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L’Orchestra Sinfonica RAI | Cuneo Calcio femminile | L’asino | I musei saluzzesi | Famiglie al centro | La pittura di Quadrone
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5 ANNI DI [UNICO] DIAMO I NUMERI PER VOI
30 NUMERI [5 ANNI]
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Roberto Audisio direttore artistico
DI INCHIOSTRO
direttoreartistico@unicops.net
35 milioni di pagine PARI ALLA DISTANZA CUNEO-SINGAPORE 10.400 km
Q
40,6%
59,4%
DONNE
UOMINI
LETTORI
50% CUNEO & PROVINCIA
PERSONAGGI
ENOGASTRONOMIA
SPORT
MODA-STILE
ECONOMIA
TORINO E PROVINCIA
ARTE
INTERESSATI A
STORIA
uesti sono i numeri che raccontano 5 anni di [UNICO]. 30 numeri che, partendo sottotono, vi hanno tenuto compagnia presentadovi personaggi, storie, arte, moda e stile, sport ed enogastronomia del nostro territorio con uno stile unico e diverso. Siamo cresciuti insieme. Li abbiamo condensati in semplici immagini grafiche per renderli più comprensibili ed immediati. Ne siamo orgogliosi e di questo non possiamo che ringraziare voi, lettori fedeli e preziosi perchè, insieme agli inserzionisti che fin dal primo numero hanno creduto in [UNICO], ci date la possibilità di continuare a raccontarvi le bellezze di questo piccolo grande angolo d’Italia, in modo serio ed indipendente. Un ringraziamento che diventa anche augurio per le prossime festività di fine anno, per i quali vi portiamo a pag. 34, in una piccola stalla, dove oggi, come duemila anni fa, un animale semplice ed umile è capace di suscitare grandi emozioni. Cinque anni sono passati ma abbiamo ancora tante cose da raccontarvi... Buona lettura!
ATTUALITÀ
EDITORIALE
15% 15% 15% 5%
PRINCIPATO DI MONACO LIGURIA CÔTE D’AZUR
DOVE SI LEGGE
180.000 kg di carta PARI A 36 ELEFANTI
Rivista bimestrale dalle Alpi al Mare Anno VI • Numero 30 • Novembre - Dicembre 2014
Alessio Botto
Roberto Audisio
Direttore responsabile: Alessio Botto • info@unicops.net
info@unicops.net
direttoreartistico@unicops.net
DIRETTORE RESPONSABILE
DIRETTORE ARTISTICO
Direttore artistico: Roberto Audisio • direttoreartistico@unicops.net Redazione centrale: Giovanna Foco • redazione@unicops.net Editing: Vanina Carta • editing@unicops.net Concessionaria unica di pubblicità: BB Europa Edizioni • via degli artigiani, 17 - Cuneo info@unicops.net tel. +39 0171.603633 [UNICO] è una pubblicazione di BB Europa Edizioni Via degli Artigiani, 17 • 12100 Cuneo tel. +39.0171.60.36.33 Reg. Trib. di Cuneo n. 617 del 1 Agosto 2009 Stampa: TIPOLITOEUROPA • Cuneo info@tipolitoeuropa.com • www.tipolitoeuropa.com
Tutti i diritti riservati, è vietata la pubblicazione, anche parziale, senza l’autorizzazione dell’Editore © BB Europa Edizioni. Nell’eventualità che testi e illustrazioni di terze persone siano riprodotti in questa pubblicazione, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non citati. L’editore porrà inoltre rimedio, a seguito di segnalazione, ad eventuali non volute omissioni e/o errori nei relativi riferimenti.
CONTRIBUTORS Hanno scritto: Roberto Audisio Ilaria Blangetti Phil Boschero Vilma Brignone Vanina Carta Riccardo Celi Monica Coviello Nicola Ferrero Giovanna Foco Fabrizio Gardibali Marco Jorio Fabio Moretti Luca Morosi Camilla Nata Alessandro Parola Monia Re Monica Rolfo Giorgio Trichilo Traduzione in francese: Lidia Dutto
Credit fotografici: Alex Astegiano Oscar Bernelli Vilma Brignone Jesus Castellano Davide Dutto Fototolia Marco Jorio Daniele Molineris Lucia Mondini Luca Morosi Museo Ettore Fico Eloise Nania Play ADV Press office Cuneo Calcio Femminile Press office GFE Press office Ceretto Tofom / Foter / CC BY-NC-SA www.graceandfamily.tumblr.com www.informagiovanisaluzzo.it
Garanzia di riservatezza per gli abbonati. L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiedere gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: “BB Europa Edizioni” - Responsabile dati UNICO - Via degli Artigiani, 17 - 12100 Cuneo. Le informazioni custodite nell’archivio elettronico della “BB Europa Edizioni” saranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 675/96). Puoi trovare [UNICO] nelle migliori edicole della provincia di Cuneo e Liguria di Ponente, a Torino nella Libreria Internazionale Luxembourg, nei migliori locali della Liguria, del Principato di Monaco e della Côte d’Azur. Questo numero è stato chiuso in redazione il 3/11/2014. In copertina: “5 anni ed è già tempo di futuro”
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Si ringraziano tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo numero con il patrocinio di:
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Un Diamante è per sempre
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people
SOMMARIO RITRATTO 14 | una vita per l’eccellenza
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UNDER 40 18 | vita da orchestrale
SOCIETÀ E COSTUME
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22 | ruggenti motori di rango 26 | calcio: il cuneo si fa rosa 30 | il soffio del calore 36 | eletti e dannati in castiglia
30
STORIA E STORIE
style
42 | il cuore oltre l’ostacolo 46 | nasciamo mortali
ARTE
RUBRICHE
50 | quadrone, natura “venatoria”
1 | EDITORIALE 4 | SOMMARIO 8 | PRIMO PIANO 12 | PASSEPARTOUT 40 | INTERVISTA IMPOSSIBILE 68 | LIFE STYLE 72 | BON TON 74 | PERSONAL SHOPPER 75 | DA ROMA 76 | ARTE 78 | LEGGE 80 | MOTORI 82 | UNA MELA AL GIORNO 83 | MONEY, MONEY, MONEY 84 | ESSERCI 86 | TRADUCTION FRANCAISE
IN CASA DI
56
52 | visioni metropolitane in provincia
FASHION 56 | glam market
GUSTO 60 | sapori oltre le sbarre
EVENTI
60
36
64 | tempo di bilanci per la gfe
DESIGN & LIVING 66 | aria di festa in casa
panetteria • pasticceria • bar caffè
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UNICO 30 | NOVEMBRE – DICEMBRE 2014 | editoriale
ciao Claudia Il 22 settembre Claudia Ferraresi ci ha lasciato improvvisamente. Da qualche anno collaborava con Unico. Ci piace ricordarla così.
Un solo paesaggio ti ha cresciuta e ha nutrito in te l’amore per l’arte e la pittura. Quella unica collina, quel profilo all’orizzonte ti ha preso per mano, giorno dopo giorno, ti ha dato linfa, energia, ispirazione. E vigne, vino, cibo, la naturale prosecuzione della tua arte. Il mondo ti ha accolta, amata e, grazie a te, ha condiviso la passione per tutto ciò che nasce da quelle sinuose curve e lingue di Langa. Poi, i libri e la stampa, in una ricerca, costante e senza sosta, di ogni possibile espressione di quel pezzo di mondo e dei frutti della tua Terra. Moglie, madre, nonna, donna del vino, artista e scrittrice, sapevi concedere i giusti spazi a spiritualità e concretezza. Sapevi cogliere l’essenza delle cose e della vita per farne dono agli altri, perché sapevi accogliere. E in quel piccolo e sopito angolo di Langa, hai trasformato un’antica dimora appannata dal tempo, in un luogo inedito, cosmopolita, di cultura, di confronto e incontro. Instancabile profeta e ambasciatrice, hai solcato le vie del mondo per comunicare – con la parola, la tela, l’alta cucina, in un connubio perfetto che altri invano hanno tentato – svelando i segreti e le magie di quella Terra, che oggi ti dice “grazie”, ma non “addio”. È un “arrivederci”, perché rivivi nelle tracce, oggi tangibili più che mai, della tua grande, ineguagliabile opera.
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UNICO 30 | NOVEMBRE – DICEMBRE 2014 | primo piano
rimo iano
“I SOLDI NELLA TESTA”
Venerdì 14 novembre, alle ore 21, l’appuntamento è da non perdere: nell’Auditorium CRB, in via Principi di Piemonte, si parla di denaro. Si tratta di una serata di riflessione sul tema del rapporto con il denaro, che può essere sia fonte di gioia, di sofferenza e anche di distruzione. Il valore simbolico che l’individuo attribuisce al denaro. E come il rapporto è condizionato dalle proprie esperienze familiari e di come un rapporto non equilibrato con il denaro può portare a sofferenza e patologia psichica: depressione, ansia, ludopatie, comportamenti immorali che sono il frutto di una monomania dal denaro. Denaro che diventa elemento prioritario nel pensiero. Presentano la serata: Sergio Contegiacomo, financial coach; Bruno Ramondetti, psicoterapeuta. Modera la serata Valter Manzone. L’ingresso è libero.
MAURO GIRAUDO
“RE” DELL’ADAMELLO L’albo d’oro dell’ultra trail spalanca le porte a Mauro Giraudo: sul circuito dell’Adamello una vittoria “epica”. Emozioni uniche per la prima assoluta dell’Adamello Ultra Trail: 2 parchi naturali (Stelvio e Adamello), 175 km il percorso, 10.500 m di dislivello, 2.560 m la quota più alta, 31h 27’ 10” il tempo del vincitore e una sola grande vittoria, quella di Mauro Giraudo, classe 1979, residente a Valdieri. Grazie al supporto di Bottero Ski, dell’appassionato Elio Bottero e della grande passione per la montagna, a meno di 20 km dal traguardo, Mauro Giraudo rimonta con un distacco di un’ora su Alexander Rabensteiner, firmando così la prima edizione della competizione. Sul podio con lui, al secondo e terzo gradino, l’altoatesino Alexander Rabensteiner e il valtellinese Mauro Manenti.
50 CANDELINE PER MAINA Era il 1964 quando, a Torino, la famiglia Di Gennaro rilevava un laboratorio di pasticceria per trasformarlo, con la famiglia Brandani, nell’azienda leader nei dolci lievitati da ricorrenza nota con il nome di Maina. “I primi 50 anni di attività sono per noi un’importante traguardo – spiegano Vincenzo Brandani e Antonio Di Gennaro, due dei fondatori di Maina. – Sin dall’inizio abbiamo puntato sulla qualità specializzandoci sui prodotti da ricorrenza. Negli anni, non siamo mai scesi a compromessi mantenendo sempre altissimo il livello qualitativo, senza ricercare facili risparmi, a partire dalle materie prime. Su questo punto, siamo stati irremovibili, anzi abbiamo aumentato l’attenzione, perché la qualità è la chiave del successo per emergere sul mercato. Oggi siamo un’azienda altamente tecnologica e automatizzata, ma continuiamo a produrre rispettando con rigore tempi e ricette della tradizione”. Tre le iniziative ideate da Maina per la ricorrenza, due concorsi: uno rivolto ai consumatori di tutta Italia e l’altro indirizzato alla cittadina di Fossano. Con “Dalle nocciole al Gran Nocciolato, da 50 anni”, in ogni confezione di Gran Nocciolato da 1 kg in vendita fino a Natale, i consumatori trovano una cartolina con cui partecipare all’estrazione finale di uno dei 5 weekend in palio in un lussuoso resort e spa delle Langhe. Con “Maina fa scuola”, invece, l’azienda vuole coinvolgere i bambini delle scuole primarie di Fossano: tutti gli alunni delle classi 3°, 4° e 5° hanno la possibilità di partecipare al concorso didattico-creativo, realizzando una personale confezione di panettone. Le classi vincitrici, una per ciascuno dei due temi assegnati, si aggiudicheranno due premi in denaro del valore di 1.500 euro ciascuno da spendere nell’acquisto di materiale didattico. Sul mercato natalizio, inoltre, Maina è presente con Anniversary: un classico panettone milanese, in edizione limitata, che celebra il cinquantesimo compleanno.
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IL BELLO È IL BUONO
TORINO CAPITALE DEL CINEMA
Il paesaggio periurbano, urbano e agricolo è un bene fragile, ma capace di nutrire l’animo e il corpo dell’uomo. Il 20 novembre, presso l’Antico Palazzo Comunale a Saluzzo (ore 18,00), un grande paesaggista molto legato alla dimensione del giardino, Paolo Pejrone, dialoga con un attivista gastronomo che ha ridato dignità di considerazione all’orto, Carlo Petrini, con l’obbiettivo di scoprire le strade che uniscano coloro che amano il territorio italiano nel segno di una sua tutela attiva. L’incontro introduce il progetto “Saluzzo, città storica e di paesaggio”, con cui la città propone di riesaminare l’espressione, il significato, il valore stesso del “centro storico”, attraverso un confronto e un dibattito di respiro su scala nazionale, grazie a nuove esperienze di altre amministrazioni, istituzioni, progetti dedicati, affinché lo stesso centro storico di Saluzzo diventi oggetto di riflessione e di valorizzazione.
Dal 21 al 29 novembre, torna la magia del Torino Film Festival, giunto all’edizione numero 32. Torino ama il cinema: un amore vissuto con understatement subalpino, ma che trasuda passione. La kermesse, anche quest’anno, è la dichiarazione d’amore della città nei confronti del grande schermo. Quale menu ci riserva il TFF? Acquistate il biglietto, accomodatevi in poltrona e sarete serviti. Tra le chicche in programma, Magic in the moonlight, il nuovo film di Woody Allen in anteprima italiana. Sempre in anteprima, Wild di Jean Marc Wallée, una commedia dolceamara con una superlativa Reese Witherspoon nelle vesti della protagonista: il film chiude la rassegna. E ancora, cortometraggi, documentari, nuove cinematografie da tutto il mondo. Per finire, visto che siamo a Torino, non poteva mancare l’omaggio a Profondo rosso di Dario Argento, girato in città nel 1975. www.torinofilmfest.org
UNICO 30 | NOVEMBRE – DICEMBRE 2014 | primo piano
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SANREMO È MUSICA D’AUTORE
LE ALPI DEL MARE CANDIDATE UNESCO
Sono Caparezza, Loris Vescovo, Filippo Graziani, Raiz & Fausto Mesolella, Virginiana Miller i vincitori delle Targhe Tenco 2014 (suddivise in più categorie), uno dei riconoscimenti più autorevoli e prestigiosi all’interno del panorama musicale italiano. Il Premio, organizzato dal 1984 dal Club Tenco, viene assegnato da una giuria composta da oltre 200 giornalisti (di gran lunga la più vasta e rappresentativa in Italia in campo musicale). L’esibizione di tutti i vincitori è prevista per il 6 dicembre a Sanremo, al Teatro Ariston, in una serata-evento che vede il chitarrista e cantautore statunitense David Crosby come ospite d’onore. I biglietti sono in vendita sul sito www.clubtenco. it e alla cassa del Teatro Ariston, tutti i giorni dalle ore 16,00. www.premiotenco.it.
Nell’iniziativa sono coinvolti il Parco Naturale Alpi Marittime, il Parc National du Mercantour, con il Parco del Marguareis, il Parco delle Alpi Liguri e alcuni siti in provincia di Imperia e l’area protetta regionale dei giardini botanici Villa Hanbury. Il motivo della candidatura sta nella unicità geologica delle Marittime. In epoche remote, la catena alpina aveva quale “appendice” i rilievi della Corsica e della Sardegna. In seguito, l’interazione tra le placche continentali generò il distacco delle isole e la loro rotazione in posizione quasi perpendicolare rispetto alle Alpi. Nel tratto intermedio si formò un vero e proprio oceano, mentre tra il Colle della Maddalena e la costa si delineò una porzione di territorio ideale ad accogliere una straordinaria quantità di specie vegetali e animali, tra cui molti endemismi. È questo “paradiso terrestre”, che oggi chiede di diventare Patrimonio dell’Umanità.
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UNICO 30 | NOVEMBRE – DICEMBRE 2014 | passepartout
a cura di Monica Coviello - giornalista lifestyle
DA TORINO A GENOVA, IL MEGLIO DI CULTURA E FOLKLORE PER
chiudere in bellezza MY NAME IS LEONARDO Torino, fino al 15 gennaio La mostra Leonardo e i Tesori del Re è allestita nella Bibloteca Reale a Torino, fino al 15 gennaio. Le opere del genio vinciano, il noto Autoritratto, il Ritratto di fanciulla, il Codice sul volo degli uccelli, insieme a disegni di Raffaello, Carracci, Perugino, Van Dick e Rembrandt, codici miniati, carte nautiche e altre opere grafiche dalle collezioni della Biblioteca, sono presenti sia nel salone realizzato nel 1837 dall’architetto di corte Pelagio Palagi, sia nelle due aree del piano interrato. Si tratta della Sala Leonardo e del nuovo spazio espositivo che la mostra intende valorizzare. La mostra, gestita dalla Città di Torino e Turismo Torino e Provincia, è aperta dal lunedì alla domenica dalle 9,00 alle 18,00. L’ingresso è solo su prenotazione acquistabile con carta di credito su www.turismotorino.org.
SCRITTORINCITTÀ Cuneo, dal 12 al 16 novembre Scrittorincittà 2014 è all’insegna dei colori. Quelli che si vedono (delle immagini, della natura, dell’arte) e quelli nascosti, dei pensieri e delle idee. Il programma è ancora in divenire, ma sono già stati ingaggiati più di 100 autori, che presentano le loro ultime opere per dare il proprio contributo al tema. Il Centro Incontri della Provincia è il cuore dell’evento e ospita la maggior parte dei dibattiti, una libreria speciale e uno “spazio ragazzi”. Ma gli spazi di Scrittorincittà sono anche la Società Operaia, Casa Galimberti, il circolo ‘L Caprissi, Cinema Monviso, Palazzo Comunale, Teatro Civico Toselli, Teatro Officina e Sala San Giovanni.
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Savona, 21 dicembre Costumi d’epoca e stendardi dei borghi per un corteo che sfila lungo le strade del centro della città. Poi, in Piazza Sisto IV, si accende il grande ceppo di alloro: se le fiamme si alzano alte e diritte verso il cielo, il nuovo anno sarà ricco e fortunato. Ma, soprattutto, si paleserà il Vaso del Confuoco. Prodotto nelle fornaci di Albisola Superiore, rappresenta l’abbondanza e i prodotti della terra che, nel Medioevo, il popolo donava alle autorità cittadine. I vasi del Confuoco sono conservati nel palazzo civico: si tratta di vere e proprie opere d’arte, offerte simbolicamente al sindaco. Evento storico legato alla Repubblica Marinara di Genova, viene ancora oggi commemorato sia a Genova che a Savona, ma anche in altri comuni liguri anticamente sede di podesterie e capitaneati. Per chi vuole riscoprire una tradizione che risale ai saturnali di epoca romana, un rito augurale che ha ancora molto di autentico e medievale.
UNICO 30 | NOVEMBRE – DICEMBRE 2014 | passepartout
CONFUOCO
FRIDA KAHLO, LA MOSTRA Genova, fino all’8 febbraio 2015 Una femminista ante litteram, un’icona della cultura messicana. Ma soprattutto la protagonista di una storia d’amore tormentata, fra tradimenti e colpi di scena (ma anche di pistola): Frida Kahlo è l’artista che senza Diego Rivera, prima suo amante, poi marito, era incompleta, fragile. Nella vita come nell’arte. La mostra a Palazzo Ducale, a cura di Helga Prignitz-Poda, con la collaborazione di Cristina Kahlo (pronipote di Frida) e Juan Coronel Rivera (nipote di Diego), presenta oltre 120 opere e intende esplorare questo difficile rapporto affettivo entrato nell’immaginario collettivo. Tra le opere, i dipinti e gli autoritratti della pittrice su olio, masonite, alluminio, come Diego in my mind, Self-portrait wearing a velvet dress, Diego and I, o ancora il Self-portrait in a sun flore. In esposizione anche i lavori di Diego Rivera e il taccuino del viaggio in Italia, mai esposto prima.
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una vita per l’eccellenza
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LE LANGHE AL CENTRO DEL MONDO. DI QUESTO PRINCIPIO BRUNO CERETTO HA FATTO LA FILOSOFIA DI UNA VITA E IL MOTIVO DI UNA PASSIONE, LA RISTORAZIONE AI MASSIMI LIVELLI.
DI VANINA CARTA - PHOTO: OSCAR BERNELLI
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eretto-Alba. Due nomi per una sola realtà, le Langhe. Un connubio che nasce negli anni ’60, con le prime intuizioni di papà Riccardo, e che diverrà indissolubile con il genio dei figli Marcello e Bruno. Ed è proprio Bruno, insieme alla figlia Roberta, che incontriamo nella saletta de La Piola, nel centro di Alba, di fronte a tre portate che difficilmente si dimenticano e che fanno dimenticare penna e taccuino. Dopo Enrico Crippa – il “braccio”, che affronta ogni giorno l’ardua sfida dell’eccellenza assoluta e che si è raccontato ai lettori di UNICO lo scorso numero, ecco il suo pigmalione, la “mente”, l’architetto di un nuovo disegno di orgoglioso rilancio di Langhe e Roero. Come sempre accade con i grandi, ogni domanda programmata svanisce per lasciare il posto a una chiacchierata sui massimi sistemi e sui progetti in divenire, non priva di humor e qualche chicca da ricordare. Non a caso, infatti, Monsù Bruno non parla dei propri vini né dell’azienda storica, ma va oltre perché oggi il suo sguardo, come quello di Roberta e di chi lo affianca nelle sue molteplici attività, si concentra soprattutto su quel territorio che tanto ha dato alla famiglia Ceretto. Il sogno di oggi ha radici nel passato “Negli anni
’60, il gusto dominante nel vino era quello francese, per cui il Barolo, con la sua leggera tannicità, non era così gradito ed era difficile da vendere. Allora, forti di una cultura gastronomica costruita dalla sapienza femminile (all’epoca c’erano cuoche straordinarie come Maria del Boccondivino di Bra o Mary del Rododendro di Boves), ci portavamo dietro il tartufo e illustravamo la cucina tradizionale per dare valore aggiunto al vino e spuntare prezzi più alti. Così, già allora, la gastronomia era un grande veicolo di promozione. Poi, negli anni ’80, per tre anni di seguito, prendendo in affitto il Castello di Barolo, organizzai una cena per 100 persone, allestita da cinque grandi chef internazionali, il meglio sulla piazza, che dovevano utilizzare esclusivamente prodotti di Langa. L’iniziativa venne poi sospesa, ma come vede, non mi sono fermato”. La cucina è femmina “Nei decenni successivi, con lo sviluppo delle cantine e un certo successo di Alba come meta turistica, ci si è accorti che mancava un grande chef di riferimento, perché le cuoche di un tempo, e con loro la cucina tipicamente femminile delle Langhe, stavano morendo o i loro locali chiudendo... Mi sono sempre chie-
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UNICO 30 | NOVEMBRE – DICEMBRE 2014 | ritratto
A La Piola, nel cuore di Alba, la cucina dello staff di Crippa si arricchisce di pezzi d’arte, come i piatti del locale, decorati da artisti noti, quali Donald Baecheler, James Brown, Robert Indiana, Kiki Smith, Philip Taffee, Terry Winters, John Baldessarri, Lynn Davies e Thomas Noskowsky. Ph. Ceretto. È Roberta, figlia di Bruno, a seguire tutte le attività di famiglia connesse agli importanti investimenti nel campo dell’arte contemporanea. Nella pagina seguente: Una lavagna parlante. Alle spalle di Bruno Ceretto, su una delle pareti de La Piola, è sintetizzata l’essenza della cucina tradizionale che nasce dalla sapienza delle donne langarole, e che qui è portata ai massimi livelli.
sto come facesse un distretto come quello francese di Lione ad avere ristoranti stellati come il grande Chez Bocuse, senza poter contare su una varietà agroalimentare di alta qualità come la nostra. Con vini, carne, tartufo, nocciole, castagne, formaggi, la vera rivoluzione doveva partire da qui, dal cuore delle Langhe, Piazza Duomo, riproponendo proprio quella cucina delle donne, autentica e integra”. La tradizione nero su bianco. Anzi, bianco su nero “Abbiamo acquisito questo palazzo storico nel cuore di Alba proprio per realizzare quell’impresa: al piano terreno (di sopra c’è Piazza Duomo, il ristorante 3 stelle di Crippa – ndr) riportare alla gloria la cucina langarola delle donne, come cento anni fa. Qui, sulla grande lavagna alle mie spalle, sono presentati i nostri pilastri: dal vitello tonnato al bollito. L’essenza, al massimo della sua espressione. La Piola deve essere un presidio, un baluardo della difesa della nostra tradizione. L’impostazione e la cucina sono quelle di Crippa, ma con una maggiore fruibilità, perché si possa venire qui e poter dire di aver mangiato dallo chef tre stelle nei primi 40 della graduatoria mondiale, con una spesa più accessibile”.
Arte, mecenatismo, eredità “Per dare un importante valore aggiunto al locale, abbiamo coinvolto artisti noti, per esempio facendo loro decorare i piatti del locale (sono Donald Baecheler, James Brown, Robert Indiana, Kiki Smith, Philip Taffee, Terry Winters, John Baldessarri, Lynn Davies, Thomas Noskowsky – ndr) o commissionando, per esempio, l’installazione luminosa all’interno della sala. Questo, prima di tutto perché l’arte è un po’ la nostra “seconda pelle”, ma anche in considerazione di ciò che avviene in località francesi come Saint-Paul de Vence, che in realtà hanno molto meno da offrire in termini di ricchezza gastronomica. Perché alla Colombe d’Or, lì a Saint Paul, le tante opere – donate da molti artisti, oggi celeberrimi ma allora squattrinati, in cambio di ospitalità – oggi, insieme alla fama che le accompagna, riescono ad attrarre un flusso turistico enorme”... Aggiunge Roberta: “Ma l’arte, soprattutto quella contemporanea, è anche il nostro modo di ringraziare Alba e il territorio di averci dato tanto. Ogni anno, in concomitanza con la Fiera del Tartufo, la mostra promossa da Ceretto riesce a macinare grandi numeri (fino a 25.000 persone), perché è in genere dedicata a grandi nomi, conta sul coinvolgimento di tutta la città ed è la città stessa a chiedercelo. In questi giorni si conclude per esempio l’esposizione Der Rhein (“Il Reno”) di Anselm Kiefer. Sono appuntamenti che diventano ‘istituzionali’ anche se non si reggono su fondi pubblici e che, proprio per questo, possiamo realizzare in piena autonomia e senza vincoli”. L’UNESCO è lui “L’esempio di Saint Paul de Vence è calzante, perché parlano i dati: 150.000 visitatori l’anno per un solo borgo contro i 100.000 delle Langhe. Mi sembra chiaro che qui c’è ancora molto da fare e guai a pensare di essere ‘arrivati’. Questo grande riconoscimento che ci hanno dato certamente ha premiato la grandissima volontà dei vignaioli, ma non basta. Ci vuole di più, ci vuole un sistema che coniu-
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Investire a casa propria, puntare in alto (alle “stelle”) “Ceretto conduce 165 ettari di vigneto, ma ci siamo resi conto che non bastava, non nel senso che l’azienda dovesse incrementare i numeri, ma perché il futuro sta nella diversificazione. Di proposte di joint-venture ne ho avute molte, dall’Argentina al Sudafrica, ma ho sempre rifiutato. Uno perché si va a finire di impiegare una buona parte del tempo in aereo, due perché è qui che bisogna investire, in questa terra che ci ha dato tanto e che ha ancora molto da offrire. Questo percorso è partito nel 2000, quando abbiamo iniziato a condurre dei noccioleti e avviato il marchio Relanghe, per sfruttare i versanti collinari a nord, dando così modo di occupare l’agricoltura 9 mesi l’anno, anziché limitarsi a 4-5 con i vigneti. Ma, come dicevo, i progetti oggi vanno molto oltre e coinvolgono la ristorazione prima di tutto. Partendo dall’esperienza e dallo stesso staff di Crippa, il futuro sta nella creazione di locali, ristoranti, relais che siano al massimo. Il nostro sogno è quello di veder nascere, qui, nei prossimi anni, 3-4 locali 2 stelle Michelin, che provengano dalla scuola di Crippa. Perché la cucina di Crippa è una scuola. Con circa 40 persone che ci lavorano, è una fucina di giovani talenti che stanno crescendo. Nel frattempo, abbiamo già acquisito una casa nel centro di Barolo, dove è allo studio un locale in cui la cucina è al servizio e in funzione del vino (prima si ordinerà il vino e poi, in abbinamento, il piatto), che dovrà quindi diventare protagonista. Tra le vigne di Castellinaldo, invece, apriremo un’ampia struttura per famiglie, con vetrate in evidenza, aree esterne e vista su un specchio d’acqua dove poter pescare. Infine, la chicca, un meraviglioso relais in
uno dei posti più belli di Langa. E qui mi fermo perché non posso dire di più...” La Protezione Civile In tutto questo, però, viene da chiedersi: cosa permette di investire così tanto “a casa propria”? Roberta non ha dubbi: “Il Blangé (il celeberrimo Langhe Arneis Ceretto – ndr) aiuta tutti: è come la Protezione Civile. Oggi la produzione si attesta sulle 600.000 bottiglie, ma è ancora in crescita. Il prodotto è talmente forte sul mercato che ci consente di ‘avere i piedi al caldo’ e di investire nella ristorazione, come sul territorio. Se anni addietro il Barolo pagava il Blangé, ora è il Blangé che paga il Barolo e il resto. Ancora numeri per dare un’idea: la vinificazione del Langhe Arneis occupa 300 mq di cantina per 4 persone, ben poco rispetto alla superficie e al lavoro di cui necessitano le 30.000 bottiglie di Barolo e le 20.000 di Barbaresco”. Caso strano, ma non isolato in Langa: dietro i vini portabandiera del territorio (Barolo e Barbaresco) è un bianco, seppur blasonato, a dominare i mercati e a consentire lo sviluppo di altri settori emergenti tra le colline di Alba, come visto, per nulla secondari.
In Via Maestra (in basso). È a casa propria, ad Alba e nelle Langhe, che la famiglia Ceretto investe attraverso la diversificazione su più attività, in primo luogo, la ristorazione d’eccellenza.
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ghi ricettività e gastronomia entrambi di altissimo livello. Di nuovo, i numeri raccontano. Dei 9.000 coperti che registra Crippa quest’anno, ben l’83% è rappresentato da clienti stranieri e il 60% di questi non è mai stato ad Alba. Quindi, lanciando una provocazione: l’UNESCO è lui! Nel senso che il futuro sta in questa direzione”.
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vita da orchestrale
DI NICOLA FERRERO PHOTO: ELOISE NANIA
L’ORCHESTRA SINFONICA NAZIONALE DELLA RAI COMPIE 20 ANNI. UNA STORIA DI SUCCESSI COSTRUITI CON LA FATICA E L’IMPEGNO DI CHI LA COMPONE. TANTE VITE, UNA SOLA PASSIONE: LA MUSICA. PAGG. 86-87
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olti di noi conoscono l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai per i suoi concerti più famosi: quello memorabile per il Giubileo Sacerdotale di Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro a Roma, il Concerto di Solidarietà con la Città di Torino per il restauro della cappella del Guarini dopo il terribile incendio del 1997, quelli per la Festa della Repubblica e quello tenutosi in Piazza del Quirinale per il Capodanno del 2000. L’orchestra, negli ultimi anni, è stata anche grande protagonista di tre film-opera dal successo planetario: a giugno 2012, infatti, ha suonato per Cenerentola, trasmesso in diretta su Rai1 e in mondovisione da Torino, con la direzione di Gianluigi Gelmetti e la regia di Carlo Verdone. Nel 2010 ha preso parte al Rigoletto, sempre trasmesso in diretta da Rai1 e in mondovisione
da Mantova, con la direzione di Zubin Mehta e Marco Bellocchio alla regia, mentre nel 2000 ha partecipato alla realizzazione della Traviata à Paris, di nuovo con Zubin Mehta a dirigere, che si è aggiudicata il prestigioso Emmy Award come migliore spettacolo musicale dell’anno. Una storia di successi, tournée, stagioni e riconoscimenti che inizia nel 1994 e che quest’anno compie 20 anni. Sì, perché prima di quella data le orchestre sinfoniche della Rai sono 4: quelle di Torino, Milano, Roma e Napoli. Nel 1994 si decide di accorpare i 4 enti e si sceglie Torino, luogo in cui la prima orchestra Rai vide la luce nel 1931, come sede principale. In questi 20 anni si sono assecondati sul podio direttori di fama mondiale: da Claudio Abbado a Rostro-
Da Claudio Abbado a Rostropovic, da Zubin Mehta a Elihau Inbal, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai è stata diretta dai più grandi. Prima del 1994, si contavano quattro orchestre diverse, rispettivamente a Torino, Milano, Roma e Napoli. In seguito vennero accorpate e la scelta per la sede cadde su Torino, in quanto luogo natale della prima sinfonica nel 1931. Nella pagina a fianco, Alberto Occhiena (percussionista) e Martina Mazzon (violino).
Come si arriva a suonare in questa orchestra? Attraverso un concorso internazionale. Ovviamente ci si arriva con i propri titoli di studio, il conservatorio, i corsi di specializzazione. Si devono superare delle selezioni, prima di tutto in anonimato, per cui chi giudica non sa chi sta suonando, ma conosce solo il suo numero: la prova si svolge dietro una tenda, per non influenzare in alcun modo i giudici. Chi passa va a una seconda prova, senza anonimato questa
volta, in cui la commissione sa chi sei e durante l’esame (che è sempre pratico, non c’è nulla di teorico) può chiederti di ripetere dei passi orchestrali in determinati modi. E i posti sono molto ambiti… Per darvi un’idea, quest’anno sono arrivate circa 1.000 domande per una quindicina di posti disponibili. Il fatto che io, di Torino, sia riuscito a passare la selezione proprio qui è un caso decisamente raro. Ancora più raro che anche la tua compagna, e madre dei vostri due bambini, suoni in orchestra con te. È stato un caso oppure no? No, per nulla. Diciamo che è stata “obbligata” per amore, anche se fa un po’ ridere detta così. Lei si chiama Martina Mazzon, è di Venezia, suona il violino e aveva vinto il concorso per l’orchestra del Teatro La Fenice. Io, nel frattempo, avevo vinto qui a Torino. Il caso ha voluto che poco dopo si liberasse un posto da violino e che lei venisse contattata. Ci eravamo conosciuti quando eravamo entrambi “aggiunti” (esterni che vengono
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povic, da Zubin Mehta a Elihau Inbal. Oggi il direttore principale è il giovane e talentuoso slovacco Jurai Valcuha, il sovrintendente è Michele Dall’Ongaro e la direzione artistica è affidata a Cesare Mazzonis. La stagione 2014-15 si annuncia ricca di sorprese, tournée all’estero e concerti imperdibili. Per il programma completo, consigliamo di consultare il sito (www.orchestrasinfonica.rai.it.), mentre per capire un po’ meglio come funziona un’orchestra sinfonica e per toglierci qualche curiosità, abbiamo intervistato Alberto Occhiena, 33 anni, percussionista.
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chiamati secondo le esigenze) dell’orchestra: nel 2008 abbiamo vinto il concorso e da allora viviamo insieme. Com’è lavorare con la propria compagna in un ambito come quello di un’orchestra? L’orchestra è una comunità davvero variegata: al suo interno ci sono varie famiglie: gli archi, le percussioni, gli ottoni… Quindi, anche un po’ per sopravvivenza, cerchiamo di ricavarci degli spazi, per noi singolarmente, almeno al lavoro, altrimenti si starebbe insieme 24 ore su 24. Suoni in un’orchestra con più di 100 elementi: cosa significa provare, andare in tournée? Ovviamente, abbiamo bisogno di una bella organizzazione alle spalle. Quasi ogni settimana il programma è diverso: cambiamo direttore, solisti e brani. Ovviamente quando ci si sposta ci servono due autobus e quando giriamo l’Europa, spesso abbiamo un charter tutto per noi. E le prove come funzionano? In stagione si tengono in media due concerti a
settimana (giovedì e venerdì) e si inizia il lunedì a provare. Quindi, sono in media tre giorni di prove, con quella generale la mattina del primo concerto, che – a pensarci bene – sono abbastanza pochi. Le prove sono sempre finalizzate a un concerto e non sono previsti giorni di studio né “di affiatamento”, per così dire. Ciò che forse la gente non realizza è che il nostro è un lavoro che implica il “portarsi i compiti a casa”. Succede sovente che uno si prenda gli spartiti e che inizi a lavorare da solo, a casa propria. Qual è il rapporto tra musicisti e direttore d’orchestra? Per accostarci al mondo sportivo, il direttore è paragonabile all’allenatore di una squadra di calcio, che noi, perlopiù, cambiamo ogni settimana. Ti accorgi che la squadra (l’orchestra) cambia modo di “giocare” a seconda del direttore. Un discorso a parte è il direttore principale, con cui si passa più tempo: conosce i nostri pregi e i nostri difetti e ci lavora sopra. Si percepiscono, dunque, le differenze di ca-
La vita da orchestrale non è facile. Occorre essere pronti a continui spostamenti e a suonare con direttori diversi. “Il direttore è paragonabile all’allenatore di una squadra di calcio, che noi, perlopiù, cambiamo ogni settimana. Ti accorgi che la squadra (l’orchestra) cambia modo di ‘giocare’ a seconda del direttore”, ci svela Alberto Occhiena.
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Hai dei ricordi particolari legati a qualche concerto o avvenimento? Non saprei, in questi anni ho vissuto esperienze bellissime. Beh, un evento che mi ha emozionato davvero tanto è stato suonare Beethoven in Piazza San Carlo, l’anno scorso, davanti a 10.000 persone.
chieste arrivano a essere 200 o 300. Non aver paura di studiare all’estero e di tenere a mente che, per fare questo mestiere, bisogna essere pronti ai cambiamenti perché, se vinci un concorso a Roma o a Vienna, devi trasferirti. Bisogna dare il massimo in quel che si fa e nella musica non ci sono alternative: cercare i maestri, essere curiosi e non sentirsi mai arrivati. Se l’intenzione è questa, occorre dare il mille per mille.
Suonare in un’orchestra di 100 elementi è un impegno gravoso, che richiede uno studio costante anche quando si è lontani dal palco, ma regala anche forti emozioni, come lavorare con i grandi maestri o esibirsi in concerti all’aperto di fronte anche a 10.000 persone.
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rattere e di stile tra diversi direttori? Assolutamente sì! Per me cambia davvero tanto. Lo so che può essere difficile da capire, ma è così: per esempio, abbiamo suonato il Rigoletto a Mantova, quattro anni fa, con Zubin Mehta a dirigere e con cui non avevo mai lavorato. Devo dire che sono state due settimane splendide. E in quel caso il suo carisma ha fatto molto: l’orchestra è davvero cambiata.
Consiglieresti a un ragazzo, oggi, di intraprendere la strada della musica classica? La musica è una grande palestra di vita e credo sia giusto coltivarla aldilà di quello che potrebbe essere, in futuro, un lavoro. Anche nel nostro campo la crisi si fa sentire e per un posto di violino le ri-
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ruggenti motori di rango
TESTO E PHOTO: MARCO JORIO
A FONTVIEILLE, NEL PRINCIPATO DI MONACO, UNA COLLEZIONE SENZA TEMPO DI PEZZI UNICI RACCONTA MOMENTI DI VITA DELLA FAMIGLIA REALE E TESTIMONIA L’EREDITÀ DI S.A.S. IL PRINCIPE ALBERTO. PAGG. 86-87
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otremmo definirlo un piccolo “paese dei balocchi” per appassionati di motori se le auto esposte si potessero acquistare, ma per alcune sarebbe difficile anche solo ottenere una valutazione in termini economici. Per ora ci si ferma ad ammirarle, apprezzando lo stato di conservazione e il fascino che emanano. Sono le automobili della Exposition des Voitures Anciennes della Collezione di S.A.S. il Principe di Monaco, che si trova presso Les Terrasses de Fontvieille, nella parte del Principato meno battuta dai turisti e che, per questo, rischia di sfuggire al visitatore distratto. Un vero peccato, perché per chi ama i motori è una collezione davvero imperdibile, con le sue 108 auto di tutte le epoche, tra cui spiccano alcuni pezzi strepitosi, compresa una carrozza
appartenuta al nonno del Principe Alberto. Scopriamo questo gioiello, aperto tutti i giorni dell’anno dalle 10 alle 18 – tranne il giorno di Natale – insieme al direttore del museo, Philippe Renzini, che ci spiega che fino al 30 novembre le auto saranno affiancate da una mostra di moto d’epoca (dal 1902 al 1980). Pezzi unici, raccolti in tutta Europa da Andrè Mazzoni, responsabile dell’esposizione temporanea e presidente del club Motos et scooters de Roquebrune Cap-Martin. Con questi due ciceroni d’eccezione, riusciamo a scoprire qualche curiosità in più sui modelli esposti. La passione per le auto ha portato Sua Altezza Ranieri di Monaco ad arricchire la collezione a partire dalla fine degli anni ’50, per poi aprirla al pubblico nel 1990. L’80% dei veicoli
In una zona del Principato meno battuta dai turisti, Fontvieille, si cela questo gioiello del collezionismo, l’Exposition de Voitures Anciennes di S.A.S. il Principe di Monaco. Si tratta di ben 108 pezzi di tutte le epoche e tipologie, dove non mancano vetture di inizio secolo, roboanti auto anni ‘50 e veicoli appartenuti alla stessa Famiglia Reale.
sono stati utilizzati dalla Famiglia Reale come vetture ufficiali di Palazzo, alcune acquistate, altre regalate. All’inizio del percorso, troviamo anche la moderna Lexus LS 600 H, la vettura ibrida con tettuccio trasparente, che il Principe Alberto ha utilizzato per il suo matrimonio con Charlene Wittstock, oggi in dolce attesa.
Tutte le auto esposte – ad eccezione delle Formula Uno – sono funzionanti, compresa la prima auto acquistata per la collezione dal Principe Ranieri: una Dion Buton del 1903, che potrebbe ricordare una carrozza, se non fosse per la bella vista delle parti meccaniche, che la rendono un pezzo unico. “Negli anni, vari esemplari acquistati doppi
Una Dion Buton del 1903, la prima auto acquistata per la collezione dal Principe Ranieri. A sinistra un particolare dei pedali. Fiammanti rosse Ferrari di epoche diverse affiancano le più moderne Formula Uno, tra cui l’auto di Kimi Raikkonen e la recentissima Mc Laren di Lewis Hamilton, posta all’ingresso del percorso.
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Sua Altezza Ranieri di Monaco ha iniziato ad arricchire la propria collezione a partire dagli anni ‘50, fino ad aprirla al pubblico nel 1990.
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Fino al 30 novembre l’esposizione si arricchisce di 117 fantastiche moto d’epoca, tra cui pezzi straordinari, come una delle Harley Davidson di Steve Mc Queen (in alto a sinistra). La Famiglia Reale sulla Fiat 600 Ghia Jolly, con gli interni in vimini. Il modello, presente all’interno dell’esposizione, venne progettato per volontà di Gianni Agnelli, che, alla fine degli anni ‘50, desiderava disporre di un veicolo da poter caricare in barca a vela, la sua Agneta. Ph. www.graceandfamily.tumblr.com
o tripli, sono stati venduti, come alcune Citroën a trazione anteriore: il Principe Alberto ha acquisito dieci nuove automobili alla morte del padre per ampliare la collezione,” spiega Monsieur Renzini, il quale svela che “sono già iniziati i lavori e tra 3 o 4 anni l’esposizione si sposterà in una zona più centrale, vicino al Circuito del GP”. Enumerare i soli marchi presenti potrebbe bastare a far capire il valore storico del “parco”: Dion Buton, Napier, Delage, Cadillac, Lincoln, Rolls Royce, Jaguar, Mercedes, Chrysler, Ferrari, Lamborghini, Alfa Romeo fino a Citroën, Renault, Fiat, con pezzi unici e particolari, o divertenti come la Fiat 600 Jolly con interni in vimini.
Non mancano auto utilizzate in occasioni speciali, come la Bugatti Type 35 guidata da William Grover-Williams alla vittoria dell’inaugurale Grand Prix di Monaco del 1929, o la recentissima Citroën DS3 WRC, con cui Sebastian Loeb ha vinto il Monte Carlo Rally nel 2013. Tra le più rappresentative anche la Peugeot 205 Turbo 16, prodotta in soli 200 esemplari per dominare i rally negli anni ’80. Davvero suggestivi i bouchon de radiateur, le mascotte che si trovano poste sui cofani delle auto d’epoca (oggi vietate per motivi di sicurezza): dal celebre The Spirit of Ecstasy della Rolls Royce, al plastico giaguaro della omonima casa francese. Curiosa la collezione di piccoli vasi portafiori, che venivano posti per motivi decorativi sul cofano delle auto. Oltre alle fiammanti rosse di Maranello, immancabili le più moderne Formula Uno, tra cui l’auto di Kimi Raikkonen e la recentissima Mc Laren di Lewis Hamilton, che accoglie i visitatori all’ingresso. Non è possibile stimare il valore dell’intera collezione ed è difficile quotare i singoli pezzi: “Quello dal più alto valore affettivo per il Principe Alberto è sicuramente la Renault Florida appartenuta alla mamma: un modello del 1959 regalato dalla casa madre in due esemplari a Grace Kelly e Brigitte Bardot” spiega M. Renzini.
PASSIONE MOTO Fino al 30 novembre, per i fortunati di passaggio, affiancate alla auto si trovano 117 fantastiche moto d’epoca con pezzi unici, tra cui uno dei primi modelli appartenuto al nonno del Principe Alberto, una Harley Davidson di Steve Mc Queen, appassionato e collezionista, o la Brough Superior utilizzata da Lawrence d’Arabia, detta la Rolls Royce delle moto.
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La Sunbeam Alpine del 1954, utilizzata per le riprese di “Caccia al ladro” di Alfred Hitchcock, in cui la futura principessa corre spericolata per i tornanti del Principato con Cary Grant. Fu durante il suo soggiorno a Monaco per girare la pellicola che Grace Kelly conobbe il Principe Ranieri.
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Al momento, l’auto, nello stato originale, si trova in Olanda per un’esposizione temporanea. Non è l’unica su cui ha viaggiato la principessa Grace: in bella mostra c’è anche la Sunbeam Alpine del 1954, utilizzata per le riprese di Caccia al Ladro film di Alfred Hitchcock, in cui la futura principessa scorrazza per le vie del Principato con Cary Grant: fu in quell’occasione che conobbe il futuro marito Ranieri. Il salone espositivo vive anche di eventi speciali, organizzati dai più prestigiosi marchi automobilistici, come durante il periodo del Gran Premio di Monaco, e ha in cantiere altre mostre temporanee a tema, nei prossimi mesi. Una visita assolutamente da non perdere, a pochi chilometri dal confine tra Italia e Francia: la collezione non mancherà di colpire anche chi non è esperto di motori: basterà lasciarsi rapire dalla storia e dal design di alcune tra le autovetture più belle al mondo.
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calcio: il cuneo si fa rosa
DI ILARIA BLANGETTI PHOTO: CUNEO CALCIO FEMMINILE
UN RISULTATO SORPRENDENTE, FRUTTO DI IMPEGNO E ORGOGLIO FEMMINILE: LA PROMOZIONE IN SERIE A È UN’OCCASIONE UNICA PER IL CUNEO CALCIO FEMMINILE. LA SQUADRA È GRINTOSA E PUNTA IN ALTO.
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ngegnere, autista di autobus, impiegata, studentessa d’infermieristica o bancaria. In poche, anzi pochissime, hanno l’opportunità di trasformare la loro passione in un vero e proprio lavoro. Questo è solo uno spaccato del variegato mondo del Cuneo Calcio Femminile, ragazze che ogni giorno abbinano a un lavoro “normale” un’attività agonistica di alto livello. Una passione, ancora prima di un impegno, che ha permesso loro di realizzare un sogno chiamato “Serie A”. Era il 4 maggio scorso e le cuneesi, al termine di una stagione sempre in testa, hanno battuto nell’ultima di campionato il Luserna, altra pretendente al passaggio in serie A, in un match che difficilmente lo staff biancorosso dimenticherà. E così, quest’anno, il Cuneo Calcio Femminile si gioca il suo primo campionato nella massima se-
rie con l’obiettivo dichiarato di salvarsi e quello, non dichiarato, di arrivare anche un po’ più su. Perché le potenzialità questa squadra le ha tutte: volontà, impegno, sacrificio e un buon mix tra giocatrici esperte e giovani di talento. Poi, l’obiettivo forse più importante: quello di conquistare il pubblico e far conoscere alla città anche l’altro lato del calcio, quello in rosa, dove sicuramente “girano” meno soldi, ma dove l’agonismo e lo spettacolo sono sempre assicurati. Il presidente biancorosso è Eva Callipo, figlia di Nino Callipo, allenatore dell’Alta Italia negli anni ’70, ossia della prima squadra di calcio femminile a Cuneo, che annoverava, tra le giocatrici, anche Franca Giordano, ora assessore comunale. Insomma, buon sangue non mente. Eva
La formazione “in rosa” del Cuneo Calcio al completo. Il team è l’unica squadra piemontese a gareggiare nella massima serie: un importante successo per le giocatrici che il 4 maggio scorso hanno meritato la promozione vincendo contro il Luserna, e un grande motivo di orgoglio per il presidente, Eva Callipo. Nella pagina seguente: Simona Sodini, classe 1982, uno dei volti simbolo del calcio femminile italiano, dall’autunno indossa la maglietta biancorossa. “Credo che il calcio femminile sia migliorato rispetto a una decina di anni fa – afferma l’attaccante; – è cresciuto l’interesse, anche se non è ancora abbastanza: il calcio maschile dovrebbe avvicinarsi a noi, ‘accorpando’ la squadra femminile di competenza”.
Il campionato di serie A è sicuramente una prova difficile: 14 squadre, tra cui le quotatissime Torres, Brescia e Tavagnacco, per una stagione che si chiuderà il 9 maggio 2015. “Essendo una neopromossa, l’obiettivo è ovviamente la salvezza – commenta Eva Callipo – ma consideriamo la serie A un traino per l’intero movimento, perché abbiamo l’ambizione di
far diventare Cuneo un polo di riferimento per il calcio femminile. Inoltre, speriamo in una sempre più ampia collaborazione con le società maschili di calcio, affinché comprendano l’importanza di dirottare le ragazzine che amano il pallone verso una realtà totalmente dedicata a loro. Siamo partite – aggiunge il presidente biancorosso – con un settore giovanile composto da sette bambine e ora abbiamo oltre 30 giovani che fanno parte del gruppo delle Esordienti e della Primavera, senza contare la soddisfazione di vedere in prima squadra delle promesse provenienti dalla nostra Primavera, come Arianna Pittavino, Camilla Minopoli o Chiara Sordello. Proprio a tal proposito, il mister vuole integrare sempre di più le atlete di serie A con il nostro vivaio, in modo da creare un gruppo affiatato e stimolante, soprattutto per le più giovani”.
SERIE A - CAMPIONATO DI CALCIO FEMMINILE 2014/15 • Orobica • Agsm Verona • Brescia • Como 2000 • Cuneo • Firenze • Pordenone • Mozzanica • Pink sport time • Res Roma • Riviera di Romagna • San Zaccaria • Tavagnacco • Torres
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Callipo, presidente dal 2012, insieme all’intero staff societario, ha allestito durante l’estate una formazione competitiva: dopo l’addio dei tecnici Claudio Librandi e Roberto Minoliti, protagonisti lo scorso anno della storica promozione, in panchina ora siede il torinese Gian Luca Petruzzelli, giovane allenatore con un’esperienza alle spalle come collaboratore nella nazionale femminile del CT Antonio Cabrini.
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“La città si sta appassionando e in molti hanno iniziato a seguirci – conclude Callipo. – Per questo ci riteniamo fortunati, perché Cuneo è una piazza attenta al nostro movimento”. Tra i nuovi acquisti che sono arrivati a rinforzare la rosa cuneese durante l’estate, c’è anche uno dei volti simbolo del calcio femminile italiano: l’attaccante di origini sarde Simona Sodini, classe 1982. “Il Cuneo – commenta la giocatrice – si è conquistato una meritata promozione in serie A: lo so bene perché l’ho vissuta da vicino, ma come antagonista (giocava nel Luserna, ndr). Credo che il calcio femminile sia migliorato rispetto a una decina di anni fa; è cresciuto l’interesse e i media parlano di più dell’altra faccia del calcio, anche se non è ancora abbastanza: io credo che sia il calcio maschile a doversi avvicinare a noi, ‘accorpando’ la squadra femminile di competenza. Solo così, forse, arriverà la vera svolta per il movimento. Senza, sarà tutto più difficile”.
Simona vanta una lunga carriera in serie A e nella nazionale azzurra, prima di arrivare in Granda: “Vedo molto bene la piazza di Cuneo: è l’unica squadra piemontese in serie A – conclude. – Sono sempre stata del parere, però, che più di ogni altra cosa parleranno i risultati: quindi saremo noi a dover fare il possibile per avvicinare la città, i tifosi e gli sponsor. L’obiettivo è la salvezza e faremo di tutto per arrivarci”. La capitana è Monica Magnarini, classe 1984, protagonista insieme a buona parte del gruppo, della storica cavalcata in serie A. “C’è un grosso cambiamento rispetto all’anno scorso, che credo positivo e doveroso – ci spiega Monica. – Ci siamo già amalgamate bene, dobbiamo crescere insieme, soprattutto sotto l’aspetto tattico che tante di noi non avevano mai curato così bene com’è necessario fare per affrontare la serie A. Abbiamo voglia di giocare questa stagione nel migliore dei modi”. Teatro delle partite casalinghe delle cuneesi è lo stadio “Paschiero” di Cuneo. “Giocare allo stadio è diverso: vedi la gente e ne senti il calore – aggiunge. – È emozionante e ci rende sempre più orgogliose di indossare questa maglia”. Ecco la rosa del Cuneo femminile. Portieri: Asteggiano, Ozimo, Dutto. Difensori: Armitano, Zucconelli, Bertone, Pittavino, Belfanti, Rosso, Cobelli. Centrocampisti: Librandi, Giraudo, Magnarini, Fiorese, Tudisco, Errico, Franco, Greco. Attaccanti: Pesce, Papaleo, Sodini, Sordello, Minopoli, Cerato. L’avventura è iniziata: in bocca al lupo ragazze.
Francesca Papaleo, classe 1990, attaccante (in alto) e Noemi Asteggiano, portiere, in primo piano (in basso). “La serie A è un traino per l’intero movimento – afferma il presidente Eva Callipo – perché abbiamo l’ambizione di far diventare Cuneo un polo di riferimento per il calcio femminile... Inoltre, la città si sta appassionando e in molti hanno iniziato a seguirci”.
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il soffio
del calore di Giovanna Foco – Ph. Daniele Molineris Location: Azienda Teresa Audisio - Cherasco
Per Nietzsche la saggezza dell’asino è assimilabile alla rinuncia che può fare un re per tutto quello che è apparenza. Forse, quei grandi occhi e quelle grandi orecchie sono il simbolo dell’integrità morale dell’eremita, insensibile alle asprezze della vita, perché capace con la pazienza di superarle tutte. Valga un attimo di silenzio: il Natale, con il suo asinello, è già tra noi.
Eccola. Si scorge nitida sulla sua groppa. Quella croce che si staglia, quasi a voler decretare il destino che pure la preghiera, a lui dedicata, recita: “Signore, non hai tolto la croce dalle mie spalle, ma mi hai insegnato come portarla”. Lui, l’asino, instancabile compagno dell’uomo che non conosce il tradimento. Nel suo destino, la forza dell’umiltà lo ha tenuto lungi dai riflettori della popolarità. Eppure, proprio lui, era la presenza amica di Gesù, nato al caldo di una stalla abitata dal bue e l’asino.
E sempre un’asina è stata la cavalcatura di Giuseppe e Maria per portare in Egitto il “Figlio” e sottrarlo ad Erode. E, ancora, era stata con un’asina che Gesù entrò in Gerusalemme il giorno delle Palme.
L’asino è forte, frugale. Si accontenta. Non richiede.
Sa lavorare in pianura come in montagna. Ha trainato, nei secoli, carri, erpici ed aratri. Si è lasciato caricare a soma. A volte, sovraccaricare. Nel suo silenzio, ha continuato a camminare. Passo dopo passo. Andatura lenta eppure certa. Non tradisce.
Il suo temperamento è contraddittorio: a volte gentile, altre volte testardo. Per tutti, è l’emblema della stupidità. Magari, anche, della rinuncia passiva, delle privazioni. E , l’asino, umilmente se ne fa carico: sa che il riscatto avverrà per bocca dei consapevoli.
Quei grandi occhi, il simbolo dell’attenzione: “ti guardo e ti vedo”. Poi, le orecchie: “sono qui, in ascolto per te”.
la preghiera dell’asinello “Signore, credo d’averti già molestato troppo chiedendoti di liberarmi da questa stupida vita d’asino di un piccolo paese ai margini della Palestina. Quante volte mi è venuto il desiderio di diventare feroce o velenoso come tante altre bestie, giusto per obbligare gli uomini ad essere più accorti nei miei confronti, ma non te ne sei curato. Con testarda tenacia ho nutrito il desiderio di libertà, ma non mi è stato possibile fuggire da questo carico, sempre meno sopportabile; non mi è stato possibile fuggire dal peso che gli altri hanno caricato sulle mie spalle, senza chiedermi nulla, né consenso né permesso, incuranti delle mie ginocchia traballanti. Ti ho supplicato di allontanare almeno la verga del mio aguzzino, che batteva la mia schiena ad ogni tentativo di alzare la testa. Comunque grazie! Per quella notte di grazia. Doveva essere gravosa e buia come tutte le altre, invece ha cambiato il contenuto dei miei pensieri, il corso della mia vita. L’uomo e la donna che hai mandato nella mia stalla, non sono venuti né con la forza né con il bastone, non fremevano né minacciavano. Sono entrati piano, umilmente e modestamente. E allora nell’attimo più buio della notte, ho visto il Sole in persona. Quella luce e quel calore verso i quali ho anelato tutta la vita. A notte fonda, attorno al Bambino adagiato sulla greppia è risuonato un canto: “Astro del ciel, Pargol divin, mite Agnello Redentor!”. In un istante ho sentito di non valere meno degli angeli. Proprio quando mi sono inginocchiato davanti a questo Mistero, hai reso salde le mie ginocchia vacillanti, con la forza che lui emanava hai dato fermezza alle mie membra. Grazie Signore, perché mi hai liberato a modo tuo e non come io ti ho chiesto. Non mi hai dato una vita lunga, però me l’hai riempita di senso. Non hai maledetto le tenebre che mi avvolgevano, però mi hai mostrato la luce. Quando non ho potuto né saputo alzare la testa, tu ti sei chinato davanti a me per mostrarti. Non hai tolto la croce dalle mie spalle, mi hai insegnato come portarla. Sono diventato orgoglioso di me imparando che è virtuoso portare i pesi degli altri. Mi hai aperto la porta della conoscenza quando mi hai persuaso che il tuo giogo è dolce, il carico leggero. Ora lo sai perché ho accettato con gioia l’ulteriore peso, perché mi sono offerto per il viaggio in Egitto, nonostante gli sforzi e i pericoli. Grazie, perché hai scelto me e la mia misera specie per servire la Sacra Famiglia.
Ivan Bodrozic
eletti e dannati in castiglia
DI VILMA BRIGNONE PHOTO: PLAY ADV
DUE ALLESTIMENTI MUSEALI CONVIVONO NELLA CASTIGLIA DI SALUZZO: UNA DOPPIA ANIMA CHE AFFIANCA GLI ANTICHI FASTI DEL MARCHESATO DI SALUZZO ALLE RIFLESSIONI SULL’ISTITUZIONE CARCERARIA. PAGG. 86-87
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ei sotterranei, il Museo della Memoria Carceraria, il primo in Italia; al terzo piano quello della Civiltà Cavalleresca. “Uno shock culturale creativo” che ci trasporta dall’esperienza dei 4 secoli d’oro del periodo marchionale nella manica ottocentesca, ai due secoli di istituzione penitenziaria. Insieme, hanno l’obiettivo di inserire la Castiglia di Saluzzo nel panorama museale italiano e internazionale. “Ci sono insieme due aspetti dell’uomo – le parole del vescovo Monsignor Giuseppe Guerrini all’inaugurazione del 22 febbraio 2014, – l’uomo che soffre e che cerca di redimersi e l’altro, ricco di speranza e armonia. Fragilità e ricchezza umana: un contributo significativo per la consapevolezza di ciò che si è e ciò che abbiamo fatto”.
Un milione e 750.000 euro il costo delle realizzazioni: un milione da fondi europei, 750.000 euro dal comune di Saluzzo. Un’operazione voluta dall’ex amministrazione Paolo Allemano, realizzata dal gruppo di professionisti composto da Rinaldo Comba e Massimiliano Caldera, per il Museo della Civiltà Cavalleresca, Claudio Sarzotti, dell’Università di Torino, curatore del Museo della Memoria, e Ugo Mauro, responsabile del progetto architettonico, con Federica Maffioli, Enrico Baldacci, Andrea Ruggeri. IL MUSEO DELLA CIVILTÀ CAVALLERESCA “L’Europa e Saluzzo: la cultura saluzzese come fenomeno di importanza europea. Si comprende la storia di Saluzzo se la si legge con la storia europea – ha illustrato il curatore Comba, pre-
Dalla miseria umana agli antichi splendori dei Marchesi di Saluzzo. Nei sotterranei il Museo della Memoria Carceraria, che ricorda la conversione ottocentesca della Castiglia (il cui impianto originario risale alla fine XIII secolo), a penitenziario; al terzo piano un allestimento di grande impatto, dove si celebrano gli eventi salienti, i miti e i personaggi di una di civiltà che fu. Ph. www.informagiovanisaluzzo.it
sidente della Società per gli Studi Storici, Archeologici ed Artistici della Provincia di Cuneo. – L’operazione è stata portare qui i tratti salienti dell’identità culturale del Marchesato che va dal XII al XVI secolo. I legami matrimoniali, le carriere ecclesiastiche e militari, i riferimenti letterari, tra cui la novella di Griselda e Le chevalier errant, collocano i Saluzzo e alcuni membri del
loro gruppo dirigente, al centro di un sistema di relazioni che li collega al Papato, all’Impero, all’Inghilterra, al regno di Francia e a quello di Aragona, come agli Angioini, al Ducato di Milano, alla Sicilia e alla Sardegna, agli stati grandi e piccoli della penisola”. L’apparato narrativo si sviluppa ad anello in 11 sale per 800 m e conduce il visitatore in una
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Come in un impianto dantesco, dalla miseria umana alla bellezza, carcerati e cavalieri raccontano di una dinastia e del suo castello.
Undici sale per 800 m di percorso. La visita al Museo della Civiltà Cavalleresca è una “full immersion” multimediale nella storia dinastica dei Saluzzo, tra scenografie, affreschi “tattoo wall” (murales digitali), istallazioni, modelli lignei e calchi in gesso, che ricostruiscono, in chiave moderna, il glorioso passato del Marchesato.
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Ognuna delle sale è dedicata a un tema o a un gruppo di personaggi: dal mito di Griselda, agli uomini di chiesa e d’arme, dalle donne dei Saluzzo a Ludovico II e Margherita di Foix. “L’operazione – spiega Rinaldo Comba – è stata portare qui i tratti principali dell’identità culturale del Marchesato che va dal XII al XVI secolo. I legami matrimoniali, le carriere ecclesiastiche e militari, i riferimenti letterari, tra cui la novella di Griselda e ‘Le chevalier errant’, collocano i Saluzzo al centro di un sistema di relazioni”.
dimensione dinastica, tra scenografie composte da elementi di architettura medievale e rinascimentale piemontese, restituite anche da affreschi tattoo wall. Atmosfere del passato glorioso che si leggono in chiave moderna con monitor multimediali o in modo contrapposto, attraverso modelli lignei e calchi in gesso, che l’occhio può “toccare” dal vivo. In ognuna delle sale si concentra un tema legato alla società cavalleresca e cortese del Marchesato, e il primo passo coincide con la nascita dell’ideologia cavalleresca in rapporto alla “nascita del Principato”. Il visitatore entra, poi, nella sala dedicata a “Monache, ecclesiastici e uomini d’arme”, in cui emerge il legame fra i marchesi e il potere ecclesiastico, spiega nella relazione scientifica Massimiliano Caldera, della Soprintendenza per i Beni Artistici del Piemonte. Il motivo dell’ambiente successivo ruota attorno al “mito di Griselda, moglie di Gualtieri, nota in tutta Europa, celebrata da Boccaccio e Petrarca come modello di costanza e fedeltà coniugale” e rimanda al capitolo su Tommaso III, autore del
poema Le chevalier errant, di cui sono presentati due manoscritti virtuali. Si giunge, quindi, alle “Donne di Saluzzo fuori del mito”. “Sono Riccarda Visconti, Ricciarda di Saluzzo, moglie di Nicolò III d’Este, Bianca di Saluzzo, moglie di Vitaliano Borromeo, donne che hanno contato nelle vicende della dinastia e che introducono al tema dei rapporti politici e culturali con le altre corti: Milano, Ferrara, Casale – aggiunge Comba”. La settima tappa è al cospetto di “Santi ed eroi del Saluzzese” e mette in risalto la devozione ai santi guerrieri Costanzo e Chiaffredo, prima di condurre alle sale in cui domina Ludovico II, il principe, il condottiero, “il cui ruolo di uomo di stato è documentato dalle monete della zecca saluzzese, dai modelli delle collegiate ricostruite (Saluzzo, Revello, Carmagnola) e dal rinnovamento urbanistico della capitale. La reggenza di Margherita di Foix – spiega Caldera – si apre con un successo politico, l’istituzione della Diocesi, e con il prosieguo delle iniziative culturali del consorte”. Ma è un preludio alla “Fine di un sogno”, simbolicamente rappresentato, nell’ultimo ambiente del museo, dall’immagine di Carlo Emanuele I di Savoia, a cui passò il possesso de Marchesato con il Trattato di Lione (1601). LE MEMORIE DI GUARDIE E LADRI Stimola l’immaginario collettivo e si candida a essere il primo museo in Italia dedicato alla testimonianza del carcere moderno, il percorso multimediale che si snoda (500 m) nelle antiche celle di isolamento della Castiglia. “Il carcere di Saluzzo è importante, ha attraversato gran parte della storia del Regno di Sardegna e dello stato nazionale. Dalla sua inaugurazione nel 1828, ha accompagnato la fase risorgimentale, i primi decenni dell’unità nazionale, il Ventennio fascista, l’avvento della Repubblica, fino alla chiusura nel 1992, e a questi vari periodi storici hanno corrisposto diverse concezioni della pena e diverse scelte di politica criminale”. Così sintetizza il senso del nuovo allestimento
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deportazione del popolo valdese, di cui la Castiglia fu protagonista alla fine del XVII secolo, e un’altra importante sezione ai detenuti antifascisti. Arte e carcere nel cinema, letteratura e musica: dai disegni onirici di Piranesi a quelli fatti in carcere da Aligi Sassu a Fossano, nel periodo fascista, fino al celebre quadro di Van Gogh La ronda dei prigionieri in una riproduzione. Completano il quadro sul tema prigionia, una biblioteca multimediale sui racconti e sui personaggi, veri e virtuali (da Papillon al Conte di Montecristo, da Antonio Gramsci a Silvio Pellico) e una rassegna di manifesti cinematografici del genere prison movie. Infine, lungo gli angusti corridoi, dove l’occhio scorge spaccati di ambienti carcerari attraverso gli spioncini delle porte, celebri canzoni di Lucio Dalla o De Andrè sono messe in relazione agli oggetti ritrovati nelle celle della struttura quando fu smantellata come istituto di pena. Info orari e biglietti: www.saluzzoturistica.it Ufficio turistico IAT: tel. +39 0175 46710
Nelle antiche celle di isolamento della Castiglia, il percorso del Museo della Memoria Carceraria si snoda per 500 m e rappresenta una novità nel panorama museale italiano. Dalla sua inaugurazione nel 1828, la struttura penitenziaria ha vissuto la storia del Paese, testimoniando le diverse concezioni della detenzione e della pena nel tempo. Ph. (in alto): Vilma Brignone.
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Claudio Sarzotti dell’Università di Torino, curatore del museo, alla cui realizzazione hanno partecipato il Liceo Soleri-Bertoni di Saluzzo, accademici e operatori penitenziari, ex detenuti e saluzzesi intervistati sui ricordi di un carcere che si trovava nel centro storico e che “dialogava dalle inferiate” con passanti e turisti. “Abbiamo ricostruito la sua Storia attraverso le piccole storie dei protagonisti, utilizzando le memorie di guardie e ladri – afferma Sarzotti. Nel quadro della Storia entrano personaggi famosi, da Tocqueville a Bentham, da Lombroso a Pellico, da Giulia Faletti Colbert a Cavour. Ci sono guardiani e funzionari che si reincarnano in ologrammi parlanti (il penitenziarista Petitti e il suo amico saluzzese Giovanni Eandi, il primo direttore del carcere Giacomo Caorsi, il ‘Brubaker’ che arrivava da Genova, la ‘Giulia delle carcerate’, Giulia Colbert Falletti Marchesa di Barolo), pericolosi briganti (il terribile Delpero che viene rappresentato con un manichino parlante) e poveri emarginati finiti in carcere per piccoli reati”. Un capitolo è riservato alla
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l’intervista impossibile DI FABRIZIO GARDINALI
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a luce dorata di quel pomeriggio di primavera inoltrata entrava velata dalle vetrine, parzialmente oscurate da preziosi tendaggi, rendendo rosate le boiserie che rivestivano le pareti del locale e i ripiani dei tavolini. Aleggiava un profumo deciso e intenso di creme, cioccolato e liquori forti, che si mescolava all’essenza speziata della donna che, comodamente seduta, si scartava lentamente un dolce dall’involucro rosso, lucente e lieve, gustandoselo con voluttuosa golosità. Il suo profilo era riflesso nelle ampie specchiere al fondo della sala, che moltiplicavano spazio e immagini. Il tintinnio della porta che si aprì infranse il soffuso brusio dei clienti. Un uomo entrò con passo deciso. Era alto e atletico, leggermente dinoccolato, con una folta chioma di capelli argento e una corta barba del medesimo colore. La donna si voltò a guardare distraendosi per un attimo dal suo dolce. Una ciocca di capelli mogano ricadde sul suo viso con una voluta morbida come le cornici degli specchi barocchi. Col suo italiano dallo strascicato accento anglosassone d’oltreoceano, lo sconosciuto ordinò una “robusta” quantità di quel cioccolatino il cui aroma impregnava l’aria, cioè io: il Cuneese al rhum. Quell’uomo non era altri che Ernest Hemingway, il grande scrittore statunitense. Erano i primi giorni di maggio del 1954; lui era diretto in Costa Azzurra e, su consiglio dell’editore Arnoldo Mondadori, si fermò appositamente a Cuneo, da “Arione”, lo storico negozio che mi ha creato, dove venivo prodotto e venduto. Il Cuneese al rhum, in fin dei conti, è solo un dolce di cioccolato come altri, potrebbe insinuare qualcuno. Eh no, non è proprio così e mi potrei pure offendere, visto che sono orgoglioso della mia unicità. Sono fatto da due cialde di meringa con una crema al cioccolato fondente e rhum all’interno; il tutto a sua volta nuovamente rivestito da uno strato di cacao. Mi inventò Andrea Arione nel suo piccolo laboratorio nei pressi della Chiesa del Sacro Cuore a Cuneo, avvolgendomi in una carta co-
lorata rossa oppure verde, così, per dare un tocco di vivacità: era il 1923. Dato che fui un successo, pensò di “proteggermi” col brevetto per il marchio di impresa dalle innumerevoli imitazioni che sorsero in tutta la provincia Granda (ma non solo). C’è anche, come quasi sempre accade attorno a chi ha una certa fama, una leggenda che mi riguarda. Si dice che all’inizio del XX secolo, il maestro pasticciere Pietro Galletti aveva l’intenzione di preparare un dolce di cioccolata al liquore e così immaginò una crema con il rhum, ricoperta di cioccolato. Con il prodotto rimasto, il Galletti realizzò meringhette di cacao con la sua creazione “liquorosa” all’interno. I primi esiti non furono soddisfacenti, ma in seguito perfezionò la ricetta e si giunse a una sorta di mio antenato che piacque agli amici dell’artigiano, tanto che Cuneo lo volle come proprio prodotto di pasticceria tipico. Così sarei nato io, insieme al mio nome “Cuneese al rhum”. Ma, come detto, è solo una leggenda. In verità, da quell’ormai lontano 1923 la mia ricetta originale è in mano alla famiglia del mio “creatore” accertato, Andrea Arione, e gelosamente conservata. Successivamente, quest’ultimo aprì l’oggi noto locale (è annoverato fra i Locali Storici d’Italia) all’interno di Palazzo Cassin, progettato da Carlo Ponzo, all’angolo fra Piazza Galimberti, la principale della città, e Corso Nizza. Uno spazio particolare, caratterizzato da un ampio uso del legno, dalle dorature, e dai tavoli rivestiti in marmi, circondati da poltroncine rosse. Un ambiente che è in linea anche con me: il Cuneese è, infatti, un prodotto raffinato , per palati “sapienti” che apprezzano il bello anche a tavola. Non per nulla sono tra le eccellenze gastronomiche nazionali e me ne vado in giro per tutto il mondo a dimostrare come siamo bravi e geniali noi italiani, nonostante le istituzioni economiche e politiche, specie europee, facciano di tutto, senza riuscirci completamente, per dimostrare il contrario. E io sto qui a smentirli dolcemente.
momenti di “dolcezza”
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L’OBIETTIVO DI “FAMIGLIE AL CENTRO” È ATTIVARE UN CIRCOLO VIRTUOSO TRA IMPRESE E IL MONDO DELLA DISABILITÀ, PER SUPERARE UN’IDEA DI SOLIDARIETÀ AVULSA DAL SENSO DI RESPONSABILITÀ SOCIALE.
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are responsabilità sociale di impresa, oggi, a Cuneo: questo è il messaggio che inviano al territorio le prime imprese che hanno aderito alla campagna promossa dalla Fondazione I Bambini delle Fate per sostenere il progetto Famiglie al Centro, dedicato ai bambini disabili e alle loro famiglie e proposto dall’Associazione Fiori sulla Luna e dalla Cooperativa Sociale Momo, due onlus attive da anni nel capoluogo cuneese. La Fondazione I Bambini delle Fate nasce per volontà del presidente Franco Antonello, imprenditore e soprattutto padre di un ragazzo autistico. Lo scopo della fondazione è sostenere progetti di ricerca e sociali per dare aiuto a bambini e ragazzi affetti da autismo e da altre disabilità infantili. Il sostegno di ogni iniziativa viene garantito grazie a imprese operanti sul territorio di interesse, che
si impegnano con un vero e proprio contratto a versare per almeno 12 mesi una quota minima mensile. In cambio, le aziende aderenti godono di un’importante e costante visibilità, vedendo il proprio marchio collegato alle numerose pubblicazioni che la fondazione realizza su quotidiani nazionali e locali, per informare e rendere conto dei fondi raccolti. L’intento è di attivare un circolo virtuoso, in cui si sviluppino e consolidino legami tra il tessuto economico-produttivo e le attività sociali, dando concreta attuazione a quel principio di responsabilità sociale che è uno degli elementi più qualificanti del concetto moderno di impresa. Non si tratta di semplici donazioni, ma di un vero e proprio “prendersi cura” del proprio ambiente sociale. Con questo approccio, e grazie al contributo di oltre 400 aziende, la fondazione
Il progetto Famiglie al Centro è promosso dalla Fondazione I Bambini delle Fate, per sostenere bambini e ragazzi affetti da autismo e da altre inabilità infantili, insieme alle loro famiglie, spesso lasciate sole e prive di strumenti adeguati a fronteggiare quotidianamente la disabilità. A Cuneo, il progetto è sostenuto dall’Associazione Fiori sulla Luna e dalla Cooperativa Sociale Momo. Ph. Fotolia. Nella pagina seguente: La Fondazione I Bambini delle Fate nasce dalla volontà di Franco Antonello (qui con il figlio Andrea): insieme, lottano per la sensibilizzazione al tema dell’autismo e delle disabilità, portando di persona la loro testimonianza, come hanno fatto a Scrittorincittà, lo scorso 13 novembre. Ph. (dall’alto): I Bambini delle Fate; Fotolia.
sta attuando oltre 20 progetti in tutta Italia e i fondi raccolti ad oggi hanno superato l’importante cifra di 3.500.000,00 Euro. Il progetto Famiglie al centro, nello specifico, attiva una rete di servizi per supportare a 360 gradi la famiglia con un figlio disabile, tramite interventi mirati sul bambino o sul ragazzo, e strategie per il sostegno di genitori ed eventuali fratelli. L’intento delle due organizzazioni promotrici del progetto è dare continuità nel tempo a questi servizi: spesso, infatti, si tratta di percorsi che, per essere efficaci, devono iniziare a circa 2 anni di età e protrarsi per tutto il periodo della crescita, oltre a dover essere affiancati da attività educative, che rinforzino lo sviluppo e il mantenimento di abilità cognitive e relazionali altrimenti compromesse dalla disabilità. È dunque quanto mai essenziale che con i bambini operi personale specializzato (educatori professionali, psicologi, terapeuti), insieme a volontari, preziosi non solo per sollevare le famiglie, ma anche per diffondere una solida cultura di attenzione e di sensibilità. Il progetto, infatti, prevede anche una serie di momenti formativi rivolti a operatori e volontari, e di iniziative culturali per informare e sensibilizzare. L’Associazione Fiori sulla Luna, una delle promotrici del progetto Famiglie al Centro, è una onlus di volontariato nata nel 2006 dopo la scomparsa della piccola Silvia. Ha l’obiettivo di aiutare tanti bambini che, come Silvia, sono affetti da malattie neurologiche. Sostegno ai piccoli, ma anche alle famiglie, a partire dall’assistenza domiciliare of-
ferta da tanti volontari, tra i quali vi sono non solo molti genitori, ma anche personale del reparto di Neuropsichiatria Infantile di Cuneo (tra cui spiccano i primari Eleonora Briatore e Stefano Calzolari, e la fisioterapista TPNEE Elisa Beccaria). Oltre al sostegno psicologico ai genitori, molte sono le iniziative della onlus: incontri per i siblings (fratelli e sorelle sani del bimbo disabile) e percorsi riabilitativi di musicoterapia, ippoterapia e idrokinesiterapia. La Cooperativa Sociale Momo, nata nel 2002, collabora in rete con molteplici soggetti istituzionali e dell’associazionismo, progettando ed erogando servizi riconducibili a cinque aree di interesse: sostegno educativo e familiare,
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“Sporcatevi le mani... per una vita a colori” è il messaggio che Franco e Andrea Antonello lanciano raccontando la loro esperienza.
FAMIGLIA AL CENTRO: LE AZIENDE ADERENTI • PHPower srl • T.P.L snc • High Power Spa • Confcommercio (Studio Prima Srl) • Il Porticone • Botta & B srl • Alessandria sas • Idroterm spa • La Casalinda srl • Sprint-er snc • Acque minerali Lurisia srl • Ribero Termosanitari srl • Capello Srl
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Tra le attività che maggiormente determinano miglioramenti funzionali, sia psichici sia motori, in bambini e ragazzi disabili, vi è senza dubbio l’ippoterapia, insieme alla musicoterapia e altre tecniche, come quelle proposte dall’Associazione cuneese Fiori sulla Luna. Ph. Tofom / Foter / CC BY-NC-SA
sviluppo di comunità, animazione socio-culturale, integrazione della didattica, autismo. Rispetto a quest’ultimo ambito, dal 2008 la cooperativa ha messo in essere una serie di attività dedicate ai minori affetti da autismo, pensate e predisposte con interventi a livello individuale e seguite da personale esperto. Le due onlus hanno scelto di unire le proprie forze a quelle della Fondazione I Bambini delle Fate, lanciando all’imprenditoria cuneese la sfida di sostenere Famiglie al Centro: l’obiettivo è raggiungere entro dicembre l’adesione di almeno 20 aziende sponsor. Obiettivo che consentirebbe la sostenibilità del progetto e il suo mantenimento e che inizia ora a concretizzarsi con le prime tredici adesioni PHPower srl, T.P.L snc, High Power Spa, Confcommercio (Studio Prima Srl), Il Porticone, Botta & B srl, Alessandria sas, Idroterm spa, La Casalinda srl, Sprint-er snc, Acque minerali Lurisia srl, Ribero Termosanitari srl, Capello Srl.
SCUOLORANDO: EDUCAZIONE DOPOSCUOLA RESPONSABILE Il principio che sta alla base del progetto Scuolorando, a Spinetta (Cuneo), riguarda direttamente i membri di una comunità: ciascuno, secondo la propria differente professionalità e personalità, ha una responsabilità specifica nella creazione e nel mantenimento delle condizioni più favorevoli perché le inclinazioni individuali dei più piccoli possano esprimersi al meglio. Ogni talento coltivato dai nostri figli è un punto di forza per l’intera società, oltre a una grande gratificazione per quei bambini che un giorno saranno adulti. Per questa ragione, Scuolorando diventa la risposta alla sollecitazione da parte di un gruppo di genitori di alunni frequentanti la locale scuola primaria, i quali, allarmati dal futuro incerto del plesso, hanno individuato nell’attivazione di servizi di supporto ed estensione dell’offerta formativa una soluzione idonea a garantire la vitalità di un’istituzione che costituisce motivo di orgoglio (per qualità didattica e delle strutture) per tutti i residenti in zona.Scuolorando al suo terzo anno di attività di doposcuola, coinvolge ormai una settantina di alunni, con grande soddisfazione delle famiglie e risultati didattici ed umani gratificanti per tutti gli operatori. L’attività di doposcuola si tiene nei locali della scuola primaria di Spinetta grazie all’impegno di soggetti qualificati, ex insegnanti atleti e sportivi, artisti e musicisti che offrono il proprio contributo a fronte di rimborsi spese o corrispettivi “ridotti all’osso”, ma al tempo stesso con serietà e competenza.
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L’ACCETTAZIONE DI UN FATTO NATURALE NON SEMPRE È SCONTATO; A VOLTE INTERVENGONO FATTORI ESTERNI CRUENTI O EMOZIONI CHE TOLGONO RESPIRO E RAGIONE.
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n momento prima si è qui e un momento dopo si è là. In un luogo sconosciuto. Per alcuni atteso. Per altri temuto. È un fatto che l’afflato, ultimo, contrassegni un passaggio. In effetti, però, si tratta la morte come un fatto estraneo a sé: nell’immaginario collettivo, Thanatos è sempre stato oggettivato, come fosse un’entità esterna al vivente, qualcosa che arriva. “L’avvicinarsi della morte – sottolinea Bruno Ramondetti, psicologo psicoterapeuta – era un evento sociale, sacro, trasformativo, religiosamente vissuto, che obbligava a confrontarsi con l’inevitabilità della fine e del distacco, ma insieme consentiva la condivisione e la trasmissione di valori e credenze. C’erano i
messaggi da affidare al morente e l’attesa dei suoi insegnamenti, i famosi testamenti di vita, che costituivano il passaggio delle consegne alle generazioni successive. C’erano riti comunitari, che avevano un valore riconosciuto e alleggerivano il nucleo familiare: il viatico e l’estrema unzione, la vestizione, la veglia funebre, il pianto rituale, il corteo e il banchetto dopo il funerale, il lutto e il mezzo lutto nel vestirsi, le visite al cimitero, le messe di suffragio, il tempo stabilito dell’appartarsi e del reintegrarsi nella vita sociale. In tal modo, bambini e adulti familiarizzavano con questi eventi temuti, mentre la collettività e le famiglie, che in questi riti comunitari e religiosi si riconoscevano, si sentivano confermate dall’acquisizione di un “patrimonio
Ci si pietrifica, quando l’afflato finale non lascia tempo per spiegare o comprendere né spazio per concedere l’ultima occasione.
simbolico e relazionale” da trasferire a chi sarebbe venuto dopo e sostenute nel proseguire il cammino”. “Nella società attuale – continua lo psicologo – queste ritualità appaiono sempre meno praticabili, spesso sconosciute o dimenticate, talvolta perfino osteggiate e connotate negativamente, oppure svuotate di senso e comunque impossibilitate a svolgere quella funzione di sostegno e di orientamento etico mantenuta per secoli. La modalità del decesso, poi, è particolarmente rilevante: se è improvviso la persona non è preparata e risulta più difficile accettare la realtà della perdita, ma una malattia prolungata, pur portando a un lutto prematuro, può amplificare l’ambivalenza o innescare reazioni di sollievo con conseguente senso di colpa”. La morte raccontata ai bambini È errata la credenza popolare – evidenzia Ramondetti – secondo la quale i bambini molto piccoli non si accorgono della mancanza di mamma o papà. Il rischio, qualora si decidesse di tenere nascosta questa notizia, insieme al naturale senso di tristezza e di disperazione che il piccolo si troverà a respirare in casa, è che quest’ultimo si dia una spiegazione errata di ciò che è successo. Ricordiamoci che il bambino comprende più di quello che è in grado di articolare con il linguaggio. A volte, la famiglia decide di comunicargli privatamente la tragica notizia, mentre in alcune situazioni si sceglie il supporto di uno specialista che, con
la sua esperienza e professionalità, può aiutare i familiari a gestire al meglio questo momento. L’annuncio dell’accaduto deve avvenire in copresenza con l’altro genitore o con la figura di riferimento che si prende cura del piccolo. In entrambi i casi, comunque, è bene ricordare che sono tre i messaggi fondamentali da trasmettergli, in maniera sensibile ed empatica, ma decisa: il genitore non sarà mai più con il bambino. Questo concetto è molto difficile da far accettare a un adulto, ancora di più a un bambino: è opportuno, però, spiegarlo più volte, adeguando le parole all’età e allo sviluppo del piccolo. È importante anche il modo in cui ciò viene detto, in quanto il tono emotivo è un elemento fondamentale per la trasmissione di concetti così forti. Il genitore non voleva morire. Il bambino ha una visione onnipotente della madre e del padre, e tende a credere che qualsiasi cosa essi facciano sia legata a una loro scelta. Spiegargli che il genitore non ha scelto di morire equivale a fargli capire che non ha deciso volontariamente di abbandonarlo. Questo aspetto è molto importante e deve essere ribadito più volte, utilizzando frasi brevi e semplici. Ovviamente la situazione si complica quando si ha a che fare con un suicidio. Il genitore non tornerà mai più. Questo concetto è il più doloroso, in quanto si contrappone alle normali rassicurazioni che si danno ai bambini di fronte all’ansia di separazione: sottolineare l’irreversibilità della morte serve al piccolo per distinguerla dalla normale separazione.
Occorre creare uno spazio affettivo di riconoscimento, di consolazione reciproca e di condivisione per elaborare il dolore della separazione. Anche con i bambini.
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Per afferrare, occorre prima aver lasciato. Per riempire serve aver svuotato. E per rinascere occorre morire.
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Bruno Ramondetti, lo psicologo psicoterapeuta che ha spiegato a Unico quelle che sono le fasi di elaborazione del lutto.
Un altro aspetto fondamentale da tenere in considerazione, qualora il bambino viva profondi sensi di colpa, è quello di spiegargli che non ha nessuna responsabilità. A causa di una visione egocentrica del mondo, spesso i più piccoli credono di essere la causa degli eventi, pertanto, in tali casi tragici, vorrebbero aver tenuto un comportamento diverso, provando rimorso e sentendosi in colpa. Anche se questo è molto doloroso per loro, in realtà, alcuni studiosi hanno ipotizzato che sostenere la propria responsabilità permette di difendersi contro un’alternativa ancora più spaventosa: essere impotenti. È bene, dunque, laddove il bambino si sentisse responsabile dell’accaduto, spiegargli più volte che non ha nessuna colpa. La malattia e la morte Sarebbe importante, finché la persona a noi cara è in vita – puntualizza lo psicologo – accompagnarla, condividendo l’ultimo tratto
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di strada e trovando insieme il senso che dia valore, continuità e dignità alla sua esistenza affettiva, relazionale e spirituale. Occorre affrontare eventi critici e conflittuali, che esigono modalità nuove e diversificate di comunicazione, come di funzionamento su molti piani: non solo su quello pratico-organizzativo legato alla perdita della salute del congiunto e alla presa in carico dell’assistenza, ma anche su quelli relazionali, psicologici, cognitivi e spirituali. Inoltre, spesso, molte energie vengono impiegate nello sforzo di negare la verità al malato e talvolta anche ad alcuni familiari. Ma la “congiura del silenzio”, cui sovente aderisce collusivamente anche il malato, impedisce di creare uno spazio affettivo di riconoscimento, di consolazione reciproca e di condivisione per elaborare il dolore della separazione. In genere, infatti, i sentimenti personali vengono inibiti e taciuti, senza riconoscerne l’importanza, l’irrecuperabilità e le conseguenze future. Naturalmente i familiari devono compiere un percorso interiore, simile a quello del malato, per prepararsi e adattarsi alla perdita. Anche questo processo procede per tappe non rigidamente fissate: shock e negazione iniziale, reazione aggressiva e iperattiva, rielaborazione che porta, infine, alla resa e all’accettazione della realtà della morte della persona cara. Spesso le fasi psicologiche e i tempi che la famiglia attraversa non sono coincidenti, né contemporanei a quelli del malato. Accade che, talvolta, questi sia pronto ad andarsene, mentre il resto della famiglia, o qualcuno in particolare, non lo sia affatto e preghi il medico di tentare tutto il possibile, arrivando a rimproverare il morente di non volersi curare. Pochi studi e ricerche hanno indagato le implicazioni e gli intrecci familiari al sopraggiungere della fase terminale di una malattia Emergono modalità ricorrenti: si va dalla famiglia disgregata e disimpegnata che delega alle istituzioni l’assistenza del morente, a quella fortemente
Le fasi del lutto Il lutto – conclude Bruno Ramondetti – non inizia semplicemente dopo una perdita, per poi gradualmente estinguersi, ma passa attraverso quattro fasi che confluiscono l’una nell’altra, succedendosi. Ciascuna di queste tappe nell’elaborazione del lutto ha caratteristiche proprie, sia dal punto di vista dei vissuti della persona che la sperimenta, sia della “sintomatologia” che può essere osservata, ma ci sono differenze considerevoli da individuo a individuo, tanto nella durata che nella forma di ogni singola fase. La prima è quella dello “stordimento”: shock, cappa di angoscia, sospensione dei sentimenti accompagnati da un forte senso di irrealtà, come quel ricorrente “Non mi sembra vero”. Segue la fase della “ricerca”. Con il passare del tempo, la persona colpita dal lutto comincia progressivamente a credere alla sua realtà, ma questo non vuole affatto dire che l’accetti. Ci può, anzi, essere una vera e propria scissione tra consapevolezza razionale di quanto accaduto e tendenza, sul piano emotivo, a coltivare l’illusione che la morte sia reversibile, con quei: “mi sembra che debba rientrare da un momento all’altro”. La terza fase è quella della “disorganizzazione e disperazione”. La ricerca della persona perduta è destinata purtroppo ad avere esito negativo come ogni altro tentativo di recupero, di cui, del resto, si è consapevoli fin dall’inizio. Ma solo avendo sperimentato il fallimento reiterato dei propri tentativi, si può raggiungere la piena coscienza della perdita subita e della sua irreversibilità, fondamentale nel processo di elaborazione del lutto. La depressione, presente eppur in qualche misura evitata nei periodi precedenti, passa a questo punto in primo piano. Tuttavia, perché il lutto abbia un
decorso favorevole, sembra indispensabile che la persona provi il tormento emotivo che esso comporta. È necessario lasciar cadere i vecchi modi di pensare e i vecchi modelli di comportamento, ormai inadatti, per poterli sostituire con altri nuovi: il soggetto in lutto inizia a riprendere contatto con la vita, a fare progetti per il futuro, a reinvestire energie all’esterno. La propria esistenza viene ridefinita e la vita sociale riprende. Tenzin Gyatso, il Dalai Lama, a domanda sul dopo, ha scritto in La via della tranquillità: “Se sei consapevole della morte, essa non arriverà come una sorpresa, non ne sarai preoccupato. Percepirai che la morte è esattamente come cambiarsi d’abito e, di conseguenza, in quel momento riuscirai a mantenere la tranquillità mentale”. Per afferrare, occorre prima aver lasciato. Per riempire serve aver svuotato. E per rinascere occorre morire.
L’avvicinarsi della morte era un evento sociale, sacro, trasformativo, religiosamente vissuto, che obbligava a confrontarsi con l’inevitabilità della fine e del distacco, ma insieme consentiva la condivisione e la trasmissione di valori e credenze.
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invischiata e conflittuale, fino a quella funzionante e collaborativa, capace di accompagnare il morente sino alla fine e di sostenersi reciprocamente, condividendo sofferenza e fatica.
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quadrone, natura “venatoria”
DI FABRIZIO GARDINALI
NATO A MONDOVÌ NEL 1844, GIOVANNI BATTISTA QUADRONE FU PITTORE DI GRANDE FAMA INTORNO AL 1870 CON IL QUADRO “DI GENERE”, MA FU IL TEMA VENATORIO A DECRETARNE IL TALENTO DOPO IL 1880.
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a caccia è una delle più antiche attività dell’uomo. Oggi è praticata, almeno alle nostre latitudini, quasi esclusivamente per sport o passione, ma anticamente era una necessità per garantirsi il sostentamento. Così accadeva per le primitive popolazioni di cacciatori: raccoglitori che lasciarono le prime scene di caccia, primi esempi di pittura a soggetto venatorio, sulle pareti delle caverne dove trovavano rifugio. Nei secoli successivi, fu sempre praticata poiché in grado di coniugare all’utilità materiale l’aspetto simbolico di esercizio per la guerra e la difesa. In epoca greco-romana, importanti divinità, quali Artemide e Diana, ne erano le protettrici. A partire dal Medioevo, divenne sempre più un privilegio, il simbolo dell’appartenenza a una classe sociale elevata, la nobiltà, la quale sola aveva il di-
ritto di praticarla. Contadini e borghesi ne erano esclusi e il bracconaggio era severamente punito, talvolta persino con la morte. Dopo la rivoluzione francese, lo sport venatorio si diffuse nei ceti medi trasformandosi in un’attività comune e quasi popolare. Fu anche il soggetto, abbastanza frequentato, della pittura del secondo Ottocento italiano e non solo. Veniva trattata sia sotto l’aspetto della raffigurazione di un divertimento proprio della borghesia, al limite del raffinato; sia come imitazione di usi e costumi “di importazione”, anglosassoni in particolare. Si veda, per esempio, Caccia alla volpe nella campagna romana, del torinese Carlo Pittara, il quale, dopo il 1870, si stabilì a Roma, poi a Parigi, con una produzione di stampo più mondano e attenta alla vita dell’alta società.
Il critico Italo Cremona, nel 1949, parla del pittore monregalese in modo calzante: “Il vero Quadrone è proprio là, in quelle cucine abitate da mute di cani, con l’odore delle carte da giuoco troppo usate, dell’affettato, della barbera, tra gente che di quadri conosceva soltanto le oleografie con sopra le età dell’uomo o i diversi destini di chi faceva credito e chi no”. In apertura: “In confidenza” (1891) olio su tavola, 27,5x33x5 cm. Nella pagina seguente: “Prima della partenza per la caccia” (1897) olio su tavola, 37x31,5 cm. “Il cavaliere sardo” (1884) olio su tela, 33x23,5 cm.
Nato a Mondovì nel 1844 da famiglia benestante, fu allievo di Gamba e Ferri all’Accademia Albertina di Torino e produsse le prime opere abbracciando il genere “storico”. Nel 1865 si recò a Parigi dove incontrò Gérôme e ne fu molto influenzato, impegnandosi nel cosiddetto quadro “di genere”. In seguito, nella capitale francese, ebbe modo di conoscere De Nittis e Meissonier, dal quale trasse spunti importanti. Quadrone, all’epoca, anche senza l’appoggio di “padri nobili”, viveva una stagione di grande consenso presso il collezionismo. La Galleria Pisani di Firenze, nel 1875, gli stipulò un contratto biennale molto favorevole, riuscendo poi in una operazione di rivalutazione dei suoi quadri presso la Galleria Goupil di Parigi, che deteneva il controllo del mercato internazionale dell’arte. Grazie a quest’ultima, le sue tele raggiunsero va-
lutazioni tali che neppure il principe Demidoff, noto collezionista d’arte di grandi mezzi, riuscì ad avere una sua opera pur a fronte di un’offerta decisamente generosa. I grandi galleristi europei e d’oltreoceano se lo contendevano. Nel 1880 ebbe una “conversione di genere”, vuoi per le frequentazioni artistiche, vuoi per la sua grande passione per la caccia. Si dedicò da allora fino alla morte, avvenuta a Torino nel 1898, alla raffigurazione di scene di vita popolare, spesso incentrate sul tema venatorio. Interni di osterie, momenti di battute all’aperto, attimi colti durante il ritorno o la ricerca della selvaggina, scene, specie ambientate in Sardegna (che lui amava molto), estremamente forti e coinvolgenti. Sono precisissime nell’esecuzione, attente ai particolari più minuti, tanto che gli valsero il paragone con gli artisti fiamminghi, che peraltro conosceva.
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Fra i massimi esponenti della pittura dedicata alla caccia vi è il toscano Eugenio Cecconi, pittore vicino alla cerchia dei Macchiaioli, in particolare dell’Abbati. Fu amico di Diego Martelli, del quale frequentò la casa di Castiglioncello, vero punto di ritrovo – assieme al Caffè Michelangiolo di Firenze – dell’importante corrente artistica ottocentesca. I suoi temi prediletti furono il mondo popolare e contadino, insieme a quelli di caccia, molti ambientati a La Marsiliana, dei principi Corsini, in Maremma, dove era sovente ospite. In questo, pur nella distanza sia fisica (non si conobbero mai) sia culturale, è simile a un interessante pittore piemontese della medesima epoca, cuneese in specifico, che è stato oggetto nel corso della seconda metà XX secolo di una giusta e notevole rivalutazione: Giovanni Battista Quadrone.
QUADRONE IN MOSTRA Alla Fondazione Accorsi-Ometto di Torino, prosegue l’omaggio alla pittura italiana del XIX secolo con la mostra dedicata a Giovanni Battista Quadrone: Un “iperrealista” nella pittura piemontese dell’Ottocento, fino all’11 gennaio 2015.
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visioni metropolitane in provincia
DI ROBERTO AUDISIO PROGETTO: ALFIO GRIBAUDO PHOTO: DANIELE MOLINERIS
UN APPARTAMENTO COMPLETAMENTE TRASFORMATO ALLE PORTE DI BUSCA È DIVENTATO UN AMBIENTE CONFORTEVOLE E CONTEMPORANEO CON RICHIAMI ALLA NATURA IN CHIAVE POP.
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na coppia di giovani viaggiatori, alcuni oggetti acquistati in giro per il mondo, una serie di disegni africani su tessuto, la voglia di un ambiente moderno, elegante e raffinato senza trascurare praticità e accoglienza: sono questi gli spunti da cui è nato il progetto di ristrutturazione di un appartamento degli anni ’70 alle porte di Busca, piccola cittadina ai piedi delle colline pedemontane, a pochi chilometri da Cuneo. Una ristrutturazione radicale, durata oltre due anni, vissuta in stretto rapporto tra progettista e proprietari, e iniziata dalle pareti esterne. A queste, infatti, è stato applicato un isolamento a cappotto per adeguarle agli standard richiesti dalle normative attuali, e consentire un ottimo comfort ambientale con un notevole risparmio sui consumi. Internamente, poi, l’abbattimento
totale di tutti i tramezzi ha permesso la massima libertà nella nuova distribuzione degli spazi, più razionale e adeguato alle esigenze della coppia. Partendo da questi presupposti, il progettista di interni Alfio Gribaudo ha impostato una casa accogliente, con uno stile metropolitano e atmosfere tutt’altro che provinciali, dal grande impatto scenico che non tralascia la funzionalità. Entrando nel living open-space si viene quasi abbagliati dalla luce proveniente dalle vetrate, che danno più l’impressione di entrare in una grande villa che non in un appartamento di città. Un ambiente ampio e arioso, dilatato ulteriormente dal candore delle pareti e dai sapienti giochi di luce nascosti nei controsoffitti. Il grigio ghiaccio è il colore dominante e il filo conduttore per tutto l’intervento, che in ogni ambiente si sposa con
Il soggiorno, inserito nell’ampia area living open-space, è caratterizzato dalla boiserie in pannelli laccati color senape su cui spiccano le due stampe a tema naturalistico. Il divano in pelle bianca e il puff centrale contribuiscono a rendere la zona relax confortevole e accogliente. Il disegno delle gabbiette sulla porta del corridoio è una provocazione disegnata direttamente dal progettista Alfio Gribaudo.
elementi naturali, frutto della ricerca del progettista: acqua, pietra, fuoco. Veniamo quindi accolti da un camino, presenza viva e importante, inserito come elemento di design in una parete decorata con motivi liberty rivisitati con gusto contemporaneo. Questo, insieme a un grande tavolo da pranzo con sedie rivestite in tessuto coordinato ai decori floreali
del camino, è il protagonista del locale che lascia intravedere, in secondo piano, lo spazio cucina, super attrezzato con elementi d’arredo dalle linee minimal e piccoli accenni di color senape. Il richiamo allo stile liberty, qui, è sottolineato dall’unico lampadario a sospensione di tutta la casa, collocato in corrispondenza del tavolo da pranzo di servizio.
L’ampia zona living open-space comprende la sala da pranzo con camino e la grande cucina. Qui la luce naturale delle vetrate si combina ai sapienti giochi di luce artificiale nascosti nel controsoffitto. Appesa al soffitto si nota l’installazione luminosa “Le lacrime del pescatore” di Ingo Maurer in rete e crtistalli.
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Il progetto ha trasformato lo spazio interno, andando oltre l’idea stereotipata di creare un luogo solo per abitare.
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UNICO 30 | NOVEMBRE – DICEMBRE 2014 | in casa di Lo spazio riservato alla cucina è stato suddiviso in aree funzionali: zona di preparazione, banco snack, dispensa e tavolo da pranzo di servizio. Il grigio ghiaccio domina ovunque, con piccoli accenti color senape.
L’installazione luminosa “Le lacrime del pescatore” è una vera esperienza sensoriale: tre differenti reti a cui sono appesi 385 cristalli che, simulando gocce d’acqua, creano effetti di luce iridescenti sempre diversi.
L’effetto prospettico “a cannocchiale” del corridoio della zona notte è accentuato dalla forte presenza della porta di fondo, laccata in un colore verde brillante a contrasto on il grigio ghiaccio delle pareti laterali, pensata proprio come come punto focale del percorso che è anche una piccola galleria di dipinti africani.
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Ma l’elemento che più attrae è sicuramente l’installazione a soffitto “Le lacrime del pescatore”, dell’artista Ingo Maurer: una vera esperienza visiva in sé a metà fra il corpo illuminante e l’opera d’arte contemporanea. Tre reti, a cui sono appese 385 gocce di cristallo, evocano l’acqua, secondo elemento naturale di questo ambiente, creando un’atmosfera onirica e spettacolare. Ma basta voltare lo sguardo e si è attirati dalla parete color senape del soggiorno, altra area della zona living. Su di essa spiccano due stampe su tessuto che rappresentano dei coralli. A legare ulteriormente tutti gli spazi è il pavimento in gres porcellanato a grande formato, che richiama la pietra grigia levigata, con un tono neutro che non si impone sull’architettura circostante. Il rapporto di forma del fabbricato in cui si trova l’alloggio e la posizione decentrata dell’ingresso hanno imposto di mettere in comunicazione gli altri locali della casa tramite un corridoio di collegamento che parte proprio dal soggiorno, una sorta di elemento di spina centrale fortemente riconoscibile, con un effetto prospettico accentuato dalla porta di fondo, laccata in un colore verde brillante a contrasto con il bianco assoluto delle pareti laterali, nelle quali si inserisce come punto focale. Cogliendo le ambizioni e i desideri dei proprietari, il percorso si trasforma in una piccola galleria d’arte in cui sono esposti i dipinti acquistati durante i loro viaggi nel mondo. In camera da letto il tema della natura vista in chiave pop, è rappresentato dall’albero richiamato nel disegno a rilievo della porta laccata verde. Qui il pavimento cambia, diventando un parquet in plance di noce dall’aspetto rustico-elegante, a contrasto con la laccatura della boiserie a pannelli della testata del letto come nella consolle in stile o nelle ante della cabina armadio aperta sulla camera. Per finire, il bagno, dove la natura è richiamata dal rivestimento in pietra grigia a spacco della parete su cui è installata la vasca da bagno, una texture materica che con la sua irregolarità suggerisce trame d’altri tempi.
Nella camera da letto il pavimento in plance di noce contrasta con il bianco delle pareti, imponendosi come elemento naturale che, insieme alla porta con decorazione a pantografo laccata verde, richiama la natura in versione pop. Nel bagno il rivestimento della parete della vasca con pietra a scaglie si pone in contrasto con il colore scuro del pavimento e le superfici lisce delle pareti adiacenti. Il grande box doccia con piatto in ciottoli di fiume completa l’ambiente.
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market l’alta moda cuneese si fonde con le architetture liberty del mercato cittadino svelando nuove atmosfere glamour
A cura di Phil Boschero Photo: Jesus Castellano Assistant: Paolo Allasia Art director: Roberto Audisio
ELENA abito: long dress by Collezioni Marcos Atelier 2015. scarpe: décolleté nera di Prada. pelliccia: giacca silver fox fur (volpe argentata) a lavorazione orizzontale by Paola Atelier. gioielli: demi-parure in oro bianco e diamanti fancy color; composizione di anelli in oro bianco e diamanti; collezione Casciola Gioielli.
Da sinistra in senso orario: pelliccia: giacca silver fox fur (volpe argentata) a lavorazione orizzontale by Paola Atelier. abito: long dress by Collezioni Marcos Atelier 2015. pelliccia: giacca short mink fur white (visone bianco) a lavorazione orizzontale by Paola Atelier. gioielli: demi-parure in oro bianco e diamanti fancy color; composizione di anelli in oro bianco e diamanti; collezione Casciola Gioielli. abito: long dress by Collezioni Marcos Atelier 2015. gioielli: demi-parure collier e orecchini in oro bianco e diamanti fancy color; composizione di anelli in oro bianco e diamanti; collezione Casciola Gioielli.
VERONICA abito: long dress by Collezioni Marcos Atelier 2015. scarpe: pumps spuntate con Swarovski by Alexander Smith London. gioielli: bracciali “Rosette” in oro giallo, rosa e bianco con diamanti fancy color; anello “to the sky” in oro bianco e diamanti; orecchini in oro bianco, diamanti e zaffiri; collezione Casciola Gioielli.
Veronica abito: long dress by Collezioni Marcos Atelier 2015. pelliccia: giacca short mink fur black (visone nero) by Paola Atelier.
Elena abito: long dress by Collezioni Marcos Atelier 2015. scarpe: décolleté nera di Prada. pelliccia: cappottino long mink fur black (visone nero) a lavorazione orizzontale by Paola Atelier.
MODELS Elena Dresti, Veronica Barbieri, Daniele Galfré per [UNICO]. HAIR & MAKE UP Dessange Cuneo C.so Nizza 37/Bis ABITI E SCARPE MARCOS Collezioni Atelier 2015 via S. Agostino,6 Mondovì (CN) – www.marcos.it PELLICCE PAOLA ATELIER Collezione 2015 – via S. Pellico, 5 Saluzzo (CN) – www.paolaellenaatelier.com GIOIELLI CASCIOLA GIOIELLI Collezione 2015 – p. Italia, 37 Boves (CN) – www.casciolagioielli.com LOCATION mercato coperto p. Seminario - Cuneo
Si ringrazia per la collaborazione: Comune di Cuneo – Ass. Attività Produttive e Marketing Territoriale (Arch. Gabriella Roseo) Cuneo Frutta sas – Cuneo Pescheria Barale e Bellomi – Cuneo Hotel Royal Superga – Cuneo
sapori oltre le sbarre
DI VANINA CARTA PHOTO: DAVIDE DUTTO
ANNULLARE IL CONTRASTO DENTRO-FUORI; AVVICINARE CARCERE E SOCIETÀ PER ABBATTERE LE BARRIERE TRA I DUE MONDI; SUPERARE I PREGIUDIZI PER COMUNICARE. TUTTO QUESTO È SAPORI RECLUSI.
C
oltello e forchetta racchiuse tra linee verticali che si piegano, mentre il nero degli elementi sfuma verso l’esterno. Posate e sbarre. Concetti che graficamente si trasfigurano l’uno nell’altro, quasi un indizio a svelare la mission del progetto e gli obiettivi del gruppo di lavoro che lo anima. Il logo è già metafora del Dentro-Fuori e, allo stesso tempo, di quanto possa essere labile quella soglia, la linea di demarcazione che separa libertà e detenzione. UN SASSO NELLO STAGNO Davide Dutto, cuore e motore dell’Associazione Sapori Reclusi, è fotografo fossanese di grande esperienza con un curriculum da fare invidia ai nomi internazionali, in grado di spaziare tra arte e mestiere attraverso i contesti più diversi.
Entra in carcere per la prima volta nel 2003, per insegnare fotografia ai detenuti. Qui conosce un mondo e un’umanità in cui vede la possibilità di affrontare una sfida inedita: quella di raccontare l’esperienza della detenzione da un punto di vista non stereotipato. Con un permesso speciale entra nelle celle, dove si dorme, si mangia e soprattutto si cucina. E proprio il cibo si fa nuova chiave di lettura di questa visione, diventando non tanto un protagonista autoreferenziale, ma il collante di una popolazione eterogenea, in cui ognuno si ritrova a contribuire con le tradizioni, i sapori e le ricette del proprio luogo d’origine. Con il giornalista Michele Marziani, ha inizio un lungo cammino di conoscenza e di sperimentazione delle ricette in carcere che sfocerà, nel
L’Associazione Sapori Reclusi si è fatta promotrice di un’idea, quella della necessità di ascoltare e comunicare senza preconcetti, sfruttando il cibo, non tanto come oggetto di un’attenzione fine a se stessa, ma come strumento per il confronto e l’avvicinamento tra carcere e società civile.
ciati, Palluda, Demaria e Campogrande. La realizzazione di un laboratorio di foto-gastronomia con i detenuti diventa un primo momento in cui la società del Fuori si avvicina all’umanità del Dentro (non solo i carcerati ma gli stessi agenti di polizia penitenziaria), per mettersi in gioco e confrontarsi attorno a un tavolo, dove non c’è più chi sta di qua e chi di là. IL PRETESTO: CIBO E FOTOGRAFIA Da allora i singoli progetti legati al cibo, alla cucina e al binomio cibo-fotografia si sono moltiplicati e diffusi, e il nuovo approccio di Sapori Reclusi ha coinvolto case di reclusione anche oltre i confini locali: dal Rodolfo Morandi di Saluzzo e dal Giuseppe Montalto di Alba, al Santa Caterina di Fossano e al San Michele di Alessandria, fino al Rebibbia di Roma e al San Vittore di Milano.
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2005, nel volume Il gambero nero (ed. DeriveApprodi). Il libro suscita interesse e scuote le coscienze, quasi un sasso lanciato nello stagno. Di qui parte il percorso che porta alla nascita dell’associazione, il cui vero obiettivo resta la comunicazione, poiché “nonostante questo sia il secolo della tecnologia e della comunicazione, il vero scambio di parole, storie e idee spesso viene a mancare. Comunicare vuol dire prima di tutto ascoltare e capire gli altri, ma talvolta i mezzi per farsi ascoltare non sono alla portata di tutti”, riporta la presentazione on-line. E in tutto questo il cibo è il passepartout per “entrare laddove solitamente si trovano barriere fisiche o mentali, porte chiuse” e, insieme, strumento di aggregazione, confronto. Per questo, nel 2010, entrano in carcere anche sette chef italiani di fama mondiale, tra cui Al-
Il celebre chef Maurilio Garola, della Ciau del Tornavento (Treiso), in carcere durante un laboratorio con i detenuti. I progetti di Sapori Reclusi hanno più volte coinvolto, con risultati inaspettati, i grandi della ristorazione d’eccellenza, come per la Cena gourmet (Più stelle, meno sbarre) che si è tenuta lo scorso maggio al carcere di Saluzzo. Un momento particolarmente significativo: il cibo mette tutti attorno al tavolo, agenti e detenuti, per un confronto che va oltre i ruoli prestabiliti.
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Dal cibo, alla fotografia o alla stampa, ogni strumento è utile per comunicare. Con “Face to Face”, per esempio, le foto segnaletiche d’epoca del Museo Cesare Lombroso di Torino diventano spunto per nuove provocazioni. Il caffè preparato in cella (“Pure ’n carcere ’o sanno fa”) si fa occasione di confronto per racconti e aneddoti, mentre con Stampatingalera, vero e proprio laboratorio di grafica e stampa professionale, l’obiettivo finale è quello della formazione per un reinserimento nel mondo del lavoro.
È cresciuta la consapevolezza verso la condizione carceraria... Intanto, però, non ci siamo fatti mancare una condanna dell’UE e decreti ‘svuota carceri’. Davide Dutto
E anche dopo il 2010, i grandi chef non sono mancati. Come per la Cena gourmet (Più stelle, meno sbarre) che si è tenuta a maggio di quest’anno al carcere di Saluzzo. Ugo Alciati (Guido Ristorante di Serralunga d’Alba), Nicola Batavia (‘L Birichin, The Egg a Torino), Enrico Crippa (Piazza Duomo di Alba), Pino Cuttaia (La madia di Licata), Maurilio Garola (La ciau del tornavento a Treiso), Davide Palluda (All’Enoteca di Canale), Paolo Reina (Antica trattoria del gallo di Gaggiano), Andrea Ribaldone (Eataly a Tokyo), all’interno della casa di reclusione, hanno lavorato con un gruppo di detenuti e si sono messi alla prova gli uni con gli altri per allestire la cena gourmet: la prima cena stellata in un carcere. Dove il lusso gastronomico si è messo in gioco entrando in un luogo totalmente spoglio per avvicinare mondi agli apposti: grandi imprenditori, privati, detenuti, agenti e chef, per una sera, hanno preso a pretesto il cibo per riflettere sul lavoro come forma di riscatto e scommessa per il futuro. Sì, perché l’idea che sta alla base di questo grande e ambizioso progetto non passa attraverso una semplice raccolta fondi presso aziende ed enti che possano e vogliano finanziare tali attività, ma il coinvolgimento profondo e la partecipazione di queste stesse realtà nella filosofia dell’associazione, perché raccolgano la sfida, senza limitarsi all’alibi del mero contributo economico. Non è quest’ultimo, infatti, l’obiettivo delle iniziative di Sapori Reclusi. Lo dimostra il progetto in fase di elaborazione Sordo Per. Vini e storie, ideale prosecuzione di BiancoRossoLibero, nato nel 2013. L’idea
è semplice: commercializzare bottiglie di vino delle Doc e Docg piemontesi più blasonate con il marchio di Sapori Reclusi e una speciale linea grafica e di pacakging dedicate all’iniziativa, arricchite da libretti di racconti originali ambientati in carcere, a firma di Manuela Iannetti e Giulia Grimaldi, e con le foto di Davide Dutto. Dalla vendita verrà ricavata una quota da destinare all’associazione e alle sue attività di comunicazione e reinserimento sociale dei detenuti. In tal modo, grandi e piccole aziende vinicole dal brand ormai affermato, testimonieranno con il loro impegno che è possibile connettere dimensioni così diverse, “mettendoci la faccia”. Ma il cibo non è il solo strumento utilizzato nel difficile processo di sensibilizzazione. A proposito di facce, volti, nasce, infatti, nel 2013 Face to face, che forse più di altri progetti, punta a smascherare – è il caso di dirlo – uno dei pregiudizi più diffusi e duri, sintetizzato nell’espressione “faccia da galera”. Grazie alla partnership con il Museo di Antropologia Criminale di Torino, Sapori Reclusi ha avuto eccezionalmente accesso all’archivio fotografico del criminologo Cesare Lombroso, dove sono conservate migliaia di foto segnaletiche d’epoca, provenienti da tutto il mondo e corredate di didascalie. Queste, brevi ma minuziose, rievocano l’assurda teoria lombrosiana dell’atavismo e della concezione per cui specifiche caratteristiche anatomiche possano corrispondere a una propensione innata a delinquere. Proprio dall’espressione fotografica che faceva del pregiudizio scienza, nasce l’idea di immor-
per l’ottantesimo anniversario della Bialetti, e nell’ambito di vari altri eventi. LUCI E OMBRE Tanti progetti quante sono le idee, che si trasformano in iniziative dai contenuti forti, e che in pochi anni hanno “contagiato” le istituzioni. “In 12 anni – afferma Davide Dutto – Sapori Reclusi ha guadagnato credibilità con attività che oggi vengono portate ad esempio, per il riscontro che queste trovano tra i carcerati e per la capacità di offrire un’occasione di riscatto, umano e professionale, ai detenuti, dando loro voce. In 12 anni – prosegue Dutto – è cresciuta la consapevolezza sociale della condizione carceraria e con grande gratificazione abbiamo seguito l’evoluzione positiva, personale e individuale, di molte persone in carcere. Eppure la complessa struttura penitenziaria ha conosciuto un brusco peggioramento e nel frattempo l’Italia ha ‘collezionato’ una condanna da parte dell’UE per il sovraffollamento nelle case di reclusione, decreti ‘svuota carceri’, polemiche e crisi strutturali del sistema”. Ancora una volta,
viene da chiedersi se le istituzioni, soprattutto nazionali, sappiano veramente interpretare le necessità di una società in evoluzione o se, come spesso avviene, le riposte vengano prima da quella parte, ricettiva e sensibile, di una comunità che si fa carico di sopperire alle gravi lacune del sistema.
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talare i volti di detenuti e uomini liberi, senza indicare la condizione di ognuno, per provocare e stimolare a superare una volta per tutte il preconcetto. Il progetto prevede di “portare il carcere dentro il museo”, con la partecipazione di un gruppo di ospiti della casa di reclusione Lorusso e Cotugno di Torino alla mostra, che verrà allestita all’interno del percorso espositivo del Museo Cesare Lombroso. E poi Stampatingalera, che si pone come obiettivo il reinserimento dei detenuti nel mondo del lavoro. All’interno del carcere di Saluzzo, l’iniziativa prevede un periodo di apprendimento teorico e pratico degli strumenti della fotografia, della grafica e della comunicazione, con l’allestimento di un vero e proprio centro di stampa nella casa di reclusione. Pure ’n carcere ’o sanno fa’ è, invece, una pausa caffè nelle celle di alcuni detenuti del Santa Caterina di Fossano. Durante gli incontri, emergono ricordi e aneddoti legati a un caffè importante, bevuto Dentro o Fuori. Le storie, rielaborate da Giulia Grimaldi e immortalate dagli scatti di Davide Dutto, sono state presentate a Omegna,
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tempo di bilanci per la gfe
PHOTO: PRESS OFFICE GFE
GRAZIE A UNA STORIA CONSOLIDATA E A STRATEGIE INNOVATIVE, LA GFE SI CONFERMA UNO DEGLI EVENTI PIÙ INTERESSANTI DELLA GRANDA, MA È GIÀ TEMPO DI PENSARE ALLE 40 CANDELINE DELL’EDIZIONE 2015.
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impegno degli espositori e la fiducia dei visitatori ha permesso di chiudere la trentanovesima edizione della Grande Fiera d’Estate di Cuneo con un risultato importante per le aziende: il pubblico è entrato in fiera perché realmente interessato a prodotti e novità presentati agli stand. “I numeri sono in linea con quelli dello scorso anno – ha spiegato Massimo Barolo, amministratore unico di Al.Fiere Eventi: – questo grazie anche all’idea di lanciare l’esperimento del sabato mattina a ingresso libero, con accreditamento sul sito. Uno sforzo compensato dalla risposta: abbiamo portato un pubblico qualificato tra gli stand, a vedere da vicino la qualità e la professionalità dei nostri espositori”. Dagli accrediti effettuati sul sito, è emerso che
l’afflusso del sabato mattina proveniva da tutto il Piemonte, dalla Liguria e dalla Francia. L’organizzazione della GFE, in collaborazione con diversi partner, in particolare con le associazioni Confartigianato, Coldiretti e Confcommercio, ha allestito e realizzato eventi proponendo novità apprezzate da tutte le fasce di età. Non è mancato il sostegno di Unicredit e lo sguardo transfrontaliero con il progetto Alcotra “In Com”, per un’innovativa valorizzazione turistica e commerciale, promosso da Camera di Commercio, Comune di Cuneo, Ville de Chambery e Cônitours. Hanno dato i suoi frutti anche gli importanti investimenti tecnologici che Al.Fiere Eventi ha messo in campo quest’anno. “Abbiamo cercato di rendere l’evento al passo con i tempi – spie-
Tra le nuove strategie adottate dalla GFE per il 2014, senza dubbio vi è la comunicazione, anche attraverso i “social network”, che è cresciuta oltre tutte le aspettative: i contatti si sono quadruplicati in poco più di due settimane. Più di 1.000 gli scatti ufficiali e ben 70 i giornalisti italiani e francesi che hanno raccontato la GFE.
ga Gianmaria Barolo, direttore commerciale di Al.Fiere Eventi, – a partire dal portale “In Fiera tutto l’anno”, che darà visibilità continua, durante tutto l’anno, agli espositori. Si tratta di un’apposita sezione, sul sito www. grandefieradestate.com, dedicata alle aziende e ai loro prodotti, con foto, novità e promozioni. Inoltre, è stata creata una app per aggiornare il pubblico in tempo reale su ciò che accade in Fiera e, in questo periodo, dietro le quinte”. La comunicazione, attraverso i social network della GFE, è cresciuta oltre tutte le aspettative: i contatti si sono quadruplicati in poco più di due settimane. La XXXIX edizione è stata illustrata anche attraverso le immagini (più di 1.000 scatti ufficiali, molti diffusi in tutto il mondo attraverso internet) e video. E, non da meno, oltre 70 giornalisti italiani e francesi hanno raccontato la GFE. Queste le premesse con le quali Al.Fiere Eventi sta già lavorando alla GFE del prossimo anno, un’edizione storica: la quarantesima.
Con l’iniziativa “In Fiera tutto l’anno”, la GFE mette a disposizione dei propri espositori uno spazio sul proprio sito internet www. grandefieradestate.com, dedicato esclusivamente a loro e ai loro prodotti, con foto, novità e promozioni.
UNICO 30 | NOVEMBRE – DICEMBRE 2014 | eventi
Non è mancato, quest’anno, lo sguardo transfrontaliero con il progetto Alcotra “In Com”, per un’innovativa valorizzazione turistica e commerciale, in collaborazione, tra gli altri, con la città di Chambery.
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aria di festa in casa
A CURA DI ROBERTO AUDISIO
SI AVVICINA IL NATALE E TUTTA LA CASA SI PREPARA CON I NUOVI ADDOBBI A TEMA. TANTE IDEE PER RENDERE LA FESTA PIÙ BELLA DELL’ANNO DAVVERO UNICA.
[1] Un albero di Natale insolito, un pò fuori dagli schemi, anticonvenzionale ed ecosostenibile, costituito da palle di vetro (lightinthebox.com) con tea light, appese a soffitto o a muro.
[2] Una semplice stella in listelli di legno grezzo e un cordone di luci bianche (lepetitchateau.it), abbinate alle lettere scatolate che costruiscono la parola XMAS, per un’idea shabby chic attuale e poco costosa.
[2] Le lampade di Zava si vestono di rosso e di verde per il periodo più glamour dell’anno. In occasione di questo speciale momento nasce anche Icon X-MAS, l’evoluzione natalizia della già conosciuta ICON X, che si trasforma in un simpatico abete (zavaluce.it).
[3] Un abete da sgranocchiare, da usare come centrotavola o per decorare il buffet, l’albero fatto di biscotti (h. cm 30). Si realizza utilizzando il set di stampini e supporto di Tescoma (tescomaonline.com).
[4] Tutti di cioccolato, gli alberi di Natale di Cacao Lab sono decorati anche con applicazioni preziose e farciti di dragée (cacao-lab.it).
[6] Il presepe di Thun, piccolo e tenero, con la capanna ad arco in ceramica e applicazioni di vetro, eseguito a mano, ricorda a tutti cosa vuol dire Natale. (it.thun.com).
[5] Ironiche e divertenti, le palle di Natale disegnate da Massimo Giacone e Marcello Jori per Alessi sono in vetro soffiato. Riproducono tutti i personaggi del presepe, per una perfetta atmosfera di festa (store.alessi.com).
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DESSANGE E ISTITUTO DI CANDIOLO, DUE MODI DI AMARE LE DONNE Il mondo femminile è da sempre articolato nelle mille sfumature che toccano le diverse sfere della sensibilità, dell’intelligenza, del coraggio, della perseveranza, del fascino. Un mix misterioso e spesso sconosciuto che porta la donna al centro dell’universo familiare e sociale. La ricerca del benessere psicofisico è fondamentale nell’equilibrio femminile, poiché inevitabilmente si ripercuote sulle relazioni affettive. Dessange, da sempre sensibile alla bellezza e al benessere della donna, ha creato nei suoi 60 anni di vita un universo di linee per la cura dei capelli e del corpo, utilizzando elementi naturali secondo scelte etiche e con una filosofia di ecosostenibilità. Il principio per cui la donna deve essere consapevole della propria unicità, e della propria bellezza totale e totalizzante per sentirsi sicura e realizzata, è la vera ispirazione. Ma, in tutto ciò, la salute fisica è fondamentale per vivere pienamente la propria personalità. Per questo, oggi, il Salone Dessange di Cuneo non abbraccia più solo la sfera della bellezza ma, essendo costituito da persone che vivono con passione il proprio lavoro, ha scelto di sostenere la Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro, istituzione di fama internazionale, che lavora tenacemente nella ricerca e nella cura dei tumori, ma vive di donazioni. Il Salone Dessange di Cuneo ha inaugurato la lodevole iniziativa per cui una parte dei proventi derivanti dai servizi effettuati in salone per coiffure ed estetica, viene immediatamente e giornalmente trasferita tramite bonifico bancario all’Istituto di Candiolo. La copia del bonifico viene inviata ai clienti che possono così avere la certezza di un esito positivo dell’iniziativa. A partire da novembre, i clienti possono anche acquistare dei coupon del valore di 30-50-100-150 o 200 euro, inserendo a proprio piacimento un elenco di servizi o prodotti presenti in salone e farne uso personale o farne regalo. Il risultato avrà la duplice valenza di fruire di servizi coiffure e/o estetica garantiti dal marchio Dessange e di contribuire alla lotta contro il cancro. Amare se stessi e gli altri implica il mettersi in gioco sostenendo la battaglia contro un nemico invisibile, subdolo e ancora troppo presente tra noi.
MUSEO ETTORE FICO: GLI EVENTI ETTORE FICO NELLE COLLEZIONI. OPERE DAL 1930 AL 2004 24 settembre 2014 - 8 febbraio 2015 A cura di Faye Hirsch e Marco Meneguzzo. Si tratta di un corpus di oltre 250 opere inedite, provenienti dalle collezioni, allestite in una mostra antologica che percorre 60 anni della produzione artistica di Ettore Fico. La mostra propone gli aspetti più inediti e di ricerca del percorso del maestro: dalle esperienze astratte a quelle più geometriche, dalle impressioni delineate dai sottili tocchi di colore puro alle pennellate materiche e informali. ALIS/FILLIOL - Zogo 30 ottobre 2014 - 8 febbraio 2015 Le opere del duo torinese Alis/Filliol, (Davide Gennarino e Andrea Respino) allestite negli ampi e scenografici spazi del MEF, dialogano con le opere di Ettore Fico per creare un ponte tra pittura e scultura, tra moderno e contemporaneo, mettendo a confronto i diversi processi della produzione artistica. Per Alis/Filliol la scultura è esperienza fisica, uno spazio intensivo nel quale sperimentare nuove procedure o trasformare tecniche tradizionali applicandole ad elementi più eterogenei. ALESSANDRO BULGINI 30 ottobre 2014 - 8 febbraio 2015 Decoro urbano in Barriera di Milano, con testo di Gian Maria Tosatti. Per alcuni mesi, sui marciapiedi di Barriera di Milano, sono comparsi disegni magici, cerchi sull’asfalto realizzati con semplici gessetti. Fiori nel deserto, piccoli gesti di bellezza. In mostra nelle sale di B-ARS, il bistrot del MEF, una serie di 8 “protocolli” di Alessandro Bulgini: documenti fotografici delle azioni realizzate dall’artista nello spazio urbano.
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MONTECARLO DA NON PERDERE:
Dal 14.11 al 14.12 ad Alba, presso il Coro della Chiesa della Maddalena, va “in passerella” Fashion Witch. Vestirsi da masche, il terzo e ultimo evento del 2014 (dopo Le regine neogotiche di Titti Garelli a Mondovì e Le camere oscure a Cuneo), nell’ambito di “Il cuNeo gotico”, promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo e a cura di Enzo Biffi Gentili, direttore del MIAAO, Museo Internazionale delle Arti Applicate Oggi di Torino.
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LA STREGA FA TENDENZA
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VILLAGGIO DI NATALE sul tema “Natale sui tetti” – Dal 5 dicembre al 4 gennaio 2015, Quai Albert Ier. X GIORNATA MONEGASCA DEI NASI ROSSI organizzata dall’Associazione Les enfants de Frankie a favore dei bambini malati e disagiati del Principato e di tutta la regione PACA. Palla in schiuma rossa in vendita a partire dal 10 novembre da attaccare alle auto – 6 dicembre. KERMESSE ECUMENICA 6 dicembre, 10,00-18,00, Espace Fontvieille. CONCERTI DI NATALE 9 e 11 dicembre, alle 20,30, Chapelle de la Visitation. SERATA E CENONE DI SAN SILVESTRO con DJ e fuochi artificiali nel cuore del Villaggio di Natale – 31 dicembre, alle 21,30, Port Hercule.
Partire da Genova conviene... anche d’inverno! Voli diretti per decine di destinazioni: partire dall’Aeroporto di Genova è facile e conveniente, con tante novità anche nella stagione invernale. Da Genova puoi volare a Roma con 3 voli giornalieri di Vueling e 6 di Alitalia, ma anche a Napoli (con Meridiana e Volotea), Catania, Palermo, Trapani e Bari. Non solo Italia: da Genova puoi volare a Tirana (con Bluexpress e Alitalia), ma anche a Parigi (due voli al giorno con Air France e il collegamento Vueling nel periodo 20 dicembre - 6 gennaio), a Londra (con Ryanair e British Airways), Monaco e Istanbul. Con Vueling puoi inoltre volare direttamente a Barcellona dal 5 dicembre al 6 gennaio. Non solo, grazie ai numerosi hub collegati all’aeroporto di Genova è possibile volare verso oltre 500 destinazioni nel Mondo con un solo scalo. Raggiungere l’Aeroporto di Genova è comodissimo sia in auto (uscita autostradale Genova Aeroporto), sia dal centro città con il servizio Volabus dalle stazioni di Principe e Brignole. E’ anche possibile arrivare in treno alla stazione di Genova Sestri P./Aeroporto e raggiungere il terminal in pochi minuti con la comoda navetta i24.
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BEWARE WET PAINT
29 ottobre 2014 - 1° febbraio 2015 arrivano da tutto il mondo e sono accomunati da una passione: l’arte contemporanea. Al loro estro, alla loro creatività è dedicata Beware wet paint, la mostra allestita alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Una curiosità sul titolo: “Si rifà a un aneddoto di Richard Hamilton su Marcel Duchamp – spiegano alla Sandretto – che era solito ripetere queste parole enfatizzando beware, ‘attenzione’, a sottolineare la natura dirompente di una forma d’arte solo in apparenza tradizionale”. In esposizione le nuove tendenze della pittura, declinate nelle opere di un gruppo di artisti della cosiddetta nouvelle vague. Tra questi: Korakrit Arunanondchai (Tailandia/Usa, 1986), Isabelle Cornaro (Francia, 1974), Jeff Elrod (Usa, 1966), Nikolas Gambaroff (Germania/Usa, 1979), Nathan Hylden (Usa 1978), Parker Ito (Usa, 1986), Oscar Murillo (Colombia/UK, 1986), Diogo Pimentao (Portogallo/UK, 1973).
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SFIDA... ALL’ULTIMO COLTELLO Per tutti gli amanti della carne rossa d’eccellenza, a Trinità da non perdere il 30 novembre l’originale e spettacolare Campionato di Battuta al Coltello. Dieci tra i migliori macellai della zona e cinque chef si confrontano “a suon di coltelli” nella preparazione che più di ogni altra esalta le qualità organolettiche della carne di Razza Piemontese. L’ardua sfida consiste, per ogni partecipante, nel battere, con un solo coltello, 1,5 kg di carne in un taglio intero. La valutazione della giuria tiene conto delle caratteristiche complessive e della gradevolezza della battuta, del tempo impiegato, del condimento, così come della preparazione. Al termine dell’evento, degustazione delle specialità proposte dai macellai.
MAASAI E BERGERA MONREGALESE PRESTO IN UN FILM Soddisfazione del Banco Azzoaglio di Ceva, per la presentazione del progetto “Il Murrán Maasai in the Alps”: due popoli pastori si incontrano in Valle Gesso. Due donne, una bergera monregalese e una giovane maasai, diverse ma simili per i loro valori e per il profondo legame con le tradizioni, hanno raccontato la stagione in alpeggio che hanno vissuto l’estate scorsa nei pascoli della Valle Gesso. Il progetto diventerà un film e un libro. I Murrán, in masai, sono i guerrieri. Una parola che si coniuga solo al maschile, ma che il regista Sandro Bozzolo ha voluto riferire a due donne straordinarie: “Silvia è la retroguardia delle tradizioni antiche – afferma il regista – e Leah rappresenta l’avanguardia (è stata la prima donna della sua comunità a frequentare l’università e ora studia all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, ndr), la conquista di nuovi mondi”. Per Erica Azzoaglio: “Un incontro al quale tengo in modo particolare. In questo progetto si realizza perfettamente l’obiettivo che anima la nostra rassegna di incontri, ossia la valorizzazione del patrimonio culturale del nostro territorio. Attraverso Silvia e Leah, due culture lontane ma allo stesso tempo simili, si incontrano nel Parco Naturale delle Alpi Marittime e si arricchiscono a vicenda”. Quest’estate Leah Lekanayia, maasai kenyana, ha raggiunto Silvia Somà sui pascoli della Valle Gesso, dove vive con il figlio Simone. Silvia è una bergera, come tiene a definirsi, una donna saggia con modi semplici e un rapporto con la vita a tratti brutale, ma, allo stesso tempo, ironico e autoironico. Vive con il figlio nelle malghe alpine, dove con lui produce formaggio in alpeggio. Parlano il kjé, dialetto di matrice occitana di Prea. Leah, dal canto suo, è stata una delle prime donne della sua comunità a trasferirsi a Nairobi per frequentare l’università, ma spesso tornava dalla propria famiglia nomade per accudire il gregge. I due popoli pastori, quello maasai che, sugli altipiani del Kenya, affronta scelte decisive per la sopravvivenza, e quello piemontese, che lotta per mantenere in vita le tradizioni dei padri, hanno trovato diversi punti in comune.
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ASPETTANDO LA NEVE A LIMONE PIEMONTE
IN MONTAGNA PER RITROVARE IL CAMMINO
Sabato 6 dicembre, l’apertura della stagione sciistica 2014/2015 della Riserva Bianca. Nel frattempo, la presentazione della stagione, rivolta alla stampa, agli sci club e ai circoli ricreativi, è in programma per sabato 15 novembre a Barolo, preso le Cantine Marchesi di Barolo. Un’analoga iniziativa, destinata invece al mondo dell’informazione e dello sci monegasco e francese, è prevista a Montecarlo a fine novembre. La LIFT spa, intanto, prosegue gli investimenti con lo scopo di ottimizzare la fruizione della stazione da parte della clientela, attraverso la messa a punto di un modernissimo sistema di vendite alla biglietteria. Info: 800.985153.
Organizzato dalla AslCn1, il Convegno Nazionale di Montagnaterapia che si è tenuto a Cuneo (9-11 ottobre) ha visto la partecipazione di personale sanitario proveniente da tutta Italia, dimostrando che si tratta di uno strumento innovativo, originale ma soprattutto efficace. Con tale termine, si intende un originale approccio metodologico a carattere terapeuticoriabilitativo e/o socio-educativo, finalizzato alla prevenzione secondaria, alla cura e alla riabilitazione degli individui portatori di varie problematiche, patologie oppure disabilità. La montagnaterapia si svolge attraverso il lavoro sulle dinamiche di gruppo, nell’ambiente culturale, naturale e artificiale della montagna. Le attività vengono elaborate e realizzate in prevalenza nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, oppure in contesti socio sanitari accreditati, in collaborazione con il CAI e altri enti o associazioni accreditate.
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SEGUICI SU RADIO 103 CUNEO Daniele CAVICCHIA
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Samy Dj
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a cura di Monia Re - wedding & event designer
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NEL GIORNO PIÙ BELLO, ANCHE LO SPOSO DEVE ESSERE IMPECCABILE. ECCO, IN PILLOLE,
il dress code per lui T
ight, mezzo tight, frac o smoking? Troppo spesso mi accorgo che le attenzioni si concentrano solo sulla sposa, mentre viene dimenticato e lasciato un po’ in disparte lo sposo, che in fondo dovrebbe avere la stessa importanza, visto che ci si sposa in due! E così, se vediamo la sposa sempre o quasi sempre impeccabile, a volte lo sposo, abbandonato al suo “buon gusto”, è proprio inguardabile... Eppure le passerelle di moda del 2014 lo hanno visto protagonista, eccentrico e ambizioso. Non possiamo dunque esimerci dal dare almeno una prima rispolverata all’ABC del dress code maschile.
Prima di azzardare abiti originali, occorre ricordare che il giorno del matrimonio entrambi gli sposi dovrebbero seguire lo stesso stile, pertanto è bene “parlarsi”. Aiutati dalla famiglia, dagli amici o da un wedding planner, tutto si semplifica. Ma veniamo ad alcune situazioni concrete. Se ci si sposa al mattino, lui potrà indossare un tight, oppure, se la cerimonia è più informale, un abito blu o grigio scuro: pantaloni senza risvolto, giacca monopetto ed eventuale gilet, dello stesso tessuto e colore dell’abito. Tuttavia, è importante sottolineare che il tight va indossato solo ed esclusivamente per cerimonie mattutine e in ogni caso non oltre le 18,00, ovviamente molto eleganti. Attenzione, in tal caso i parenti uomini di entrambi gli sposi, inclusi i testimoni, dovranno adeguarsi al dress code. Alternativo al tight è il mezzo tight, un po’ meno formale. Da galateo, il tight richiederebbe anche i guanti e il cilindro, che in chiesa saranno appoggiati sul banco. Il mezzo tight, invece, con la propria natura più informale, non li prevede. Dopo le 18.00, per cerimonie prestigiose, il vestito dello sposo potrà essere un frac (o marsina), che di conseguenza sarà consigliato anche ai testimoni. Gli invitati non avranno l’obbligo di indossarlo, ma saranno vestiti di scuro con cravatta bianca. Ma vediamo alcuni “no”. No allo spezzato, salvo che sia tight o mezzo tight. No alla giacca doppio petto. No all’ultimo bottone della giacca chiuso (in basso). No agli occhiali da sole. No al vestito in lino, perché probabilmente sarà già uno “straccio” a fine cerimonia. E, inoltre, no allo smoking, che il galateo indica come non adatto al matrimonio, ma piuttosto a serate di gala, cene ed eventi mondani o teatrali (rigorosamente dopo le 18.00!).
Infine, gli immancabili accessori che, come per le donne, sono elementi distintivi. La cravatta dovrà essere classica, sobria e di buona qualità. I gemelli, unici gioielli concessi allo sposo, non possono mancare su un tight o su un mezzo tight, ma sono raccomandati anche per cerimonie eleganti, sia in madreperla sia in oro giallo o bianco. E poi la scarpa, ideale se stringata e in pelle nera spazzolata. Molto gettonato il fiore all’occhiello, che si indossa sul rever della giacca e mai sul taschino. Chi non lo desidera, potrà utilizzare la pochette, in nessun caso dello stesso colore della cravatta. Qui si può giocare sulle tonalità che dominano il matrimonio. Una cravatta classica e una pochette decisamente colorate saranno adatte a una cerimonia informale, mentre sono da preferire più essenziali per una marriage elegante. Per chiudere, no alla boutonnière insieme alla pochette. No ai gemelli troppo sportivi. No a fibbie e mocassini. No al calzino bianco (di bianco abbiamo già la sposa e ci basta)... per non farsi dire: “Ma chi ti ha vestito?!”.
KAIROS Organizzazione Eventi e Matrimoni Sedi: Cuneo – Milano – Novi – Verduno www.kairoseventi.it Tel. 331.2460204 ufficiostampa@kairoseventi.it
AUTUNNO-INVERNO 2014
DESSANGE E ISTITUTO DI CANDIOLO DUE MONDI DI AMORE PER LE DONNE
DESSANGE CUNEO C.so Nizza 37/Bis | Tel. 0171 693560
IL SALONE DESSANGE DI CUNEO DEVOLVE UNA PARTE DEI PROVENTI PER LA RICERCA SUL CANCRO.
PHOTO: Daniele Molineris
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a cura di Phil Boschero - personal shopper
ADDIO ULTIMI SCAMPOLI DI AUTUNNO: È ORA DI FARSI STRINGERE DAL CALORE DEL CAPPOTTO.
le “calde braccia” dell’inverno I
l freddo, protagonista dell’ormai prossima stagione invernale, ci impone di correre ai ripari scegliendo il capo d’abbigliamento che più ci sarà d’aiuto in questi mesi: il cappotto. Per rispondere a quest’esigenza ho selezionato per Voi alcuni must di stagione che aiuteranno Voi donne nella scelta fatidica. Premesso che per la stagione invernale 2014 un po’ tutte le griffe
SCOPRIAMO INSIEME ALCUNE PROPOSTE: • Colorato ma non eccentrico e adatto a chi ha una carnagione chiara troviamo il doppiopetto verde smeraldo firmato Dior; • Manteau, camel, con bavero a collare e cintura in vita la collezione 2014/15 firmata da Max Mara; • Cappotto in lana cotta, con inserti in ecopelle e cinturone la proposta di Iceberg. Ideale per giornate lavorative ma anche per lo shopping con le amiche abbina-
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hanno creato modelli di cappotti chic declinandoli in forme caratteristiche: dalle creazioni delle maison di alta moda a quelle dei brand low cost, ma, a dominare il settore quest’anno, sono forme oversize morbide ed avvolgenti realizzati con tessuti caldi, modelli militari e doppiopetto, cappotti in pelliccia e, per le amanti dei modelli più romantici e bon ton, i deliziosi coat dress e i caban.
to ad un pullover girocollo e a dei jeans skinny; • Lungo, dallo spacco frontale a zip e dalla fantasia particolare che ricorda un cosmo in fase esplosiva il modello made by Fendi; • Caban in versione lunga, colorazione rosa pastello che fornisce un tocco di colore alle giornate grigie caratterizzanti la stagione invernale, sono caratteristiche appartenenti al modello firmato dalla maison Gucci che fa del classico un suo punto di forza e distinzione spingendosi
in colorazioni non comuni e che non passano di certo inosservate; • Modelli over and sporty per MSGM e Jil Sander, che donano sempre la giusta energia al look, declinati in colorazioni pressoché total grey e realizzati in tessuti caldi quali la lana; • Céline ripropone un paltò monocolor lungo alla caviglia dalla particolare chiusura trasversale in contrasto con il colore principale. Ora non vi resta che coprirvi!
MONDANITÀ E IMPEGNO SOCIALE ALL’INSEGNA
del bello e del buono TENUTE LUNELLI: IL NUOVO BRAND Sulla splendida terrazza del Circolo Aniene della capitale spicca il totem con il nuovo logo di Tenute Lunelli, costituito da tre elementi, un sole e due mezze lune: il “sistema astrale” che fa capo alla famiglia leader degli spumanti italiani. Il simbolo riunisce, appunto, le tre tenute Lunelli: la trentina di Margon, la toscana di Podernovo e quella umbra di Castelbuono. Tre cantine, espressioni autentiche di vari territori, accomunati dalla produzioni di vini eleganti e longevi. La famiglia Lunelli ha presentato a Roma la nuova iniziativa dall’impronta unica. “Con la decisione di metterci in gioco e quindi di lanciare un marchio con il nome della nostra famiglia – ha sottolineato il presidente, Matteo Lunelli – giunge a compimento un progetto complesso. Si completa un percorso di crescita avviato nel 2000, quando si decise di uscire dal Trentino, espandendoci in Toscana e Umbria”. Ora il marchio ricongiunge queste realtà e le valorizza in un unicum. L’Aniene di Roma rappresenta il luogo ideale per questo momento di celebrazione, poiché non è solo un circolo sportivo, ma anche un luogo d’incontro per eccellenza. Tanti i personaggi amici presenti all’appuntamento in “casa” del presidente Malagó. Tra gli altri, il piemontese Fabrizio del Noce, il direttore di Rai 3 Vianello, i giornalisti Alessio Vinci e Roberto Napoletano.
che da anni viaggiano a vele spiegate nel mare della ristorazione pontina, soprattutto in ambito didattico, dove hanno maturato grandi esperienze comunicative legate all’insegnamento. Il tutto in un ambiente suadente e divertente, perché non c’è apprendimento senza divertimento e un pizzico di passione. Ma la scuola, oltre a ciò, vuole distinguersi per l’impronta sociale che la anima e che vuole tradurre in concreto, attraverso un sostegno tangibile ai tanti giovani con disagi sociali del territorio. A tal fine, è stato stipulato un protocollo d’intesa con la “Pontireti” onlus, attraverso la quale i minori seguiti dall’associazione di volontariato, potranno frequentare gratuitamente ogni corso svolto presso la SALE. Questo perché in tempi difficili sotto il profilo occupazionale, l’arte culinaria e la formazione in campo gastronomico restano uno dei pochi passepartout per trovare sbocco, e soddisfazione personale, nel difficile mondo del lavoro, in Italia come all’estero.
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a cura di Camilla Nata - giornalista Rai
Da sinistra: Giovanni Malagò, Matteo Lunelli e Alessio Vinci alla presentazione del nuovo brand Tenute Lunelli, presso il Circolo Aniene.
“SALE” PER SUPERARE IL DISAGIO Nuova realtà nel panorama enogastronomico della provincia di Latina, la scuola di cucina SALE (Scuola Amatoriale e Laboratorio Enogastronomico) avrà sede in Via della Striscia a Pontinia, presso la Corte Degli Ulivi. La scuola nasce dall’idea di Tommaso Malandruccolo e Antonello Cafagna, due gastronauti
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a cura di Luca Morosi - blogger esperto di arte
LE RISORSE PER IL FUTURO NEGLI
antichi tesori di montalto
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n un limpido pomeriggio d’autunno, con l’aria già frizzantina di fine ottobre, ho visitato uno splendido borgo dell’entroterra ligure, Montalto. Lo confesso: ci ero andato principalmente attratto dalla romanica Pieve di San Giorgio, magnifica davvero, di cui parlerò. Poi, però, l’intero paese, proteso su un’altura in pieno sole, ha letteralmente catturato la mia attenzione. Rigorosamente a piedi, ho varcato timidamente l’arcata d’ingresso in pietra grezza e ho deciso di seguire l’istinto ogni volta che mi sono imbattuto in un bivio, lungo gli scoscesi acciottolati dei carruggi. Di punto in bianco, risalendo i terrazzamenti, mi sono trovato prima in un viottolo caratteristico – paradiso dei gatti randagi intenti a godersi gli ultimi tiepidi raggi – poi improvvisamente in una splendida piazza, do-
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minata dalla Chiesa di San Giovanni Battista, a cui si accede attraverso un suggestivo passaggio porticato. In quei vicoli taciturni, disordinati e colorati di fiori, l’abitato mi è parso avvolto in un sonno profondo, pervaso da un inebriante silenzio, rotto soltanto dal gocciolio nelle gronde e dall’eco ritmato di uno scalpellino al lavoro. Proprio in quel momento, come in una reminiscenza pasoliniana, ho pensato che quella fosse un’oasi di verità, fatta di storie e tradizioni sedimentate, e mi è parso di capire cosa intendesse il grande scrittore quando, nel cortometraggio La forma della città (1973), camminando lungo un “selciato sconnesso e antico” presso Orte, osava paragonare quella che definiva “un’umile cosa”, una “stradina da niente”, a un’opera d’arte, pretendendo di difendere e preservare ambedue “con lo stesso accanimento”.
Da sinistra: panoramica su Montalto Ligure, abbarbicato sui monti della Valle Argentina e la Pieve di San Giorgio. Nella pagina successiva: il polittico di San Giorgio, di Ludovico Brea (1516), opera di grande pregio del pittore nizzardo, nella Chiesa di San Giovanni. Ph. Luca Morosi
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LA CHIESA DI SAN GIOVANNI La Chiesa di San Giovanni ospita un capolavoro d’eccezione, il polittico di San Giorgio di Ludovico Brea, opera tarda (1516) e di grande pregio del pittore nizzardo. Poco più in alto rispetto all’edificio, sorge l’oratorio di San Vincenzo Ferrer, la cui facciata compressa fra le case, è una formidabile testimonianza di quell’architettura ligure variopinta che cerca di insinuarsi laddove di spazio non ce n’è neanche l’ombra, regalandoci tuttavia scorci memorabili. All’interno trova posto un monumentale altare ligneo della fine del XVII secolo, realizzato da Giovanni Battista Borgogno, il cui gusto potentemente barocco, insieme alle dorature accentuate e teatrali, suscita parallelismi non solo con molti altri esempi “conterranei”, ma anche con alcune coeve esperienze in terra spagnola. LA PIEVE DI SAN GIORGIO Ed eccoci daccapo, quando si diceva della Pieve di San Giorgio, situata in disparte, dinnanzi alla zona cimiteriale, su una cresta dominata dagli uliveti. L’edificio, una delle più interessanti testimonianze di architettura sacra medievale del ponente ligure, risalirebbe addirittura al XII secolo e sarebbe stato rimaneggiato 200 anni più tardi. Suddiviso in tre navate e con il soffitto
risolto a capriate lignee, è un gioiello raffinatissimo nelle mani di una collettività che lo utilizza raramente in occasione di poche funzioni religiose e di ancor più rari concerti. Peccato, visto, tra l’altro, il sapiente intervento di restauro che alcuni anni fa ha interessato la struttura, restituendola agli antichi splendori: oggi gli affreschi trecenteschi dell’abside, con il Cristo in mandorla a sovrastare la schiera degli apostoli in tenuta ancora “bizantineggiante”, sono leggibilissimi e ben conservati, così come ammirevole è il ciclo quattrocentesco del registro superiore con San Giorgio, la Vergine e San Michele. Incredibili, poi, le antiche panche in legno che – per quanto certamente non comode – sono state volutamente e saggiamente mantenute al loro posto; senza parlare del leggio e dell’acquasantiera in ardesia, esempi unici di perizia tecnica lapidea. Un tesoro che pone delle domande e stimola la provocazione: perché, per esempio, non mettere in rete i beni culturali della Valle Argentina e creare un sistema di gestione? Possibile che la maggiore attrattiva turistica della valle sia legata alle leggende sulle streghe di Triora? Naturalmente anche le favole hanno la loro importanza, ma quando le favole finiscono di solito ci si addormenta...
ROY LICHTENSTEIN. OPERA PRIMA Fino al 25 gennaio 2015 La GAM di Torino presenta un’importante esposizione dedicata ai lavori su carta e ai grandi dipinti di Roy Lichtenstein, protagonista indiscusso della Pop Art. Grazie alla stretta collaborazione con la Private Collection Estate e la Roy Lichtenstein Foundation, e alla cooperazione con prestigiosi musei internazionali, per la prima volta arrivano in Italia 235 opere fondamentali del maestro, che abbracciano un arco temporale dai primi anni ’40 alla fine del secolo scorso. www.gamtorino.it
UNICO 30 | NOVEMBRE – DICEMBRE 2014 | arte
DA NON PERDERE
FELICE CASORATI. COLLEZIONI E MOSTRE TRA EUROPA E AMERICHE Fino al 1° febbraio 2015 La Fondazione Ferrero di Alba e la GAM di Torino, in collaborazione con la Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici del Piemonte, rende omaggio al pittore torinese Felice Casorati (1883-1963) con un’ampia antologica curata da Giorgina Bertolino: si tratta di una mostra personale dedicata alla ricerca, alla storia pubblica e alla ricezione internazionale della pittura casoratiana, dagli anni ’10 ai ’50 del secolo scorso. www.fondazioneferrero.it
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UNICO 30 | NOVEMBRE – DICEMBRE 2014 | legge
a cura di Alessandro Parola - avvocato
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RIENTRO DEI CAPITALI ATTRAVERSO LA COLLABORAZIONE VOLONTARIA CON IL FISCO
voluntary disclosure I
n arrivo nuove misure per favorire il rientro e la riemersione dei capitali non dichiarati al fisco italiano. Questo l’intento del governo nel tentativo di “fare cassa”, oltre a quello di ottenere le reimmissione sul mercato di nuova liquidità. Il 16 ottobre 2014 c’è stato un primo “sì” della Camera per la cosiddetta voluntary disclosure, vale a dire un tipo di collaborazione volontaria con il fisco, che permetterà a chi ha nascosto denaro all’estero, o in Italia, di autodenunciarsi in cambio di sconti su sanzioni penali e pecuniarie. Gli obbiettivi di questa “sanatoria fiscale” sono principalmente tre: scoraggiare la detenzione di capitale non dichiarato e frutto di evasione fiscale; far emergere, reimmettendolo nel circuito dell’economia reale, un importo stimato all’incirca in 30 miliardi di euro; generare un’entrata nelle casse dello Stato corrispondente alle sanzioni ad esso corrisposte a seguito della “autodenuncia”. Non si tratta di un vero e proprio condono, si tende a precisare, in quanto l’autodenuncia – al contrario degli “scudi” previsti dai precedenti governi – non sarà anonima e si dovranno pagare tutte le tasse evase. Chi non approfitterà di questa “finestra” per mettersi in regola con il fisco, rischierà pesanti sanzioni, come vedremo in seguito, anche in relazione all’introduzione del reato di autoriciclaggio. I capitali italiani all’estero, non denunciati o solo parzialmente conosciuti, e quelli detenuti in Italia ma non dichiarati al fisco, sono stati stimati in circa 150 miliardi di euro. Nelle sue valutazioni, il governo ha ipotizzato un’adesione di circa il 20% dei contribuenti che in passato non hanno dichiarato somme al fisco italiano, arrivando quindi a stimare una cifra intorno ai 30 miliardi euro. Si presume che la metà di questo importo (circa 15 miliardi) sia costituita da risorse completamen-
te sconosciute al fisco: su questa cifra chi opta per la voluntary sarà obbligato a pagare tutte le imposte evase (soprattutto Ires e Irpef ) con un’aliquota media calcolata nella misura del 37%. La principale differenza tra la voluntary disclosure e i precedenti “scudi fiscali” varati dai precedenti governi, riguarda la mancanza di anonimato nei confronti del fisco italiano di chi decide di collaborare autodenunciandosi. Ecco, in estrema sintesi, come funzionerà la voluntary disclosure nella formulazione attuale. Vediamo chi può aderire. La collaborazione volontaria è valida per tutte le somme sottratte al fisco (sia nascoste all’estero sia in Italia) fino al 30 settembre 2014. Il tempo per cui sarà ammessa la collaborazione volontaria si protrarrà fino al 30 settembre 2015. Vanno documentati tutti i capitali e la loro provenienza, per cui non siano scaduti i termini per gli accertamenti. Vanno poi versate tutte le somme dovute, più le sanzioni (ridotte). Per le attività sotto i 2 milioni (per ogni periodo d’imposta) l’aliquota è al 27%. Se non si paga, la collaborazione non si perfeziona, mentre non è ammessa se si è già venuti a conoscenza dell’avvio di accertamenti. Inoltre, per chi fornisce dati falsi, è prevista la pena detentiva da un minimo di 1 anno e 6 mesi fino a 6 anni. L’autoriciclaggio. Una nuova norma introduce il reato di autoriciclaggio nel codice penale, proprio per incentivare l’emersione dei capitali. Chi si autodenuncia, infatti, non sarà perseguito per il nuovo reato, che sostanzialmente riguarda colui che utilizza proprie somme sottratte al fisco italiano. Si prevedono due soglie di punibilità: carcere da 2 a 8 anni e multa da 5.000 a 25.000 euro per chi, “avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, sostituisce, trasferisce o impiega in attività economiche o finanziarie denaro,
beni o altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente la provenienza illecita”. La pena è ridotta da 1 a 4 anni (e multa da 2.500 a 12.500 euro), se il reato presupposto prevede una pena inferiore nel massimo di cinque anni. Non è invece punibile ai sensi della nuova norma, chi destina il sommerso a “utilizzazione e godimento personale”, ma, appunto, solo se non c’è stato anche occultamento. In buona sostanza, il nuovo quadro normativo vuole favorire la riemersione di quanto sottratto alla tassazione del fisco, scoraggiando il protrarsi di tale occultamento. Sconti su pene e sanzioni. In relazione alle somme “riemerse” oggetto di denuncia, è esclusa la punibilità per dichiarazione infedele e per omessa dichiarazione per gli anni oggetto della sottrazione, ma anche per l’omesso versamento di ritenute certificate e di omesso versamento di Iva.
STUDIO LEGALE PAROLA - MARABOTTO - QUARANTA Corso Nizza 18, 12100 Cuneo Tel. e fax +39 0171 692855 Mobile +39 338 7339360 E-mail a.parola@studioparola.net
UNICO 30 | NOVEMBRE – DICEMBRE 2014 | motori
a cura di Riccardo Celi - giornalista automobilistico
UN SEGMENTO, QUELLO DELLE FUORISTRADA, DA NON CONFONDERE CON SUV E CROSSOVER
le fuoristrada (quelle vere)
N
el 1948 c’erano Willys Jeep Universal e Land Rover 80. Poi le vere fuoristrada si sono moltiplicate e sono nate le “addolcite”, che evocano guadi e sterrati, ma che spesso sono salotti da autostrada. Esamineremo più le prime, anche se il confine che le separa dalle seconde è labile. Land Rover offre la “dura” e iconica Defender, erede della 80. Solo diesel (2.2 da appena 122 CV, ma con buona coppia), pochi fronzoli (l’ABS si paga) e comfort da Rambo, ma è un inarrestabile stambecco dalla leggera pelle d’alluminio (tranne porte e cofano), offerto a 4, 5 o 7 posti, 3 passi, pick up o doppia cabina, da 28.600 a 35.220 euro.
La Freelander, portata a 150 o 190 CV (ma c’è anche un benzina 2.0 da 241), ha prezzi da 28.630 a 45.670 euro. La Discovery offre un diesel 3 litri (211 o 245 CV), da 45.270 a 63.107 euro. La più piccola Discovery Sport è propulsa come la Freelander (diesel da 40.200 a 57.230 euro, benzina da 35.600 a 57.250) e la sostituirà. La più stradale Range Rover Evoque a 3-5 porte non ha le ridotte, ma è compatta e con il sistema Terrain Response auto-adattabile a neve, sabbia e fango, può andare quasi ovunque. La 3 porte a benzina costa da 43.700 a 63.800 euro, mentre la diesel da 37.600 a 63.100. A 5 porte, rispettivamente
Evoluzione di un modello ideato oltre 40 anni fa, la piccola Suzuki Jimny edizione 2015 è una off road in grado di competere con vetture ben più grandi. Anno dopo anno, a partire dal 1979, la Mercedes Classe G ha saputo consolidare la sua fama tra gli amanti del fuoristrada. Nella pagina seguente: Alla Range Rover Evoque (qui in allestimento Autobiography) si deve buona parte del successo del marchio Land Rover negli ultimi annii.
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euro. Grandi 4 cilindri (3.0, 190 CV) anche per la Toyota Land Cruiser a 3 porte (41.250-59.800 euro) o 5 porte (45.300-64.900), e c’è anche un V8 4.5 da 272 CV a 80.800 o 90.800 euro. Dopo tanti lussuosi cavalli, c’è chi sorriderà davanti al 1.3 a benzina da 86 CV (75 a gpl) della piccola Suzuki Jimny che però, fuori pista, insidia certi costosi pachidermi. Da 18.100 a 19.900 euro.
La nuovissima Jeep Renegade (nell’immagine, la più completa versione Trailhawk) viene costruita nello stabilimento di Melfi e monta motori italiani. Rinnovata da poco, la Jeep Wrangler può essere considerata l’erede della leggendaria Willys degli anni 40.
UNICO 30 | NOVEMBRE – DICEMBRE 2014 | motori
42.700-62.800 e 36.600-62.100. Range Rover, che nel 1970 inventò il lusso off-road, conta 8 versioni a benzina (8V da 510 CV, 119.800-139.200 euro), 18 a gasolio (6V 3.0-249 CV o 8V 4.4-340 CV, da 94.500 a 132.900 euro) e due ibride (133.000 e 138.500 euro), dove il diesel V6 e un elettrico da 47 CV sviluppano una mega-coppia di 700 Nm tra 1.500 e 3.000 giri al minuto, tagliando consumi e CO2. Per la Range Sport, ribassata ma con passo identico, il motore a benzina (91.660-104.595 euro) è il V8 da 510 CV, mentre il V6 diesel (67.560-93.805 euro) eroga 249 o 292 CV. In casa Jeep, la Wrangler (a trazione anteriore inseribile) ricorda la mitica Willys. Monta un V6 Chrysler a benzina da 286 CV (40.000 euro) o un 2.8 a gasolio da 200 CV (da 35.200 a 46.700). Stessi motori, ma passo allungato di 53 cm, per le varianti Unlimited: da 42.000 a 49.900 euro. La rinnovata Cherokee monta un V6 3.2 a benzina da 272 CV (53.000 euro) o un 2.0 a gasolio da 140/170CV (39-52.000 euro). La Grand Cherokee (diversa anche esteticamente) offre tre unità a benzina (V6 3.6-286 CV, V8 5.7-352 CV e l’enorme 6.4 da 468 CV), a 68.600, 77.600 e 86.600 euro. Il diesel è un V6 3.0 da 250 CV, tra i 52.100 e i 72.600 euro. La nuovissima Renegade (esce da Melfi, ha motori italiani) ha esordito con un benzina 1.4 Multiair da 140 CV senza trazione 4x4 (allestimenti da 23.500 e 25.100 euro) e due diesel (1.6-140 CV e 2.0-170 CV), da 24.500 a 32.800 euro. Tra le costose Mercedes Classe G, altro mito del settore, ci sono una wagon diesel da 211 CV (90.550 euro) e l’essenziale professional da 184 CV, 73.805 euro. Poderosi i V8 a benzina 5,5 e 6 litri da 387, 544 e 612 CV (da 105.740 a 274.360 euro), un paio “vitaminizzati” da AMG, come quello del “mostro” a 6 ruote motrici, da quasi 470.000 euro. L’illustre Mitsubishi Pajero, un po’ demodé, offre un insolito diesel da 200 CV a soli 4 cilindri e versioni Metal Top 3 porte e Wagon 5 porte, da 35.900 a 51.000 euro. Il pick up L200, con trazione 4x4 inseribile, marce ridotte e un 2.5 diesel da 136/178 CV, costa da 28.350 a 38.900
QUESTIONE DI ANGOLI Maniglie di design e sedili di pelle riscaldati? Sì, ma in un buon fuoristradista si deve guardare soprattutto a cosa serve per uscire dalle situazioni difficili. Per esempio, alla presenza dell’irrinunciabile trazione integrale, permanente o inseribile, e del riduttore delle marce. Oppure all’altezza da terra, quella tra il punto più basso del veicolo e il terreno, la maggiore possibile. In funzione di questa, poi, è importante il valore di quello che è definito come “angolo di dosso”: più è ampio, meno saranno le probabilità che parti sporgenti del sottoscocca del veicolo restino appoggiate sul dosso stesso, impedendo alle ruote di far presa per superarlo. Se il motore aspirasse acqua, il conto sarebbe salatissimo, quindi anche la distanza tra il filtro dell’aria e il terreno è da valutare: più è elevata, maggiore è la capacità di guado senza preparazione. Morale: se amate l’off road, studiate con attenzione i dati del costruttore.
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UNICO 30 | NOVEMBRE – DICEMBRE 2014 | una mela al giorno
a cura del dott. Fabio Moretti - presidente EBIOS FUTURA
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SE IL BUON SENSO
si è fermato a “ebola” Q
uotidiani e telegiornali ultimamente ci fanno rivivere le cupe atmosfere manzoniane de I promessi sposi. Le immagini della peste a Milano si riaffacciano nella nostra mente, evocate dalle inquietanti e catastrofiche notizie sull’epidemia di Ebola. Naturalmente è giusto informare, ma non sfruttare la notizia per creare ingiustificati allarmismi. Viene infatti da pensare che sarebbe bello se tanto impegno fosse egualmente profuso per ricordare quanto uccide il fumo, una diffusa imprudenza nella guida, le tante droghe oggi facilmente reperibili e tanti altri pericoli con
una mortalità reale molto maggiore di quella del virus Ebola. Nemmeno, però, dobbiamo cadere nell’errore di sottovalutare il rischio: in Africa la situazione è sicuramente drammatica, la diffusione del virus è molto alta, ma in Europa, e in particolar modo in Italia, le cose cambiano. Abbiamo condizioni igienico-sanitarie completamente diverse e le strutture pubbliche sono idonee e preparate a fronteggiare qualsiasi situazione di pericolo. Inoltre, la nostra Aviazione Militare, presso la base di Pratica a Mare (Roma), ha predisposto e reso operativo un gruppo di specialisti per l’isolamento e il trasporto veloce di persone ad alto rischio di contaminazione, dotandolo di tutte le più moderne tecnologie, con personale di elevatissima preparazione. Il gruppo ha organizzato e attuato un programma di formazione per trasmettere le proprie conoscenze a specialisti appartenenti a tutti i corpi militari e di pubblica sicurezza italiani. Gino Strada, presidente di Emergency, è in Africa in prima linea nella lotta al virus Ebola e sulla situazione ha dichiarato: “In realtà, è in Africa che Ebola va fermata, è qui che si combatte la vera battaglia, difficile ma non impossibile. Abbiamo bisogno di attrezzature, farmaci e altre risorse, ma quello che più ci occorre è personale medico e paramedico. Lavoriamo in condizioni ambientali proibitive: dobbiamo indossare tute di isolamento che ci proteggono dalla contaminazione, ma aumentano di tanto la sudorazione, già alta per il caldo, per cui un operatore non le può indossare per molto tempo. Abbiamo avuti molti svenimenti per la disidratazione, ma Ebola si può sconfiggere ed è qui in Africa che va circoscritta, isolata, con un’opera di assistenza e di cura ai contaminati,
perché Ebola si può curare, resistendo fino al perfezionamento del vaccino”. Importante quest’ultima affermazione del medico fondatore di Emergency: Ebola si può curare e i veri pericoli potrebbero nascondersi proprio nei suoi numeri e nella politica. Un’azione efficace contro una malattia spesso è legata anche al suo reale impatto: si pensi che l’ultima epidemia ha contagiato circa 5.000 persone e, nello stesso periodo, la malaria in tutto il mondo ha colpito circa 200 milioni di individui. Nel caso dell’attuale epidemia, i numeri saranno sicuramente più elevati perché i Paesi colpiti, Guinea, Sierra Leone e Liberia, vengono da anni di instabilità politica, hanno confini poco definiti e controllati, e capitali ad alta densità abitativa vicine alle foreste, condizioni che rendono la situazione estremamente rischiosa. Ebola è apparsa più volte e scomparsa senza lasciare tracce di sé anche per anni, poi quando il virus riappare, muta. Il suo genoma non è a doppia elica (passando cioè da un organismo all’altro si replica quasi esattamente ed è quindi facile da studiare): le zoonosi come Ebola hanno una singola elica che si riproduce con una quantità di errori maggiore, pertanto, si presenta spesso diversa in ogni essere vivente, rendendo la ricerca molto più complessa. Comunque gli studi sul vaccino sono andati avanti e ancora una volta è l’eccellenza italiana ad essere all’avanguardia: nei laboratori Okairos di Napoli e Pomezia si combatte contro il virus e il tempo, con importanti risultati. Ma non dimentichiamo che è altrettanto importante la conoscenza di Ebola e dei meccanismi di contagio tramite i fluidi corporei, che non deve prescindere dalla fiducia nelle istituzioni impegnate in modo efficace a proteggerci.
a cura di Giovanna Foco - Giornalista ex redattore infografico “Class CNBC”
UNICO 30 | NOVEMBRE – DICEMBRE 2014 | money, money, money
PER CRESCERE OCCORRE INVESTIRE, MA ANCHE
comunicare S
i parla in questi giorni della scelta di Unicredit di destinare alle piccole e medie imprese del Piemonte 800 milioni di euro, circa il 10% del totale nazionale (7,7 miliardi), grazie ai fondi ottenuti dalla BCE, la Banca Centrale Europea. Serviranno a potenziare l’attività creditizia della banca che nei primi nove mesi del 2014 ha erogato circa 500 milioni di finanziamenti alle imprese piemontesi. Ma è sufficiente investire oppure occorre anche informare? Ci vuole talento per comunicare? Che ruolo ha l’ufficio stampa? Serve ancora il giornalista? E lo studente del Liceo Classico che si diletta di scrittura nel blog dei letterati è un comunicatore? E la segretaria che usa così bene il congiuntivo è efficace? Alcuni spunti sono emersi nel convegno “Comunicazione, ci vuole talento – Prove di dialogo tra aziende e organi di informazione”, promosso da Hr Campus Granda, e organizzato da Professione Lavoro e dallo studio giornalistico Autorivari, nella cornice suggestiva dell’Università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo. Nuovi media narrati tra mattoni secolari. Enrico Postiglione, docente all’Università di Torino, afferma: “Da ormai dieci anni è in atto un cambiamento radicale del modo di relazionarsi con i media da parte delle aziende. L’avvento dei social media non permette più il controllo delle informazioni. Le aziende saranno sempre più sottoposte a seri rischi se non esiste un presidio dedicato a questo controllo. Ormai le notizie girano in rete e sono difficilmente governabili per via di infiniti ‘non-giornalisti’ che si comportano come fonte di informazione per un numero crescente di imprese e organizzazioni complesse”. Francesco Antonioli, giornalista de “Il Sole 24
Ore”, sottolinea: “Imprenditori e manager devono conoscere come funziona la comunicazione per poterla anche dominare, governare o saperci convivere con una certa abilità. Con un consiglio: mai nascondere la realtà dei fatti, buona o cattiva che sia. Un’informazione trasparente, alla fine, paga sempre nel rapporto con i media”. Stefano Bosco, giornalista di Spazi Inclusi, argomenta: “Le aziende hanno bisogno di comprendere quali dinamiche e problematiche si celano dietro il lavoro del consulente di comunicazione che si rapporta con i giornalisti delle redazioni. È importante fare in modo che si crei un rapporto sempre più stretto tra media e aziende, facilitando una relazione che sia strumento per lo sviluppo e la creazione della reputazione dell’impresa stessa”. Testimonianza accorta anche quella di Mauro
Davico, direttore comunicazione del Gruppo Miroglio, che conclude: “Essenziale è trovare una modalità corretta per esprimere il nostro lavoro, che non può prescindere da un atteggiamento che sia il più etico possibile, evitando relazioni di arroganza con i media e facendo passare sempre informazioni vere e interpretabili in maniera corretta”. Ecco dunque, svelato l’arcano: ben vengano i new media. Senza dimenticare, però, che il giornalista è lo specialista che crea valore aggiunto alle conversazioni, attraverso processi di verifica e analisi. Il Codice deontologico è lo strumento che punisce o premia. E, in ultima ratio, rimane la coscienza: “La dannazione ognuno se la porta dentro, seminando la sorte della notizia”. Numeri. Parole. Economia e destino.
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UNICO 30 | NOVEMBRE – DICEMBRE 2014 | esserci
VENERDÌ 3 OTTOBRE A CUNEO HA APERTO IL NUOVO “LAGO STORE”
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photo: Lucia Mondini:
design protagonista La catena monomarca del design italiano già presente in molte città con il noto format (un negozio compatto e innovativo), ora è anche a Cuneo. In molti hanno condiviso e festeggiato l’evento insieme alla famiglia Giuliano-Rabellino, proprietaria dello store, che vanta anni di esperienza nel campo dell’arredo e delle cucine, con lo storico marchio “4C” e che qui passa il testimone alla giovane Marta Rabellino, designer d’interni che dirigerà lo spazio di Via Carlo Emanuele 35. La serata, intitolata #settemezzanotte, ha visto alternarsi DJ-set, proiezioni video, vino e finger food. Numerosi i professionisti dell’architettura presenti, tra cui spiccavano alcuni nomi del design nazionale. Simpatica la scenografia che ha fatto da cornice all’evento, con la divertente poltroncina Lastika protagonista: nastri e intrecci coloravano l’allestimento che ha invaso gli spazi urbani e l’elegante area lounge creata in esterno, richiamando lo stile informale dell’oggetto di design. Il nuovo negozio si propone come un “appartamento-tipo” che supera di poco i 100 mq, con
ambientazioni immediatamente riconducibili a qualsiasi abitazione urbana, dimostrando come il concetto che sta alla base della filosofia Lago si possa adattare e inserire in ogni spazio, con grande malleabilità e versatilità, per interventi sempre unici e originali. “Crediamo fortemente in questa visione sistemica e innovativa di intendere gli interni – ci racconta Marta Rabellino – e nella collaborazione con architetti e progettisti interessati a scambiarsi informazioni, per mettere in atto strategie di co-working stimolanti, coinvolgenti e con nuove opportunità di crescita”. In esposizione una ventata di novità: il letto sospeso che fluttua nella sua solo apparente leggerezza, librerie e mensole che sfidano, con la loro infinita componibilità, anche il più azzardato progettista, o le cucine talmente integrate con la propria tecnologia avanzata, da sembrare più armoniose e lievi grazie al vetro e ai colori. Ma anche il bagno, la camera dei ragazzi e l’imbottito sono piacevoli sorprese da provare e immaginare in casa propria...
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qui pourrait devenir un travail dans le futur. Dans ce domaine aussi il y a la crise. Mais mon conseil est de ne pas avoir peur d’aller étudier à l’étranger, et surtout de considérer que pour faire ce métier il faut être prêt à faire face aux changements, parce-que on peut gagner un concours à Rome comme à Vienne et il faut se déplacer. Et il faut toujours donner le mieux. La musique ne laisse pas d’alternatives. Il faut se consacrer entièrement”.
expositione voiture anciennes monaco de Marco Jorio – pg 22
l’orchestre symphonique de la rai de Nicola Ferrero – pg 18
Nombre d’entre nous connaissent l’orchestre symphonique national de la RAI à travers ses concerts les plus renommés : celui du jubilé sacerdotal de Jean-Paul II sur la place Saint Pierre à Rome, le concert de la solidarité avec la ville de Turin pour la restauration e la chapelle de Guarini après le terrible incendie de 1997, les concerts de la Fête de la République et celui joué place du Quirinal le 1er janvier 2000. Ces dernières années, l’orchestre a grandement participé à trois films-opéras au succès planétaire : en juin 2012, Cendrillon, retransmis en direct sur RAI 1 et en mondovision depuis Turin, sous la direction de Gianluigi Gelmetti et la mise en scène de Carlo Verdone ; en 2010, Rigoletto, toujours retransmis en direct par RAI 1 et en mondovision depuis Mantoue, sous la direction de Zubin Mehta et Marco Bellocchio à la mise en scène, et, en 2000, la Traviata à Paris, de nouveau sous la direction de Zubin Mehta, qui s’est adjugé le prestigieux Emmy Award du meilleur spectacle musical de l’année. Une histoire faite de succès, de tournées, de saisons et de reconnaissances, démarrée en 1994 et qui fête donc ses 20 ans. Avant cette date, les orchestres symphoniques de la RAI étaient au nombre de quatre : Turin, Milan, Rome et Naples. Il fut décidé, en 1994, de les réunir et de choisir Turin comme siège principal, là où le premier orchestre RAI vit le jour en 1931. Au cours de ces vingt années, des chefs de renommée mondiale se sont succédé sur l’estrade : de Claudio Abbado à Rostropovič, de Zubin Mehta à Elihau Inbal. Aujourd’hui, le directeur principal est le jeune et talentueux slovaque Jurai Valčuha, le surintendant est Michele dall’Ongaro et la direction artistique a été confiée à Cesare Mazzonis. La saison 2014-2015 s’annonce riche en surprises, en tournées internationales et en concerts à ne surtout pas manquer ! Pour une liste exhaustive, consulter le site www.orchestrasinfonica.rai.it. Pour mieux comprendre le fonctionnement d’un orchestre symphonique et pour satisfaire notre curiosité, nous avons interviewé Alberto Occhiena, 33 ans, percussionniste. Comment entre-t-on dans l’orchestre symphonique de la RAI ? « À travers un concours international. Évidemment, nous présentons nos titres d’étude, le conservatoire, les cours de spécialisation. Ce sont ensuite les sélections, tout d’abord anonymes : les juges ne connaissent pas le musicien mais uniquement son numéro. L’essai s’effectue derrière un rideau pour ne pas influencer les juges. Ceux qui sont choisis, passent un autre test. Pour vous donner une idée, mille demandes sont arrivées cette année pour une quinzaine de postes à pourvoir ». Jouer dans un orchestre de plus de 100 musiciens : que signifie répéter, se déplacer, partir en tournée ? « Nous avons évidemment besoin d’une importante organisation logistique. Nous changeons de programme quasiment toutes les semaines : nous changeons de chef, de solistes et de morceaux. Lors de nos déplacements, nous utilisons deux cars et souvent un charter entier pour nos transferts en Europe ». Comment se déroulent les répétitions ? « En pleine saison, ce sont deux concerts par semaine en moyenne et l’on commence les répétitions le lundi : trois jours de répétition et la répétition générale la matinée du premier concert. Les répétitions se réfèrent toujours à un concert ; par exemple, aucune journée d’étude ou d’harmonisation n’est prévue. Ce que le public ne comprend peut-être pas, c’est que notre travail ne s’arrête pas là : il arrive souvent que l’on prenne les partitions et que l’on commence à travailler seul, chez soi ». Quel est le rapport entre les musiciens et le chef d’orchestre ? « Pour comparer avec le sport, le chef serait l’entraîneur d’une équipe de football, mais un entraîneur qui changerait toutes les semaines. En rappelant que l’équipe, c’est-à-dire l’orchestre, change sa façon de « jouer » en fonction de l’entraîneur. Évidemment, il n’en est pas de même avec le chef principal, avec lequel nous passons plus de temps et faisons plus de répétitions : il sait apprécier nos qualités et nos défauts car ils nous connaît mieux ». Les chefs d’orchestre ont-ils des caractères et des styles différents ? « Sans nul doute, et pour moi encore plus. Je sais que c’est difficile à comprendre, mais c’est ainsi : par exemple, nous avons joué Rigoletto à Mantoue, il y a quatre ans, sous la direction de Zubin Mehta avec lequel nous n’avions jamais joué. Je dois dire que ces deux semaines ont été magnifiques. Son charisme y a été pour beaucoup et l’orchestre a vraiment changé ». Légende : Alberto Occhiena, percussionniste, joue des cymbales, du vibraphone, du xylophone, du triangle, du marimba et de la batterie. As-tu quelques souvenirs liés à des concerts ou événement particuliers? «Je ne sais pas, pendant ces années je n’ai eu que de très belles expériences. Mais un évènement qui m’a particulièrement touché a été le concert à Beethoven sur la Place San Carlo à Turin, l’an dernier, devant 10.000 personnes». Tu conseillerais à un jeune, aujourd’hui, une carrière dans le domaine de la musique? «La musique est une école d’apprentissage de la vie et je crois qu’il est important de la cultiver au delà de ce
Nous pourrions le définir, comme dans Pinocchio, un petit « Pays des Joujoux » pour les passionnés de moteurs si les voitures exposées pouvaient être achetées, alors même que certaines sont sans prix. On ne pourra que les admirer, apprécier leur état de conservation et, surtout, le charme qui en émane. Ce sont les véhicules de l’exposition de voitures anciennes de la collection de S.A.S. le prince de Monaco, qui se tient aux Terrasses de Fontvieille, la zone la moins fréquentée par les touristes et donc celle qui pourrait échapper au visiteur distrait. Et ce serait dommage car, pour les amateurs de moteurs, cette collection est incontournable, avec ses 108 véhicules de toutes les époques, souvent prestigieux, y compris le carrosse du grand-père du Prince Albert. Nous découvrons cette exposition fabuleuse, ouverte tous les jours de 10h00 à 18h00 – sauf le jour de Noël – en compagnie du directeur du musée, Philippe Renzini, qui nous explique qu’elle sera associée, jusqu’au 30 novembre, à une exposition de motos d’époque (de 1902 à 1980). Des pièces uniques en provenance de toute l’Europe rassemblées par André Mazzoni, responsable de l’exposition temporaire et président du club « Motos et scooters de Roquebrune-Cap-Martin ». Avec ces deux cicérones d’exception, nous avons pu mieux connaître les modèles exposés et les anecdotes qui s’y rattachent. La passion pour les voitures a porté son altesse Rainier de Monaco à enrichir sa collection à partir de la fin des années 50, et à l’ouvrir ensuite au public en 1990. Quatre-vingt pour cent des véhicules ont été utilisés par la famille princière dans leurs déplacements officiels. Certains ont été achetés, d’autres offerts. Au début de la visite, est également exposée la moderne Lexus LS 600 H, la voiture hybride au toit transparent, que le Prince Albert a utilisé lors de son mariage avec Charlène Wittstock, aujourd’hui en attente d’un heureux évènement. Tous les véhicules exposés – à l’exception des bolides de la Formule Un – sont en état de marche, y compris la première voiture de la collection acquise par le Prince Rainier : une De Dion-Bouton de 1903, rappelant un carrosse, mais avec des pièces mécaniques en vue, qui en font une pièce unique. « Au fil des ans, certains modèles, achetés en double ou en triple exemplaire, ont été vendus, comme, par exemple, quelques Citroën à traction avant. Le Prince Albert a acquis dix nouvelles automobiles à la mort de son père, afin d’agrandir la collection » explique Philippe Renzini, qui nous révèle que « des travaux ont déjà été lancés et que, d’ici à 3 ou 4 ans, l’exposition sera déplacée sur une zone plus centrale, proche du circuit du Grand Prix ». Énumérer les marques exposées pourrait suffire à faire comprendre la portée historique de la collection : De Dion-Bouton, Napier, Delage, Cadillac, Lincoln, Rolls Royce, Jaguar, Mercedes, Chrysler, Ferrari, Lamborghini, Alfa Romeo jusqu’à Citroën, Renault, Fiat. Ce sont évidemment des pièces uniques et très particulières ou bien curieuses comme la Fiat 600 Jolly avec son aménagement intérieur en osier. L’exposition permet d’admirer des voitures utilisées lors d’occasions particulières, comme la Bugatti Type 35 conduite par William Grover-Williams lors de sa victoire au premier Grand Prix de Monaco en 1929, ou la très récente Citroën DS3 WRC, avec laquelle Sébastian Loeb a gagné le rallye de Monte Carlo en 2013. Parmi les voitures les plus représentatives, se trouve également la Peugeot 205 Turbo 16, produite uniquement en 200 exemplaires pour dominer les rallyes dans les années 80. Les bouchons de radiateur, ou mascottes, montés sur les capots des voitures d’époque (aujourd’hui interdits pour des raisons de sécurité) sont vraiment fascinants : du célèbre « The Spirit of Ecstasy » de la Rolls Royce, au jaguar élancé du constructeur du même nom. Une curiosité : la collection de vases soliflore, qui décoraient les capots des voitures anciennes. Outre les flamboyantes « rouges » de Maranello, sont exposés les bolides de Formule Un les plus modernes, parmi lesquels celui de Kimi Räikkönen et la toute récente Mc Laren de Lewis Hamilton, placée à l’entrée de l’exposition. On ne peut estimer la valeur de l’ensemble de la collection, ni d’ailleurs celle de chacun des véhicules exposés : « celle qui présente la plus grande valeur affective pour le Prince Albert est, sans nul doute, la Renault Florida ayant appartenu à sa mère : un modèle de 1959 offert par le constructeur en deux exemplaires à Grace Kelly et Brigitte Bardot » explique Philippe Renzini. À ce jour, la voiture, quasiment dans son état d’origine, se trouve aux Pays-Bas pour une exposition temporaire. Ce n’est pas la seule voiture en vue de la Princesse Grace : la Sunbeam Alpine de 1954, utilisée lors des reprises de « La main au collet », film d’Alfred
Hitchcock où la future princesse parcourt les rues de la principauté en compagnie de Cary Grant. Ce fut là l’occasion de connaître son futur époux le prince Rainier. Le salon d’exposition propose des évènements spéciaux organisés par les plus prestigieuses marques automobiles, comme au Grand Prix de Monaco, et prépare d’autres expositions temporaires à thème. Une visite à ne pas manquer, à quelques kilomètres de la frontière franco-italienne : l’exposition ne manquera pas d’enthousiasmer les visiteurs, experts ou pas de moteurs, qui se laisseront charmer par l’histoire et le design de ces voitures parmi les plus belles au monde.
prisonniers et chevaliers au château la castiglia de saluces Le musée de la mémoire carcérale et le musée de la chevalerie Deux mondes antithétiques partagent les espaces du musée de la Castiglia de Saluces, deux musées, en vérité, comme la double âme de l’immeuble. Dans les souterrains, le Musée de la mémoire carcérale, le premier en Italie; au troisième étage, le musée de la chevalerie. Ensemble, ils ont le but de lancer la Castiglia dans le panorama des musées soit au niveau italien soit international. “Il y a deux aspects de l’homme - ce sont les mots de l’évêque Monseigneur Giuseppe Guerrini le jour de l’inauguration le 22 février 2014 – celui de l’homme qui souffre et cherche à se racheter et celui de l’homme riche en espoirs; en même temps fragilité et richesse humaine. Un regard significatif pour être conscient de ce qu’on est et de de qu’on a fait”. Un million 750 milles euros le coût de la réalisation: un million provenant des fonds européens, 750 milles euros de la municipalité de Saluces. Une oeuvre fortément voulue par la précédente administration Allemano, accomplie par un groupe de professionnels composé par: Rinaldo Comba et Massimiliano Caldera pour le Musée de la civilisation courtoise, Claudio Sarzotti, de l’Université de Turin pour le musée de la Mémoire carcérale, ensuite Ugo Mauro responsable du projet architectural avec Federica Maffioli, Enrico Baldacci, Andrea Ruggeri. Le musée de la chevalerie « L’Europe et Saluces : la culture de Saluces en tant que phénomène d’importance européenne. On ne comprend l’histoire de Saluces que si on la relie à l’histoire de l’Europe, explique l’organisateur Comba, président de la société des études historiques, archéologiques et artistiques de la province de Coni. L’opération met en avant l’identité culturelle du marquisat du XIIe au XVIe siècle. Les mariages, les carrières ecclésiastiques et militaires, les références littéraires, parmi lesquelles les contes de Griselda et du Chevalier Errant, placent Saluces et certains de ses représentants au centre d’un système de relations impliquant la Papauté, l’Empire, l’Angleterre, le royaume de France et le royaume d’Aragon, ainsi que les Angevins, le duché de Milan, la Sicile, la Sardaigne, les grands et les petits États de la péninsule ». Le dispositif narratif se développe en circuit dans 11 salles sur un parcours total de 800 mètres et porte le visiteur dans une dimension dynastique, immergé dans des scénographies d’éléments architecturaux du Moyen-âge et de la Renaissance piémontaise, également restituées à travers des décorations murales. Une atmosphère modernisée du glorieux passé, avec des écrans multimédia ou en contraposition à travers des modèles en bois et des moulages en plâtre. Chacune des salles reprend un thème de la chevalerie et de la cour du marquisat. La première étape débute par l’idéologie chevaleresque de la « Naissance de la principauté ». Le visiteur entre ensuite dans la salle des « Sœurs, hommes d’église et hommes d’armes » dédiée aux rapport entre les marquis et le pouvoir de l’église, explique, dans son rapport scientifique, Massimiliano Caldera de la surintendance des biens artistiques du Piémont. La salle successive est dédiée « au mythe de Griselda, épouse de Gauthier, connue dans l’Europe entière et célébrée par Boccace et Pétrarque come modèle de constance et de fidélité conjugale » et porte au chapitre sur Thomas III auteur du Chevalier errant, dont deux manuscrits virtuels sont présentés. On atteint ensuite la salle des « Femmes de Saluces en dehors de tout mythe ». « Il s’agit de Richarde Visconti, Richarde de Saluces épouse de Nicolas III d’Este, Blanche de Saluces épouse de Vitalien Borromée, des femmes qui ont compté dans les vicissitudes de la dynastie et qui introduisent le thème des rapports politiques et culturels avec les autres cours : Milan, Ferrare, Casale - illustre l’organisateur. La septième étape
traite des « Saints et héros de Saluces » et accentue la dévotion aux saints guerriers Constant et Chaffre (Costanzo et Chiaffredo) , juste avant les salles dédiées à Ludovic II, le prince, le condottière ». Mais c’est un prélude à la « Fin d’un rêve » symboliquement représenté, dans la dernière salle du musée, par le portrait de Charles Emmanuel Ier de Savoie à qui revint définitivement le marquisat par le traité de Lyon. Le musée de la mémoire carcérale - Les mémoires de gardiens et de voleurs Il marque l’imaginaire collectif et se propose comme le premier musée italien dédié au témoignage de la prison moderne. Le parcours multimédia se développe sur 500 mètres dans les anciennes cellules d’isolement du château-prison La Castiglia. « La prison de Saluces a été importante. Elle a traversé une grande partie de l’histoire du royaume de Sardaigne et de l’État National. Depuis son inauguration en 1828, elle a accompagné le Risorgimento, les première décennies de l’Unité nationale, les deux décennies fascistes, l’avènement de la République, jusqu’à sa fermeture en 1992 ; à ces différentes périodes historiques, ont correspondu différentes conceptions de la peine et différents choix de la politique criminelle - explique Claudio Sarzotti de l’Université de Turin, conservateur du musée. Le lycée Soleri-Bertoni de Saluces, des professeurs et des opérateurs pénitenciers ont participé à son aménagement. Des anciens détenus et des habitants de Saluces ont été interviewés sur leurs souvenirs d’une prison qui se situait en plein centre historique de la ville et qui « dialoguait à travers les grilles » avec les passants et les touristes. Art et prison dans le cinéma, la littérature et la musique : des dessins oniriques de Piranesi à ceux réalisée en prison par Aligi Sassu à Fossano lors de la période fasciste, au célèbre tableau de Van Gogh « La ronde des prisonniers », reproduit par un artiste. Ensuite, une bibliothèque multimédia sur le thème de la captivité. Le parcours du musée présente également une exposition d’affiches cinématographiques « Prison movie ». Le long des étroits corridors, où le regard découvre, à travers les judas des portes, des scènes carcérales, jusqu’aux petits objets retrouvés dans les cellules du château La Castiglia lors de son démantèlement en tant qu’établissement pénitencier. “Nous avons cherché à reconstruire son Histoire à travers les petites histoires des protagonistes, en utilisant les mémoires “des guardiens et des voleurs” – dit Sarzotti. Dans le cadre de l’Histoire entrent des personnages très connus, tels que Tocqueville, Bentham , Lombroso, Pellico, Giulia Faletti Colbert, Cavour. Il y a des guardiens et des fontionnaires, des brigands dangéreux et des pauvres marginaux en prison à cause de petits crimes”. Enfin, un chapitre à part est dédié à la déportation du peuple vaudois, dont la Castiglia fut tristement protagoniste vers la fin du XVIIème siècle, et une autre importante partie est dédiée aux détenus antifascistes.
UNICO 30 | NOVEMBRE – DICEMBRE 2014 | traduction francaise
de Vilma Brignone – pg 36
Horaires: Le Musée de la Chevalerie et de la Mémoire carcérale sont ouverts : tous les samedis 15/19 heures; tous les dimanches et la fête de la Toussaint (1er novembre): 10,30/13 - 15/19 heures. Visites guidées à l’intérieur de l’établissement à 16 heures 30 et à 17 heures 30. Info: Office de Tourisme IAT Tél. 0175 46710.
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