TrentinoMese Aprile 2020

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appuntamenti, incontri e attualità trentina

ANNO XXVIII N. 338

euro 3,00 www.trentinomese.it

APRILE 2020

I MATRIMONI DEL MESE

TEATRI TRENTINI IN LETARGO (FORZATO) I DIRETTORI DICONO CHE...

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NE/TN. Contiene i.p. In caso di mancato recapito inviare al CDM di TRENTO per la restituzione al mittente previo pagamento resi.

SOLIMAN, L’ELEFANTE IL REGALO DI NOZZE PIÙ INGOMBRANTE DELLA STORIA “APRIAMO LE VIRGOLETTE” L’INIZIATIVA DI ELISA E FEDERICO

“MILANO MODA DONNA” DAL NOSTRO INVIATO MARCO CONSOLI

“CARO MAESTRO...” CHI E QUANTI SONO GLI UOMINI “IN CATTEDRA” IN TRENTINO

LA GRANDE PAURA ABBIAMO PROVATO A RACCONTARE QUESTI GIORNI DI EMERGENZA IN MANIERA DIVERSA, UN PO’ PIÙ LEGGERA, MENO LEGATA ALLA STRETTA ATTUALITÀ E PIÙ PROTESA ALLA RIFLESSIONE Con articoli e testimonianze di: Pino Loperfido, Fiorenzo Degasperi, Fabio Peterlongo, Silvia Tarter, Tiziana Tomasini, Denise Fasanelli, don Giulio Viviani e Omar Maurina


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Consumo ciclo combinato gamma Suzuki Hybrid: da 4,1 a 4,9 l/100km (NEDC correlato), da 5,0 a 6,4 Seguici sui social gamma Suzuki Hybrid: da 4,1 a 4,9 l/100km (NEDC Consumo ciclo combinato l/100km (WLTP). Emissioni CO₂: da 94 a 112 g/km (NEDC correlato), da 113 a 145 g/km (WLTP). *Prezzo suzuki.it CO₂: da 94 a 112 g/km (NEDC correlato), da 113 a 14 e suEmissioni l/100km (WLTP). promo chiavi in mano riferito a IGNIS 1.2 HYBRID COOL (IPT, PFU e vernice met. escluse), presso i promo in mano riferito a IGNIS 1.2 HYBRID COOL (IPT, PFU e vernice m Consumo ciclo combinato gamma Suzuki Hybrid: da 4,1 a 4,9 l/100km (NEDC correlato), da 5,0 achiavi 6,4 Seguici Consumo ciclo combinato gamma Suzuki Hybrid: daimmatricolazioni 4,1 a 4,9 l/100km (NEDC correlato), da 5,0 a 6,4 Seguici sui social 30/04/2020. concessionari che aderiscono all’iniziativa e per entro il XX/XX/XXXX. sui social concessionari che aderiscono all’iniziativa e per immatricolazioni entro il XX/X l/100km (WLTP). Emissioni da a94112 a 112 g/km (NEDC correlato), da 113 a 145 g/km (WLTP). *Prezzo e suesuzuki.it su suzuki.it l/100km (WLTP). Emissioni CO₂:CO₂: da 94 g/km (NEDC correlato), da 113 a 145 g/km (WLTP). *Prezzo promo chiavi in mano riferito a IGNIS HYBRID COOL e vernice met. escluse), presso promo chiavi in mano riferito a IGNIS 1.2 1.2 HYBRID COOL (IPT,(IPT, PFUPFU e vernice met. escluse), presso i i concessionari aderiscono all’iniziativa e per immatricolazioni entro il XX/XX/XXXX. concessionari cheche aderiscono all’iniziativa e per immatricolazioni entro il XX/XX/XXXX.



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RING di Tiziana Tomasini

a mali estremi COME L’ISOLAMENTO CASALINGO TI CAMBIA IL LOOK. COMODO, PRATICO, MA... OCCHIO ALLA VIDEOCHIAMATA IN ARRIVO!

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on c’è niente da fare: le restrizioni stabilite per affrontare l’emergenza sanitaria causata dal diffondersi del Covid-19, stanno condizionando e mutando radicalmente la vita quotidiana di tutti, in ogni aspetto e sotto tanti e diversificati punti di vista. Prendiamo ad esempio un ambito se vogliamo leggero, ma perfettamente in grado di rispecchiare il momento particolare che stiamo vivendo: il nostro modo di vestirci ed aggirarci per la casa e fuori. Infatti, quasi simultaneamente, al motto di #iorestoacasa, abbiamo tutti smesso i panni di quelli che si mettono in tiro, andando ad archiviare in un blitz – definendoli ormai come inservibili – giacchettine da ufficio, tacchi da aperitivo, jeans di tendenza. Ma non è tutto. Ci siamo proprio spogliati del superfluo e siamo ritornati alla nostra versione più naturale, quasi primitiva. Un look primordiale insomma. Eccolo in sintesi. PIGIAMA H 24 È la tentazione per eccellenza. Dal letto alla scrivania, dalla cucina al divano il passo è breve. E farlo in pigiama diventa la cosa più naturale – e comoda – del mondo. Ognuno ha il suo modello preferito, che spesso è quello più scalcagnato, scolorito e consumato…ma guai a chi lo tocca! Gli esperti di moda consigliano di toglierlo appena alzati, per non cedere al pigiama h 24; come a dire, uno strappo duro e via. Certo è dura! Così morbido, caldo e rassicurante! LA TUTA GRIGIA Considerata il piano B al sopra citato completo da letto, la tuta sta guadagnando posizioni considerevoli nel look casalingo da pandemia. Si rispolverano quelle più sportive e griffate ma la più trendy rimane quella classica grigia, stile anni Ottanta. Sì, quelle un po’ spesse, ben felpate, di quel grigio chiaro appena un po’ striato… E ampie, soprattutto ampie. Quasi oversize. Come a dire, sotto sotto, prendiamocela comoda. PELO E CONTROPELO Tutto il settore che va sotto la dicitura “cura alla persona” è chiuso, si sa. Ma ci sarà un rasoio in casa no?! Eppure si tende a lasciarsi andare. Ci girano intorno baffi & baffetti nonché grossi barboni informi in stile australopiteco. E poi, senza l’obbligo di presentarsi in piscina, in palestra, al corso di questo e di quello lisci e senza peli superflui, chi si depila? Quando abbiamo fatto l’ultima ceretta o 6

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dato l’ultima passata di lametta? Direi dai tempi del primo decreto Conte. TRUCCO E PARRUCCO Anche i vip e gli influencer del momento si sono presentati sui social in versione “nature”. In questi giorni sfilano sul web facce struccate, sguardi meno magnetici e labbra spente. Anche noi ci aggiriamo così tra le mura domestiche e ci piace. La pelle respira aria di libertà e questo nuovo stile meno chiassoso ed appariscente si rispecchia con la nuova consapevolezza: conta l’essenziale. Come la ricrescita, che sta guadagnando vantaggio sulla tinta. L’avanzata inesorabile della nostra vera identità. #IONONSTIRO L’equazione è semplice: non esco di casa, non stiro. Al massimo piego ed archivio negli armadi. Ma ti pare che mi metto a stirare? Diamo la precedenza al lavaggio di tende e copridivano, piuttosto! Al ferro da stiro ci penseremo più avanti. Seguendo lo stile minimalista che impera in questo momento, stirare diventa allora superfluo, quasi assurdo. Eccoci quindi tutti un po’ sdruciti e stropicciati, con qualche piega in più. Anche nell’anima. E PER ANDARE A FARE LA SPESA MI METTO… Inevitabile che caschi l’occhio mentre siamo in fila per entrare nel supermercato. Anche a metri di distanza, notiamo che qualcosa è cambiato nel nostro modo di essere. E di vestire. Come se guanti e mascherina avessero azzerato ogni attenzione per il look. In questa quarantena abbiamo visto in coda con la borsa della spesa sandali tedeschi con calzettone da montagna, giacche a vento anni Novanta (quelle da sci con la grafica dei cartoni di Mazinga Z), capi da fondo di cassetto nonché abbinamenti cromatici improbabili. Forse tutto questo alla fine ritornerà lì da dov’era partito. O in un sacco giù in cantina, con la scritta CORONAVIRUS, da mostrare a nipoti e pronipoti. IL LOOK DA VIDEOCHIAMATA Una scusa – soprattutto all’inizio – l’abbiamo trovata tutti. “No, guarda, siamo qui in tanti in questo momento…” “Mah… sono incasinata oggi, facciamo domani?” “Ho la pizza in forno, non posso!” Ma arriva per tutti, prima o poi, il momento top dell’evoluzione tecnologica della specie: la videochiamata. Quando sei costretto a capitolare, devi prima di tutto organizzarti il set. Avere alle spalle uno sfondo decente, un contesto adatto, insomma. I più scelgono la libreria. E se io ce l’ho in corridoio? Beh, chi se ne frega, mi metto col pc fuori dal bagno ed è fatta. Peccato che debba sempre passare qualcuno che in piena live ti dice: “Libero o occupato?” “Ma cosa fai qui seduta davanti al bagno?” “Devo fare la doccia!” E poi per la videochiamata devo vestirmi. Ma in realtà basta il pezzo sopra, giusto? Quindi tuta e pantofole dalla vita in giù; camicetta, maglioncino e un giro di collane in aria di telecamera. Mi faccio ridere da sola. Conclusa la diretta, si tira tutti un sospiro di sollievo. E per piacere, torniamo subito al vero look. Quello primitivo.



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RING di Fiorenzo Degasperi

scempi ed esempi PALAZZI E MONUMENTI TRASFORMATI IN QUINTA TEATRALE. DALLA SCENOGRAFIA DEL POTERE ALLA SOLIDARIETÀ

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rima che il Comune di Trento illuminasse il Doss Trento con i colori verde, bianco e rosso, sulla scia di quanto fatto a Roma con il Colosseo e a Milano con il Duomo, il tricolore era già apparso sulle millenarie pietre del muro della Città Vecchia di Gerusalemme, affiancandosi alle scenografie tricolori del palazzo del Comune di Tel Aviv. A ruota il Comune di Sarajevo, l’appuntito grattacielo del Burj Khalifa di Dubai (il più alto del mondo), il vecchio ponte della città di Mostar in Bosnia-Erzegovina e decine e decine di città italiane e di tutto il mondo. Un gesto di solidarietà profonda, immediata e, al tempo stesso, teso a tener accesa la speranza in questo momento così buio. Utilizzare i monumenti, i palazzi, le case e i castelli come vetrina per trasmettere (comunicare) le emozioni di solidarietà non è una novità (al di là di ogni possibile e gratuita – oggi – polemica Alpini-Schützen). Le radici di quanto è accaduto oggi le troviamo, almeno per quanto riguarda Trento, già nel Rinascimento con Bernardo Clesio e, subito dopo, con venature manieriste e anticlassiche, con Cristoforo Madruzzo, seppur non come segno di partecipazione emotiva ma come veicolo di propaganda del potere dei principi-vescovi. Il poema di Pietro Andrea Mattioli, Il Magno Palazzo del Cardinale di Trento descritto in ottava rima (Venezia, Francesco Marcolini editore, 1539) narra di quanto avvenne in città in occasione delle ricorrenti feste che il principe vescovo allestiva, prima di morire di un colpo apoplettico fulminante durante un banchetto che si teneva a Bressanone. Una di

Il mausoleo del Doss Trento illuminato con i colori del Tricolore 8

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RING queste feste venne organizzata quando accolse in regale ospitalità il Re Ferdinando e Anna di lui consorte che si recarono a visitarlo, come ci ricorda Attilio ZuccagniOrlandini nella sua Coreografia fisica storica e statistica dell’Italia e delle sue isole (pag. 96). Correva l’anno 1536, il 12 settembre, e per l’occasione, oltre che ai fuochi d’artificio, venne decorata e dipinta la loggia “veneziana” del Castello del Buonconsiglio, in modo che fungesse sia da quinta teatrale che da palcoscenico. Lo stesso giardino del castello venne sfruttato per accogliere cortei mascherati: il giardino era anche un orto medicinale e offrì un artificioso montaggio, oltre che di impressioni visive, anche di profumi; mentre di eccezionale importanza risulta il teatro di automi, con decine di personaggi e piccoli mulini funzionanti, tale da fingere (simulare/riprodurre) un intero territorio, teatralmente organizzato entro una grotta all’aperto, come nel sopravvissuto esempio di Hellbrun presso Salisburgo. Al tempo non c’erano proiettori che illuminassero i palazzi e i monumenti. Ci pensavano i fuochi d’artificio – risultato di una avanzatissima tecnologia e affiancati dalle artiglierie – a creare una scenografia, a rendere lo spazio architettonico luogo del potere e, innanzitutto, scena del principe: mandando fuori le balle di pietra o ferro, come se partorissero, rottavano per l’aria con gran tuono gli parti conceputi, e poscia scaricati, di modo che si sentiva l’aere agitato fischiare, e le valli percorse raddoppiare il suono… [e i fuochi d’artificio] che in ogni luogo ardevano, e non solo entro le Mura; ma né contorni ancora, massime su’l Colle di Dos, dove tutta la notte allumavano l’aria due gran stelle: e dal Monte di Sardagna insieme con l’acqua precipitavano di continuo Globi di fuoco. La città trasformata in quinta teatrale si anima come in una recita tragica o in un balletto. Lo sfondo della “città reale” è soffocato dai personaggi che vengono di volta in volta alla ribalta. Bernardo Clesio e più di lui il manierista Cristoforo Madruzzo riuscirono a sdoppiare la città, nascondendo quella del corpo vecchio e sofferente dietro una quinta creata da poeti e filosofi, architetti ed artisti, cercando di convincere il mondo a salire la scala che conduce all’universo iperuranio. La città impersona l’autorità e l’arroganza del Principe, addobbato e imbiancato come un catafalco e seguito da una formazione paramilitare di artisti, intellettuali e cortigiani. Alla città reale si contrappone così una città di carta, di fuoco, di maschere, di cartapesta, di fontane che gettano vino (come quella di Piazza Pasi). Una città effimera, un teatro della città e un teatro della natura che finirà ben presto nelle scorribande di eserciti, i più disparati, che attraversarono Trento. Come si vede, l’uso dei monumenti, dei palazzi e degli edifici symbol per veicolare emozioni ha profonde radici. Oggi cambia la motivazione, non più scenografia del potere ma solidarietà e vicinanza del mondo verso l’Italia e gli italiani, ma la funzione e i meccanismi psicologici rimangono gli stessi.


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RING di Silvia Tarter

verde ostinato SIAMO UN PO’ PIÙ UOMINI E DONNE E MENO DÈI, MENTRE LA NATURA SI RIPRENDE I SUOI SPAZI

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i siamo fermati. Siamo scesi da quella giostra vorticosa e rumorosa sulla quale eravamo seduti. Donne, uomini, bambini, anziani, siamo tutti bloccati, quasi tutti al sicuro nelle nostre tiepide case. Ricchi, poveri, personaggi famosi o emeriti sconosciuti, belli, brutti, intelligenti, stupidi, onesti, criminali… siamo qui, siamo dentro. E non c’è più alcuna differenza tra noi. Ugualmente fragili, ugualmente vulnerabili. In questo periodo di forzata permanenza a casa abbiamo cambiato il nostro modo di vivere: attività economiche hanno abbassato le serrande; scuole hanno chiuso i battenti; persone lavorano, quando va bene, al computer, dal salotto di casa. Il coronavirus che ha colpito le nostre città è piombato nelle nostre quotidianità come un fulmine a ciel sereno, come un qualcosa di totalmente inaspettato. Pensavamo di controllare tutto, pensavamo di essere degli dei. E invece non lo siamo. Questo virus ci ha rimessi al nostro posto, detronizzando le nostre pretese di onnipotenza. Qualcosa che non vediamo nemmeno e che non fa rumore. Ma spesso sono le cose più piccole a fare più paura. In un certo senso, questo virus ci ha fatto capire che le regole non siamo noi a dettarle. È la natura che detta le regole, con le sue leggi, che fingiamo di non conoscere, cumulando nei suoi confronti debiti su debiti, che sconterà soprattutto chi verrà dopo di noi. Ma se possiamo trovare qualcosa, un barlume di positività in queste tragiche settimane, è osservare come la natura sembra riprendersi ciò che le appartiene di diritto.

Un pavone bianco a passeggio per le strade di Riva del Garda

Nella stagione a lei più propizia, sembra sentirsi libera di riappropriarsi dei suoi spazi. Le acque dei canali di Venezia, solitamente torbide e scure, sono tornate limpide, tanto che vi si vedono nuotare i pesci. A Burano i cigni nuotano beatamente nei canali, per una volta senza sentirsi osservati da orde di turisti con la reflex. Nel porto di Cagliari, dove i traghetti sono a riposo, sono comparsi i delfini. A Riva del Garda, qualche giorno fa un pavone bianco ha passeggiato sull’asfalto silenzioso, come un’apparizione mistica. La verità è questa: mentre noi ce ne stiamo rintanati in casa, gli animali escono dalle loro tane e osano avvicinarsi, curiosando nelle nostre vie, strade, piazze, nelle quali non si vede e non si sente più nulla. Avete fatto caso, poi, a quanto rumore faccia questo silenzio? Possiamo sentire gli uccellini cantare, il vento smuovere i rami degli alberi in fiore e disperderne il profumo. Nei giardini e nei prati sono tornati a volare più insetti, per rapire il nettare dei primi fiori. Ma anche le piante riprendono terreno. L’erba torna ad insinuarsi anche tra le crepe dell’asfalto, tra i san pietrini delle vie, in un inarrestabile scorrere di vita. Persino l’aria è più tersa. Se diamo un’occhiata ai dati reali, riferiti all’Italia, si nota infatti che lo smog è nettamente diminuito. Le immagini satellitari mostrano che le emissioni di biossido di azoto, le nuvole tossiche sopra le aree più industrializzate si sono ridotte. Neppure Greta Thunberg al potere e i suoi seguaci del Friday’s for future avrebbero potuto fare di meglio. Quando l’uomo smette di fare rumore, è la Natura che torna a fare rumore, con il suo respiro. Da reclusi in casa, abbiamo quindi un’occasione in più per riflettere sul nostro rapporto con la Natura, con la Terra che ci ospita. Mentre aspettiamo, speriamo e preghiamo di guarire, di uscire dalle nostre case e tornare a vivere a pieno ritmo, possiamo pensare e progettare un nuovo dopo. Un dopo dove non ci contrapponiamo alla natura, ma ci alleiamo con lei, per vivere tutti, meglio, anche in futuro, su questo pianeta. Memori di questa nuova consapevolezza, che ci ha resi un po’ più uomini e un po’ meno dei.

I canali di Venezia sono tornati limpidissimi 9

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RING di Pino Loperfido

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CORONAVIRUS: LE ARMATE INVISIBILI CHE CI RICORDANO DI NON AVERE ALCUN CONTROLLO SUL CREATO

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olo qualche migliaia di anni fa i nostri antenati dell’età pietra, spostandosi dall’Africa, verso il resto del pianeta, cominciano ad alterare l’ecosistema naturale ed animale. Come? Beh, intanto sterminando le altre specie umane (Neanderthal, ecc.) e poi portando all’estinzione almeno il 50% delle specie animali viventi, come i grandi carnivori (mammuth, ecc,). Non tanto grazie alla sua intelligenza quanto piuttosto alla sua furbizia e all’abilità nel cooperare, l’Homo Sapiens prende il controllo. Coltiva i campi, addomestica gli animali, crea culti, leggi e superstizioni per addomesticare intere popolazioni. Tutto sembra andare per il meglio per lui. Almeno fino al 1330. Quell’anno è costretto a fare i conti con qualcosa di incontrollabile: un’epidemia. Da qualche parte dell’Asia centrale il batterio Yersinia pestis, viaggiando comodamente a bordo di pulci e di topi, arriva in Europa e uccide un quarto della popolazione vivente. Che succede? Dopo 60mila anni, armate invisibili arrivano a mettere in discussione la sua supremazia sulla Natura. A quel tempo non si può certo ipotizzare che si tratti di organismi viventi invisibili all’occhio umano. Si è più propensi a credere, infatti, che si tratti di punizioni divine o qualcosa del genere. Ho fatto questi pensieri osservando attentamente il rendering della struttura morfologica di Coronavirus, il microrganismo che nelle ultime settimane sta facendo tremare i polsi all’umanità. Vorrei tranquillizzare subito i miei lettori, non voglio unirmi alle torme di neo-infettivologi che sul web prefigurano complotti o forniscono spiegazioni di ogni tipo. Voglio solo provare a riflettere sul ruolo che Coronavirus e tutti gli altri virus e batteri, dal vaiolo al colera, passando per Ebola, potrebbero avere nel contesto del Creato. Una riflessione che però, a ben guardare, potrebbe risultare più inquietante dei virus stessi. Nel film “Alien” (1979), di Ridley Scott, le vicende ruotano attorno ad alcuni feroci predatori dotati di intelligenza che si riproducono come parassiti annidandosi nei corpi di altri esseri viventi provocandone la morte. Nel nostro immaginario culturale si tratta senz’altro di un racconto di fantascienza, eppure non è così. Basta solo che sostituiamo l’essere xenomorfo 10

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animato da Carlo Rambaldi a un invisibile virus. Se una cosa non la vedi non può nemmeno farti paura. Ma se ne ricostruisci l’aspetto grazie ad un software, e lo osservi attentamente, paura te ne fa. E tanta. È quello che è capitato a me fissando per lunghi minuti SARSCoV-2, questo il suo nome in codice. L’homo sapiens è riuscito a sterminare chilometri di foreste e milioni di mammiferi, ma non ha scalfito il potere di questi misteriosi organismi che da non sappiamo quanto provano a contendergli il potere. Se ne stanno nascosti non si sa dove, su quali animali, in quale parte del mondo, e – non con la vista ma con qualche altra facoltà percettiva – ci osservano. Di tanto in tanto, alla stregua di terroristi, dopo aver messo in atto adeguate e necessarie mutazioni, escono allo scoperto e attaccano, provocando morti, caos, dissesti economici e panico nel nostro perfetto mondo civilizzato. Si tratta di un dualismo che la nostra mente fatica ad accettare. Tanto è vero che quando ne sentiamo parlare o ne leggiamo sui giornali ne riportiamo la sensazione che si stia parlando di qualcosa di astratto ed “inspiegabile”, quando non causato da qualche tipo di negligenza umana. È un dualismo che non accettiamo perché ci riporta indietro nel tempo, ad ere geologiche in cui Homo Sapiens era solo una delle diverse specie umane e bestie e natura selvaggia se la giocavano quasi alla pari con lui nel controllo del territorio. Intelligenza, furbizia e capacità di cooperazione vacillano di fronte a qualcosa che non si vede. Culti, leggi e superstizioni mostrano i loro limiti quando il male non ha spiegazioni certe. La nostra mente non tollera il vuoto. Men che meno un nemico invisibile e potenzialmente letale che ci bracca da migliaia e migliaia di anni.


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RING di Fabio Peterlongo

di Denise Fasanelli

blues di provincia L’UNTORE DEL 2020 NON INDOSSA SCARPETTE DA CORSA

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essuno di noi avrebbe mai messo nel conto di dover trascorrere settimane della nostra vita in un limbo impalpabile in cui il tempo sembra non passare mai. Navigando sul web, video-chiamando amici e parenti che vivono magari a poche centinaia di metri, ascoltando compulsivamente notiziari e talk-show nella speranza che arrivi finalmente una buona notizia. Un purgatorio senza tempo, mentre da Bergamo arrivano le immagini dell’inferno, dove invece i minuti fuggono, come le vite. L’impotenza è il tratto comune che si può rilevare nei messaggi lasciati online dai trentini. Non si può fare molto per combattere un nemico microscopico: possiamo solo isolarci e deporre le “armi” con cui affrontiamo la vita quotidiana. Dobbiamo non esporci, non veicolare il virus, cercare letteralmente di sparire finché il nemico non dà una tregua. Dalla finestra delle abitazioni possiamo fare poco: e allora scarichiamo il senso di impotenza su ciò che ci sembra di sfiorare, quella figura umana che corre per la strada o che saetta in bici lungo le ciclabili. È lui l’untore, il “veicolo del contagio”, colui che “sabota lo sforzo comune”: l’astio verso lo sportivo, che si prende uno spazio di libertà per il suo benessere, ci sembra inaudito. Ci ricorda che fino a pochi giorni fa il mondo era normale e questo è inaccettabile. Abitudini consolidate che abbiamo coltivato per anni o per decenni, da abbandonare all’improvviso. Con buona ragione, va precisato. Tempi tragici richiedono sacrifici, che letteralmente impallidiscono rispetto a quelli di infermieri, medici e personale sanitario. Rinunciare allo sport per qualche tempo, se può servire ad arginare l’allarme sociale, se può non esporci a infortuni e incidenti che in questo momento non devono capitare per non ingolfare ulteriormente il sistema sanitario, è un gesto di responsabilità. Ma questo non giustifica la caccia all’untore. Non giustifica la pubblicazione online di scatti e foto oltraggiose che ritraggono una persona che ha solo scelto di prendersi cura di sé, con discrezione e appartandosi dalle altre persone per non essere veicolo di contagio. Siamo il territorio che si fregia del titolo di “provincia più sportiva d’Italia”: torneremo a correre, a pedalare, a calcare i campetti da calcio e da basket, quando tutto questo sarà finito. Ma al prossimo “Festival dello sport” le istituzioni locali dovranno ricordarsi di celebrare non solo i grandi atleti medagliati e milionari, ma anche di ricostruire la fiducia verso il “piccolo sportivo”, che in questo periodo di sofferenze più grandi di quanto ciascuno di noi riesca a comprendere, ha appeso al muro le scarpette e ha ammesso: «Sono responsabile. Ma mi riprenderò la mia libertà».

lost in glocal IL NOSTRO BISOGNO DI SPAZIO, E ATTENZIONE. SOPRATTUTTO QUANDO ABBIAMO PAURA

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ono uscita di casa con gli occhi ancora gonfi per il sonno, i capelli legati e senza la solita cura che metto nel vestirmi quando mi reco al lavoro, ho raccolto la posta e, mentre stavo rientrando in casa, l’ho visto al di là della ringhiera che separa i nostri giardini: un vicino di casa garbato, silenzioso, riservato. Un uomo di mezza età, basso, leggermente brizzolato, ancora in perfetta forma fisica, un uomo di cui mi ha sempre colpita il grande sorriso: una sciabolata di bianco su di un viso dalla carnagione olivastra. Con la fronte leggermente sudata e le mani dentro due guanti più grandi di qualche taglia, era tutto intento a potare le piante di rose disseminate lungo tutto il confine del giardino, tagliare i rami degli alberi da frutto, radunare con un rastrello piccoli mucchi di foglie secche liberando l’erba del prato. Gli ho rivolto un buongiorno e abbiamo scambiato due chiacchiere di cortesia: le solite cose sui tempi incerti che stiamo vivendo. Ho guardato il suo giardino sempre così ordinato, pulito e rigoglioso vergognandomi dell’incuria in cui versa il mio e gli ho chiesto consiglio. Mi ha spiegato di come le piante abbiano bisogno di cure costanti, di attenzioni, di luce e di spazio per crescere, per sviluppare al meglio le proprie radici, respirare e, soprattutto, per non ammalarsi. Non so se quest’ultima cosa l’abbia detta per quanto stiamo vivendo ma quel giardino amorevolmente curato con responsabilità e speranza, mi è parso una metafora calzante. In fondo, anche noi abbiamo bisogno di spazio, cure e attenzioni, soprattutto quando abbiamo paura. Abbiamo bisogno di imparare che la vita non è in quello che ci può mancare ma in quello che abbiamo, nelle relazioni e nei piccoli gesti. Come quello di un vicino che ti offre il suo aiuto per sistemare il tuo piccolo incasinatissimo terreno senza che tu abbia avuto nemmeno il coraggio di chiederglielo. Abbiamo bisogno di imparare che proteggere gli altri significa proteggere anche noi stessi, perchè siamo tutti parte di questa terra che dovremmo trasformare in un giardino. Quando l’ho salutato mi ha sorriso, da dietro una mascherina, con gli occhi ed ho capito che bastano quelli a dirci se sorridiamo davvero, perchè possiamo trovarci emotivamente vicini anche se siamo a metri di distanza. 11

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RING di Stefano Margheri

caninamente COME GESTIRE IL NOSTRO AMICO IN CONDIZIONI DI EMERGENZA. ECCO ALCUNE REGOLE

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iciamolo pure, nessuno di noi sta passando un periodo sereno. Le notizie che imperversano non ci fanno stare tranquilli e la condizione di emergenza “forzata” incide inevitabilmente sul nostro amico a quattro zampe. Per di più, le restrizioni cui siamo sottoposti rischiano di limitare le attività quotidiane dedicate proprio a lui, si tratti delle lunghe passeggiate nei parchi o di gite in montagna senza limiti di tempo e di spazio. Come fare, quindi, per garantirgli un sufficiente appagamento psico – fisico? Per rispondere a una tale domanda dovremo, innanzitutto, chiederci quale sia la peculiarità che caratterizza chi ci sta a fianco. Ebbene, il cane è per definizione un animale abitudinario, fosse soltanto per la necessità di sapere come e che cosa si farà nel corso dell’intera giornata. In questo senso, la risposta consisterà nel cercare di mantenere il più possibile la routine quotidiana, tanto in termini di orari che di attività da svolgere insieme. Dovremo, quindi, conservare inalterati i momenti delle uscite, mediamente riferiti al mattino presto, al dopo pranzo e al prima di cena. Allo stesso modo, i pasti normalmente previsti dovranno essere ugualmente dispensati, senza alterare così le fasi di somministrazione. Tuttavia, se le passeggiate non potranno essere prolungate, potremo cercare di trasferire in casa ciò che di prassi sarà stato svolto, fino ad oggi, in ambienti esterni. Detto così potrà apparire un’impresa impossibile, non potendo avvalerci di prati sconfinati o di sentieri di lunga percorrenza. Eppure, qualche “trucco” potrà essere adottato. La prima regola riguarderà il predisporre appositi “giochi di obbedienza”, verificando la capacità di eseguire comportamenti già insegnati in precedenza, ovvero introducendo nuove competenze di tipo mentale e motorio. Lungo il corridoio di casa potremo spiegargli come camminarci accanto senza l’uso del guinzaglio, oppure gli chiederemo di rimanere seduto ad aspettarci per un certo tempo, magari spostandoci fuori dalla sua vista. Ancora, incrementeremo la capacità 12

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RING di rispondere al semplice richiamo, gettando prima un gustoso boccone a terra per poi spostarci velocemente all’indietro in modo da aumentare la distanza tra noi stessi e lui. Arrivato nei pressi, e premiato a dovere, faremo la stessa cosa in direzione opposta, creando così una ripetitività di risposta che certamente ci verrà utile quando la parola “Vieni” dovremo pronunciarla in situazioni di maggiore difficoltà ambientale. Accanto a questi esercizi di “obbedienza generale” potremo decidere di valutare le elevate capacità olfattive della specie canina. Ipotizzando la passione per un gioco, o per un semplice oggetto, gli insegneremo a cercarlo all’interno dell’abitazione, dopo averlo nascosto a dovere. Associando una certa parola al posizionamento dell’oggetto stesso, e pronunciando il medesimo termine per avviare la ricerca, il nostro amico imparerà ad attivarsi nella perlustrazione ogni qualvolta sentirà quello specifico comando, muovendosi con le narici aperte in attesa di carpire il giusto effluvio. Questa pratica potrà essere svolta con parte del cibo quotidiano, simulando una “caccia al tesoro” che non potrà che incuriosire e divertire. Sempre in riferimento alla pappa ordinaria, anziché limitarci di rilasciarla nella ciotola, potrà essere interessante collocarla in appositi oggetti di gomma dura, comprensivi di cavità variabili ove posizionare le crocchette parzialmente imbevute d’acqua. Esse, ben pressate, verranno estratte dal nostro amico con estremo coinvolgimento, facendogli svolgere le stesse azioni previste in natura nei confronti delle prede reali. Anche le sfere a labirinto, con apertura variabile, saranno assai coinvolgenti, dovendo il cane muoverle e spostarle per ottenere l’uscita di ciò che avremo inserito. In aggiunta, vi saranno anche possibili giochi di “attivazione mentale”, ritrovabili presso i negozi specializzati. Tramite essi, ogni cane dovrà trovare una soluzione per ottenere l’ambito premio, alternando momenti di intuizione a fasi di tentativi ripetuti. Se, poi, ci sarà una famiglia “allargata”, fatta di diversi componenti propensi ad essere coinvolti, si potrà introdurre il gioco del “nascondino”, ove il nostro amico dovrà cercare il famigliare che si sarà nascosto in qualche anfratto dell’appartamento. Una volta effettuato il ritrovamento, egli sarà lautamente ricompensato, magari insegnandogli ad emettere alcuni abbai di segnalazione. Per coloro che potranno avvalersi anche del giardino di casa, queste varietà di esercizi potranno essere compiute proprio all’aperto, ben sapendo quanto le attività all’esterno possano essere gratificanti. Tutto questo, se suddiviso in momenti differenti della giornata, permetterà di garantire un adeguato soddisfacimento psico – fisico, portatore di benessere, equilibrio e propensione al riposo. Basteranno alcuni minuti, ripetuti nel tempo, per rendere il nostro amico protagonista assoluto, evitando così situazioni di noia o nervosismo. E noi stessi potremo sentirci, almeno per un attimo, molto più leggeri. lamiaellie@gmail.com


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trentinoildialettoinforma di RENZO FRANCESCOTTI

il dialetto in-forma “TE SEI PROPI ‘N S’CIAPOTÓN!”

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a vita è tutta una rincorsa a pigliare, ad afferrare, a prendere. Ma non sempre: è anche decidere di non prendere. E comunque prendere che cosa? Beni materiali o, per esempio, affetti? In italiano esiste il verbo acchiappare, ovvero afferrare, catturare, e il sostantivo chiappa che sta per sporgenza, natica. Acchiappare una persona quindi voleva dire, all’inizio, fermarla, afferrarla per le sporgenze, per le natiche…” . “Scherzénte, professor: mi no voi miga finir en galera denuncià per atti osceni o tentativo di stupro! La zent e spezialment le done le vede massa film americani!”. “È vero, ma quando mille anni fa nacque in Toscana il verbo acchiappare, evidentemente questi film non li vedevano. Inoltre, tieni presente che la sporgenza di un corpo non è necessariamente una zona erogena: può essere una spalla o un gomito …”. “Ma mi se l’è na dona gnanca a tocarghe el gómbet me ris’cio: quele lì le vede massa cine american: le te denunzia domandando al minimo zentomili dolari”. “Va bene, fai come vuoi. Nel dialetto usiamo il verbo ciapar e il participio passato ciapà, con valore anche di aggettivo o di sostantivo. Si dice per esempio: En do èlo el Marcelo? L’ha ciapà su e l’è nà. Endó èlo che l’è nà, quel disgrazià? No so: l’era tut ciapà. Ciapà dale putèle, se’ l sa!.

Ciapà è una di quelle parole dialettali uniche che se le traduci in italiano perdono di efficacia, si scolorano, o addirittura diventano ridicole. Se provi a trasferire in italiano ciapà ne viene fuori acchiappato. Ridicolo! Questo ti dimostra come le parlate dialettali siano, per molti versi, più significative dello stesso linguaggio nazionale…”. “L’è vera, l’è vera! Com’èlo, per esempi, che se diserìa en talian: l’ha ciapà su el lechét?“. “Be’, si potrebbe dire: ha preso l’abitudine, ha preso il vezzo”. “Ma lechét, per quel che so mi, vol dir qualcoss che se magna de gusto, na roba che se fa de gusto, come ‘n bon magnar en compagnia…”. ”Hai ragione: siamo sempre lì, all’intraducibilità delle cose…”. “A proposito de ciapar e de ciapà, professor: el me diga se ghe intra anca parole come ciapin, s’ciapin”. “Certo che c’entrano: la prima parola corrisponde ai lemmi in italiano presa, presina, quadratini di stoffa per afferrare cose che scottano…”. “Per esempi, me moiér quando che la se empizza!”. “Vedi tu. Il secondo sostantivo si può tradurre con l’italiano schiappa. Si dice, ad esempio, di uno che crede di essere un campione e però non vince mai. Ma questo è il senso figurato: nel suo senso concreto schiappa indica un frammento di legno inservibile, buono solo per essere bruciato…”. “E s’ciapòt alora?”. “È lo stesso che ciapòt, una variante”. “Sì, ma come se dis en ‘talian?”. “Si potrebbe tradurre con ciarpame”. “E s’ciapotar, come se pol dir en talian?” “Si potrebbe rendere con rabberciare, riparare alla meno peggio”. “Sì, ma vot meter en dialèt, quando te poi torte la sodifazion de dir a uno: te sei propi en s’ciapotón!” renzofrancescotti@libero.it

Greg, la "schiappa" più famosa del mondo, con il suo creatore, Jeff Kinney

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trentinoarte di ROBERTO PANCHERI

taccuino d’arte UN RITRATTO INEDITO DI “SISSI” A PALAZZO GEREMIA Il busto in gesso appartiene alla Gipsoteca di Andrea Malfatti

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el 1912 il Comune di Trento concesse un vitalizio allo scultore Andrea Malfatti, in cambio della cessione al municipio della sua gipsoteca. Questo importante patrimonio d’arte, che tra il 2004 e il 2010 è stato esposto e valorizzato a Palazzo delle Albere, giace oggi inaccessibile nei depositi del Mart a Rovereto. Alcuni busti in gesso sono però custoditi, fin dal 1993, a Palazzo Geremia, dove fungono da arredo in alcune sale di rappresentanza. In uno di questi busti, catalogato come “Ritratto femminile / Modello per busto commemorativo” e come

tale pubblicato nel 1999 nel catalogo ragionato delle collezioni dell’Ottocento del Mart, si riconoscono chiaramente le sembianze di Elisabetta di Wittelsbach, imperatrice d’Austria dal 1854 al 1898: la “Sissi” dell’immaginario collettivo letterario e cinematografico. Lo conferma il confronto con una fotografia della sovrana risalente al 1898, scattata a Vienna dal fotografo di corte Karl Pietzner: l’effigiata, che all’epoca contava sessant’anni, presenta la stessa acconciatura e lo stesso abbigliamento del busto di Palazzo Geremia, compresa la croce pettorale tempestata di gemme che

Andrea Malfatti, Busto dell’imperatrice d’Austria Elisabetta, gesso. Trento, Palazzo Geremia (foto Wikimedia Commons)

l’imperatrice soleva portare negli ultimi anni di vita sopra il severo abito accollato, in segno di lutto per la tragica morte di suo figlio l’arciduca Rodolfo. La fotografia di Pietzner conobbe una vastissima diffusione dopo l’assassinio di Elisabetta, avvenuto a Ginevra il 10 settembre 1898 per mano dell’anarchico italiano Luigi Lucheni: la si trova riprodotta nelle cronache comparse sui giornali di tutta Europa e fu utilizzata nelle pubblicazioni funebri ufficiali diffuse dalla Corona. Appare dunque evidente che il busto di Malfatti dev’essere datato posteriormente alla morte dell’imperatrice, mentre il terminus ante quem va stabilito, verosimilmente, al 28 luglio 1914, data dello scoppio della prima guerra mondiale, avvenimento che segnò anche a Trento un repentino mutamento del clima politico e la sospensione di ogni iniziativa artistica di carattere pubblico. Di Andrea Malfatti (Mori 1832 - Trento 1917) è nota la fede politica di orientamento irredentista, che nel 1866 gli era costata la detenzione in carcere a Innsbruck. Potrebbe dunque apparire poco comprensibile, da parte sua, la scelta di cimentarsi con l’effigie della moglie dell’imperatore Francesco Giuseppe. Si deve però ricordare che l’assassinio di Elisabetta provocò un’ondata d’indignazione nell’opinione pubblica di tutto il mondo: anche in Italia scrittori del calibro di Giosuè Carducci e Gabriele d’Annunzio, di cui nessuno ignorava

Karl Pietzner, Ritratto dell’imperatrice d’Austria Elisabetta, fotografia, 1898

l’acceso nazionalismo, composero versi e prose in sua memoria. Inoltre la ben nota inclinazione della sovrana a favore della causa nazionale ungherese la rendeva probabilmente meno invisa del marito ai sostenitori dell’italianità del Trentino. Peraltro non risulta che il busto di Malfatti sia mai stato tradotto in marmo o bronzo, come invece accadde nella città gemella di Trieste, ove nel 1912 sorse il grandioso monumento tuttora visibile davanti alla stazione ferroviaria. La scoperta del busto è di particolare rilevanza storica, giacché nelle collezioni pubbliche del Trentino non risultano essere presenti altri ritratti dell’imperatrice, se si escludono delle riproduzioni oleografiche. Inoltre in tutto il territorio provinciale manca un segno monumentale dedicato a Elisabetta d’Austria, a differenza di quanto si riscontra in Alto Adige e in particolare a Merano, dove ancora si ammira la statua eretta nel 1903 dallo scultore Hermann Klotz. 15

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PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO

ANZIANI E CORONAVIRUS per proteggere se stessi e gli altri e limitare la diffusione del Coronavirus in queste settimane è necessario seguire queste indicazioni

Rimani a casa chiedi a qualcuno di portarti ciò di cui hai bisogno. Fatti lasciare le cose davanti alla porta di casa (spesa, farmaci...)

Mantieni uno stile di vita attivo ogni giorno fai esercizi di ginnastica dolce

Sconfiggi la noia dedicati alla lettura, ascolta musica e telefona ad amici e parenti

Non prendere farmaci antivirali né antibiotici a meno che siano prescritti dal medico

Gli animali da compagnia non diffondono il coronavirus

Non ricevere visite da nessuno figli, parenti e vicini compresi

Se hai bisogno di assistenza chi viene a trovarti deve lavarsi le mani, mantenere la distanza di almeno 1 metro

Pulisci le superfici con disinfettanti a base di cloro o alcol. Arieggia più volte casa durante la giornata

Lavati spesso le mani con acqua e sapone o con gel a base alcolica. Non toccarti occhi, naso e bocca con le mani

Se pensi di essere stato contagiato chiama il tuo medico di famiglia o il 112


Direttore responsabile: Paolo Curcu [ paolo@trentinomese.it ] Direttore editoriale: Pino Loperfido [ info@trentinomese.it ]

SOMMARIO APRILE 2020 Ring

Progetto grafico: Fabio Monauni

Attualità 16

Editrice: Curcu Genovese S.r.l. Via Missioni Africane 17 38121 Trento Tel.  0461.1924988 Concessionaria Pubblicità: S.E.T.A. Società Editrice Tipografica Atesina S.p.A. Via Sanseverino, 29 - 38122 Trento Tel. 0461.934494 Stampa: Litotipografia Alcione Lavis (TN) Registrazione Tribunale di Trento n. 536 - 21 dicembre 1991

LA GRANDE PAURA

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[ fabio@curcugenovese.it ]

Redazione: Trentino Mese Via Missioni Africane 17 38121 Trento Tel.  0461.1924988

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4 COMMENTI 12 IL DIALETTO INFORMA 13 TACCUINO D’ARTE

In redazione: Cristina Pocher Hanno collaborato a questo numero: Susanna Caldonazzi, Paolo Chiesa, Marco Consoli, Lara Deflorian, Fabio De Santi, Fiorenzo Degasperi, Denise Fasanelli, Renzo Francescotti, Claudio Marchesoni, Stefano Margheri, Roberto Pancheri, Fabio Peterlongo, Tiziana Tomasini, Daniele Valersi

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PICCOLI PENSIERI PER SVOLTARE L’ANGOLO CHIUDERE LE CHIESE ATTO DI BUON SENSO DIARIO DI QUESTI STRANI GIORNI OMAR, 22 ANNI, INFERMIERE DI RSA UNA RISATA CONTRO LA PAURA

CARO MAESTRO...

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TEATRI IN LETARGO (FORZATO) CATERINA CROPELLI FILIPPO BAMPI "APRIAMO LE VIRGOLETTE" LA VOCE DEL GHETTO SOLIMAN, L'ELEFANTE FABIO VETTORI DAL NOSTRO INVIATO...

Giorno per giorno 63 E GLI APPUNTAMENTI?! COME ABBONARSI:

(un anno, 12 numeri a Euro 36,00) A mezzo BONIFICO BANCARIO CASSA RURALE DI TRENTO IBAN IT74 N083 0401 8040 0000 3378 540 PAYPAL: info@curcugenovese.it specificando “Abbonamento a TrentinoMese” BOLLETTINO POSTALE c/c N. 1040747758 Curcu Genovese TM Via Missioni Africane 17 38121 TRENTO DIRETTAMENTE PRESSO L’UFFICIO ABBONAMENTI Via Missioni Africane 17 Trento Tel. 0461.1924985 ufficioabbonamenti@trentinomese.it

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Scoop&news 64 69 70 71 72

I MATRIMONI DEL MESE "INDIE PER CUI", LA MUSICA INDIPENDENTE I CANTORI DI SEREGNANO AZIENDE TRENTINE DONANO UN NUMERO PER CHI È SOLO

Rubriche 72 74

LIBRI E LIBRERIE #TRENTINOMESE CONTEST

info@trentinomese.it www.trentinomese.it 17

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trentinoattualità

LA GRANDE PAURA di Pino Loperfido

Con articoli di Fiorenzo Degasperi e Fabio Peterlongo Con le testimonianze di Silvia Tarter, Tiziana Tomasini e Denise Fasanelli E due interviste: a don Giulio Viviani e a Omar Maurina

CERTO, NON POTEVAMO NON PARLARNE. ANCHE TRENTINOMESE SI RITROVA AD OCCUPARSENE, MA SENZA DARE NUMERI, ALIMENTARE FAKE NEWS O ANGOSCIARE CHI LO È GIÀ DI PAR SUO. ABBIAMO PROVATO A RACCONTARE QUESTI GIORNI DI EMERGENZA IN MANIERA DIVERSA, UN PO’ PIÙ LEGGERA, MENO LEGATA ALLA STRETTA ATTUALITÀ E PIÙ PROTESA ALLA RIFLESSIONE (E CON QUALCHE TIMIDO SORRISO)

CORONA 18

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trentinoattualitĂ

AVIRUS 19

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trentinoattualità Fotografie: Jacopo Salvi

PICCOLI PENSIERI PER RIUSCIRE A SVOLTARE L’ANGOLO IMMOBILITÀ E CAMBIAMENTO. NOI, CHIUSI IN CASA, UNIAMO LE DUE COSE: L’IMMOBILITÀ CI AIUTA A CAMBIARE, L’INEVITABILITÀ NON BASTA A DISTRUGGERCI

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n certe situazioni di crisi emotiva, di stallo, di sospensione o di modificazione repentina dello scorrere della quotidianità, è logico (oserei dire normale) lasciar aperto il coperchio della propria mente e far defluire i pensieri liberamente. Un meccanismo di difesa che può suggerire svariate possibilità di fuga ideale oltre che svolgere un’importante funzione di specchio, di rimando dei tuoi pensieri. Lo specchio è un’altra persona, lo specchio – ce lo insegna Alice – è una porta regale, una forma di passaggio per altri mondi, altre dimensioni, altre realtà. A patto di avere le chiavi di accesso.

Mai come in questi momenti mi ritorna alla mente tutto ciò che ha scritto Luigi Pirandello, con la sua concezione vitalistica dell’essere al mondo. Lui ci insegna che non esiste una realtà – oggi possiamo includere in questa “una” quanto succede – ma centomila. Noi, come Vitangelo Moscarda, al pari del fu Mattia Pascal, ci arroghiamo il diritto di essere immaturi, infantili e vanesi, fondamentalmente inconcludenti, perché, come ci hanno insegnato Sigmund Freud ed Albert Einstein, tutte le certezze sono relative. E in periodi di crisi, persa ogni certezza, abbandonata la concezione di una realtà oggettiva (a quella noi non abbiamo mai creduto), rimane la strada della “fuga”, del disfacimento psicologico come ci ha illustrato Franz Kafka e, non ultimo, Marcel Proust. Oggi che siamo rinchiusi in casa ci può aiutare l’aver dentro di noi non una tavola piatta, una distesa marina quieta, ferma e immobile (lo siamo già fisicamente), ma una burrascosa, temporalesca frammentazione psicologica. Ogni frammento è un microcosmo: guardo l’icona acquistata in un piccolo monastero di Creta e il pensiero vola, fugge sopra le onde del Mediterraneo e incontra Io inseguita da un toro sbuffante e bavoso, scavalca il Monte Ida per planare, accompagnato dal canto del vento e dal belato delle greggi, in questo piccolo e bianco monastero nel quale una lunga teoria di scalini ci conduce alla grotta, nel ventre della terra, là dove le apparizioni sono una realtà e le realtà sono soltanto illusioni.

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Qual è l’interruttore che ci permette di spegnere ed accendere le strade che collegano questi frammenti? Ci aiuta ancora Pirandello: Il fischio del treno. Oppure Simenon con L’uomo che guardava passare i treni. Basta un fischio per “aprire la mente”, per renderci consapevoli di una situazione, di un pensiero, per aprirci gli occhi sulle “idiozie” del mondo. Dovremmo essere tutti Belluca. Il fischio, un passero che vola, una nuvola che fugge, un ramo che si piega sotto la sferza del vento, cose abbastanza banali ma che, se guardate con occhi diversi, possono aprire una via d’uscita e farci accorgere che la vita è fatta anche di fantasia e immaginazione (purtroppo da questi mondi fantastici faccio fatica ad uscire). Il superare la porta regale, quella che – come lo specchio – ci permette di andar oltre, di arrivare fino al limitar dell’universo, ci fa capire che estraniandoci di tanto in tanto nel mondo del sogno riusciremo a sentirci meno schiavi di una vita alienata, di una situazione che ci costringe, noi malgrado, a cambiare ritmi, tempi, misure, e saremo liberi di viaggiare con la fantasia. Viaggiare talmente tanto – in questo ci aiuta sicuramente il possedere un bagaglio di esperienze ricco e variegato di viaggi reali e fantastici – da farci capire che esiste un dio di cui ci eravamo scordati: il Fato. Ci sono cose, sorti, necessità che l’uomo non può cambiare quando ci troviamo di fronte ad un ordine non modificabile: ce lo insegnano gli antichi greci. Ma è anche vero che i romani hanno fatto un passo in avanti rispetto all’idea del Fato dominante nel mondo classico, un’idea che trascinava con sé rassegnazione e passività: hanno cambiato la parola da Fato a Destino, intendendo quest’ultimo come una condizione psicologica e fisica in cui l’uomo può cambiare qualche cosa: ciascuno è artefice della propria sorte, scrive Sallustio (o lo pseudo Sallustio) nel Ad Caesarem senem. Fato e destino: l’immobilità e il cambiamento. Noi, chiusi in casa, uniamo le due cose, l’immobilità ci può aiutare a cambiare, l’inevitabilità di certe cose non basta a distruggerci. E se poi non bastasse, consiglio di vedere la quadrilogia di Gabriele Salvatores dedicata alla fuga, pensando a quel capolavoro di Mediterraneo - dedicato a tutti quelli che stanno scappando. Fuggire, con la mente se non con il fisico, in attesa di poterlo fare anche con le proprie gambe. Intanto frequentiamo i mondi possibili. Ogni volta che ritorniamo da questi viaggi, scopriremo di quanta banalità è fatta la nostra quotidianità. Fiorenzo Degasperi


trentinoattualità FOTO: © GIORNALE TRENTINO

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iciamo che proprio così “bene” non sta andando, per il momento. L’hashtag, in queste settimane più diffuso nel mondo, non ha sortito gli effetti sperati, ma ci riempie lo stesso il cuore di calore e di speranza. In fondo è successo tutto talmente in fretta! Ci ha sorpresi, ci ha travolti. Ha preso le nostre vite e le ha strizzate come si fa con i panni appena sciacquati, prima di metterli sullo stendino ad asciugare. Ci ha disorientato, ci ha costretti a rivedere ogni priorità, come per le formichine quando, un piede maldestro sul sentiero o il bastone del bimbo dispettoso, cambia sostanzialmente l’architettura del formicaio. Ma l’arrivo del coronavirus non è stato il semplice arrivo di una grave epidemia di polmoniti. È un evento che ha qualcosa da dire a noi, alla società in cui viviamo, e a come ci rapportiamo ad essa. È una guerra strana in cui da una parte c’è un organismo invisibile e dall’altra un esercito formato da due reparti: la fanteria dei medici e la logistica dei “casalinghi forzati”. I primi con mansioni operative, fanno fuoco sul nemico, non gli danno tregua, i secondi lo combattono standosene a casa, tagliando così i ponti al contagio. Quante ne abbiamo lette e sentite in questi giorni? Tante, tantissime. E il ventaglio è ampissimo. Andiamo dai tragici bollettini che tutti noi abbiamo ascoltato alla tv, in queste livide sere, ai tanti modi con i quali si è cercato di alleggerire la tensione, sia in famiglia sia nel vicinato; fino ad arrivare alle svariate, ironiche interpretazioni apparse su Internet. Il Trentino era un treno lanciato in corsa verso il futuro. Una terra diventata ricca grazie al turismo, che ora si è vista costretta a “maledirlo”, perché è da lì che sono arrivati i primi contagi in regione. Ricordiamo tutti la sera in cui, sbigottiti, abbiamo sentito il Presidente Fugatti tuonare contro i proprietari delle seconde case. È stata la fine di un’epoca? Forse no, ma tornare al punto di partenza sarà molto difficile, se non impossibile. Per il resto è stato consolante riscoprire, ancora una volta, di vivere in una provincia che può vantare un’eccellenza in termini di assistenza sanitaria di soccorso. Ci ha rassicurato conoscere, giorno dopo giorno, quale efficientissimo apparato organizzativo si celi dietro il freddo acronimo APSS. A loro, a tutti loro, va il

Via Manci a Trento, nei giorni dell’emergenza

nostro sentito “grazie”. E, a proposito di ringraziamenti, non possiamo non pensare anche a chi lavora in settori che non hanno potuto fermarsi. Impiegati, operai e commesse che, da un giorno all’altro, si sono ritrovati in prima linea, giusto un metro più in qua del fuoco nemico. Penso alle Famiglie Cooperative e agli altri supermercati e panifici. Penso a tutta la filiera della stampa e dell’informazione, dalle redazioni alle edicole. Penso alle farmacie e a tutte le altre mansioni che in questi giorni oscuri, ripeto, non hanno potuto fermarsi. Ma cosa è accaduto, dunque? Lo sappiamo tutti, ma provo – per gioco – a raccontarlo da capo, come se dovessi spiegarlo ad un extraterrestre, appena sbarcato sul nostro pianeta. Un microorganismo acellulare, cento volte più piccolo di un batterio, ha disgraziatamente abbandonato l’habitat che occupava da milioni di anni e si è tra-

sferito nel corpo degli esseri umani, facendoli ammalare. Immagino la risposta ovvia dell’alieno: “E voi glielo lasciate fare?” Sì, cioè, no, non vorremmo lasciarglielo fare, ma lui è talmente piccolo… Quando salta da uno all’altro non possiamo vederlo. Ancora l’alieno: “Ma quell’organismo non ha gambe e il vostro pianeta è vasto, come è riuscito a provocare tutto questo?” Ah, sì, ho dimenticato di dirglielo… Da noi, l’intensificazione degli scambi e degli investimenti internazionali su scala mondiale ha provocato un fenomeno che si chiama globalizzazione. “E che significa?” Significa diverse cose: aerei, merci, mega agglomerati urbani, deforestazione, inquinamento… No, non sarebbe per niente facile spiegarlo ad un alieno. A noi, però, che sulla Terra ci siamo e stiamo vivendo sulla nostra pelle le conseguenze della più grave pandemia degli ultimi cento anni, qualcosa dovrà pur insegnarci, o no?!

La quotidiana conferenza stampa del Presidente Fugatti. A destra, una luce nel buio... 21

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trentinoattualità Brusaferro e Borrelli, appuntamento fisso (o quasi...)

LA BELLEZZA DELLO STARE INSIEME Intanto qualcosa è accaduto al modo con il quale ci approcciamo agli altri: marito, moglie, figli, amici, ecc.. L’epidemia di coronavirus, oltre a stravolgere i già fragili equilibri economici, ha messo a dura prova molti di quelli famigliari. Una nuova dimensione del vivere che se da una parte può aver provocato tensioni e attriti, dall’altra ha permesso a molti di riscoprire la bellezza dello stare insieme. Improvvisamente, dopo decenni che non lo si faceva, molte famiglie si sono ritrovate a tavola o davanti al televisore; abitudini che il rito frenetico della vita, in combutta con le migliori derive tecnologiche, aveva già da tempo abolito. L’isolamento è stata occasione per prendere in mano discorsi, argomenti che si evitavano accuratamente; oddio, anche il momento per alcune rese dei conti, che magari hanno aggiunto un’angoscia personale a quella collettiva, ma che un po’ ci hanno liberati. Nostro malgrado, abbiamo anche dovuto riscoprire la noia, rivelando in questo una delle tante contraddizioni del nostro vivere. Ci lamentavamo di non avere mai tempo da dedicare a noi e ora che ce l’abbiamo ci lamentiamo di averne trop-

po. Questo nello stesso momento in cui negli ospedali medici e infermieri stanno dando l’anima per combattere “la bestia”. Insomma, incorreggibile, meraviglioso essere umano che ha bisogno di un disastro del genere per riscoprire la propria caratteristica principale, quella da cui ha preso il suo stesso nome: umanità. L’unico antidoto alla crescita e al dominio del virus, l’unica arma che abbiamo in dotazione è la separazione sociale che, però, si è fatta unione – spesso malsopportata, ma salda – all’interno dei singoli nuclei famigliari. Ma cos’è esattamente coronavirus? Cosa rappresenta? Natura matrigna, metafisica del male. Cosa sono dunque le epidemie? Messaggi all’umanità? Reset del sistema-mondo? Come quando ti si inchioda il computer e sei costretto a pigiare una combinazione di tasti per forzare il riavvio del pc? LA RIVINCITA DELLA SCIENZA Uno dei risultati di questa epidemia è stato la rivalutazione della scienza. La deregulation etica consentita e incentivata dal web aveva fatto maturare in milioni di persone l’idea che si potesse

fare a meno della Scienza e, quindi, anche della Medicina. Ricordate l’elogio dell’incompetenza professato da certe fazioni politiche che deridevano i “professoroni”? Avete ancora in mente le crociate messe in campo da quelli che – laureati in facebookologia con specializzazione in teoria del complotto – diventavano ingegneri honoris causa dopo il crollo del ponte Morandi, giuristi alla caduta di un Governo, geologi all’indomani dell’ennesimo terremoto? (E taciamo per pietà, in questa sede, di chi osava mettere in dubbio l’efficacia di certi vaccini…) Bene, al tempo del coronavirus tutto è cambiato.

DON VIVIANI: “LE CHIESE CHIUSE SONO UN ATTO DI BUON SENSO”

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ato a Pinzolo nel 1956, dopo essere stato al servizio di Giovanni Paolo II e di Benedetto XV per quasi vent’anni, don Giulio Viviani è oggi professore al Seminario di Trento, nonché Maestro per le celebrazioni liturgiche dell’Arcivescovo Lauro Tisi. Abbiamo chiesto a lui una riflessione su come l’emergenza Covid-19 abbia impattato sulla fede e sulle pratiche religiose dei trentini. Don Giulio Viviani, chiudere le chiese cosa ha significato – sia in termini spirituali, ma anche pratici – per i parroci trentini? Penso anche a certe vallate, lontane del fragore della modernità, dove la religiosità è ancora metro dell’esistenza. Chiudere le chiese, tutte le chiese, è un fatto unico nella nostra storia a memoria d’uomo. Certamente il grave momento che stiamo vivendo chiede questo sacrificio necessario per la salute pubblica e la Chiesa non può tirarsi indietro. Abbiamo visto cosa, purtroppo, è successo anche in Italia, per chi ha voluto disobbedire e ugualmente celebrare funerali, battesimi o altri incontri… un grave danno per molte famiglie e comunità. Si tratta di un grosso sacrificio sia personale che comunitario. Non facile da accettare e da gestire ma neDon Giulio Viviani 22

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cessario, anzi indispensabile, non per una cieca obbedienza ad autorità civili, ma per il bene comune. Una chiesa chiusa, ma soprattutto, la mancanza del celebrare insieme a lungo andare potrebbe minare l’esistenza stessa di una comunità. Per questo è necessario trovare modalità nuove che non sostituiscono il celebrare insieme (essenziale per i Sacramenti) che facciano sentire la comunione con Dio e tra di noi. Per i sacerdoti la mancanza della chiesa e quindi di una comunità che si ritrova è paragonabile a chi rimane improvvisamente senza contatti con la sua famiglia: si sente solo e spaesato. Come si è trasformato in questi giorni il rapporto con la Comunità? Le visite alle famiglie, i Sacramenti annullati, addirittura funerali e matrimoni che non si sono potuti tenere… In questa strana e surreale, inedita e straordinaria situazione, in cui viene a mancare il fondamento della vita cristiana che è la relazione personale e comunitaria con Dio ma anche con i fratelli e le sorelle, appare essenziale aiutare la gente a non sentirsi sola. Anzitutto fornendo le indicazioni e gli aiuti necessari a non smettere la relazione con Dio nella preghiera e nell’ascolto della sua Parola, sia personale che famigliare, ma anche la comunicazione con la comunità. Quante belle nuove esperienze stanno na-


trentinoattualità Alle 18 in punto, ogni giorno di questa emergenza, ci siamo ritrovati a pendere dalle labbra del dottor Borrelli, del dottor Brusaferro e del professor Locatelli. Personaggi a cui abbiamo imparato ad affezionarci, inutile negarlo. La giornaliera conferenza stampa, appuntamento immancabile di queste giornate di clausura e di paura, dalla quale apprendiamo i numeri, le percentuali, le curve, con la stessa bramosia, la stessa fiducia, uguale speranza di quando aspettavamo i risultati del Totocalcio. Scoprendo, peraltro, tutta una nuova terminologia fatta di statistiche, picchi e plateau. “Quanto è cresciuto il Veneto? E la Puglia? Quanto ha fatto il Milan? L’Inter ha pareggiato?” Sì, la tanto vituperata scienza (medicina, statistica, epidemiologia, ecc.) si è presa una bella rivincita. Chapeau! LA SALUTE DEL CITTADINO RIDIVENTA UNA PRIORITÀ Certo, fa un certo effetto vedere come, di fronte al dilagare delle polmoniti, e purtroppo ai moltissimi decessi, la salute di noi tutti sia ridiventata per lo Stato una priorità. Una vera priorità. Un valore ineludibile e sacro di una sacralità che non ci era parso di notare in tempi di

Lavarsi bene le mani: è diventato l’imperativo per combattere il rischio di contagio

tagli alla sanità pubblica. Tanto meno nei frangenti in cui la salute stessa veniva sacrificata all’altare dell’economia più sfrenata. Non ci pare che lo Stato tenesse così tanto alla salute degli italiani nelle situazioni che hanno riempito le cronache di questi anni. La terra dei fuochi, l’Ilva di Taranto, gli allevamenti intensivi e il traffico che avevano reso irrespirabili certe zone della Lombardia, regione che proprio “grazie” a questo virus oggi si è momentaneamente liberata di rumori, smog e liquami di ogni tipo. È curioso che questa malattia rubi l’aria

scendo anche grazie ai “vituperati” new media! Certo queste modalità non possono sostituire la partecipazione alla celebrazione vera e propria, ma aiutano a non perdere i contatti e a sentirsi ricordati dai propri sacerdoti. Alcune celebrazioni si possono rimandare, pur con tanti disagi, a tempi migliori; penso ai Battesimi, Prime Comunioni, Cresime, Matrimoni…; ma gli ultimi Sacramenti, soprattutto il Viatico, e le Esequie non sono differibili. Penso con tristezza

«FORSE QUESTI TEMPI AIUTERANNO A PENSARE ALLE COSE VERAMENTE IMPORTANTI DELLA VITA» a chi muore senza una mano amica, senza una preghiera… So di tanti infermieri e medici – e siamo loro grati e riconoscenti – che accompagnano con tratto umano anche quei momenti supremi. Penso alla delicatezza di questi funerali senza un cordoglio comunitario, dove il sacerdote rappresenta la comunità e prega a nome di essa. Nei prossimi mesi si dovranno trovare occasioni in cui pregare e celebrare comunitariamente per questi defunti. Tutti parlano delle chiese, ma pochi degli oratori e della vita comunitaria che si teneva al loro interno. Lì non ci può essere una “didattica a distanza”, o sbaglio? Anche in questo caso la chiesa per una comunità parrocchiale non è tutto. Oltre le celebrazioni ci sono anche tanti altri incontri che si tengono di solito negli oratori e nelle canoniche sia per adulti e anziani, che per giovani, per bambini e ragazzi. Ma penso anche alle tante iniziative diocesane. Tutto è sal-

alle persone così come le nostre polveri sottili la rubavano a Madre Terra. Coronavirus ha avuto anche un altro “merito”: quello di farci riscoprire giocoforza la decrescita. Ci sono diverse, sorprendenti analogie tra gli obblighi a cui ci ha sottoposto la quarantena sociale e le prescrizioni che riportavano gli antichi testi sacri, ad esempio dell’Ebraismo. Pensiamo allo Shabbat, giorno in cui non si doveva fare assolutamente nulla, né andare da nessuna parte. Se tendiamo l’orecchio, ne ha di cose da dirci quel che sta accadendo...

tato. Anche in questo caso si sopperisce con i nuovi mezzi. So di catechisti che mantengono i contatti con i loro gruppi, di specie di “teleconferenze” per riunioni, consigli ecc. Ma non è la stessa cosa… Anche personalmente devo pensare alle lezioni dello Studio Teologico inviando testi, ecc. ai seminaristi e agli altri studenti. Due domande in una, adesso. Messe in diretta tv e in streaming: come si concilia il rapporto con il Trascendente mediato dalla tecnologia? Per Enzo Bianchi, priore di Bose, “la virtualizzazione della liturgia significa morte della liturgia”: è d’accordo? Papa Francesco ha auspicato che la Chiesa faccia “risplendere la speranza della vita dove la morte fa le sue incursioni”. Come può farlo se viene – seppure per motivi di salute pubblica – messa in un angolo dall’autorità politica? Sono d’accordo con Enzo Bianchi che la liturgia, come ho detto, ha bisogno di una partecipazione vera, viva e attiva. Ma non possiamo neppure diventare talebani di una pratica liturgica che non possiamo oggi mantenere nella sua forma essenziale. Non possiamo celebrare normalmente; almeno diamo un aiuto, un sussidio… che è solo temporaneo. D’accordo non si potrebbe andare avanti così, ma al momento questo ci è possibile. Come per la confessione, il sacramento della Penitenza; è Dio che ci perdona e perdona sempre; normalmente lo fa attraverso un sacramento da celebrare con un sacerdote. Ora non è possibile; ma la Chiesa da sempre insegna che uno è già perdonato pur in attesa di poter celebrare sacramentalmente appena possibile la riconciliazione. Non è l’autorità politica che ci impedisce di celebrare pubbli-

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trentinoattualità Un altro dei must di questi giorni: la conferenza di Giuseppe Conte

UN VIRUS DEMOCRATICO È accaduto qualcosa di importante anche alla visione della società a cui eravamo abituati. L’epidemia ha annullato le differenze. Il precario si è ritrovato improvvisamente allo stesso livello, con i medesimi effettivi diritti e doveri, del capitano d’industria; l’operaio ha dovuto seguire le stesse disposizioni a cui è stato sottoposto lo sportivo milionario; le paure e i timori della casalinga sono diventate le stesse del Presidente del Consiglio che, in diretta tv, ha mostrato lo stesso smarrimento dei nostri anziani genitori. Tutti spaventati dallo stesso male. In questo il virus ha svelato il suo volto democratico, di distributore di equità. Un livellamento che si è rivelato operativo non solo nell’immediato, ma anche nelle prospettive future. La preoccupazione del padre rispetto al domani dei figli, dell’impiegato rispetto al suo posto di lavoro ha mostrato impressionanti somiglianze con l’incertezza del famoso cantante o del calciatore. Il destino di tanti piccoli artigiani si è rispecchiato in quello di tante attività floride in apparenza, ma basate su fragilissimi equilibri finanziari: pensiamo, ad esempio, al campionato di calcio e alle Olimpiadi di

Tokyo. C’è un che di evangelico in tutto ciò, non vi pare? E “DOPO”? E quindi, come per ogni guerra, anche per questa ci sarà un dopo. Non sappiamo ancora quando comincerà esattamente; quello che sappiamo è che, come tutti i dopoguerra, anche questo avrà bisogno di una ricostruzione. Con una differenza: le macerie, questa volta, non saranno quelle dei palazzi bombardati, ma saremo noi. Per prima cosa dovremo cercare di comprendere cosa è accaduto esattamente, perché nella frenesia e nel terrore di questi giorni non è che ci abbiamo capito poi molto. Quindi dovremo mi-

camente e comunitariamente; è il buon senso e il dovere di salvare quante più vite è possibile! Come sacerdote potrei fare il “martire” e l’eroe andando a trovare anziani e malati, celebrando i sacramenti per tutti e magari morirei “glorioso”; ma sarei il più grande peccatore perché avrei fatto del male diffondendo il virus in altre persone! In questo momento drammatico, abbiamo scoperto che le preoccupazioni di molti italiani sono gli eventi sportivi, quelli culturali, gli aperitivi, ecc.. Pochissimi ricordano, cosa ne sia invece in questo contesto, dei fragili, gli anziani soli, dei senza fissa dimora... Qui emerge l’altro aspetto della vita cristiana, oltre la liturgia che oggi è problematico. Come vivere il comandamento dell’amore, della carità in questo contesto tanto difficile, dove i più fragili e poveri sono ancora più esposti e in questo frangente magari anche abbandonati. Penso ai volontari che non possono andare in carcere; ai ministri straordinari della Comunione che non possono andare dai malti e dagli anziani; a chi non può raccogliere e distribuire il cibo, e potrei continuare… Come praticare la solidarietà e la condivisone in questi tempi? Anche in questo caso la pastorale ha sempre bisogno di fantasia creatrice. I nuovi mezzi, il telefono ci aiutano a mantenere relazioni, a incoraggiare, anche solo ad ascoltare (quanto ce n’è bisogno…). Ci sono gruppi parrocchiali che, con attenzione ai contatti e le necessarie precauzioni, si sono messi a disposizione per fare la spesa, per andare in farmacia, per chi è in casa… Quante famiglie già provate dal disagio vivono con maggiore fatica questi giorni.

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surare il cambiamento, lasciando che la resilienza ci rimetta in posizione, proprio come un oggetto di gomma deformato che spinge per ritornare alla sua forma originaria. Dovremo rimboccarci le maniche. E darci la mano, magari metaforicamente, ma darcela per davvero. Non è così campata in aria l’idea che forse le cose potranno andare meglio, dopo. Molti perderanno il lavoro, certamente, inutile nascondersi dietro un dito. Molti decideranno di lasciarlo quel lavoro. O decideranno di rallentare, di dedicarsi di più agli affetti e allo spirito, relegando l’attività lavorativa al suo ruolo primitivo di procacciamento di un salario, cessando di vedere nel lavoro la realizzazione della propria vita. Cambieremo? Saremo meno rancorosi? I leoni da tastiera diventeranno più docili? La società dell’odio resterà solo un pallido ricordo? Non possiamo saperlo, è ovvio. Però possiamo ricorrere ad un auspicio. Quando il dopovirus arriverà – speriamo molto presto – lo affronteremo a viso aperto, con la consapevolezza che il mondo che verrà non potrà mai essere peggiore di quello che ci saremo appena lasciati alle spalle. ■

Per il cristiano questa è una realtà per cui almeno pregare; in certi momenti non possiamo fare altro, non per lavarcene le mani, ma per affidarci alle mani di Dio. Forse anche questi tempi aiuteranno a pensare alle cose veramente importanti della vita. Come quando un naufrago su un’isola deserta si ritrova ad avere un baule di soldi che non gli servono a niente e gli manca quello che è veramente essenziale! Cosa accadrà “dopo”? Il rapporto chiesa-fedeli ne uscirà trasformato? In che modo? Il dopo non lo possiamo conoscere. Ogni crisi, ogni nuova esperienza insegna qualcosa e modifica comportamenti e scelte di vita. Quindi speriamo che la “lezione” ci serva. La Chiesa non è qualcosa d’altro dei fedeli; la Chiesa è la comunità di tutti i fedeli, compresi i loro pastori. Abbiamo bisogno gli uni degli altri. Ho anche il timore che la nostra società (e la Chiesa, le nostre comunità ci sono dentro in questa cultura) sia portata a dimenticare… “Passata la festa, gabbato lo Santo” dice un vecchio proverbio. Spero non sia vero e che re-impariamo a sentire il valore delle nostre chiese, degli oratori ecc. cioè dei luoghi di incontro tra di noi e con Dio, come realtà normale ed essenziale della vita. Come scrive Papa Francesco in Querida Amazonia (n. 22): “Cristo ha redento l’essere umano intero e vuole ristabilire in ciascuno la capacità di entrare in relazione con gli altri. Il Vangelo propone la carità divina che promana dal Cuore di Cristo e che genera una ricerca di giustizia che è inseparabilmente un canto di fraternità e di solidarietà, uno stimolo per la cultura dell’incontro”. Ce lo auguriamo di cuore. Coraggio!


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DIARIO DI QUESTI STRANI, STRANISSIMI GIORNI DENISE FASANELLI, TIZIANA TOMASINI E (DA MILANO) SILVIA TARTER CI RACCONTANO LA LORO QUOTIDIANITÀ. CHI PER LAVORO PORTA I PASTI AGLI ANZIANI, CHI È COSTRETTO IN CASA DENISE FASANELLI: “IL MIO LAVORO, AL SERVIZIO DEGLI ANZIANI SOLI. ADESSO ANCORA PIÙ SOLI”

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gni mattina posteggio la macchina poco più lontana del giorno prima: guadagno qualche metro di aria, qualche passo, un piccolo spazio di libertà. Una brevissima boccata d’aria, un privilegio dorato condito da un piccolo senso di colpa se penso a chi è perennemente recluso senza un terrazzo, un giardino, costretto in pochi metri quadri. Arrivo al lavoro, mantengo le distanze, rispetto le regole, faccio attenzione. Faccio molta attenzione. Ogni giorno con i colleghi si sdrammatizza, si scherza e si cerca di porre la giusta attenzione alle cose, scambiando informazioni, moltiplicando il coraggio, dividendo le ansie. Questo lavoro era più leggero, spen-

sierato qualche mese fa: si caricava il furgone con i pasti per gli anziani e ci si dirigeva presso le loro abitazioni, entrando, chiacchierando, stringendo relazioni, assicurandosi che stessero bene. Capitava di raccogliere un ricordo prezioso, una battuta, un complimento, una storia antica. Capitava di confortare una solitudine con un gesto, qualche parola, un aiuto per spostare della legna più vicino alla stufa. Capitava anche di ricevere un cioccolatino, un pezzo di torta, un pensiero banale. Cose che, a pensarci adesso, appaiono commoventi. Oggi è diverso, oggi non è come prima. Oggi mettiamo i guanti, li cambiamo con estrema attenzione ad ogni utente evitando contaminazioni, ci passiamo il gel disinfettante sulle mani ormai screpolate. Ripetiamo questi gesti di continuo. Oggi indossiamo la mascherina, suoniamo alla porta, lasciamo il contenitore del pasto fuori, raccogliamo il vuoto e

aspettiamo di ricevere un cenno, una risposta. Dobbiamo assicurarci che le persone ci siano, stiano bene ma dobbiamo farlo a distanza. Non è sempre facile: un conto è capire se una persona sta bene ed è autonoma dall’ambiente in cui vive, altro è farlo attraverso un citofono, una finestra o una porta chiusa. C’è il signore che mi attende alla finestra, fa scattare la serratura del portone e poi torna ad aspettarmi nuovamente alla finestra per augurarmi buona giornata con il sorriso di chi aspetterà, ancora e ancora se gli sarà possibile. L’ottimismo di chi ha già una vita vissuta alle spalle, seppur tra mille difficoltà e acciacchi; il realismo di chi ha fatto i conti con la propria età ancora prima del coronavirus e sa di non essere eterno, invincibile e con autoironia ti dice che “Di qualcosa prima o poi devo pur morire, no?” C’è chi chiede “Come è là fuori?”. Spa-

SMART WORKING, WHAT ELSE?!

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a situazione che stiamo vivendo in queste ultime settimane ci ha costretti infatti a cambiare radicalmente le nostre abitudini, anche lavorative. Houzz (www.houzz.it) – la piattaforma online leader mondiale nella ristrutturazione – ha individuato cinque linee guida da adottare per ricreare a casa la postazione lavorativa perfetta, sfruttando al meglio l’ambiente circostante: Ricrea il tuo equilibrio: Optare per una buona luce naturale, limitare i colori saturi e il total white, scegliere materiali naturali e, quando possibile, un tocco di piante sempreverdi. Gioca di incastri intelligenti: Che si tratti del sottoscala, di un sottotetto dimenticato o di un angolo inutilizzato in

camera da letto, giocare di incastri non solo ti sarà utile, ma donerà nuovo carattere alle mura domestiche. Se la situazione è momentanea, opta per la semplicità: Preferite una soluzione semplice, dotata del minimo necessario e, soprattutto, facile da montare e smontare all’occorrenza. Favorisci la concentrazione: È necessario stabilire due regole fondamentali: mantenere la postazione sempre ordinata e sgombra da elementi estranei al proprio lavoro, e favorire la privacy. Come delimitare allora lo spazio di lavoro? Con carte da parati utilizzate, pareti in vetro trasparente usate come separè, o semplicemente tappeti che delimitano l’area. Siediti comodo: Le sedie da ufficio ben progettate evitano il sopraggiungere di mal di schiena e cervicale.

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trentinoattualità ventato e incuriosito da quello che vede e sente, senza avere la minima idea di come le strade possano essere deserte, spettrali, di come si senta nitido il canto degli uccelli che di solito veniva coperto da altri rumori, di come i gatti si siano impossessati dei giardini, dei marciapiedi e le lucertole dei muretti, di come corvi, merli e una miriade di volatili sia tornata sulle strade che portano alle campagne indisturbati dal raro passaggio di mezzi. Di come l’erba e i fiori stiano invadendo i bordi dei marciapiedi e l’aria abbia cambiato colore, odore, spessore. C’è la signora che è in difficoltà, poco lucida, che non si ricorda delle misure di sicurezza e ti chiede aiuto, ti si avvicina e ti tocca, aggrappandosi, anche se non dovrebbe, alla ricerca inconscia e disperata di un contatto, di sollievo attraverso la vicinanza, con gli occhi teneri e velati di una malinconia senza fondo. E non sai se avere più paura del contatto o di certe solitudini. C’è il signore che lotta con la depressione da anni, ed oggi, più che mai, ha bisogno di fermarsi sul portone e scambiare quattro chiacchiere sul tempo, sui nipoti che disegnano arcobaleni per il suo terrazzo, sul bisogno che avrebbe di uscire, di vedere i propri cari, sottolineando con i suoi sospiri tutte quelle cose che gli mancano e che sa di dover sopportare. Con il suo bisogno di sapere che questa situazione sarà a termine, perchè le giornate si sono fatte più lunghe che mai. Il suo bisogno di speranza stringe lo stomaco, ogni mattina, ogni giorno. C’è chi si preoccupa per noi e chiede “Come va?”, con la serietà di chi ascolta e, adesso, vuole conoscere davvero la risposta. E vuole sapere dei figli, dei familiari. Vuole sapere se anche noi abbiamo paura per i nostri cari, per noi. Proprio come loro. Vuole sapere se verremo comunque, anche domani, quasi finisse il mondo. Quasi fossimo la nota di normalità in un mondo surreale, fatto di nuove abitudini e routine giornaliere. C’è chi ha paura, si sente fragile, naufrago o strangolato dalla solitudine. C’è chi saluta da dietro un vetro, parla da dietro una porta senza dilungarsi come prima, quasi facessero paura anche le parole, le voci. C’è chi era solo anche prima ma di una solitudine diversa, meno feroce. E poi ci sei tu che vorresti dirgli quanto sia giusto avere paura e sentirsi fragili, quanto sia umana la richiesta di conforto. Quanto si abbia bisogno di riempire la giornata con la vita, senza passare semplicemente il tempo. Tu che vorresti 26

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rassicurare o anche solo strappare un sorriso, un momento spensierato. Tu che ci provi a fare la differenza nel tuo piccolo, nonostante la condivisione di paure e preoccupazioni. Tu che ti accorgi di come la medicina più efficace per loro, per te, forse per tutti, sia proprio la relazione umana, anche a dovuta distanza.

TIZIANA TOMASINI: “SCENE DI ORDINARIA ISTERIA, DA CONVIVENZA FORZATA”

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attina. Sveglia alle sette. Caffè in tazza grande e subito una prima occhiata ai giornali online per seguire gli ultimissimi aggiornamenti. Verso le otto comincio il giro di sveglia per le video - lezioni dei miei

figli. La sala da pranzo si trasforma in un attimo in una centrale operativa, sembra una sede distaccata della Nasa. Computer, libri, carta e penna, righelli, telefoni collegati e carica batterie già caldi. Due biscotti e una spremuta. Come le notizie Ansa, piovono improvvisamente sul tavolo dalle varie scuole – a ritmo incalzante – consegne di relazioni, riassunti, mappe, statistiche, problemi di matematica e cartine geografiche. Ci diamo tutti una mano. In queste settimane di quarantena abbiamo imparato a fare di tutto dietro uno schermo e sopra una tastiera. Tra il compito dell’uno e quello dell’altro, mi ricordo di essere anche quella che i compiti li dà per mestiere. Allora veloce, apro un’altra finestra e via sulle piattaforme a correggere/ valutare/assegnare per chi, come e do-

“QUARANTENATI” IN PANTOFOLE

Daniel, 16 anni

Samuele, 15 anni

Patrick, 16 anni

Nikolas, 17 anni


trentinoattualità

ve. Intanto seguo sul cellulare la chat con le colleghe. Ma sbrighiamoci, l’ora di consegna è vicina. Dall’altra parte qualcuno fa l’appello. Ci sei? Ci sono. Ci siamo. Più o meno. Scattata l’ora x e girati tutti i documenti girabili per oggi, sale prepotente la fame. La centrale Nasa si sposta sul divano e il tavolo si apparecchia per il pranzo. Cambio rapido di scena. Sono distrutta. Pomeriggio. Mi impongo di lavorare al computer fino alle 16.00, poi spengo e mi trasformo. Devo necessariamente vestire i panni della casalinga. Con TUTTISEMPREACASA si continua a sporcare e quindi a dover pulire. Poi mettici la fobia del virus e allora giù tende, coperte e lenzuola da inserire nel ciclo infernale quotidiano di lavatrice/ stenditoio. I ragazzi navigano sui social, guardano serie TV e giocano alla play. Come vietarglielo? Non possono uscire, devono studiare e fare un sacco di compiti, se tolgo anche i videogiochi e la TV come passano i pomeriggi? Non sono più in età di lego, lavoretti e pittura! Hanno un bel coraggio certi esperti a sconsigliare la navigazione ai giovani, in questo periodo! Vorrei vedere loro scendere in campo con un tot numero di adolescenti! Ho provato a suggerire loro la lettura di un libro, ma ometto in questa sede di riferire la risposta, dopo una mattinata di compiti… E poi che fanno? Parlano e si videochiamano tanto al telefono con gli amici. Qualche volta mi piace ascoltarli. Tra di loro si chiamano BRO e FRA; sembrano superficiali e invece affrontano il problema che tutti stiamo vivendo con serietà e consapevolezza. Parlano di grafici e di picchi, di scuole chiuse e di esami, di mascherine e gel per le mani. E poi li senti ridere; ti chiamano per mostrarti l’ultimo video o la recente vignetta e magari farti fare un saluto all’amico in linea, tanto per sentirsi come prima, quando passavano da casa e circolavano liberamente. Ridiamo tutti insieme per sdrammatizzare. Intanto ho rispolverato

la cyclette e macino ogni giorno chilometri virtuali per colmare quel vuoto di sport che rappresenta un pezzo di vita. Poi la spesa in assetto di guerra e via verso la serata. Sono a pezzi. Sera. La domanda giunge puntuale all’imbrunire: “Cosa c’è per cena?” Lo sapevo. “Ma se non avete neanche finito di digerire il pranzo?!” “Allora mangio pane e nutella se devo aspettare!” Scat-

ta così l’orgoglio del mio nutrizionista interiore e piuttosto di un pasticcio alimentare mi rimbocco le maniche e mi metto al lavoro. Piadine farcite. Grande idea. Intanto seguo la diretta giornaliera di Fugatti. “E di secondo cosa c’è?” “Ma se c’era dentro tutto il mondo proteico e vegetale, non basta?” Fossero poi tutti sincronizzati. Uno prima, l’altro dopo, l’altro più tardi ancora. Allora scatta il picco di nervoso ed esplodo con un BASTA! ARRANGIATEVI! Cambio stanza e passo così al divano, al telegiornale e le chat con i gruppi e gli amici. Sento che sto per cedere. La stanchezza si fa sentire. Riordino il tavolo che dovrà essere pronto per la sala stampa di domani. Facciamo pace e ci salutiamo. Segno una crocetta sul calendario accanto al giorno che ormai è trascorso. Ormai è una lunga fila rossa che aspetta soltanto la parola FINE.

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trentinoattualità SILVIA TARTER: “APPUNTI DI UNA RAGAZZA TRENTINA, NEL TEMPO IMMOBILE DI MILANO...”

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ono una trentina trapiantata a Milano. Da due anni questa è la mia città. Le sagome dei grattacieli di City Life e Porta Nuova hanno sostituito i profili delle montagne. La mia vita si è fatta più dinamica, caotica, ma anche ricca di incontri interessanti. Ora, in questa strana sospensione del tempo anche la Milano che non si ferma mai, cuore pulsante d’Italia, ha rallentato il suo battito. Osservo dal terrazzino una città che è profondamente diversa. Una città svuotata, silente, dove l’energia, la vitalità e la voglia di fare che la caratterizzano sono momentaneamente congelate, rimandate a un dopo imprecisato. Solo oggi, in un sabato qualsiasi di marzo, apprendo che sono deceduti in tanti. Mentre io sono rimasta tutto il giorno in casa, ho cucinato, ho pulito ogni angolo dell’appartamento, letto, studiato, innaffiato le piantine e tolto le foglioline secche. C’è un bollettino di guerra che va avanti da settimane, che ha monopolizzato la nostra attenzione, i nostri discorsi, i nostri pensieri, determinando il nostro tempo. Ogni giorno accendiamo i telegiornali per sapere quanti ne sono morti oggi, quanti invece sono guariti, quanti sono stati contagiati… E

riportiamo questi numeri, ce li ripetiamo tra di noi, al telefono con i nostri cari, che sono spesso lontani, in altre città, in altre regioni e noi non possiamo vederli. Proprio ora che vorremmo stare insieme, in un momento così tragico, possiamo solo sentirli, o video chiamarli… Ma va bene così, questo in fondo è il meno per chi non è colpito da vicino. Quasi ci si abitua a questa strana quarantena quaresimale. Ci si costruisce, è proprio di noi umani, una routine, scandita dai pasti, dalle sedute di ginnastica, e per chi come me, che ha la fortuna di avere un panorama sulla campagna, di una boccata d’aria a guardare la natura che si risveglia in questa primavera a noi negata.

Le giornate trascorrono lente e silenziose, pochissimi i contatti dal vivo, se non qualche buon giorno urlato da un balcone all’altro. A riempirle costantemente il ronzio di un computer accesso per svago o lavoro. Dall’altra parte stanno i miei studenti, i cui volti posso rivedere, sgranati, sbiaditi, da un’applicazione di google, che ci consente di fare qualche ora di lezione al mattino e assegnare dei compiti. Fare lezione così è molto diverso che stare in classe. Nessuno disturba. Ognuno apre il microfono solo quando è interpellato, o per le domande. Tra un’esercitazione di grammatica e un’interrogazione sulle guerre mondiali, cerco di rassicurarli, cerco di trasmettere loro anche qualcosa di

OMAR MAURINA, 22 ANNI, INFERMIERE IN PRIMA LINEA SI È LAUREATO SOLO QUALCHE SETTIMANA PRIMA DI PRENDERE SERVIZIO. “QUANDO L’EMERGENZA SARÀ PASSATA” DICE, “POTRANNO ESSERCI CAMBIAMENTI. ANCHE NEL SISTEMA SANITARIO...”

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mar Maurina è nato a Trento nel 1997 ed abita a Caldonazzo. Il 5 dicembre dello scorso anno si è laureato in Infermieristica all’Università degli Studi di Verona. Solo qualche settimana dopo, assunto da una RSA trentina, si è ritrovato nel vortice del Covid-19, in prima linea, chiamato ad affrontare non solo le difficoltà legate all’inizio della professione, ma anche quelle scaturite dall’emergenza. Questa la sua testimonianza. Cominciamo dagli studi. Cosa l’ha spinta a scegliere quel percorso universitario? Non so cosa mi abbia influenzato in questa scelta. Avevo davvero poca conoscenza dell’ambiente sanitario, del ruolo dell’infermiere e nessuno mi ha davvero mai consigliato direttamente di scegliere il corso di Laurea in Infermieristica. Forse l’aneddoto che maggiormente mi ha convinto è stata

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la partecipazione al corso BLS organizzato da alcuni infermieri del 118, in collaborazione con delle scuole superiori della provincia, che mi ha permesso di confrontarmi con questa figura professionale. Poi, con l’inizio dell’università, mi sono convinto man mano frequentando le lezioni didattiche del corso e il lungo percorso di tirocinio. Ho conosciuto professionisti sanitari che mi hanno cercato in tutti i modi di trasmettere la loro passione per il lavoro e di questo ho solo che ringraziarli. Ha trovato lavoro in pochissimo tempo dopo la laurea, se lo aspettava? Sì, me lo aspettavo. Per la nostra figura professionale, come per le altre figure sanitarie ci sono molte possibilità occupazionali sia nell’ambito del pubblico che del privato. Questo anche prima dell’emergenza che stiamo vivendo ora. Quello che certamente non si aspettava era di ritrovarsi in una specie di scenario bellico, com’è quello in cui il coronavirus sembra aver gettato la nostra intera società. Quali sono state le sue principali reazioni, una volta realizzato quanto stava accadendo? No, non me lo aspettavo, come nessuno di noi dal resto. All’inizio sembrava una cosa molto lontana, ora è qui tra noi. Tuttavia credo non serva fare inutili polemiche su di chi sia la


trentinoattualità 11 marzo 2020. “Fuga da Milano”: una scena che non dimenticheremo mai

Questo meme si domanda se il virus abbia trasformato gli esseri umani in piccioni

bello. Una poesia sulla primavera, qualche frase di speranza del Papa. Anche tra loro c’è chi ha perso qualcuno di caro e ascolta in silenzio. In certi momenti si ripensa a tutto quello che si faceva prima, a quel correre avanti e indietro tutto il giorno e mi sembra un tempo lontanissimo: metro affollate, studenti davanti ai cancelli, colleghi, battute, caffè, aperitivi in corso Sempione, incontri con gli autori nelle librerie. Torneremo mai a quella vita? Altre volte penso a casa, la casa delle mie radici. Ai miei nonni, anche se non ci sono più. Loro che hanno visto la guerra, che hanno combattuto. Noi che a volte ci lamentiamo perché ci vietano la corsetta

al parco. Vorrei raccontar loro che cosa sta succedendo. Vorrei rivedere la loro casa, la mia casa, camminare sulle mie montagne. Ho già pianificato le escursioni che vorrei fare quest’estate sul Brenta… appena tutto questo finirà. Appena finirà saremo le stesse persone? Probabilmente, dopo un po’ ci abitueremo di nuovo a tutto, e torneremo a lamentarci del collega antipatico, del troppo lavoro, delle polveri sottili qui in città, dove non ho mai visto cieli tanto azzurri come in questi giorni. Ma almeno per un po’, per qualche momento, sono sicura che proveremo una grande gioia e apprezzeremo tantissimo la riconquistata libertà. Perché questo virus ci ha fatto scoprire

colpa e come si poteva evitare la diffusione. Colpa che credo nessuno abbia. Ora come ora è necessario adottare le misure precauzionali per uscire dalla situazione. Quali sono le problematiche principali per il suo lavoro, in questo delicato momento? Parlare di problematiche è forse riduttivo in questo momento. Ce ne sono varie, ognuna con la relativa importanza e priorità. Potrei parlare della mostruosa turnistica necessaria per garantire il servizio, potrei scrivere della stanchezza mentale e di quella fisica che comporta il dover indossare i DPI necessari per molte ore. Potrei parlare della paura di rischiare ogni giorno il contagio, di poterlo portare nelle nostre case, dai nostri famigliari che ci stanno a cuore. Potrei parlare di molte cose. Forse però il problema principale di cui dovrei davvero parlare è quello che accomuna tutte le persone in questo momento e non solo i pazienti: essere soli e distanti l’una con l’altra, chi più chi meno. Fare gli infermieri in una RSA vuol dire anche essere un po’ psicologi? Ci racconta la sua breve esperienza in tal senso? Essere infermieri in questo momento nelle RSA vuol dire, in primo luogo, dover garan-

cosa in fondo è davvero importante, cosa è davvero necessario: i nostri cari, la famiglia, il lavoro… la salute. Noi umani siamo così, a volte ci rendiamo conto delle cose solo quando ci vengono tolte. Ma c’è anche qualcosa che in questa sofferenza ci viene dato: la possibilità di smascherarci, di metterci a nudo nella nostra essenzialità, di riscoprire il valore della nostra vita. Una vita che a volte disprezziamo, immersi in un’opulenza che porta talvolta al malcontento e all’eterna insoddisfazione. Non abbiamo perso tutto. Abbiamo sempre noi stessi, la nostra speranza, la nostra pazienza, la nostra forza. È da qui che dobbiamo ripartire. Quando sarà… ■

tire un sopporto sanitario intensivo a molti pazienti acuti che non possono essere indirizzati verso l’ospedale. In secondo luogo credo che essere infermieri in questo momento voglia dire essere un tramite con le famiglie, essere una delle poche persone che può non solo riferire condizioni sanitarie e andamento della malattia, ma anche essere quella figura che può prendersi la responsabilità di portare un saluto al paziente, magari l’ultimo, quello che una figlia o un figlio avrebbero voluto dare alla mamma o al papà, ma che non hanno potuto. Il mondo degli anziani è un mondo di invisibili per chi non ci vive o non ci lavora: perché accade questo, secondo lei? Credo sia dovuto alla paura del fine vita, paura che deve essere necessariamente affrontata, prima o poi, e che non sempre si è pronti a guardare in faccia. Quando l’emergenza sarà passata, pensa che cambierà qualcosa nel suo lavoro e nella gestione delle RSA? Se sì, cosa? Quando passerà l’emergenza, l’ultima cosa che possiamo prevedere sono i cambiamenti che non solo avverranno a livello del mio lavoro e di quello delle RSA, ma di tutto il Sistema Sanitario Nazionale.

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trentinoattualità

UNA RISATA E UNA CANZONE CONTRO LA PAURA di Fabio Peterlongo

IN QUESTE SETTIMANE DI ISOLAMENTO, RESTA SOLO UNA FINESTRA APERTA SUL MONDO: SONO I SOCIAL-NETWORK CHE RECUPERANO LA FUNZIONE DI AVVICINARE LE PERSONE, COSA CHE, TRA FAKE-NEWS E POLEMICHE AL VETRIOLO, FORSE NON HANNO MAI ESERCITATO PRIMA. E ANCHE IN TRENTINO SI MOLTIPLICANO LE INIZIATIVE: ARTE, TEATRO, SPORT, DIDATTICA E...

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aura e rabbia, ironia e speranza. La risposta dei trentini alla pandemia di coronavirus, all’isolamento forzato, alle file ai supermercati, al conto quotidiano di contagiati, deceduti e guariti, viaggia sui social-network. Sono i vecchi e nuovi media l’unica finestra aperta sul mondo in questi giorni drammatici: la tv accesa per sentire le ultime notizie, il web connesso per esprimere il proprio stato d’animo. Nelle settimane del contagio, i trentini hanno aderito alle orgogliose manifestazioni di incoraggiamento e gratitudine sporgendosi dalle finestre per applaudire e per condividere con i vicini un canto o un inno. E molti esponenti del mondo della cultura e dello sport non si sono limitati a questo: hanno prodotto contenuti di svago che hanno condiviso sui social-network. Per rallegrare gli altri, ma anche un po’ se stessi, tenendosi impegnati durante queste giornate interminabili. I FLASH-MOB SOCIAL Il primo evento collettivo che ha aperto la risposta emotiva dei trentini all’isolamento è avvenuto il 14 marzo alle ore 12, quando centinaia di persone si sono esposte dalla loro finestra per applaudire lo sforzo del personale sanitario. È il primo “flash-mob dai balconi”, nato sponta-

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neamente attraverso il passa-parola veicolato dai social. La risposta dei trentini è stata sentita e calorosa, come riporta la stampa locale: le fotografie e i video raccontano un momento emozionante che ha visto la popolazione esprimere con un gesto semplice la propria gratitudine verso medici e infermieri. Ma la reazione “social” non si è fermata qui, con il secondo grande flash-mob di quella giornata: alle ore 18 è stata la volta del “flash-mob musicale”, con le persone invitate a sporgersi dalle finestre ed alzare al massimo il volume della radio o dello stereo, per “inondare” di note l’imbrunire

inquieto. E anche qui, i trentini si sono fatti trovare pronti. Alcuni hanno suonato strumenti propri, altri hanno optato per classici della musica italiana come “Nel blu dipinto di blu” di Domenico Modugno, qualcun altro per il classic rock degli Eagles con la loro celeberrima “Hotel California”, brano che parla contemporaneamente di viaggio e di prigionia, di condivisione e di solitudine. La mobilitazione “social” non si ferma e alle ore 21 di domenica 15 marzo migliaia di trentini hanno spento le luci di casa ed illuminato per un minuto le finestre delle abitazioni con candele, lampade, torce o il “flash” del telefonino. Il colpo

d’occhio è di certo straordinario. Un altro momento significativo e senza precedenti è stato sperimentato venerdì 20 marzo alle 11, quando tutte le emittenti radio del territorio nazionale hanno

trasmesso in contemporanea quattro brani: l’inno di Mameli, “Azzurro”, “La canzone del sole” e “Nel blu dipinto di blu”. È il “flash-mob delle radio” cui anche le emittenti trentine hanno aderito, unificando il loro segnale per la prima volta nella storia. Un’iniziativa raccolta con simpatia dagli ascoltatori e anche con qualche richiesta di aggiungere a questo “poker” musicale anche l’Inno al Trentino, consono allo spirito autonomista che contraddistingue questo popolo. ARTE, DIDATTICA, TEATRO E SPORT Sono moltissime le iniziative didattiche e ricreative che artisti e musicisti hanno proposto per alleviare l’ansia da isolamento, con un occhio particolare ai bambini. Costretti in casa, senza la possibilità di sfogare all’esterno la propria esuberanza e senza quell’elemento “ordinatore” che è la scuola, i bambini hanno cominciato ben presto a dare segni di insofferenza. In soccorso ai genitori sono arrivate le


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decine di iniziative (in via di incremento) raccolte attraverso il portale www. iltrentinodeibambini.it. Laboratori didattici, esperimenti di cucina, piccoli trucchi magici e attività in inglese. Ma anche spettacoli teatrali, letture dal vivo di favole e racconti, teatrini delle ombre e marionette. Insomma, il mondo della cultura trentina ha colto l’opportunità di questa tragica crisi per allacciare un legame a distanza con i suoi piccoli e grandi fruitori. Significativa è la proposta del Conservatorio Bonporti di Trento e Riva del Garda, che ha inaugurato l’esperimento di “Bonporti OnAir - A casa mi veniva”. Attraverso delle video-esibizioni proposte via Facebook, docenti e studenti del Conservatorio propongono quotidianamente dei pezzi musicali che mettono alla prova la loro abilità e consentono al pubblico di apprezzare le atmosfere della musica classica o d’autore. «È un modo che hanno gli studenti e gli insegnanti

per fare comunità in questo momento drammatico – ha spiegato il direttore del Conservatorio Massimiliano Rizzoli – La musica è una pratica individuale che richiede metodo ed esercizio costante ed è dunque più che mai importante coltivare il confronto didattico tra docenti e studenti». È curiosa l’intuizione dell’artista 28enne Gabriele Nardelli. Di professione fa l’insegnante di tedesco, ma ha una fortunata carriera parallela di artista e illustratore: per alleviare la noia da isolamento, sui suoi profili Facebook ed Instagram propone dei disegni in bianco e nero da scaricare e stampare gratuitamente che raffigurano Trento e il Trentino. «È un omaggio alla nostra terra, che possiamo immaginare creativamente colorando in maniera libera i disegni che propongo – spiega Gabriele, che continua ad indossare anche i panni dell’insegnante di tedesco. È anche l’occasione per ripetere un po’ di tedesco perché inserisco nelle illustrazioni i vocaboli importanti». Le illustrazioni sono disponibili sulla pagina Facebook “Gabriel Art&Languages” e sull’omonimo profilo Instagram. Anche il mondo dello sport si è attivato, con le maggiori società trentine che “scendono in campo” contro la frustra-

zione della clausura, che rende difficile se non impossibile praticare un po’ di sana attività sportiva. Tra le capofila dell’esperimento c’è Trentino Volley che ha previsto delle sedute di allenamento online per la squadra Under 13. Ogni giorno, attorno alle ore 18, grazie alla piattaforma di live-meeting “Zoom” i coach Sara Festi e Davide Dalla Torre dirigono una sessione che vede gli atleti allenarsi davanti alla webcam del loro pc, per verificare il corretto svolgimento degli esercizi ma anche tenere in contatto gli stessi giocatori fra loro. «Il nostro compito è di supervisionare il lavoro ma anche di tenere alto il morale dei giocatori; – spiega Sara Festi – stare in palestra è un’altra cosa ma tutto aiuta per mantenere forte lo spirito di squadra ed il gruppo unito». ■

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trentinoattualità trentinoincontri

Caro Maestro, ...MA DOV’ERI FINITO?! di Tiziana Tomasini

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È UN DATO DI FATTO: GLI INSEGNANTI MASCHI NELLA SCUOLA PRIMARIA, NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA E AL NIDO SONO NETTAMENTE IN MINORANZA RISPETTO AL FEMMINILE CHE SPOPOL A. EPPURE UNA VOLTA I MAESTRI MASCHI ERANO I PILASTRI DEL MONDO DELL’ISTRUZIONE. NOI DI TRENTINOMESE, QUESTA VOLTA, SIAMO ANDATI A CERCARE I POCHI ANCORA IN CIRCOLAZIONE E CI SIAMO FATTI RACCONTARE DA OGNUNO DI LORO SCELTE, ATTITUDINI, PROSPETTIVE. CON TANTE SORPRESE ED UN UNICO COMUN DENOMINATORE: INSEGNARE, A TUTTI I LIVELLI E IN TUTTI I GRADI, RIMANE UNO DEI MESTIERI PIÙ BELLI DEL MONDO. E IN TEMPI DI CORONAVIRUS, CI HANNO DETTO CHE…

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Massimo Lazzeri

45 anni, insegnante di ruolo alla scuola primaria “F. Crispi” di Trento (IC Trento 5), direttore artistico (ma gli piace definirsi “teatrante”) del Teatro San Marco di Trento, cantautore.

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o volevo fare il maestro; non è stato un ripiego, ma una scelta.” Aveva – ed ha – le idee chiare Massimo Lazzeri, classe 1974, insegnante con tante anime e molte sfaccettature, che ritornano e convogliano nel mestiere che ama. Alla fine delle superiori è ancora deciso a fare il maestro e a soli diciotto anni comincia a insegnare come supplente in val di Fassa. “Ho fatto la valigia e sono andato.” Inizia così la sua carriera scolastica, nella quale trovano spazio più esperienze su diversi fronti dell’insegnamento, come il carcere e gli adulti. Nella sua vita intanto prende sempre più forma il teatro, tanto da portarlo a sospendere la sua attività di insegnante per tre anni. “Ma poi sono tornato, perché mi mancava proprio il rapporto quotidiano con i bambini”. La scuola poi offre a Massimo terreno fertile per il suo lato artistico; il 70% della sua produzione teatrale è rivolta ai bambini e questo fatto costituisce un termometro costante. Sa cosa piace, insomma. Del resto si dice che “i bambini sono il pubblico più contemporaneo che esista”. Grande verità, per Massimo. I bambini sono sempre aggiornati, al presente. Massimo insegna italiano; con una do-

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cente di CLIL (acronimo che sta per Content and Language Integrated Learning, cioè l’apprendimento integrato di lingua e di contenuto) insegna inoltre musica ed arte in inglese. Tanti gli interessi educativi di Massimo Lazzeri. Lui ha l’abilitazione ad insegnare tedesco e inglese, e alla metodologia CLIL; anni fa si è interessato alla pedagogia staineriana e adesso a quella della Montessori. Ha cercato di spaziare e di fare miniera di alcune cose che lo interessano e che gli piacciono. Utilizza molto la musica, l’arte, la creatività. Porta spesso i bambini a teatro e anche in una modalità particolare: cioè alle prove generali dei suoi spettacoli. Così i bambini hanno modo di dire come la pensano. Racconta che dopo un po’ di esperienza ti sanno dire cosa va e cosa manca in uno spettacolo. ”Un giorno un bambino mi ha scioccato: secondo me, quando c’è quel cambio di scena, la musica dovrebbe durare alcuni secondi in più.. e poi l’attrice non potrebbe uscire da un’altra parte? Sorprendentemente, quelle osservazioni coincidevano con quello che avevo rilevato io stesso..!” Come cantautore quest’estate ha inciso un disco – “Vedi che c’è il sole” – e in una canzone ci sono i bambini che cantano. Da ascoltare assolutamente “Siamo tutti sullo stesso barcone”, che parla di migranti. Chiaramente ad alcuni genitori le tematiche che affronta anche a teatro – le diversità nel senso più ampio del termine – piacciono molto; altri sono indifferenti.

Ma come vedono i genitori la figura del maestro maschio? In un ambito prettamente femminile, la figura del maestro che crea un po’ di equilibrio, piace. E poi lui è sempre disponibile per parlare e discutere: ai genitori comunica numero di telefono e indirizzo mail per le problematiche urgenti, precisando: ”Venite direttamente da me, se ci sono problemi!” Il discorso del genere maschile è quindi apprezzato dai genitori; nel caso di Massimo è tuttavia secondario. Preponderante è il fatto che lui faccia anche teatro e musica, perché inevitabilmente i bambini vengono coinvolti. Certo per alcuni la prima preoccupazione è: Ma farà anche scuola questo maestro così impegnato? Dopo vedono che i figli Sopra, Massimo Lazzeri nell’aula della scuola all’Asmara (Eritrea). Sotto, nell’aula delle scuole Crispi


trentinoincontri arrivano a casa con i dettati, i compiti d’ortografia, le righe di A e di E e allora dicono sì, fa italiano! Massimo afferma che il suo modo di rapportarsi con i bambini è totalmente diverso da quello delle maestre. Che non è meglio o peggio; è diverso. Si ritiene più sbrigativo su alcune cose e tende a dare meno peso ad alcune cose piuttosto che ad altre; è molto veloce nelle cose pratiche. Bisogna decidere una cosa? Facciamo così e così! Loro, le colleghe donne, tenderebbero a discutere di più. Ma se siamo d’accordo, è inutile stare a discutere; e se non siamo d’accordo, ci veniamo incontro e cerchiamo di capire. Com’è il rapporto con le colleghe? Massimo racconta di aver incontrato qualche difficoltà nei primi anni di insegnamento: non tanto perché era maschio ma perché era giovane. E siccome era già molto deciso, si chiedevano:” Ma cosa vuole questo?” Forse dava l’idea di essere presuntuoso. E già molto avanti su tanti aspetti. Si sente infatti lontano dalla figura del maestro anni Cinquanta/Sessanta; gli piace il modo di insegnare di adesso e gli piacciono i bambini di adesso. Sono equilibrati, centrati, sanno cosa vogliono, (e cosa non vogliono), rispondono secondo il loro modo di pensare e di sentire. Vent’anni fa era più facile insegnare perché i bambini erano più educati, ascoltavano di più. Non erano bombardati da telefoni e internet. Sicuramente era un altro lavoro. “Ma adeguandoci ai tempi, anche i maestri dovrebbero essere contemporanei!” Certo bisogna essere sempre aggiornati. Facciamo un esempio: trovare parole con la Q. Cosa ti rispondono? “Quagliarella!” Daniele Fontana davanti alla scuola primaria di Cognola

“Cosa vuol dire, scusa?” “Maestro! È un calciatore!” Possiamo parlare di “quote azzurre” per il genere maschile nel mondo della scuola? Come per le “quote rosa”, bisognerebbe parlare non di quantità ma di qualità. Comunque adesso c’è una ripresa: ci sono ragazzi di venti/trent’anni che insegnano. Ma Massimo si chiede perché ai ragazzi non piaccia l’idea di fare i maestri. Sono pochi e forse hanno anche pochi modelli. Nella sua classe c’è un bambino che dice di voler fare il maestro, ma forse perché ha il nonno maestro. Bisognerebbe trovare il modo di scardinare questo status. Certo il genere maschile aumenta alla scuola secondaria di primo grado, ma soprattutto nel secondo grado, ovvero le superiori. Forse, alla primaria, è visto ancora come un lavoro da donne (e ci si chiede perché). Una volta era un lavoro equilibrato. Questione economica? Ne parliamo, ma riscontriamo che non tutte le professioni maschili sono altamente remunerate. Adesso Massimo – dopo qualche collega andato in pensione – è l’unico alle Crispi di genere maschile. Scopriamo che Massimo è anche in graduatoria per andare a insegnare all’estero. E proprio all’estero, di recente, gli è successo un fatto strano… Partito per un viaggio in Eritrea, il primo giorno di permanenza nella capitale incontra un vecchietto per strada che parla italiano. Si presenta come il custode della scuola elementare di Asmara. “La volete vedere?” chiede. Sì. Era la domenica di Pasqua. Emozionante. Come credere alla casualità?

Daniele Fontana

32 anni, insegnante di ruolo – lingua tedesca – alla scuola primaria di Cognola, Trento.

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o incontriamo in un’aula scolastica, sui banchi colorati. L’idea di diventare insegnante Daniele ce l’ha da quando aveva dodici anni. E così arriva dritto dritto al liceo socio-psico-pedagogico. Frequenta il quarto anno in Germania, acquisendo una buona formazione linguistica sulla lingua tedesca. Una volta concluso il corso di studi superiore, sa di voler insegnare o matematica o tedesco. Si iscrive alla facoltà di matematica, per poter insegnare matematica in Germania. Poi scopre che con la laurea in matematica non avrebbe potuto

Daniele Fontana alla lavagna, con un’alunna

insegnare alla scuola primaria (ma solo alle medie e alle superiori). Determinato verso la scelta di insegnare ai più piccoli, comincia a lavorare. In quel periodo fa un’esperienza sul tedesco alla scuola dell’infanzia, in accostamento all’insegnante di sezione. Poi segue la prima supplenza di 3 mesi alla scuola primaria. Riesce quindi a coniugare la sua prima inclinazione verso l’insegnamento con la specializzazione linguistica, requisito molto richiesto nel sistema scolastico. La lingua tedesca è stata la sua fortuna: se avesse deciso di insegnare su scuola comune, l’iter sarebbe stato molto più lungo. Adesso insegna da 14 anni (da 4 di ruolo), di cui 5 a Cognola. Insegna tedesco, scienze, geografia e musica in modalità CLIL. Un’ottica di plurilinguismo nel quotidiano. Cosa piace a Daniele di questa fascia d’età? La purezza dei bambini. Trasparenti nel bene e nel male. Se hanno da dire una cosa, la dicono. Una caratteristica che noi, come adulti, perdiamo. E i bambini cosa ne pensano di avere uno (dei pochi) insegnanti di genere maschile? La figura maschile è una figura che ha un suo peso nel percorso educativo; e il tutto va ricondotto al fatto che le situazioni familiari presentano oggi padri spesso impegnati al lavoro e spesso fuori casa e madri più o meno sulla stessa linea. Quindi la famiglia è cambiata, non ha più gli strumenti tali per educare un bambino e permettergli di seguire determinate regole lungo la crescita. Pertanto la figura maschile a scuola li stacca da questo rapporto unilaterale che hanno a casa con la figura femminile che vedono comunque di più, consentendo una crescita più completa. 35

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trentinoincontri Sergio Saltori alla scuola dell’infanzia

LE INSEGNANTI DONNE ALL’83%. SOLO IL 55% TRA I DIRIGENTI

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n Italia il maestro è in via d’estinzione. O meglio: è andato in pensione anni fa e al suo posto sono arrivate le donne. Lo dice a chiare lettere uno studio OCSE relativo a tutto il Paese e quindi riferibile anche al Trentino Alto Adige. La percentuale di quote rosa rappresenta in Italia l’83% dell’intero corpo docente (circa 730mila docenti). In tutti i Paesi industrializzati si è assistito a una netta presenza femminile nella professione dell’insegnante. “In Italia – si legge nel rapporto Ocse “Uno sguardo sull’istruzione 2016” – la distribuzione di genere nel corpo docente non è ben equilibrata: quasi otto docenti su dieci sono donne nell’insieme dei livelli d’insegnamento. La disparità aumenta con il decrescere del grado: secondo i dati del ministero dell’Istruzione degli 87.701 insegnanti titolari di cattedra di scuola d’infanzia, i maschi sono appena 612, lo 0,7%. La percentuale di insegnanti maschi sale al 3,6 per cento su 245.506 alla primaria, mentre alle medie gli uomini rappresentano il 22% dei 155.705 totali. Sale la quota azzurra nei licei e negli istituti superiori, tuttavia le donne rappresentano il 66% degli oltre 241mila insegnanti. Sorprende che con una simile popolazione docente al femminile, appena si sale di ruolo le cariche più alte vengono ricoperte dagli uomini: “Sebbene il 78% degli insegnanti della scuola secondaria di primo grado sia di sesso femminile, solo il 55% dei dirigenti scolastici è donna”.

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E i genitori? Come vivono la figura del maestro nella scuola? Sono contenti, sia per la didattica che viene proposta, sia per il fatto di trovarsi in un ambiente educativo dove ci sono quelle basi che a casa forse non ci sono più. Ormai il maestro e la maestra diventano figure di riferimento per i bambini. Ovviamente gli insegnanti non vanno a sostituire i genitori – e ciò va ribadito anche verbalmente – ma si crea con i bambini un legame forte, anche perché, in numero di ore, l’insegnante è la figura che vedono maggiormente. Se calcoliamo le otto ore a scuola, più magari le due ore alle attività ludiche e di studio (organizzate da molte cooperative ed associazioni sul territorio) e le attività sportive (il corso di questo e di quello), cosa rimane poi per la famiglia? Una mezz’ora quando ci si alza e qualcosa la sera… forse due ore al giorno! È veramente un paradosso: secondo la Costituzione, la famiglia dovrebbe essere il primo ente educatore; ma ormai questo compito è passato alla scuola. Se a scuola c’è la possibilità di offrire un ambiente positivo per la crescita, i genitori non possono essere che contenti. Il rapporto con colleghi o, meglio, colleghe? Con le maestre del team Daniele si trova molto bene; la parola d’ordine è condivisione: sulle modalità d’insegnamento, sul modo di porsi, capire insieme le difficoltà e trovare il modo di fronteggiarle. Daniele poi sta facendo il corso di perfezionamento per la didattica Montessori, il cui punto centrale della didattica è il bambino. “Ognuno di noi deve partire dai bisogni del bambino per costruire un percorso. Capire che gruppo hai, che competenze ha (anche relazionali, e socio affettive), e da lì creare un percorso. Una crescita in autonomia ma all’interno di un gruppo, dove l’uno può aiutare l’altro, nel rispetto dei ritmi, delle esigenze dell’altro. La classe è diventare un gruppo eterogeneo.” Daniele ci porta a visitare una delle sue classi: banchi riuniti a gruppi tre/quattro così tutti vedono tutto; poi c’è lo spazio per il cerchio, per i momenti di discussione. Questa modalità consente di capire chi sta parlando, di rispettare il turno di parola… In fondo all’aula è posizionata tutta una serie di scatole basse, dove sono depositate le competenze (già fatte o nuove). La terza ora di ogni giorno gli alunni vanno a prendere la scatola, si recano nella loro postazione e si mettono al lavoro. Nella scatola trovano la consegna, svol-

gono autonomamente quanto richiesto e mettono nella scatola delle correzioni. I maestri poi correggono e valutano. È un lavoro complesso, ma a Daniele piace molto. Ed è questo il successo di un’attività lavorativa impegnativa quanto delicata. Parola di maestro.

Sergio Saltori

57 anni, Insegnante alla scuola dell’infanzia di Borgo Valsugana.

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ergio parla di una vocazione non immediata, ma tardiva. Dopo l’Istituto magistrale – ex liceo socio-psicopedagogico (“senza nessuna intenzione di insegnare, perché all’epoca non mi sentivo portato per quella professione”) – ha fatto l’università, nello specifico il DAMS. Vive a Bologna per una ventina d’anni e lì comincia a fare l’educatore professionale - per varie cooperative sociali - in contesti extrascolastici, in particolare nelle comunità per minori a rischio di devianza. Poi, attraverso corsi di formazione professionale, passa dai minori a rischio alle problematiche legate all’handicap. Conclusa la lunga parentesi bolognese, torna a Trento e dopo un paio d’anni come educatore professionale, si lancia nel mondo delle supplenze. Comincia con la scuola dell’infanzia, poi sperimenta due anni alla scuola primaria; al suo attivo ha anche un anno di nido, nello specifico il servizio per l’infanzia “Centro genitori e bambini”, cioè un centro diurno pomeridiano. Poi iniziano le supplenze annuali e ancora adesso


trentinoincontri – insegna da una quindicina di anni – il suo status è di precario e non di ruolo. Quest’anno ha una supplenza annuale a tempo pieno con la competenza sull’inglese ottenuta dopo corsi di glottodidattica e di adeguata formazione. Cosa gli piace della scuola materna? Gli piace molto questa fascia d’età (dai 3 ai 6) perché i bambini sono ancora aperti, spontanei, malleabili, hanno curiosità su tutto e lo stupore per ogni cosa. Tutti questi aspetti gli piacciono e gli sono molto congeniali. Certo ci saranno anche delle difficoltà, chiediamo. “Gestire tanti bambini è impegnativo – dichiara Sergio – e per niente semplice.” Anche se non c’è una didattica stringente, bisogna riuscire ad essere autoritari e tener conto dell’affettività. Bisogna tener conto delle proprie reazioni e della propria emotività, che i bambini tirano fuori in maniera prepotente. Ci sono pochi filtri, è interessante anche da questo punto di vista, professionale e personale. Il genere maschile in un mondo femminile cosa implica nel rapporto con le colleghe? Certamente ci vuole una certa propensione; bisogna portare la propria personalità di genere. E sicuramente questo tipo di lavoro richiede, per il maschile, il fatto di essere portati a svolgere certe mansioni; Sergio si è sempre trovato bene, ma sarebbe meglio che ci fosse una maggiore quota azzurra. Chiaramente il confronto non manca, ma non ha mai avuto grossi contrasti. E i genitori? Come vedono la presenza maschile? I bambini sono sempre molto accoglienti, sono felici di avere il maestro maschio. Nella quasi totalità ha avuto riscontri positivi. Sergio suona la chitarra e questo piace ed attrae molto. Tra le tante esperienze maturate, annovera anche una formazione sulla didattica musicale al Conservatorio. Cosa consiglierebbe a un giovane? Ribadisce che ci vuole una certa propensione per questa fascia d’età, per molti potrebbe essere un incubo! L’uso dell’aspetto verbale e della razionalità non sono valori primari… bisogna confrontarsi con le emozioni dei bambini, che vengono fuori in maniera diretta e riuscire a gestire il gruppo nel gioco ma anche nel conflitto. Ci vogliono strumenti specifici per gestire il bambino di questa età. Devi fare in modo che si sentano accolti ma anche contenuti, perché hanno bisogno tanto di tutti e due gli aspetti. E le regole? Imparare le regole è un’emergenza educativa; a scuola è il momento della prima socializzazione e si

Giorgio Podetti al nido nell’angolo morbido dedicato alla lettura

fanno le prime esperienze dell’incontrare e rispettare l’altro. Tutto un campo nuovo di esperienze, bisogna guidarli senza dare troppe soluzioni, perché è importante che le trovino da soli. Il campo è difficile ma dà molte soddisfazioni. Se gli offrissero un posto in un altro grado di istruzione? Non esclude niente, ma in realtà afferma di stare bene in questo contesto. Non si sente arrivato, ha ancora tanto da poter dare e da imparare.

Giorgio Podetti

46 anni, educatore all’asilo nido “Cicogna” di Rovereto.

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opo essersi formato come educatore professionale, ha lavorato in cooperativa con persone con disabilità. Poi dopo una pausa professionale, ha scelto di scendere in campo con la prima infanzia, poponendosi come educatore specializzato sulla disabilità. Quindi bambini piccoli con disabilità, lavorando sulla

prevenzione e riabilitazione, andando a recuperare le potenzialità del bambino… lavoro a dir poco pionieristico! Nel 2006 viene chiamato dal comune di Rovereto; nel 2010 decide di fare una specializzazione ulteriore, un master di primo livello a Padova, sull’educazione all’inclusione sociale. Questo gli offre anche strumenti operativi e una visione diversa sull’inclusione. In un ambiente come quello del nido, è più facilmente realizzabile, si tratta di un lavoro straordinario dal punto di vista umano. Un lavoro ricco di emozioni e di affettività; si crea un forte legame tra bambini ed educatori. Nel 2015 entra in ruolo e viene assunto a tempo indeterminato part time; in quella situazione poteva ancora seguire casi di disabilità. Poi ha richiesto il tempo pieno ed è entrato a pieno titolo sui gruppi di bambini. Come mai questa scelta di lavorare con i bambini così piccoli? Lui ha lavorato anche alla scuola materna, ma il ruolo già di “maestro”, senza quel rapporto di vicinanza, di osservazione non faceva

Insegnanti/maestri maschi - Italia 245506

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SCUOLA D'INFANZIA SCUOLA ELEMENTARE Maschi

SCUOLE MEDIE

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IL MAESTRO IN PENSIONE... TRE DOMANDE AD ADRIANO VIANINI, ANNI 63, INSEGNANTE DI SCUOLA DELL’INFANZIA IN PENSIONE (DA DUE ANNI)

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per lui; al nido invece si ha la possibilità di fare un lavoro importante di crescita attraverso l’affettività, con l’obiettivo di far evolvere il bambino, di farlo crescere. Il motore è l’affettività; e solo quando i bambini sono pochi questo lo puoi creare. È questo che l’ ha convinto a rimanere al nido e di diventare educatore di ruolo. Con la motivazione di sperimentare ancora una dimensione “umana”. Una dimensione pedagogico educativa che ti permette non solo di proporre attività, ma di entrare in relazione stretta, di fiducia autentica. Anche col cuore oltre che con la testa. Come si trova un uomo nelle mansioni tipicamente femminili che implicano l’accudire in senso stretto, come il cambio del pannolino, la nanna, il biberon? Giorgio dichiara di sentirsi a suo agio; il momento in cui devi stare molto attento – racconta – è quando ci sono i genitori, le mamme. Certe sono molto felici di vedere un maschio che si prende cura dei loro cuccioli, altre ti guardano un po’ così… in maniera un po’ scettica; come a dire, guarda di dimostrarmi di saper fare il tuo lavoro..!. Ma in realtà questo succede sempre di meno; si cominciano a sdoganare i luoghi comuni e il discorso sulla parità dei generi. Almeno così dovrebbe essere! “Certo in questo lavoro sono io, uomo, a dover dimostrare in più! È tutto da costruire un ruolo maschile in questo ambito!” E l’accudimento richiede anche prestanza fisica ed è piuttosto pesante: devi mettere i piccoli sul fasciatoio, lavarli, girarli, maneggiarli. Giorgio dichiara di fare anche lavori pesanti in casa e non è certo uno che non fa esercizio fisico, (nuota, scia, va in montagna…) ma questo lavoro è faticoso! È un lavoro che prima o poi devi smettere di fare! Qual è stata la cosa più difficile che hai incontrato sul tuo percorso? C’è un settore, racconta, in cui le donne sono uniche: le decorazioni, gli addobbi… lui 38

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ambini di ieri e di oggi… quali differenze hai rilevato nella tua lunga carriera (27 anni)? I bambini sono sempre bambini; certo i bambini di oggi vivono in una società molto cambiata, soprattutto con lo sviluppo delle nuove tecnologie; questo ha cambiato le loro abitudini. Ma i bambini della scuola dell’infanzia hanno bisogno di giocare e relazionarsi, oggi come allora. Oggi vedo molta protezione, forse eccessiva, da parte delle famiglie e genitori più in difficoltà, perché le problematiche sociali sono cambiate: tutti lavorano e quindi aumentano le difficoltà di gestione. Chiaro che le relazioni con i genitori sono sempre più complesse da gestire, perché i bisogni sono cambiati. Come dovrebbe agire la scuola rispetto a questa società che dimostra una certa perdita di valori? È importante che la scuola passi anche dei valori, sicuramente! I genitori tendono a delegare sempre più alla scuola il compito educativo; la scuola deve educare ma non deve essere l’unica! Hai nostalgia della scuola? Sì! Anzi… no! Perché a me è piaciuto tantissimo questo lavoro; io torno spesso nelle scuole, perché ho realizzato due libri di canzoni con cd regalati anni fa dalla Provincia a tutte le scuole dell’infanzia del trentino; io appena posso vado nelle scuole e collaboro ancora. Sento ancora il bisogno di esserci e lo faccio molto volentieri.

si sente negato, “sono una schiappa!” Se gli dici di fare cose con i bambini non si tira indietro: faccio usare anche gli attrezzi da lavoro! Ma fare lavoretti e codini alle bambine, lì no… si riconosce più spartano! Ammira le sue colleghe e dice: ”Ma come hai fatto a pensare una cosa del genere?!” Io non ci sarei arrivato neanche dopo un corso di uncinetto!” E il rapporto con le colleghe com’è? Come lo hanno accolto? Questo dipende anche dai gruppi di lavoro e dal

coordinamento interno. È un po’ la coordinatrice che stabilisce un rapporto di fiducia o pretende che dimostri e righi dritto; ho scelto il mio lavoro anche per il mio carattere sensibile. Nel corso di studi per educatore Giorgio ha lavorato tanto sulla relazione e sulla psicoterapia personale, l’attenzione all’altro, l’ascolto attivo, quindi tutta una serie di percorsi per migliorare se stessi. Ma se dall’altra parte trovi muri o posizioni rigide, questo serve a poco. “Se hai bisogno d’aiuto


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LA SCUOLA AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

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e testimonianze raccolte in questo articolo sono precedenti alle misure straordinarie messe in atto dal Governo italiano, che hanno previsto la chiusura di tutte le scuole di ordine e grado. Si spiegano così le risposte che vertono ancora, e soltanto, sull’igiene e sulla decisione di chiudere o meno gli istituti.

e non te lo danno o se fai errori e te li fanno pesare il doppio, diventa difficile lavorare.” Ha trovato anche qualche grossa difficoltà in certi momenti. Ma sostanzialmente poche. Ci tiene molto al suo lavoro e alla sua professionalità. E le maggiori fatiche le ha trovate proprio nel gruppo di lavoro con gli adulti, non con i bambini. Amici e familiari cosa dicono del tuo lavoro? “Mi domandano come faccio! (ride) Come cacchio fai a fare un lavoro così devastante?! Con nove bambini che urlano!” Per Giorgio ha un senso. E quando trovi che il tuo lavoro ha senso, allora sei realizzato; quando propone dei giochi, spiega come funzionano e si relaziona con loro, per lui ha un senso etico enorme. “Perché stai crescendo dei futuri cittadini: i piccoli assorbono tantissimo. E ti ascoltano.“ Immaginiamo che la pazienza non manchi… Sì, ogni tanto ammette di tirare un sospiro e dire tra sé e sé “Mamma mia!” E se i cuccioli esagerano, allora scatta il contenimento emotivo, altrimenti “trasbordano”. Cosa dicono i suoi figli del suo lavoro? Si divertono un mondo quando Giorgio racconta loro dei suoi “patatoni”: quando si schiantano sui tricicli, quando gli saltano addosso e fanno la guerra dei cuscini, quando prendono il colore e lo schizzano dappertutto, facendo uscire più colorato lui dei disegni. Cosa consiglieresti al genere maschile? Di lanciarsi nel campo dell’educazione ai più piccoli o di lasciar perdere? Giorgio ammette che questa fascia d’età è difficile. Per un uomo e anche per una donna. Ci sono donne che fanno questo lavoro, ma non per scelta. Hanno visto quest’opportunità di lavoro in questo campo e l’hanno scelto per mera opportunità. “Bisogna essere consapevoli, al di là del genere, del perché lo sce-

GIORGIO PODETTI: Riguardo al Coronavirus noi abbiamo avuto disposizioni e indicazioni per l’igiene e la prevenzione piuttosto complicati (vista l’utenza) da applicare e seguire con scrupolo, anche se non sempre tutto è pronto e disponibile. L’ordinanza prevede solo la sospensione del servizio e non la chiusura totale, quindi noi personale comunale dobbiamo comunque venire al nido e possiamo stare qui tranquillamente a contagiarci, a differenza degli altri insegnanti/professori!? Mi sembrano provvedimenti poco coerenti e improvvisati che creano molto disagio, a tutti! MASSIMO LAZZERI Se è vero che questo virus colpisce i bambini in modo marginale e non preoccupante allora trovo sciocco sospendere le attività didattiche, anche considerando il fatto che, per i genitori, gestirli in questa situazione è complicato: chi li tiene? I nonni no, sono una categoria ad alto rischio. I vicini? Gli amici? No, hanno già i loro. Forse, come ha detto qualcuno, era meglio chiudere il mondo per un mese. ADRIANO VIANINI: Chiudere e non chiudere… Se le autorità consigliano di chiudere, meglio chiudere. Stare a casa può essere un’occasione per le famiglie – nei limiti del possibile – di stare più con i bambini e di sperimentare anche nuove cose da fare. In questo momento di sospensione generale, non riempire il tempo dei bambini solo con la televisione ma riappropriarsi della relazione con il loro bambino. Questa può essere un’occasione, anche se speriamo che finisca presto. Sì, anche noi speriamo che finisca presto! Intanto, però, molte scuole hanno intrapreso seriamente la strada della didattica a distanza. Il sapere e la conoscenza non possono attendere oltre! gli; è molto particolare e non bastano sensibilità e dolcezza; bisogna essere consapevoli del motivo tuo personale verso la scelta del nido. E prepararsi tecnicamente. Imparare un mestiere che al giorno d’oggi è molto complesso. Perché ci sono i bambini, ma ci sono i genitori, c’è un istituto, ci sei tu educatore con i tuoi pregi e con i tuoi limiti, quindi è multitasking, devi metterti in campo tutti i giorni. Come consiglio direi di sperimentarlo: come tirocinio, per il periodo estivo, provando a mettersi in gioco. E con qualcuno che ti sappia consigliare.”

Guardando nel futuro? Pensi di continuare? A malincuore Giorgio ammette che sarà costretto a cambiare. È un lavoro faticoso fisicamente e psicologicamente; bisogna essere sempre molto aggiornati. Cambia la società, cambia la realtà familiare; già in età da nido sanno maneggiare un tablet e trovare i giochi. Però hanno paura a toccare la terra ad esempio! Per questo bisogna essere mentalmente giovani. Giorgio sta pensando di proporsi come coordinatore pedagogico; ha già fatto il corso di coordinamento interno ed è già vice coordinatore interno. ■ 39

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trentinoinchiesta di Susanna Caldonazzi

I TEATRI IN LETARGO (FORZATO) TEATRI CHIUSI, SPETTACOLI ANNULLATI O POSTICIPATI A DATA DA DESTINARSI, PRODUZIONI BLOCCATE. COME REAGISCE IL MONDO DEL TEATRO AI TEMPO DEL DISTANZIAMENTO SOCIALE IMPOSTO DAL VELOCE PROPAGARSI DEL NUOVO CORONAVIRUS? QUALE SPAZIO DI CREATIVITÀ PUÒ APRIRE UNA CRISI COME QUELLA CHE STIAMO ATTRAVERSANDO? QUALI SARANNO LE CONSEGUENZE DI UN PERIODO COME QUESTO?

Stefano Pietro Detassis in scena

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essere qui ed ora. La relazione tra attori e spettatori. L'esistere per il tempo stesso della durata della performance e poi mai più. È questo il teatro. E queste caratteristiche non sono certo le più adatte al tempo del Covid-19. Un tempo fatto di distanziamento sociale, di smart working, di didattica online, di aperitivi in videochat, di una socialità tutta nuova, che ognuno di noi vive da casa sua, su un monitor attraverso il quale prova a vedere il mondo, le colleghe di lavoro, gli amici, a volte gli amori. «Si potrebbero ipotizzare gli spettacoli in videoconferenza – commenta a questo proposito Francesco Nardelli, direttore del Centro Servizi Santa Chiara di Trento – ma si perderebbe il senso del 40

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teatro, non so nemmeno se potremmo definirlo propriamente teatro. Certamente – prosegue – il momento che stiamo vivendo svilupperà nuove forme di fruizione culturale, che sono quelle che tutti stiamo sperimentando in questi giorni e che moltiplicheranno l'offerta, ma resto

Francesco Nardelli

convinto che il teatro debba continuare a mantenere le forme che ha. Mi auguro che si aggiungeranno possibilità, non che verrà sostituita la fisicità del teatro». Andare a teatro era abitudine per qualcuno, eccezione per altri, lavoro per una comunità di artisti e programmatori che in tutta Italia e anche in Trentino si sta muovendo per mantenere vivo il contatto con il proprio pubblico e per dare sollievo alle giornate che dobbiamo affrontare, perché la battaglia contro il nemico sconosciuto, negli anni '20 del Duemila, si combatte tutti in solitudine tra paura, preoccupazione e nostalgia. «Trovo assai improbabile che riusciremo a chiudere la stagione come avremmo voluto – prosegue Nardelli – ma noi stiamo continuando a lavora-

re per riprogrammare il possibile per l'inizio della prossima stagione, per garantire i rimborsi e per capire come muoverci sull'estate per le Feste Vigiliane per esempio. Inoltre – conclude – sono certo che questo momento sarà oggetto di riflessioni artistiche e già, in effetti lo è». Nasce da questo preciso momento e dalla voglia di costruire una rete per far fronte alla solitudine del periodo Racconti da casa/storie nel cassetto, l'apprezzatissima idea di Maura Pettorruso, attrice, regista e drammaturga che insieme all'attore Stefano Pietro Detassis raccoglie racconti e ne fa podcast: «Il primo pensiero è stato di leggere dei testi e renderli disponibili come podcast – racconta Maura


trentinoinchiesta la seconda guerra mondiale, chissà cosa accadrà dopo. Potremmo scoprire che le persone non ne avvertono più la necessità oppure potremmo riscoprire il valore di questo dispositivo e della sua potenza in termini di coesione sociale».

Andrea Brunello

Pettorruso – poi però il mio desiderio era quello di fare rete. Anche per far fronte al tema dei diritti d'autore, ho pensato di leggere alcuni racconti miei, che conservavo nel cassetto e allo stesso tempo ho pensato che in un momento come questo le persone avrebbero potuto avere necessità di dire qualcosa o di occupare il tempo scrivendo. Poi la rete si è costruita velocemente strada facendo: Barbara Bertoldi mi ha aiutata a spargere la voce tra i musicisti che producono le basi, Francesca Padovan si è aggiunta con le foto, Romina Bandera chiedendo se poteva illustrare le storie. Per me – conclude – questo progetto è stato un'ancora di salvezza: sono abituata a stare tra le persone, ricevere i loro racconti è come incontrarle». Ha una dimensione partecipativa anche l'invito del Teatro Portland, guidato da Andrea Brunello: «Il teatro – spiega – è una parte integrante della socialità di qualcuno: i nostri soci, il nostro pubblico, gli amanti della scena e della musica live. A questi abbiamo lanciato l'appello di raccontarci come è la vita senza lo spettacolo dal vivo, senza la danza, senza i concerti. Al netto del dolore di questo periodo, c'è qualcosa di interessante sociologicamente oltre che culturalmente: è il primo momento in cui i teatri sono chiusi dopo

Dedicata ai più piccoli – e ai loro genitori – è invece la proposta del Teatro delle Quisquilie, di solito di base al teatro San Marco, che in questo periodo ha deciso di utilizzare Facebook come canale e di proporre in streaming gli spettacoli per i più piccoli: «Abbiamo deciso di rendere disponibili i nostri spettacoli su Facebook – racconta Massimo Lazzeri, direttore del Teatro San Marco – e lo facciamo in diretta in modo che i nostri piccoli spettatori possano commentare con l'aiuto dei genitori come fanno quando siamo in scena. Abbiamo avuto un ottimo riscontro. Oltre agli spettacoli, abbiamo anche attivato un progetto sulle favole. Grazie ad un accordo con Logos, editore di albi illustrati, stiamo realizzando piccoli video in cui i bambini possono ascoltare le storie e vedere le illustrazioni. Le proposte sono inserite anche nella nuova sezione del Trentino dei Bambini #iorestoacasa. Per noi è importante mantenere il rapporto con il pubblico in questo momento – prosegue Lazzeri – e così

Maura Pettorruso

e abbiamo raccolto più di 70 scritti. Se tutto va bene debutteremo a metà novembre al Sociale a Trento».

Denis Fontanari

lo facciamo. Sono un ottimista di natura, ma in questa situazione è un po' difficile esserlo ogni giorno, siamo in apnea e l'impressione è quella di essere in un limbo». Anche Trento Spettacoli ha rispolverato i lavori prodotti negli anni scorsi, condividendo sulla pagina Facebook i video integrali degli spettacoli già presenti sul suo canale You Tube. Commenta il direttore Daniele Filosi: «Credo che questo momento possa e debba aprire nuovi scenari di fruizione e condivisione dello spettacolo e della cultura. Partendo dall'accessibilità degli archivi storici di video, foto, testi e altri materiali di teatri e compagnie, che rappresentano un patrimonio di studio e conoscenza per tutti quelli che non hanno avuto la fortuna di vedere gli spettacoli dal vivo nel momento in cui esistevano. Poi tutti dovremo capire come cambierà, perché credo cambierà molto, la fruizione di uno spettacolo dal vivo: gli operatori dello spettacolo e gli artisti saranno chiamati a una grande reinvenzione di pratiche consolidate». Accanto a questo, Trento Spettacoli aveva aperto una call per raccogliere alcuni testi in vista della prossima produzione sul Decamerone di Giovanni Boccaccio, idea nata in tempi non sospetti ma oggi di estrema attualità: «Abbiamo prorogato i tempi della call fino a metà marzo

Online su Facebook anche gli spettacoli di Emit Flesti, che parallelamente porta avanti online anche la formazione teatrale, parte fondamentale della sua attività: «Facciamo lezione sulla piattaforma Zoom di tutti i nostri corsi – spiega Alessio Dalla Costa. Manca tutta la parte esperienziale ma ci sembrava giusto per dare un segnale di presenza. Poi si vedrà cosa accadrà, i punti di domanda sono tanti. Ci muoviamo di giorno in giorno, cerchiamo di guardare avanti. Non vogliamo perderci d'animo, anche se il momento è complesso anche economicamente». Ha deciso invece di dedicarsi allo studio Aria Teatro: «Dal punto di vista artistico procediamo con quel che stavamo facendo – spiega Denis Fontanari, direttore dei teatri di Pergine e Meano – stiamo lavorando alla nuova produzione, ora le prove sono state bloccate ma procediamo con lo studio. Penso che lo spettacolo dal vivo si svilisca molto in video, anche per questo non abbiamo pensato ad attività online». Poi conclude: «Credo che le persone avranno molta voglia di ritrovarsi, ma dovrà esserci la sicurezza che questo momento sia ■ davvero terminato».

Alessio Dalla Costa 41

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trentinomusica di Fabio De Santi

CATERINA, ”LA GRANDE” TUTTO DA ASCOLTARE IL PRIMO DISCO DI CATERINA CROPELLI, LA GIOVANE CANTAUTRICE DELLA VAL DI NON. IN DIECI TRACCE, RACCHIUDE TUTTO IL SUO MONDO: UN UNIVERSO FATTO DI MUSICA, IN CUI VITA E CANZONI SONO LE DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA... TANTE LE COLLABORAZIONI, ANCHE CON THE BASTARD SONS OF DIONISO

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olti avrebbero cavalcato l'onda di popolarità ottenuta con la partecipazione ad X Factor nel 2016 ma Caterina Cropelli non si è fatta prendere dall'ansia preferendo lavorare con calma al suo album di debutto. Un traguardo raggiunto lo scorso 27 marzo, data di pubblicazione del suo "Caterina", uscito in tutti i negozi digitali e sulle piattaforme streaming su etichetta Fiabamusic/Artist First. Il primo disco della giovane cantautrice della Val di Non, in dieci tracce, racchiude tutto il suo mondo: un universo fatto di musica, in cui vita e canzo42

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ni sono le due facce della stessa medaglia. Nei brani di “Caterina”, nome d'arte scelto dalla Cropelli, sono incise digitali le sue impronte, il suo carattere, le sue emozioni: c’è il sole, ma senza nascondere il buio, si trova l’empatia al fianco della leggerezza, s’incontrano la sensibilità e la consapevolezza. La prima nota arriva leggera con "Soffio", attorniata da enfasi r’n’blues, a ricordarci che tutto scorre e che, per quanto lo cerchiamo, il “cielo” spesso si trova tra il soffitto e il pavimento, mentre il ritmo sale più forte con "O2": per ritrovare noi stessi, andare sembra

la miglior direzione. Anche a costo di cambiare emisfero. Caterina prende poi le misure dell’amore con la dolce ballata "Quando", un metro approssimativo, perché non esiste momento migliore per chi si aspetta da tutta la vita. E ancora la primavera, la gioventù e l’amore: un mix che arriva come il bel tempo dopo la pioggia con "Fiorellino", perché ogni cosa che sgorga, che sia lacrime o gioia, è vita e innamora. Nel dream pop di "Cemento" risuona il desiderio d’accorciare le distanze, di condividere, in un mondo dove i muri non sono solo quelli fisici, dove si chiede di esse-

re capiti ma senza sforzarsi di comprendere l’altro; subito dopo la voce di Caterina si intreccia con le strofe reggae del cantante trentino Anansi in "La tua collezione", per ribadire che quando l’amore parla non si può far altro che starlo ad ascoltare. Che ci induca in tentazione, e ci liberi. E poi c’è il destino in "Il cielo in una scatola", che oscilla tra la fatalità e la consapevolezza che parte del nostro futuro lo scriviamo in prima persona, così come in "Occhiali" perché per vedere occorre voler vedere. Girarsi dall’altra parte, come a letto, è un libro chiuso: rinunciare ad amare è


trentinomusica mancare un appuntamento, una disdetta. Ognuno di noi ha qualcosa di non detto e Caterina lo canta in "Non ti ho detto mai" come una liberazione, che lascia il posto sul finale a "Duemilacredici", il suo ultimo singolo lanciato nelle radio, quel momento in cui tutti gli sforzi, i sacrifici, gli sconforti, la pazienza e il crederci trovano un senso: “Il mio duemilacredici è questo disco”, dice Caterina. L’album è stato prodotto da Piero Fiabane, registrato e arrangiato da Clemente Ferrari che ha anche suonato tastiere, clarinet, hammond, synt, fisarmonica, programmazione e bassi, con Davide Aru alle chitarre, Cristiano Micalizzi alla batteria, e gli Gnu Quartet agli archi. Pierpaolo Ranieri ha suonato i bassi di “Cemento” e “Il cielo in una scatola”. Il disco è stato mixato da Marco Dal Lago e il mastering è di Maurizio Biancani, le voci sono state registrate presso lo studio dei The Bastard Sons of Dioniso e curate da Jacopo Broseghini. I cori sono di Caterina, Clemente Ferrari, Jacopo Broseghini e Federico Sassudelli. Un disco che svela la sensibilità della cantautrice nata a Cles nel 1996 che da ragazzina impara, da autodi-

datta, a suonare la chitarra, strumento che non lascerà mai più. Durante gli anni del liceo studia pianoforte e inizia a farsi vedere, e sentire, nei locali del Trentino. Nel 2016 Fedez la sceglie per la sua squadra, le “Under Donne”, a XFactor. Vissuta l’avventura al talent targato Sky, Caterina inizia a scrivere e a comporre il suo repertorio futuribile. Accompagnata dalla sua chitarra apre i concerti di grandi nomi della musica italiana come Cristina Donà, Eugenio Finardi, Irene Grandi, Gianluca Grignani, Enrico Ruggeri. A giugno 2018 esce il primo inedito dal titolo “Non ti ho detto mai”, primo passo di questo nuovo cammino. A distanza di un anno pubblica il brano “O2” e trascorre l’estate sui palchi di diversi festival italiani in compagnia di Simone Cristicchi, Fabio Concato e Max Gazzè. Il 7 dicembre scorso apre le danze a Carmen Consoli al Mart di Rovereto per il Concertone dell’Immacolata, presentando per l’occasione il suo terzo singolo “Quando”. Il 2020 si apre per la cantautrice trentina con un paricolare live all’Ice Music Festival, in cui si esibisce con la band dei The Bastard Sons of Dioniso e con il cantautore Bugo. ■

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trentinomusica di Fabio De Santi

“ECCO PERCHÉ CANTO IL TENENTE KISS” FORMATOSI NELLA CITTÀ DEI BEATLES, LIVERPOOL, FILIPPO BAMPI PUBBLICA ORA UN EP CHE CONTIENE ANCHE UN ORIGINALE OMAGGIO A JOSZEF KISS. STIAMO PARLANDO DELL’AVIATORE DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE, DI ORIGINI UNGHERESI, CHE FU ABBATTUTO, NEL MAGGIO 1918, SUI CIELI DI LAMON, DA UN AEREO INGLESE

C’

è anche un brano decisamente suggestivo, dalle radici storiche, come “Flik 55J”, in “Monaco Chiama” il nuovo Ep del musicista trentino Flippo Bampi. Si tratta del terzo tassello discografico del cantautoreche, formatosi culturalmente e musicalmente in quella Liverpool che diede i natali ai Beatles, è ormai da qualche anno ritornato a Pergine, zona ove è nato e vissuto e dove oggi svolge l’attività di insegnante. Continua però l’impegno in campo musicale, che prima di “Monaco chiama” aveva portato all’inizio di una trilogia 44

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musicale nel 2018 con l’Ep “Shoulder the sky” e continuata poi l’anno seguente con la minioperetta “Lokomotiv”. Questo nuovo lavoro contiene anche un originale omaggio alla figura di un aviatore della Prima Guerra Mondiale, quel Joszef Kiss di origini ungheresi, asso della caccia austroungarica che fu abbattuto a maggio 1918 sui cieli di Lamon da un aereo inglese. Al suo ultimo volo Bampi dedica una canzone in inglese, “Flik 55J”, l’unità di elitè di cui Kiss faceva parte, stanziata sull’allora aeroporto di Cirè di Pergine e soprannominata “Kaiser-

Joszef Kiss (1896-1918), a Cirè

staffel” per i successi che aveva conseguito nei durissimi combattimenti contro i velivolo italiani ed inglesi. Come spiega il cantautore. “Tendo ad immedesimarmi con il protagonista. I versi melanconici come nothing to see through the mist (“non si vede niente nella nebbia”), oppure I feel the dread inside (“Sento il terrore”) it’s a retreat (“ritirata”), e ancora we are losing, falling (“stiamo perdendo, cadendo”) ed infine goodbye my friends and all my fathers (“addio ai miei amici e a tutti i miei padri”) contribuiscono a mio avviso a far vedere il brano come la


trentinomusica Truccato da “Kiss”, con il regista Stefano Zampini

rassegnazione e accettazione da parte dell’uomo, del combattente in questo caso, di un destino preordinato. Eppure, anche se alienazione e solitudine rappresentano chiavi di lettura, Flik 55J non è un brano del tutto cupo e disperato: il contributo della magnifica tromba d’apertura fornisce un grandioso contrappunto all’armonia del brano, rendendo in realtà l’ultimo viaggio del pilota come una vera e propria epica marcia trionfale verso i Campi Elisi.

“Il cognome dell’aviatore, Kiss, è per altro omonimo del famoso gruppo musicale statunitense diventato negli anni uno dei più popolari del Rock’n’Roll. Per questa ragione cantare il Tenente Kiss significa anche cantare e celebrare la musica stessa. Ma perché la scelta dell’inglese per una canzone che parla di un aviatore ungherese che combatteva sotto la bandiera degli Asburgo. “I miei bisnonni – racconta Bampi – sono morti combattendo su fronti opposti: uno per l’Italia, l’altro per l’Austria. E contrariamente ai miei avi io sono parte della generazione che ha potuto viaggiare liberamente per tutta Europa grazie a Schengen: abbiamo avuto il privilegio di poter confrontarci con altre lingue e culture. E anche per questo motivo, oltre alla ovvia passione per la musica inglese, il testo della canzone non poteva essere scritto in italiano: volevo infatti che Kiss parlasse a molti, e che lo facesse nel modo più universale possibile”. Della canzone è stato realizzato anche un videoclip, girato dal

Cirè di Pergine, maggo 1918. I piloti del Flik 55J posano davanti all’Albatros di Kiss.

video maker veronese Stefano Zampini che si apre con le montagne e la trasformazione dell’autore: da persona fragile e infreddolita Filippo diventa, grazie al trucco tributo alla band omonima dei Kiss, una specie di fantasma risorto dall’oltretomba, mentre il mappamondo nel ritornello simboleggia i colori e la diversità del mondo, mentre la scelta delle ombre funge anche da omaggio alla storia del cinema muto in voga in quegli anni, mentre il monu-

mento a Cesare Battisti innevato e il sole rappresentano infine proprio i Campi Elisi, luogo ideale in cui tutti gli uomini sono uguali a prescindere dal colore della propria bandiera. Sulla costruzione dell’Ep “Monaco Chiama” Bampi racconta: “Questo titolo è un’idea, un’immagine (gr.εἶδον) e, nello specifico, Monaco Chiama è un quadro. Il quadro in questione è “Il Risveglio Della Coscienza (The Awakening Conscience)” di Holman Hunt. Come in quella tela infatti, l’intero soggetto dell’album parte da una visione: la visione del risveglio. Con esso si voleva affermare, già dal titolo, che si stava descrivendo un risveglio di tipo casalingo. Un risveglio placido ma netto avvenuto nella sicurezza e nell’intimità della mia camera dopo un lungo sogno nella città di Liverpool”. Il cd si completa con altri due brani a partire da “Forgive me” un vertiginoso dialogo con lo spettro di una presunta e conturbante ragazza, reale rappresentazione del suo alter-ego che parla di insormontabili confini e dell’impossibilità di due amanti di incontrarsi per l’ultima volta. “Teacher’s Pet” è invece un’armonizzazione di una poesia per bambini scritta da Adrian Henri, uno dei poeti preferiti di Filippo Bampi. ■ 45

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trentinocultura

LUOGHI NON COMUNI

di Susanna Caldonazzi

APRIRE LE VIRGOLETTE

MAI COME OGGI, IN QUESTI TEMPI DI EMERGENZA E DI RESTRIZIONI, CI SIAMO RESI COSÌ CONTO DEL VALORE E DEL SIGNIFICATO DI “COMUNITÀ”. NEL RIONE DI SAN MARTINO, A TRENTO, HA PRESO VITA QUALCHE MESE FA UNO SPAZIO COLLABORATIVO PER SPERIMENTAZIONI E IDEE. ALLA BASE DEL PROGETTO IL DIALOGO CHE ELISA VETTORI E FEDERICO ZAPPINI INIZIANO “APRENDO VIRGOLETTE”

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orse mai, prima di questo momento caratterizzato dall’emergenza sanitaria per il nuovo Coronavirus, ci siamo resi così conto del valore e del significato di comunità. Rimanere in casa significa infatti proteggere se stessi ma allo stesso tempo significa proteggere l’altro che a suo volta difende se stesso e i suoi cari. E, pur nella distanza, sappiamo che stiamo facendo il bene di tutti e di tutte. Ben prima del Covid-19, avevano capito il valore di uno spirito di comunità e se ne erano fatti portavoce, Elisa Vettori e Federico Zappini, proprietari di due punti, la libreria indipendente che, insieme ad altre realtà che negli ultimi 46

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anni hanno popolato via San Martino, anima il quartiere. Proprio accanto a una delle due porte della libreria, al numero 76 di via S.Martino, si affaccia “uno spazio collaborativo di 30 metri quadri, un contenitore di parole, immagini, azioni e tante idee”. Si definisce così Virgolette, lo spazio che Elisa e Federico hanno voluto aggiungere dallo scorso novembre, perché l’identità che avevano immaginato per la loro libreria diventasse realtà. A prendersi cura con attenzione e costanza di questi 30 metri quadri è soprattutto Elisa Vettori. Fotografa e libraia di mestiere, storyteller per talento, animatrice di comunità per vocazione. O almeno questo è quel che

viene in mente ascoltando i suoi racconti su Virgolette. L’intervista è stata fatta prima che tutto quel che sta accadendo in questi giorni succedesse e per questo non c’è nessun riferimento al clima di emergenza che stiamo attraversando. Ci sembra però importante, soprattutto ora, continuare a pensare che il periodo attuale terminerà e che realtà come Virgolette, alla fine di tutto questo, saranno al loro posto ad aspettarci, con il loro spirito di comunità, la loro lungimiranza, il loro invito ad esserci e a partecipare. Da dove nasce l’idea di Virgolette? Quando Federico e io abbiamo deciso di aprire una libreria siamo stati mol-


trentinocultura to determinati nel volere una librerialaboratorio. E questo per i primi tempi, precisamente fino a novembre, non ci sembrava essere così chiaro, in un posto piccolo come quello della libreria. Però la nostra volontà è sempre stata quella di organizzare appuntamenti che andassero oltre i libri. Ci siamo spinti sulla strada quando il tempo lo permetteva ma non sempre era possibile fare attività all’aperto. Per questo abbiamo iniziato a cercare uno spazio, che per comodità doveva necessariamente essere vicino alla libreria. E per me un’altra cosa era fondamentale: la vetrina per uno scambio continuo tra dentro e fuori, volevo che quel che accade dentro fosse visibile da fuori per evitare l’effetto “covo” che spesso non è accogliente. Anche il nome racconta questo: dopo i due punti si aprono le virgolette quando inizia un dialogo. Cosa succede dentro questi 30 metri quadri? Si tratta di uno spazio che è disponibile alle idee di chiunque. Noi lo utilizziamo per alcune delle nostre attività come La cameretta oscura, il mio laboratorio di fotografia per bambini e bambine, o il Cinemino matinée, l’appuntamento con i cortometraggi e la colazione di ogni

ultima domenica del mese. Ci sono insegnanti che propongono corsi di inglese e francese, c’è il bookclub in inglese, un laboratorio su Gianni Rodari proposto dalla Seggiolina Blu, un corso di ricamo su carta, gli appuntamenti di un gruppo di appassionate di poesia. E come funziona la gestione? Anche quella è condivisa? Io e Federico siamo gli intestatari dello spazio. Ne stavamo cercando uno da un po’ e poi una mattina il proprietario dell’agenzia immobiliare che aveva sede qui accanto – dove ora c’è Virgolette – mi ha detto che per lui non aveva più senso avere l’ufficio e che avrebbe la-

sciato lo spazio libero chiedendo se a noi poteva interessare. Così abbiamo iniziato a incontrare gruppi di persone che sapevamo interessati e abbiamo deciso per questa formula dello “spazio collaborativo”. Significa che lo spazio si deve auto-sostenere grazie a donazioni volontarie e per ora lo sta facendo. Se questo viene meno è evidente che non c’è più necessità di uno spazio come questo, oltre al fatto che noi non potremmo sostenerlo da soli. Una parte dell’affitto viene inoltre coperta da El Barrio, il bar che ha da poco aperto che ne utilizza una parte come magazzino, per il resto chi utilizza Virgolette versa

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trentinocultura una quota che ritiene adeguata. Mi piace pensare che senza obblighi le persone si sentano libere di sperimentare progetti di cui non hanno certezze sapendo che in fondo non c’è perdita. Il bilancio mensile è completamente trasparente e viene pubblicato ogni quattro settimane sul nostro profilo Instagram, l’unico canale di comunicazione di Virgolette di cui ci occupiamo direttamente noi. E qual è il riscontro di una gestione di questo tipo? Il riscontro è finora molto positivo, lo spazio funziona e si sostiene con le donazioni di chi lo utilizza. Quello di cui ci siamo resi conto è che la narrazione è importantissima e ne determina in qualche modo l’andamento. In fondo la gestione non è faticosa, tutti si autoregolano con facilità. Il grande lavoro è certamente quello di comunicazione, che implica il chiedersi continuamente che senso ha avere uno spazio di questo tipo. Quale risposta vi date? Ci diamo risposte diversissime e non sempre molto sicure! A parte gli scherzi, per me rimane sempre lo stesso che ci siamo ripetuti più volte con Federico quando abbiamo aperto la libreria: il desiderio di non diventare un luogo autoreferenziale. La tendenza è spesso quella di cercare “la propria gente” e chiudersi un po’, ma sono convinta che quando ci si chiude si è finiti. È più facile, non serve mettersi costantemente in discussione però ci si estingue. Cerchiamo di farlo in libreria con le presentazioni; lo facciamo a Virgolette, dove è addirittura più semplice perché è un luogo attivo. Virgolette si trova a San Martino,

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una zona della città che nell’ultimo periodo ha preso sempre più vita anche grazie ad attività come la vostra. Qual è la relazione tra lo spazio e il quartiere? Più passano i mesi, più vedo che c’è scambio con il quartiere. Anche la questione “generazionale” si sta risolvendo al passare del tempo: inizialmente le visioni della vita di quartiere erano molto diverse. Il tempo è importantissimo, insieme al presidio: esserci, stare nei luoghi per un tempo dilatato può cambiare le cose. Con i vicini ci sono rapporti ottimi e l’arrivo di un bar ha chiaramente agevolato le relazioni. La zona pedonale ha fatto molto e ci permette di vivere anche la strada quando il meteo lo permette e quando lo abbiamo fatto

il riscontro è stato ottimo. Non tutto è “rose e fiori” ma io sono molto ottimista: il quartiere è piccolo e in questo modo il dialogo è più semplice. Si è instaurata una grande collaborazione tra le realtà che popolano via San Martino che si traduce anche nella gestione collaborativa di Virgolette. Come si fa ad attivare questo tipo di relazioni positive? Nel momento in cui siamo arrivati qui abbiamo guardato a chi già era presente e immediatamente abbiamo escluso alcune cose per evitare concorrenza inutile e poco lungimirante. Ci siamo inseriti in un tessuto che già c’era e abbiamo trovato il nostro spazio: questo aiuta molto nelle relazioni. E poi appena si crea una piccola comunità, molti si aggregano, si riconoscono e si innesca un meccanismo positivo. Credo anche sia una questione di dimensioni: nessuna di queste realtà è una grande azienda quindi è possibile avere rapporti personali in modo molto semplice. Infine partecipiamo tutti alle riunioni del comitato di quartiere e capiremo se unirci anche alla circoscrizione per essere attivi nella vita del luogo. E il futuro di Virgolette? Hai un’idea di sviluppo dello spazio? Per ora Virgolette è quello che ti ho raccontato e va bene che rimanga così. Mentirei però se ti dicessi che non ho una prospettiva futura. Nella mia visione Virgolette potrebbe avere più a che fare con il mondo dell’illustrazione e del teatro, ma sono assolutamente convinta a non prendere decisioni a priori, ma ad ■ assecondare ciò che succederà.


trentinostoria Via del Ghetto, a Rovereto. Si accede da Via Valbusa grande, e si arriva sino al cortile sotto Viale dei Colli. (Foto © Lungoleno / CC BY-SA creativecommons.org)

LA VOCE DEL GHETTO di Fiorenzo Degasperi

DALLA MALEDIZIONE DEL CULTO DEL SIMONINO, CHE GRAVÒ SU TRENTO PER MOLTISSIMI SECOLI, ALLA PERSECUZIONE DA PARTE DI TRENTINI E TIROLESI NEI CONFRONTI DEL POPOLO EBRAICO ASHKENAZITA... VEDIAMO COME TRENTO E BOLZANO HANNO REAGITO, IN DIVERSO MODO, ALLA PRESENZA EBRAICA SUI LORO TERRITORI

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o sapevate che la città di Trento, per secoli, è stata gravata da una universale maledizione? La maledizione le fu tolta dopo ben seicento anni dopo che, nel 1965, il vescovo Alessandro Maria Gottardi, acquisiti gli approfonditi studi di monsignor Iginio Rogger, soppresse il culto del Simonino. Correva il 1 febbraio 1967 e la Consulta rabbinica italiana cancellò la parola herem (o Cherem, la stessa maledizione pronunciata contro Baruch Spinoza per le sue derive libertine), ossia l’interdizione agli ebrei a risiedervi, per la città di Trento. Chi sa quanto sia importante la “parola” per la religione

ebraica potrà capire la rilevanza di una “maledizione”, di un anatema lanciato dai rabbini come reazione alla strage di una trentina di ebrei messi al rogo per mano del principe vescovo Giovanni Hinderbach nel 1475. Quel bambino di due anni e mezzo, Simone Unverdorben, trovato morto annegato in una roggia presso il mercato cittadino della conceria sito in quella che oggi è piazza Cesare Battisti, non morì per mano della comunità ebraica avida del sangue innocente e vergine per chissà quali culti oscuri da praticare durante la Pesach, la Pasqua ebraica; semplicemente il fanciullo scivolò nell’acqua,

lì perì e fu mangiato dai ratti. Ma la chiesa lo santificò e il suo culto si estese molto nell’area tedesca. Qualche

Martirio del Beato Simonino, Palazzo Salvadori Trento

anno prima nel vicino Tirolo, a Rinn, presso Hall, degli ebrei di passaggio erano stati ingiustamente accusati di aver ucciso il fanciullo Andreas Oxner e di averlo poi macellato secondo le prescrizioni religiose ebraiche, tagliando l’aorta, la trachea e l’esofago. Come si vede i tirolesi – i trentini e quelli del nord accarezzati dalle umide acque dell’Inn – furono tra i primi in Europa ad aprire la strada verso la persecuzione della comunità ebraica ashkenazita, seguiti poi dalla città di Milano. Il risultato fu che a Trento gli ebrei scomparvero – e sparirono quindi commercianti e finanzieri, potenziali finanzia49

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LA SINAGOGA DI MERANO

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l pellegrinaggio nella storia ebraica della nostra regione non può che terminare al museo ebraico e alla sinagoga di Merano in Via Schiller 14. La sinagoga, sorta nel 1901, mantiene intatto il proprio fascino e ci ricorda che qui si fermarono Kafka, Weizmann, Sigmund ed Anna Freud, Schnitzler, Zweig e molti altri esponenti della cultura mondiale. Il museo ospita, oltre ad alcuni esempi di Torah, documenti sulla vita ebraica a Merano, comprese le lettere di denuncia dei “vicini di casa” – a cui spettava la metà dei beni – alle autorità fasciste e naziste. Aperta tutto l’anno il martedì e il mercoledì 15-18, il giovedì e venerdì 9-12. Info 0473 2113000. La dott.ssa Rosanna Pruccoli è un’ottima guida. Per ogni approfondimento rimando al testo di Ariel Toaff, Pasque di sangue. Ebrei d’Europa e omicidi rituali, il Mulino, 2007. Per non dimenticare che fu proprio in Alto Adige che si verificarono, la mattina del 9 settembre 1943, le prime deportazioni di ebrei di tutto il territorio italiano.

tori di attività economiche –, mentre a Bolzano la comunità ebraica prosperò notevolmente fino al XVIII secolo. Questo ha portato all’impoverimento, per secoli, di Trento – le fiere importanti calarono da quattro a due (la Casolara e quella di Santa Croce, peraltro troppo specializzate) – mentre Bolzano prese il volo con il consolidarsi a livello europeo di ben quattro fiere (Quaresima, Corpus Domini, S. Bartolomeo e S. Andrea) e la creazione, nel 1634, del Magistrato Mercantile voluto da Claudia de’ Medici. A ruota, dopo Bolzano, la comunità ebraica rese ricca la città termale di Merano, finché la pazzia e l’ingordigia umana non trasformarono una fiorente presenza economica

e culturale (più di 1500 persone) nella pallida presenza, nel secondo dopoguerra, di una decina di persone. Correva il 25 giugno 1992 e la cittadinanza trentina appese sulla facciata di una delle case del ghetto – non sulla sinagoga di Palazzo Salvadori, in Via Manci, incorporata come cappella privata della benestante famiglia omonima –, la seguente targa: “In questo luogo ove l’intolleranza ha scritto una pagina buia nella storia dell’uomo segnando con sanguinosa repressione e bando secolare un lungo dissenso fra ebrei e cristiani la città di Trento volle riparare ponendo questa stele a futura memoria ed a testimonianza di impegno fattivo per la co-

Una visita scolastica al museo ebraico di Merano

struzione della pace e della tolleranza”. Quando nel 1475 le fiamme dei roghi si alzavano alte in piazza del Duomo a Trento, a Bolzano era già da molti anni che la presenza ebraica, votata alle fiere, si faceva mecenate grazie alla committenza di Niklaus Vintler von Runkelstein, sommo balivo ducale del Tirolo e come tale primo responsabile per tutti gli ebrei residenti nella contea. Fu grazie a lui che le ruvide e grigie pareti di Castel Roncolo vennero affrescate, a partire dal 1392, con delle magnifiche pitture passate alla storia. Nel palazzo occidentale, dalla rappresentazione di una giostra con lancieri a cavallo contornata da una serie di personaggi delle diverse casate nobiliari, fanno capolino due ebrei, con il caratteristico cappello a punta conica di colore rosso brunastro, facente parte del costume tradizionale degli ebrei ashkenaziti, caratteristica che appare già su immagini risalenti a prima del 1200. Ed è seguendo questi carat-

Ghetto di Trento, Vicolo Adige 50

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teristici cappelli, infinitesimali presenze mimetizzate e poco note, che possiamo scoprire, di chiesa in chiesa, di affresco in affresco, la presenza ebraica nella nostra regione. Una presenza, a dir il vero, rintracciabile non solo nei dipinti: dove non arriverà l’arte ci penserà la toponomastica a ricordarci come le comunità ebraiche nei nostri paesi furono vivaci e foriere di cultura e di ricchezza. Basti pensare alle tante vie che portano il toponimo di “ghetto”, ancor oggi mute testimoni di “ghetti” un tempo ricchi di umanità e di creatività. Non sappiamo se i pochi sopravvissuti ai roghi trentini siano fuggiti presso altre comunità dei dintorni, obbedendo a quanto scritto nello Zohar: “chi dimora in una città dove vivono uomini malvagi, e non può compiere i precetti della Torah né ha successo nella Torah, deve affrontare un cambiamento di luogo: si deve sradicare da là e trapiantarsi dove vivono uomini buoni, studiosi della Torah, che ne osservano i precetti”. Gli esuli dovevano cercare una comunità con almeno dieci uomini (Minian) di età adulta: tale è il numero richiesto per poter celebrare la preghiera pubblica. Di presenze ebraiche in regione ce n’erano molte. Basti pensare al ghetto di via Mirabella 5, ora Casa Tranquillini, a Mori, (dal ‘200 al ‘600), al ghetto di Strigno (Valsugana), presso palazzo Wolkenstein, chiamato ancor oggi “ex Ghetto degli Ebrei”, a Borgo Valsugana e a Pergine. A Rovereto una via nel centro storico ne ricorda la presenza


trentinostoria Vipiteno Chiesa ospizio di S. Spirito

mentre in val di Non sono numerosi i cognomi ashkenaziti e sefarditi, alcuni provenienti dalla numerosa comunità ebraica di Odessa, sul Mar Nero. Qualcuno ipotizza che perfino il toponimo Val di Rabbi derivi da ”rabbi”, studioso. Famoso era il ghetto di Riva del Garda: la presenza ebraica è testimoniata dal 1430 fino a fine Settecento passando alla storia per via della stamperia di Jacob Marcaria, protetta stranamente dal cardinale Cristoforo Madruzzo, e dai cui torchi uscirono una quarantina di testi in ebraico, tra cui due edizioni della Misnah con commenti di Maimonide e di Obadiah ben Abraham Yare. In Alto Adige, oltre alla comunità di Bolzano – tracce della sinagoga sono emerse in via Cappuccini – si sa di famiglie presenti a Bressanone, Vipiteno, Renon, Castelrotto e Lana. La comunità di Merano s’ingrossò a partire dalla metà dell’Ottocento, con il medico Rafael Hausmann, ideatore della famosa cura dell’uva. Alla fine del secolo nella città del Passirio risiedevano una novantina d’Ebrei ma un altro migliaio, provenienti dalla Mitteleuropa, ogni anno vi passava un periodo di ferie o di cura nel sanatorio della Fondazione Königswarter. Una sinagoga era allestita nel sanatorio; un’altra, tuttora funzionante, sorse nel 1901. Ebrei erano i finanziatori dei consorzi di bonifica dell’Adige, della costruzione delle ferrovie Mori-Arco-Riva,

della Bolzano-Caldaro, di quella della Val Venosta e della funicolare della Mendola. Altri gestivano fabbriche a Vilpiano, a Gries a Colle Isarco; altri ancora si occupavano di banche ed alberghi, specialmente a Merano. Se in Trentino bisogna inseguire i toponimi delle vie, in Alto Adige si aprono a noi gli affreschi che narrano degli ebrei, con i loro caratteristici cappelli a punta. Citati come presenze dell’Antico Testamento come nel chiostro di Bressanone, si trovano anche nella chiesa di S. Giuditta e Quirico a Termeno, nella chiesa di Terlano (La pioggia della manna nel deserto, 1410-20), nella cappella del cimitero di Riffiano (1415), a Castel Roncolo (i tre ebrei Josua, re Davide e l’ebreo Maccabeo, facciata della Casa estiva, 1395) e nella chiesa di San Vigilio a Maia Bassa (tre curiosi ebrei che fanno capolino da una balconata). In questo viaggio ci facciamo accompagnare dal catalogo “Simon e Sarah a Bolzano” (Ed. Fondazione Castelli di Bolzano-Athesia, 2012). Il cappello a punta – presente nelle pitture a partire dalla metà del XII secolo come segno distintivo dell’abbigliamento degli ebrei –, la barba folta ed i tipici “boccoli” (peot) sono elementi iconografici che tracciano la storia della presenza ebraica nella nostra terra ma anche il sentimento antisemita che per secoli ha insanguinato le nostre contrade. ■

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SOLIMAN “Prima figura crucifixionis. Hec fuit olim per Eleazarum Machabaeum prefiguratum / qui se morti exposuit ut p[er]imeret elephantem loricatum”.

IL REGALO DI NOZZE PIÙ INGOMBRANTE DI SEMPRE di Andrea Vitali

NEL DICEMBRE 1551, IL CORTEO NUZIALE DELL’ARCIDUCA MASSIMILIANO II D’ASBURGO E DELL’ARCIDUCHESSA MARIA DI SPAGNA, DOPO ESSERE SBARCATO A GENOVA E AVER ATTRAVERSATO ALCUNE IMPORTANTI LOCALITÀ DEL NORD ITALIA, INCLUSA TRENTO, FA SOSTA NELLA CITTÀ PRINCIPE-VESCOVILE DI BRESSANONE. CON SÉ PORTA L’INGOMBRANTE DONO DEL RE JOÃO III DEL PORTOGALLO... 52

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Solimano alla volta di Innsbruck, incisione su legno di Michael Minck, 1552 A sinistra, l’Hotel Elephant a Bressanone

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e in questi giorni del tempo pasquale, trovandosi a passeggio per la città vescovile di Bressanone e volendo ammirare i meravigliosi affreschi del chiostro del duomo, ci si recasse presso la III arcata e si alzasse il naso verso le volte gotiche, esattamente al di sopra del portale d’accesso alla chiesa di S. Giovanni Battista, in corrispondenza del drammatico “Ecce homo” affrescato dagli abili pittori della bottega di Lienhart Scherhauff (Leonardo da Bressanone), nel pennacchio si avrebbe la visione di uno strano animale proboscidato, con orecchie da pipistrello e zoccoli equini, che incede solenne mentre un soldato rivestito d’armatura lo colpisce al ventre con una lancia. Fossimo in grado di decifrare il testo latino posto alla sinistra della scena, vi leggeremmo la spiegazione della stessa: come narrato nel I libro dei Maccabei al capitolo 6, trovandosi gli Ebrei in battaglia contro l’ennesimo tiranno straniero, il re Antioco Epifane, uno dei soldati giudei, Eleazaro, “vide uno degli elefanti” dell’esercito nemico

Massimiliano II e la sua famiglia, Giuseppe Arcimboldo (ca. 1555)

“protetto di corazze regie, sopravanzare tutte le altre bestie e pensò che sopra vi fosse il re; volle allora sacrificarsi per la salvezza del suo popolo e procurarsi nome eterno”. Si scagliò quindi contro i nemici e, scivolando sotto il pachiderma, “lo infilò con la spada e lo uccise; quello cadde sopra di lui ed Eleazaro morì”. Il capitolare del duomo che, verso la metà del XV secolo, commissionò questo e gli altri dipinti dell’arcata (quelli delle volte risalgono al 1473), se potesse ci spiegherebbe che tra quelle rappresentazioni dell’Antico e del Nuovo Testamento c’è un rapporto tipologico, ossia che le une sono prefigurazione delle altre, così come il sacrificio di Eleazaro è “prima figura” della crocefissione di Cristo, l’Agnello innocente che immola se stesso per l’umanità. Digiuni però di nozioni di iconografia cristiana, certamente ci limiteremmo ad osservare incuriositi e deliziati l’inconsueta rappresentazione del pachiderma, ritratto dall’artista tardomedievale secondo le informazioni libresche che, all’epoca, si potevano ricavare solo dai bestiari, spesso improbabili ricostruzioni delle caratteristiche letterali ed allegoriche di

animali esotici e mitologici. Bizzarro prodotto della fantasia di un pittore arcaico l’elefante del chiostro brissinese, parto dell’inventiva di un allievo del maestro Lienhart che, senza dubbio, un esemplare di quel genere in carne ed ossa non lo aveva mai incontrato in vita sua e che, in ultima analisi, era interessato piuttosto ad illustrare l’allegoria sacra che non le fattezze precise dell’animale. Ma gli abitanti di Bressanone, circa un secolo dopo, un autentico elefante – fatto inaudito – lo avrebbero visto realmente avvicinarsi alle porte della loro città tra le montagne. Il 14 novembre del 1551 a Genova, infatti, era sbarcato, proveniente dalla Spagna, il corteo dell’arciduca Massimiliano d’Austria (1527-1576), dal 1564 imperatore del Sacro Romano Impero, e della di lui consorte e cugina Maria di Spagna (1528-1603), figlia di Carlo V, di ritorno dalle nozze celebrate a Madrid nel 1548. Il loro matrimonio rappresentava l’unione del ramo spagnolo con quello austriaco della sempre più potente dinastia asburgica. I due Asburgo portavano con sé, tra le altre cose, l’ingombrante dono dello zio

Ingresso della stube “Elefant” dell’omonimo hotel 53

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trentinostoria re Giovanni III del Portogallo, ovverossia un imponente elefante indiano alto 12 piedi, circa 4 metri, cui era stato dato il nome di Soliman, per scaramanzia lo stesso dell’odiato sultano ottomano minaccia della Cristianità. La coppia arciducale e la fitta schiera di cortigiani boemi ed ungheresi che l’accompagnavano si erano messi rapidamente in viaggio alla volta di Vienna, attraversando la pianura padana e toccando diverse località del Norditalia, tra le quali Piacenza, Cremona, Mantova, Verona e Padova, fino a giungere a Trento dove, il 13 dicembre, facendo trionfale ingresso in città impressionò con Soliman non solo il popolo festante, ma anche i padri conciliari, i quali celebrarono l’apparizione del mirabile monstrum con uno spettacolo di fuochi d’artificio. Tra i presuli presenti ovviamente Cristoforo Madruzzo che, in qualità di Principe-vescovo, svolgeva le funzioni di padrone di casa al Concilio ecumenico, essendo al contempo amministratore della diocesi di Bressanone. Curiosamente ben poche notizie si tramandano sulle tappe dell’illustre carovana in Italia settentrionale. Sappiamo, però, che dopo i festeggiamenti tridentini Soliman proseguì il suo viaggio per Ora/ Auer (dove esiste in suo ricordo un hotel “Elephant”), Bolzano e Bressanone, Innsbruck, Hall, Passau e Linz giungendo infine nella capitale asburgica nell’aprile del 1552. Il 14 aprile Massimiliano, con un corteo trionfale, provocò lo stupore dei viennesi assiepati lungo le strade per ammirare l’esotico animale.

LE BIZZARRIE DI UN ELEFANTE

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on le guide e gli attori del tour storico-teatrale “Bizzarrie di un elefante“ si viaggia nel tempo alla scoperta di aspetti inconsueti della storia di Bressanone, ascoltando curiosi aneddoti sugli antichi abitanti della città vescovile ed incontrando personaggi piovuti dal passato, come Matthias, la guardia della porta cittadina nel XII secolo, o Michael, garzone della bottega del grande pittore, il maestro Leonhard Scherhauff. Seguendo le orme dell’elefante Soliman tra le arcate del chiostro del duomo e sotto i portici della via principale, il percorso si snoda fino all’antica locanda “Zu hohen Felden”, dove si apprende direttamente dal personale di servizio dell’epoca per quale motivo l’imperatore Giuseppe II d’Austria si fermò in incognito a Bressanone nel 1769. Fino alla scorsa stagione, le guide storico-teatrali a Bressanone si tenevano di norma ogni sabato, in lingua tedesca ed in lingua italiana. Purtroppo la difficile situazione causata dalla diffusione del Covid19 mette in discussione l’organizzazione dei tour per la stagione estiva. Per mantenersi comunque informati, è bene consultare il sito: https://www.brixen.org/it/ rendezvous/tour-storico-teatrali/bizzarrie-di-un-elefante-di-un-oste-e-di-unrampollo-regale-la-colorita-storia-della-citta-di-bressanone.html

Prima di ciò, però, il corteo aveva fatto una sosta un po’ più lunga nella città vescovile sull’Isarco. L’Arciduca aveva dovuto trattenersi a Bolzano per incontrare gli Stände della Dieta tirolese, ma aveva mandato avanti il suo magnifico codazzo con l’elefante Soliman, il quale

Elefantenhaus, Vienna, Graben, 1740 54

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fece il suo ingresso nel territorio brissinese la sera del 18 dicembre, atteso dalla popolazione in visibilio. “Il pachiderma procedeva con il suo corteo tra una fitta schiera di convenuti verso la propria meta: l’albergo al margine settentrionale della città” (Hans Heiss, Il percorso dell’Elephant, Folio, Bolzano/ Vienna 2002, 16). Il proprietario della locanda Am hohen Feld fu ben lieto di ospitare il regal bestione nella sua stalla per tutto il tempo della sosta del seguito arciducale, che durò fino al 2 gennaio 1552 quando arciduchi, dignitari, servitori, valletti e pachiderma ripresero il loro cammino per il Nord. Una leggenda popolare brissinese, più facezia che verità, racconta che la sera di S. Silvestro ci si domandava quale menù di festa avrebbe apprezzato il possente ospite della stalla dell’Hohen Feld; qualcuno pensò bene che 50 chili di riso al latte, con uvetta e cannella, ed un ettolitro di punch caldo potessero andare. Si dice che il “banchetto” di S. Silvestro venne apprezzato da Soliman, anche se resta poco chiaro chi si prese la sbornia più solenne, se l’animale o i suoi custodi! Sta di fatto che, dopo il soggiorno di Soliman nella locanda brissinese, il suo


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Itinerario del corteo di Solimano da Valladolid a Vienna, dal film The journey of the elephant Soliman

proprietario Andrè Posch decise di ribattezzarla Zum Elephanten, l’odierno Elephant di via Rio Bianco, entrato nella storia cittadina con tutti gli onori. Ancora oggi, orgoglioso pendant all’acerba raffigurazione del chiostro del duomo, il ritratto cinquecentesco di Soliman saluta dalla facciata del prestigioso albergo che, passato di mano in mano, dal 1869 appartiene alla schiatta di origine carinziana degli Heiss. Tornando al nostro elefante indiano, una volta giunto a Vienna fu destinato al Serraglio del castello di Kaiserebersdorf, istituito dall’arciduca Massimiliano II appositamente all’uopo. Lì, malauguratamente, Soliman si spense già il 18 dicembre del 1553 a causa forse di una fatale combinazione tra l’errata alimentazione ed il clima rigido. Lungo il Graben di Vienna sino alla seconda metà del Settecento poteva ammirarsi sulla facciata del cosiddetto Elefantenhaus (abbattuto nel 1866 per allargare la strada) un bassorilievo raffigurante il nostro Soliman, curiosamente noto nella memoria popolare della capitale asburgica come Pepi. Per volontà imperiale una zampa dell’animale nel 1554 fu donata dal Maestro superiore delle stalle auliche, Francisco De Lasso, al borgomastro viennese Sebastian Huetstocker il quale, con bizzarra intenzione, ne fece utilizzare le ossa per confezionare un curioso sgabello a tre piedi. Dal 1678 l’inusitato sedile è conservato nel monastero di Kremsmünster, nell’Austria Superiore. Il resto dello scheletro del pachiderma, esposto in un gabinetto di scienze naturali, nel 1848 purtroppo finì preda delle fiamme di un incendio, mentre la carcassa, imbalsamata con cura, nel 1572

era stata donata dall’imperatore Massimiliano II al duca Alberto di Baviera. La mummia del grosso animale nel 1807 fu trasferita nella Collezione Statale di Scienze Naturali di Monaco ed, infine, nel 1928 nel Museo Nazionale Bavarese. Fu proprio negli scantinati del Museo che i resti mortali di Soliman marcirono a causa delle muffe e, dal 1950, furono definitivamente cancellati dall’inventario dei pezzi di esposizione. Termina in questo modo inglorioso la plurisecolare fiaba dell’elefante Soliman che, tuttavia, a Bressanone viene ancora celebrata nelle magnifiche rappresentazioni di luci e musica che, ogni inverno, si ripetono nel cortile della Hofburg, e perpetuata nelle narrazioni degli originali tour storico-teatrali offerti dal locale Ufficio turistico, le cosiddette “Erlebnisführungen: Bizzarrie di un elefante/Elefantenrüssel” (https://www.brixen.org/ it/rendezvous.html).

Eleazaro e l’elefante, chiostro del duomo di Bressanone. Scuola di Leonardo da Bressanone (ca. 1470)

Metafora delle strabilianti novità dell’espansione coloniale verso le Indie e del crescente potere della dinastia asburgica agli inizi dell’era moderna, l’elefante Soliman (o Beppo, o Pepi), a Bressanone figurativamente eternato “zu eren des grossmächtigsten Fürsten und Herrn Maximilian zu Behmen Kunigreich Ertzherzog zu Oesterreich etc.” (“ad onor del magnifico Principe e Signore Massimiliano re di Boemia arciduca d’Austria ecc.”), è ormai da considerarsi a ragione l’emblema più affascinante, ancorché insolito, della storia millenaria di una città che, quasi cinquecento anni fa, seppe offrirsi come quinta teatrale allo spettacolare transito di una simile meraviglia della Natura, ancora “sconosciuta nei paesi tedeschi”. ■

Die Bischöfl Residenz Stadt Brixen in Tyrol. Gabriel Bodenehr, 1731 55

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di Renzo Francescotti

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lasse 1957, Fabio Vettori disegna formiche sin da quando era ragazzo. Perché formiche e solo formiche? Vallo a sapere. Se glielo chiedi ti potrebbe rispondere semplicemente: ”Perché le formighe le me ciapa…”, in trentino, anzi en busaròl. Perché lui è nato lungo il Fersina nella parte alta della Busa, nei pressi del bellissimo arco di pietra del ponte Cornicchio, in quello che è il più piccolo e nascosto rione Trento, e vi ha sposato Patrizia, 23 anni lei, 27 lui, anche lei una busaròla con cui si conoscevano da sempre. Beati loro... La Busa è quartiere antico di Trento, il primo quartiere artigianale della città, nato nei primi decenni del 1300 quando il principe vescovo Bernardo Clesio fece la deviazione dal Fersina della Roggia Grande. Un rione “formicolante” di vita, di lavoratori che utilizzavano le acque del Fersina. Molto probabilmente è da loro che Fabio ha tratto i sui modelli di formichine vitalisticamente attive. Accompagnato a questa passione di disegna-

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IL SIGNORE DELLE FORMICHE NATO IN UN RIONE “FORMICOLANTE” DI VITA, FABIO VETTORI SI METTE IN PROPRIO ALL’ETÀ DI 25 ANNI. LA PRODUZIONE? OGGETTI “FORMICHINIZZATI” CHE HANNO QUALCOSA A CHE FARE CON PIETER BRUEGEL... re formiche, esordendo con la sua prima mostra a 25 anni, per una ventina d’anni Fabio ha fatto il maestro di sci sul Bondone e sulla Paganella. Poi ha deciso di saltare il fosso, di passare a fare il disegnatore professionista cre-

ando un’azienda sua a 25 anni, in cui produce vignette, poster, calendari, puzzle, agende, biglietti d’auguri, orologi, sveglie, astucci, borse, altri oggetti “formichinizzati”: ora venduti in prevalenza

online. Nell’azienda lavora il figlio Alessandro, per la parte commerciale (la figlia Francesca è invece laureata in Lingue ad Arezzo e ha fatto un tirocinio in Francia); mentre nella parte grafica è impegnata da dieci anni Lorena (Fabio colora ad acquerello e lei al computer). Fa parte dell’azienda anche il negozio di Moena, aperto nelle stagioni turistiche invernali ed estiva, gestito dalle signore Ivana e Michela. Fabio Vettori è un artigianoartista molto noto anche fuori del Trentino. Come artista ha inventato delle performances di disegno-musica per le quali lo chiamano da fuori regione, soprattutto in Piemonte e Veneto. Sono esibizioni rivolte agli studenti, riuniti in aule magne, auditorium, teatri, nelle quali Fabio disegna in diretta su temi suggeriti dalle musiche di Vivaldi, Mozart, Verdi… Per i ragazzi più piccoli, d’estate a Moena organizza mini-laboratori d’un giorno in cui insegna a dise-


trentinoamiciartisti

gnare formichine. I piccoli sono entusiasti e si iscrivono anche ripetutamente negli anni. Su Fabio Vettori avevo scritto su questa rivista nel gennaio 2008: un profilo poi inserito nel libro “Bottega d’artista”, uscito l’anno seguente. In quel testo avevo cercato di individuare le ascendenti illustri delle tavole di Fabio, formicolanti di vita recitata dalle formiche via via sempre più graficamente elaborate e umanizzate: pittori come il fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio e l’olande-

se Escher; o grandi fumettisti come l’argentino Mordillo (recentemente scomparso) e l’italiano Jacovitti. Nel 2013, curato dal critico Maurizio Scudiero, è uscito un catalogo dal titolo “Le formiche di Fabio Vettori” (Curcu Genovese Edizioni), in cui scrive tra l’altro: ”Come si sa le formiche son grandi costruttrici. I loro formicai sono dei capolavori di ingegneria rapportati alle possibilità tecniche a loro disposizione. Da questo assunto Vettori sviluppa una serie di composizioni

fortemente architettoniche e connotate da uno spiccato verticalismo.” Rivive in Fabio la passione tutta fanciullesca di realizzare costruzioni col lego o col Meccano, sviluppata nella capacità dell’artigianoartista di disegnare a china col rapidograf, o colorate coi pennellini ad acquerello. Tra le sue tavole più belle, a mio avviso, ci sono quelle all’insegna della verticalità, una dimensione iscritta nel suo DNA di homo alpinus. Scorrono, affascinanti le tavole del düreriano castello di Arco culminante una rupe vertiginosa; le bolognesi Torri degli Asinelli; i trampolini di salto della Valle di Fiemme, realizzati per i Mondiali del 2011, in una tavola dove trionfano le linee aguzze verticali (oltre ai trampolini, i campanili gotici dei villaggi, le vette piramidali dolomitiche). In questi 12 anni, da quando

scrissi di lui, egli ha realizzato un sacco di cose. Ad esempio ha proceduto coi suoi calendari (giunti a quota 26), ogni anno con temi diversi, impersonati delle sue formichine laboriose e giocose, all’insegna dell’attualità. O, in collaborazione con l’organizzazione degli ultimi cinque Giri d’Italia, ha realizzato una serie di poster e di puzzle (per adulti e ragazzi), protagoniste le formichine al Giro. E poi nel 2002, novità assoluta, una serie di episodi di tre minuti ciascuno, addirittura in cartoni animati. Peccato che a tutt’oggi la Rai TV (in cui in questi anni sono cambiate tante cose) non li abbia ancora trasmessi. Ma il buon Fabio non se la prende più di tanto: con la maestria dell’eccezionale artigiano, con la sua stupefacente immaginazione e il respiro dell’artista autentico, continua a costruire pe noi il suo umanissimo Pianeta delle Formiche. ■

Anche le formiche sono scese in campo per la prevenzione del coronavirus 57

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trentinomeseliving

TENDAL 2

TUTTE LE SOLUZIONI PER RIPARARSI DAL SOLE PROTEZIONE DA CALDO E RAGGI UV, PRIVACY ED ESTETICA: I BENEFICI DELLE TENDE DA ESTERNO SONO TANTI. PER SCOPRIRE TUTTI I MODELLI E LE SOLUZIONI PIÙ ADATTE ALLE PROPRIE ESIGENZE È POSSIBILE AFFIDARSI ALLA PROFESSIONALITÀ E ALLA COMPETENZA DI TENDAL 2

C di Giada Vicenzi

on la bella stagione è tempo di pensare a riparare la propria casa dai raggi del sole. La soluzione ottimale è rappresentata dalle tende per esterni, per creare la giusta schermatura e zone d’ombra dove potersi rilassare al riparo da sguardi indiscreti. Oltre ai molti vantaggi di tipo pratico, le tende da esterni rappresentano anche un importante elemento di design, in grado di migliorare l’immagine della propria abitazione. Per scoprire le soluzioni più

mod. SCREENY

adatte alle diverse esigenze e avere un preventivo di spesa attendibile, è possibile affidarsi alla professionalità di Tendal 2, che da oltre trent’anni nel laboratorio di Roncafort a Trento realizza e installa protezioni solari interne ed esterne per spazi residenziali e commerciali. A guidare il cliente nella scelta è Flavio Tonezzer, un passato da professionista nel settore dell’arredamento e delle finiture d’interni e oggi specializzato nella progettazione e installazione di schermature solari soprattutto da esterno. «I benefici delle tende da sole sono numerosi – spiega Tonezzer –: bloccando la maggior parte dei raggi UV, una tenda di qualità diminuisce la temperatura della casa di diversi gradi. Questo consente di limitare l’uso del condizionatore, ottenendo un risparmio energetico notevole. A seconda dell’esposizione della casa e del grado di schermatura desiderato, siamo in grado di fornire valutazioni tecniche personalizzate e di consigliare non solo la struttura, ma anche il tipo, il colore, la resistenza del tessuto, per ottenere il mix ottimale tra comfort e isolamento termico. Ci occupiamo anche di manu-


INCENTIVI FISCALI ECOBONUS 2020

mod. KEDRY PRIME addossata tenzione di strutture già in essere e siamo in grado di motorizzare le vecchie tende manuali». Riferimento ufficiale del marchio KE per la città di Trento, Tendal 2 mette a disposizione nel proprio show-room tutte le principali soluzioni: tende da sole fisse e scorrevoli, pergolati, cappottine, pensiline, gazebo, zanzariere, tende tecniche e d’arredamento. Denominatori comuni sono la qualità dei materiali e l’attenzione all’estetica. Si va dalle tende da sole a cassonetto, dove la linearità e il design ricercato permettono di accordare la struttura a qualsiasi tipo di arredo, alle

Zanzariere Plissettate SqualoNet Le Zanzariere Plissettate SqualoNet sono un prodotto molto utile e funzionale in quanto migliorano la qualità degli ambienti in cui viviamo. Esse infatti consentono all’aria di circolare liberamente in una stanza mentre bloccano il passaggio di insetti fastidiosi quali le zanzare.

Zanzariere Plissettate SqualoNet

classiche tende a bracci (con possibilità di personalizzare la struttura, inserendo ad esempio l’illuminazione sui bracci) e a caduta, fino alle cappottine. Le tende a rullo rappresentano, invece, una tipologia innovativa e dalle molteplici combinazioni: i modelli della linea Screeny di KE riescono a coniugare la più alta tecnologia con la raffinatezza del design italiano, per un risultato al tempo stesso discreto e di grande impatto estetico. Nessun intervento murario e tutto il comfort di una moderna struttura

mod. QUBICA

ombreggiante sono i vantaggi delle tende a pergola o a isola: che siano a impacchettamento o ad avvolgimento, sono eleganti, funzionali e resistenti, in grado di inserirsi in qualsiasi contesto, dal giardino di casa al ristorante all’aperto. ■

INFO

TENDAL 2 Schermature solari e strutture outdoor

Trento - Via Antonio Detassis 33 Tel. 0461-828777 www.tendal2.it

A cura ufficio P.R. SETA S.p.a. - Concessionaria di pubblicità

L’installazione di tende da sole per esterni è riconosciuta come un intervento di riqualificazione energetica, dal momento che comporta un risparmio energetico. Il proprietario o l’affittuario che installano nuove schermature solari possono approfittare delle detrazioni fiscali del 50%, come previsto dalla legge Ecobonus 2020. Anche la Provincia di Trento offre contributi all’acquisto di tende da sole da esterni. (info sul sito http://www.provincia.tn.it/contributo_ristrutturazione_casa/).


trentinomoda

MILANO MODA MILANO MODA DONNA DONNA dal nostro inviato MARCO CONSOLI

18 - 24 FEBBRAIO 2020 / FALL/WINTER 2020/2021

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hi sono la donna e l’uomo di oggi? Il motivo per cui ho deciso di presentare insieme sulla passerella le collezioni uomo e donna è per sottolineare quanto la loro forza si equivalga. Non ha niente a che fare con il genere che li distingue, piuttosto con il fatto che il loro potere proviene da un tipo di fiducia diverso, che deriva da un lato dalla loro sensualità esuberante e dall’altro dal proprio cervello.” Donatella Versace

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MILANO trentinomoda

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NA N O D A D O M MILANO er un filate) p 2 s 5 1 ie p I: p N o LEZIO a di 2 d E COL prensiv m o nsivi di (c TOTAL E compre signer i FIL AT i, n S h io c 6 z r 5 e a e ll • i 5 4 co er 7 3 m ket, 5 d totale d ENTA ZIONI p ion Hub Mar ani archi afric R ES l Fash • 9 6 P ner italiani a r cinesi, 5 sud NTO per 2 m cial E ig e s TAM sign 5 de ni, spe si, 8 de I SU APPUN (inaugurazio e r e h g Un A ZION eventi moda stre) ES EN T da (mo • 2 PR ENTI di cui 27 ti culturali mo V en • 3 4 E etc) più 7 ev , t n e ev

Foto: GUCCI

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COLLEZIONE DONNA E UOMO

AUTUNNO-INVERNO 2020 sportivi sono molteplici: dalle tute ai capi in nylon reticolato. La nuova sneaker Trigreca completa i look. Le stampe hanno come protagonista la V Barocca in una versione distorta, scomposta, ingrandita e rimpicciolita. Presente sia sui completi maschili che sugli abiti femminili diventa una riflessione sulla realtà di oggi e fa da eco alla colonna sonora in cui i suoni sono anch’essi dissonanti, non armonici e scomposti. La medesima V attira lo sguardo sotto forma di scultura all’esterno della location della sfilata, un promemoria dell’iconografia inconfondibile di Versace. La sfilata si conclude con una sequenza di look da sera caratterizzati da silhouette grafiche, da spalle accentuate e dall’iconico tessuto in metal-mesh che avvolge il corpo per dar vita a minidress dal taglio scultoreo. La nuova finitura a intarsio combina per la prima volta il metal mesh e il crystal mesh.

ancora una volta i temi dell’inclusività e dell’eguaglianza. Mai timorosa di esprimere un forte punto di vista, questa è una collezione per chi non vuole necessariamente compiacere gli altri, ma per chi è così sicuro di sé stesso da andare oltre l’opinione comune. Un nuovo concetto di sensualità, sussurrata e mai urlata, è rappresentata dai tagli che caratterizzano gli abiti femminili e i completi sartoriali maschili. Anelli gio62

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iello incisi con l’iconico motivo a greca li tengono uniti, facendo intravedere gli strati sottostanti. Strutturati o rinforzati, i tessuti sono doppiati per conferire linee precise e nette agli abiti, alle gonne e alle giacche, elevando il concetto di silhouette a sinonimo di forza e sicurezza in sé stessi. Per l’uomo l’accento è sulle spalle che sono rinforzate e dal taglio rigoroso. La vita è stretta mentre i volumi si fanno ampi nei pantaloni. Il corpo maschile e femminile è sottolineato grazie all’utilizzo di tessuti che esaltano le forme: flamboyant e irriverenti nella loro massima espressione. I capi da uomo accentuano la mascolinità di chi li indossa grazie alla loro costruzione sartoriale. I riferimenti

Tutte le foto di questa pagina sono: VERSACE

VERSACE V

ersace è da sempre sinonimo di sensualità e sicurezza in sé stessi, libertà d’espressione e senso di appartenenza. Per la collezione Autunno/Inverno 2020, Donatella Versace dà nuova voce a questi valori presentando per la prima volta sulla stessa passerella le collezioni uomo e donna per celebrare


CARL BRAVE

EMILY RATAJKOWSKI

BARBARA PALVIN

ELODIE DI PATRIZI

AMY SUZUKI_AYA SUZUKI

JON KORTAJARENA, FEDEZ, CHIARA FERRAGNI, CAROLYN MURPHY

CARO DAUR

KAKU U L U L ROME

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CELEBRITIES


trentinomoda

COLLEZIONE FW2020-21

B

ianca e Giulia Valentino, nipoti di Mario Valentino, subentrano alla guida dell’ufficio stile dell’azienda di famiglia. La fresca visione delle due giovani designer si coglie già dalla volontà di presentare una collezione unified, che vede anche il rilancio del segmento uomo attraverso una capsule dedicata a Lui. La sinergia di materiali, stili e colori sono il fulcro per la prossima stagione invernale e i materiali ultrasoft sono utilizzati per creare modelli dalla silhouette morbida, soffice al tatto; espressione di un lusso discreto e raffinato, dove l’eleganza e il design delle linee si fondono in un match armonico tra forma e funzione senza mai rinunciare a charme e femminilità. Il modello di punta della collezione Mario Valentino è l’iconico mocassino MV, presentato con tacco chuncky su due altezze: 35mm, per una versione comoda e trendy e una variante su tacco 75 mm, decisamente di animo fashion. In questa linea, inoltre, Mario Valentino presenta le varianti su tacco a spillo nelle altezze: 15 mm, 40mm, 75mm e 100mm, forme eleganti ma mixate ad un materiale sportivo e corredate da tagli e lavorazioni ispirati ai mocassini più classici. La donna Mario Valentino è cosmopolita, di una bellezza poliedrica che ama giocare con i colori a volte audaci, a volte classici, che lasciano piena libertà alla sua femminilità; caratterizza la collezio-

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BIANCA E GIULIA VALENTINO QUARTA GENERAZIONE E CREATIVE DIRECTOR DELLA STORICA AZIENDA DEL MADE IN ITALY, IN OCCASIONE DI MFW, RILANCIANO SULL’UOMO CON UNA NUOVA CAPSULE.

ne la stampa coccodrillo, presentata in variante giorno su calzature pensate per la vita di tutti i giorni, ma dal tocco glam in linea con le ultime tendenze. Il cocco in vernice è presentato nella versione con tacco basso o nella versione con tacco alto. La vernice, che spicca per la sua lucentezza ed eleganza, è presentata nelle tinte del nero e del rosso, colori irrinunciabili per la FW 20.21 firmata Mario Valentino. Corona la collezione una mini capsule la cui forza è la sua brillantezza, ideata per una donna dallo stile eclettico, stile che passa soprattutto dalle calzature che prendono il nome “Brilliant Shoes”, realizzate in raffinato e pregiato suede lavorato con micro scaglie di Swarovski. Mario Valentino presenta la sua collezione abbigliamento FW 20-21 la cui grande novità è l’introduzione di una micro collezione dedicata all’universo maschile: la capsule è formata da cinque capispalla che sono l’emblema del perfetto guardaroba declinato per Lui e che vede l’ufficializzazione delle due sorelle Valentino come creative director del brand. L’abbigliamento Mario Valentino ha caratteristiche del tutto uniche e offre ottime prestazioni sia in termini di vestibilità che di qualità e design. Nascono così indumenti dinamici, abiti che diventano una seconda pelle, un’estensione del corpo che permette di essere contemporaneamente rigorosi e seducenti. Montoni, cappotti e soprabiti in pelle, piumini e mantelle declinati in versione day&night che rendono unico il guardaroba femminile della Maison.

La Mario Valentino, fondata nel 1952, è un marchio leader nel settore della pelletteria, storico produttore di calzature, accessori e abbigliamento. Un marchio di eleganza e talento artigianale che verrà ripreso dal figlio Mario che molto giovane realizza il suo sogno imprenditoriale: un laboratorio tutto per sé, per avere la libertà di creare modelli inediti, avanguardisti per i tempi. Ma Mario Valentino osa: décolleté color rosa, altissimi tacchi a spillo, scarpe rese femminili da intarsi e impunture a contrasto. Dopo un’esperienza americana, nel 1966, Mario torna definitivamente a Napoli dove estende alle borse la sua creatività: borse da sera e di taglio sportivo ma di irrinunciabile charme, pellami preziosi, colori sorprendenti, patchwork e decorazioni innovative. All’inizio degli anni settanta l’immagine della donna secondo Mario Valentino si definisce ulteriormente grazie all’abbigliamento; collezioni sempre di tendenza, all’avanguardia grazie anche alla collaborazione negli anni di Fashion Designer come Karl Lagerfeld, Giorgio Armani, Gianni Versace e Claude Montanà. Capi in pelle, perché questo è il materiale che Mario Valentino padroneggia a regola; la pelle diventa l’elemento distintivo del brand. Negli anni ’70 e ’80 top model del calibro di Veruska e Pat Cleveland contribuiscono al successo del marchio; memorabili sono le campagne pubblicitarie firmate da Robert Mapplethorpe, Avedon, Tyen, Toscani ed Helmut Newton che incoronano la filosofia del design di Mario Valentino come vera forma d’arte. Alcuni dei clienti più noti sono stati Farah Diba, Jacklin Kennedy Onassis, Consuelo Crespi, Maria Callas, Liz Taylor, Catherine Deneuve, Catherine Spaak, le gemelle Kessler, Monica Vitti, Ornella Vanoni, Ilaria Occhini, Laura Efrikian, Stefania Sandrelli e Marcello Mastroianni. La Mario Valentino ha ricevuto numerosi riconoscimenti da importanti personaggi quali Ronald e Nancy Regan, il Presidente della Repubblica Italiana e l’ambasciatore americano Rabb.


trentinoappuntamenti

E IL CALENDARIO DI MOSTRE E APPUNTAMENTI?!

A

questo punto del nostro giornale avreste

la buona volontà possibile da parte nostra, è risultato

dovuto trovare le pagine a cui siete tanto

impossibile prevedere quanti e quali eventi si sarebbero

affezionati: il

calendario dei nostri appuntamenti e i relativi approfondimenti, nella sezione Panorama. Un “giorno per giorno” in cui, da

tenuti in aprile, e dove. Pertanto, piuttosto che fornirvi informazioni sbagliate, abbiamo preferito sospendere momentaneamente il calendario.

trent'anni, TrentinoMese seleziona per voi il meglio degli eventi programmati in Trentino, nel corso del mese.

Ci scusiamo con voi gentili Lettori e con voi affezionati Abbonati, sperando abbiate comunque apprezzato il

Decreti governativi del 4 marzo 2020 e successivi

nostro sforzo per arrivare comunque in edicola e nelle vostre case, nonostante

(“Misure per il contrasto e il contenimento sull’intero

le restrizioni imposte dalla stato di emergenza.

territorio nazionale del diffondersi del virus COVID-19”),

Naturalmente, non appena le condizioni lo consentiranno,

Purtroppo, come tutti ben sappiamo, a seguito dei

tutti gli eventi di cultura, arte e spettacolo, in programma in Trentino e in Alto Adige, sono sospesi. Sono inoltre chiusi, fino

a nuove disposizioni, cinema, teatri e biblioteche. Va da sé che in una situazione di tale incertezza, pur con tutta

con la consueta cura, riprenderemo a fornirvi il Servizio. Grazie della comprensione e della fedeltà e... al mese prossimo! La Redazione 65

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trentinomatrimoni SOLO PER I NOSTRI LETTORI, LE NOZZE DI CHIARA CON DENIS E DI GIULIA CON MICHELE

I MATRIMONI DEL MESE Lei Nome: Chiara Età: 30 Nata a: Trento Residente a: Trento Scarpe: Calzature Carlin - Pergine Parrucchiere: Salone Lisa - Terlago Truccatore: Salone Lisa - Terlago Testimoni: Francesca e Veronica Occupazione: Impiegata

Lui

Nome: Denis Età: 31 Nato a: Trento Residente a: Trento Vestito: Baratto - Lavis Scarpe: Baratto - Lavis Barbiere: Lory & Gino - Mattarello Testimoni: Andrea e Maicol Occupazione: Operaio

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trentinomatrimoni Matrimonio: Religioso Data: 24 agosto 2019 Luogo: Sopramonte (Tn) Banchetto: Castel Pietra - Calliano Invitati: 200 Catering: Trentino Catering - Mezzolombardo Centrofiore - Romagnano (Tn) Fiori e bouquet: Torta: Pasticceria Miori - Sarche Anelli: Obrelli - Lavis Bomboniere: Bomboniere La Rosa Lista di nozze: Agenzia viaggi Bluevacanze Animazione: Denis Cappelletti Viaggio di nozze: Zanzibar, 15 giorni Vivranno a: Trento

Servizio fotografico: Lucio Tonina www.fototonina.com

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trentinomatrimoni Matrimonio: Religioso Data: 7 settembre 2019 Luogo celebrazione: Mezzocorona Banchetto: Castel Ivano Invitati: 100 Catering, pasticceria: Prime Rose - Levico Terme Torta: Pasticceria Bologna - Mori Anelli: Angeli Gioielli - Cles Allestimenti Floreali: Amore Fiorito - Trento Bomboniere: Foto Trintinaglia - Borgo V. Animazione: Dj Mattia Zeni Video: Mec Video - Mezzocorona Andranno a vivere: San Michele all’Adige

Servizio fotografico: Trintinaglia Wedding Photography www.trintinaglia.com

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trentinomatrimoni

Lei

Lui

Nome: Giulia Anni: 26 Nata a: Cles Residente a: San Michele all’Adige Vestito: Atelier Rosaria Zippo - Bolzano Parrucchiere: Nicole (amica) Truccatore: Giorgia (sorella) Testimoni: Giorgia e Maria Occupazione: Commerciante

Nome: Michele Anni: 28 Nato a: Trento Residente a: San Michele all’Adige Vestito: Baratto - Lavis Scarpe: Baratto - Lavis Luisa Parrucchieri - Mezzolombardo Barbiere: Testimoni: Emanuele e Massimo Occupazione: Elettricista

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trentinoscoop&news

LA MUSICA INDIPENDENTE A “INDIE PER CUI ROCK” VARIEGATA L’OFFERTA DI RAI REGIONE, CON LA RIPROPOSIZIONE DI ALCUNE TRASMISSIONI DI SUCCESSO

Francesca Mazzalai

Giuseppe D’Agostino e Fabio De Santi

paradigma di una varietà linguistica”. Un programma sui dialetti trentini che presentano al loro interno due grandi sistemi linguistici: quello galloitalico e quello veneto, oltre a zone ascrivibili alla lingua ladina o a quelle germaniche.

L

a programmazione radiofonica, a diffusione regionale sulle frequenze di Radio1, della Struttura di Programmi della Sede RAI di Trento, che prende il via dal 01 aprile p.v. e si protrarrà fino alla fine di giugno 2020, prevede: il martedì , alle 12.25, “Quell’anno in Trentino”: le vicende storiche trentine e nazionali, dal 1861 fino ad arrivare ai giorni nostri, intrecciate in un racconto radiofonico. Segue, alle 12.40, “Voci dal Trentino”: 13 puntate per tredici storie di vita, in un arco di tempo non troppo lontano dal presente, esperienze e scelte della gente trentina. Alle 13.20: “Costruire il futuro…con la conoscenza”. Sintesi radiofonica, in 7 puntate, di alcune lezioni/conferenze che costituiscono: “Costruire il futuro”, evento formativo per studenti. Roberto Corradini A seguire lo spazio sarà occupato da: ”C’era una volta. Storie di scienza per bambini e ragazzi scritte da chi la scienza la fa”. Da un progetto letterario della Fondazione Bruno Kessler, “Raccontascienza”, 6 puntate con lettura di favole e interviste. Il martedì si conclude con: “I segreti del dialetto:

Il mercoledì si apre, alle 12.25, con: “Gente libera”, adattamento radiofonico dal romanzo omonimo (edizioni Curcu Genovese) dell’autore trentino Roberto Corradini. Tre generazioni della famiglia trentina “Libera”, inserita in un periodo storico che va dal 1850 al 1950, all’interno di eventi straordinari che hanno interessato non solo il Trentino ma anche l’Italia, l’Europa e gran parte del mondo. Alle 12.45 si propone: “VivinTrentino”. Tredici puntate dedicate alle tematiche di pubblico interesse relative alla realtà provinciale. Alle 13.20: “Indie per cui rock”. La musica indipendente trentina: le band, i protagonisti, le loro ispirazioni sono la miscela per queste 13 puntate dove si esplora un territorio ricco di grandi interpreti, di nuovi e vecchi stilemi musicali. Conclude le trasmissioni del mercoledì, iniziando alle ore 13.40: “Il Sommario”, spazio dedicato alla comicità trentina dove ospiti surreali, guidati da Mario Cagol, propongono idee innovative. Il venerdì, alle 12.25, si propone: “Portami a ballare, variazioni delle vitalità naturali”, viaggio nelle tendenze che stanno caratterizzando e muovono un altissimo numero di persone unite dalla passione del ballo. Alle 12.40: “Quando fare a meno può anche funzionare”. In una società dove tutto, anche il superfluo, sembra necessario, scegliere è anche scegliere di non avere le cose che molti ritengono indispensabili per la loro vita. Alle 13.20 “Terre di confine”. Il programma si propone di costruire un ponte ideale fra due realtà a statuto speciale (Trentino e Sicilia), ricche di cultura, natura, tradizioni, sogni e speranze. Il venerdì si chiude (inizio ad ore 13.45) con: “Enrosadira: i colori delle dolomiti” programma che si occupa di cultura, sport ed ambiente alpino. 71

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trentinoscoop&news

ANDREA FACCHINELLI PRESIDENTE DI “ASTRID” EMOZIONI ROMANE PER LA CORALE I CANTORI DI SEREGNANO CRONACA DI UN VIAGGIO ENTUSIASMANTE NELLA CITTÀ ETERNA

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seguito delle dimissioni dalla carica di Presidente di Maria Carla Bonetta, il CdA di Astrid onlus ha votato all’unanimità Andrea Facchinelli nel ruolo di Presidente. L’Associazione AsTRID Onlus è una delle realtà attualmente attive sul territorio per quanto concerne la sensibilizzazione riguardo la tutela dei diritti delle persone con disabilità. Nel suo primo saluto da Presidente, Facchinelli si è così espresso: “Siamo certi che il lavoro effettuato fin d’ora sarà solo di stimolo per una crescita costante e chiediamo di rimanere al nostro fianco per sostenerci ed aiutarci nel cammino intrapreso. Il progetto Paesi senza Barriere diventerà il nostro fiore all’occhiello e sarà di grande utilità perchè crediamo che l’accessibilità non sia solo un diritto, ma anche un vantaggio per tutti. Grazie, a tutti coloro che avranno desiderio di camminare al nostro fianco”. Andrea Facchinelli

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traordinaria trasferta “fuori porta”, nei giorni 15 e 16 febbraio 2020, nella Città Eterna, per la quale siamo partiti in una notte dal cielo terso nel blu, mentre a metà strada un sole immenso ci ha dato il buon giorno, illuminando il nostro viaggio verso Roma. L’attesa per la S. Messa al Pantheon ci dava energie, ma anche trepidazione: da mesi ci stavamo preparando, fortemente motivati dal fatto che cantare nel tempio dedicato a tutte le divinità, passate, presenti e future, non sia un appuntamento usuale. La maestra Erika Eccli ha disposto il coro in modo semicircolare, assecondando la conformità architettonica della costruzione. Già questa disposizione era un elemento di grande suggestione a livello visivo e, a livello acustico, favoriva la consapevolezza sonora ai coristi. Il silenzio religioso e l’attenzione partecipata dei fedeli rendevano ancora più maestoso il momento spirituale in un contesto così importante. I 9 brani eseguiti dai cantori hanno punteggiato la S. Messa, officiata da Mons. Bruno Gagliarducci, in un susseguirsi di emozioni forti. Al termine della S. Messa, il coro ha sfoggiato il suo repertorio musicale popolare: ne è risultato, per noi e la folla di turisti, un incantevole raccordo tra sacro e profano. Roma ci ha poi “travolto “con le sue bellezze, la luminosità dei suoi scorci nella notte e l’eleganza dei suoi monumenti. La domenica si è aperta per noi con la luce chiara del giorno sereno e la luce radiosa dei quadri del Caravaggio. A mezzogiorno, un’altra S. Messa in un altro luogo prestigioso: la chiesa di S. Salvatore in Lauro. Le voci dei coristi hanno accarezzato l’anima di ognuno, perché l’esito 72

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canoro non è stato solo una manifestazione fisica, ma un mezzo di contemplazione e preghiera. Sinceramente grato il parroco Mons. Pietro Bongiovanni, che ha tanto apprezzato sia il repertorio che l’esecuzione dei brani, auspicando per noi un futuro ritorno. Fieri i coristi della loro esibizione, stimata a tal punto da sentirla come un dono di riconoscimento per il loro lavoro. Qualche grazie: alle suore della Fraterna Domus, ormai nostre amiche, per l’affettuosa ospitalità; ai cantori amici, che hanno impreziosito il nostro gruppo; a Barbara Luscia, che ha promosso la nostra trasferta e ha condiviso le sue conoscenze di Roma con noi; ai parenti e amici del nostro coro, che hanno vissuto assieme a noi un’esperienza così gratificante. Ancora un grazie di cuore a: Federazione Cori del Trentino, Cassa Rurale Alta Valsugana, Comunità Alta Valsugana e Bersntol e Comune di Civezzano, per il supporto economico e l’incoraggiamento alle nostre attività. Siamo tornati a casa in una notte dal cielo stellato, riportando, assieme alla valigia, un bagaglio di affetti ed amicizie. Adele Boneccher e Chiara Turrini


trentinoscoop&news

500MILA EURO DONATI ALLA SANITÀ TRENTINA TRENTINGRANA E GRANA PADANO PER L’EMERGENZA COVID-19 I DUE CONSORZI DEVOLVONO 100MILA EURO ALLA SANITÀ LOCALE

Presidente del Consorzio Trentingrana, Renzo Marchesi

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l CONSORZIO TRENTINGRANA CONCAST – Consorzio dei Caseifici Sociali Trentini – e il CONSORZIO PER LA TUTELA DEL GRANA PADANO hanno devoluto 100.000 euro (50.000 cadauno) all’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari della Provincia Autonoma di Trento per la gestione dell’emergenza COVID-19, dove saranno gestiti a livello provinciale per il territorio, con logica di priorità, con l’obiettivo di acquistare attrezzature sanitarie e sostenere il lavoro di tutti gli operatori assistenziali, quale segno di vicinanza e solidarietà in questa difficile situazione che coinvolge tutta la popolazione. “Siamo grati al Consorzio del Grana Padano che ha voluto condividere con noi questa iniziativa verso il territorio trentino cui abbiamo voluto far sentire il nostro solidale supporto – ha dichiarato il Presidente del Consorzio Trentingrana, Renzo Marchesi. I caseifici e le cooperative sono parte integrante della comunità, espressione di una storia e di una tradizione fondata sulla condivisione di valori, tra cui la coesione e il senso di responsabilità, non potevamo quindi non essere partecipi e impegnati nel contribuire alla risoluzione di questa crisi così inaspettata che coinvolge il mondo intero”. Anche lo stesso settore lattiero-caseario sta facendo fronte all’emergenza mantenendo attivo il monitoraggio e il controllo della produzione, garantendo il servizio ai clienti e consumatori, compatibilmente con tutte le misure di sicurezza richieste dal Ministero della Sanità. La donazione sarà gestita a seconda delle priorità. Solo ad emergenza conclusa potranno essere messe a disposizione tutte le informazioni circa l’utilizzo dei fondi.

INZIATIVA DI "MELINDA" E DA “LA TRENTINA”

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l 17 marzo è stata ufficializzata l’operazione di charity voluta dai Consorzi Melinda e La Trentina, che attraverso una lettera di donazione inviata in questi giorni all’Azienda Provinciale Servizi Sanitari (Apss) hanno devoluto 500.000 euro per la gestione dell’emergenza COVID-19. Dopo aver ottenuto le opportune informazioni da parte dei servizi generali della sanità trentina, i due Consorzi hanno deliberato di inviare i fondi all’azienda sanitaria locale, dove saranno gestiti a livello provinciale per il territorio, con logica di priorità. Alle due aziende si sono uniti anche la Cooperativa COPAG e Emporio Agrario del Sarca, che pur essendo piccole realtà in confronto ai Consorzi, non hanno voluto far mancare il proprio contributo, segnale forte di vicinanza e di solidarietà al territorio. Così il Presidente del Consorzio Melinda, Michele Odorizzi: “In qualità di azienda tra le più significative e rappresentative del territorio non potevamo esimerci dal contribuire a questa difficile situazione che ci vede tutti coinvolti offrendo un aiuto concreto agli operatori del sistema sanitario locale, oggi instancabili e in prima linea nel tutelare la nostra salute, e a cui va il mio personale ringraziamento. La solidarietà e senso di responsabilità si confermano essere valori pienamente condivisi dalle 4000 famiglie, dipendenti e collaboratori che operano nel Consorzio, unite nel dare aiuto in occasione di eventi tragici vissuti dal Paese, come già avvenuto in passato”. Rodolfo Brochetti, Presidente del Consorzio La Trentina, ha così commentato l’operazione: “Abbiamo condiviso fin da subito questa iniziativa perchè desideriamo manifestare concretamente vicinanza e supporto a tutti coloro che stanno lavorando con grande impegno per il bene dell’intera collettività, e perché queste sfide si vincono solo se tutti fanno la loro parte responsabilmente, oltre al fatto che ci ritroviamo ancora una volta uniti e coesi insieme a Melinda, a conferma di una comunanza di valori”. Dalle recenti disposizioni governative, la donazione sarà gestita secondo delle priorità. Solo ad emergenza conclusa potranno essere messe a disposizione tutte le informazioni circa l’utilizzo dei fondi.

Michele Odorizzi e Rodolfo Brochetti

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trentinolibreria

IL LIBRO DEL MESE

“PRONTO PIA”, VOLONTARI A QUOTA 600 CENTRO SERVIZI “CONTRADA LARGA”, IN VIA BELENZANI A TRENTO, PER L’EMERGENZA CORONAVIRUS

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rrivano in media cinquanta telefonate al giorno al centro servizi “Contrada larga” in via Belenzani, che oggi è il motore di quella macchina della solidarietà che garantisce sostegno agli anziani soli e alle persone in difficoltà. Per lo più chi chiama ha bisogno di aiuto per fare la spesa, anche se talvolta la richiesta rivela situazioni di bisogno a cui si cerca comunque di dare risposta. A spiegare come funziona il Pronto Pia (che aderisce al servizio provinciale Resta a casa, passo io) al tempo del Coronavirus è Paola Luchi (cooperativa Kaleidoscopio), coordinatrice del centro servizi. “Nel 90 per cento dei casi ci chiedono aiuto per la spesa a domicilio – racconta Luchi – Qualcuno chiama per le medicine e noi giriamo la richiesta sulla rete delle farmacie comunali”. La risposta è diversa caso per caso: “A volte attiviamo la rete dei familiari, altre volte chiamiamo i supermercati che garantiscono una corsia preferenziale per le consegne agli anziani, altre volte ancora chiamiamo i volontari. Ne abbiamo a disposizione tantissimi: sono quasi 600, in questi ultimi giorni tra singoli e gruppi ne sono arrivati un centinaio in più. Cerchiamo di assegnare a ogni anziano un volontario del quartiere, in modo che sia anche un vicino di casa su cui contare. E incoraggiamo a mantenere il contatto anche dopo la spesa con una telefonata giornaliera per far sentire la presenza e il sostegno”. Sono giornate intense al Centro servizi, di dieci ore di lavoro e anche più. A volte, racconta ancora Paola Luchi, arrivano richieste che stringono il cuore: “Una signora di 95 anni ci ha chiamato perché le si era scaricata la batteria dell’apparecchio acustico. Ci ha detto che, se l’apparecchio non funziona, è costretta a stare a letto tutto il tempo. Naturalmente abbiamo mandato subito un volontario...”.

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AVVENTURE UNICHE E VERE IMMERSI NELLE MONTAGNE, IN UN TRENTINO ANCORA INCONTAMINATO, NEI TERRITORI PIÙ NASCOSTI E SUGGESTIVI DEL LAGORAI, DELL’ADAMELLO BRENTA E NON SOLO. QUESTO E ALTRO NEL PRIMO LIBRO DI MARCO PISONI

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racconti riportano solo episodi realmente accaduti, descritti fedelmente, senza alcuna aggiunta dovuta a fantasia, esagerazione o invenzione. Lo spirito con cui affronto l’ambiente montano, la flora e la fauna è anzitutto di rispetto e poi di scoperta, cercando sempre di entrare in contatto con la natura, per prendere parte al suo armonioso pulsare; per questo motivo non porto con me gps o altri ausili, ma solo cartina topografica e bussola». In queste poche righe di introduzione, Marco Pisoni illustra il senso del suo andare in montagna e, quindi, la filosofia di questo suo primo libro.


trentinolibreria Dino Pedrotti ABC DELLA VITA …a misura di bambino Reverdito

Federica Cognola - Evelina Molinari Sòtzlear 2, introduzione ragionata alla sintassi del mòcheno Istituto Culturale Mòcheno

Tre parole “vitali”, per dar senso alla nostra vita. • Amore è una parola molto ambigua, che giustifica ogni nostro comportamento. Per definirla bene proviamo a partire dall’amore più elementare: che tipo di amore desidera un bambino? • Bambino non è più oggetto di proprietà o di piacere per i genitori: è il cittadino più debole, titolare dei massimi diritti. È il più concreto rappresentante del nostro futuro. Proviamo a metterci nei suoi panni e a “dar voce al più piccolo bambino”: in che tipo di mondo vorrebbe vivere? • Cervello dei Grandi si basa su schemi mentali ed esperienze vissute da bambino. Per una efficace “prevenzione primaria”, dobbiamo studiare come educare i bambini con vero amore, fin dalla nascita: come funzionano il nostro Cervello e quello del Bambino?

Il volume continua il percorso cominciato con Sòtzlear 1 di introduzione all’insegnamento della sintassi della lingua mòchena, cioè del livello di analisi linguistica che si occupa dell’ordine delle parole e delle regole che servono a creare frasi. Questo secondo volume è pensato per raggiungere un livello intermedio di conoscenza della lingua orale e scritta, B1 e B2, secondo il Quadro europeo delle lingue. Ogni capitolo prende avvio dalla descrizione di un tema In questo libro/ grammaticale, intervista,quindi in descrive per la variazioni prima volta ricordiebiografici lecui possibili interne termina si intrecciano con riflessionistorico-culturali sull’esistenza e con degli approfondimenti sul presente del mo sulla base dei quali vengono proposti una serie di esercizi. I temi grammaticali esaminati sono sei e spaziano dalla variazione sintattica alle frasi secondarie. In appendice si trova una serie di esercizi aggiuntivi.

Un libro per cercare di rendere partecipi gli amanti e gli appassionati di montagna di un modo di fare escursionismo se vogliamo per certi versi estremo, ma connotato da una precisa filosofia: lo spirito con cui Pisoni affronta l’ambiente montano, la flora e la fauna è anzitutto di rispetto e poi di scoperta, cercando sempre di entrare in contatto con la natura, per prendere parte al suo armonioso pulsare. Ecco come il grande alpinista Sergio Martini, grande amico dell’autore, descrive nella sua breve prefazione il volume “La sera cala senza rumore”: Ritrovo l’autore del libro dopo parecchi anni da quando abbiamo condiviso alcune uscite di sci-alpinismo e questa sua opera prima sulla montagna è una piacevole sorpresa; un libro semplice, scorrevole, che ho letto volentieri, dove i racconti di belle avventure sono impreziositi da momenti di riflessione e di introspezione personale, senz’altro stimolata dall’ambiente alpino e dalle sue meraviglie. Ho apprezzato le descrizioni dei personaggi che l’autore ha incontrato, tratteggiati in modo davvero riuscito, quasi una fotografia fatta con le parole, tanto che pare di stare in loro

Nadia Martinelli Il paese della lepre. Centa San Nicolò, l’incanto del tempo Publistampa Nadia Martinelli ha compreso e interpretato il grande valore del tempo e del territorio, e principalmente delle persone e delle vite. Nel libro si trova una complessa e luminosa costellazione di personaggi che abitano la valle di Centa San Nicolò, paese-microcosmo fatto di case e cuori, di lavori, di tradizioni che scandiscono il tempo e il ritmo delle stagioni e della vita. Ci si può accostare con la stupefazione di chi guarda, cogliendone l’incanto, una di quelle miniature nelle bocce di vetro che rovesciate fanno cadere sul paesaggio la neve. E ci si immagina l’avvicendarsi delle ore, del dì e della notte, delle stagioni dal ritmo eterno e sempre nuovo sulla terra lavorata, di sudore e fiati, colori. Fra la gente ci si capisce e ci si intende nel dialetto, ci si chiama per soprannome o secondo i luoghi delle abitazioni e dei masi, delle attività.

compagnia. E questi personaggi fanno parte dell’avventura, oltre e al di là dell’ambiente, percorso spesso con ritmi elevati, dettati dall’esigenza di esplorare il più possibile nel limitato tempo a disposizione. Il libro è anche la storia di un’amicizia, in particolare con l’amico che riconosci come il compagno di cordata, la persona sempre pronta ad aiutarti nei momenti di difficoltà, quella con cui ti puoi confidare senza timore di essere deluso, con la quale sei in sintonia e condividi un sentire comune. Leggendo questo libro ho poi ritrovato luoghi che spesso ho frequentato pure io e ho condiviso un modo di affrontare la montagna non usuale, autonomo, lontano dalle comodità e dagli approdi sicuri e preconfezionati, con similitudini himalayane, soprattutto per quanto riguarda la preparazione dei campi base. Ed infine quella che è sempre una conferma, se non la regola: per quanto la si programmi, la si studi e la si organizzi, la montagna rimane un’incertezza, piena di imprevisti e di sorprese. Che però sono il suo fascino e la sua bellezza.

Marco Pisoni

La sera cala senza rumore Tra le montagne trentine, lasciarsi rapire dall’infinito. Itinerari insoliti in Lagorai e Adamello Brenta Curcu Genovese, pag. 160 - Euro 15,00

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pubblicate sulla nostra pagina Instagram @trentinomese potranno partecipare al concorso; per esser selezionati vi ricordiamo di utilizzare il nostro hashtag; ricordatevi di segnalare il luogo o localizzare la foto, saranno valide solamente le foto scattate in Trentino Alto Adige. Grazie a tutti anticipatamente!



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*Garanzia 7 anni o 150.000 Km, quale che sia il limite raggiunto prima, con chilometraggio illimitato per i primi 3 anni. Batteria HV (Alto Voltaggio): 7 anni o 150.000 Km, quale che sia il limite raggiunto prima, per perdite di capacità al di sotto del 65% della capacità originaria della batteria. La riduzione di capacità della batterie sulle vetture PHEV, HEV e MHEV non è coperta dalla garanzia. Per minimizzare la possibile riduzione di capacità, consultare il libretto di uso e manutenzione della vettura. Escluso parti e/o componenti che hanno un limite naturale legato alla loro deperibilità temporale come: batteria basso voltaggio 12V/48V (2 anni chilometraggio illimitato), sistemi audio, video, navigazione (3 anni / 100.000 Km). Taxi o vetture destinate al noleggio con conducente (NCC): 7 anni o 150.000 Km, quale che sia il limite raggiunto prima, escluso il chilometraggio illimitato per i primi tre anni. Condizioni valide su ogni vettura Kia venduta dalla Rete Ufficiale di Kia Motors nel territorio della UE. Dettagli, limitazioni e condizioni su www.kia.com e nelle Concessionarie.

Consumo combinato Limitazioni garanzia*ciclo NEDC (lx100 km): XCeed PHEV da 1,3 a 1,3. Niro PHEV da 1,3 a 1,3. Sportage da 4,2 a 9,3. Emissioni CO2 ciclo NEDC (g/km): XCeed PHEV da 31 a 31. Niro PHEV da 29 a 29. Sportage da 110 a 170. Cicloo 150.000 WLTP (lx100 km):che XCeed PHEVraggiunto da 1,7 aprima, 1,7. Niro PHEV da 1,4 a 1,4. Sportage da3 5,3 10,5. Emissioni CO2 ciclo 7WLTP PHEV 38,25. Niro PHEV da 31,3 31,3. Sportage *Garanzia 7 anni Km, quale sia il limite con chilometraggio illimitato per i primi anni.aBatteria HV (Alto Voltaggio): anni o(g/km): 150.000XCeed Km, quale che da sia 38,25 il limitearaggiunto prima, per perdite di a capacità al di sotto da 138 a 203. L’immagine è inserita a titolo indicativo di riferimento. del 65% della capacità originaria della batteria. La riduzione di capacità della batterie sulle vetture PHEV, HEV e MHEV non è coperta dalla garanzia. Per minimizzare la possibile riduzione di capacità, consultare il libretto di uso e manutenzione Limitazioni garanzia* Limitazioni garanzia*

della vettura. Escluso parti e/o componenti che hanno un limite naturale legato alla loro deperibilità temporale come: batteria basso voltaggio 12V/48V (2 anni chilometraggio illimitato), sistemi audio, video, navigazione (3 anni / 100.000 Km). *Garanzia 7 annianni o 150.000 Km, quale chequale sia il limite raggiunto prima, con chilometraggio illimitato per i primi 3 anni. Batteria HV (Alto Voltaggio): 7 anni o 150.000 quale che sia il limite raggiunto prima, per perdite di capacità alildilimite sotto raggiunto p *Garanzia o 150.000 che(NCC): sia il7 limite raggiunto prima, illimitato i primi 3 anni. Batteria HVKm, (Alto 7 anni o 150.000 Km, quale che siaUfficiale Taxi o vetture7destinate al noleggio Km, con conducente anni o 150.000 Km, quale checon sia ilchilometraggio limite raggiunto prima, esclusoper il chilometraggio illimitato per i primi tre anni.Voltaggio): Condizioni valide su ogni vettura Kia venduta dalla Rete di del della capacità originaria della batteria. Labatteria. riduzione di della batterie sulle vetture PHEV, HEVsulle e MHEV non è coperta Pernon minimizzare la possibile riduzione diPer capacità, consultare illalibretto di usoriduzione e manutenzione del65% 65% della capacità Lacapacità riduzione di capacità della batterie vetture PHEV,dalla HEVgaranzia. e MHEV è coperta dalla garanzia. minimizzare possibile di capacità, cons Kia Motors nel territorio dellaoriginaria UE. Dettagli,della limitazioni e condizioni su www.kia.com e nelle Concessionarie. della vettura. Escluso parti e/o componenti che hanno un limite naturale legato alla loro deperibilità temporale come: batteria basso voltaggio 12V/48V (2 anni chilometraggio illimitato), sistemi audio, video, navigazione (3 anni / 100.000 Km). Consumo combinato ciclo NEDC (lx100 km): XCeed PHEV da 1,3 a 1,3. Niro PHEV da 1,3 a 1,3. Sportage da 4,2 a 9,3. Emissioni CO ciclo NEDC (g/km): XCeed PHEV da 31 a 31. Niro PHEV da 29 a 29. Sportage da della vettura. Escluso parti e/o componenti che hanno un limite naturale legato alla loro deperibilità temporale come: batteria basso voltaggio 12V/48V (2 anni chilometraggio illimitato), sistemi audio, vid 2 Taxi o vetture destinate al noleggio con conducente (NCC): 7 anni o 150.000 Km, quale che sia il limite raggiunto prima, escluso il chilometraggio illimitato per i primi tre anni. Condizioni valide su ogni vettura Kia venduta dalla Rete Ufficiale di 110 a o170. Ciclo WLTP (lx100 XCeed PHEV da 1,7 a 1,7. Niro PHEV 1,4 aConcessionarie. 1,4. Sportage dache 5,3 sia a 10,5. Emissioni CO2 ciclo WLTP (g/km):ilXCeed PHEV da 38,25 a 38,25. PHEV daanni. 31,3 Condizioni a 31,3. Sportage Taxi vetture destinate alkm): noleggio con conducente (NCC): 7 annida 150.000 Km, quale il limite raggiunto prima, escluso chilometraggio illimitato perNiro i primi tre valide su ogni vet Kia Motors nel territorio della UE. Dettagli, limitazioni e condizioni su www.kia.com eonelle da 138 a 203. L’immagine è inserita a titolo indicativo di riferimento.

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