parlare di ciò che conosco, che purtroppo o per fortuna non è mai tutto.

Beni culturali ed archeologici, artigianato, ceramica, pelletteria, filigrana, pittura, sculture… E le opere letterarie sia di poesia sia di prosa, di musica e di cinema. Identificando, riconoscendo e valorizzando soprattutto gli autori, i produttori di cultura, gli artefici più significativi dell’identità dorgalese.

Ma vuole essere, soprattutto, un invito a investire di più in cultura, a innovare e progettare un nuovo modo di valorizzare la bellezza del luogo con un appropriato marketing territoriale e organizzando una nuova rete di pubblico e privato che faccia sistema per far sì che la cultura diventi il motore dell’economia dorgalese e permetta una vita migliore ai suoi abitanti.

Negli ultimi anni si è fatta sempre più strada la concezione del territorio come di un sistema complesso di soggetti portatori di differenti interessi specifici (stakeholders) che, se coordinate in un’unitarietà strategica, sono in grado di risolvere meglio i problemi di sviluppo sostenibile che si presentano localmente per migliorare la qualità della vita dei suoi abitanti.

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Panorami di Dorgali: 1930, 1960, 2020

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Concetti teorici di riferimento Cultura è il complesso insieme che permette agli individui di una comunità di avere una disposizione per conoscere ed affrontare la realtà. Si costituisce nell’interazione delle persone in una società storicamente determinata e si basa su sistemi simbolici condivisi, trasmissibili e riconoscibili. Il più importante sistema simbolico è il linguaggio sia verbale sia non verbale per nominare il reale e dare un senso alla realtà con le denominazioni date. La cultura fornisce all’individuo gli strumenti per affrontare il mondo, conoscere e trasformare la natura. Le diverse culture interagiscono tra loro, non si omologano ma si trasformano secondo modalità complesse. Non esistono culture statiche, immutabili, chiuse a influenze esterne. Alcuni concetti fondamentali dell’antropologia culturale ci possono essere utili per capire quanto vogliamo dire anche su Dorgali.

Acculturazione è lo studio di come due o più culture diverse interagiscono quando vengono in contatto e quali processi di trasformazione si danno.

Deculturazione è la perdita di aspetti importanti della cultura di origine e l’assunzione imposta di nuovi modelli non scelti liberamente dagli individui di una data cultura.

Inculturazione sono invece i processi educativi e di inserimento sociale che ogni individuo vive per diventare membro di una comunità assumendone una data cultura.

L’ultimo concetto che presentiamo è quello di identità, che si riferisce alla percezione che ogni individuo ha di sé stesso, cioè della propria coscienza di esistere come persona in relazione con altri individui, con i quali forma un gruppo sociale (per esempio: famiglia, paese, nazione, ecc.). É importante sottolineare che la percezione di identità non è solo individuale. È il riconoscimento reciproco fra l’individuo, la comunità e la società. Essa comporta un riconoscimento soggettivo (consapevolezza di chi si è) e la percezione del fatto che gli altri riconoscono tale individualità e la identificano come simile o altra in relazione alla cultura di appartenenza.

C’è una pagina di Facebook denominata “Sei di Dorgali se… Avevo provato a fare un elenco dei tanti se: Sei di Dorgali se sei nato e inculturato nel suo territorio (Jus soli e culturae).

Sei di Dorgali se i tuoi genitori, nonni, o bisnonni sono di Dorgali (Jus sanguinis).

Sei di Dorgali se ti riconosci come dorgalese.

Sei di Dorgali se le altre persone ti riconoscono come dorgalese.

Sei di Dorgali se sei residente continuativamente da anni nel paese.

Sei di Dorgali se parli Dorgalese. Sei di più se sai anche scrivere e leggere in tale lingua.

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E i se… potrebbero essere migliaia (se ti piace il pane carasau, su casu mùchidu e su binu a rasu; se sai dove è Gorropu, Su Anzu, Santu Pantaleo, Filieri, Oddoene, ecc. ecc.).

Il tutto per dire che la definizione di identità non è semplice e ha diverse tonalità di appartenenza. Ma su tutte prevale l’amare Dorgali e volere che i suoi abitanti abbiano la porzione di felicità e di bellezza che meritano.

Si sente la necessità di marketing territoriale, ovvero di realizzare attività adeguate per la promozione che hanno come oggetto il territorio e lo stimolo allo sviluppo sostenibile locale a Dorgali.

Saper comunicare è saper guidare lo sviluppo del territorio in modo coerente con le professionalità locali, in modo da valorizzare i carismi del territorio e di incentivare l’imprenditorialità. La costruzione di un piano di Marketing Territoriale si organizza secondo una sequenza di momenti operativi che si susseguono in modo consequenziale e logico.

Il marketing gioca un ruolo di prim’ordine nelle politiche di sviluppo locale, molto più della tecnologia, in quanto la tecnologia è un fatto di costi, laddove il marketing è un fatto di idee. Il progetto nasce dalla volontà di realizzare un’idea: s’intende promuovere il territorio, mantenere e attirare investimenti valorizzando le vocazioni produttive locali. Un esempio di pubblicazione promozionale che andrebbe aggiornata annualmente si trova nel seguente sito internet: https://issuu.com/comitatobiddas/docs/dorgali_calagonone

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Cenni di storia e beni archeologici di Dorgali La ricchezza del patrimonio archeologico dorgalese è stata messa in risalto da vari autori a partire dalla fine dell’800. I primi studi si devono a Domenico Lovisato che collezionò numerosi reperti, oggi esposti al Museo Archeologico di Dorgali e si occupò di alcune Domus de Janas.

Nel 1911 Ettore Pais rese noto il Villaggio di Tiscali, situato all’interno di una dolina in cima al monte omonimo.

In seguito Antonio Taramelli, pubblicò la prima carta archeologica della Sardegna, dando brevi notizie sui monumenti allora conosciuti. Nel 1936 iniziarono gli scavi di Serra Orrios ad opera di Doro Levi.

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Serra Orrios si erge sull’altopiano del Gollei a circa dieci chilometri dal centro abitato. È uno dei complessi nuragici meglio conservati: un villaggio-santuario, interamente costruito in blocchi di basalto, che per dimensioni e struttura architettonica, rappresenta un insediamento protourbano che presuppone una progettazione. Presenta due aree sacre, ciascuna con un tempietto a megaron, edificio di culto tipico della civiltà micenea, fatto che presuppone influssi dall’Egeo. I due tempietti, forse destinati al culto delle acque, sono a pianta rettangolare, dotati di recinto.

La vita millenaria del villaggio di Serra Orrios, iniziata nel Bronzo antico (XVI a.C.) e terminata nell’età del Ferro (IX-VI sec. a.C.), si svolgeva attorno a un mercato, con attività accompagnate da fervore spirituale. Il periodo di maggiore intensità fu tra Bronzo recente e finale, testimoniato da numerosi manufatti ceramici - olle a colletto cilindrico, ciotole carenate e brocche decorate - rinvenuti negli scavi e conservati al museo archeologico di Dorgali.

Successivamente Giovanni Lilliu contribuì alla conoscenza del territorio dorgalese, pubblicando le sue impressioni sul noto villaggio nuragico e in seguito sugli scavi alle Grotte del Bue Marino e al Dolmen di Motorra, monumento funerario risalente al 2000 A.C.

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Nel 1955 le ricerche di Carlo Alberto Blanc indiziarono la presenza di tracce di frequentazione umana nel Pleistocene nelle grotte della costa dorgalese. Nel 1978 fu effettuato lo scavo nella Tomba di Giganti di S’Ena ‘e Tomes da parte di Fulvia Lo Schiavo. Presso tali tombe si praticava il rito dell’incubazione secondo il quale si usava dormire presso i sepolcri per fini terapeutici o per scacciare i mali e gli spiriti tormentatori.

Sa ‘Ena ‘e Tomes (Tomba di giganti) Nello stesso anno Maria Luisa Ferrarese Ceruti diede notizia del ritrovamento di Sisaia, la sepoltura femminile ritrovata in una grotta nella Valle di Lanaito. Una prima importante pubblicazione arrivò nel 1980, con “Dorgali documenti archeologici”, nella quale diversi studiosi diedero il loro contributo per una maggiore conoscenza del territorio, in concomitanza con l’inaugurazione del Museo Civico Archeologico di Dorgali. Il secondo catalogo risale al 1995, in “Dorgali, monumenti antichi”, nel quale Maria Rosaria Manunza illustrò la sua ricerca che comprendeva il posizionamento cartografico dei siti, il rilievo di numerosi monumenti e lo scavo di alcune strutture. Il volume può essere considerato il punto di riferimento per la conoscenza del patrimonio archeologico del Comune.

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A partire dal 2006 e 2007, il Comune di Dorgali, con l’ausilio della Società di servizi per l’assistenza allo sviluppo territoriale, coordinato dal professor Giuseppe Scanu, ha condotto uno studio finalizzato alla realizzazione del Piano Urbanistico Comunale dal quale si apprende di oltre 400 siti archeologici che partono dal Neolitico fino alla tarda antichità: 55 Domus de Janas, 3 Menhir, 16 Dolmen, un’area con altorilievi, 44 nuraghi, 111 abitati/villaggi, 5 muraglie megalitiche, 19 pozzi, una fontana, 45 tombe di giganti, 88 siti romani/tardo-romani, 4 lunghi tratti stradali presumibilmente di età romana.

Nel Museo Archeologico di Dorgali, inaugurato nel 1980, si trovano reperti che raccontano la storia Archeologica del territorio dal Neolitico fino all’età moderna. La sua esposizione è organizzata in tre sale secondo un ordine cronologico e dando un focus particolare ai reperti provenienti dai siti fruibili (Grotta del Bue Marino, villaggio di Serra Orrios, Tomba di Giganti di S’Ena ‘e Thomes, Villaggio di Nuraghe Mannu, Grotta di Ispinigoli).

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Salvatore Mele nel suo libro dal titolo “Gallura Felix il Sud del Giudicato di Gallura e il territorio del Castro nel Medioevo Dorgali” (Isola editrice, 2009) ricostruisce la fase storica medievale di Dorgali.

Fino al 1054 la Sardegna fu gestita prevalentemente da ordini monastici greci, basiliani e studiti. Ai bizantini subentrò il potere dei Giudicati. Il nucleo originario e più importante di Dorgali è quello che nel Medioevo era costituito dalla fortificazione del Castrum o Curtis, chiamato dagli antichi "Su Crastu de Sant'Antoni", dove si trovavano i monasteri degli ordini ospedalieri: Sant'Antonio di Vienne e L'Ordine Militare di San Lazzaro. Il borgo di castro sono i quartieri del paese denominati rispettivamente "Sa Serra-Sa Porta" (il Castro) e "Gorito e Sena" mentre Torpeia è a "Sa Chejedda", prima e seconda, che costituivano l'antico borgo di "Sancta Maria Magdalena Ecclesia Galtellinsis de Thorpeia" (Thorpeia).

Tra il 1678 e il 1688 Dorgali, insieme al resto della Sardegna, subì quella che può essere considerata la catastrofe più significativa della sua storia, l’epidemia di peste e la conseguente carestia che fecero ridurre la sua popolazione, allora di circa tremila abitanti, a meno della metà. Nel corso del ‘700 si ebbe una lenta ma costante ripresa, durante la quale venne costruita la nuova Chiesa di Santa Caterina e con lo sviluppo dei commerci, legato alle attività agricole e pastorali, si arrivò ai primi dell’800 a superare nuovamente la soglia dei tremila abitanti.

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Un importante memoria si trova nel libro di Giuseppe Pisanu dal titolo “Dorgali. Storia e memorie della comunità (1340-1946), Edizioni della Torre, 1997 - Pur nella scarsità delle fonti è qui raccolto e riordinato tutto quello della Dorgali del passato si è riusciti a sapere, per descriverne la crescita a partire dal 1300 raccontando qualche storia di vita dei protagonisti. Un'attenzione particolare è posta sugli avvenimenti del '700 e dell'800: la questione della Diocesi con l’uccisione di monsignor Cau “in sa cudina prima”, la divisione dei terreni feudali, gli arresti del 1899, l'apertura della galleria per il mare sono alcuni dei fatti decisivi per l'avvenire del paese.

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Elettrio Corda, Storia di Dorgali e della marina di Cala Gonone - 1833 – 1953, ricostruisce due secoli di storia dorgalese riportando eventi significativi e descrivendo personaggi che ne sono stati protagonisti. Con l’inizio del secolo XIX iniziarono anche i veri e propri cambiamenti politici e sociali per Dorgali. Nel 1866 Dorgali uscì finalmente dal suo isolamento, grazie all’apertura della strada Orientale Sarda che la rese un florido centro per il commercio.

Un’interessante documentazione si trova nel volume di Giacomino Zirottu e Giacobbe Manca “Dorgali nei documenti d’archivio”, Unitre, 2011.

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Leo Fancello, Cuiles, gli insediamenti spontanei pastorali del Supramonte IIed. Ed. Gennargentu, 2003 e Trekking dei Cuiles. Ed. Archivio Fotografico Sardo, 2008 Queste due pubblicazioni valorizzano l’immenso patrimonio degli antichi ovili che correva il rischio di essere perduto per una serie di ineluttabili fattori: la morte per vecchiaia dei protagonisti e la scomparsa delle opere architettoniche, inghiottite dalla vegetazione o dolosamente distrutte e bruciate. Grazie al lavoro laborioso e paziente di un gruppo di volontari, “Comitato per il ripristino de Sos Cuiles", sono rinati a nuova vita. Si propone un percorso a piedi tra gole, pianori e boschi millenari, foreste primarie, vecchi sentieri e camminamenti poco conosciuti, per turisti amanti del trekking e dell'avventura, studiosi di antiche tradizioni e archeologia, desiderosi di conoscere la vita dei caprai di un tempo.

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Di grande interesse è il libro di Fabio Fancello (Sacu), “Voci di un mondo remoto – Riflessioni di linguistica sarda”, Edizioni L’Ortobene, 2003.

Propone uno studio delle etimologie di tante parole della lingua sarda dando senso a tanti toponimi e ricostruendo storicamente l’origine di interessanti denominazioni. Sarebbe importante una riedizione per divulgare tali informazioni alle nuove generazioni.

Sergio Mazzella, ha pubblicato “Storia di una famiglia” edizioni ilmiolibro.it, 2014. La storia inizia con due giovani fratelli nativi dell'isola di Ponza che intraprendono un avventuroso viaggio all'inizio del '900 su di un piccolo veliero acquistato con una cambiale un'attività di trasporto e baratto di prodotti dalla Campania alla Sardegna con gli abitanti di Orosei e Cala Gonone. Dopo alcuni anni decidono di mettere su casa e creare due grandi famiglie sviluppando rapporti interpersonali e imprenditoriali che ancora vivono a Dorgali e in Sardegna. Come si legge in prefazione, «Arriva a Gonone un veliero di piccole dimensioni, carico di merci varie (vasellame di uso comune, pezze di cotone grezzo, zucchero, caffè); è guidato da due fratelli che per la prima volta mettono piede su quella terra sconosciuta. I due vengono dall’isola di Ponza, come dire da un luogo in capo al mondo, si chiamano Paolino e Salvatore Mazzella; comincia così la storia di una famiglia, che dura ancora fra Dorgali, Cagliari, Arbatax ed altri luoghi, d’Italia e fuori d’Italia; ma che soprattutto a Dorgali e in Ogliastra, per più di una generazione ne ha condizionato l’economia».

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Da leggere e studiare con attenzione, per conoscere luoghi e nomi in dorgalese è il libro “Toponimi di Dorgali” di Bartolomeo Fancello (Portolu Saccu). Da una presentazione di suo figlio Gianfranco Fancello: “Una laboriosa ricerca topografica, un prodotto di un anno e mezzo di lavoro, nel quale con una precisione maniacale e dettagliata, per censire e classificare circa 700 toponimi (tanti conosciuti, ma tantissimi ormai dimenticati) puntualmente localizzati tutti su 11 carte topografiche.

L’obiettivo non è stato solo quello di raccontare l'origine dei diversi nomi o il loro significato ma di riportare su carta nomi di luoghi, siti, zone, aree, punti geografici che nel corso dei decenni e dei secoli si sono tramandati solo oralmente e che ora, a causa di un diffuso e progressivo spopolamento delle campagne, si stanno definitivamente smarrendo. Si tratta di un patrimonio di conoscenze preziosissimo che non descrive solo la geografia dei luoghi ma racconta la storia (o le storie) di una comunità, la sua evoluzione, la sua dinamica sociale ed antropologica, il suo grado di connessione con il territorio e con la nuda terra: disperderlo o non preservarlo rappresenta un impoverimento, uno sradicamento, una progressiva perdita di identità verso una standardizzazione ed appiattimento che va assolutamente evitato. Con questo lavoro mio padre è andato a rinsaldare la connessione di una collettività con i suoi spazi, a restituirle un radicamento fisico con il proprio ambiente, a ricreare quel legame ancestrale che la vincola alla propria terra, madre dalla quale trae nutrimento…”.

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La questione della proprietà fondiaria ha marcato molti anni e molte generazioni dorgalesi. Il libro di Billia Fancello, Salvatore Monni dal titolo “La terra contesa, Un secolo di liti per i salti di Dorgali”, Editore Tema, 2012 – informa su quanto Isalle e Orrule per un secolo sono stati il nervo scoperto della comunità dorgalese. Quando a metà dell’Ottocento vennero aboliti per legge i diritti di ademprivio, che consentivano l’uso comunitario delle terre, si pose a Dorgali il problema di come garantire comunque alla popolazione locale lo sfruttamento dei principali terreni comunali, tra cui i fertili salti confinanti con i territori di Oliena, Nuoro, Orune, Lula e Galtellì. Promossa dal Consiglio comunale e da un comitato di attivi cittadini, nel 1874 venne raccolta un’ingente somma che consentì a centinaia di dorgalesi (707 per l’esattezza) di partecipare all’asta indetta dal Demanio e di diventare proprietari dei Salti. Ma la storia e i conflitti sono continuati e in modo diverso continuano fino ad oggi…

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Altro libro degli stessi autori, Billia Fancello e Salvatore Monni, Sangue dorgalese versato nelle guerre del Novecento. Isola Editrice, 2014 Una raccolta di testimonianze materiali appartenute ai soldati di Dorgali che hanno combattuto nella Grande Guerra (1915-1918). Storie di sofferenze e di ricerca di vita migliore. Senza più guerre…

Sempre di Billia Fancello, è anche “Iloghe e Filieri. Un racconto familiare”, Fondazione “Le Scuole”. L’autore, scomparso nel mese di settembre del 2020, è stato anche sindaco di Dorgali dal 1986 al 1988.

Propone ricostruendo la storia della sua famiglia un’originale lettura della storia del paese e della Sardegna a avvenimenti come la legge delle chiudende, i dazi per gli scambi doganali con la Francia, la fillossera che distrusse i vigneti, le vicende della compagnia dei barrazellos…

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Da leggere con interesse anche il libro di Dino Useli Bacchitta. “Il giornalaio” che racconta le sue esperienze di gioventù nel contesto dorgalese dagli anni ’50.

Angelo Carta, ha pubblicato nel 1981 nelle edizioni Einaudi, “Anzelinu” e rieditato dall’editore Ilisso. É il racconto di una tormentata giovinezza che deve seguire a un’infanzia pastorale: avventura di riscatto sociale attraverso l’istruzione scolastica, dall’ovile dorgalese all’Università di Torino, ma con la coscienza di non dovere e non poter rinnegare il sofferto passato. Documento eccezionale del Novecento italiano, miscela sapiente con storie di contadini e pastori, con gli emigrati che scoprono felici e sgomenti la realtà industriale. Il vissuto resoconto di un’avventura intellettuale e umana, nella quale lo stesso narrarsi costituisce la testimonianza e il culmine, da mettere a frutto nel luogo di origine, autentica misura e centro di ogni via e di ogni distanza. Le difficoltà di una carriera fortemente e faticosamente voluta per migliorare la propria qualità di vita e l’intensità delle molteplici esperienze vissute.

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Sono tante le pubblicazioni che narrano la vita di una delle figure dorgalesi più illustri. Tra queste citiamo quelle di Padre Dionigi Spanu, l’autore di due libri sulla vita della beata di Dorgali: “Artefice di unità. Profilo spirituale della beata Maria Gabriella Sagheddu”, ed. Nerbini, e “Maria Gabriella Sagheddu, testimone credibile del Vangelo di unità”, PFS University Press. L’Autore, profondo conoscitore della beata, offre sette saggi che tratteggiano la figura spirituale di questa semplice ma luminosa figura, modello di ecumenismo spirituale: I. Il culto dei Santi, con particolare riferimento ai Santi venerati in Sardegna; II. Le guide spirituali della beata; III-IV. Le testimonianze dei compaesani e delle consorelle; V. Alcuni misteri dell’anno liturgico nel suo epistolario; VI. Una lettura della sua preghiera in occasione della professione religiosa; VII. Le poesie in lingua sarda dedicate alla beata. Il volume è arricchito da due appendici: la diffusione del culto della beata nel mondo e una raccolta di immagini a colori

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Padre Paolo Monni, laureato in lettere a Torino e illustre docente di greco e latino per un decennio nel liceo classico Giorgio Asproni, a Nuoro, che ha tradotto la Divina Commedia in lingua dorgalese. I tre volumi, Inferno, Purgatorio e Paradiso, sono editi da La Torre di Cagliari, con la presentazione di Giulio Paulis, professore di glottologia e linguistica e di Giovanni Pirodda, docente di letteratura. Il lavoro di Padre Paolo Monni è un lavoro estremamente serio, fatto con rigore scientifico e soprattutto con la passione per la lingua dei padri. Tanto da porre spesso al traduttore problemi espressivi specifici, che ha risolto con sicurezza e decisione, approfondendo e aggiornando lo studio delle varianti, mettendole a confronto. Conserva la struttura metrica del testo dantesco e le terzine incatenate costituiscono una sfida in più alla sua operosità e abilità. Così come l'obbligo della rima, nel mettere alla prova la possibilità e la risorsa della lingua può dar luogo a soluzioni ingegnose e affascinanti. In un’intervista padre Monni dice: “La mia è una passione che mi porto dietro da bambino. Da quando accompagnavo mio padre, massaju, sul carro agricolo. M'incantavo a sentirlo cantare a memoria la Gerusalemme Liberata. La mia opera vuole richiamare l'attenzione delle ultime generazioni al valore della poesia che non muore, nella lingua dei padri, per mostrare al mondo intero e a noi stessi, che abbiamo in casa nostra un tesoro, ma non lo sappiamo, né lo conosciamo. Molti si rifiutano studiarlo.

Il desiderio è che chi legge i versi in limba provi affetto e ricordo di cuore per la lingua e sappia che essa è piena di colori e suoni armoniosi, perché la insegnino ai figli”.

Altra pubblicazione di padre Monni è “Un gigante in carrozzella: profilo biografico di padre Sebastiano Fancello degli oblati di S. Giuseppe missionario nell'America latina, Asti, TSG, 1996. Padre Sebastiano (Tattanu Brusaerru) compie i suoi studi nella congregazione degli Oblati di San Giuseppe (Giuseppini d'Asti). In questo istituto fu ordinato sacerdote il 26 giugno del 1951. La vita da missionario per la quale padre Fancello dedicò tutto sé stesso ha inizio nel febbraio successivo quando partì per il Perù dove gli Oblati da appena qualche anno avevano aperto una missione.

Qualche anno dopo cominciò a manifestarsi la malattia (distrofia muscolare) che lo fece soffrire, ma non fermò la sua infaticabile attività.

Nel 1970 fu trasferito nella Missione Giuseppina della Bolivia, dove fu nominato parroco di Santiago Apostolo, in Guaqui, sulle rive del lago Titicaca a circa 80 chilometri da La Paz. Questa parrocchia a 3800 metri di altitudine, composta da 28 comunità, richiese tutta la sua dedizione eroica, sino alla totale consumazione delle sue forze che lo portarono a stare in carrozzella.

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Fu riconosciuto e chiamato dai parrocchiani «Padre dei poveri e dei sofferenti», così da essere venerato come uomo di Dio. La sua vita così piena di opere di carità e di evangelizzazione fu stroncata dalle fatiche e dalla malattia. Morì a La Paz, nell'ospedale intitolato a Giovanni XXIII il 20 febbraio del 1993.

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Importante fonte di informazioni storiche si trovano in “Pasquale Fancello Crodazzu – Contadino, minatore, giornalista, sempre anarchico, edizioni Il Maestrale, scritto da Cipriano e Pina Mele. Gli autori ripercorrono i passi di una movimentata esistenza, segnata da un carattere ribelle e sensibile alla causa degli oppressi. Dalla giovinezza dorgalese, alle lotte operaie in Liguria, Francia e Belgio, da fuoriuscito avverso al regime fascista. Dall’esperienza della guerra civile spagnola al ritorno a Dorgali, in prima linea nelle rivendicazioni contadine, fino agli anni romani vissuti da militante e polemico pubblicista.

Mi permetto di citare anche due mie pubblicazioni: “L’antenna sul nuraghe, 2010, (https://issuu.com/vissente/docs/l_antenna_sul_nuraghe) e “Iscusorzos de Durgali, 2016, Edizioni il mio libro, che contengono riflessioni sulla Storia e sulle storie di Dorgali. (https://issuu.com/vincenzopira/docs/iscusorzos_de_durgali)

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Grande valore è stato dato al libro “La grande vallata”, scritto da Sardus Useli e Antonio Berritta, edito da Carlo Delfino e pubblicato a cura del Rotary club di Dorgali. Il libro racconta la storia della valle di Oddoene e riporta numerose testimonianze di chi ha vissuto la straordinaria vicenda delle bonifiche che dagli anni Trenta agli anni Sessanta, riuscirono a trasformare le aride e boscose terre di quella vallata in quella grande distesa di vigneti ed oliveti che sono oggi l’orgoglio della comunità. È sempre particolarmente vivo l’interesse di una consistente parte della comunità dorgalese per la soluzione dell'annosa vertenza tra il Comune, proprietario di gran parte delle terre di Oddoene e gli enfiteuti che, dopo aver bonificato e reso produttive le terre di quella valle, aspirano a diventarne legittimi proprietari.

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Pinuccia Flore nel libro "Il movimento cooperativo a Dorgali", Legacoop, 2013 – Analizza e racconta l’esperienza delle tante cooperative dorgalesi dal 1889, con la costituzione della prima vera impresa cooperativa a Dorgali, la “Società di Mutuo e Soccorso” di Dorgali; imprese cooperative che rappresentano delle vere e proprie “istituzioni imprenditoriali”, quali la Cantina Sociale, il caseificio, la cooperativa pastori, dei muratori, artigiani, operatori sociali, imprese che caratterizzano da decenni, in tutti i settori economici, il sistema imprenditoriale dorgalese.

Nel libro sono citate oltre 30 esperienze cooperative che hanno operato a Dorgali, e ne sono state esaminate 13, tra le quali quelle che ancora oggi sono una solida base del tessuto economico della comunità.

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Da valorizzare l’importante lavoro di conoscenza e formazione culturale che l´Associazione Raichinas e Chimas realizza da anni, (https://www.raichimas.org/ ).

Con le sue diverse pubblicazioni e eventi culturali (La pentola delle idee), consegna alle generazioni future un patrimonio di cultura e sapienza popolare destinato a consumarsi e perdersi con la vita e la memoria delle generazioni più anziane. Ricordiamo due pubblicazioni: “Sas paraulas adornàs” raccoglie le preghiere e invocazioni in lingua dorgalese e in allegato vi è un DVD con la recita di queste da parte di donne di Dorgali.

“Funtanas e rios” parla dell’importanza dell’acqua nella cultura locale.

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Nel mese di gennaio del 2004 è stata costituita l’associazione “Università della Terza Età” - libera, apolitica, apartitica ed aconfessionale, caratterizzata dal volontariato e dall’esclusione assoluta di qualsiasi finalità di lucro, aperta a tutti i cittadini che volessero avere un centro di aggregazione ove relazionare con gli altri per la propria crescita culturale e sociale, in un clima di serenità e di civile intrattenimento.

L’associazione si propone di coltivare interessi nel tempo libero, con particolare riferimento all’anziano, indipendentemente dal livello scolastico conseguito o dalla professione esercitata. Concorrere alla formazione culturale degli iscritti. Favorire la conoscenza, la valorizzazione della lingua e del patrimonio socio-economico, artistico e ambientale della Sardegna. Promuovere e sostenere e attuare ricerche, studi ed altre iniziative culturali per il confronto tra culture generazionali diverse.

In questi anni ha organizzato e avviato corsi inerenti la storia locale e della Sardegna, lo studio delle lingue straniere, l’informatica, lo studio dell’economia e dell’ambiente, la letteratura classica e moderna, l’archeologia nuragica e romana; inoltre furono programmate ed attuate conferenze sulla medicina e sulle patologie dell’anziano, gite ed escursioni in Italia e all’estero, attività ricreative e di intrattenimento. Abbiamo già citato alcune pubblicazioni edite da questa associazione e aggiungiamo “Archeologia e umanità – Dorgali tra Ottocento e Novecento, di Giacobbe Manca.

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Artigianato, beni architettonici e culturali Dorgali è un paese rinomato per le tante botteghe artigiane dove abili maestri ripropongono la lavorazione del cuoio, dei gioielli in filigrana, dei tessuti e della ceramica. Uno dei primi grandi maestri è stato Ciriaco Piras nato nel 1891. Scoperto da Francesco Ciusa, titolare della manifattura ceramica cagliaritana "Spira", nel 1919 Piras si trasferisce a Cagliari e lavora due anni, come apprendista, sotto le dipendenze del Ciusa. Nel 1922 Piras torna a Dorgali a apre un laboratorio di ceramica artistica dove realizza opere ispirate alla cultura e tradizione sarda.

Laboratorio di Ciriaco Piras

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Opere di Ciriaco Piras

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Nella sua scuola si formano altri grandi artisti dorgalesi che hanno continuato e innovato la produzione delle ceramiche dorgalesi: Salvatore Fancello, Simone Lai, Paolo Loddo, Antonio Lovicu, Giovanni Cucca, Lorenzo Loi e Francesco Sale. Decine di altri giovani, e meno giovani, artisti continuano la tradizione del settore, tra questi ricordiamo Giovanni Loddo, Salvatore Fancello Tartarinu, Salvatore Cucca, Tonino, Lino ed Enza Loi, e il loro nipote Lorenzo.

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Ceramiche Loddo oggi (di Giovanni, figlio di Paolo): Il primo laboratorio di Ceramica Loddo nacque ad opera di Paolo Loddo nato ad Orani (1903- 1983) e trasferitosi a Dorgali nel 1930. Nato come intagliatore del legno si dedicò alla ceramica e nel laboratorio del ceramista Ciriaco Piras imparò le prime tecniche di lavorazione ma le seguì solo nelle basi perché da subito si distaccò per un modo tutto personale di trattare rilievo e colori. Accanto al rilievo dai contorni morbidi praticò anche quello dei piatti ad imitazione dell'intaglio nel legno e come il fecondo pittore e incisore Remo Branca lo definì " Con l'intuito semplificatore delle forme degne di una bell'arte..." Le figure e le scene riportate erano ispirate alle scene di vita popolare con la decorazione improntata a un più evidente pittoricismo attento a sottolineare, con pennellate di colore, i contorni e le sfumature. https://www.sardegnaartigianato.com/it/artigiano/ceramiche-loddo Ceramiche Lino e Enza Loi (figli di Lorenzo): Il laboratorio di ceramiche artigianali di Lino Loi eredita e custodisce una tradizione familiare di oltre cinquant’anni. Forte di esperienza e competenza, l’azienda produce con consolidato ritmo quotidiano creazioni originali in cui i preziosi segni artigianali si caratterizzano, oltre che per l’accurata manifattura, per la sensibile rivisitazione della tradizione.

Visitando il suggestivo e ampio laboratorio di Dorgali, centro isolano rinomato per la produzione di ceramiche, è possibile vedere l’artigiano e le sue collaboratrici decoratrici al lavoro ed assistere all’alchimia che accompagna il processo di creazione della ceramica nelle diverse fasi. https://www.sardegnaartigianato.com/it/artigiano/lino-loi Enza Loi apprende le tecniche della lavorazione della ceramica da giovanissima nel laboratorio del padre Lorenzo, esperto ceramista del centro di Dorgali, e della madre Maddalena, artigiana decoratrice, distinguendosi da subito per la predisposizione artistica alle fasi di decorazione. La sua produzione si caratterizza per la cura dei decori che l’artigiana esegue riproponendo il campionario di motivi tradizionali acquisito con la ricca esperienza familiare. https://www.sardegnaartigianato.com/it/artigiano/enza-loi

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Giovanni Loddo

Lino e Enza Loi Pelletteria di Gonario Carta Brocca e Sebastiana Fara https://www.calagonone.eu/ospitalita/shopping/artigianato/pelle/420pelletteria-fara-sebastiana

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Ceramiche di Gianluigi Mele (figlio di Pietro): http://web.tiscali.it/ceramicheglmele/

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Una nuova generazione di armaioli continua la tradizione nella produzione dei coltelli dorgalesi (sas resorzas). Sono tantissimi ed è per me impossibile ricordarli tutti. Ne cito alcuni, scusandomi per le dimenticanze: Tonino e Luciano Spanu (figli di Sebastiano). Ivan Pira (nipote di Ciriaco), Marcello Serra, Levi Pira, Luciano Loi, Tatano Spanu‌ http://www.spanucoltellidorgali.com/ https://www.coltelligioiello.biz/

Tonino Spanu

Luciano Spanu

Levi Pira

Ivan Pira

Luciano Loi

Tatano Spanu

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Un posto importante nella produzione artistica hanno anche i fratelli Pierpaolo e Ignazio Piredda: pittura, oreficeria, la costruzione della “trumba dorgalese�, musica e canto nella difesa e memoria della cultura popolare imparata dai nonni.

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L'oreficeria dorgalese è una continua evoluzione delle tecniche tradizionali sarde dello sbalzo, del cesello e soprattutto della filigrana. Il costume femminile dorgalese è uno dei più ricchi in Sardegna, con preziosi come la "Zoiga", "Su Pinnazzellu", "S'isprugadente" o i grossi bottoni in oro che lo rendono unico. Partendo dalle forme e dalle tecniche della tradizione, gli orafi dorgalese hanno portato avanti una continua evoluzione delle proprie creazioni che vengono esportate nelle oreficerie più famose della Sardegna. La bottega di Secondo Patteri è stata l'unica del paese per almeno 50 anni. In un secondo tempo è arrivato Martino Muggianu, altro grande orafo dorgalese. Tradizione seguita da Alessandra Patteri, artigiana orafa di terza generazione, la passione per la lavorazione artigianale deriva da una preziosa tradizione di famiglia che ha inizio negli anni Venti del secolo scorso con suo nonno Secondo e prosegue fino agli anni Novanta con il padre Tonino. Alessandra e suo fratello Cristian raccolgono con sincera passione l’eredità artigianale, sensibili alla tradizione locale e fortemente motivati a mantenere viva la loro storia, forti di abilità e competenze accresciute da esperienze formative svolte fuori dall’isola. Nel laboratorio si procede riprendendo elementi dei gioielli tipici e distintivi dell’identità locale, creando delle fedeli riproduzioni o formulando con estro ed eleganza nuove creazioni di gusto contemporaneo.

Oggi l’artigiana lavora con la figlia Rossana nel laboratorio orafo di Dorgali con ulteriore suggestivo passaggio di competenze.

Zòiga fatta da Alessandra Patteri

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Dal sito di Libero Patteri: (https://www.liberogioielli.it/ ) “...avevo 11 anni la prima volta che misi piede nel laboratorio di mio zio, come piccolo apprendista. Lui, Secondo Patteri, aveva imparato l'arte dal padre, e ora la insegnava a me, suo nipote. Era il talento di famiglia e al tempo, nei lontani anni '50, a Dorgali, il mestiere veniva tramandato soltanto cosĂŹ, dentro la parentela piĂš stretta. Sono Libero Patteri, classe '46, e lavoro alla maniera antica nella mia bottega, senza stampi e microfusioni varie. L'esperienza, maturata in seguito allo studio e alla ricerca e alla quale hanno contribuito le esperienze a Valenza Po e a Cagliari, l'ho appresa maggiormente in famiglia, l'unico posto dove mi venivano rivelati i veri segreti dell'arte orafaâ€?...

Oggi Libero crea gioielli in sintesi originale tra tradizionale e moderno. I lavori sono eseguiti esclusivamente a mano. Sono passati tantissimi anni e il figlio Mattia, continua questa antica e preziosissima arte....

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Importante conoscere la storia di Merù Gioielli, che nasce a Milano nel 1959. http://www.merugioielli.it/storia/ Il suo fondatore, Francesco Mereu, aveva lasciato Dorgali, suo paese natale, per frequentare la Scuola d’Arte e Mestieri a Milano, dove si diplomò a pieni voti come orologiaio. Nel 1960, all’età di 26 anni, Francesco decise di mettersi in proprio, a riparare orologi ed oggetti antichi di svariato genere; in Via Solferino, nel quartiere di Brera, si era liberato un negozietto dove aprì una piccola bottega. La Palazzi Editori aveva un mensile che si chiamava Bellezza, che realizzò un servizio fotografico degli oggetti venduti nella piccola bottega; l’articolo pubblicato chiamava Francesco “il Merù” perché il custode del condominio di Via Solferino, essendo milanese doc, non sapeva pronunciare il dittongo finale del cognome Mereu, e pronunciava Merù. La cosa era molto buffa, gli amici ridevano. Tuttavia “Merù” era un nome originale; così Francesco andò all’ufficio brevetti e marchi a depositarlo e mise la targa fuori dal negozio.

Egli aveva già ottenuto la licenza di venditore d’oro, ma all’epoca la sua attività principale restava quella di orologeria di alta precisione. Tuttavia, poiché i clienti cominciavano a domandare anche delle pietre preziose, Francesco si iscrivette a un corso serale di gemmologia. Col tempo Francesco cominciò a dedicarsi sempre più all’oro e ai materiali preziosi e semipreziosi che venivano mescolati con materiali poveri per dar vita a creazioni originali. Nel corso degli anni ’80 ci fu la vera e propria esplosione della fama di Merù a Milano, “perché vendevamo queste cose originali e assurde che nessuno aveva” dice Francesco. Merù diventa un marchio-insegna di grande successo a livello locale. Oggi il grande inventore imprenditore e creativo Francesco non è più con noi; rimangono però le sue creazioni e il suo stile inconfondibile. A continuare a far parlare di Merù ora ci pensano i due figli di Francesco, che uniscono le nuove collezioni ad un continuo recupero del patrimonio storico di Merù.

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Tra gli orefici della nuova generazione emerge Dino Mele con una personale e innovativa produzione.

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Dal sito di Francesco Serra, https://www.filigranasardegna.it/, titolare dell'oreficeria - gioielleria ESSEFFE, orafo filigranista che appartiene alla rinomata scuola orafa di Dorgali. Nel suo shop a Dorgali e online propone, di fianco alle fedeli riproduzioni dei gioielli tradizionali, oggetti in filigrana dal design originale e moderno. Gioielli unici realizzati interamente a mano rivisitando forme e tecniche di lavorazione dell’oreficeria tradizionale.

http://guskingioielli.blogspot.com/2015/07/ Guskin è la gioielleria di Salvatore Loi e dei figli Simone e Giordano. La passione per le antiche civiltà li ha portati a rivisitare i monili e le relative tecniche quali: sbalzo, cesello e granulazione. Senza però dimenticare la nostra cultura, hanno dato vita a gioielli unici per forme e accostamenti tra materiali preziosi e poveri: oro, argento, rame, bronzo, madreperla e cuoio convivono e si completano a vicenda.

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Pittura, scultura e tessitura Il pittore, scultore, ceramista dorgalese più rinomato è Salvatore Fancello Ánghelu (1916-1941), cognato di Simone Lai, il cui percorso artistico si svolge nell'arco in appena un decennio. Nel 1930, si trasferisce a Monza per frequentare l’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche – frequentato anche dagli amici Giovanni Pintori e Costantino Nivola - fino ai successivi soggiorni a Milano, Padova e Albissola, per concludersi con la precoce morte in guerra nel 1941, sul fronte greco-albanese, all’età di soli venticinque anni. Dorgali gli ha dedicato una raccolta museale in cui si possono ammirare le fantastiche opere tra cui l’eccezionale Disegno ininterrotto di 7 metri realizzato a china e acquerello. Nel libro curato da Ignazio Delogu e Salvatore Naitza con una prefazione di Carlo Giulio Argan si descrive una fantasia piena di stupore e di ironia verso la vita è il dato caratterizzante l’opera di Salvatore Fancello, fantasia espressa attraverso un linguaggio estremamente raffinato e del tutto privo di facili ingenuità istintive. Un altro è di Alberto Crespi, un terzo di Giuliana Altea e Nico Stringa, tutti editi da Ilisso. “Percorsi del moderno” e “Alla periferia del paradiso”, ed. Yaca Book, sono altre due opere che parlano di Fancello. http://www.museoarcheologicodorgali.it/wp/wpcontent/uploads/2015/07/Salvatore-Fancello-Alberto-Crespi-Nuoro2005.pdf

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Un ricordo particolare merita il lavoro di Bibbiana Tanina Mele, che ha fatto la sua tesi di laurea sull’opera di Fancello e pubblicato “Milano, 1930-1940. Arte, letteratura e poesia a confronto nell'opera di Salvatore Fancello, Lubrina Editore Bergamo, 2003.

Attualmente vive e lavora a Firenze e sono di valore anche le sue opere artistiche realizzate negli ultimi anni:

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In questo sito altre opere di Salvatore Fancello o a lui ispirate: https://issuu.com/ilisso/docs/fancello_e_la_scuola_ceramica_di_do

Un posto d’onore tra i pittori dorgalesi lo ha Pietro Mele, leva 1914 e deceduto a Gonone il 1989. Per il cinquantesimo anniversario della sua attività pittorica il Comune di Dorgali gli dedicò un catalogo delle opere curato da Salvatore Naitza (PIETRO MELE 50 anni di pittura 1936-1986 Mostra antologica Agosto-Settembre 1986)

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È suo il murale che campeggia nella chiesa parrocchiale dedicato al martirio di Santa Caterina d’Alessandria.

Un suo grande quadro, un olio su tela, tre metri per due, domina l’aula consiliare del Comune di Dorgali. Rappresentante una scena marinaresca in cui una donna, in piedi su di un molo, tiene in braccio il figlio, accanto a lei una bambina.

In loro presenza due pescatori scaricano il pescato sulla banchina, due ceste di pesci e ricci di mare. Possiamo senza timore di smentita collocare la scena nel molo Ichnusa. Cagliari è ritratta senza ferite, la luce è quella del tardo pomeriggio, di un mese caldo (tra giugno e settembre), periodo dell’anno in cui i raggi del sole bagnano la pietra e i muri facendoli vibrare nei toni caldi, dorati e rosati.

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Bartolomeo Serra (Popollu Musio, su notaiu), fondatore dell’associazione culturale Don Milani di cui è stato per anni presidente.

Autodidatta, ha carpito alcuni segreti della pittura frequentando l'amico pittore, Pietro Mele. «Mi attraggono i paesaggi: le valli qua e là interrotte dai roccioni immersi nel verde della vegetazione, il profilarsi lontano del mare biancheggiante, il grigio luminoso delle nostre belle montagne. E oso sostenere che riesco a guardare la terra con gli occhi del pittore». È uno dei passi riferito alla pittura, che il notaio Serra aveva scritto nella sua unica pubblicazione: 'Repertorio 0". In essa racconta alcune vicende di vita notarile, storie vere che aveva poi romanzato. Ecco due sue opere: la collina di Sant’Elene e Ilune e il gruppo folk don Milani:

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Un ricordo particolare merita Francesco Masuri, nato il 1920 e deceduto nel 2009. Le sue prime esperienze artistiche risalgono alla sua infanzia quando si divertiva a fare diverse forme con il formaggio fuso. Dal 1945, dopo la guerra a cui aveva partecipato come soldato, sperimenta numerose esperienze lavorative: minatore, operaio in fabbrica, una volta rientrato a Dorgali nel 1964, ha lavorato per breve periodo con l'azienda artigiana dei Piras, dove apprende la lavorazione artistica della creta. Per la sua formazione alla “sarditudine” è stato importante l'incontro con il critico d'arte Raffaello Marchi. Il suo bisogno espressivo, giunto a maturazione nel plastico, ha iniziato con il disegno nel primo periodo e ha seguito diversi percorsi: ha prodotto un'intera serie di disegni per una ditta che produceva cartoline, quadri e oggettistica varia in sughero, per alcuni ceramisti di Dorgali aveva realizzato disegni per oggetti ornamentali: ha sperimentato le tecniche dell'affresco e della pittura ad olio. L'esperienza artistica con la creta è proseguita incessantemente: oltre alle opere più conosciute, lavorate a tutto tondo, sono da segnalare i bassorilievi realizzati negli anni settanta con diversi formati, nel tempo ha prodotto diverse opere su tematiche religiose, tra le quali l'affresco nella chiesa Skumbini in Albania, nel 1942, il dipinto ad olio con l'immagine di Santa Barbara, nella miniera di Funtana Luminosa 1952, ora custodito nella parrocchia di Gadoni. Di grande valore artistico sono anche le sue “crete istoriate” che in una mostra presenta da Raffaele Marchi ha ricevuto il meritato riconoscimento.

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Piergiorgio Gometz è considerato uno dei più importanti scultori sardi.

Tra le sue opere più importanti i portali in bronzo della chiesa di San Lucifero a Cagliari e della cattedrale di Nuoro. Silvana Gometz, sorella di Piergiorgio, è nota per i collages, tanti in omaggio ai pittori sardi del novecento. È nota anche come illustratrice di libri per bambini e come scrittrice: è stata premiata con il premio nazionale letteratura per l’infanzia.

Alcune opere di Piergiorgio sono nella collezione: https://ars.fondazionedisardegna.it/artista/58/gometz Ha pubblicato “Coltelli di Sardegna – Strumenti simboli e leggende d’una antica civiltà, “Gioielli di Sardegna, tradizione e magia” Edizioni della Torre. E “Prendas, Gioielli di Sardegna, Edizioni della Torre, 1988.

Sue interviste: https://www.youtube.com/watch?v=Iu676p4KBbE https://www.youtube.com/watch?v=jd5Tj8beqcs

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Opere di Silvana Gometz

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Artista e professionista poliedrico, Mario Spanu è stato capace di plasmare in modo gentile l’orizzonte visivo quotidiano di un'intera comunità, lasciando in eredità una produzione vasta e complessa e il cui valore durerà nel tempo. Un percorso per certi versi inedito – si legge nel catalogo di una mostra curata di Marco Useli e Fabrizio Brotzu - all'interno all'opera di Spanu, ancorato ai temi maggiormente ricorrenti della sua produzione ma capace di mettere in luce il valore tecnico e artistico della sua ricerca. […] È un primo passo di avvicinamento in direzione di un'operazione più ampia e consapevole che consenta di comprendere il reale valore di Mario Spanu per la comunità dorgalese, dimostratasi capace di mettere a frutto quanto seminato da alcuni dei suoi membri più illustri. E Mario Spanu è stato sicuramente un buon seminatore".

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Antonio Secci, leva 1944. http://www.antoniosecci.it/menu.htm La natura è la fonte di ispirazione e curiosità come spiega in una introduzione a una mostra delle sue opere: "Nel mio intento dell’osservare, scoprivo che nella natura le forme usuali si modificavano in forme astratte e solo lentamente riuscivo a riabituarmi alla loro nuova immagine... Le sembianze sfocate della natura che io ricavavo non erano mai quelle reali, ma sembravano volute da un ordine metafisico, interno, essenziale delle cose". Ha prima partecipato a un dibattito e a una ricerca che stavano cambiando il corso della storia dell'arte italiana, recando un apporto individuale peculiarmente sardo, e ha continuato a rielaborare, una volta tornato in Sardegna, idee che possedevano in sé i semi fecondi di una stagione creativa straordinaria, dalle conseguenze internazionali. Antonio Secci lascia momentaneamente la Sardegna, per trasferirsi a Milano, nel 1966, spinto in questa scelta da due artisti che ha conosciuto sull'Isola. Si tratta di Gianni Dova e Guy Harlotf, i quali - colpiti dalle qualità pittoriche del giovane, appena ventiduenne - lo invitano a trasferirsi nella metropoli dove ha maturato un suo stile e riconoscimenti che lo consacrano tra i più grandi artisti contemporanei.

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Tra gli artisti contemporanei di Dorgali c’è Tonino Fancello Ungredda.

"I colori della tradizione" dove il costume tradizionale del paese viene usato come pretesto per fare un discorso sul colore. Figure fortemente stilizzate che assumono pose ieratiche facendo emergere con naturalezza la grazia e l'eleganza del portamento, tipico delle donne dorgalesi. Un pezzo di memoria legato alla nostra storia e cultura. Il messaggio nascosto è da ritrovare e scoprire utilizzando la metafora che si pone tra i grandi temi e interrogativi della nostra esistenza”. Diplomato all'Istituto d'arte di Nuoro, Antonio Fancello inizia l'attività espositiva nel 1972 a Dorgali con mostre personali a Cala Gonone, Cagliari, Nuoro e Ferrara, nelle Sale Del Bollini.

Trascorre 21 anni a Ferrara occupandosi di progettazione architettonica, arredo urbano e architettura d'interni. Partecipa ed esposizioni collettive e all'Arte Expo Nazionale di Brescia: nel 2003 a Dorgali realizza il monumento ai Caduti sul Lavoro "Il teatro della vita" con opere scultoree monumentali. Nel 2009 fonda l'associazione culturale Dorgali- Arte e quindi la scuola d'arte di pittura, scultura, arti applicate. «Il fondamento costitutivo della scuola è la promozione, lo sviluppo, l'organizzazione di manifestazioni artistiche presenti nel nostro territorio. Svolgendo attività e iniziative volte alla valorizzazione del nostro patrimonio artistico, attraverso mostre studi, convegni, ricerche, corsi di insegnamento ed ogni altra forma di manifestazioni culturali aperte a tutti, su argomenti di natura artistica».

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Monumento ai Caduti sul Lavoro "Il teatro della vita"

Nemesi

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Luigi Mula, laureato in lettere moderne all’università di Cagliari , con tesi di storia dell’arte contemporanea su “L’esperienza dell’arte cinetica e programmata in Italia 1957-64”. La sua prima personale a Dorgali è del 1972, insieme a Pierpaolo Piredda e Tonino Fancello, con la presentazione del critico etnologo Raffaello Marchi. Espone poi a Nuoro e a Cagliari, seguono le mostre a Dorgali e Cala Gonone, Siniscola e Orosei. «Sono stato sempre attratto, fin dalle letture universitarie, dalla distinzione lacaniana tra occhio e sguardo. Tra apparenza e altro dall’apparenza, tanto da diventare argomento della mia tesi di laurea» spiega Luigi Mula. Ecco alcune sue opere:

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Una numerosa nuova generazione di artisti di Dorgali continuano la tradizione culturale e innovano seguendo i segni dei tempi.

Tra questi c’è Marco Useli (Micale) un pittore, incisore e progettista. Dopo il diploma all’Istituto d’Arte Francesco Ciusa Romagna di Nuoro, Marco Useli si è laureato all’Accademia di Belle Arti di Firenze e, in seguito ad un’esperienza biennale a Londra, si è stabilito a Milano dove ha conseguito un Master in Progettazione contemporanea con la pietra, presso il Politecnico. Dal 2012 fa parte dell’Associazione Culturale Milano Printmakers, che si occupa di sviluppare la ricerca nella grafica d’arte e nel 2017 ha aperto uno studio anche a Dorgali: un luogo ove portare avanti la propria attività artistica e dove ospita, sotto la sua curatela, mostre e laboratori di pittura ed incisione. Al territorio sardo ha dedicato, nel 2018, il progetto Su Boidu, Il Vuoto. L’idea, nata per celebrare il valore emotivo di una porzione di territorio, ai margini della macro regione barbaricina, lo ha visto impegnato nella creazione di un dodecaedro trasparente, simbolo del cosmo nella sua complessità e armonia, luogo di osservazione privilegiato sullo spazio circostante, sviluppato sulla base di proporzioni fisiche strettamente correlate al mondo della natura e dei rapporti aurei. In un work in progress le pareti dello stesso dodecaedro hanno ospitato gli interventi incisori di diversi artisti, in un gioco di corrispondenze e inganni finalizzato alla restituzione di un paesaggio composito, fatto di elementi reali e interiori. Al lavoro ambientale Useli affianca una raffinata e ricca produzione di opere tu carta e tavola. “Sono stato fortunato, fin da bambino potevo uscire di casa, attraversare la pineta che sovrasta casa mia a Dorgali e sedermi a contemplare dall’alto un paesaggio incredibile. Nascere in mezzo a una natura come quella, calcare, basalto, granito sciolto dal tempo e dall’acqua, a un certo punto sei quasi costretto a farci i conti. Le prime cose non accademiche che ho fatto erano un tentativo di riflessione sui ritmi della natura, sul paesaggio che si allontana dallo sguardo, un po’ una costante per chi attraversa il mare, vedere la costa che sfuma, la pietra che perde consistenza, poi ti ritrovi a Milano a fare un master sulla progettazione contemporanea con la pietra e pensi: ecco, tutto torna”.

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Opere di Marco Useli:

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Angelo Monne, grafico editoriale e illustratore, vive e lavora a Dorgali. (www.angelomonne.com ). Pubblica i suoi disegni in Italia e all’estero, un po’ dove capita, pur intrattenendo dal 1997 una relazione abbastanza stabile con la rivista Internazionale. Si è formato a Roma nello studio di Giovanni Lussu dove ha impaginato, e occasionalmente illustrato, centinaia e centinaia di pagine di ogni genere, in ogni lingua. https://issuu.com/angelo-monne/docs/angelo_monne_una_cosa http://www.angelomonne.com/d/eb/eb.php?p=itPilighitta/pili20607/

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Claudia Piras, leva 1987. Ha studiato a Urbino: decorazione in accademia e cinema d'animazione-fumetto e illustrazione al PERF. Hanno stampato i suoii disegni People edizioni, Higuera editores, Giovane Holden Edizioni, Mediterranea, GAP_zines, Tiny Pencil, kappa edizioni, P. Fadda, F. Carboni. Ha progettato, illustrato e prodotto i libri Sa Mama e Sole, La signora e l’agnello, I racconti del giardino del re, Le filastrocche della maestra e Salvatore Fancello il disegno ininterrotto. Ha partecipato attivamente a mostre e festival. Dal 2013 organizza laboratori dedicati a bambini e ragazzi. Ha lavorato con associazioni, biblioteche e scuole.

Collabora come decoratrice di interni con l’Arch. Andrea Fronteddu per Openspace Dorgali.

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Maurizio Brocca nasce a Dorgali nel 1986. Dopo aver frequentato l’Istituto d’arte nuorese per ben 7 anni con una crescente dose di superficialità viene sedotto da un’affascinante quanto tragica idea: il disegno sarà il suo lavoro. Con un diploma allo IED di Milano, fa rientro in Sardegna e si stabilisce al mare, a Cala Gonone, preferendo aria buona invece di una buona connessione. Qui vive e lavora alternando la sua ossessione per la carta, acquerelli e pennelli a camminate tra mare, montagna e grotte di banditi. Di solito cucina, coltiva l’orto, colleziona nidi abbandonati, raccoglie funghi, asparagi e qualche volta prova a fare l’illustratore. https://mauriziobrocca.wordpress.com/

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Davide Fancello, (http://davidefancello.it/ ), leva 1985, si laurea nella Facoltà di Ingegneria Edile-Architettura dell’Università di Cagliari nel 2010 con una tesi sul recupero urbano dal titolo “vuoti urbani e cellule edilizie a Dorgali, progetto per il recupero sostenibile del centro storico” progetto vincitore della IV Edizione del Premio del Paesaggio della Regione Sardegna. Dal 2011 svolge la libera professione con base operativa a Dorgali. Con la sua attività porta avanti la cultura del progetto attraverso un linguaggio capace di coniugare l’architettura contemporanea con quella tradizionale legata al contesto in cui si opera. Durante i primi anni di professione focalizza la sua attività sul recupero urbano ed edilizio fermamente convinto che sia necessario rinnovare gli spazi urbani e recuperare il costruito evitando l’inutile consumo di suolo. Si attiva per proporre alcuni progetti per il recupero urbano del centro storico di Dorgali attivando un dialogo fra i cittadini e l’amministrazione.

Propone il progetto “Perché incorniciare il paesaggio? (https://divisare.com/projects/335446-davide-fancello-mauro-preveteincorniciando-il-paesaggio-sedersi-e-guardare-parlare-e-poiripartire?fbclid=IwAR0YTxNc4NklTr_3yNLtiNVqQlQR7X7IOBUSujcu DTjcsXzijK4Hc-1LpA8 ) Questo progetto mira a incoraggiare le persone ad essere consapevoli del paesaggio che li circonda, a far capire come l'ambiente sia sensibile e come necessita di una protezione per le generazioni future. Incorniciare il paesaggio è il primo passo in direzione della sua tutela e valorizzazione, infatti solo quando le persone vedono una "cosa" iniziano a comprenderla e a sentirla parte di loro. Non a caso uno dei primi commenti alla costruzione del piccolo dispositivo è stato: “Bellissima quella "cabinedda", sembra un quadro!”. Finalmente ci si rende conto che quel paesaggio, che per molti è sempre stato scontato, è talmente bello da poter essere incorniciato e diventare un vanto per la comunità. A Dorgali, l’intervento di sostituzione di una pensilina per autobus, ormai pericolante, è diventata l’occasione per il progetto di una nuova architettura: un dispositivo di paesaggio che prova a bilanciare il suo ruolo funzionale di ‘stare’ temporaneo con la possibilità di diventare una soglia vissuta tra abitanti, visitatori e paesaggio. Il progetto ha camminato di pari passo con i contributi fondamentali di artigiani locali. La condivisione dei diversi saperi ha permesso una rapida realizzazione, dove l’attenzione per il dettaglio, certosina, è parte integrante della filosofia architettonica della sua composizione, peraltro imprescindibile dal contesto in cui è inserito.

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Dorgali è un luogo dove la topografia è imprescindibile dalla vita quotidiana. Le morfologie degli imponenti bastioni calcarei del Supramonte, gli altopiani incisi dalle acque e le valli coltivate costituiscono il linguaggio di un mosaico paesaggistico che, da ogni prospettiva, diventa il protagonista del quotidiano. La tendenza comune dello scollamento tra luoghi fisici e luoghi simbolici, ovvero la perdita di significati ‘operativi’ tra uomo e paesaggio, porta anche qui a interrogarsi su come rammendare questo rapporto, sempre più necessario. L’idea di realizzare un dispositivo minimo di paesaggio nasce da questa esigenza, non semplicemente di educazione all’osservazione dei luoghi, ma di esperimento sociale: un piccolo topos per ‘abitare’ paesaggio: gli inglesi lo chiamerebbero stage, un palcoscenico affacciato sulla platea, dove spettatori e attori, luogo e azione, intrecciano le loro situazioni in modo sempre casuale e non ordinario. Il dispositivo vuole essere totemico nella sua semplice necessarietà: un involucro disposto ai bordi di una scarpata che incornicia e isola un preciso panorama: il paese con le sue campagne terrazzate e coltivate e i monti sullo sfondo. Ma la scommessa non sta solo nel proporre un mirador, un belvedere che disciplina e invita lo sguardo all’osservazione attenta: è anche un luogo dello stare, uno stare minimo e temporaneo certo, legato alle sue funzioni di fermata per i mezzi pubblici e di punto panoramico, che può diventare una ‘stanza comune’, dove ci si incontra, accadono cose e incontri e dove appunto gli spettatori diventano protagonisti, consapevoli del loro ruolo attivo nella costruzione storica della comunità, e quindi del paesaggio. Questo dispositivo di habitat temporaneo e minimo esplica nei suoi esiti formali le premesse della sua ideazione. Il volume parte dall’ingombro della pensilina per autobus prima esistente, un’alcova rivolta verso la strada. Eliminare la parete di fondo permette di rovesciare completamente il ruolo e il significato di un oggetto altrimenti puramente funzionale. La pensilina diventa così una doppia soglia, fisica verso la strada e visiva verso il panorama. La chiave di lettura può essere la figura retorica del chiasmo: una struttura fortemente materica e al tempo stesso a-temporale come il COR-TEN definisce l’involucro e l’introversione, mentre la lastra di vetro sul lato del dirupo, a-materica, dialoga con la continua modificazione del panorama che inquadra, il suo essere un oggetto legato al tempo e alla ciclicità delle trasformazioni, sia naturali che fisiche. Il dispositivo è ‘addomesticato’ all’interno da un rivestimento caldo di legno, inciso da leggere decorazioni che richiamano la tradizione locale e dalla presenza di 4 sedie, in legno e metallo, frutto dell’abilità artigianale locale.

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La loro disposizione, leggermente ruotata rispetto agli assi cardinali del dispositivo, invoglia e suggerisce la socialità e lo stare assieme tra chi aspetta, chi passa e chi viene per stare.

Il suolo su cui poggia è lo stesso della più vasta sistemazione pedonale in cui è inserito, senza differenziazioni. Questo per rafforzare il suo ruolo urbano e non gerarchizzato, ma di elemento quotidiano inserito nella vita della strada.

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Tessitura e ricami La tessitura ha sempre avuto un posto di rilievo nella vita dorgalese ed era fatta in ogni casa occupando tanto tempo delle donne che producevano vestiti, panni, tappeti. Oggi sono rimasti pochi laboratori artigianali che continuano tale tradizione. Tra questi indichiamo “Su Telarzu”. Il laboratorio nasce negli anni Settanta dall'intuizione di Maddalena Mula (Mallena Cambedda), appassionata ed abile tessitrice che apprenderà la nuova lavorazione attraverso significativi percorsi professionali e porterà la sua pregiata competenza al telaio, secondo procedure esclusivamente artigianali, ad evolversi ed affermarsi come piccola impresa a conduzione familiare. Oggi sotto la sapiente guida di sua figlia, Caterina Mele, il laboratorio prosegue la vasta e storica produzione di tappeti e tessuti d’arredo, affonda le sue radici in un passato di antiche tradizioni con uno sguardo intuitivo verso il contemporaneo. Si usa la tecnica annodata "a fiocco", di gusto contemporaneo e con prestigiosi disegni su firma di importanti artisti e designer. Tende, tovaglie, lenzuola, cuscini, asciugamani e altri complementi tessili, sono sempre caratterizzati dalla lavorazione artigianale dei decori e dalle raffinate rifiniture manuali di grande pulizia estetica, tratto distintivo del laboratorio.

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Altra artista – artigiana è Serafina Senette, del Laboratorio “Il tappeto”.

Oltre all’originale tecnica annodata utilizza con originalità e competenza la robusta tessitura a stuoia e la tradizionale tecnica a pibiones. Le sue creazioni hanno il prezioso fascino del pezzo unico e si caratterizzano per l’elevato valore artistico che esprimono, ottenuto anche grazie alle frequenti collaborazioni con artisti e designer. La produzione che ne deriva è di grande impatto scenico, caratterizzata da calibrati disegni a grandi moduli e vivaci cromie e dall’uso sapiente delle tecniche di tessitura che donano alle opere pregiati effetti percettivi tridimensionali. La produzione spazia dal classico tappeto sardo annodato o a stuoia con disegni tradizionali, impreziosito da variazioni personali che lo rendono comunque unico, alla stuoia su bozzetti di design originali con variazioni tessili che donano al manufatto un aspetto quasi plastico, alle tende, agli asciugamani in lino naturale o con inserti delicati, alle strisce sempre in lino che riprendono i disegni della tradizione artigianale dei manufatti lignei (cassapanche), ai preziosi copriletti. La sua capacità di coniugare il lavoro tradizionale con il gusto moderno permette di avere prodotti che rispondono all'odierna richiesta di oggetti unici e preziosi.

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A rappresentare la grande scuola delle ricamatrici dorgalesi presentiamo i Ricami in sete colorate dalle varie sfumature, realizzati da Luisa Fancello Ă nghelu (1910-1982), sorella di Salvatore Fancello, moglie di Simone Lai e madre di Caterina Lai (sarĂ che il senso artistico dipende anche dalla genetica).

Scialle disegnato e ricamato " Su vrore de sa verbena.

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Poeti e scrittori Ite cantant sos poetas durgalesos? É una pagina di Facebook in cui si pubblicano poesie in lingua dorgalese: https://www.facebook.com/Tessidores I poeti dorgalesi, come quelli di tante altre parti della Sardegna, attingono alle due fonti principali: la composizione spontanea trasmessa oralmente e la lettura dei grandi poeti locali e del mondo. Come tutti i poeti “cantadores” si cimentano in diversi temi che toccano la vita delle persone e prevale quello che il tema predominante del genere umano: perpetuare la specie, garantire la continuità dell’esistenza della vita in comunità. E quindi il canto per l’amore, l’attenzione particolare alla donna e alle donne, l’innamorarsi, sposarsi. La famiglia come appartenenza, come fonte di riferimento per le regole di comportamento, per poter vivere in comunità.

Il definire il cibo per il corpo e quello per l’anima. Per questo è importante riproporre e studiare in ogni scuola sarda quanto i poeti e cantadores hanno scritto. Cercare di esprimere compiutamente la condizione perenne dell’uomo sardo, proporsi come fatto culturale locale e globale allo stesso tempo, produrre cultura, non solo studiarla, interpretare i segni dei tempi e trasformarli in vita vissuta.

Billia Fancello ha curato “Musa durgalesa”, un’Antologia di poesia dorgalese. Risale alla metà del secolo XIX per trovare le prime poesie di dorgalesi. L’Antologia propone due categorie iniziali: “s’Amore ‘ducau” e “S’amore a sa grussa”. Alla prima appartengono le poesie che proclamano l’amore “educato”, puro, romantico, bucolico, con richiami dal dolce stil novo a Leopardi. Nella seconda troviamo componimenti in cui si lasciano da parte le buone maniere e prevale l’insulto, il risentimento per offese subite o per dinieghi a offerte amorose. Poeti dorgalesi, del secolo scorso, alcuni colti (Giuseppe Angelo Fancello Brotza, Giovanni Mulas, Ignazio Serra) altri cresciuti nella scuola impropria (Antonio e Pantaleo Cucca, Antonistene Branca, Chiricu Marras, Chiricu Lai, Jacu Pira) che ci hanno lasciato un patrimonio letterario che merita di essere conosciuto e valorizzato.

Altro libro di poesie dal titolo “Antoni Cucca poeta durgalesu”, curato da Nanneddu Corrias e Billia Fancello. Nell’introduzione Blasco Ferrer richiama ai “sinnos”, la simbologia significante dell’identità della comunità locale dell’epoca: “Sa Grotza” rustica giacchetta trovata nella spiaggia e diventa un piccolo bene del poveraccio che l’ha trovata nonostante la derisione dei nipoti. Il rituale del saluto sardo con l’italiano di ziu Bonassera, il rispetto verso gli adulti, i rapporti tra vicini.

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Ziu Antoni Cucca non celebra Ulisse, Paride, Elena, Venere, ma ziu Portoledda, ziu Bonassera, sa ichina che guarda i rattoppi del vestito e deride un povero sventurato o il poco decoro dell’ufficio pubblico postale di Dorgali diventato un immondezzaio. Un libro che vale la pena di leggere e meditare.

Il poeta più celebrato è don Zuanni Mulas (Dorgali, 1864 – 1945); nel 1906 pubblica a sue spese la raccolta “Riflessos”, ristampata nel 1962 e nel 1995 (con la bellissima commedia teatrale “zia Bernarda”). L’amore, le donne, il lavoro, le amicizie, il vino sono i suoi temi prediletti. Scrive con sapienza e competenza seguendo stile e metrica dei grandi poeti regionali e nazionali.

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Ignazio Serra Musio (Dorgali 1872 – Vercelli 1949) pubblica nel 1923 una prima raccolta di poesie “Rosas d’atonzu” , che viene riproposta dalla associazione culturale don Milani in una versione arricchita nel 2000. Il legame ai luoghi dell’infanzia, gli amici e l’amicizia, l’origine mitica del paese di Dorgali, i paesi vicini, la celebrazione di grandi poeti sardi, per ognuno ha una poesia che vale la pena scoprire e con diletto, declamare.

Un posto importante tra i poeti dorgalesi è occupato da Pantaleo Cucca (Dorgali 1884 – 1979) partecipò alla prima guerra mondiale e lavorò per alcuni anni come guardia di finanza. Lavorò poi come contadino e condusse una vita poco agiata non avendo possibilità, come invece desiderava, di pubblicare le poesie che scriveva. Si rivolse al vice parroco, don Nunzio Calaresu, che pubblicava a Dorgali un periodico ciclostilato dal titolo “Ziri ziri” per chiedergli di pubblicare il libro con le sue composizioni.

L’edizione esce nel 1962 con il titolo “Sutta sa ruche ‘e Monte Bardia”.

Lorenzo Loi ha pubblicato una sua raccolta di poesie dal titolo “Rimas”, nell’aprile del 1977, presso la Tipografia Solinas di Nuoro. Poesie, molto aderenti alla parlata dorgalese e concepite con estrema semplicità e modestia, iniziarono a circolare prima tra la ristretta cerchia di amici che non mancarono di apprezzare la genuinità dei componimenti ed incoraggiarlo alla partecipazione ai tanti concorsi poetici sorti, in quegli anni di grande interesse in diversi centri isolani. E proprio nella venticinquesima edizione dell’Ozieri (1981), nella sezione riservata alle opere edite nel triennio 1976/1978, conseguì il terzo premio.

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Mereu Giovanni Antonio (Cosaona) ha pubblicato “Incontru chin sa Musa”, Artigrafiche Su Craminu, raccolta delle sue poesie.

Di Andrea Cadoni, “Cantos sardos in rima” N’UR Edizioni (copertina di Maurizio Brocca)

Stefano Sale (Istene Breone) ha pubblicato “Bisiones Cuaos”.

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Da sottolineare anche l’importante funzione della promozione della poesia dorgalese che hanno avuto i concorsi delle associazioni culturali Tiscali e Bardia, con sponsor il Comune di Dorgali, hanno coinvolto le scuole e i poeti di ogni parte della Sardegna. Di ogni edizione si è fatta la specifica pubblicazione con le opere vincenti.

Notevole il lavoro fatto da Tonino Errina con la casa editrice N’UR che ha pubblicato oltre ai libri anche i CD Rom, a cura di Ennio Madau, delle presentazioni della collana “Tessidores”.

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Tra i poeti viventi iniziamo da Pietro Sotgia, classe 1925. Ha raccolto nel volume “Per un istante almeno” (Nuoro, Il Maestrale, 1997) una prima scelta dei suoi versi sardi e italiani. Tonino Fancello Errina ha curato per le edizioni N’UR la pubblicazione di una antologia di poesie di Sotgia dal titolo “Ulisse es’ toccheddande” con una bella introduzione di Felì Secci, che tanto avrebbe voluto vedere il completamento del lavoro per cui aveva tanto lavorato. Scrive Secci: “Per Pietro il poeta è quindi un messaggero, colui che ricorda all’uomo la sua relatività, regalandogli contemporaneamente le ali mentali per intuire il valore della Vita e realizzare un mondo migliore. Per assolvere questo mandato, le parole, unico strumento del poeta, devono non essere solo parole, come scriveva Pietro nella premessa del suo primo libro pubblicato, ma trasformarsi nell’essenza stessa di quel sogno da cui promanano. È proprio per questo che, in questa nuova raccolta di poesie, Pietro Sotgia risolve, supera, dissolve ogni alibi linguistico. Le sue poesie si susseguono libere, non più classificate e raggruppate per capitoli in lingua sarda e in lingua italiana.

La lingua sarda cessa di essere una bandiera e un’ossessione e, come la lingua italiana, come tutte le lingue, si rivela solo un mezzo e non un fine espressivo. Il suo atto d’amore per la Sardegna non cessa di essere autentico e struggente, ma egli non si identifica più con una lingua, con un popolo, con una Patria. Non può più farlo chi, come lui, si sente un cittadino dell’Universo. In una intervista video Pietro Sotgia commenta il suo essere poeta: “Non lo ho imparato a scuola. Ho imparato leggendo gli altri poeti, ascoltando i poeti tradizionali come si usava in Sardegna. Poi ho iniziato a partecipare ai Concorsi e qualcuno lo ho anche vinto. Ho pubblicato le miei poesie in un libro. Ho voluto con questo affermare il sentimento è più profondo, quello della famiglia, della vita in campagna, del lavoro. E poi i temi di oggi. Scrivo una protesta affinché anche i poeti diano il loro contributo per migliorare la società. Scrivo in sardo e in italiano. La lingua sarda è povera di vocaboli. Serviva bene in una certa epoca e serve ancora fino ad un certo punto. Oggi mi sembra che non sia abbastanza comunicativa. Oggi riesco ad esprimermi meglio in italiano. E così la lingua viene capita da più persone. Io continuo a scrivere anche in sardo ma per esprimere i temi di oggi mi sembra meglio l’italiano. Certe traduzioni non sono possibili tra le due lingue. La poesia è un modo efficace di comunicare quello che l’uomo ha in mente. É come la musica un linguaggio universale”.

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Altre pubblicazioni di Pietro Sotgia sono: “Di terra e d’amore”, edizioni N’UR e “La quarta età” Edizioni N’UR

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Gonario Carta Brocca è già nella storia dei grandi poeti della Sardegna.

Nato nel 1943 a Dorgali, ha frequentato poche scuole e ha conosciuto l’emigrazione. Tornato a Dorgali ha avviato un’attività artigianale e ha iniziato a coltivare più intensamente la poesia, passando dalla rima al verso libero e distinguendosi nei concorsi di tutta l’isola e vincendone centinaia.

Scrive anche in prosa, ha vinto il “Casteddu de sa fae” di Posada col romanzo “Sa sedda de sa Passalitorta” (2004). Vincendo il premio “Romangia” ha ottenuto la pubblicazione della raccolta di versi “Sos cantos de s’ae” (Sassari, TAS, 1996). La motivazione parla dell’impiego di «una lingua dorgalese senza logorii di tempo e di stagioni»; e di componimenti animati dalla «freschezza di chi vuole cogliere i problemi alle radici, in meravigliosi congiungimenti di uomo paese terra natura che conducono, spesso, alla speranza». Nelle edizioni N’UR ha pubblicato “Raichinas”. Ma, forse, il suo lavoro più apprezzato e usato è il vocabolario dorgalese – italiano che resterà tra le migliori opere della lingua dorgalese. In una intervista in sardo, così commenta il suo fare poesia: “Su tipu de poesia chi iscrio ieo est sa poesia de su mundu, de sa vida, de s’oje, de su crasa. Dae nue enimus, a nue andamus, s’omine, sa divinidade, su bene e su male.Custu est su tipu de poesia chi m’agradat de prus. Chi mi creat prus emotzione.Po iscriere una poesia cheret a ischire ite est una poesia. E po custu cheret a nde lezzere medas; e non solu poesias ma peri ateras cosas. Cheret a iscriere e a lezere. Sa poesia mia, po mene, est unu sognare. Unu disizare unu mundu menzus chi ispero b’at a essere.Ieo appo iscritu poesias peri in italianu, ma s’italianu lu ido comente una cosa anzena, de ateros.Imbezzes su sardu est su miu. Cando soe nechidau abochino in sardu, frastimo in sardu. Mi emotziono in sardu.

Una poesia iscritta in sardu e bortà in italianu non dat sa propria resa. No est sa propria cosa. Ma podet rendere s’idea de cussu chi cherimus narrere. B’at cosas chi andat bene a narrere in sardu e ateras chi est menzus a narrere in italianu.Pesso chi in sardu si podet fachere tottu.Si podet iscriere unu romanzu, unu trattau, unu discursu politicu, tottu. Sa poesia de oje est una poesia de dae intro, de s’anima. Comente a fachere un’ispogliarello de s’anima. Tra chent’annos sa poesia at a essere una cosa differente in su modu de narrere e in sas cosas chi contat. Peri sa poesia sarda est cambià non solu sa italiana. Intas a trinta anos fachet sa poesia sarda idi solu in rima. Chene rima non fit poesia. Oje sos poetas de Durgali son connotos po sa poesia chene rima.

Video interviste nel seguente sito: https://www.facebook.com/cinemamusicasocieta/videos/2989804468713/ 75

Alcune delle pubblicazioni di Gonario Carta Brocca

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Tonino Fancello (Tartarinu) è presidente e animatore del premio Bardia e ha pubblicato la racolta delle sue poesie nel libro “Sàmbene ‘e poetas”, suo fratello Salvatore Fancello ha pubblicato nelle edizioni N’UR “Che ramenarzu” e la loro sorella maggiore Maristella Fancello ha pubblicato la raccolta delle sue poesie dal titolo “Frores de Monte Bardia”. Sono numerose le affermazioni e riconoscimenti che i membri di questa storica famiglia di poeti dorgalesi hanno avuto.

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“Isteddos” e "L'aquila e il delfino" sono le due pubblicazioni di Angelina Sotgia. In questo video l’intervento di Angelina alla presentazione del libro di poesie “Isteddos”: https://www.youtube.com/watch?v=69s5ZZcQ8RU&feature=share A seguire la Postfazione di Tonino Fancello Errina al secondo libro: Tutto ciò che è lontano/ si riavvicina/ le labbra si aprono al riso/ e l’angoscia/ si veste con l’abito della speranza… Come possiamo avvicinarci a quel che è “lontano”? Angelina Sotgia dedica questa sua nuova opera a due giovanissime persone che sono state molto “vicine” e che ora sono “lontane: l’aquila che si è posata sulla più alta cima della vetta, il delfino che si è immerso nelle profondità marine. Dopo aver letto il libro ci accorgiamo che, insieme a loro, sono “lontani” anche tanti altri cari familiari di Angelina, così come lo sono i tramonti e le albe della sua infanzia, le terre dei fiori e dei profumi in primavera, le memorie ed i ricordi di tutto ciò che è stato nei luoghi della sua esistenza. “S’anneu” è il sentimento che prevale nella “lontananza” e Angelina – che lo ha ben conosciuto nella propria famiglia – in questa sua nuova opera lo “trasforma” e lo propone ai suoi lettori, in tutte le pagine, con la veste della “speranza”. Gli episodi e gli avvicendamenti che Angelina dipinge in ogni pagina del suo libro, si possono ricondurre all’idea dell’oscillazione costante – nell’uomo, nell’umanità e nella natura – tra un estremo caratterizzato da “S’anneu” e l’estremo opposto che è vestito di “speranza”: quella di fabbricarsi un mondo dove la vita non conosce mai tramonto benché, continuamente e inesorabilmente, si trasforma e si rinnova.

Quale funzione può svolgere la poesia in questa perenne oscillazione che ci coinvolge e che appartiene a tutti?

Cos’è – in altre parole – la poesia per Angelina Sotgia?

Un dialogo con ciò che è lontano? Un’immagine di questo stesso dialogo?

Un immenso mosaico di pregiati tasselli? Un dipinto fatto con le parole?

Un gioiello di parole fatte a mano? Un ricamo sopra un prezioso tessuto?

Un canto armonico e profondo? Un rituale per tenere viva la memoria e alimentare la speranza? Un balsamo che rende sopportabile s’anneu? Un suono che ci porta lontano nel tempo e nello spazio, che ci rinnova i ricordi e ce li rende “allegramente viventi” nel nostro quotidiano? Un mondo virtuale – visivo e sonoro – che restringe il tempo ad un punto ed estende lo spazio all’infinito? La poesia di Angelina Sotgia è l’insieme di tutte queste cose! Nelle due poesie che danno il titolo al volume, quelle dedicate all’aquila e al delfino, Angelina si osserva proprio nel momento in cui ha cominciato a pensare di poter scrivere poesie.

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Si coglie e si descrive, infatti, nel momento in cui “precipita in quella vetta dove l’aquila si dirige” ed anche quando, da lì, da quella voragine-vetta in cui è precipitata, compie un’azione che definisce con queste parole: “Un ponte d’oro scavai nel sottosuolo”. Da quegli scavi, dal sottosuolo interiore di Angelina, sono emerse le parole per questa sua nuova opera che è un racconto dipinto in forma di poesia. Con quel suo “ponte d’oro” Angelina ci racconta come può avvenire il ricongiungimento con tutto ciò che è “lontano” e come sia possibile tenere vivo, senza mai interromperlo, un dialogo con esso. Per Angelina, dunque, la poesia è, nello stesso tempo, una possibilità ed un’opportunità. Possibilità di tenere sempre vivo un dialogo con chi è “lontano” e opportunità per accendere e tenere vivo un dialogo con tutti i suoi lettori. Ad essi è infatti dedicato l’intero preambolo di questa sua nuova opera ed in modo particolare a coloro “che da una semplice stella/ attingono/ dolcissima/ una piccola emozione”. In punta di piedi, ma con la “forza” delle sue potenti e suggestive immagini poetiche, Angelina Sotgia c’invita tutti ad entrare nel suo universo familiare dove le persone, i loro manufatti e la terra che tutti li sorregge, si sono avvicendate e trasformate. Per diventare – nello sguardo di Angelina Sotgia – lucide e commoventi poesie dipinte in forma di racconto. In esse Angelina si racconta ma è, nello stesso tempo, raccontata. Raccontata a chi? Ai suoi lettori che la ascoltano, che la seguono, che hanno “somiglianza” e che si predispongono, leggendo, ad un muto dialogo. Ecco, è proprio questo dialogo tra le persone vive nel tempo presente che la poesia di Angelina Sotgia vorrebbe suscitare, accendere, tenere in vita. “Tutti i miei ricordi sono – come lei stessa scrive – l’aggancio per confrontarmi con l’oggi”.

Per dare linfa a questo auspicato dialogo tra i viventi, Angelina Sotgia pubblica e mette a disposizione questo suo nuovo libro che tanto somiglia alla fonte sorgiva di Oddoene. In quelle acque – simultaneamente – si rispecchia “S’anneu” e si rinvigorisce l’anima dolente. Quell’acqua è la poesia di Angelina. La poesia che è “ponte d’oro” perché tiene aperto un dialogo con il passato per attingere l’energia e la forza di vivere ed arricchire l’esperienza del tempo presente. “Se mi si chiede il metodo di cui dispongo per convivere con il dolore, che è palpabile sotto ogni angolatura, predominante e severo dove nel tempo ha condizionato parametri di sogni e libertà future, rispondo: vivere… o meglio, rivivere giorno per giorno il vissuto, così il presente non conoscerà mai la parola fine”. In questo “presente infinito” Angelina Sotgia condensa il tempo che ha un inizio e una fine e lo trasforma in un Tempo Presente che non finisce mai e che è in ogni istante del nostro vivere quotidiano, quello che solitamente ci sfugge.

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“A tratti anche il tempo/s’inchinava/al mormorio fraterno della fontana�.

Un tempo, dunque, che misura le trasformazioni e gli avvicendamenti delle persone e delle cose. Un tempo assoluto e fermo, che è un eterno presente, intorno al quale ruotano le nostre trasformazioni e i nostri avvicendamenti.

Come fa la terra che si trasforma e si rinnova stagionalmente mentre gira intorno al sole e come avviene in tutti noi nelle stagioni della nostra vita.

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Andrea Deplano è nato a Dorgali nel 1959. Nel suo sito web http://www.andriadeplano.it/ raccoglie i suoi lavori di grande interesse per chi vuole conoscere aspetti della cultura popolare sarda. Laureato in Lingue e Letterature Straniere presso l'Università di Cagliari, è Insegnante di Lingua e Civiltà Francese, Traduttore, Interprete. Negli anni scolastici 1981-82 e 1982-83 insegna in Francia in qualità di Assistente di Lingua Italiana. Nel 1986 è vincitore dei concorsi per l'insegnamento di Lingua Francese e Lingua e Civiltà Francese. Dal 1991 interviene nel dibattito culturale in collaborazioni con innumerevoli mass-media e con conferenze sui seguenti argomenti: Didattica della Lingua e Cultura Sarda e delle lingue moderne, Tradizioni popolari, Poesia e Folklore musicale sardo. Nel 1996 cura la Direzione artistica di Sonos Sardos a cui seguiranno Lollas (1997) e Boghes e sonos (1999 e 2000). Settembre 1999 è membro del Comitato di 12 Esperti per il monitoraggio dell'insegnamento della Lingua e della Cultura Sarda nelle scuole dell'isola. Dal 2003 è membro della Consulta del Canto a Tenore. Nel 2006 è vincitore di concorso per esami e titoli per l’insegnamento universitario di Lingua Italiana in atenei stranieri.

Tra il 2008 e il 2010 cura l’allestimento di Sonos nel Centro Documentazione sul Canto a Tenore presso Casa Mesina in seno al progetto “Centro documentazione del Supramonte di Orgosolo - Il patrimonio culturale del canto a tenore”. Nel novembre 2011, a seguito di concorso per titoli, insegna Laboratorio didattico del sardo nel PROGETTO FILS (Formazione Insegnanti di Lingua Sarda) della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari nelle sedi di Cagliari e Oristano. Nel 2011, è formatore e esaminatore del diploma di francese professionale (DFP): DFP A2, DFP Affaires B2, DFP TH option guide per la Chambre de Commerce de Paris. Nel 2013 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari vince il concorso, per esami titoli e colloquio, per il Progetto F.I.L.S. 2^ annualità 2012-13 di cui cura il Laboratorio di Didattica del sardo a Cagliari e Oristano.

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Alcune delle pubblicazioni di Andrea Deplano

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Altre pubblicazioni di poesie e sulla poetica sarda: di Paolo Pireddu, “Est semper s’ora”, poesie e proposte teatrali in dorgalese.

di Anna Senette: “Sul sentiero della luna”, Zenia editrice.

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e di Vincenzo Pira: “Dae s’anima” e Mastros de paraula, mastros de vida” che potete trovare nei seguenti siti: https://issuu.com/vincenzopira/docs/vincenzo_pira_-_dae_s_anima https://issuu.com/vincenzopira/docs/mastrosdeparaula

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Racconti e saggistica Raffaele Piroddi ha pubblicato “Il Paese dei Contos Un viaggio intimo alle origini del mito in Sardegna”, (Ed. Agrifoglio -MI-). B’aiat una orta… Meda tempus fachet… Cando sa natura e sa zente fint una cosa sola… Raccontare i miti, “contare contos”. Contos chi si depent iscurtare in soru de su fochile, su sero, innantis de dromire o in mementos de pasu e de pessamentu. Contos chi non sont istòrias ma nemancu fàulas. Contos chi ant fromau sa conca de sa zente e educau sos pitzinnos e pitzinnas po ischire comente si bivet. Sos contos atuant bonumore, novas, morale, règulas de vida, misura po s’onore, po sa virgonza, po su zustu.

Connoschèssias po s’annodidare comente zenia durgalesa, identidade de zente balente e balorosa. Contos chi arrumbànt in sa memòria de sa ‘idda e si puru cambiànt paràulas e manera de narrere su crìu est semper su pròpriu e no istramudit. E sa biblioteca de sos contos che fit in su chelu de santu Bachis, in ue be fit tempus fàchet sa inza de Maria Juanna e oje b’est su campusantu nou. E ziu Bachis ischiat a contare sos contos menzus de tottu: “Meda tempus fachet su Babbu Mannu e sa Bobboa biviant paris. Sas cosa fint amischiàs. Sa die chi sa notte, su chelu chin sa terra, sa zente chin sa natura. Tottu fit iscuru ca non b’aiàt luche. Sa vida fit tottu unu dolu. Una bella die unu fizu de su Babbu Mannu e de sa Bobboa, un’òmine mannu e forte chi mutiànt Tillai, istracu de bivere in s’iscuru, che lompet in punta de su monte de Lussurza. Da cue chin sa forza de sos brazos c’at tocau su chelu e chin d’una maìa at fattu làcana tra sa terra e su chelu. Dae tando est naschia sa luche e tottu sas cosas sont istàs seperàs. Peri su Babbu Mannu si ch’est volau a su chelu e sa Bobboa est arrumbà in pitu de monte, fatta a preda, po amentare cando tottu fit iscuru e non si biviat bene. Custu, imbezes, est unu contu de ziu Austinu: “Entu de sus sulàt gosi forte chi che aiàt iscurau su sole. Jeo fipi marrande e apo timiu ca peri su chelu fit tottu nieddu. Fipi che pipiu bisonzosu de azudu. Po inchere su timinzu apo sighiu a marrare chin prus forza. Dònnia vorta chi sa marra iscudiàt una preda essiant isteddos chi si che olànt a su chelu. Mi pariàt de istare in d’unu furru de pane mannu mannu. Sa tanca mia fit su furru. E s’orzu fit creschende e sas ispicas mannas e prenas. Po ocannu in domo no amus a colare fàmene.

E sa tanca e su furru fint sa pròpria cosa. Dae s’orzu a su miràculu de su pane. E in cussu mementu ap’intesu una voche durche che a su mele: “Fizu mi’ non t’istraches, pàsati como ca mamma tua est vènnia po t’azuare”.

“S’annu colau as travallau meda po pacu fruttu. Ocannu no as dèpere travallare e no as a dèpere imperare sa farche”. Fit nostra sennora de su chelu chi mi cheriat nàrrere chi ocannu non b’aiat orzu de messare e chi fit menzus a non marrare de badas…

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E po connoschere medas àteros contos de sa vidda de Durgali lezie su libru e torrae a contare a sos minores cantu est bellu a iscurtare e a imparare cantu sos mannos nos ant lassau de bellu, de bonu e de zustu, po no irmenticare. S’ammentu est vida, s’irmenticu isperdìssiu. Torrant sos contos e torramus gràssias a Raffaele Piroddi po custu iscusorzu chi nos at donau.

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Raffaele Piroddi ha anche scritto i testi del libro di fotografie di Angelo Mereu (fratello di Merù) dal titolo “La mia Sardegna”, edizioni L’Agrifoglio, 1996. Angelo vive e lavora a Milano nella sua gioielleria. La fotografia non rappresenta perciò la sua professione preminente. Ha cominciato a fotografare nel 1979, lavorando inizialmente con il colore. Da molti anni però la sua vena espressiva e creativa si è concentrata quasi esclusivamente sull'utilizzo del bianco e nero. In particolare, nella fotografia di questo genere realizzata con lo speciale film all'infrarosso, ha messo a punto una serie di tabelle per una corretta esposizione, personali e segrete, che fanno di lui uno dei migliori esperti in questo campo in Italia e nel Mondo.

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Di grande importanza sono i libri di Mariella Marras caratterizzati da due grandi temi che da sempre stimolano l'immaginario e la sensibilità dell'autrice: da un lato, l'amore per una Sardegna non convenzionale, una terra viva e intatta nelle sue atmosfere di bellezza e semplicità antiche, dall'altro, la passione per le problematiche educative, per il destino e il futuro di bambini e ragazzi che, a partire dal loro ambiente, insieme ad esso e ai suoi insegnamenti, si aprono al mondo e ai pericoli necessari della crescita. Quanto sia forte il legame fra la storia dell'individuo e quella della sua terra è testimoniato nei racconti e nei romanzi, nelle delicate fiabe per bambini e ragazzi che hanno fruttato all'autrice premi e riconoscimenti nell'ambito di un settore particolarmente sensibile, quello della letteratura per l'infanzia. Rispetto ad altre forme di scrittura, questa comporta un impegno e una responsabilità maggiori perché per sua natura si sviluppa per stimolare la comprensione degli adulti nei confronti del mondo infantile e permettere ai giovanissimi l'approccio a tematiche fondamentali della vita e della società. Se si comparano lavori recenti come “Abbassa gli occhi e scrivi” (2009) o “Il mondo con gli occhiali” (2010) e altre opere destinate ai ragazzi, “Isteddà il bue marino” (1997), “L'isola delle Janas” (1999), o il romanzo “La corsa alla stella” (2001), ci si rende conto di come la storia e il piacere di raccontare siano, per Mariella Marras, innanzitutto una forma di impegno civile. É la freschezza dello stile, la leggerezza, a volte l'ironia ad accompagnare il gusto per la scoperta e la conoscenza, per l'esplorazione dei sentimenti, di un territorio, dell'anima di un popolo. Che si tratti del mondo magico delle Janas, piccole fate tessitrici o della celebrazione, con la Sartiglia, dell'antico rito degli “uomini in volo” che lanciano la loro sfida verso il futuro e la speranza, il tema è sempre lo stesso: la fragilità dell'essere umano e la sua forza, la difficoltà di una misura fra tradizione e modernità, l'avventura come scoperta di valori buoni e semplici da condividere e rafforzare. I protagonisti e i destinatari dei racconti sono, con tutta la loro debolezza e con tutto il loro carico di futuro, i bambini e quel “mondo sospeso” che sono gli adolescenti. Alla fine dell'avventura, quando le vicende si concludono in modo lieto o amaro, si è imparato qualcosa di determinante per la definizione della personalità e la costruzione della visione del mondo: Si tratta di quei valori che i bambini hanno già dentro, anche se non ne sono consapevoli, perché trasmessi direttamente o indirettamente dalla loro terra, dalle tradizioni, dagli anziani: ideali di solidarietà, amicizia, bellezza, onestà.

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Alcuni dei libri di Mariella Marras:

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Il “Ribelle” è il titolo del libro di Felì Secci, edito da Storie Nuove.

Riporta in copertina un ritratto dell'autrice, opera del pittore dorgalese Pietro Mele. Felì Secci ha scritto i testi nell'arco di vent'anni e più precisamente dal 1977 al 1996. Solo qualche anno di meno del breve tempo che il destino le ha concesso per vivere la sua consapevole esistenza sulla terra. Ad eccezione di una ristrettissima cerchia di persone a lei molto care, nessuno ha conosciuto questa sua passione per la scrittura. “Un espediente per tenere lontani i Proci invasivi e pretenziosi - scrive nell'introduzione Tonino Fancello marito di Felì, quel tessere e ritessere la tela è un modo per fuggire un mondo non gradito ed anche un modo per riempire il tempo dell’attesa e della speranza”. Sono i racconti di una vita. Ad eccezione di una strettissima cerchia di persone a lei molto care nessuno ha conosciuto questa sua passione per la scrittura. Lei stessa l'ha voluta mantenere in ombra. Forse a causa di un suo tenace pudore; forse per la sua innata modestia; forse per la sua timida fragilità: e forse ancora per la sua severa lucidità. O forse per tutte queste cose assieme».

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“Racconti dorgalesi” Piero Loi. Ci riportano con la memoria a tempi passati e a esperienze che in tanti, nati e cresciuti a Dorgali, abbiamo vissuto. Racconti che fanno parte del mito che hanno fondato una cultura, una visione del mondo, un sentire condiviso di un paese, Dorgali, che vuole essere comunità e vuole riscoprirsi ogni giorno come luogo in cui è bello vivere. ‘Sos contos’ come narrazioni educative che non solo ricordano e commemorano gli eroi che ci hanno insegnato che cosa conta, i valori per cui vale vivere e l’orgoglio di sentirsi dorgalesi. La conoscenza dei nomi dei luoghi e delle persone che hanno fatto storia in questo luogo.

Narrazione in cui fatti avvenuti e sogni si mescolano in un tempo in cui passato e futuro sono vissuti in un eterno presente. Il libro, scritto in italiano ha, come commenta Tonino Errina nell’introduzione, il marchio della dorgalesità in ogni pagina. Si apre parlando di Maria Ughia che vi riassumo in dorgalese. “Aiat duos annos cando Maria Ughia si ch’est urruta dae su carru tirau dae sos boes. Su babbu chi s’it dromiu e po medas annos no at ischiu prus nudda de sa fiza… Su sero in s’oru de su focu, Maria iscurtàt sos contos chi li naràt Marianna. Contos de janas chi biviànt in domos de preda… Una die in Funtana Cuà at zoviau sas janas, bellas cha a sa luna, minores che bufurarzos, chin sa pedde bianca e delicà, bonas e malas in su pròpriu tempus… Cantànt e tessiànt chin d’unu telarzu de oro, las at saludàs chin sa manu e l’ant rispostu cantande: “bella pippia curiosedda, bene ènnia che lughe ‘e istedda”… Lezie su contu de Antoneddu Dentilascu, figlio di Daddai Pilicana, nato in un grosso pane di fico d’india in un giorno in cui il maestrale segnava il destino del nascituro. Tanti personaggi della nostra infanzia: su bandidore, becchinu. A pustis, tziu Biasu, che spiega chi soffia nel mantice della sua fucina di stagnino de su Cucuru e il regalo di fischietti di latta da suonare alle proprie mamme “cando sont a dolore de conca”.

Tziu Chiricu Longu, Tziu Collana, Tziu Antoneddu, mannalitarzos in su monte de Lussurza, vaidau dae sa Bobboa; Domenico su arvieri letranchicurzu: - Ite novas in bidda Domè’? - Abbarras in bidda e ti l’as iscurtas. S’orgonittu de Michelleddu Bùtile che dava momenti di allegria a un’esistenza che la natura e le vicende della vita volevano negargli. Una carica di ironia che rendeva più leggeri anche i momenti tragici in cui veniva rifiutato da chi riteneva la disabilità un castigo. Le prime esperienze dei ragazzi che, dae su Cucuru a Loroddu, mescolano le storie dorgalesi con gli eroi letti nei fumetti: Tex, Blek, Miki, Kinowa con Tziu Pascale, Tziu Ladeddu, tziu Predu Pintore e tziu Medeo, reinventando narrazioni che si mescolano senza perdere la struttura originaria e rendendo tutto eroico e avvincente. Il circo che arriva a su Cucuru con i suoi strani attori e quel che resta è la partecipazione attiva del pubblico che si diverte con l’inattesa scena del cavallo che fa i suoi bisogni e in coro tutti richiedono: 91

“Sa pala!…”

E molti altri racconti che fanno rivivere momenti che non sono passati ma che vivono nella nostra anima e che il libro di Piero Loi ci risveglia invitandoci a non dimenticare quanto di bello chi ci ha preceduto ha costruito a Dorgali. Cultura e bellezza, storie di sofferenze e di eroismo.

Segni e invito a modellare su queste solide fondamenta il futuro delle giovani generazioni come invitano i versi della sua ultima pagina: Supra chelos de gosu e d’ermosura In universos mannos a incantare s’ànima trista po irmenticare sas penas de sa vida, sa tristura…

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Gaetano Mura, ha pubblicato nel 2020 “Le sirene hanno smesso di cantare”, edizioni Il Maestrale. Un grappolo di racconti che nascono nel locale in cui è nato, un villaggio sul mare con le spalle protette dai monti, l’appartenenza a una famiglia e a una comunità in cui vi sono riferimenti affettivi solidi, confrontati sempre con i grandi temi globali come ad esempio la lotta perenne per salvaguardare l’ambiente. Iniziando dal mare, scenario di immensa bellezza ma anche spazio ferito da inquinamento, invaso dalla plastica, non rispettato da una umanità che, con una cultura corrotta e distorta, sta dimenticando di avere con la natura un destino comune. Ma anche un entroterra montano pieno di fascino come racconta nell’escursione verso Gorropu. Quando uno scrittore pubblica un libro non gli appartiene più e diventa un patrimonio comunitario. Diventa proprietà dei suoi lettori che in esso si specchiano, in esso si riconoscono modificandone i contorni nella loro riflessione personale. "La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve" diceva il postino di Neruda nel film tratto dal romanzo di Antonio Skármeta. Tante le parole chiave e le metafore che segnano i percorsi esistenziali dei racconti di Gaetano Mura, segni e ricerca di significati che cercano di trasmettere conoscenze, dubbi, valori per avere consapevolezza di chi si è, del senso della vita e del suo fine. Tramite le metafore nel libro si evocano immagini che danno un forte effetto evocativo, di immedesimazione emotiva, proprio del linguaggio poetico.

Un continuo viaggiare ben programmato, considerando le esigenze della razionalità, dell’intelligenza dell’uso consapevole delle moderne tecnologie, ma anche continui tuffi nel pensiero mitologico, nei ricordi dei tanti racconti sentiti per dare nome e senso alla realtà. È il compito principale della cultura il nominare la natura per dominarla e umanizzarla.

E ciò è sempre un misto di bene e di male, di positività e negatività che non è facile né separare né definire. Solo l’esperienza e la saggezza delle persone possono indicare il cammino giusto per stare bene. E in queste pagine si possono trovare per questo fine tante parole utili. Il tema dell’emigrazione e dell’immigrazione e le ragioni per cui esistono. Con i racconti di Raja la scoperta dell’Africa e il sogno dei giovani di Zanzibar di andare in Europa e l’empatia, la capacità di convivenza rispettosa verso le persone e le culture diverse tanto da poter dire: “Ancora oggi, quando si parla di Africa, ho come la sensazione di esserci un po’ nato anch’io laggiù e ringrazio mio fratello Raja di avermi regalato questa opportunità”. La visita da dodicenne al campo di sterminio nazista a Mauthausen e la rabbia verso le generazioni adulte che non sono riuscite ad evitare questa triste tragedia. E la lezione imparata per la nostra generazione che resta spettatrice al massacro che sta facendo diventare il Mediterraneo un immenso cimitero o sta rendendo invivibile il pianeta con cambiamenti 93

climatici e pandemie incontrollate. Sono descritti momenti difficili ed estremi, come quando, nonostante tutta la consapevolezza acquisita, le verità raggiunte su di sé a caro prezzo, il navigatore ricade in un inciampo esistenziale, dove si ritrova per qualche momento privo di vitalità, sconfitto e con una gran voglia di non combattere più e trovare un più dolce e sicuro giaciglio. E da ciò la forza di reagire, di ritrovare motivazione giusta. E alla fine una grande lezione pedagogica per le nuove generazioni: riscoprire il valore della sconfitta e dell’umanità che ne scaturisce. Si possono avere fallimenti nel corso di una vita. A volte anche grandi. Ma è importante avere sempre la forza di ricominciare senza che il valore e la dignità del tuo essere ne siano intaccati negativamente. Leggendo le pagine di Gaetano Mura che hanno motivato tutto il libro, mi sono riapparse in mente le parole di Pierpaolo Pasolini: ”In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare… A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. È un esercizio che mi riesce bene e mi riconcilia con il mio sacro poco…”. Una sconfitta non può far dimenticare la bellezza del viaggio e quello che il navigare ti ha insegnato. Per vivere meglio. Queste sono, tra le tante, le considerazioni che ho percepito leggendo questo libro. Un invito, in ogni pagina, a seguire percorsi di conoscenza e di ricerca delle virtù che possano fare migliore la propria vita e quella del pianeta. Ma anche tanto diletto in una lettura piacevole e istruttiva. Ho pensato tanto al titolo, “Le sirene hanno smesso di cantare”.

I ricordi scolastici dell’Odissea e il confronto con altri racconti dorgalesi sulle Janas, entità che vivono nelle grotte dei monti e parenti, nel mito, delle sirene. È bello immaginare cosa poteva esserci nel loro canto di così affascinante e seducente perché ogni marinaio rimanesse ipnotizzato, “perché il diletto di sentir la voce delle sirene tu non perda”, come scrive Omero. “Ma non avvien su tutta la delle vite serbatrice terra nulla, che ignoto o scuro a noi rimanga”. La forza di queste creature mitologiche sarebbe dunque l’essere depositarie di un sapere assoluto? Il possesso di un’infinita conoscenza che da sempre affascina le menti altrui? Per sentire il loro canto vale la pena morire perché poi ti accompagnano in nuovo luogo dove si vive meglio o sono entità che ingannano e mal consigliano e vogliono distruggerti? Non è il canto delle Sirene, ma il loro silenzio a risuonare più forte, perché sono loro che forse, affascinate dalla bellezza del navigatore, rimangono sconfitte. Invito a leggere con attenzione le pagine 126 e 127 dove le sirene smettono di cantare e come l’autore ha vissuto quel silenzio assordante dominato dal “più profondo istinto di sopravvivenza che in certi momenti della vita si impossessa di ogni vuoto”.

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E poi l’ultima pagina che rilancia speranza e voglia di vivere, dove il mare, il vento e l’autore portano il suono del mondo con tutte le sue bellezze e carenze e la necessità, in qualche modo, di ritornare a cantare. Sia le sirene sia l’umanità in un nuovo canto amico in cui natura e cultura non siano avversarie, in un mondo dove nessuno si senta condannato ad essere solo.

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Musica, canto e balli Il canto e il ballo sono le più antiche manifestazioni culturali, ricreative, anche a Dorgali. La prima pubblicazione del canto è del “Tenore Dorgalesu” che, nel mese di giugno del 1929 aveva attraversato il mare per incidere dei canti in dischi di bachelite a 78 giri. Le voci che si sono esibite nella sala di registrazione della casa discografica inglese Edison Bell a Milano, erano quelle di Austinu Erittu (Boche), Andria Cadone (Mesu ‘Oche), Zuassantu Sacheddu (Bassu) e Baddore Erittu (Contra). La registrazione può essere sentita nel sito: https://www.youtube.com/watch?v=-9Xt6fJisDU La scoperta dei primi 7 brani è datata 2007 ed è stata frutto di una ricerca durata diversi anni da parte di Andrea Deplano con il progetto “Recupero incisioni del Tenore ‘29”.

Negli anni sono a decine i gruppi di canto che continuano e innovano il canto. Oggi Tattanu Milia, ultra ottantenne è ancora una voce storica attiva del canto a tenore a Dorgali. Da oltre cinquant'anni con la sua voce limpida ha accompagnato diversi gruppi e ha cercato instancabilmente di tenere viva questa tradizione diffondendola fra i giovani. Nel 1977 fa nascere in seno al gruppo folk Don Milani il primo tenore col quale si esibirà, per lunghi anni dentro e fuori dai confini isolani. Nel 1979 la sua voce, col canto a boche sola, "Ballu de ischina anticu", fece vincere proprio al gruppo folk Don Milani il primo premio al festival internazionale "Castello di Gorizia". Poi la lunga militanza con il tenore che prende il suo nome "Milia", con Tottoi Fancello, Mario Ungredda e Fabio Lai. Una esperienza che porta il gruppo in tutte le piazze isolane e nei vari circoli dei sardi sparsi nella penisola e all'estero. Tante le partecipazioni a manifestazioni e comparsate televisive. Dal 2011 affianca con la melodia della sua voce e con la sua esperienza questa nuova formazione che ha scelto come nome "Tenore Durgalesu ". Tattanu Milia acquisì da giovane cantando con coloro che nel 1929, primi in Sardegna, registrarono a Milano il primo disco di canto sardo a tenore. Su Tenore durgalesu, adesso, vuole riportare il canto dorgalese alle sue origini e fare rinascere i timbri, i suoni, i ritmi e le melodie di uomini e tempi lontani che ci legano alle radici della nostra cultura e della nostra terra». Salvatore Boeddu (Bovore Boe) è la voce del tenore Sant’Elene. La sua voce sgorga naturale e melodiosa nella parte del solista rodato nel canto e offre testimonianza di notevole abilità.

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Nuove generazioni continuano la tradizione. Il tenore Norìolo (Cosimo Mula – Boche; Francesco Carta – Mesu Boche; Tattanu Mura – Contra; Antonio Lai – Bassu). Ripropongono innovando anche il canto sul modello dell’incisione del 1929.

Nuove leve vengono coinvolte: nel tenore Norìolo e durgalesu sas voches di Damiano Grispu e Giovanni Boeddu, possono rappresentare la speranza per il futuro dei cantori solisti dorgalesi.

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In Youtube si trovano decine di video con il canto a tenore dorgalese: Tenore Milia (Tenore Durgalesu) https://www.youtube.com/watch?v=12on2Yra2M8 https://www.youtube.com/watch?v=ra11nhRo7ds Tenore Noriolo https://www.youtube.com/watch?v=pCdKB8Vlb7Q https://www.youtube.com/watch?v=6hgjwAnmUFk&fbclid=IwAR2_Acc Zdjkd3x4-27ND86I8QSM0GJRvqJollOeUXF2149au4hb_wqu9LZ0 Tenore Sant’Elene https://www.youtube.com/watch?v=_KxtOiaevqs

Tattanu Milia

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Tenore Noriolo

Oltre ai gruppi che cantano “a tenore” sono sorti negli ultimi decenni tanti gruppi polifonici che coinvolgono tante persone di Dorgali. Tra questi citiamo il coro dell’associazione Lorenzo Perosi (http://www.perosi.it/Index.html). Inizia la sua attività nel dicembre del 1985 per opera di un gruppo di giovani amanti della musica, sotto la direzione di Don Antonio Mula. Dopo qualche anno la direzione viene affidata a Lino Fancello. Nel 1992 viene nominato il maestro Angelo Nappi alla direzione del coro. In quel periodo viene costituito il Coro di voci bianche. L'Associazione si apre alla musica etnica, e alla creazione di manifestazioni complesse in cui si uniscono la musica, il teatro e il canto con la partecipazione di artisti isolani del calibro di Elena Ledda. Altra iniziativa della Perosi è stata l'istituzione della Scuola di Musica, in collaborazione con il Comune di Dorgali, allo scopo di valorizzare le qualità musicali dei giovani dorgalesi, e tuttora funzionante. Dal Gennaio 2000 il coro Lorenzo Perosi è diretto dal Maestro Anna Haber e attualmente da Donato di Iorio.

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Il coro Istelotte, fondato nel 1996, è un coro maschile composto da circa 20 elementi, (https://www.coroistelotte.it/ ). Lo scopo sociale dell’Associazione Culturale è quello di recuperare i canti della tradizione e la valorizzazione delle poesie dei poeti dorgalesi. Negli anni ha partecipato a numerose manifestazioni/rassegne e festival, sia in Sardegna che in diverse regioni Italiane come anche in alcuni paesi Europei, Spagna, Portogallo, Croazia e Germania. Ha vinto nel 1999 la medaglia d’argento nella 2° rassegna internazionale del canto Popolare a Barcellona.

Attualmente è diretto dal Maestro Donato Di Iorio. Il presidente dell’Associazione Culturale Coro Istelotte è Ignazio Monne. https://www.coroistelotte.it/discografia/

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Il coro maschile Prama ‘e Seda di Cala Gonone, diretto dal maestro Giampaolo Selloni, ha pubblicato diversi dischi e portato il loro canto nel mondo. Vedere il video https://www.youtube.com/watch?v=K61fkEz449o

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Il coro femminile Ilune si è costituito nel 1997 ed è diretto dal maestro Alessandro Catte. Si è aggiudicato il diploma d'argento dopo aver partecipato al prestigioso concorso canoro corale di fama internazionale “In…canto sul Garda”. Ha anche rappresentato l'Italia nell'ambito della musica tradizionale. Il concorso è stato vinto dalla formazione della Repubblica Ceca Vox Novus mentre al Coro Ilune è stato assegnato il diploma d'argento, un importante riconoscimento che conferma l'ottimo lavoro che la formazione dorgalese sta portando avanti.

Su Youtube molte loro esecuzioni: https://www.youtube.com/watch?v=9OGQtk6Zmh8 https://www.youtube.com/watch?v=UjEOjlXJFWg https://www.youtube.com/watch?v=Y5ZYZZkdIuk

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Il Gruppo folk “Don Milani” nasce nel 1976 in seguito ad un’idea di alcuni componenti del già fondato centro culturale intestato al sacerdote Don Lorenzo Milani. L’intento era quello di valorizzare le tradizioni riguardanti i balli e i costumi del nostro paese che altrimenti si sarebbero persi, mantenendone vivo l’uso e difendendone il valore; far conoscere e tramandare alle nuove generazioni i balli, gli usi e i costumi. Il nucleo originale, composto da un discreto numero di componenti, si è successivamente allargato ed è cresciuto negli anni, arricchendo la propria esperienza con la collaborazione di diversi organettisti e con i Tenores, e con la creazione di una fitta rete di contatti con altre comunità e associazioni. Nel corso degli anni l’associazione ha visto partecipare una grandissima quantità di soci, quasi 400, e tutt’oggi vanta la presenza di circa quaranta iscritti con età media di trent’anni. Il Gruppo, nei sui quarant’anni di attività, si è esibito in moltissimi palchi della Sardegna ed è spesso invitato ed ha partecipato a manifestazioni nazionali ed estere. Ha preso parte sia a livello locale, sia in ambito regionale a numerosi eventi (dalle esibizioni in decine di altri paesi sardi alla partecipazione nelle più conosciute Sagra di Sant’Efisio, Cavalcata Sarda, Sagra del Redentore), sia in campo nazionale ed internazionale (Toscana, lazio, Friuli, Piemonte) e in altre nazioni (Slovenia, Francia, Belgio, Turchia). Inoltre, durante questi anni, i componenti dell’associazione hanno allestito mostre di costumi tipici durante le giornate di Autunno in Barbagia, hanno rivisitato il corteo del Matrimonio “a sa durgalesa”, hanno riproposto il ricordo delle Feste De Pandela, hanno ricelebrato i giorni della festa di San Cornelio e Cipriano, hanno esposto la complessa vestizione della Sposa dorgalese.

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Il Gruppo Folk “Tiscali“, nasce nel gennaio del 2001 ed è composta da quaranta soci, con un’età che varia dai 15 ai 60 anni. Tutti sono accomunati dall’amore per la cultura, la lingua e le tradizioni della nostra terra.

Nonostante la giovane età anagrafica dell’associazione, parte dei soci ha già militato per lunghi anni in un altro gruppo folcloristico e dispone quindi di una valida esperienza in questo campo. Il direttore artistico Tonino Spanu vanta una lunghissima esperienza nel campo della ricerca e della valorizzazione della cultura e delle Tradizioni Popolari della Sardegna in generale e di Dorgali in particolare e nel 2018 ha festeggiato i 50 anni di attività. L‘associazione vuole prima di tutto essere un centro di cultura orientato alla ricerca storica seria e al rispetto delle peculiarità che caratterizzano tutta la tradizione dorgalese, non ultima la completezza e l’eleganza del costume indossato nelle sue varianti, unito alla sobrietà,alla compostezza e allo stile nell’esecuzione dei balli. I balli di Dorgali sono quattro: ballu e tres passos, ballu e ischina, ballu torrau, ballu e ischina anticu. Tutto questo bagaglio di cultura e di esperienza viene messo a disposizione dei giovani che entrano a far parte dell‘associazione. Dal 2002 opera una scuola di ballo per bambini con un’età che varia dagli otto ai dodici anni. Dal mese di ottobre 2003 è stato attivato un corso di ballo per adulti esterni all’associazione. Il gruppo ha partecipato alle più importanti manifestazioni folcloristiche regionali e internazionali e nel 2003 organizza il 1° Festival Internazionale del Folklore, diventa membro del C.I.O.F.F. Italia e porta avanti questo evento fino al 2017.

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ABBIGLIAMENTO FEMMINILE TRADIZIONALE DI DORGALI L’abbigliamento femminile si compone di: Camisa: camicia di cotone bianca con un leggero velo di azzurrina, impreziosita al collo, al petto e ai polsi con finissimi ricami con motivi floreali o motivi geometrici. Sul petto porta una fine plissettatura.

Zippone de broccadu: corpetto di panno rosso all’interno, con all’esterno inserzioni di broccati nelle tonalità di color rosso, bianco, rosa. Dalle aperture sotto le ascelle e agli avambracci fuoriescono sbuffi di camicia.

Sugli avambracci presenta una serie di asole a cui si applicava sa butonera, una serie di bottoni d’argento. Ai polsi viene fermato da un bottone d’oro e da un fiocco.

Tunica: gonna di orbace nera finemente plissettata. All’estremità inferiore porta una fascia di seta ricamata alta da 15 a 20 centimetri.

Zimusa: fascia di stoffa ricamata alta che viene avvolta in vita e serve a coprire l’attaccatura della gonna sulla camicia.

Cosso: reggiseno di broccato che viene portato esternamente sulla camicia e che oltre alla sua naturale funzione, serve a tenere in ordine la plissettatura della camicia stessa.

Antalena: grembiule di seta nera, ricamato da un prezioso pizzo.

Pannuzzu de seda: scialle di seta pura damascata con lunghe frangie, nelle tonalità dei colori viola, verde, blu, nocciola, rosa antico.

Lo scialle poggia sul capo sulla tipica acconciatura dorgalese: sos cuccos.

Sulla nuca vengono formate due trecce che legate fra di loro e fasciate da un fazzoletto di lana colorata, formano un piccolo cuscino con due protuberanze laterali che faranno nascere sullo scialle la forma di un trapezio, stilizzando e rendendo ancora più elegante e slanciata la figura femminile.

Il vestito da vedova, Bistire de gattia, era composto da: Camicia bianca come le altre varianti Zipponenero di orbace con sovrapposizione di velluto con le maniche, dallo spacco sugli avambracci fuoriesce uno sbuffo di camicia. Ai polsi viene fermato da due bottoni di argento brunito.

Arvatzi: gonna di orbace nera con balza di seta sempre nera alta circa 30 centimetri.

Gli unici gioielli che la vedova può portare sono i bottoni d’oro alle asole del petto della camicia e la collana di onice nera.

Scialle: sul capo porta sempre uno scialle nero con le frange.

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ABBIGLIAMENTO MASCHILE L’abbigliamento maschile è composto da: camicia e calzonidi tela bianca di cotone. La camicia è ricamata sul collo ed è tenuta chiusa da due bottoni in filigrana d’oro.

Imbustu: corpetto di panno rosso con giustacuore di velluto nero a fiori.

Zippone: corpetto a bolero di orbace nero, molto attillato con inserti di velluto nero. Dallo spacco delle maniche fuoriesce uno sbuffo di camicia bianco.

Fraca: braghe di orbace plissettata tenuta in vita da due cinture di pelle lavorata.

Carzas: uose di orbace nere legate sotto le ginocchia da cui fuoriesce il calzone bianco.

Bervechina: giacca priva di maniche, di pelliccia nera di agnello o astrakan.

Berritta: classico copricapo sardo di panno nero.

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Teatro a Dorgali Nella memoria di tanti la prima commedia ricorda “Tzia Bernarda indiaulà” di don Zuanni Mulas, organizzata più volte dagli studenti delle scuole dorgalesi.

Nuovi gruppi teatrali hanno promosso spettacoli che promuovono la cultura locale. Tante le commedie del Gruppo Teatro Lucia Deluigi, protagonista di grande valore e purtroppo scomparsa troppo presto qualche anno fa.

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Da valorizzare il protagonismo delle scuole e alcuni spettacoli che hanno visto promotore Francesco Ticca.

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Di grande valore civile e culturale è stata la rappresentazione teatrale "La storia sbagliata" scritta e messa in scena da Michelangelo Mundula, che nel 1989 subÏ un sequestro e venne liberato dopo il pagamento di un riscatto.

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Video e cinema Una figura storica fa parlare di cinema a Dorgali dall’inizio del secolo scorso. E questo grazie a Bachisio Fancello detto Pintulinu, che nacque a Dorgali il 10 marzo del 1897. Da giovanissimo apprese dal padre l’arte dell’intaglio del legno e del liutaio.

Apprezzato fotografo, fu anche il reporter ufficiale durante la visita dei reali di Savoia nel giugno del 1939. Si innamorò del cinema e prese a proiettare pellicole a in una sala a Tempio, dove si era trasferito con la moglie. I dialoghi erano muti e lui non si rassegnava a questa situazione che considerava irreale e inaccettabile. Smontò la tromba di un megafono, studiò i solchi dei dischi, armeggiò chiuso nel suo studio con il proiettore che usava in sala e nel 1923 costruì un ibrido a metà strada fra un grosso proiettore, che rimandava l’immagine da dietro lo schermo e un megafono gigantesco, con rocchetti in cui strisciava la pellicola di celluloide ed una puntina metallica ne leggeva un solco sonoro tracciato al lato: Bachisio aveva inventato la colonna sonora. Fece delle prove di pellicole incise in presa diretta, che sperimentava proiettando nella sala di Tempio. A dicembre del 1923 si decise a disegnare in pulito il progetto, corredandolo di numeri e di una dettagliata descrizione, compilò la domanda di brevetto guidato dall’amico avvocato Diego Pinna e finalmente il 26 gennaio del 1924 alle ore alle ore 17,4 a Roma, ritirò il brevetto dall’ufficio del Ministero dell’Industria registrato col n. 88, volume 575,5. Felice di questo primo importante passo, Bachisio si apprestava quindi sempre sotto la guida del suo amico avvocato, a sfruttare l’invenzione. Scrisse al famoso cantante Gavino Gabriel e anche ai fratelli Lumière. Dal tenore tempiese ricevette una risposta che lo invitava ad una dimostrazione pratica di fronte ai suoi amici editori, dai fratelli Lumière un invito per un incontro a Parigi.

Meglio avrebbe fatto Bachisio a recarsi a Milano dall’amico tenore, e farlo subito, invece scelse di prepararsi per il lungo viaggio oltralpe, ma quando si apprestavano i preparativi, il brevetto scomparve misteriosamente. Nei ricordi dei figli più grandi di quei giorni rimase lo spavento poiché Bachisio mise a soqquadro casa e studio, le urla con la povera moglie Gerolama, giornate nere passate a frugare disperatamente in tutti gli angoli e lunghi 111

periodi di profondo scoramento. Infine la consapevolezza di essere stato raggirato proprio da chi circolava dentro la sua casa. I sospetti, mai appurati in maniera decisiva, ricaddero su un parente stretto. Un millantatore di natura, bello e affascinante, per il quale vantarsi dell’invenzione del sonoro non era che una delle tante bravate ai danni di Bachisio. La madre di Bachisio, Teodosia Cambedda di Dorgali, gli affidò questo ragazzo più piccolo quando morì il padre facendosi promettere che avrebbe vegliato su di lui. È così che Bachisio più volte rimase vittima delle sue malefatte, senza riuscire mai a cacciarlo via, per via del giuramento fatto a sua madre.

Oltre il sospettato, ma mai accertato completamente, furto del brevetto, fra le tante peripezie del misterioso personaggio, si annoverano anche strani matrimoni contratti falsificando documenti. Per uno in particolare, l’uomo esibì la carta d’identità del figlio più grande di Bachisio, Giovanni Antonio, noto Nino, pregiudicando il futuro del giovane, il quale rimase talmente addolorato da morirne di dispiacere. E ancora oggi a Dorgali dicono “Che a su billete de Pintulinu!”.

Dal sito : http://www.bachisiofancello.it/

Doveroso citare tanti fotografi che hanno segnato la storia recente di Dorgali con le loro immagini e video. Tra i tanti ricordiamo Graziano Pisanu, Dario Ticca, Graziano Sedda.

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Un dorgalese è oggi tra i più importanti registi sardi: Salvatore Mereu.

Laureato al DAMS di Bologna e, successivamente, nel 1997, si diploma in regia presso il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma. Realizza due cortometraggi: "Prima della Fucilazione", presentato al Sacher Festival, a Locarno e a Torino, e "Miguel" che vince il premio Axelotil a Bologna Visioni italiane. Nel 1996 realizza il cortometraggio "Notte rumena". Da alcuni anni, alterna l'attività di regista con quella di insegnante di educazione all'immagine. Nel 2003 il suo primo lungometraggio "Ballo a tre passi", che racconta quattro storie legate alle quattro stagioni, è il vincitore della 18ma 'Settimana della Critica' e del Premio Luigi De Laurentis, Menzione speciale miglior opera prima alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. Tra gli altri riconoscimenti ottenuti dal film figurano, nel 2004, il David di Donatello come Miglior Opera Prima, il Ciak d'oro come Miglior Opera Prima, e 3 nomination al Nastro d'argento per Miglior Produzione, Regia Opera Prima e Sceneggiatura. Alla Berlinale 2008, nella sezione 'Panorama', viene presentato il suo secondo film, "Sonetaula" (dall'omonimo libro di Giuseppe Fiori). Il film ha vinto 3 Globi d'oro (tra cui Miglior Produzione e Attore Esordiente e il Gran Premio della Stampa Estera come miglior film) ed è stato candidato ai David di Donatello per la Miglior Produzione.

Il suo terzo lungometraggio, "Tajabone" (2010), è stato presentato al 67mo Festival di Venezia nella sezione Controcampo Italiano. "Tajabone" è un film di durata non convenzionale, nato da una esperienza scolastica fatta con gli allievi della Scuola Media Don Milani del difficile quartiere Sant' Elia di Cagliari, e come tale non destinato alla normale distribuzione cinematografica. Del 2012 è invece "Bellas Mariposas", anche questo in concorso a Venezia, nella sezione Orizzonti, dove ha vinto il Premio Schermi di Qualità. Presentato in numerosi festival internazionali, nel 2013 si è aggiudicato il Big Screen Award all'International Film Festival Rotterdam. In occasione della IV edizione del Bifest di Bari il film ha vinto il "Premio Tonino Guerra" come Miglior sceneggiatura, il "Premio Anna Magnani" come Miglior Attrice, il "Premio Giuseppe Rotunno" come Miglior Fotografia. Sempre nello stesso anno si è aggiudicato il Ciak d' Oro "Bello e invisibile" e il Premio Suso Cecchi D'Amico per la Miglior Sceneggiatura. Sempre nel 2013, Mereu è uno dei 70 registi invitati a celebrare il 70° anniversario della Mostra del Cinema di Venezia nel film collettivo voluto dalla Biennale "Venezia 70 Future Reloaded-segment Transumanza". Nel 2017 è ancora una volta alla kermesse veneziana, sempre nella sezione 'Orizzonti', con il cortometraggio "Futuro prossimo" mentre l'anno successivo viene chiamato a presiedere la Giuria di Venezia Classici, composta dagli studenti dei corsi di cinema delle università 113

italiane, dei DAMS e della veneziana Ca' Foscari. Ultimo film, nel 2020 è “Assandira” che sta ottenendo un grande successo.

Da vedere con interesse tanti video fatti da giovani dorgalesi.

Tra questi vi proponiamo questi due fatti da Mauretto Buttu: Sa Bocada : https://www.youtube.com/watch?v=g0qxvIKfDo8 Sas Frontudas: https://www.youtube.com/watch?v=W3PmOKv0hqI

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Sport e sociale A Dorgali è presente una squadra di calcio: la Polisportiva Dorgalese A.S.D., nata nel 1945, che attualmente milita nel girone C sardo di Prima Categoria. Gioca le sue partite casalinghe nello stadio comunale "Osolai" Nel 2009 a Cala Gonone si è ricostituita la locale squadra Cala Gonone A.S.D. che milita nel campionato di seconda categoria e disputa gli incontri casalinghi nel campo sportivo "Tonino Ceselia". Sono presenti la Polisportiva "Mistral" presso cui vengono praticate e insegnate la danza moderna, l'aerobica, la ginnastica artistica, il taekwondo, lo judo, la kickboxing e il soft air. Inoltre è presente una squadra di basket, la Sant'Elene Basket che milita con la prima squadra nel campionato di promozione e gioca le sue partite nel Palazzetto dello Sport Comunale, il fiore all'occhiello della squadra è il pubblico, il più numeroso della categoria. Una realtà sportiva molto importante e il Tennis Club Dorgali A.S.D., associazione nata nel 1993 che ha sempre riscosso numerosi successi in molte categorie.

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Nel sociale vi sono alcune cooperative che fanno un ottimo lavoro, nonostante le difficoltà a reperire le risorse necessarie. Tra queste ricordiamo La Cooperativa Kids che nasce nel 2002 con l'obiettivo di specializzarsi nella gestione dei servizi rivolti ai minori e ai diversamente abili, nel tentativo di migliorare la qualità della vita dei singoli utenti. La Cooperativa offre servizi socio-assistenziali, sanitari ed educativi orientati in via prioritaria, ma non esclusiva, alla domanda di minori in difficoltà e di tutti coloro che si trovano in situazioni di svantaggio sociale. Il recupero cognitivo, le attività extrascolastiche, le attività di animazione a favore dei minori di età compresa tra i 6 anni e i 14 anni e dei disabili rappresentano le principali aree di intervento.

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L’associazione Speedysport (vedere il sito https://www.asdspeedysport.com/ ) è una significativa esperienza che promuove l’integrazione delle persone disabili attraverso la socialità e lo sport. Nata nel 2007 a Dorgali, comune della splendida costa centro orientale, attualmente è presente in altri cinque Comuni: Orosei, Galtellì, Irgoli, Onifai, Loculi. Ha circa 50 atleti che svolgono regolarmente attività. Aperta verso qualunque realtà sportiva che valga la pena di essere vissuta, la Speedysport è affiliata a diversi enti di promozione sportiva e Federazioni allo scopo di offrire ai soci ogni esperienza sportiva possibile, scegliendo tra diverse manifestazioni, eventi e modi di stare insieme. La Speedy ha coltivato e coltiverà con loro progetti e iniziative grazie ai quali associati, atleti, familiari, tecnici, volontari e dirigenti hanno potuto conoscere tante realtà ricche e diverse, girando la Sardegna e l’Italia.

In collaborazione con l’associazione “Il Rosmarino” sono una certezza per la difesa dei diritti delle persone con disabilità di Dorgali.

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Musei Un importante ruolo culturale hanno i musei dorgalesi. Abbiamo già parlato del Museo Archeologico che si è data la “missione di custodire, valorizzare e promuovere lo studio e la conoscenza delle proprie collezioni e del patrimonio culturale di Dorgali e del suo territorio”… Tra le attività vi è quella di “realizzare attività rivolte al mondo della scuola per favorire la conoscenza e la comprensione dei monumenti, della cultura materiale e immateriale, dei modi di vita e delle abitudini quotidiane dell’uomo nel corso della sua storia, dalla preistoria all’età moderna e contemporanea. E organizzare mostre, eventi culturali e convegni, iniziative editoriali, ricerche, pubblicazioni, attività didattiche e divulgative, in collaborazione con soggetti economici e con enti ed istituzioni, anche internazionali, ed organi competenti per il turismo e, in particolare, con la Regione Autonoma della Sardegna.

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Il Parco Museo S’Abba Frisca (https://www.sabbafrisca.com/ ) sorge su un’azienda agricola tramandata di generazione in generazione, ininterrottamente attiva e produttiva da oltre duecento anni. Portolu Secci, il fondatore, trascorreva fin da piccolo parte dell’estate a S’Abba Frisca, nome attribuito al sito, dal nonno Antonio, per via delle abbondanti sorgenti, e per distinguerlo da altri poderi limitrofi di sua proprietà. Fu allora che imparò ad apprezzare tutto ciò che il nonno realizzava: muretti a secco a sostegno di terrazze sulle quali si sbizzarriva a creare effetti decorativi con gli ortaggi, le piante da frutto e i fiori di ogni stagione. Il passaggio da azienda agricola a Parco-Museo si ebbe quando Portolu entrò in possesso della stessa. La ampliò, la valorizzò e con cura meticolosa operò sapientemente negli ultimi quarant’anni al recupero della memoria storica con importanti interventi strutturali negli ambienti e nella salvaguardia degli oggetti esistenti che versavano in stato di abbandono e che nel tempo si moltiplicarono per via delle numerose donazioni.

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La Cooperativa Ghivine (https://www.ghivine.com/index.htm ) è stata fondata nel 1991 da un gruppo di amici del Gruppo Ricerche Ambientali di Dorgali. L’amore e la passione per il proprio territorio, sono gli elementi determinanti che hanno spinto nella direzione di valorizzarne soprattutto l’aspetto storico culturale ed ambientale. Il recupero e la gestione di importanti aree archeologiche, la promozione di escursioni naturalistiche sono il punto di forza della cooperativa. Gestisce vari siti archeologici dove si possono effettuare visite guidate da operatori specializzati nel settore, durante tutto l’anno. Nell’ambito del trekking esperte guide escursionistiche, sono in grado di accompagnare la clientela in entusiasmanti itinerari di ogni livello, sia nel territorio montano del Supramonte che lungo la costa del Golfo di Orosei. L’obiettivo è quello di far conoscere gli aspetti storici ed ambientali del territorio non è limitato soltanto ai semplici turisti o ad appassionati di trekking, anzi da anni collaboriamo con scuole, università, gruppi ricerca, mettendo a loro disposizione conoscenze e esperienze di esperti operatori.

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L’Ecoparco Neulè, (http://www.agriturismoneule.com/iframe.htm), dove funziona anche un agriturismo, si affaccia sulle rive incontaminate, selvagge e naturali del Lago Cedrino tra mirti, olivastri, animali selvatici (mufloni, cinghiali, lepri, donnole, volpi ecc...), mucche, pecore, maiali, cane, gatti ecc...Nel rispetto della natura si arriva in azienda attraverso una strada unica di circa 2 chilometri non asfaltata ma facilmente percorribile.

Gli ospiti vengono accolti nella casa del fattore, in camere singole, doppie, triple, e mette a disposizione la propria cucina per chi desidera immergersi in quelle che sono le caratteristiche su cui è fondato il vero Agriturismo, cioè condivisione degli spazi, socializzazione, privacy e tranquillità circondati dai nostri simpatici animali domestici e non. Alcune camere sono vista lago altre immerse nel terreno naturale e selvaggio. All'interno dell'Ecoparco sono stati realizzati dei percorsi naturalistici segnalati, che arrivano fino al lago Cedrino. Il percorso è stato realizzato anche per ospitare persone con disabilità. Tra le innumerevoli attività si propone il noleggio canoe, per chi desidera godere la tranquillità del lago e pagaiare fino alla sorgente e la pesca viste le numerose specie di pesce che offre il fiume (lago) e gli unici rumori che vi faranno compagnia saranno quelli degli animali e degli uccelli che incontrerete. Si organizzano gite in barca sul lago Cedrino con un massimo di 11 persone per rendere la navigazione comoda, intima e per socializzare più facilmente, trascorrendo l'intera giornata immersi nella natura selvaggia, incontaminata e paludosa fino ad arrivare alla famosa sorgente di Su Gologone. L'escursione prevede una sosta per la visita alla chiesetta campestre di San Pantaleo (1600) e una sosta alla grotta del Guano dove verrà offerta una degustazione di prodotti tipici locali e di produzione locale.

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Il Centro di Educazione Ambientale di Cala Gonone, è gestito da figure professionali specializzate nell’ educazione e informazione ambientale e nella gestione delle riserve marine protette. La metodologia applicata è quella dell’imparare facendo. Sembra questa, la migliore strategia per imparare, ove l’imparare non sia solo il memorizzare, ma anche e soprattutto il comprendere. Per comprendere e memorizzare, sembra che la strategia migliore sia l’apprendere attraverso il fare, attraverso l’operare, attraverso le azioni. Innanzitutto, non si apprende attraverso il mero fare, la semplice attività non accompagnata dal pensiero, dalla riflessione. Non v'è azione, ma soprattutto non v'è pensiero, senza motivazioni, interessi, passioni. Nell’’intelligenza affettiva il pensiero e l’azione sono sostenute dall’affettività, e dall’amore per il sapere!

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Per concludere, infine, non certo per minor importanza ricordiamo il valore del lavoro svolto dalla Biblioteca Comunale Giovanni Mulas e dalle operatrici e volontarie che in essa collaborano. La promozione della lettura, i laboratori per i bambini e studenti sono di grande importanza e andrebbero maggiormente supportati con maggiori risorse disponibili e riconosciuti e valorizzati dalla comunitĂ .

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Conclusioni S’ànima de Durgali est sa bellesa de su locu e de sa zente. Ermosura de montes e mares e de s’ànima durgalesa. Cando Deus at fattu sa froma de su Paradisu l’at provà in pès de monte Bardia e in su mare de Durgali. Unu de sos locos prus bellos de su mundu. In sos sèculos medas cosas sont istramudias. Non funtzionant prus sas règulas connotas dae sos mannos ma galu mancant sas noas riconnotas comente zustas po su comportamentu de sos tempos benidores. Su connotu non servit prus ma su nou tardat a naschire e in mesu b’at troppu bòidu.

“Su mundu est cambiande ma sa conca de sa zente cambiat prus a bellu e po custu suffrit. Est beru chi tottu est cambiau. Ma sa dimanda est chie e comente si detzidit ghite cambiare e ghite mantènnere de sas règulas e de su fàchere de sos mannos?”.

“Istramudinzos in pacu tempus e sos prus impostos dae foras e non detzisos dae sas famìlias o in sa cussorza.

Ite cheret nàrrere a educare sos fizos e fizas oje?

Cale sont sos valores chi meritant cussideru?

Sas cosas, in antis si fachiant po durare una vida. In sos trastes ch’aiat meda travallu. Oje tottu durat dae Nadale a sant’Istene. Un’isperdìssiu mai bistu.

Non solu in sas cosas ma peri in sa vida de sas novas zenerassiones. In lùmene de unu irviluppu illusòriu e de unu progressu chi no at batù mezorias nos che semus irmenticande su chi non podimus irmenticare.

Cantu est bàssiu a aumentare sos nùmeros de tottu: de su tazu, de sos litros de latte murtu, de sa cubadura de sas domos. Est aumentau su curre curre, si fachet tottu impresses, ma mi paret chi non si bivat menzus .

“Cantu mudonzu in pacu tempus, e non si fàchet a tempus a si sestare sa vida cufrome custos istramudinzos!

In sos caminos de Durgali sas meres como sont sas vetturas. Colant currende o che prenant su locu cando sont frimas. Non b’at locu po àteru”.

Sas domos anticas non fint còdomas che a sas noas, ma rispondiant a una istòria, a una memòria de vidas sufrias che las ant ghettàs a terra po fraicare chin brochettos e tzimentu iscàtulas chene identidade.

“Gurgos arrumbaos istrintos e ocupaos semper a parcheggiu de màchinas.

Sos caminos non sont prus locos de incontru. Sos petzos de domo non servint prus a picare fu friscu in seros de istade e a si contare contos chin sos bichinos po lis cherrer amustrare istima e rispettu.

Cantu bisonzu at Durgali de investire in su chi sos istudiaos li narant “Decoro urbano”?

‘Rigenerare’ est sa paràula zusta. Fàchere a nou rispettande s’ànima antica.

Non solu ‘tappulare’ ma peri ‘ricamare’ e ‘mudare’.

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Non est a che ghettare a terra tottu su chi est male fattu e nemancu a pessare a palatos noos sighinde a ispittire terrinos, ‘consumare suolo’.

S’isfida noa est a mudare sos locos abandonaos in locos de vida, fraicande cultura e biadia po sa zente. Cumentzare dae prozetos minores, comente esempiu de bellesa e de utilidade.

Si depet cumprèndere su bisonzu de cambiare e de fàchere unu pianu reguladore nou chi permitat de che recuperare memòria de s’istòria de sa bidda, su sensu de appartènnere a una comunidade bia, a dare valore a s’istare paris, a sa netzessidade de s’azuare s’unu chin s’àteru e a favorire sa cultura, junghende semper s’utilidade a sa bellesa.

Po custu be cheret unu programa po aministrare su comune chi diet valore a sos ispàtzios pùblicos: partas, caminos po si joviare e non solu po andare e locos in ue cumpònnere cultura in tottu sas maneras connotas.

E b’at duos zassos in Durgali dae ue cumentzare: su bichinadu de sa Lepora, dae sa ruche ‘etza a su Acu e in su Fundale dae santa Luchia a sa ia manna.

Fàchere cultura no cheret nàrrere solu a imparare sas cosas iscrittas in sos libros, ma dare valore a sa memòria, a s’istòria e a dònnia tipu de connoschèssia chi esistit in Durgali: sa limba durgalesa, sa poesia, sos travallos, su màndicu, su binu, sa ceràmica, sa difesa de sa natura e de sos locos anticos.

Unu bisonzu de identidade chi non cheret bìvere solu de amentos e de nostalgias ma prus de tottu de mantènnere sos cuntatos e dimandare semper de novas. Dare valore a custas cosas non po las amustrare a sos turistas ma po bìvere menzus nois.

Allegare chin sos trastes modernos chi be sont resessios a che cantzellare s’ispatziu. No esistit prus s’innedda.

Oje Durgali no est prus una bidda isolà.

Est unu cantzu de mundu cullegau direttamente e in pacos sècundos chin dònnia locu de sa terra.

Sos durgalesos ant oje una vida prus tranquilla e prus ricca de sos babbos e de sos mannois.

Ma non cheret nàrrere chi siat crèschia chin sos benes materiales peri sa biadia.

Canta tristura bidende sos gurgos de sa Serra, de sa Porta e de su Fundale chin domos abandonàs e fattas a muntonarzu.

Chene decoro e chene birgonza. Progressu est a dare valore a sa bellesa, a chircare sa biadìa in su chi balet e non in sas illusiones chi nos fachent istare peus.

Sa richesa de una bidda l’est dà dae sa capatzidade chi at de s’arrennoare dande valore a su recùperu de sa memoria e de sas istorias colàs.

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Mantenende ‘ios sos sinnos chi alleghent de custu a sas zeneratziones noas.

Imbentande ispàtzios apertos chi permittant sas relatziones sotziales e comunitarias.

E oje si cumentzat a pessare chi s’aumentu de sa produtzione non depet ispèrdere sos benes de sa natura.

Non si depent bruttare sas abbas de sos rios e de su mare po alanzare dinare meda.

Non si podent ispèrdere sas furestas e sa terras. Non si papat dinare.

Si depet rispòndere a sos bisonzos de oje chene che cantzellare sos diritos chi at sa zeneratzione benidora.

Si depet pessare non solu a sa propriedade de benes materiales ma prus de tottu a comente bìvere in biadìa.

S’istramudinzu prus importante est a fraicare su cras rispettande sa natura e sos diritos de tottu s’umanidade.

Sa terra depet èssere trattà chin rispettu.

Sos mannos depent pessare a sos diritos de sos pipios chi naschint oje e in cale mundu los sont fachende naschire.

Unu locu de biadia o unu muntonarzu?

Bellesa, galania, ermosura sont paràulas chi nos inditant unu sinnu, unu pessamentu.

Chi po nois, narandelu in durgalesu, nos cheret nàrrere chi sont sinnos chi non balent po dònnia locu.

E sa galania nostra la depimus nàrrere in durgalesu. In àteros limbazos e in àteros modos de pessare, non semper arrumbat tale e curret su perìculu de che perdere s’ermosura. Amentaebos, però, chi solu sa bellesa nos podet sarvare. Galania e ermosura non solu de sos ocros ma prus de tottu de s’ànima.

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Credo che negli ultimi 50 anni anche a Dorgali abbia prevalso la visione che sviluppo significhi soprattutto crescita economica.

Ha prevalso come idea egemone imposta dall'esterno in una visione globale in cui l'unico indicatore che conta è il Prodotto Interno Lordo, unica misura per programmare non solo l'economia ma anche il benessere delle persone.

Indicatore che si è dimostrato limitato e fuorviante.

Oggi si propongono nuovi concetti per qualificare l'idea di sviluppo che sia veramente un progresso positivo. Il mettere al centro come priorità il benessere delle persone (di tutte le persone) e quindi sviluppo umano e poi la sostenibilità, ovvero che questo benessere deve essere garantito anche alle generazioni future. E su questo le scelte a livello internazionale, nazionale e locale lasciano molto a desiderare.

Vi è una emergenza globale che riguarda i cambiamenti climatici e lo sfruttamento delle risorse naturali non rinnovabili e non si fanno scelte coerenti negli investimenti privilegiando la depredazione, lo sfruttamento irrazionale dei suoli e del mare, creando deserti in eredità delle generazioni future.

Si sono privilegiati i diritti della proprietà privata e pubblica, dimenticando la difesa dei beni comuni (ricchezza di tutti) che qualcuno privatamente sfrutta per lucri propri. Quando dico che "non si papat dinare" non disconosco il valore dei soldi ma dico che non tutto diventa denaro e che un'economia di carta (cartolarizzata e solo finanza) ha aumentato l'accentrare le ricchezze in poche mani, ha reso poveri miliardi di persone aumentando le disuguaglianze e i conflitti.

Quando l'obiettivo detto era libertà, uguaglianza e fraternità.

Politiche coerenti vengono da qualche parte proposte ma non trovano riscontro nelle decisioni concrete che tentano di accontentare tutti, anche gli inquinatori e depredatori, in nome della crescita del PIL. Per Dorgali si dice che non ci sono risorse disponibili per affrontare i problemi evidenziati. Forse è vero, ma allora vanno cercate partecipando di più a bandi nazionali ed europei. A me pare che manchi visione, programmazione, progettualità a livello amministrativo e di società civile.

Qualche privato coltiva la propria nicchia e sopravvive. Qualche cooperativa riesce a svolgere bene il proprio ruolo. Ma occorre innovazione e battere nuovi sentieri per valorizzare le aspettative dei giovani formati che emigrano e una visione nuova del fare comunità che impegni diverse discipline professionali e permetta di trovare progetti e risorse per affrontar nel tempo i problemi che stiamo evidenziando per un futuro per Dorgali con maggiore benessere e felicità per ogni persona e dove anche la bellezza, appunto, abbia la sua parte.

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