Radici della Luce

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Per gentile concessione di Gianni Luzi riproduciamo il testo di Mario Luzi Pour Charles Juliet pubblicato nel 1986 sulla rivista Faire part © Charles Juliet © Valigie Rosse, 2012 In copertina: «Gli umiliati della parola» di Riccardo Bargellini Progetto grafico: Lisa Cigolini Produzione: Il Cane di Zorro via dei Mulini, 7 - 57100 Livorno valigierosse.org


Charles Juliet

Radici della luce a cura di

Federico Mazzocchi con una testimonianza di

Mario Luzi

PREMIO CIAMPI “VALIGIE ROSSE” 2012



Prefazione

Charles Juliet nasce nel 1934 a Jujurieux, nel dipartimento francese che prende il nome dal fiume Ain, un affluente del Rodano. Dopo i primi tre mesi di vita, costretto a separarsi dai genitori a causa della precaria salute mentale della madre, viene affidato a una famiglia di contadini svizzeri, di cui diverrà il figlio adottivo. La madre, internata in un ospedale psichiatrico, morirà di malnutrizione sette anni più tardi, senza mai ricongiungersi col figlio. Nel 1946 entra nella scuola militare di Aix-en-Provence: otto anni di fatiche e umiliazioni, ma anche di duro apprendistato. Poi, gli studi di medicina all’École de Santé Militaire di Lione, interrotti al terzo anno. È da quel momento che Charles Juliet decide di votarsi alla scrittura, facendone il compito e il mestiere di una vita. Non varcheremmo il sottile recinto della biografia, seppur toccandone con rapidità e discrezione le più palpabili coordinate, se tutta l’opera di Juliet non coincidesse con la persistente ricerca di sé e delle proprie ragioni vitali, dentro e attraverso tutte le sue «stazioni» esistenziali. Una ricerca condotta con assoluta dedizione e sacrificio – lo attestano i quindici anni di lavoro solitario che precedono l’uscita del primo libro, Fragments (1972) –, dove lo scandaglio interiore si accompagna, nel tempo, all’incontro con grandi artisti e scrittori: su tutti, il pittore olandese Bram van Velde e Samuel Beckett1, il cui genio avrà un ruolo fecondo 5


ed esemplare – quasi maieutico – in relazione alla scrittura di Juliet e alla sua personalissima indagine. Parlare di indagine serve subito a evidenziare la tensione conoscitiva di questa scrittura che rifiuta ogni diaframma tra sé e la vita, volta com’è a infrangere le residue barriere che rendono opaca e inaccessibile la coscienza. È perciò naturale che la quête di Juliet abbia fatto ricorso alle più diverse forme letterarie: il teatro, il romanzo, il racconto, il diario, la poesia, il saggio. La costante autobiografica ne è forse il collante, ma non nei termini di un circolo autoreferenziale, bensì nel ricondurre la letteratura vicino alla sua area di origine, il sé, laddove esso si rivela tanto più riposto nell’interiorità quanto più meta di un infinito pellegrinaggio; tanto più individuale quanto più universale. Ne è prova il grande riconoscimento ottenuto in Francia dai romanzi autobiografici L’anneé de l’éveil (1989) e Lambeaux (1995), il secondo dei quali figura ormai stabilmente nei programmi di Baccalaureato. Anche la pubblicazione del Journal – iniziata nel 1978 e giunta a comprendere, in sei volumi, il periodo 1957-1996 – è segno importante per uno scrittore vivente (basti pensare ai precursori: André Gide, Julien Green, Miguel Torga…), e testimonia questa strettissima adesione tra opera e vita. Per assiduità e consistenza, la poesia ha un ruolo centrale nella partitura in cui si dispone e costituisce questa «scrittura della voce». Folta ed estesa è infatti l’opera poetica di Juliet: L’œil se scrute (1976), Affûts (1979), Fouilles (1980), Approches (1981), Trop ardente (1981), L’Inexorable (1984), Bribes pour un double (1984), Ce pays du silence (1987), L’autre chemin (1991), Une lointaine lueur (1992), À voix basse (1997), L’opulence de la nuit (2006). Il libro di recentissima uscita Moisson (2012) – da cui è tratta la presente antologia – ne raccoglie i frutti essenziali. Nello studio preposto a quel volume, Jean-Pierre Siméon ha descritto con mirabile sintesi la qualità della parola poetica di Juliet, in linea con il suo profilo integrale di scrittore: «Non conosco un’opera più univoca di quella di Charles Juliet. Essa non ha che un oggetto: la delu6


cidazione di sé, la messa a nudo e in luce di una verità interiore, lontana, sepolta, perduta. Essa non ha che un mezzo: eliminare l’io, le sue irrisorie illusioni, la sua vanità e i suoi aneddoti, attraverso una scrittura acuminata come un bisturi, giustamente incisiva. Essa non ha che un’aspirazione: trovare la fonte, la pace delle origini – che è luce, “tepore delle acque”, riconciliazione»2. Oggetto, mezzo e aspirazione sono tutt’uno in questa ricerca della voce essenziale. Di essa fanno parte anche il lessico misurato e ristretto, il rifiuto della metafora decorativa, la soppressione della punteggiatura e delle maiuscole; una parola propriamente «nuda», ossia spogliata di quanto la soffoca e la sottrae al silenzio nutriente della fonte. E tra gli ostacoli di questo itinerario serrato è beninteso inclusa anche l’individualità esasperata, senza che l’impiego diffuso della seconda persona tragga in inganno, facendo presagire un asfissiante sdoppiamento interno. Tutt’altro: si tratta di dialettizzare una conquista da compiere intus et in cute, trovare il sé dopo la morte del sé, in una disposizione continuamente agonica che non conosce requie, ma solo ritorni e veglie, frammisti a bagliori intermittenti (i volti, gli sguardi, le voci, la donna e le altre epifanie della «gioia grave»). Certo, la trazione verso l’annullamento proviene anche dalla perdita e dalla colpa, il cupo sentore di essere ingiustamente sopravvissuto alla madre. La quale, però, è altresì all’origine di un esilio che per carica differenziale acuisce il desiderio del ritorno: alla fonte, alla dimora, alla grotta, alla terra, quali simboli carnali di un ritrovato radicamento che solo può darsi alla fine di una faticosa traversata. Il titolo voluto dal poeta per questa sua antologia italiana, Radici della luce, conferma allora – in accordo col Moisson dell’edizione francese (la messe, il raccolto) – la prospettiva finale e consuntiva di un cammino, e insieme sancisce l’identità solo apparentemente contraddittoria di origine e meta, pregnanza materica e sostanza celeste. Non è un caso che il dire una cosa prossima coincida per Juliet col dirla «maternamente vicina». Lì sta l’unisono, l’armonia, la coincidenza piena e luminosa con il 7


mondo. La scrittura può essere allora la remunerazione imprevista, l’addizione di vita a ciò che ne era stato privato. Charles Juliet è il poeta della sete, della fame, che tentato il confine dell’io ne scopre mancante la parte più autentica, e si mette in cammino. Trovando in questa mancanza tutto il suo possesso, nonché l’imprevista compagnia degli «umiliati della parola». È scoprendoci tali che possiamo ricevere da Charles Juliet il raro, munifico dono della sua poesia. Federico Mazzocchi

1 Charles Juliet li rievocherà in Rencontres avec Bram van Velde, Fata Morgana, Montpellier 1978 e Rencontre avec Samuel Beckett, Fata Morgana, Montpellier 1986, poi P.O.L., Parigi 1999. La traduzione di quest’ultimo (Incontri con Samuel Beckett, Archinto, Milano 2001) e il saggio sullo scultore Alberto Giacometti (Jaca Book, Milano 1987), sono ad oggi le uniche due opere di Charles Juliet accessibili al lettore italiano. 2 Jean-Pierre Siméon, La conquête dans l’obscur, in Charles Juliet, Moisson. Choix de poèmes, P.O.L., Parigi 2012, p. 9.

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RADICI DELLA LUCE


· Atteint le dernier degré de l’épuisement Quand tu avais perdu tes semblables Quand il n’y avait plus de but de repère de chemin Quand il n’y avait plus d’issue Quand la seule énergie qui te venait naissait de l’horreur de te savoir à l’agonie Sur ordre de la voix tu t’es dressé as risqué tes premiers pas Inconnus la contrée les accidents du terrain Mais familière la nuit Et tout autant la peur de cet inconnu dont tu dois te nourrir et que tu redoutes de rencontrer Que cherches-tu Tu avances erres te traînes renonces pars rebrousses chemin tournes en rond Ton œil empli par la nuit tu cherches le lieu Le lieu où tu serais rassasié Où se déploierait la réponse Où bouillonnerait la source Tu ne sais que marcher La nuit et la peur te harcèlent Et aussi la soif Mais à chaque pas la hantise de faire fausse route D’accroître encore la distance Tu cherches le lieu Le lieu et le nom Le nom qui saurait tout dire de ce en quoi consiste l’aventure. Tu ne sais où tu vas ni ce que tu es ni même ce que tu désires mais tu ne peux t’arrêter Et tu progresses À moins que tu ne t’éloignes Sans fin tu erres te traînes rampes tournes en rond Et tu renonces Et tu repars Jusqu’à n’être plus qu’épuisement Survient l’instant où tu dois faire halte Faire ton deuil du lieu et du nom Et à l’invitation de la voix définitivement tu renonces t’avoues vaincu Alors tu découvres que tu auras chance de trouver ce que tu cherches si précisément tu ne t’obstines pas à le chercher Tu repars Des forces nouvelles te sont venues Ton œil qui s’écarquille n’est plus dévoré par la soif Tu ne sais où tu vas mais tu connais ce que tu es Tu avances d’un pas tranquille désormais convaincu que le lieu se porte à ta rencontre Le lieu où mûrir l’hymne la strophe le nom Où jouir enfin de ce qui s’est jusque-là dérobé 10


· Raggiunta l’estenuazione estrema Quando avevi perso i tuoi simili Quando non c’era più alcuna meta o base o cammino Quando non c’era più via di scampo Quando a soccorrerti era solo l’energia che nasceva dall’orrore di saperti agonizzante Al comando della voce ti sei drizzato hai arrischiato i primi passi Ignote la regione le asperità del terreno Ma familiare la notte E non meno la paura di quell’ignoto di cui ti devi nutrire e che temi di incontrare Che cosa cerchi Tu avanzi erri arranchi rinunci te ne vai ritorni sui tuoi passi giri in tondo Il tuo occhio colmo di notte tu cerchi il luogo Il luogo in cui tu sia saziato In cui si dispieghi la risposta In cui gorgogli la fonte Non sai far altro che camminare La notte e la paura ti bersagliano E così la sete Ma ad ogni passo l’assillo di sbagliare strada Di accrescere ancora la distanza Tu cerchi il luogo Il luogo e il nome Il nome che sappia dire tutto di ciò in cui consiste l’avventura. Non sai dove vai né ciò che sei e nemmeno ciò che desideri ma non puoi fermarti E prosegui A meno che non ti allontani Senza fine tu erri arranchi ti trascini giri in tondo E rinunci E riparti Fino a non essere altro che estenuazione Giunge l’istante in cui ti devi fermare Mettere una pietra sopra luogo e nome E all’invito della voce definitivamente tu rinunci ti dài per vinto Allora scopri che avrai una possibilità di trovare ciò che cerchi proprio se non ti ostini a cercarlo Riparti Ti sono venute nuove forze Il tuo occhio spalancato non è più divorato dalla sete Tu non sai dove vai ma conosci ciò che sei Avanzi con passo tranquillo ormai convinto che il luogo ti si faccia incontro Il luogo in cui possa maturare l’inno la strofa il nome Dove infine gioire di ciò che sinora si era sottratto 11


· ma voix ne peut rien contre ce brouhaha qui nous assourdit nous expulse de nous-mêmes nous laisse hébétés mais si faible et impuissante qu’elle soit je voudrais tant pouvoir la prêter aux humiliés de la parole si longtemps j’ai été l’un d’eux

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¡ la mia voce nulla può contro questa gazzarra che ci assorda ci espelle da noi stessi ci lascia inebetiti ma per debole e impotente che essa sia vorrei tanto poterla prestare agli umiliati della parola per quanto a lungo sono stato uno di loro

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· Quand j’ai faim tout me nourrit racontait cette chanteuse dont le nom m’est inconnu un visage la pluie l’aboiement d’un chien moi aussi quand j’ai grande faim musardant par les rues populeuses dérivant au gré de mon humeur je m’emplis de tout ce qui s’offre des visages des regards un arbre un nuage la lumière du jour le sourire d’un enfant tout est absorbé tout me nourrit

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· Quando ho fame tutto mi nutre così cantava colei il cui nome mi è ignoto un viso la pioggia il latrato di un cane anch’io quando ho molta fame vagabondo per strade affollate deviando in preda al mio umore mi riempio di tutto ciò che si offre dei visi degli sguardi un albero una nuvola la luce del giorno il sorriso di un bambino tutto è assorbito tutto mi nutre

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· rien ne s’annonce mon silence est muet mais je demeure en attente prêt à capter ce qui va sourdre soudain des mots surgissent s’assemblent et lentement au profond de la nuit les murs s’élèvent une maison basse et retirée où chantonne en permanence le vivifiant murmure de la source où celui qui s’est perdu pourra venir se rejoindre retrouver son visage renouer avec son sang

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· nulla si annuncia il mio silenzio è muto ma rimango in attesa pronto a captare ciò che sgorgherà all’improvviso parole sorgono si riuniscono e lentamente nel profondo della notte i muri s’innalzano una casa bassa e appartata dove gorgheggia perpetuo e ravvivante il mormorio della fonte dove colui che si è perduto potrà venire a ricongiungersi ritrovare il suo volto riannodarsi al suo sangue

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Valigie Rosse Poesia 1. Juan Andrés García Román, Quaderno del suggeritore 2. Matteo Marchesini, Sala d’aspetto 3. Martina Evans, Di fronte al pubblico 4. Andrea Inglese, Commiato da Andromeda 5. Charles Juliet, Radici della luce 6. Giacomo Trinci, Sul finire

Di questo volume sono stati stampati 400 esemplari numerati Esemplare:


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