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LE RIFORME NECESSARIE A RITROVARE L’EQUILIBRIO TRA STATO E REGIONI

Francesco Clementi Costituzionalista, docente di Diritto pubblico Comparato all’Università di Perugia

LE RIFORME NECESSARIE A RITROVARE L’EQUILIBRIO TRA STATO E REGIONI di Francesco Clementi

L’insieme delle Regioni italiane hanno avuto una vera centralità nell’ordinamento nazionale solo quando, esattamente cinquant’anni fa, si sono svolte le prime elezioni regionali: un percorso, non solo formale, che ha consentito lo sviluppo in concreto di quella autonomia politico-istituzionale dei territori che, appunto, la Costituzione aveva voluto fin da principio. Certo, esistevano già da prima le autonomie speciali, a partire da quella siciliana, come è noto; ma quell’autonomia ancora non era l’esperienza plastica e visibile di un modello repubblicano che faceva del pluralismo, anche istituzionale, la sua forza, contro il carattere invece autoritario, accentrato e centralista dello Stato fascista. In questo scontro, allora, tra il singolare del Fascismo e il plurale della Repubblica, le Regioni servono a sviluppare, innanzitutto, il principio pluralista; e, dunque, con esso, l’autonomia loro attribuita. Eppure, quell’antidoto pluralista ad ogni potenziale torsione monocratica del Paese non è riuscito fino in fondo a sviluppare quel tessuto connettivo unitario che il testo costituzionale, nei fatti, attribuiva alle Regioni. Infatti, la promozione dell’autonomia delle istituzioni, dei territori e degli enti di una comunità che doveva – e deve - rimanere comunque unita, ha visto notevoli stravolgimenti; fino a prender atto oggi, con l’esplosione dell’emergenza del coronavirus, di una vera e propria instabilità nel rapporto tra lo Stato e le Regioni. Per cui la stessa autonomia correnti tra lo Stato e le Regioni. Non a regionale, invece di essere moltiplicacaso, il “vero” testo del Titolo V della tore di unità, nel corso del tempo si è Costituzione riguardo alle competentrasformata in freno e di divisione: una ze è quello che ha disegnato, con la disfunzionalità aggravata a maggior sua giurisprudenza, la Corte costituragione in seguito alla riforma costituzionale nei successivi vent’anni di prozionale del 2001 del Titolo V della Conunce, come ben sanno gli operatori stituzione, che ha ulteriormente marche vivono ed operano nelle materie cato in modo cieco, brutale ed ipocrita delineate dalle quelle competenze. – in quanto nei fatti sostanzialmente Naturalmente, questo iato tra il teincapace di delineare chi è il responsasto costituzionale e il contesto politibile di cosa - le linee di confine di comco-normativo che gli fiorisce intorno è petenza tra lo Stato e le Regioni. un problema, che dovrà essere risolto. Così, quando l’eIn secondo luogo, pidemia si è traperché il coronasformata in una pandemia, il passo verso la babeIl nuovo equilibrio nel riparto delle competenze virus ha colpito in modo più intenso proprio quelle le nella gestione per materie tra Stato e Regioni del nord dell’emergenza è Regioni introdotto dalla (Lombardia, Vestato rapido; fariforma costituzionale neto, Piemonte, cendo emergere del 2001 ha mostrato Emilia-Romagna e in tutta evidenza tutti i suoi limiti, quando Liguria) che, più di proprio l’instal’epidemia si è trasformata recente, avevano bilità di quell’equilibrio - mai davvero consolidato - tra unità in una pandemia, il passo verso la babele nella gestione dell’emergenza è addirittura chiesto al Governo – come se non bastasse - una maggiore aued autonomia, stato rapido ed è emersa tonomia ai sensi cioè omogeneità tutta l’instabilità di dell’art. 116, comma e differenziazioquell’equilibrio 3, della Costituzione, tra Stato e ne. Una richiesta Regioni. che, se vista oggi, a Sono stati almedistanza di qualche no due i motivi di conflitto che, in parmese dalla dichiarazione di emergenticolare, il coronavirus ha esaltato. za del 31 gennaio contro l’epidemia Innanzitutto, la cattiva configurazione del coronavirus, non soltanto rischia in Costituzione delle competenze condi apparire non più spiegabile razional

mente ma neanche, per certi aspetti, più auspicabile. È chiaro, peraltro, che i molti errori recenti che vi sono stati non appartengono tutti alle Regioni (la gestione della pandemia della Regione Veneto o Emilia-Romagna d’altronde non è stata come quella della Lombardia o del Piemonte). Anzi. Pur dentro un gradualismo che ben si intende, il Governo ha adottato una strategia normativa lasca, troppo a maglie larghe che, se da un lato ha portato i Presidenti delle Regioni - dapprima del Nord, poi di tutto il Paese - ad adottare, non di rado da soli, spesso con “garibaldina” e creativa autonomia, normative più cogenti e restrittive, dall’altro ha costruito un sistema comunque accentrato, incapace di dare a quella volontà legittima di accentramento, tuttavia, un coordinamento efficace. Fatto è che, nonostante un certo grado di equi-ordinazione tra Regioni e Stato sia uno dei cardini che qualifica proprio il Titolo V, ne è uscito fuori sia un coordinamento volutamente debole da parte dello Stato verso le Regioni, sia un accentramento nazionale che non è riuscito ad impedire i molti problemi di una complessità dell’articolazione della dimensione territoriale del potere nel nostro ordinamento, che comunque esiste. Cosa ne è emerso, quindi? Ulteriori problemi di comprensione da parte di cittadini e imprese, smarriti e incerti sul loro agire quotidiano in ragione di disposizioni spesso contrastanti, financo tra Regioni o Comuni contigui. Allora, a maggior ragione ora che la pandemia sembra iniziare davvero a dare tregua al nostro Paese (e alla stessa Unione europea), va ripreso in mano il tema della riforma dei rapporti tra lo Stato e le Autonomie, provando a perseguire almeno tre linee di indirizzo. In primo luogo, servono riforme che, pur tenuto conto delle peculiarità territoriali che caratterizzano questo Paese, introducano nel testo costituzionale una “clausola di interesse nazionale”; ciò peraltro consentirebbe di porre il rapporto di competenza più in termini di funzioni e di obiettivi che, invece, di materie, superando così una visione per lo più anacronistica. E poi, pur senza passare a un’elezione formalmente diretta, serve risolvere l’asimmetria di posizione tra il Presidente del Consiglio e quella dei Presidenti di Regione, allineando il sistema elettorale e la forma di governo del livello centrale a quello regionale: non possiamo più permetterci, infatti, una debolezza così evidente dei rami alti dell’ordinamento, tali da far sì che un Presidente di Regione abbia il potere di revocare un assessore inefficace mentre il Presidente del Consiglio non abbia, del pari, il potere di revocare un Ministro inefficace. D’altronde, le regole servono proprio a questo: se c’è legittimazione, c’è responsabilità; se c’è debolezza, c’è confusione. Infine, proprio per rinsaldare il princi

pio di leale collaborazione, si devono rafforzare i presidi centrali di coordinamento inter-istituzionale, a partire dal sistema delle Conferenze o – meglio ancora sarebbe – per il tramite di un Senato dei territori: l’unico luogo capace di far emergere alla luce del sole la dialettica tra lo Stato e le Autonomie, dando reciprocamente quella forza politica e quella dignità costituzionale che la democrazia riconosce ai territori di un Paese attraverso le assemblee rappresentative nazionali. Anche in questa necessità di riforme costituzionali vi è, dunque, la dura lezione che la pandemia ci ha lasciato: speriamo la si sappia raccogliere. E risolvere.

Servono riforme che, pur tenendo conto delle peculiarità territoriali del nostro Paese, introducano nel testo costituzionale una “clausola di interesse nazionale”: ciò consentirebbe di porre il rapporto di competenza più in termini di funzioni e obiettivi che di materie

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