Studiosissime Ludere. Dieci anni di "studiosi" giochi in Unimi_Vol.1

Anno 2022 - Report 05

STUDIOSISSIME LUDERE Dieci anni di ‘studiosi’ giochi in UniMi A cura di: Claudia Lambrugo

VOLUME1 STUDIOSISSIME LUDERE. DIECI ANNI DI ‘STUDIOSI’ GIOCHI IN UNIMI IL GIOCO: UNA TEMATICA MOLTO SERIA COSA ABBIAMO FATTO LA COLLEZIONE ARCHEOLOGICA “GIULIO SAMBON” DI MILANO GIULIO SAMBON, MERCANTE D’ARTE L’ALTALENA TRA GIOCO E RITO SAMBON’S CELEBRITIES BAUBÒ, NUTRICE E STREGA NEL MAGICO MONDO DELLE MARIONETTE A TERRACOTTA STRING PUPPET IN NEW YORK

Notootto - Una iniziativa del Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali - Università degli Studi di Milano

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NOTOOTTO Progetti & Persone del Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali

VOLUME 1

http://www.bac.unimi.it/ecm/home http://www.bac.unimi.it/ecm/home/documentazione-visiva 3

Editoriale Prof. Alberto Bentoglio Direttore Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali Questo numero di NotoOtto presenta i risultati di un progetto di ricerca interdisciplinare sul gioco, il ludus della lingua latina, che partito dall’iniziativa di un gruppo di studiosi del Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali, ha coinvolto progressivamente ricercatori di altri Dipartimenti, in sinergia con musei ed enti territoriali, e in feconda cooperazione con teams di ricerca di altri Atenei, italiani e stranieri, egualmente impegnati ad esplorare la tematica ludica.

Il gioco infatti è dimensione ineliminabile del vivere sociale di bambini e adulti, nonché campo di sperimentazione ideale per le forme di interazione tra cultura materiale e immateriale; svolge un ruolo cruciale per lo sviluppo di facoltà intellettive e di doti fisiche ed è strumento privilegiato per il contatto e l’osmosi tra culture differenti. Si tratta dunque di una tematica tutt’altro che banale o poco ‘seria’, anzi al centro di vivi interessi culturali e pedagogici.

Le pagine che seguono, magistralmente coordinate da Claudia Lambrugo e sapientemente confezionate da Valentino Albini, raccontano i primi dieci anni di un lavoro intenso, ma a suo modo lieve e giocoso, sul ludus, tra ricerca e terza missione.

Alberto Bentoglio

Notootto - Una iniziativa del Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali - Università degli Studi di Milano Ideazione e impaginazione grafica; foto di copertina: Valentino Albini

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Anno 2022 - Report 05 VOLUME 1

Contenuti Studiosissime ludere. Dieci anni di ‘studiosi’ giochi in UniMi Claudia Lambrugo, Chiara Torre Il gioco: una tematica molto seria Claudia Lambrugo

Cosa abbiamo fatto

La Collezione Archeologica “Giulio Sambon” di Milano Claudia Lambrugo, Fabrizio Slavazzi con Anna Maria Fedeli Giulio Sambon, mercante d’arte

Lorenzo Napodano

L’altalena tra gioco e rito Marina Castoldi

Sambon’s celebrities Chiara Bianchi

Baubò, nutrice e strega Federica Giacobello

Nel magico mondo delle marionette Claudia Lambrugo A Terracotta String Puppet in New York

Maya Muratov

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Studiosissime ludere. Dieci anni di ‘studiosi’ giochi in UniMI Claudia Lambrugo, Chiara Torre Iniziamo ‘giocando’ e mettendo in campo una piccola burla, un’innocente bugia: in realtà sono trascorsi più di dieci anni (era un pomeriggio assolato del luglio 2009) da quando un gruppetto di allora giovani, oggi meno giovani, ricercatori dell’Università degli Studi di Milano decide di dare il via a un progetto di ricerca interdisciplinare sul gioco (ludus nella lingua latina).

Traendo ispirazione dal concetto di ludicità come dimensione ineliminabile del vivere sociale, in ogni tempo e luogo, il progetto di ricerca si proponeva allora, e si propone tuttora, di studiare il tema del gioco come campo ideale di sperimentazione per l’interazione tra cultura materiale e immateriale (come raccomandato dalla convenzione UNESCO del 17 Ottobre 2003), e come strumento privilegiato per il contatto e l’integrazione tra culture diverse; tema, quest’ultimo, quanto mai attuale.

La lente interdisciplinare è apparsa fin da subito la più adeguata per analizzare la ludicità nella sua poliedrica dimensione culturale, evitando di ridurla alla sola componente ricreativa, e per trasformare le competenze teoriche di settore in uno strumento concreto di trasferimento delle conoscenze al pubblico.

Il gruppo di ricerca, composto in principio da studiosi di sole discipline antichistiche, è andato nel tempo allargandosi. Il fascino intrinsecamente ‘giocoso’ di studiare, molto seriamente (sia detto!), il tema del gioco è irresistibile e ha conquistato ad oggi in UniMI una trentina di ricercatori per lo più afferenti al Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali, ma appartenenti anche al Dipartimento di Studi Letterari, Filologici e Linguistici e al Dipartimento di Filosofia.

Siamo archeologi, storici dell’arte, filologi, linguisti, esperti di discipline letterarie, storici della scienza; con le nostre specifiche competenze spaziamo dalla preistoria all’archeologia classica, dall’arte moderna in Europa al Giappone, dalla lingua latina ai vari dialetti lombardi, dal greco antico al sanscrito, da Dante alla letteratura italiana del Novecento.

Le esigenze della ricerca universitaria italiana, legate a parametri e obiettivi specifici di settore da rispettare con rigore, non ci hanno consentito di lavorare al tema ludico in modo costante e sistematico. Piuttosto, il nostro impegno sul gioco si è via via strutturato per capitoli tematici, intorno ai quali ci siamo ritrovati ad intervalli di tempo per lavorare insieme in libera, felice e feconda collaborazione interdisciplinare.

Un divertissement senz’altro riuscito, che ha avuto esiti scientifici importanti, come numerosi volumi, convegni e mostre; ha aperto la strada a splendide collaborazioni internazionali, la principale delle quali è con il team guidato da Véronique Dasen dell’Université de Fribourg (CH), a capo del progetto ERC Advanced Grant Locus

per ciascuno di noi un’occasione preziosa per scoprire, con entusiasmo quasi infantile, in cosa consista realmente il lavoro multidisciplinare.

Di qui il nostro desiderio di tirare le fila di quanto fatto in questi anni, offrendone un sintetico assaggio nelle pagine, magistralmente composte da Valentino Albini, della rivista NotoOtto.

Grazie a: La ricerca ha negli anni beneficiato di diversi finanziamenti: “UniMi per il futuro, 5 per mille (bando 2009)”; finanziamenti speciali della Presidenza dell’allora Facoltà di Lettere e Filosofia (presidi i proff.

Elio Franzini e Giuliana Albini); PSR (Piano di Sostegno alla Ricerca) 2017 & 2018; Bando SEED 2019 (Bando Straordinario per Progetti Interdipartimentali).

Hanno collaborato con noi in diverse occasioni e iniziative: il Comune di Milano, il Civico Museo Archeologico di Milano, l’allora Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia, l’attuale Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Milano, il Museo Teatrale alla Scala, il Museo del Giocattolo e del Bambino di Cormano (MI), la Fabbrica del Gioco e della Arti di Cormano (MI), la Società Archeologica Comense.

A tutti il nostro più sincero grazie.

Soldati israeliani giocano a backgammon; 1948-1949 (da Wikimedia Commons)

Ludi. The Cultural Fabric of Play and Games in Classical Antiquity; ma, soprattutto, ha rappresentato 6

Mosaico romano da Cartagine: sullo sfondo due uomini intenti a giocare con grossi dadi e pedine bianche (da V. Dasen, U. Schädler edd., Jeux et jouets gréco-romains, “Archéothéma, Histoire et archéologie” 31, p. 49)

Dettaglio di anfora attica a figure rosse con giovane donna intenta a giocare a palla (inv. n. St. 1323); h 26,5 cm; 460-450 a.C., da Cuma. Milano (Soprintendenza ABAP), Collezione Archeologica “Giulio Sambon”. Fotografia di Valentino Albini

Una partita di calcio improvvisata sull’Alto Atlante marocchino: Italia vs. Marocco (maggio 2012). Basta un pallone, non servono parole per intendersi! Fotografia di Claudia Lambrugo 7

Dadi e pedine da gioco della Collezione Archeologica “Giulio Sambon”. Milano (Soprintendenza ABAP), Fotografia Sopr

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rintendenza SABAP di Milano

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Il gioco: una tematica molto seria Claudia Lambrugo Non è da molto tempo che la comunità degli studiosi ha riconosciuto alla ludicità un posto degno e stabile nella sfera ‘ben recintata’ degli studi scientifici, superando faticosamente il curioso e improprio ragionamento che il gioco, strutturalmente altra cosa dal serio, non è tematica seria e quindi non è serio nemmeno studiare il gioco.

Solo dall’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, anche per sforzo congiunto di alcune riviste scientifiche (“Ludica. Annali di storia e civiltà del gioco”; “Nikephoros. Zeitschrift für Sport und Kultur im Altertum”, “Homo Ludens”), è stato possibile recuperare agli studi di qualità l’importanza e la serietà del gioco nel quadro della vita sociale e culturale. È del 1990 anche la nascita dell’International Board Games Studies Association, che riunisce numerosi studiosi, accademici e appassionati esperti della storia e dello sviluppo dei giochi da tavola in tutto il mondo; l’associazione ha una propria rivista scientifica e promuove quasi annualmente convegni internazionali sul tema.

Già Huizinga riteneva che accanto all’homo sapiens e all’homo faber non dovesse mancare l’homo ludens, perché – affermava - «mi pare che l’homo ludens, l’uomo che gioca, indichi una funzione almeno così essenziale come quella del fare» (J. Huizinga, Homo ludens, 2002, p. XXXI).

Ogni cultura infatti fa posto a manifestazioni ludiche sue proprie e anzi il gioco si fissa da subito come forma

di cultura e occasione di contatto.

Questo è tanto più vero per il mondo antico, classico in particolare, nel quale competizioni sportive, giochi di abilità strategica e di azzardo sostanziavano, insieme alle humanae litterae, quell’ otium che era ancora lontanissimo dal divenire un disvalore a fronte di una nuova rispettabilità acquisita dal negotium (figg. 1-3). È infatti solo con l’affermarsi della cultura cristiana, fra età tardo-antica e Medioevo, che l’universo ludico viene relegato in un’area di progressiva penombra, da cui in fondo stenta a liberarsi tuttora: nel mondo contemporaneo, dominato dalla formula del lavoro intensivo, protratto e quotidiano, - formula che Devereux considera storicamente nuova e di faticosa domesticazione per l’uomo (G. Devereux, Saggi di etnopsichiatria generale, ed. italiana a cura di S. Inglese, Roma 2007, pp. 270-271), l’inattività pare socialmente ammissibile solo quando sia riconducibile a stanchezza reale per attività intensa o a malattia evidente, risultando altrimenti la conseguenza di una deprecabile pigrizia.

Da un punto di vista antropologico, cruciali sono gli studi recentissimi di Roberte Hamayon che ha sottolineato in modo assai convincente come il gioco sia una forma strutturata di interrelazione, distinta da altre modalità di esperienza sociale, in quanto strettamente legata a performance rituali in grado di creare uno specifico senso di comunità (R. Hamayon, Jouer: Une étude anthropologique 2012).

Figure femminili danzanti in terracotta (inv. nn. St. 1513, 1506); h 23,2 e 19,7 cm; IV-III secolo a.C.; produzione greca e magnogreca. Milano (Soprintendenza ABAP), Collezione Archeologica “Giulio Sambon”. Fotografie di Valentino Albini 10

Coppia di lottatori in bronzo, uomo e donna, forse Peleo e Atalanta? (inv. n. St. 1652); manico configurato di cista prenestina; h 8,2 cm; fine IV, inizi III secolo a.C. Milano Soprintendenza ABAP), Collezione Archeologica “Giulio Sambon”. Fotografia di Valentino Albini

«Mi pare che l’homo ludens, l’uomo che gioca, indichi una funzione almeno così essenziale come quella del fare» (J. Huizinga, Homo ludens, 2002, p. XXXI)

Discobolo in bronzo di produzione etrusca (inv. n. 1650); h 10,5 cm; fine VI, inizi V secolo a.C. Milano (Soprintendenza ABAP), Collezione Archeologica “Giulio Sambon”. Fotografia di Valentino Albini 11

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Cosa abbiamo fatto I Libri

A. Ceresa Mori, C. Lambrugo, F. Slavazzi (a cura di), L’infanzia

C. Lambrugo, C. Torre (a cura di), Il gioco e i giochi nel mondo antico. Tra cultura materiale e immateriale, Edipuglia, Bari 2013

e il gioco nel mondo antico. Materiali della Collezione Sambon di Milano, Edizioni ET, Milano 2012

C. Lambrugo, F. Slavazzi, A.M. Fedeli (a cura di), I materiali

della Collezione Archeologica “Giulio Sambon” di Milano. Tra alea e agòn: giochi di abilità e di azzardo (Collana Materia e Arte, vol. 1), All’Insegna del Giglio, Firenze 2015

A. Capra, C. Torre (a cura di), Percorsi della ludicità tra antico e moderno, in “Acme. Annali della Facoltà di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Milano” LXIX, 1 (2016). Disponibile in open access: https://riviste.unimi.it/index.php/ACME/issue/view/963 14

L. Floridi, L. Neri, C. Torre (a cura di), Giochi e giocattoli.

Parole, oggetti e immaginario, in “Enthymema. International Journal of Literary Criticism, Literary Theory, and Philophophy of Literature” 23 (2019). Disponibile in open access: https://riviste.unimi.it/index.php/enthymema/issue/view/1371

C. Lambrugo (ed.), A Turning World: a Multidisciplinary Ap-

proach to the Spinning Top (and other Toys and Games).

Fotografia di Valerio Gardoni

Le giornate di studio

Il gioco e i giochi nel mondo antico, tra cultura materiale e immateriale, Giornata di Studi (Milano, Università degli Studi,

Giochi e giocattoli: parole, oggetti e immaginario, Giornate di Studio (Milano, Università degli Studi – Cormano, Museo del Giocattolo e del Bambino (19-20 Marzo 2018)

22 Febbraio 2011) 15

Cosa abbiamo fatto Le mostre

A che gioco giochiamo? L’infanzia e il gioco nel mondo antico, mostra a cura di A. Ceresa Mori, C. Lambrugo, F. Slavazzi, Milano Antiquarium “Alda Levi” (20 Aprile – 22 Dicembre 2012) - Invito

Fortuna o strategia? Giochi da tavolo dall’Antichità al Medioevo , mostra a cura di A. M. Fedeli, C. Lambrugo, F. Slavazzi, Milano Antiquarium “Alda Levi” (5 Febbraio – 3 Novembre 2015) - Invito 16

Alcuni materiali della Collezione Archeologica “Giulio Sambon” sono stati esposti anche nella mostra: Il viaggio della Chimera.

Gli Etruschi a Milano tra archeologia e collezionismo, mostra a cura di G. Paolucci, A. Provenzali, Milano Civico Museo Archeologico (12 Dicembre 2018 – 12 Maggio 2019)

Milano, Antiquarium “Alda Levi”, 20 Aprile 2012, inaugurazione della mostra A che gioco giochiamo? L’infanzia e il gioco nel mondo antico: (da sinistra) Gemma Sena Chiesa, professore emerito di Archeologia Classica, Raffaella Poggiani Keller, già Soprintendente per i Beni Archeologici della Lombardia, Claudia Lambrugo e Fabrizio Slavazzi. Fotografia di Valentino Albini 17

Cosa abbiamo fatto Le mostre

Milano, Antiquarium “Alda Levi”, 20 Aprile 2012, inaugurazione della mostra A che gioco giochiamo? L’infanzia e il gioco nel mondo antico . Fotografia di Valentino Albini

Anna Ceresa Mori, già funzionario archeologo responsabile di Milano e provincia, e dell’Antiquarium “Alda Levi” con Claudia Lambrugo e Fabrizio Slavazzi, docenti di archeologia classica all'Università degli Studi di Milano.

Fotografia di Valentino Albini 18

Milano, Antiquarium “Alda Levi”, 23 Aprile 2015: invito alla presentazione del volume legato alla mostra Fortuna o strategia?

Giochi da tavolo dall’Antichità al Medioevo

23 Aprile 2015: Anna Maria Fedeli, funzionario archeologo della Soprintendenza ABAP di Milano, introduce Paolo Inghilleri di Villadauro, professore di psicologia sociale, ambientale e transculturale (Università degli Studi di Milano) che tiene una relazione sul tema del gioco e del piacere del rischio. Fotografia di Valentino Albini 19

La Collezione Archeologica “Giulio Sambon” di Milano Claudia Lambrugo, Fabrizio Slavazzi con Anna Maria Fedeli Il primo capitolo del nostro lavoro sul gioco è coinciso con la ‘riscoperta’ della prestigiosa, e molto nota in tutto il mondo, Collezione Archeologica “Giulio Sambon”. Giulio (o Jules) Sambon (1837-1921), nato a Napoli da una famiglia di origine francese, fu numismatico, raffinato collezionista dai gusti poliedrici e sagace mercante d’arte (Figg.1-2. )

La passione per la numismatica lo portò a raccogliere una collezione di tale ampiezza e importanza da rivaleggiare solo con quella del re Vittorio Emanuele III, cui non a caso Giulio Sambon dedica nel 1912 la sua opera numismatica più rilevante, tuttora giudicata fondamentale, Repertorio generale delle monete

coniate in Italia e da italiani all’estero dal secolo V al XX, nuovamente classificate e descritte.

Figg.1-2. Giulio Sambon giovane e in età matura (da Ditta Dubray ?, Pierrefitte-sur-Seine, Archives nationales, Fonds Sambon, 613AP/1, AS6)

Erudito conoscitore in molti campi artistici, fin dagli anni Ottanta del XIX secolo Giulio Sambon apre in Italia un’attività commerciale per la vendita di oggetti d’arte, destinata a un vertiginoso giro d’affari, con sedi di prestigio a Napoli, Roma, Firenze e Milano.

Contemporaneamente costituisce una personale collezione di oggetti per lo più legati al tema del teatro.

Per lo più, ma non esclusivamente: la ricognizione della raccolta Sambon intrapresa da chi scrive tra 2009 e 2010 (fig. 3) evidenzia un inedito interesse del Sambon collezionista per il ludus nelle sue più variegate manifestazioni, dai giocattoli dei bambini al gioco da tavolo degli adulti, dal gioco fisico della gara e dello sport alle feste musicali, dagli spettacoli teatrali alle competizioni circensi. È così che la nostra ricerca sulla cultura ludica incontra la spettacolare collezione Sambon.

Fig.3 - . La campagna fotografica di Valentino Albini, dedicata alla Collezione Sambon con set allestito presso i locali della Soprintendenza a Milano. Fotografia di Valentino Albini 20

Maggio 1911.

Un atto di illuminato “civismo”: l’acquisto della Collezione Sambon Nella primavera 1911 Giulio Sambon decide di mettere all’asta a Parigi la sua collezione di oggetti legati al teatro, per questo nota da allora come Collection Théâtrale de Jules Sambon ; così recita il catalogo d’asta datato 1911 (fig. 4).

Sambon conta di vendere al magnate americano John Pierpont Morgan Jr., banchiere miliardario e finanziere potentissimo di Wall Strett, peraltro suo prezioso cliente già in aste precedenti.

Ma l’affare sfuma (non senza contrarietà di Sambon), perché un gruppo di Milanesi, stimati rappresentanti del mondo culturale della città, tra i quali il duca Uberto Visconti di Modrone, il prof. Lodovico Pogliaghi, il maestro Arrigo Boito, il dott. Borsa, giornalista, il senatore Mangili, il conte Leopoldo Pullé, il dott. Ettore Modigliani, direttore della Pinacoteca di Brera e Carlo Vimercati, spinti dal desiderio di collaborare alla realizzazione del Museo Teatrale alla Scala, mettono in campo tutte le proprie energie e sostanze perché la magnifica raccolta non lasci l’Italia, dove si era sostanzialmente formata, venga bensì aggiudicata all’istituendo Museo Teatrale alla Scala di Milano.

La sensibilità delle istituzioni e una sottoscrizione pubblica garantirono il successo dell’impresa e il 3 maggio 1911 Ettore Modigliani, a Parigi per partecipare all’asta, può inviare il celebre telegramma che annuncia la vittoria: «vittoria collezioni nostre urrah = Modigliani» (fig. 5).

Fig.4 - Frontespizio del catalogo d’asta della Collezione Sambon (Collection Théâtrale de Jules Sambon, Catalogue des Antiquités, Paris 1911)

Fig.5 - Telegramma spedito il 3 maggio 1911 da Ettore Modigliani che comunica l’esito positivo delle trattative con Sambon a Parigi (da M. Sartorio, Storia del Museo Teatrale alla Scala, Milano 1999, p. 16) 21

Fig. 6. Una vetrina della sala archeologica nel vecchio allestimento del Museo Teatrale alla Scala (da Museo Teatrale alla Scala, Milano 1971, p. 18)

La sezione antica della raccolta Sambon, ricca di un migliaio di pezzi di notevole valore documentario e spesso di grande qualità (fig. 6), in tempi recenti per. nuove scelte espositive del Museo Teatrale alla Scala è stata consegnata allo Stato e si trova in parte esposta nell’Antiquarium “Alda Levi” di Milano, in parte attende di essere valorizzata nei magazzini della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio (ABAP) della città metropolitana di Milano. Qualche oggetto è visibile in deposito temporaneo presso il Civico Museo Archeologico di Milano.

Per quanto nota e spesso citata, della collezione non esiste tuttora un’edizione scientifica completa, bensì solo articoli e volumi strenna.

Chi scrive ha chiesto e ottenuto dalla citata Soprintendenza autorizzazione allo studio e alla

pubblicazione dell’intera raccolta, cui abbiamo finora dedicato due volumi (vedi p. 14), rispettivamente centrati sul gioco infantile (2012) e sui giochi di alea e agòn (2015, figg. 7-8), mostre, numerose conferenze articoli e interventi di convegno.

Un prossimo volume sarà dedicato alla tematica teatrale, la più corposa nella collezione, con decine di maschere e statuette in terracotta e in bronzo a soggetto teatrale (figg. 10-11), e una straordinaria raccolta di strumenti musicali antichi.

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Fig. 7. Gruppo di ‘pedine alessandrine’ in osso. Milano (Soprintendenza ABAP), Collezione Archeologica “Giulio Sambon”.

Fotografia di Valentino Albini

Fig. 8. Gruppo di tessere configurate e bibelots in osso. Milano (Soprintendenza ABAP), Collezione Archeologica “Giulio Sambon”. Fotografia di Valentino Albini 23

Giulio Sambon, mercante d’arte Lorenzo Napodano Gli interessi di Giulio Sambon per l’antichità e la cultura sono il punto di partenza della sua stessa attività lavorativa: un’impresa per la vendita di opere archeologiche e di belle arti distribuita su tutto il territorio nazionale, inaugurata a Napoli e Roma ed estesa successivamente a Firenze e Milano. La città meneghina diventa il crocevia per eccellenza degli incontri con grandi collezionisti – locali e stranieri, da Antonio Borgogna, Cristoforo Benigno Crespi e i coniugi Jacquemart-André – e direttori di museo che cercano opere rappresentative da collocare nelle istituzioni appena fondate, come Wilhelm von Bode, Adolf Bayersdorfer e Károly Pulszky. Restano oggi i cataloghi dell’impresa, disseminati in molte biblioteche, che permettono di comprendere il successo di Sambon nel suo essersi inserito in un circuito commerciale che unisce amatori ed élite culturale del tempo. Sarà la prima legge di tutela dei beni culturali (1902) a far sentire Sambon minacciato nella sua attività e a farlo allontanare dall’Italia, chiudendo così un capitolo importante del mercato di fine Ottocento. La ricerca di

chi scrive è proprio indirizzata a rintracciare nuove testimonianze delle ampie relazioni intrattenute dal mercante.

Per saperne di più: La Collezione "Giulio Sambon C. Albizzati, Museo Teatrale alla Scala. Antichità classiche, Milano 1940; M. Mirabella Roberti, La raccolta archeologica, in Il Museo Teatrale alla Scala 1913-1963, Milano 1964, pp. 313-330; M. Mirabella Roberti, I cimeli archeologici, in Museo Teatrale alla Scala, Milano 1971, pp. 19-32; M. Mirabella Roberti, Sezione archeologica, in Museo Teatrale alla Scala (Musei e gallerie di Milano, vol. 1), Milano 1976, pp. 2337; M. Sartorio, Storia del Museo Teatrale alla Scala, Milano 1999; A. Ceresa Mori, C. Lambrugo, F. Slavazzi (a cura di), L’infanzia e il gioco nel mondo antico.

Materiali della Collezione Sambon di Milano, Milano 2012; C. Lambrugo, F. Slavazzi, A.M. Fedeli (a cura di), I

materiali della Collezione Archeologica “Giulio Sambon” di Milano. Tra alea e agòn: giochi di abilità e di

Maschere teatrali in terracotta. Milano (Soprintendenza ABAP), Collezione Archeologica “Giulio Sambon”. Fotografie di Valentino Alb 24

azzardo (Collana Materia e Arte, vol. 1), Firenze 2015; C. Lambrugo, Giulio Sambon e la sua collezione: dal commercio antiquario alla raccolta pubblica, in G. Paolucci, A. Provenzali (a cura di), I materiali della Collezione Archeologica “Giulio Sambon” di Milano. Tra alea e agòn: giochi di abilità e di azzardo (Collana

Gli Etruschi a Milano tra archeologia e collezionismo , catalogo della mostra (Milano 2018-2019), Milano 2018, pp. 75-82; L. Napodano, Giulio Sambon mercante d’arte, in “Acme” 71, 2 (2018), pp. 131-166; C. Lambrugo, L. Napodano, Affari di famiglia: materiali etruschi nella Collezione Sambon, in Immaginare l’Unità d’Italia. Gli Etruschi a Milano tra collezionismo e tutela, Atti del Convegno Internazionale (Palazzo Litta, Milano, 30-31 Maggio 2019), Milano 2020, pp. 71-84.

Materia e Arte, vol. 1), Firenze 2015; C. Lambrugo,

Giulio Sambon e la sua collezione: dal commercio antiquario alla raccolta pubblica, in G. Paolucci, A. Provenzali (a cura di), Il viaggio della Chimera.

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L’altalena tra gioco e rito Marina Castoldi Tra i materiali della Collezione Archeologica di Giulio Sambon che illustrano il gioco e l’infanzia nel mondo greco e romano, c’è una bella hydria (vaso per acqua) del Pittore di Capua (360-330 a.C.) – così chiamato dal nome dell’antica città campana, ora Santa Maria Capua Vetere, che ha restituito la maggior parte dei vasi attribuiti alla sua mano – che raffigura una fanciulla in altalena, sospinta da Eros (fig. 1).

La fanciulla veste un chitone fermato sulle spalle, con cintura alla vita; reca armille ai polsi e scarpe bianche con lacci arancio; i capelli sono raccolti sulla nuca e fermati da una corona sul capo. L’altalena è appesa con due corde dipinte in bianco-giallo; fungono da sedile due cuscini. Eros è nudo, con collana a bandoliera; i capelli sono raccolti in una crocchia sulla nuca e fermati da una corona sul capo. L’ambiente si connota al femminile per la presenza, in basso, al centro della scena, di una piccola cassetta, uno scrigno, antenato del nostro beauty case, come del resto è legato al mondo delle donne il vaso stesso, l’hydria, destinata alla raccolta dell’acqua, compito prettamente femminile. Nel campo si nota anche una palla quadripartita, che potrebbe evocare uno dei giochi preferiti dai fanciulli che la nostra giovane, incalzata da Eros, dio dell’amore saggio, finalizzato alle nozze, ha dovuto abbandonare.

Il movimento che il giovane dio imprime all’altalena è una spinta giocosa e positiva, che evoca un futuro di amore e di nozze, ma l’altalena non è stata sempre solo un gioco. La scena, piuttosto insolita sulla ceramica di produzione magnogreca, riprende infatti un modello iconografico attico dalla lunga storia, legato all’antica festa dell’Aiora: per ricordare un mito tragico, quello di Aletis, la “fanciulla errabonda” che si impicca per un grande dolore, le ragazze ateniesi celebravano ogni anno una festa che prevedeva, tra gli altri riti, anche il gioco dell’altalena, ad esorcizzare con la vivacità del moto il lugubre dondolio degli impiccati.

Tra le testimonianze iconografiche più antiche possiamo ricordare un’anfora del Pittore dell’Altalena, che proprio da questa raffigurazione prende il nome, attivo ad Atene all’epoca dei Pisistratidi, tra il 540 e il 520 a.C. Sull’anfora, ora a Boston (fig. 2), la scena è statica: una fanciulla siede in altalena circondata da uomini barbati e ammantati; l’uomo sulla destra, con corta clamide (mantello) gettata sulle spalle, solleva la mano destra, il palmo aperto, in un gesto di saluto o di incoraggiamento: la fanciulla, in effetti, stringendo con la mano sinistra una delle corde, sembra pronta ad iniziare lentamente il dondolio. I vestiti dei personaggi e la presenza stessa dei cittadini ateniesi connotano la solennità dell’evento e il clima di una festa che vuole esorcizzare la morte con la vita, nella spensierata vivacità di un gioco.

Nella seconda metà del V secolo a.C. si inserisce nel clima della festa anche Eros, il giovane dio che simboleggia la passione e il desiderio amoroso.

Nell’ambito di una festa che la ceramografia attica mostra chiaramente rivolta alla gioventù, la figura del dio adolescente non stupisce, dato che la potenza dell’eros ha come fine il matrimonio, fondamento della società e quindi della polis. Il dio spinge materialmente e idealmente i giovani verso il loro futuro, caricando di nuove valenze l’antico mito di Aletis.

Fig.2 Anfora attica a figure nere (Boston 98.918), attribuita al Pittore dell’Altalena (da E. Böhr, Der Schaukelmaler, Mainz 1982)

Per saperne di più: M. Castoldi, L’altalena: un gioco, un rito, una festa, in A. Ceresa Mori, C. Lambrugo, F. Slavazzi (a cura di),

L’infanzia e il gioco nel mondo antico. Materiali della Collezione Sambon di Milano, Milano 2012, pp. 37-43; V. Dasen, Balançoires, in V. Dasen (éd.), Ludique. Jouer dans l’Antiquité, catalogo della mostra (Lyon 2019), Gent 2019, pp. 60-61.

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Fig.1 Hydria di produzione campana a figure rosse (inv. n. St. 1340), attribuita al Pittore di Capua; 360-330 a.C. Milano (Soprintendenza ABAP), Collezione Archeologica “Giulio Sambon”. Fotografia di Valentino Albini 27

Sambon’s celebrities Chiara Bianchi La lunga storia di una pupa romana in osso nella Collezione di Giulio Sambon Alla Collezione Archeologica di Giulio Sambon appartiene una famosa bambola articolata romana in osso (fig. 1), rinvenuta probabilmente in un contesto funerario a Roma e già nota intorno alla metà del XIX secolo.

E’ stato infatti recentemente accertato che la pupa (nome latino per “bambola”) venne pubblicata per la prima volta da Louis Perret nell’opera Catacombes de

Rome: Architecture, peintures murales, lampes, vases, pierres précieuses gravées, instruments, objets divers, fragments de vases en verre doré, inscriptions, figures et symboles gravés sur pierre, Paris (1851‑1855), t. IV, pl. VIII. Il disegno a colori della bambola (fig. 2), che, secondo la didascalia, proveniva «du Cabinet de M. l’Abbé Greppo», è riprodotto al centro di altre due bambole romane in osso di tipo più schematizzato.

La bambola era all’epoca uno dei pochi esemplari noti di questa categoria di manufatti e un suo disegno al tratto venne poi inserito da Joseph Alexandre Martigny nel suo Dictionnaire des antiquités chrétiennes, Paris (1865), p. 347, alla voce “ Jouets d’enfant”.

Successivamente ulteriori disegni al tratto della stessa pupa, nei quali si notano leggere differenze, vennero riproposti in alcuni contributi sulla cultura ludica nell’antichità, in particolare da Louis Aimé Becq De Fouquières, in Les jeux des anciens: leur description,

leur origine, leurs rapports avec la religion, l’histoire, les arts et les mœurs, Paris (1869), p. 29, e da Georges Lafaye, in Charles Daremberg, Edmond Saglio (ed.), Dictionnaire des antiquités grecques et romaines , IV.1, Paris (1905), s.v. Pupa, p. 769 (fig. 3).

La bambola Sambon mostra una resa naturalistica accurata dell’anatomia femminile, anche se il corpo e la testa sono stati ricavati dalla parete di un osso tubolare, che può offrire, a differenza dell’avorio, solo uno spessore limitato. La figurina articolata rappresenta una giovane donna i cui principali dettagli anatomici sono chiaramente indicati: sul lato anteriore i seni e il ventre con l'ombelico e su quello posteriore le natiche e la linea della colonna vertebrale. Le gambe presentano l’articolazione anche alle ginocchia e sui piedi sono scolpiti bassi stivaletti che arrivano fino alle caviglie, del tipo noto nelle fonti letterarie come calcei o calceoli. Sulla testa l’acconciatura presenta le chiome suddivise da una scriminatura centrale che scendono fino al collo con bande di ciocche ondulate lasciando scoperte le orecchie; sul retro i capelli sono pettinati verticalmente nella parte superiore, mentre inferiormente le ciocche sono raccolte sopra la nuca in una bassa crocchia indicata con solchi disposti in senso orizzontale.

Fig. 3. Disegno osso della Collez bon. Da G. Lafa remberg, Edmond

tionnaire des anti romaines, IV.1, Pupa, p. 769, in b

Fig. 1. Bambola in osso (inv. n. St. 1782); h cm 17,5. Milano (Soprint Fotografia di Valentino Albini.

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Questa variante dell’acconciatura detta “ Nestfrisur”, con la bassa crocchia ovale sulla nuca, ma con le orecchie che rimanevano scoperte, è documentata sui ritratti monetali di donne appartenenti alla dinastia degli imperatori Severi, tra cui Fulvia Plautilla, Iulia Soemias, Iulia Mamaea, Iulia Paula, Iulia Aquilia, Annia Faustina e Sallustia Orbiana, oltre che sui ritratti in marmo ad esse attribuiti. Per questa bambola in osso della Collezione Sambon può essere quindi proposta una datazione nell’ambito dei primi tre decenni del III sec. d.C.

Per saperne di più: C. Bianchi, Le bambole in avorio e osso, in A. Ceresa Mori, C. Lambrugo, F. Slavazzi (a cura di), L’infanzia e il gioco nel mondo antico. Materiali della Collezione Sambon di Milano, Milano 2012, pp. 27-32; C. Bianchi, Poupées romaines, in V. Dasen (éd.), Ludique. Jouer dans l’Antiquité, catalogo della mostra (Lyon 2019), Gent 2019, pp. 46-47.

della bambola in zione di Giulio Samaye in Charles Dad Saglio (ed.), Dic-

iquités grecques et

Paris (1905), s.v. basso

tendenza ABAP), Collezione Archeologica “Giulio Sambon”.

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Baubò, nutrice e strega.

Federica Giacobello Un viaggio nell’immaginario dell’infanzia

Il personaggio, per il suo aspetto grottesco, potrebbe identificarsi con Baubò, la donna che, nel racconto del mito greco, fu capace di suscitare il riso a Demetra, affranta per il rapimento della figlia Kore-Persefone da parte di Ade, alzando la veste e mostrando i genitali. Le caratteristiche tecniche di questa e altre statuette raffiguranti lo stesso soggetto (se ne conserva infatti una analoga nella Collezione Lagioia, raccolta archeologica di proprietà della Regione Lombardia,

Tra i materiali della Collezione Sambon, una statuetta in terracotta attira l’attenzione per il suo aspetto: una corpulenta donna d’età avanzata con seni flaccidi, grosso ventre, accovacciata sulle gambe aperte è intenta a fare una boccaccia (figg. 1-4).

Figg. 1-3. Statuetta in terracotta di Baubò (inv. n. 1568); h 8,2 cm; IV-III secolo a.C. Milano (Soprintendenza ABAP), Collezione Archeologica “Giulio Sambon”. Fotografia di Valentino Albini 30

Per saperne di più: F. Giacobello, I racconti di Baubò, in A. Ceresa Mori, C. Lambrugo, F. Slavazzi (a cura di), L’infanzia e il gioco nel mondo antico. Materiali della Collezione Sambon di Milano, Milano 2012, pp.48-52; sul tema vedi anche C. Masseria, Una piccola storia di insolita devozione.

Baubò a Gela, in “Ostraka” XII (2003), pp. 177-195; M.C. Lentini, Baubò a Gela, in “BABesch” 80 (2005), pp. 213215; C. Pisano, Da spauracchio per i bambini a indictio silentii. I “mostri dell’infanzia” nell’antica Grecia, in I. Baglioni (a cura di), Monstra. Costruzione e percezione delle entità ibride e mostruose nel Mediterraneo antico , Roma 2013, pp. 69-78.

Figg. 4. Statuetta in terracotta di Baubò (inv. n. 1568); h 8,2 cm; IV-III secolo a.C. Milano (Soprintendenza ABAP), Collezione Archeologica “Giulio Sambon”. Fotografia di Valentino Albini

depositata al Museo Civico Archeologico di Milano (fig.

5) - ossia rifinitura in tutte le sue parti, poca stabilità conferita dai piedini piccoli e sproporzionati, il foro spesso presente nell’estremità superiore – inducono a pensare che fosse destinata ad essere sospesa probabilmente sopra la culla di un infante.

Baubò infatti venne ad incarnare nel repertorio immaginifico greco la balia (trophè) che si prendeva cura del bambino, proteggendolo.

Come le nostre moderne giostrine, allietava il fanciullo facendolo ridere e interrompendo il pianto, ma nello stesso tempo con il suo aspetto “poco attraente” e la smorfia allontanava gli incubi notturni abitati da esseri maligni e mostruosi indotti nell’immaginario infantile dagli adulti proprio attraverso le fiabe.

Con un’ambivalenza di grande interesse antropologico, anche Baubò apparteneva a questo mondo infraumano e favoloso, era in un certo senso una strega, esperta d’intrugli e pozioni.

Lo spaventare serviva da deterrente per il bambino nel compiere azioni che lo avrebbero messo in pericolo, aveva quindi una funzione educativa, lo stesso sistema che in tempi moderni si applicava con la minaccia del lupo cattivo.

Fig. 5. Statuetta in terracotta di Baubò (inv. n. A997.01.391); IV-III secolo a.C.; Collezione Lagioia. Milano, Civico Museo Archeologico (da F. Giacobello, La coroplastica e gli oscilla, in La Collezione Lagioia. Una raccolta storica dalla Magna Grecia al Museo Archeologico di Milano, a cura di G. Sena Chiesa, Milano 2004, p. 399) 31

Nel magico mondo delle marionette Claudia Lambrugo Nel Simposio di Senofonte (storico di Atene, vissuto tra V e IV secolo a.C.) compare un personaggio, detto il Siracusano, il quale presentatosi al banchetto del ricco Callia con la sua combriccola di artisti, ammette di campare felicemente grazie a coloro che, accorrendo ai suoi spettacoli di marionette, gli procurano da vivere (Simposio, IV, 55).

Marionette e pupazzi articolati non erano però destinati solo ad un utilizzo in spettacoli pubblici. In una delle sue lettere Orazio (I secolo a.C.) allude infatti a giochi domestici, precisamente a una battaglia navale (la battaglia di Azio!) inscenata tra amici, con un laghetto in campagna a fare da Mare Ionio e un finto esercito schierato su salvagenti (Lettere, XVIII, v. 60 ss.).

Fig. 2. Neurospaston (marionetta) raffigurante un armato (inv. n. St. 1573); h cm 14,1. Milano (Soprintendenza ABAP), Collezione Archeologica “Giulio Sambon”.

Fotografia di Valentino Albini

Fig. 1. Neurospaston (marionetta) raffigurante un nano in equilibrio sul dorso di un cane (inv. n. St. 1515); h cm 16,5.

Milano (Soprintendenza ABAP), Collezione Archeologica “Giulio Sambon”. Fotografia di Valentino Albini

Anche Ateneo (II secolo d.C.), nei Sofisti a banchetto (I, 19E), fa riferimento al mestiere del burattinaio e anzi cita un tale di nome Potino che si sarebbe aggiudicato niente meno che l’onore di esibirsi con i suoi burattini nel celebre teatro di Dioniso ad Atene.

Dalla sfumatura ironica del racconto di Ateneo traspare però uno scarso apprezzamento per questo genere di intrattenimento ludico; è probabile infatti che i burattinai facessero parte del variegato mondo degli intrattenitori da strada, insieme ad acrobati, saltimbanchi e buffoni di ogni genere, spesso chiamati ad allietare banchetti o mercati o feste di paese.

Non era dunque esattamente un passatempo adatto ad un re quello di manovrare pupazzi; eppure Diodoro Siculo (I secolo a.C.) racconta che Antioco IX Ciziceno (fine II secolo a.C.) sviluppò un’autentica passione per marionette alte anche oltre due metri e fabbricate in oro e in argento, che il sovrano si dilettava a muovere personalmente, dando prova di grande abilità (Biblioteca, 34, 1).

Greci e Romani avevano dunque pupazzi articolati, costruiti cioè con arti mobili, spesso interessati da un sistema di corde e fili per la movimentazione di braccia e/o gambe. I Greci chiamavano verosimilmente questo genere di marionette neurospasta, in riferimento alle corde, spesso ricavate da tendini e nervi di animali (neura), necessarie a metterle in moto. Dalle fonti letterarie apprendiamo anche che molti di questi fantocci erano fabbricati con stoffe e legno, di cui è rara la conservazione. Ci restano invece gli esemplari in terracotta, a volte dipinta con colori sgargianti, spesso costituiti da un corpo scampanato, che funge anche da abito, al quale sono collegati gli arti mobili; raffigurano, oltre che personaggi femminili, anche musici, acrobati, danzatori e guerrieri.

Un interessante gruppo di neurospasta si conserva nella Collezione Archeologica di Giulio Sambon, confluita all’inizio del Novecento nella Collezione del Teatro alla Scala di Milano (figg. 1-2). Vi figura tra gli altri un danzatore in abiti orientali (fig. 3), con casacca 32

rimandano ai movimenti dell’oklasma, una danza persiana di cui ci informa probabilmente già Aristofane (V secolo a.C.), quando nelle Thesmophoriazousai porta in scena una danzatrice di mestiere che balla «come pulce sopra pelliccia» (vv. 1170-1180); si trattava infatti di una danza dai movimenti incalzanti con continui piegamenti sulle gambe, effettuati anche tenendo le braccia sollevate e le mani giunte sopra il capo. Di tale danza abbiamo una bella immagine dipinta su un piccolo cratere a figure rosse, a sua volta confluito nella Collezione Sambon (fig. 4).

Curiosità: Neurospasta per gli dei?

Fig. 3. Neurospaston (marionetta) raffigurante un danzatore di oklasma (inv. n. St. 1575); h cm 19,3. Milano (Soprintendenza ABAP), Collezione Archeologica “Giulio Sambon”. Fotografia di Valentino Albini

a maniche lunghe, brachae (un tipo di pantalone aderente, indossato dalle popolazioni orientali) a fitte pieghe avvolte intorno alle gambe e berretto frigio (copricapo conico); la posizione delle braccia sollevate e unite sopra la testa e la mobilità delle gambe

La prima attestazione del termine neurospaston, da intendersi come pupazzo mosso da fili, compare in Erodoto (V secolo a.C.).

Lo storico racconta (Storie, II, 48) infatti di statue alte circa 44/45 cm, mosse da fili e dotate di falli mobili, che in Egitto venivano portate in processione da un villaggio all’altro in occasione della festa del Dioniso egiziano (Osiride).

Si è ipotizzato dunque che, prima ancora di assumere un significato ludico, marionette e pupazzi articolati potessero aver rivestito una funzione religiosa in cerimonie nell’ambito delle quali esse fungevano da “doppio” del dio.

Altri studiosi non hanno escluso una funzione apotropaica: in quanto dotati di una propria forza vitale perché capaci di movimento, i neurospasta avrebbero avuto il potere di difendere da demoni e spiriti maligni.

Per saperne di più: M. Fittà, Giochi e giocattoli nell’antichità, Milano 1997, pp. 83-86; C. Lambrugo, schede, in A. Ceresa Mori, C. Lambrugo, F. Slavazzi (a cura di), L’infanzia e il gioco nel mondo antico.

Materiali della Collezione Sambon di Milano, Milano 2012, pp. 69-71; C. Lambrugo, Neurospasta dalla Collezione Sambon di Milano , in C. Lambrugo, C. Torre (a cura di), Il gioco e i

giochi nel mondo antico tra cultura materiale e immateriale, Bari 2013, pp. 131-142; L. Todisco, Prodezze e prodigi nel mondo antico, Roma 2013; C. Lambrugo, Marionettes, in V. Dasen (éd.), Ludique. Jouer dans l’Antiquité, catalogo della mostra (Lyon 2019), Gent 2019, pp. 48-49; V. Dasen, Saltimbanques et circulation de jeux,

in Jouer dans l’Antiquité. Identité et multiculturalité, Games and Play in Antiquity: Identity and Multiculturality (“Archimède” Dossier thématique 6, 2019), pp. 127-143.

Fig. 4. Fig. 4. Cratere a calice apulo a figure rosse con danzatrici di oklasma (inv. n. St. 1330). Milano (Soprintendenza ABAP), Collezione Archeologica “Giulio Sambon”. Fotografia di Valentino Albini 33

A Terracotta String Puppet in New York Maya Muratov "Approfondimento: un confronto straordinario per le marionette della Collezione Sambon"

be plausibly explained by the need to affix the figure to a stage or backdrop of some kind, for example, it could have been suspended on the wooden rods. It is highly likely that the marionette was once dressed; this would enhance the realism of the figure appearing to stand by itself (leaving the feet free to dangle just above ground); also, a gown would accentuate the comic effect of a sudden move of an oversized phallos, thereby drawing attention to this highly comical feature, undoubtedly intentional. Such figure could be

Figures with articulated or movable body parts were common all over the Greek and Roman world. They existed in Greece from at least the late 10th century BCE and continued to be manufactured and used through Late Roman period over a vast territory from Spain to Mesopotamia, from the British Isles to Egypt.

Many were constructed of wood, cloth, bone, leather, metal, and combinations thereof, and thus rarely survive. Instead, their counterparts made of clay are archaeologically omnipresent.

Although terracotta figurines with articulated body parts displayed various types of construction, in most cases strings of some sort were involved.

Consequently, it is highly likely that in antiquity these figures were referred to as neurospasta, a term traditionally understood and translated as “marionettes.” Such interpretation could be misleading, as these figurines had a range of functions, and they were not necessary used for entertainment.

With numerous Greek and Roman textual sources that invoke the term neurospasta in the contexts associated with entertainment, there are no doubts that puppet shows of various scales did in fact take place in antiquity. However, no actual specimen of an ancient marionette has been definitively identified. The main conjecture, of course, being that ancient puppets must have been made of perishable materials, such as wood, cloth, leather (like the proper theater masks, for example).

Presented here is a large terracotta figure (fig. 1a-c), which has no known parallels thus far. It belongs to a remarkable group of eleven clay figures, whose origins and exact provenance remain unknown for now. In private collections by at least the 1970s, they most probably have been actual ancient marionettes(1).

Independent thermo-luminescence tests have been performed on several of those figures, including the one pictured here, all yielding a chronological window between the 2nd century BC and the 4th century AD. The figure is 54 cm tall and is composed of ten separate pieces including a body, a head with a movable lower jaw, two arms, two hands, two legs and an oversized phallos. All body parts were hand-formed by cutting away blocks of clay with a sharp blade. All parts (except for the forearms and lower part of the body) are solid, which makes the figure rather heavy. The strange construction of the shoulders – shaped as rings – could 34

139-160; C. Lambrugo, Marionettes , in V. Dasen (éd.), Ludique. Jouer dans l’Antiquité , catalogo della mostra (Lyon 2019), Gent 2019, pp. 48-49; M. Muratov, From “ Dolls” to Puppets: Mechanisms and

operated from above and behind the “stage.” Presence of a movable jaw is highly important, as this indicates that a dialogue between characters performances involved.

Purpose of Articulated Terracotta Figurines in Antiquity , in T. Bur, M. Gerolemou, I.A. Ruffell (eds.), Technological Animation in Classical Antiquity , Oxford, forthcoming in 2023

Bibliography: S. Milanezi, À l’ombre des acteurs: les amuseurs à l’époque classique, in Ch. Hugoniot, F. Hurlet, S. and Milanezi (éds.) Le statut de l’acteur dans l’Antiquité grecque et romaine , Tours 2004, pp. 183 -209; H. Denard, Lost Theatre and Performance Traditions in Greece and Italy , in M. McDonald and J.M. Walton (eds.) The Cambridge Companion to Greek and Roman Theatre , Cambridge 2007, pp.

(1) The figures remain unpublished. A monographic study of the entire group of terracotta puppets is currently being prepared by the author.

Fig. 1, a-c. Terracotta String Puppet, Private Collection, New York

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Indice degli Autori GLI AUTORI Claudia LAMBRUGO Università degli Studi di Milano Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali claudia.lambrugo@unimi.it Chiara TORRE Università degli Studi di Milano Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali chiara.torre@unimi.it

Fabrizio SLAVAZZI Università degli Studi di Milano Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali fabrizio.slavazzi@unimi.it Anna Maria FEDELI Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio (ABAP) per la città metropolitana di Milano Patrimonio archeologico annamaria.fedeli@beniculturali.it Lorenzo NAPODANO Università degli Studi di Catania Dipartimento di Scienze Umanistiche NPDLNZ90E28F205Q@studium.unict.it lorenzo.napodano@gmail.com Marina CASTOLDI Università degli Studi di Milano Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali marina.castoldi@unimi.it Chiara BIANCHI Université de Fribourg (CH)

Progetto “Poupées articulées grecques et romaines (Xe s. av. J.-C./ VIIe s. apr. J.-C.).

Approches archéologiques et anthropologiques” chiara.bianchi@unifr.ch chiarabianchi.archeo@gmail.com

Federica Giacobello Università degli Studi di Milano Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali federica.giacobello@unimi.it Maya MURATOV Adelphi University, New York Department of Art and Art History mmuratov@adelphi.edu

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Notootto - Una iniziativa del Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali Università degli Studi di Milano

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