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Partiamo dal carattere della nostra città: il Concilio, il suo centro storico, l’impronta di Bernardo Clesio, che voleva portare il Rinascimento attorno alle vestigia romane, ed i resti romani e della progettazione di Vetruvio, sono tutti parte del carattere indelebile di Trento. Vetruvio aveva progettato per Trento uno sviluppo quadrato ed a griglia: una griglia generata da una croce, generatrice della geometria euclidea, la quale rappresenta in termini grafici il contenuto filosofico della natura. E poi c’è l’elemento, come dicevo prima, teatrale. Quindi, come le piacerebbe vedere Trento? Farò una mostra a settembre in cui spiegherò questo. Qui, nei giardini di Villa Salvotti. Mostrerò le mie soluzioni per la Facoltà di Legge e la Biblioteca realizzate da Botta, poi ci sarà un intervento sul fiume, per cui ho pensato un’installazione di giardini pensili. E poi, invece di interrare la nostra ferrovia, io propongo una sopraelevata, da erigere sopra i binari, che parte dalla circonvallazione di Gardolo e si raccorda con quella di Man. Questa strada lascerebbe intatta la stazione, che è in un bel posto con una bella piazza, e passerebbe per gli edifici ex Sloi, per l’area ex-Michelin ed in prossimità del fiume a Piedicastello. Ma una sopraelevata non deturberebbe il paesaggio? No, assolutamente. Guardi che non sarebbe una sopraelevata fatta con l’idea di bellezza di oggi, quelle che si fanno adesso sono dei mostri. Penso a una struttura di stile classico, con delle arcate. In questo caso, però, bisognerebbe dare una figura ben precisa agli interventi Sloi e Michelin, che oggi vengono pensati solo per dare utilità del risiedere dell’uomo della strada: di basso profilo, quindi. Io invece vorrei mostrare la questione della violenza e della pace, del polemos e dell’eros: niente edifici singoli, ma un intreccio che riprende la 22
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forma dei fendenti delle lance. Le forme delle città non devono nascere dai piedi caldi e dalla pancia piena, ma dai significati della nostra storia. Tutto bene, invece, il nostro centro storico? Direi di no, anche questo aspetto sarà trattato dalla mia mostra di settembre. Farò un plastico sull’arredo del centro storico, oggi a cura dei commercianti, che se ne occupano senza criterio. L’amministrazione dovrebbe farsi cura di come si arreda un centro storico. E poi farò anche una proposta per Piazza Dante. Dopo così alte dissertazioni su filosofia ed architettura, abbiamo bisogno di un break di “basso profilo”, come direbbe il barone. Chiediamo numi sulla sua situazione personale. «Vivo qui a Villa Salvotti da solo, a pranzo cucino io, cose fredde e frugali, mentre a cena sono sempre in una delle trattorie di Piedicastello. E poi me ne torno a casa… Sono stato sposato con una ragazza che aveva 32 anni meno di me, gli stessi anni che separavano mia madre da mio padre. Ho capito presto, però, che non ero fatto per il matrimonio. E nemmeno per avere tanta gente in giro. Oggi ho una signora che mi aiuta con le pulizie, ma non rimpiango i giorni in cui mia madre aveva tre domestici». Vivere in questa grande casa da solo non la preoccupa o la intristisce, di tanto in tanto? A parte i furti, otto dagli anni Sessanta ad oggi, no. Vivo da solo serenamente. La solitudine non è qualcosa che ha un riferimento con la quantità, ma con la qualità.
Ha dei figli? Ho un figlio Filippo, di 45 anni, che vive nella casa colonica a fianco di Villa Salvotti, sposato con un figlio, Scipio. Visto che la cosa è pubblica, dice Salvotti, ci racconta senza indugio che Filippo è nato da una sua relazione «con una donna sposata, ed è cresciuto nella famiglia Cesarini Sforza». Poi, venuto a conoscenza del suo padre naturale, Filippo chiese a Salvotti di essere adottato, è così fu fatto. Filippo Salvotti De Bindis Cesarini Sforza è direttore marketing alla Ilva, il colosso che ha tra i suoi marchi di punta l’Amaretto di Saronno (e da cui, guarda caso, provengono anche i due nuovi nomi di Cavit, il direttore Enrico Zanoni, e il nuovo direttore marketing, Lorenzo Vavassori). Leo Salvotti definisce i Cesarini Sforza «mezzi parenti» e mentre ci sorprendiamo positivamente di come si possono superare agilmente certi “incidenti di percorso”, passiamo oltre. C’è ancora qualche sogno nel cassetto che non ha realizzato, architetto? Vorrei fare una Fondazione Salvotti, dedicata alla storia ed all’urbanistica. Sto attendendo l’arrivo di un certo capitale da un contenzioso che dura da vent’anni, ma nel giro di un paio d’anni dovrei riuscire a metterla in piedi. Il problema, poi, sarà chi la gestirà, perché io non sono in grado di organizzare cose di questo genere e mio figlio è troppo impegnato. Ha in mente qualche nome, quindi? Una persona potrebbe essere la scrittrice fiorentina Fausta Garavini, oppure l’avvocato Guariente Guarienti. È ora di pranzo. Il barone-architetto si accinge a pranzare con una mela ed un pezzo di pane. Noi, senza caffè (questa rubrica si chiama “Un caffè a casa di”, ma raramente ci viene offerto, chissà come mai…) torniamo in redazione. ■