T&C 36 - RIPROGETTARE L'ESISTENTE

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RIPROGETTARE L’ESISTENTE 1


In copertina: Bill Culbert, Daylight Flotsam Venice, 2013. Installazione dell’artista neozelandese nei locali dell’Istituto Santa Maria della Pietà di Venezia nell’ambito della 55^ Esposizione Internazionale d’Arte (foto di Laura Facchinelli).


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81 RECUPERO DEI DOCKLANDS DI DUBLINO

Rivista quadrimestrale maggio-agosto 2013 anno XIII, numero 36 Direttore responsabile Laura Facchinelli

di Oriana Giovinazzi

5 RIPROGETTARE L’ESISTENTE di Laura Facchinelli

Direzione e redazione Cannaregio 1980 – 30121 Venezia Via Venti Settembre 30/A – 37129 Verona e-mail: info@trasportiecultura.net laura.facchinelli@alice.it per invio materiale: casella postale n. 40 ufficio postale Venezia 12, S. Croce 511 – 30125 Venezia Comitato Scientifico Giuseppe Goisis Prof. Ord. di Filosofia Politica, Università Ca’ Foscari, Venezia Cristiana Mazzoni Parigi - Prof. HDR, Ecole Nationale Supérieure d’Architecture, Strasburg Marco Pasetto Prof. Ord. di Strade, ferrovie e aeroporti, Università di Padova Franco Purini Prof. Ord. di Composizione Architettonica, Università La Sapienza, Roma Enzo Siviero Prof. Ord. di Tecnica delle costruzioni, Università IUAV, Venezia Maria Cristina Treu Prof. Ord. di Urbanistica, Politecnico di Milano La rivista è sottoposta a referee Traduzioni in lingua inglese di Olga Barmine La rivista è pubblicata on-line nel sito www.trasportiecultura.net 2013 © Laura Facchinelli Norme per il copyright: v. ultima pagina

7 RIUTILIZZIAMO L’ITALIA: IL WWF CONTRO IL CONSUMO DI SUOLO

Pubblicato a Venezia nel mese di agosto 2013

13 RECUPERO DI AREE DISMESSE: MODELLI DI INTERVENTO FRA PUBBLICO E PRIVATO di Maria Cristina Treu

21 SUPERSTRADE URBANE: DALL’ALTA VELOCITÀ ALLE TRASFORMAZIONI CONTEMPORANEE di Zeila Tesoriere

29 TERRITORI FERROVIARI IN MUTAZIONE SUL FRONTE MARE DI MESSINA di Cristiana Mazzoni, Roberta Borghi e Luna d’Emilio

37 REGGIO CALABRIA, IL RICICLO DEI PAESAGGI DELLE INFRASTRUTTURE di Vincenzo Gioffrè

45 MARGHERA E VENEZIA RIUNITE DAL FUTURO di Sergio Pascolo

55 POLITICHE DI CONTENIMENTO DEL CONSUMO DI SUOLO: L’ESPERIENZA DI MONACO DI BAVIERA 65 SVIZZERA: UNA SCELTA POPOLARE DI MODIFICA DI UNA LEGGE DI PIANIFICAZIONE di Emanuele Saurwein

Autorizzazione del Tribunale di Verona n. 1443 del 11/5/2001

ISSN 2280-3998

di Viviana Martini

di Stefano Lenzi e Andrea Filpa

di Chiara Mazzoleni Editore: Laura Facchinelli C.F. FCC LRA 50P66 L736S

89 IL PAESAGGIO STORICO URBANO COME NUOVO APPROCCIO UNESCO PER CONCILIARE STORIA E MODERNITÀ

73 PARIGI, UN SALOTTO URBANO PER LA PIAZZA DELLA STAZIONE SAINT-DENIS CENTRE di Cristiana Mazzoni, Francesca Fontana e Anne Jaurèguiberry

95 DA DOGANA A MUSEO D’ARTE, LA CULTURA ENTRA IN AUTOSTRADA di Laura Facchinelli

99 LA MUSICA, INTERPRETE DEL TEMPO PRESENTE. UN CONVEGNO A VENEZIA 101 LA MUSICA E LO SPAZIO di Massimo Contiero

105 STRADE E PAESAGGIO: IL CONVEGNO A CAGLIARI PER IL RIDISEGNO DEL TERRITORIO di Michele Culatti

109 AEROMETROPOLI, PRESENTAZIONE DELLA RIVISTA ALLA BOCCONI E CONVEGNO A FIRENZE di Laura Facchinelli

111 PROGETTO DI STRADE E DISEGNO DELLO SPAZIO PUBBLICO. L’ANALISI IN UN LIBRO di Andrea Debernardi

113 RIPROGETTARE L’ESISTENTE, UN CONVEGNO A ROMA di Cristiana Mazzoni e Laura Valeria Ferretti

PROGETTI URBANI NELL’AREA ORIENTALE DI NAPOLI di Carlo Gasparrini

RIQUALIFICARE LA CITTÀ DIFFUSA: CONNESSIONI E PERCORRENZE di Maurizio Morandi

RECUPERO DELLE AREE PORTUALI PER LO SVILUPPO URBANO di Oriana Giovinazzi


TRASPORTI & CULTURA N.36

Redesigning the Existing by Laura Facchinelli

In Italy, as industrialization grew, a process of land-take began that over the past fifty years has accelerated to a dizzying rate of speed. The construction of production facilities, the progressive expansion of infrastructure to respond more intense traffic, especially on the roads, the extension of the suburbs to house the population migrating from rural areas and more recently, the masses of foreign immigrants, are phenomena that have eroded the spaces formerly used for farming. The same thing has happened in other industrialized countries, but Italy boasts a harmonious fabric of natural beauty and cities or small towns of historic importance that require protection. Today, as overbuilding processes continue to ravage increasingly scarce rural areas, driven by senseless greed far beyond what is actually needed, we have a growing number and surface of abandoned areas: factories that have shut down, abandoned railway yards and so on. Enlightened minds conceive plans to reconvert these areas and when possible, the buildings on them. This is the policy that appears to make most sense. It means, as recommended by the WWF, “reusing Italy”. This principle is the foundation for the theme of this issue of our magazine, published in collaboration with the École Nationale Supérieure d’Architecture in Strasbourg. The premise consists in two considerations. The first is that we owe our respect to the harmony of our landscape, beloved to all world travelers: because this is where our richness lies. A richness that, in addition to the spiritual values of balance and beauty, is also an economic resource for tourism (that at least should be easy for our administrators to understand!). Second consideration: the transformations are often decided to cater to private interests, leading to an unregulated take of available land. A clear distinction should then be made between building for the common good (as in the case of the construction of the railway system in the nineteenth century or the more recent highway network) and unregulated overbuilding for purposes of mere speculation (there are so many examples before our eyes). A further distinction should be made between designs based on culture and wisdom in the choice of form and material (positive examples may be found, for instance, in the infrastructures of the 1960’s-70’s) and entrusting a mediocre designer (or on the contrary, an overly ambitious archi-star) with the fate of our landscape. We will never tire of repeating that we, as citizens, must demand coherence and quality in form and materials. The fact is that, in addition to overcoming our age-old indifference, we must first understand the problem. Yes, it is a matter of culture. Which is often, unfortunately, inadequate. The first of the articles in the monograph section “Trasporti” is dedicated specifically to the WWF campaign against land-take. It is followed by examples of transformation: of roads in urban areas, waterfront regions, leftover landscapes along an infrastructure, a vast abandoned industrial area. These are largely analyses or reflections, and projects that we hope will be brought to term. There have been interesting experiences in other countries. The City of Munich enacted policies to control building expansion. In Switzerland, a survey among the population indicated that the planning laws should be modified. In Paris, a discussion was raised about the revitalization of a city square adjacent to a railway station. Then there is the remarkable project to regenerate the Docklands in Dublin. So there is no lack of positive examples. In the matter of the transformations, an important factor is the commitment of UNESCO to find a balance between history and modernity when new constructions are built in the historic city centres. “Redesigning the Existing” will also be the theme of a conference we have organized at the Università di Roma “La Sapienza”. This specialized event will focus on architectural projects, as part of an interdisciplinary programme that embraces studies in the fields of the arts, literature and music.

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Riprogettare l’esistente di Laura Facchinelli

Nel nostro paese, col diffondersi dell’industrializzazione, si è verificato un progressivo consumo di suolo che nell’ultimo cinquantennio ha assunto ritmi vertiginosi. La creazione di stabilimenti per la produzione, la progressiva espansione delle infrastrutture per rispondere a un incremento di traffico soprattutto stradale, l’ampliamento delle periferie urbane per accogliere il flusso di popolazione proveniente dalle campagne e, recentemente, la massa degli immigrati sono fenomeni che hanno eroso spazi prima destinati all’agricoltura. Questo si è verificato anche in altri paesi industrializzati, ma l’Italia ha un tessuto armonioso di bellezze naturali e di città e piccoli borghi di interesse storico che esigono tutela. Oggi, mentre la cementificazione continua ad aggredire le ormai scarse aree rurali, anche al di là delle effettive esigenze, con dissennata ingordigia, sono però sempre più numerose ed estese le aree abbandonate: fabbriche non più attive, scali ferroviari dismessi e così via. Le menti illuminate concepiscono disegni di riconversione dei terreni e, quando possibile, anche degli edifici già esistenti. È proprio questa la scelta che appare più sensata. Si tratta, come suggerito dal WWF, di “riusare l’Italia”. Da questo principio prende avvio il presente numero della rivista, che è stato realizzato in collaborazione l’Ecole Nationale Supérieure d’Architecture di Strasburgo. Due le considerazioni, in premessa. La prima è che dobbiamo rispetto per l’armonia del nostro paesaggio, da sempre amato da tutti i viaggiatori del mondo: perché è la nostra ricchezza. Una ricchezza che, oltre al valore spirituale in termini di equilibrio e bellezza, è anche risorsa economica in funzione del turismo (almeno questo aspetto dovrebbe essere facile da comprendere, per i nostri amministratori!). Seconda considerazione: le trasformazioni sono, spesso, orientate al puro interesse privato, in termini di consumo selvaggio del suolo disponibile. Facciamo allora, con chiarezza, una distinzione fra il costruire per l’interesse collettivo (pensiamo alle linee ferroviarie nel nostro Ottocento e alla successiva rete autostradale) e il cementificare per pura speculazione edilizia (gli esempi sono sotto i nostri occhi). E un’ulteriore distinzione fra il progettare con cultura e saggezza nella scelta di forma e materiali (esempi positivi ci vengono, per esempio, dalle infrastrutture degli anni ’60-70 del Novecento) e l’affidare a un disegnatore di modesto livello (o, al contrario, a un’archistar di spropositate ambizioni) il destino del nostro paesaggio. Non ci stancheremo mai di ripetere che noi cittadini possiamo pretendere coerenza e qualità di forma e materiali. Il fatto è che, a parte l’atavica indifferenza, dovremmo prima capire il problema. Già, è una questione di cultura. Spesso, purtroppo, carente. Il primo degli articoli che ospitiamo nella sezione monografica “Trasporti” è proprio dedicato alla campagna WWF contro il consumo di suolo. Seguono esempi di trasformazione: di strade in area urbana, di territori sul fronte mare, di paesaggi dello scarto lungo un’infrastruttura, di una vasta area industriale dismessa. In gran parte si tratta di analisi-riflessioni, di progetti che ci auguriamo possano essere attuati. Sono interessanti le esperienze di altri paesi. A Monaco di Baviera sono state attuale politiche per il controllo dell’espansione insediativa. In Svizzera un sondaggio ha visto la popolazione pronunciarsi per la modifica di legge in tema di pianificazione. A Parigi si è discusso sulla rivitalizzazione della piazza adiacente a una stazione ferroviaria. Ambizioso il progetto per il recupero dei docklands di Dublino. Gli esempi positivi, dunque, non mancano. Riguardo alle trasformazioni è molto importante l’impegno dell’UNESCO nel cercare l’equilibrio fra storia e modernità quando si tratta di introdurre nuove costruzioni nei centri storici. Al tema “Riprogettare l’esistente” sarà dedicato anche un convegno che abbiamo organizzato presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Sarà un appuntamento specialistico sul progetto di architettura, che si colloca nel panorama interdisciplinare di approfondimenti che abbraccia anche le arti, la letteratura, la musica.

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Riutilizziamo l’Italia, il WWF contro il consumo di suolo di Stefano Lenzi e Andrea Filpa

Il WWF con l’iniziativa “RiutilizziAMO l’Italia” ha colto ancora una volta, come tante altre in passato, lo spirito del tempo. Se negli ultimi trent’anni, dall’approvazione della Legge Quadro sulle aree protette nei primi anni ‘90, il nostro compito è stato finalizzato al consolidamento del sistema di tutele per la conservazione delle risorse naturali e al rafforzamento del concetto di sostenibilità nelle scelte economiche, produttive ed energetiche, oggi è la volta di dare ancora più rilievo all’impegno da tempo sviluppato per arginare l’ulteriore frammentazione e distruzione della continuità ecologica del territorio minacciata dalla dispersione urbana e da scelte infrastrutturali e produttive spesso dissennate e, quindi, porre un freno al consumo di suolo, risorsa anch’essa non rinnovabile. È questa una maturazione che avviene non solo nel nostro Paese, visto che il WWF internazionale ha già avviato da tempo una riflessione sulla redazione di un libro bianco sul land use, in una visione olistica della sostenibilità che ha come obiettivi la conservazione della biodiversità e degli habitat, la resilienza dei sistemi naturali e l’adattamento ai cambiamenti climatici. Ma, come sappiamo, anche in questo campo esistono peculiarità tutte italiane, come ha dimostrato il WWF con il dossier “Terra Rubata”, elaborato insieme al FAI e presentato nel gennaio 2011, sulla base di una ricerca coordinata dall’Università degli Studi dell’Aquila in cui è stato documentato come, negli ultimi 50 anni, sia stata registrata nel nostro Paese una conversione urbana media del suolo di quasi 90 ettari al giorno, una urbanizzazione lineare della costa adriatica di quasi 10 km all’anno e come già oggi non sia possibile tracciare in Italia un cerchio del diametro di 10 km senza intercettare un insediamento urbano. Il nostro è un Paese a rischio, visto che ancora c’è chi irresponsabilmente propone di guardare con condiscendenza a condoni e sanatorie dell’abusivismo edilizio, che dal 1948 ad oggi ha ferito il territorio con 4,5 milioni di abusi edilizi (75 mila l’anno, 207 al giorno), favoriti dai 3 condoni che si sono succeduti negli ultimi 16 anni (nel 1985, nel 1994 e nel 2003). Un Paese che, come è noto, ha un patrimonio paesaggistico, plasmato da secoli di interventi legati alle diverse stagioni della nostra civiltà (agricoloforestale, industriale ed urbana), ma, come invece è poco noto, ha la più ricca biodiversità d’Europa. Un Paese in cui, nel corso del tempo, è stata smarrita la capacità di governare i processi e di pianificare gli interventi urbanistici, che ha caratterizzato la stagione tra la fine degli anni ’60 e la metà degli anni ’70 del ‘900, abbandonando anche in questo campo alle dinamiche spontanee del mercato e agli interessi speculativi il governo del territorio. A

“Riutilizziamo l’Italia”: WWF against land take by Stefano Lenzi and Andrea Filpa With its initiative titled “RiutilizziAMO l’Italia”, ‘Let’s re-use Italy’, the WWF has captured the spirit of the times. Over the past thirty years its mission has been to consolidate the system of protection for the conservation of natural resources and the reinforcement of the concept of sustainability in policies that govern the economy, production and energy; the time has come to place even greater emphasis to the commitment to halt further fragmentation and the destruction of regional ecological continuity, threatened by urban dispersion and often senseless decisions in the matter of infrastructure and production, and so to slow down land-take, because land is also a non-renewable resource. The problem today, which is linked to de-industrialization and the deep ongoing economic and financial crisis, is how to stimulate a great new era of cultural, social and economic change – like the regeneration of historic city centres in the 1960’s and 1970’s – which will not only limit new land-take, but also regenerate our cities, starting with the considerable number of empty buildings and sites left behind by the progressive dismantling of production facilities, and the abandoned public and private building heritage. The WWF wishes to concretely help stimulate and awaken consciences and to materially launch widespread initiatives that will positively and virtuously influence our territory with programmes to restore and regenerate not only places but also our city-building culture, once the envy of the world.

Nella pagina a fianco: in alto: ex-lido a Nisida (Napoli); in basso: gasometro, Roma.

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1 - Baracche lungo il canale Quaranta a Staranzano (Gorizia).

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parte il fenomeno endemico dell’abusivismo che - è bene ricordarlo - non è stato soltanto un fenomeno delle aree “marginali” del Sud ma ha condizionato lo sviluppo di aree urbane come Roma o dell’hinterland partenopeo, è a partire dagli anni ’80 del secolo scorso che si accentua, come viene ricordato correttamente in uno dei contributo del presente Rapporto, una tendenza generalizzata alla frammentazione degli equilibri insediativi e dei processi produttivi. È questa tendenza, accompagnata dallo sviluppo esponenziale della motorizzazione privata e da conseguenti, sciagurate scelte infrastrutturali che hanno favorito lo sviluppo delle autostrade e la progressiva decadenza del servizio ferroviario sulle medie e corte distanze, che ha portato alla sub-urbanizzazione del territorio ancora libero e alla disseminazione di funzioni produttive e commerciali-artigianali che hanno di fatto riscritto, rendendola illogica e incomprensibile, la zonizzazione delle nostre sempre più incongrue aree metropolitane (da qui ad esempio, la nascita di quella che, proprio il WWF, ha chiamato la Megalopoli Padana – v. Andrea Debernardi). Ora, quindi, il nostro problema, legato alla nuova fase di de-industrializzazione e di profonda crisi economico-finanziaria (del settore edilizio e della rendita catastale) è come procedere ad una nuova, grande stagione di ripensamento culturale, sociale ed economico – come fu quella del recupero dei centri storici negli anni ’60 e ’70 del ‘900 - che sappia non solo limitare il nuovo consumo di suolo, ma riqualificare le nostre città a partire dai

considerevoli spazi e manufatti vuoti per la progressiva dismissione degli insediamenti produttivi nei grandi centri a vocazione industriale del Nord e del Sud (Milano, Torino, Genova, Napoli, ecc.), dal patrimonio edilizio pubblico e privato lasciato in abbandono e in degrado nelle aree centrali e periferiche e dai “relitti territoriali” (infrastrutture incompiute o rottamate, capannoni, aree industriali e commerciali, cave e caserme dismesse) che hanno contaminato il nostro panorama concreto e ideale (giustamente richiamati in uno degli interventi del presente Rapporto). Il WWF, attraverso la Rete Docenti della iniziativa “RiutilizziAMO l’Italia” e la mobilitazione delle sue sezioni, vuole dare così il suo contributo a quella iniziativa e sensibilità diffusa che in alcune parti del Paese (basti pensare all’esperienza di rigenerazione urbana avviata da tempo dal Comune di Torino o alla riflessione sugli ambiti paesaggistici e consumo di suolo avviata dalla Regione Puglia) si vanno, per fortuna, già consolidando. E non solo per iniziativa delle istituzioni, ma per una forte spinta dal basso, di mobilitazione delle coscienze e delle competenze e di richiesta di partecipazione, come testimonia l’esperienza di Temporiuso a Milano. Proprio quella mobilitazione che ha caratterizzato la prima fase della iniziativa “RiutilizziAMO l’Italia” (giugno – novembre 2012), grazie alla quale sono state raccolte 575 schede di segnalazione di idee, proposte e progetti provenienti da tutta Italia di riuso sociale ed ambientale del patrimonio esistente non utilizzato, sottoutilizzato o abbandonato.


TRASPORTI & CULTURA N.36 Da questa prima fase di “censimento” è emerso che esiste una forte domanda sociale, per lo più organizzata, nel nostro Paese che aspira ad una riqualificazione degli insediamenti urbani e del territorio e chiede il recupero e il riuso per fini di utilità collettiva e ambientale delle aree e dei manufatti abbandonati, sottoutilizzati e dismessi. È una domanda matura e consapevole dei rischi di degrado legati all’abbandono e della necessità di dare la priorità al contenimento del consumo del suolo e alla conservazione del verde e della biodiversità, pro-attiva rispetto alle idee e proposte di recupero. Le 575 schede di segnalazione pervenute al WWF sono ben distribuite in tutta la Penisola: per il 38% dal Sud Italia e isole, per il 33% dal Centro Italia e per 29% dal Nord. Se ne ricava uno screening credibile e diversificato della tipologia del patrimonio esistente non utilizzato e delle proposte elaborate dalle comunità locali e dai singoli cittadini e da una Rete di 27 tra esperti e docenti di 12 diversi atenei. La conferma dell’esistenza di una forte domanda sociale organizzata viene dal fatto che le schede di segnalazione (che contenevano almeno 10 campi informativi da compilare, dagli aspetti anagraficolocalizzativi, a quelli riguardanti le destinazioni urbanistiche e le vocazioni territoriali) sono state compilate per il 70% da associazioni e comitati, per il 28% da singoli cittadini (mentre il 2% non risponde). È una domanda sociale consapevole e informata che fotografa il fenomeno del patrimonio in ab-

bandono, che - sulla base delle 575 segnalazioni - riguarda per il 67% aree edificate, per il 18% incolti degradati o in evoluzione (7% incolti in evoluzione, cioè dove la natura sta prendendo il sopravvento e 11% dove impera il degrado), 4% aree di scavo (cave o altre forme di prelievo di inerti), 7% aree ex-cantieri, mentre il restante 4% non risponde. Nelle schede di segnalazione erano identificati anche i rischi provocati dall’abbandono e dalla dismissione. Infatti il vuoto, lasciato su un territorio densamente edificato in maniera disordinata e spesso ingiustificata, si trasforma in degrado: i rischi segnalati sono quelli dipendenti per il 36% da strutture pericolanti, per il 32% dall’inquinamento del suolo, per il 19% dai luoghi trasformati in discariche o depositi di materiali, per il 3% da altri fenomeni, mentre per il 10% non sono pervenute risposte. È una domanda sociale propositiva visto che l’85% delle 575 schede pervenute al WWF Italia contiene idee e proposte di riutilizzo ambientale e sociale delle aree censite, con proposte che riguardano per il 49% una riqualificazione green delle aree (per il 20% a verde pubblico, per il 15% per ricomporre la rete ecologica, per il 9% ad orti urbani e sociali, per il 5% ad uso agricolo), mentre per il 47% il riutilizzo urbanistico. La varietà degli edifici e delle aree abbandonate - o, in minor misura, sottoutilizzate - restituita dal censimento WWF è impressionante, e parimenti ampio è il novero delle proposte di riutilizzo. Gli edifici di elevata qualità storico-architettonica

2 - Palazzetto dello Sport, Napoli.

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3 (in alto a sinistra) - Canale Strozzi, Roma. 4 (in basso a sinistra) - Fornace Penna Scicli a Ragusa.

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rappresentano una parte consistente del dismesso segnalato (oltre un decimo del totale, dei quali circa la metà ottocenteschi e novecenteschi, gli altri più antichi) spaziando da interi centri storici abbandonati – o loro parti consistenti – a palazzi, castelli, fornaci, colonie marine, stabilimenti industriali di pregio architettonico, gasometri, cinema e teatri. Il recupero di questi edifici storici presenterebbe molteplici risvolti positivi. In buona parte sono infatti collocati in parti centrali delle città, possono ospitare funzioni pregiate e sovente rappresentano un elemento importante della identità collettiva e della storia dei luoghi. Circa il 25% dei casi di abbandono segnalati riguarda edifici riconducibili alla cessazione di attività produttive; certamente è il portato della nota contrazione delle attività manifatturiere in Italia - avviata oltre 30 anni fa ed accentuata negli ultimi 10 - ma le ragioni di tanto abbandono sono anche diverse, e il campione emerso ne restituisce alcuni volti. Nella parte largamente maggioritaria dei casi si tratta di edifici recenti, isolati oppure inseriti in aree attrezzate, e la loro collocazione si presenta come una delle variabili più significative ai fini del-

le opportunità di riutilizzo. Nel censimento sono state segnalate una trentina di strutture militari abbandonate o sottoutilizzate, in buona parte localizzate in ambito urbano e quindi suscettibili di usi plurimi, anche residenziali; in alcuni casi si tratta di strutture comprensive di ampi spazi aperti, che potrebbero quindi contribuire ad incrementare verde e spazi di relazione per molti cittadini. Sono state segnalate anche ampie zone di territorio aperto in passato utilizzate per esercitazioni ed oggi recintate ma inutilizzate, e che di conseguenza potrebbero essere coltivate oppure guidate verso la rinaturalizzazione. Anche le reti infrastrutturali sono soggette a fenomeni di abbandono; si tratta ad esempio di tracciati ferroviari dismessi, che peraltro – soprattutto se collocati in contesti ambientali di qualità – in alcune recenti buone pratiche sono stati riutilizzati come percorsi naturalistici; va aggiunto che i tracciati abbandonati, se di converso presenti in contesti urbani, possono rivelarsi molto utili per incrementare la mobilità ciclopedonale. Una categoria decisamente trasversale del dismesso è quella degli edifici interrotti, costituita


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5 - Mulino di Mezzo di Roccalbegna, Grosseto.

sia da manufatti la cui realizzazione non è mai stata portata a termine sia da manufatti che, una volta terminati, non hanno conosciuto utilizzo alcuno. Il ventaglio tipologico degli interrotti è piuttosto ampio, ricomprendendo sia attrezzature pubbliche (sono stati segnalati un auditorium, una cittadella giudiziaria, un museo, un parco urbano, una biblioteca; caso abbastanza sorprendente, anche residenze a basso costo finanziate con fondi pubblici) sia edifici privati quali uffici, hotel, centri sportivi. Una seconda categoria trasversale di dismesso è rappresentata da spazi aperti - in genere pubblici; ne sono stati segnalati almeno una decina: piccole aree verdi, un’arena, una spiaggia - che non sono da considerarsi abbandonati in senso stretto, ma che sono talmente mal gestiti da generare una sorta di protesta da parte di cittadini, che rinvengono in questo trattamento una ingiuria analoga a quella dell’abbandono. Sono percentualmente poco consistenti, ma denunciano una incuria nella manutenzione urbana – come suggerisce l’esperienza comune - purtroppo estremamente diffusa. A partire da questi dati e da queste valutazioni, nel

corso del 2013 il WWF Italia ha intenzione di creare laboratori territoriali, a cui partecipino i cittadini organizzati e non, insieme con i docenti universitari e gli esperti locali interessati, che consentano di stabilire interlocuzioni e vertenze con le istituzioni su aree o piani, programmi e progetti di trasformazione del territorio, allo scopo di contenere o bloccare il degrado e l’ingiustificato consumo del suolo, supportando questa azione diffusa con workshop e momenti di riflessione nazionali che consentano di individuare gli strumenti tecnici e normativi per catalizzare le risorse pubbliche e private nei processi di trasformazione e riqualificazione del nostro territorio. Insomma il WWF vuole contribuire concretamente alla sollecitazione e al risveglio delle coscienze e a dare concretezza ad iniziative diffuse che contaminino positivamente e virtuosamente il nostro territorio con proposte di recupero e di rigenerazione oltre che dei luoghi, delle coscienze e della nostra, un tempo invidiata, cultura insediativa. Riproduzione riservata ©

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Il recupero delle aree dismesse: modelli di intervento tra pubblico e privato di Maria Cristina Treu

Negli ultimi anni le aree urbane sono interessate da una accelerazione della crescita insediativa e, contestualmente, da una concentrazione di talenti e da grandi contrasti geomorfologici e sociali. Le città, o meglio le metropoli globali, sono oggetto di una grande attenzione e della riflessione di quanti ritengono che in questi luoghi si accumuli il patrimonio di intelligenza collettiva e si incontri la classe dirigente che vola tra queste città senza curarsi di quale nazione ciascuna di esse faccia parte. È il trionfo delle città, che adombra l’avvento di una nuova geografia di città-stato, di 400 grandi città dove si concentrerà la popolazione del mondo e dove si potrà essere più ricchi, più smart, più verdi e forse più felici (E. Glaeser, 2011 / 2013). Tuttavia, questo scenario è stato anticipato anche da altre analisi e da altre visioni. Jacques Véron, per esempio, parla di urbanizzazione del mondo evidenziando il rischio di una crescita urbana indipendente da motivazioni economiche e da un aumento del mercato del lavoro ufficiale che può entrare in contrasto con la prospettiva di una conferma delle città e delle regioni metropolitane come luoghi dell’innovazione e di più futuro. Véron (2006) parla anche di una città che non fa più comunità mentre altri autori, come Fusco Girad e You (2006), descrivono le politiche e le pratiche che confermano le città come luoghi attrattori di speranza ripercorrendo le esperienze di riqualificazione urbana e territoriale di molte città. Altri autori, infine, si soffermano sulla descrizione della forma della città: sull’epifania che ci appare se guardiamo una città dall’alto e se osserviamo la sua crescita attraverso una sequenza di mappe. L’immagine che possiamo apprezzare è ben diversa da quella ereditata dalla storia della città europea e, in particolare, da quella tramandataci dall’800 con la città compatta della modernità e della prima fase dell’industrializzazione, sostenuta dalla realizzazione delle prime grandi reti tecnologiche e di trasporto (G. Zucconi, 2001). La città della contemporaneità è la città diffusa che ha incorporato più centri urbani, che consuma territorio ed energia, che inquina e che innova anche laddove gli insediamenti formali si confrontano con le estensioni e con le contraddizioni di estesi insediamenti informali, estremamente fragili. La forma di queste megalopoli è una nebulosa dai confini incerti, attraversata dalle intersezioni di una fitta rete di flussi locali ed extralocali, materiali e immateriali. Sono le città dell’automobile, oggi innervate da un programma di grandi reti su ferro e su gomma e da una intensificazione delle comunicazioni tra parti specializzate: una estensione senza soluzione di continuità di centri urbani, intervallati da luoghi degradati e da aree in attesa di

The regeneration of brownfields: models of public-private intervention by Maria Cristina Treu

In recent years, cities have been affected by a process of growth that appears unstoppable. In the near future, the majority of the world’s population will live in urban areas. The opinions of scholars are divided on this issue: some continue to consider the city a place of innovation and creativity, while others believe that urban growth does not necessarily correspond to economic development. The cities of the future will appear as a nebula of buildings with blurred boundaries that include urban centres, rarefied stretches of houses, land and abandoned or under-used properties, fields and unfarmed green spaces. In this context several models of urban renewal and sustainable urban and regional development have been undertaken with a combination of public and private investments. These programmes have been rather successful in the case of small projects, with new construction, characterized by a mix of residential and commercial activities supported by public funding, which have attracted private funding as well; conversely other programmes have met with greater difficulty: this is the case of projects on larger areas, which include existing buildings and must address urban renewal issues. Concurrently, in urban areas, public attention has focused on the regeneration of brownfields and underused buildings; forms of collective use of private properties are growing, in some cases anticipating new solutions for the enhancement of urban spaces. Future prospects include the design of a physical network of spaces that connect the many different settlement densities and patterns which characterize cities in metropolitan regions, to create a more livable city that is more integrated into urban renewal programmes.

Nella pagina a fianco, in alto: planimetria di una zona urbana interessata da un Programma di Riqualificazione Urbana. In basso: un parco a Londra.

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TRASPORTI & CULTURA N.36 future utilizzazioni, dalla ripetizione banale di più recenti costruzioni in altezza, di piazze vuote e di tante sequenze già viste di villette monofamiliari e di centri commerciali. Sono le 400 città di decine di milioni di abitanti che, secondo le più recenti proiezioni demografiche riportate da Glaeser, sono destinate ad accogliere la gran parte delle popolazione del mondo. Sono l’evoluzione delle megalopoli anticipata negli anni ‘60 da Gotmann (1961/1970 e 1999) riferendosi alle estese aree urbanizzate tra più città, connotate da una costellazione di gate communities rispetto a una distesa di tessuti urbani abitati e da una popolazione che si interroga sul futuro di comunità espropriate del proprio territorio, della propria cultura e delle proprie tradizioni. In Europa, sono i territori metropolitanizzati attorno alle grandi città di alcune regioni (F. Indovina, 2005), interessati da una profonda riorganizzazione dei processi insediativi iniziata, negli anni ‘60, con il decentramento produttivo e contrassegnata, già negli anni ‘80, con l’emergere dei vuoti urbani, con la sovrapproduzione edilizia e con un consumo di suolo accentuato dalla frammentazione e dalla contrazione delle coltivazioni soprattutto nelle aree dei margini urbani (M.C.Treu, 2006). Sono i fenomeni che hanno

1 - Interpretazione della metropoli padana con riferimento alle teorie di J. Gotmann. Fonte: Politecnico di Milano. Tesi di Laurea A.A. 2011/2012i di M. Pastorino, relatore MCTreu.

2 - La campagna urbanizzata: l’altra città. L’area del Serraglio a sud di Mantova Fonte: Politecnico di Milano. Tesi di laurea A.A. 2009/2010 A. Varini, relatore MCTreu.

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accentuato le difficoltà degli strumenti di piano nell’individuare da un lato, a fronte dell’impossibilità di definire una nuova e unica visione d’insieme della città, gli obiettivi delle strategie di lungo periodo e, dall’altro, le scelte di intervento più direttamente operative su singole aree nel tentativo di riattivare gli investimenti privati.

I modelli istituzionali di riqualificazione urbana Nel contesto italiano, l’introduzione dei programmi di intervento pubblico e privato risale alla metà degli anni ’80 con l’adozione, da parte della Regione Lombardia, di una legge che introduce i Programmi Integrati di Intervento (PII) e che sperimenta l’avvio di progetti di riqualificazione di porzioni di zone, generalmente molto contenute e a rischio di degrado nelle aree urbane centrali. La stagione dei piani allora vigenti, avviati negli anni ’70 e approvati negli anni ’80, assumevano come obiettivo il mantenimento della residenza e delle produzioni industriali nelle città a cui corrispondevano altrettante zonizzazioni funzionali. Gli


TRASPORTI & CULTURA N.36 esiti furono, da un lato, una terziarizzazione non governata dei centri urbani, anche a causa delle deformazioni del mercato della casa in affitto, e la rincorsa da parte delle famiglie di una casa a costi più accessibili nelle aree di margine urbano e nei comuni della prima e della seconda periferia, dall’altro lato, la fuoriuscita dalle città delle attività produttive con l’abbandono di molti manufatti industriali e con l’emergere dei vuoti urbani. Negli anni ’90, il modello di intervento dei PII, an-

ticipato dalla Regione Lombardia, viene ripreso e promosso da parte del Ministero dei Lavori Pubblici: nel ’92, con un primo bando finalizzato ad attivare programmi di riqualificazione urbana (PRU) su singole aree e/o su singoli immobili e, qualche anno dopo, con un secondo bando, finalizzato alla promozione di progetti di riqualificazione di aree e immobili con programmi orientati anche allo sviluppo sostenibile dei rispettivi contesti territoriali (PRUSST).

3 e 4 - Ordinamento delle polarità urbane con più e con meno di 15.000 abitanti. Fonte:.2009, Politecnico di Milano Laboratorio di pianificazione ambientale (resp. MCTreu).

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TRASPORTI & CULTURA N.36 Sono due modelli di intervento istituzionali a cui il conferimento delle risorse messe a disposizione dal ministero avviene da parte delle rispettive Regioni dopo la verifica della congruità del programma con le destinazioni d’uso degli strumenti del Piano Urbanistico Comunale dove gli interventi dovrebbero ricadere. Le Regioni, con i Comuni interessati, sono anche i soggetti cui compete di istituire una commissione politica e una tecnica per accompagnare e verificare l’attuazione del programma degli interventi fino alla loro conclusione e/o una loro motivata sospensione. Il primo programma, quello dei PRU, forse per le attese suscitate dalla novità dell’iniziativa, ha avuto un certo successo con l’avvio di molte iniziative, anche se non tutte si sono concluse felicemente; viceversa il secondo programma, quello dei PRUSST, ha incontrato più difficoltà, probabilmente perché l’obiettivo dello sviluppo sostenibile esteso al contesto territoriale avrebbe dovuto coniugare la riqualificazione del costruito confrontandosi con più strumenti di piano e con più soggetti soprattutto pubblici. Non è facile esprimere una valutazione compiuta e documentata su queste esperienze di riqualificazione urbana e territoriale per almeno due motivazioni. Questi progetti, soprattutto, laddove prevedevano programmi di intervento di una certa dimensione in aree urbanizzate, o in contesti definiti come non già urbanizzati, richiedono di essere accompagnati da una Valutazione di Impatto Ambientale: uno strumento che, nella maggioranza dei casi, viene interpretato come un ulteriore obbligo formale e che, pertanto, non viene accompagnato né dalla elaborazione di alternative né dalla esplicitazione di indicatori di stato e obiettivo che permettano anche il monitoraggio e la verifica degli effetti. D’altra parte le commissioni istituite per l’accompagnamento degli stessi programmi sono organi il cui ruolo è troppo spesso burocratico e funzionale rispetto ai cambiamenti amministrativi: infatti le maggiori difficoltà nell’attuazione dei programmi si incontrano nei casi in cui tra i decisori c’è la presenza di molti attori pubblici. Inoltre, si possono evidenziare due aspetti che rinviano a un deficit culturale nei confronti della strumentazione urbanistica e istituzionale. Mentre le deliberazioni del Ministero parlano di programmi di intervento, le esperienze vengono presentate come progetti urbani: proposte dove prevale l’impegno nella definizione di scelte compositive e architettoniche, mentre rimane sullo sfondo il coordinamento di interventi che richiedono la messa in sinergia di centri di spesa che hanno procedure e tempi decisionali diversi. In altri termini, non vengono evidenziate le relazioni di priorità e di interconnessione tra gli interventi, in particolare quelle che riguardano gli interventi di bonifica e di gestione delle acque, che devono essere anticipati e che possono avere più di un effetto anche nelle scelte volumetriche. La sottovalutazione di queste relazioni comporta conseguenze ancora più gravi nel caso degli interventi che interessano la riqualificazione del territorio e dove diventano più evidenti sia la carenza e l’inefficacia della strumentazione di piano di area vasta sia la sottovalutazione da parte delle amministrazioni nei confronti dell’adozione di effettive procedure di valutazione (M.R. Vittadini, 2013). Le conseguenze, di cui si è già detto, sono quelle del gigantismo di un settore che ha influenzato l’esplosione insediativa, il degrado del paesaggio e il consumo di suolo, mentre le previsioni insediative degli strumenti di piano è 16


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ancora quella quantitativa su cui anche gli operatori di settore e quelli finanziari contano per fare tornare i propri bilanci. Oggi, la situazione impone una riflessione sulle città che contempli un quadro d’insieme di interventi a diverse scale che sia in grado di correlare le strategie e gli obiettivi di più lungo termine con la varietà dei segnali positivi che vengono dalle molte esperienze urbane adottate da gruppi di cittadini e che adottano punti di vista di un ritorno di attenzione ai bisogni reali delle comunità che vivono sul territorio.

I modelli di intervento dell’altra città Con la crescita della sensibilità ambientale e con gli effetti indotti dalla sovrapproduzione edilizia, la consapevolezza del valore del paesaggio e del legame che collega la sua perdita all’eccessivo e indiscriminato consumo di suolo si è accresciuta in tutte le aree urbanizzate: in quelle che continuiamo ad assimilare all’archetipo della città moderna e in quelle delle aree della città diffusa e della campagna urbanizzata, quelle dell’altra città. Queste sono alcune tra le motivazioni che hanno indotto i cittadini a porre l’attenzione su ogni frammento di area libera intercluso nel tessuto insediativo e posta lungo i margini urbani e lungo i bordi dei fiumi e dei laghi sino alle rivendicazioni della tutela delle aree libere coltivate, e di tutti quei beni indispensabili, scarsi, rivali e universali come l’aria, l’acqua e il suolo. Con queste motivazioni molti cittadini, organizzati in gruppi sociali, piccoli e grandi, hanno avviato iniziative di riqualificazione e di riuso di molti spazi urbani non uti-

lizzati e di molti contenitori abbandonati e degradati in contesti urbani e extra-urbani: nella città e nell’altra città. Alcune di queste iniziative hanno assunto il significato di progetti-bandiera come, per esempio, quello molto pubblicizzato del recupero come area verde destinata alla mobilità lenta della High Line di New York. Altre iniziative sono diventate obiettivi con una forte connotazione di riscatto anche sociale, come le esperienze dei community gardens e degli orti urbani, che si sono diffuse soprattutto in molte aree urbane (Access SOS, 2011 e D. Monaco, 2012/13). Queste sono le iniziative che, amplificate dalle rivendicazioni dei tanti movimenti in difesa della terra e dell’acqua e a favore di un modello di vita lenta, hanno certamente influenzato anche gli approcci e le tematiche delle più recenti grandi esposizioni universali, da quella di Londra che, forse in opposizione alla spettacolarizzazione delle grandi architetture, ha tentato la realizzazione di opere a costi più contenuti, a basso consumo di energia e riutilizzabili, a quella prevista per l’Expo 2015 di Milano dedicata a Nutrire il Pianeta. Energia per la vita. A questo proposito, due sono le questioni di ordine più generale che devono essere evidenziate. Innanzitutto, la valorizzazione dei moltissimi progetti grandi e piccoli e meno noti, promossi e gestiti dai cittadini nelle aree urbane e in quelle intercluse ed esterne rispetto agli agglomerati urbani più densi, finalizzati al riconoscimento che la città e l’altra città sono due contesti interconnessi, e che l’una non può vivere senza l’altra. Tutte le iniziative ricordate segnalano l’importanza e l’interesse nei confronti dello spazio pubblico per il quale è, tuttavia, necessario riscoprire il ruolo che questo può assumere nel fare comunità, identificando e progettando le nuove, e forse le vec-

5 - Nella pagina a fianco, in alto: Nord Milano, dismissioni di aree e di volumi lungo i bordi della ferrovia. Foto di MCTreu. 6 - Nella pagina a fianco, al centro: Nord Milano: uno dei tanti capannoni nuovi e non utilizzati. Foto di MCTreu. 7 - Nella pagina a fianco, in basso: Nord Milano, altra area dismessa. 8 - In questa pagina: studio del territorio finalizzato alla riqualificazione nell’ambito territoriale mantovano, al confine con la regione Veneto. Quadro paesistico ambientale.

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9 - In questa pagina: studio del territorio finalizzato alla riqualificazione nell’ambito territoriale mantovano, al confine con la regione Veneto. Quadro infrastrutturale insediativo.

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chie, forme e le relazioni con le funzioni al contorno che ne possono garantire il successo. Tuttavia l’ambito di interesse deve essere rivolto a un contesto allargato in cui questi spazi coinvolgono senza soluzione di continuità i centri abitati e le molte aree libere coltivate e non coltivate e, in particolare, le aree intercluse e in adiacenza a infrastrutture, a cave e a discariche non recuperate e, più ancora, quelle poste ai confini tra comuni contigui dove è frequente incontrare costruzioni non compiute, permanenze storiche e di biotopi in stato di totale abbandono (G. Biondillo, 2008, 2010 ). L’insieme di queste aree costituisce una rete fisica che, progettata, può alimentare la vitalità della città e dell’altra città nei rispettivi contesti territoriali, indicandoci una visione alternativa rispetto agli estesi agglomerati urbani della contemporaneità con la riscoperta della diversità e del valore degli ambienti culturali di cui è ricco il nostro paese, in particolare di quei territori costellati da centri un tempo abitati e oggi soggetti a un degrado e a un abbandono che può incidere anche sul futuro delle città metropolitane. I molti progetti avviati sono sostenuti da un ostinato volontariato che ha già prodotto una grande ricchezza di esperienze: da quelle dei progetti di paesaggio realizzati e pubblicizzati dall’Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio (AIAPP), a quella della prima Biennale dello Spazio Pubblico, tenutasi all’Università Roma Tre nei primi giorni del mese di maggio 2013, nel corso della quale sono state presentate molte iniziative e la Carta dello spazio pubblico (Biennale Spazio Pubblico, 2013), alla campagna, infine, lanciata dal WWF con il programma RiutilizziAMO l’Italia. Tutti questi progetti cominciano a fare rete diffondendo nelle città le pratiche di riuso di spazi vuoti, la riqualificazione di aree libere e degradate urbane e ai bordi dei fiumi, ma soprattutto avviando la

presentazione di proposte che riguardano l’altra questione centrale che ci deve vedere impegnati nel prossimo futuro: quella della gestione del costruito unitamente alla riqualificazione delle reti dell’armatura territoriale. Sono proposte che richiedono di ritornare alla terra (Maria Cristina Treu, 2013), riconoscendo l’importanza di costruire in armonia con le caratteristiche geofisiche del territorio e con i sistemi insediativi, anticipando alle scelte di pianificazione, l’interpretazione del paesaggio e della storia dei luoghi unitamente alla riscoperta del valore dei beni comuni. Il tema dei beni comuni, ben connesso a quelli della tutela delle risorse indispensabili e della gestione del costruito, si è imposto nel dibattito sui diritti di proprietà con il conferimento, nel 2009, del premio Nobel a Elinor Ostrom, l’economista che ha sottratto al silenzio una riflessione di enorme importanza su importanti episodi statuali e metastatuali: quelli sulla diffusione di forme di possesso e di uso collettivo in contraddizione con l’espansione dell’area del diritto privato e sulla necessità di un riconoscimento di tali forme di cooperazione attraverso il diritto scritto o con il riconoscimento di ordinamenti giuridici di fatto basati sulla consuetudine d’uso (E. Ostrom, 2006). Sullo sfondo c’è la questione dell’istituto della proprietà che, per quanto riguarda le esperienze citate e l’ordinamento giuridico italiano, richiede di riflettere se, tra i due estremi di una proprietà tutta pubblica o tutta privata, ci possono essere declinazioni ibride e temporanee con garanzie sufficienti per essere accettate e governate: una discussione che deve riflettere sulle forme di allocazione dei diritti di proprietà nell’ambito della convergenza tra le diversità sociali e tra le diversità economiche, nella consapevolezza delle difficoltà


TRASPORTI & CULTURA N.36 di far coesistere benessere economico, coesione sociale e libertà politica (Ralf Dahrendorf, 1995). Nelle esperienze di recupero delle aree abbandonate e degradate si riconoscono diverse forme d’uso ibride e temporanee, tutte garantite attraverso convenzioni multiple tra proprietari e associazioni e dove le resistenze poste da soggetti proprietari pubblici non sono certo inferiori a quelle poste da soggetti proprietari privati. Tuttavia, più interessanti sono gli esiti di queste esperienze laddove, con l’anticipazione delle diverse pratiche di riuso, è stato possibile verificare, da parte delle amministrazioni locali, progetti di riqualificazione urbana più congruenti con le esigenze delle comunità dei cittadini residenti senza necessariamente procedere immediatamente con l’acquisizione al demanio pubblico degli spazi coinvolti e con un programma di investimenti immobiliari. Più in generale, queste esperienze possono rendere evidente che il non-uso dei luoghi fa perdere valore a ogni tipo di proprietà e, viceversa, che il loro utilizzo, anche se con forme ibride e temporanee, può ridare qualità agli stessi luoghi e agli investimenti e indicare altresì una gamma di possibili destinazioni funzionali certamente più interessanti di quelle che sono programmate in astratto da un piano e da un modello tradizionale di investimenti immobiliari. È una prospettiva che può agevolare il processo di riappropriazione da parte dei cittadini del paesaggio di un territorio ricco di beni storici e culturali, ma anche molto fragile, dal punto di vista idrogeologico, sociale ed economico, in quanto fondato sul riconoscimento dei beni comuni materiali e immateriali, come il valore del suolo e della conoscenza, che stanno alla base di ogni possibile prospettiva di sviluppo sostenibile e di nuove forme di organizzazione di habitat urbani.

Maria Cristina Treu, Le discipline che attraversano il territorio, in “Ritorno alla terra”, n°1 , 2013. Maria Rosa Vittadini, Valutazione ambientale strategica e consumo di suolo, in “RiutilizziAMO l’Italia: report 2013, materiali per la Rassegna delle esperienze e delle idee”, Roma, 31 maggio 2013. Pasquale Persico, La città moltiplicata,tra malinconia civile e identità felice, Plectica ed., 2004. Pasquale Persico, L’altra città e la metamorfosi urbana, in AAVV, “La città e l’altra città, materiali per la Biennale Spazio Pubblico”, Roma, 7 maggio 2013. AA.VV., Access SOS, Costruire città accessibili a tutte le età . Strumenti e azioni, Corbo editore, Ferrara, 2011. Biennale Spazio Pubblico 2013, Carta dello spazio pubblico, Bozza Preliminare, versione 1.3, 7 maggio 2013. Anna Letizia Monti e Paolo Villa (a cura di), Architettura del paesaggio in Italia, AIAPP, Logos, 2011. Gianni Biondillo, Metropoli per principianti, Guanda editori, Parma 2008. Gianni Biondillo, Michele Monina, Tangenziali. Due viandanti ai bordi della città, Guanda Editori, Parma, 2010. Elinor Ostrom, Governare i beni comuni, Marsilio editori, 2006, versione italiana del testo “Governing The Commonsw”, Cambridge Press, 1990. Ralf Daherendorf, Quadrare il cerchio. Benessere economico, coesisone sociale e libertà politica, Laterza editore, 1995. Daniela Monaco, Avantgardening. L’architettura del paesaggio. dai community gardens agli orti urbani. New York, Milano, Palermo, Napoli, materiali per il Laboratorio Tematico Opzionale, “Fare Paesaggio”, Politecnico di Milano sede di Mantova, aa. 2012/13.

Riproduzione riservata ©

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Superstrade urbane: dall’alta velocità alle trasformazioni contemporanee di Zeila Tesoriere

Al volgere del sec. XX, sotto il segno della velocità e dell’accelerazione, la modernità introduce nelle città occidentali nuove infrastrutture per i trasporti che modificano profondamente i paesaggi e le pratiche urbane. La nuova figura del sistema a rete è il denominatore comune non solo di ferrovie e linee metropolitane, ma anche di strade veloci che costruiscono dentro le città l’inedita caratteristica dell’autonomia reciproca fra tracciato e costruzioni. L’immaginario del Novecento coltiva il sogno della separazione dei flussi di traffico su carreggiate separate, che corrono a più livelli sopra e sotto il suolo, sin dal suo primo decennio. Dalla culla europea che fornì la prima elaborazione a queste ipotesi, il trasferimento alle città americane consentì di trovare gli spazi e il contesto adeguato alla costruzione dei lunghi nastri d’asfalto che scorrono liberi sul terreno.

Strade senz’arte Le dimensioni, la scioltezza del tracciato, la capienza e la velocità del flusso di parkways, highways e freeways americane appaiono al viaggiatore europeo dell’inizio del Novecento l’incarnazione di un’epoca totalmente nuova. Durante la prima metà degli anni Trenta, Le Corbusier troverà in New York “il primo luogo al mondo alla scala dei tempi nuovi”, “una capitale del mondo”, città che “non ha frontiere”, “il nuovo paesaggio del nostro tempo”, “il tempio della tecnica” 1. Tale carattere di piena aderenza delle forme della città alle capacità tecniche e economiche del nuovo secolo è insieme attraente e perturbante e viene trasmesso non solo dai grattacieli, ma soprattutto da strade che in Europa non si sono ancora mai viste in contesti urbani. È anche a causa della caoticità e della rapidità dei suoi trasporti che New York appare a Le Corbusier una “Catastrophe féerique” 2, luogo in cui l’esperienza spaziale della città 1 Cfr. Le Corbusier : 1937, p. 3, 4, 52, 67, 128. 2 In Quando le cattedrali erano bianche Le Corbusier descrive a più riprese Manhattan come “Catastrofe incantata”, in ragione delle sue strade. A p. 67 si legge:“ Quel pomeriggio avevo percorso … la Sky-way, autostrada chiamata appunto il cammino del cielo tanto il suo interminabile snodarsi al di sopra delle zone industriali, dei bracci di mare, delle ferrovie e delle strade si innalza sui viadotti o le arcate. Strada senz’arte, perché si è dimenticato di pensarci, ma strumento prodigioso” . L’intero capitolo 17 è intitolato al tema. Si legge in particolare a p. 134-135: “Poiché la strada costiera era intasata, impraticabile, ci si decisi e si è costruito, finora solo in parte, il mezzo che rappresenta la salvezza di tutta l’urbanistica moderna: l’autostrada su piloni, ardita, che si libra nell’aria, raccordata per mezzo di rampe al piano delle stazioni, l’autostrada dove le automobili filano a tutta velocità. In quest’inferno della circolazione ci si lancia a tutto gas, in una reale allegrezza, si evade sull’autostra-

Urban freeways: from high speed to contemporary transformations by Zeila Tesoriere

This article focuses on urban freeway deconstruction processes that recognize this infrastructure as a resource to be reclaimed for urban regeneration. Since they first appeared, freeways have been more than simple carriers of traffic flow. Following the suggestions provided by Le Corbusier, Drexler and Rudofsky in their “ROADS” exhibition, Lawrence Halprin, Reyner Banham, particular attention is paid to the shift towards a larger set of aesthetic assumptions applied to highways. Fifty years after the iconic evocation of Autopia, urban freeways no longer embody the modern value of speed: they must increasingly deal with ecological challenges and re-cycling processes. The nodes where infrastructure comes together with architecture and public space are explored in a rapid survey of case studies. At a metropolitan scale, the recent cases of the Central Artery in Boston or the Cheongyeccheon expressway in Seoul, demonstrate unprecedented efforts in urban design, in which at the core of a multifaceted redevelopment project the highway disappears, replaced by a ground-level boulevard. This trend, seen earlier in San Francisco or Portland, differs from the situation in Europe, which raises a caseto-case approach. The Concrete Collar in Birmingham, or the many studies on the Périphérique in Paris, seek to implement specific actions the purpose of which is to resolve fractures in the urban fabric, issues involving linear voids along the edges, and lacerations in the urban continuity, in an attempt to reinvent the often adverse qualities of this infrastructure by relying on the architectural ambition of infrastructural design.

Nella pagina a fianco, in alto: Caracas, Venezuela, la modifica de La Roca Tarpeya nel 1959, modellata a tornanti per la costruzione de l’Helicoide. Documento pubblicato su Popular Mechanics del febbraio 1959. In basso: San Francisco, California, un’immagine delle contestazioni cittadine durante le Freeway Revolts, pubblicata da Lawrence Halprin in Freeways con la didascalia: “Cittadini di San Francisco mentre esercitano la loro responsabilità civile. Un gruppo di oppositori ad una delle freeway previste dentro la città manifesta davanti alla Commissione dei Supervisori nel febbraio 1966. Il progetto venne poi respinto.”

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1 e 2 - Seoul, Corea, la Cheong Gye Cheon Elevated Highway (progetto: 1967-1976; demolita a partire dal 2001) e l’antico fiume Cheong Gye Cheon ripristinato, dopo la demolizione della Highway (2003-2005).

permette a ciascun guidatore di vivere quotidianamente l’emozione futurista dell’accelerazione. Per lunghi anni la sola categoria estetica attribuita a queste costruzioni sarà quella avanguardista di tramite che permette di provare la sensazione fisica della velocità, persistendo la convinzione già affermata dallo stesso Le Corbusier che, per il resto, fossero “strade senz’arte3.” Nel corso del Novecento, la rapida diffusione di queste infrastrutture si compie dunque replicandole in città di ogni latitudine e dimensione sullo sfondo dell’assunto generale che la via rapida di attraversamento o la circonvallazione fossero un attributo irrinunciabile per qualsiasi città moderna. Mentre il disegno di queste strade si codificava progressivamente in omogenei termini manualistici, attraverso il controllo delle sezioni trasversali, dei raggi di curvatura, delle pendenze, delle bretelle di collegamento, esse si affermavano come garanzia di spostamenti ininterrotti e di un relativo isolamento dei diversi tipi di traffico, allontanando i veicoli pesanti e ingombranti dalle parti più interne – e antiche – delle città. Il loro impiego si è quindi moltiplicato, mantenendo però invariato il carattere di indifferenza del tracciato rispetto ai contesti attraversati, e continuando a declinare un’idea di infrastruttura intesa come strumento di ordine superiore ed espansione territoriale, che durerà invariata “per sempre”.

La conquista della bellezza Alla metà del secolo la mancata interazione fra queste infrastrutture e le parti di città attraversate è ormai evidente come esito costante del loro impiego. Le città hanno infatti continuato a crescere, trovando nelle circonvallazioni, tangenziali o superstrade delle trincee che ne hanno inciso il tessuto o delle barriere che lo hanno intercluso. In altri casi, l’infrastruttura si assimila a un’enorme preesistenza di cui sfruttare impalcato e piloni come supporto per nuove, minori, costruzioni. Sono questi gli anni dell’affermazione di una percezione nuova, che attribuisce a questi manufatti una natura complessa, prima ignorata. La mostra ROADS, curata da Bernard Rudovsky e Arthur Drexler ed esposta al MoMA nell’agosto del 19614, afferma questo nuovo sguardo attraverso l’autorevolezza dell’istituzione newyorkese. L’immagine dell’autostrada metropolitana di Tokio che scorre sopraelevata su quattro livelli di commerci e servizi5, o quella del gigantesco Helicoide di La Roca Tarpeya, che a Caracas modella a spirale un’intera montagna per potere sovrapporre lungo i suoi 22 tornanti una strada e uno shopping center, fondendo geografia, edilizia e infrastruttura, appartengono a un orizzonte estetico ormai irrinunciabile, che si regola sugli scambi sempre all’opera fra la cultura alta e l’ordinario. Accanto al tema da sopraelevata: si vedono le imbarcazioni, le distese d’acqua, i grattacieli, il cielo: si è liberi!” 3 Cfr. supra. 4 La mostra ROADS, tenutasi dal 14 agosto al 17 settembre 1971 presso il piano interrato del Museum of Modern Art di New York consisteva in 70 pannelli fotografici. In seguito, e sino al 1964, una versione ridotta della mostra venne esposta in numerose città degli USA, e successivamente in altri stati americani. 5 Quattro diverse teorie architettoniche attivate dall’autostrada urbana di Tokio sono brillantemente esposte nel densissimo saggio “Un hybride métropolitain à Tokyo”, di Dominique Rouillard, in La métropole des infrastructures, Paris, Picard, 2009, p. 167-177.

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militante dell’architettura senza architetti - caro a Drexler e Rudofsky in quegli anni - che permette di riconoscere infine valore estetico ai manufatti tecnici (e che lascia spazio per converso al leit-motif dell’arte degli ingegneri), l’esposizione afferma le contraddizioni di questi enormi objets trouvés, cui si riconosce la capacità di attivare processi di definizione delle forme architettoniche, ma anche l’azione devastante sui tessuti e le pratiche urbane. È sulla stessa condizione controversa che insiste Lawrence Halprin a partire dal 1966, componendo nel volume Freeways un panorama articolato in cui queste infrastrutture sono classificate, analizzate, ridisegnate. Le didascalie del ricchissimo apparato icono e fotografico del volume, snodandosi come un testo parallelo, dimostrano la necessità di una modifica nell’approccio alla progettazione di questi manufatti, che devono costruire l’interazione con la città e le sue forme facendo appello a quella ibridazione fra più usi, più scale e più temporalità che molti anni dopo Bruno Latour affermerà come segno dei territori post-moderni in cui prevalgono caratteri relazionali di natura topologica6 . La parabola contratta che in un solo decennio compirà definitivamente l’inclusione di questi giganti della viabilità nel novero degli strumenti capaci di governare le valenze formali degli spazi urbani, si chiude nel 1971 sotto il segno di Autopia, la quarta ecologia di Los Angeles nell’interpretazione di Reyner Banham. Costituendo l’infinito groviglio delle freeways in un contesto stabile che dà ruolo alle reali componenti polimorfe di un sistema interamente retto dalla mobilità e dalla dispersione, Banham compie il passo successivo e rivela definitivamente che queste enormi infrastrutture non sono mai di natura esclusivamente tecnica, ma che esse esprimono sempre una più 6 Cfr. Bruno Latour : 1991, p. 158-161 ; la fig. 14 a p. 184.


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profonda corrispondenza alle componenti culturali, alle forze economiche, ai valori e alle aspirazioni delle società che le ha prodotte.

Per trasformare le superstrade urbane All’inizio del sec. XXI, la teorizzazione relativa alle superstrade urbane ci ha reso ormai familiare la loro natura contraddittoria. Alle letture dei loro parametri tecnici e delle loro inattese potenzialità formali si sono intanto sommate quelle relative al loro impatto sulle pratiche urbane, al loro effetto sulla qualità dell’aria, sull’azione di taglio e isolamento che esercitano sui tessuti della città e sugli abitanti. Di questi contro-modelli, però, sono piene le città del mondo. La loro costruzione ha luogo ancora oggi in massima parte attraverso la stessa negazione del circostante che ha già agito accrescendo in modo determinante il numero di figure della frammentarietà prodotto nel secolo XX dalla relazione fra infrastrutture e città. Si tratta di un impianto che materializza ancora il futuro come accelerazione, incremento dei fattori economici e delle dimensioni dei fatti urbani, proprio mentre questo stesso paradigma è in profonda ridefinizione. Nel nuovo scenario della sostenibilità e della decrescita trova ora il suo ruolo un’idea di progresso che non consiste più nell’automatico miglioramento e accrescimento dell’esistente, quanto piuttosto nell’accordo con le nuove dimensioni della contrazione, della decelerazione, della riduzione della produzione. Settanta anni fa, Drexler e Rudosky stemperavano il loro tono monitorio di fronte all’inebriante faraonismo degli enormi roadbuildings, dai quali auspicavano “un tipo di architettura totalmente nuovo, ispirato e

condizionato dalla strada” 7. Oggi, in accordo con una trasformazione del quadro di fondo che oppone le energie rinnovabili all’emissione dei gas di scarico, che corregge la monofunzione ad alta velocità con una vantaggiosa integrazione delle mobilità dolci (pedonali e ciclabili), che traspone la cura per l’ambiente nelle politiche urbane, si moltiplicano processi di rigenerazione urbana che vedono queste infrastrutture come nuova straordinaria risorsa. In un’era nella quale gli interventi che mirano a recuperare, rigenerare, trasformare l’esistente costituiranno un banco di prova consistente per l’architettura, le autostrade urbane, le tangenziali, le circonvallazioni si mostrano ormai da anni al centro di imponenti processi di trasformazione che mirano definitivamente a convertirle in modelli. La comparazione di una selezione dei numerosissimi casi attuali mostra che ciò viene perseguito sulla base di un presupposto condiviso. Appare chiaro che bisogna ormai considerare i bordi costruiti di queste strade come loro parti integranti. Ciò compone un insieme eterogeneo in cui lo spazio e le costruzioni lungo i fianchi si associano ai nastri carrabili. Queste materie appaiono coinvolte in processi oscillatori diversi, in cui le componenti si diversificano per durata e morfologia. Alla ricostruzione delle grandi autostrade urbane quindi partecipano elementi i cui processi d’uso sono ciclici e spesso caratterizzati da intervalli e riprese. Si tratta di variazioni periodiche che decostruiscono e riformulano il senso degli spazi. Gli scarti prodotti dalla successione di questi cicli d’uso non hanno solo una dimensione economica, legata per esempio alla durata delle attività

3 - San Francisco, un’immagine dell’Embarcadero Freeway pubblicata da Lawrence Halprin in Freeways con la didascalia “L’Embarcadero Freeway, San Francisco, ha isolato visualmente la città dal suo waterfront.” 4 - L’Helicoide nel contesto contemporaneo di Caracas. Documento disponibile su: http://caracascaos.tumblr. com/post/34043534838.

7 Cfr. Rudosky, B.; Drexler, A. “…a wholly new kind of architecture, road-Inspired and road-conditioned”, dal testo di apertura dell’esposizione Roads, poi in ROADS. New exhibition at Museum of Modern Art, MoMA Press Archive 2878_1961.

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5 - Lawrence Halprin, disegno del programma del Freeway Park, Seattle, 1968. Documento pubblicato su: Burns, Jim, Lawrence Halprin paesaggista, Bari, Dedalo, 1982.

commerciali o produttive sempre presenti lungo queste grandi strade, o alle fluttuazioni del valore dei suoli. Hanno anche una dimensione formale, il cui valore interessa simultaneamente le due scale diverse del vicino e del lontano.

L’infrastruttura scomparsa In questo quadro si articolano almeno due declinazioni principali, che vedono differenze significative in ragione della scala complessiva delle operazioni. Nelle metropoli grandi o grandissime, rigenerare l’infrastruttura significa operare su enormi sistemi lineari che si estendono a porzioni consistenti dell’intero territorio urbano. Prevale in questi casi un’attitudine che alla grande scala trasforma l’arteria stradale sino a farla scomparire, e che con gli interventi legati ai sistemi più piccoli realizza l’obiettivo di ricucire il tessuto e ricostruire la continuità degli spazi e delle pratiche. La principale tendenza verso questi interventi si registra nelle grandi città degli Stati Uniti d’America. La pionieristica attenzione per l’ambiente che nel 1968 aveva condotto Lawrence Halprin a coprire un piccolo tratto della Intestate Five con il Freeway Park a Seattle, si trova oggi incoraggiata dall’indotto di queste operazioni sulle dinamiche immobiliari e viene trasposta in un sistema di in24

terventi annoverati fra gli strumenti ordinari delle grandi municipalità. Negli anni ’70, la demolizione dell’Harbor Drive Freeway di Portland, sostituita da un Waterfront Park ampio 1500 ettari e aperto alla bassa velocità fu un progetto anticipatore in questo senso, comparabile per dimensioni solo a quello, fra il 1996 e il 2000, dell’interramento del mastodontico Big Dig – la Central Artery - di Boston. La trasformazione in tunnel di queste enormi arterie, sostituite in superficie da parchi ciclopedonali lineari, ha ovviamente la conseguenza principale di dotare di nuovi terreni costruibili quelle parti centrali delle città da anni in attesa di una nuova congiuntura fra orizzonti politici e di sviluppo che permettesse di riqualificarle. Nel corso degli anni 1960, San Francisco assunse un ruolo di riferimento nell’elaborazione di ipotesi alternative alle highways urbane, quando le associazioni di cittadini si opposero con determinazione alla costruzione di un intero anello in sopraelevata che avrebbe prolungato la già esistente Embarcadero Freeway unendo il Bay Bridge8 al Golden Gate Bridge. L’opposizione degli abitanti al progetto ne causò l’abbandono, e pose le basi per la più tarda demolizione delle due sopraelevate Embarcadero Freeway e Central Freeway, che già il testo di Halprin ritraeva fra le più invasive infrastrutture-barriera. La loro sostituzione con un sistema lineare di boulevard a bassa velocità, con parti centrali riccamente alberate, ha dato luogo a un’area in cui il nuovo mercato immobiliare consentiva sia l’accesso a sistemi multimodali di trasporto, che a grandi aree verdi attrezzate per la mobilità lenta e il tempo libero. Nei vent’anni successivi, questo esempio si è posto come guida per stimare il rapporto fra le nuove dotazioni e la ripresa economica delle aree, dimostrando il vantaggio connesso a questi interventi e sostenendone la diffusione9. La demolizione di grandi arterie sopraelevate o a raso che vengono coperte o trasformate per lasciare il posto a tracciati di fruizione pedonale e ciclabile ha oggi luogo in ogni parte del globo. In soli due anni, dal 2003 al 2005, a Seul è stata interamente condotta in sottoterra la Cheong Gye Cheon Expressway, autostrada urbana a otto corsie in parte sopraelevata costruita fra il 1967 e il 1976 sul letto dell’antico fiume omonimo, che la trasformazione dell’infrastruttura ha poi ripristinato. In questo caso, la rigenerazione urbana si incrocia a misure compensatrici che risarciscono la città attraverso il ripristino di pregresse condizioni naturali. È l’attitudine che in Francia viene definita renaturation, indicando un approccio alla trasformazione del preesistente che estende l’azione restauratrice dal costruito alle condizioni biologiche e ecologiche del contesto oggetto di intervento. Tali temi sono egualmente presenti nel caso della demolizione della West Side Elevated Highway a Manhattan, sostituita da un tracciato multimodale a bassa velocità integrato all’Hudson Riverpark, e che si pone nel segno delle proposte di Robert Moses per la dotazione 8 Nelle città degli USA, a partire dalla metà degli anni 1950 si contano numerose manifestazioni di opposizione alla costruzione di queste infrastrutture in ambito urbano, anche in risposta al piano nazionale di costruzione della rete delle Intestate Highways. Fra le Freeway revolts più efficaci e sostenute dalla stampa si ricorda quella di San Francisco, che dopo quindici anni di proteste ottenne la cancellazione dei progetti di numerose autostrade urbane. 9 In ambito USA, a proposito dei rapporti fra traffico veicolare, tracciati infrastrutturali e sistemi urbani non si può non fare riferimento alla copiosissima produzione di Robert Cervero, per cui si rinvia alla bibliografia.


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6 - Boston, Massachussets. Interramento della Central Artery (1996-2000) poi sostituita a raso dal Rose Kennedy Greenway.

del bordo dell’Hudson di una lunga concatenazione di parchi urbani lineari10.

Trasformare per frammenti Nelle metropoli e città europee, meno estese, la presenza delle grandi autostrade urbane consiste in genere nelle tangenziali, nelle circonvallazioni o negli anelli di raccordo anulare. I casi, pur presenti, di strade urbane interne sopraelevate su viadotti non raggiungono la numerosità e le dimensioni che hanno reso le highways americane una delle declinazioni rappresentative delle superstrade. L’eco degli interventi d’oltreoceano in Europa è consistita soprattutto nell’affermare l’ipotesi che questi enormi tracciati possano essere oggetto di profonde trasformazioni e vettori di rigenerazione urbana, e che costruire sul costruito nella città 10 Cfr. Tesoriere, Zeila: 2010; 2013.

densa sia possibile rigenerando le infrastrutture con la multimodalità e associandone la trasformazione a un’attenta progettazione dello spazio pubblico. Una lettura comparata dei numerosi casi mostra che la metamorfosi dell’infrastruttura avviene più spesso in maniera puntuale che estensiva, su stralci che intercettano le arterie trasversalmente, e appartengono a sistemi urbani ancorati alla città retrostante. Negli anni 1990, la Ronda de Dalt di Barcellona ha costituito un esempio di riferimento fra le autostrade dentro la città. Progettata in un’ottica interscalare, essa affida alle sue qualità di architettura urbana il carico di incrociare una pluralità di contesti lungo il suo svolgimento e di rendersi supporto per l’attivazione di ulteriori trasformazioni. Anni dopo, la demolizione del Concrete Collar formato dalle queensway intorno al centro di Birmingham, ha eliminato l’anello sopraelevato di cemento fra la parte antica della città e il quartiere Digbeth. La demolizione del Masshouse Cir25


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7, 8 e 9 (in alto e al centro) Birmingham, UK. Il New City Eastside Park, il Park Gate e l’Esplanade, costruiti in parziale sostituzione delle sopraelevate del “Concrete Collar” (costruzione: 19601971), demolite fra gli anni 1990 e 2000.

10 - Parigi. Area d’intervento per la riqualificazione di Paris Nord-est. Localizzazione degli interventi trasversali al Boulevard Périphérique. (© Municipalità di Parigi).

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TRASPORTI & CULTURA N.36 cus, sulla cui area è stato realizzato l’Eastside Park 11 , mostra che qui si è istituita una sorta di giurisprudenza della trasformabilità, operando su una varietà di condizioni urbane colte nelle loro effettive potenzialità e articolazioni. Emblematico è in tal senso il caso del Boulevard Périphérique di Parigi. Costruito fra il 1960 e il 1990 sulla zona non aedificandi prospiciente l’ultima cinta di mura della capitale, il Péripherique riveste per i parigini lo stesso ruolo di limite fisico della città prima svolto dalle mura. Sin dalla fine della sua realizzazione è oggetto di studi, esposizioni e elaborazioni scientifiche12 che non solo attribuiscono all’opera qualità estetiche, ma la osservano, la descrivono e la indagano prefigurando già un interesse per le potenzialità architettoniche di quest’infrastruttura monumentale. Da più di un decennio si elaborano studi prospettivi ed elaborazioni pilota di “insertion urbaine” per il Périphérique, sia da parte di istituzioni di ricerca che attraverso incarichi esplorativi conferiti direttamente. Le analisi preliminari hanno orientato la municipalità verso la trasformazione per parti dei bordi dell’infrastruttura, che raramente si svolge a raso ed è più frequentemente sopraelevata o in trincea. Ove la continuità delle quote e la disponibilità di spazio lo permette, il Périphérique si pone come perno di una sequenza di riqualificazioni di settore indipendenti fra di loro, ma suscettibili di essere percepite nell’insieme come una trasformazione insieme omogenea e frammentaria dei bordi dell’infrastruttura. Tale orientamento è con chiarezza rintracciabile nelle proposte per la trasformazione del Pèriphérique elaborate nel più

ampio quadro del Grand Paris. La consultazione internazionale sul futuro di Parigi sollecitata in prima fase nel 2007 dall’allora Presidente N. Sarkozy, recentemente rilanciata dall’attuale presidente F. Hollande, ha esteso l’invito per elaborare il futuro della capitale a 10 gruppi internazionali. L’imponente quantità di descrizioni e progetti prodotti in quest’occasione mostra un interesse ricorrente per la metamorfosi delle infrastrutture di trasporto stradale, intese come indissociabili dall’evoluzione dello spazio urbano. Su questo sfondo, l’insieme delle ipotesi per il Périphérique mostra che oggi non si tratta più solo di chiedersi attraverso quale trasformazione delle materie urbane si debbano ricucire parti interrotte di tessuto lungo le due rive opposte dell’infrastruttura. Si tratta piuttosto di affrontare la rigenerazione delle forme costruite attraverso l’implementazione dei loro caratteri in punti precisi, modificando la natura di questi sistemi che sono spesso la sommatoria di diversi approcci esclusivi e mutuamente indifferenti (solo tecnico-ingegneristico, solo speculativo), per costruire una mixité di pratiche e temporalità in cui l’architettura operi la mediazione e l’articolazione necessaria. Riproduzione riservata ©

Bibliografia Banham, Reyner, Los Angeles. L’architettura di quattro ecologie, Torino, Einaudi, 2009 (ed. or. Los Angeles. The architecture of four ecologies, 1971). Latour, Bruno, Nous n’avons jamais été modernes, essay d’anthropologie symétrique, Paris, la découverte, 1991. Le Corbusier, Quando le cattedrali erano bianche. Viaggio nel paese dei timidi, Milano, Chriastian Marinotti Edizioni, 2003 (ed. or. Quand les cathédrales étaient blanches. Voyage au pays des timides, 1937). Canaday, John Art: Roads photo show is at Museum, in The New York Times, 15 agosto 1961. Halprin, Lawrence, Freeways, New York, Reinhold Publishing Corporation, 1966. Tesoriere, Zeila, L’High Line Elevated Parkway: metamorfosi di un’infrastruttura in riconversione in Trasporti e Cultura n. 35, maggio 2013, pp. 76-85. Tesoriere, Zeila, Recuperare l’infrastruttura: L’High Line di New York, 1929-2009, in “Agathón”, 2010/2, dicembre 2010, p. 17- 22. Palermo, Offset Studio, p. 17- 22.

Siti internet APUR - Atelier Parisien d’Urbanisme : http://www.apur.org/ Robert Cervero: http://www.ced.berkeley.edu/faculty/cervero_robert/robertcv.htm Grand Paris: http://observatoiregrandparis.org/ http://www.ateliergrandparis.fr/ 11 Si confrontino in particolare la congiunzione con le preesistenze del Parkgate e la definizione architettonica lungo l’Esplanade. 12 Nel 1992, subito dopo il completamento degli ultimi tratti del Boulevard Périphérique, il Pavillon de l’Arsenal ha ospitato l’esposizione “Des fortifs au Périf. Paris, les seuils de la ville” dedicata all’infrastruttura e curata da Jean-Luis Cohen e André Lortie. A questa è seguita la pubblicazione del catalogo omonimo.

Pavillon de l’Arsenal : http://www.pavillon-arsenal.com

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Territori ferroviari in mutazione sul fronte mare di Messina di Cristiana Mazzoni, Roberta Borghi e Luna d’Emilio

Il recente concorso relativo al Progetto Integrato per la Ristrutturazione e Riqualificazione Urbana dell’area Stazione Marittima – S. Cecilia (2010-2012) ha fornito l’occasione di riflettere sull’insieme delle tematiche collegate al recupero e alla mutazione delle aree ferroviarie situate in aree urbane strategiche: tematiche di tipo geografico-paesaggistico, storico-tipologico e normativo-procedurale1. A Messina, l’area di concorso collegata alla stazione ferroviaria e marittima S. Cecilia riguarda un vasto terreno di proprietà delle Ferrovie dello Stato, dell’Autorità portuale e del Comune di Messina, che si sviluppa lungo 3,5 km di costa. Si tratta di una fascia di terreno che crea una forte barriera tra la parte di città storica ricostruita in seguito al terremoto del 1908, secondo il Piano Borzì, e il fronte mare. L’obiettivo definito dal Comune di Messina riguarda la riduzione del fascio di binari che collegano con la stazione marittima, progetto da definire secondo diversi tempi e fasi, grazie all’ipotesi della costruzione di una nuova stazione ferroviaria a monte dell’area interessata dal concorso. Nello stesso tempo, il Comune prevede il passaggio in tale sito di una nuova strada ad alta circolazione a servizio della zona portuale. Il recupero dell’area degradata, coperta dai fasci di binari, sembrerebbe dunque compromessa dal progetto di tale importante infrastruttura, non più ferroviaria ma viaria, che crea una nuova barriera tra la città e il fronte mare. Di fronte a tale complessità legata al carattere del sito e agli obiettivi del concorso, i temi legati al progetto alla grande scala sono stati molteplici. Essi sono stati riassunti in uno scenario che implica una mutazione lenta dell’intera area, attraverso la costruzione di più spazi verdi tematizzati: giardini privati e/o collettivi nel cuore dei nuovi isolati, un parco lineare su cui si affacciano gli edifici a corte aperta e a padiglione, un boulevard alberato con integrate le zone per la mobilità lenta, una passeggiata a carattere più naturalistico sul fronte mare, un parco “della memoria” nel settore prospicente la stazione ferroviaria. Tre sequenze ritmano tale sviluppo longitudinale dell’insieme del Parco urbano e permettono di iscrivere il programma architettonico definito dal concorso: la zona degli alloggi, 1 Concorso Progetto Integrato per la Ristrutturazione e Riqualificazione Urbana dell’area Stazione Marittima – S. Cecilia, II premio. Gruppo di lavoro: Bruno Gabrielli (capogruppo), Yannis Tsiomis, Vincenzo Latina, Pietro Colonna, Marino Dall’Acqua, Francesco Giordano, Placido Impollonia, Raimondo Impollonia, Angela Paratore, Nino Solazzi, Cristina Speranza. Elaborati e concept relativi al “Sistema del verde e alla sostenibilità urbana e architettonica”: Atelier CMYT - Cristiana Mazzoni, Yannis Tsiomis, con Roberta Borghi, Andrea Grigorovschi, Luna d’Emilio, Tiam Sharifi, Akio Sassa, Marie-Christine Welsch.

Changing railway landscapes along the Messina seafront

by Cristiana Mazzoni, Roberta Borghi and Luna d’Emilio From the end of the twentieth century to the early years of the twenty-first, there has been a growing concern for issues touching on the relation between blighted railway or industrial areas and urban development. An abrupt reorientation has begun in both the discourses and practices of urban designers and stakeholders, which includes a reconsideration of the modes of action they promote, reflecting more or less profound conceptions of such notions as ecology and sustainable development. The recent competition for the regeneration of the railway area in Messina (17-hectares), Progetto Integrato per la Ristrutturazione e Riqualificazione Urbana dell’area Stazione Marittima – S. Cecilia (2010-2012) has pursued this objective, focusing on rethinking the design and construction of its blighted man-made environment. In the early twentieth century, following the great earthquake and tsunami that hit on December 28th 1908, the city of Messina developed completely cut off from its coast: the railways tracks have formed a real barrier several kilometres long. Inspired by the city master plan designed by Oriol Bohigas Group (2009), the competition, aimed at the spatial design and engineering sciences disciplines, featured a strong environmental component. The main objective was to connect the city to the sea, to reinvent an urban promenade on the coast, to transform the kilometres of tracks into new sustainable residential housing, with a large marina and artisanal area. An important cultural and service centre was to be sited near the S. Cecilia railway station. This article presents the project by the Bruno Gabrielli Group, which won second prize, and focuses in particular on the sustainable urban design concept of the Atelier CMYT.

Nella pagina a fianco: il parco della Cittadella crea una relazione importante tra il nuovo Centro servizi, la Cittadella, la Stazione ferroviaria e la Stazione marittima, che potranno essere in parte riutilizzate per scopi culturali e commerciali. Atelier CMYT, 2012.

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TRASPORTI & CULTURA N.36 1 - Pianta della città di Messina, 1919. Si vedono chiaramente i fasci ferroviari che separano i quartieri della città ricostruiti in seguito al terremoto (Piano Borzì) dal fronte mare. 2 - Il progetto del Parco urbano e del “sistema del verde e della sostenibilità urbana e architettonica” (prima fase). Atelier CMYT, 2012.

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il settore della Marina, la zona del centro servizi. Un sistema di passerelle e di piazze pedonali disegna, nelle tre sequenze, una serie di luoghi di intensità di vita e di ritmi urbani. L’area, fortemente degradata e inquinata lungo tutto il settore, è così lentamente bonificata grazie al sistema del verde pubblico. Quest’ultimo non è pensato come un semplice abbellimento del sistema dei cortili, delle piazze e delle strade, ma come un vero e proprio principio generatore dello spazio stesso, secondo

un sistema olistico in cui ciascun singolo elemento, architettonico e paesaggistico, è pensato in funzione del tutto. Attraverso la presentazione della proposta di recupero sviluppata per tale concorso - iscritto nel Programma Innovativo di ambito urbano “Porti e Stazioni” della città di Messina – vorremmo, nel corso dell’articolo, sviluppare due riflessioni. La prima riguarda gli obiettivi di una nuova stagione


TRASPORTI & CULTURA N.36 di strumenti urbanistici, portatori di una diversa lettura delle città contemporanee e delle loro aree degradate. La seconda concerne i riferimenti progettuali adottati per lo sviluppo di un Masterplan di dettaglio sull’area ferroviaria di Messina, finalizzato al disegno di un nuovo “Parco urbano sostenibile”. Si delineano sullo sfondo le tematiche riguardanti gli strumenti, oggetti, temi e tempi del progetto metropolitano in aree degradate ad alto potenziale di sviluppo per il territorio.

Strumenti urbanistici per nuove letture del territorio italiano Dall’inizio degli anni Novanta emergono, a livello europeo, politiche d’intervento dove qualità del territorio e maggiore articolazione del sistema nella sua complessità costituiscono i principali scenari di sviluppo e di competitività delle aree metropolitane. Ci riferiamo in particolare a documenti quali lo Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo (SSSE, 1999), il Fondo europeo di sviluppo regionale (programma 2007-2013), l’Agenda di Lisbona (2000), l’Agenda per lo sviluppo sostenibile (risoluzione di Göteborg 2001), ma anche Programmi più datati e puntuali quali Urban (metà anni Novanta) e Interreg I-IV (1989). Negli indirizzi programmatici, viene sempre più posto l’accento su temi quali l’innovazione e l’economia della conoscenza, l’ambiente e la prevenzione dei rischi, l’accessibilità e la logistica, lo sviluppo di forme di turismo legate alle risorse naturali e culturali del territorio, o, ancora, l’educazione e la società dell’informazione. A livello italiano, l’adozione, nel corso degli anni Novanta, dei primi Progetti integrati, volti ad accorpare e gestire molteplici funzioni e competenze secondo una logica di riorganizzazione della città in termini complessi (integrazione di politiche regionali, nazionali e comunitarie, nuove forme di programmazione pubblico-privata) rappresenta un momento importante di trasformazione delle politiche d’intervento in ambito urbano e territoriale. Tra questi progetti, le esperienze dei PRU (Programmi di Recupero Urbano, primi anni Novanta) e, successivamente, dei PruSSt (Programmi di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio, fine anni Novanta) promossi dal Ministero dei Lavori Pubblici, vedono un progressivo ampliarsi degli ambiti di intervento, dalla scala della città a quella dei territori e delle reti infrastrutturali. Nel corso dell’ultimo decennio, nuove forme di coordinamento fra il Ministero dei Lavori Pubblici (attraverso la Direzione generale del Coordinamento Territoriale) ed il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti hanno permesso un connubio interessante fra Piani strategici, volti a definire lo sviluppo di medio-lungo periodo, urbano e di area vasta, e Piani della mobilità, volti a definire gli interventi sul sistema della mobilità, per l’ottimizzazione e la sostenibilità dello stesso nei nodi urbani e nei sistemi territoriali individuati dal Piano strategico. Se ne evidenzia una lettura del territorio più articolata, che ricerca un’integrazione fra istituzioni, ambiti di intervento e attori secondo una logica di “governance multilivello”, una maggiore coesione fra radici territoriali e assi transeuropei, orientata alla valorizzazione delle eccellenze territoriali, dei palinsesti culturali e paesaggistici e, al contempo, una lettura che approfondisce le relazioni reciproche fra città, reti di città e aree metropolitane. A partire da questo scenario, dal 2004 vengono definiti i programmi innovativi S.i.S.te.M.a. (Sviluppo Integrato Sistemi Territoriali Multi-Azione) e Porti e Stazioni, con l’obiettivo di promuovere idee-programma ed azioni innovative su 43 aree campione del territorio nazionale, e favorire forme di governo integrato del processo progettuale, basate sulla concertazione, la condivisione e la co-pianificazione delle amministrazioni territoriali. I punti chiave dei due programmi sono lo sviluppo di un sistema di città 31


TRASPORTI & CULTURA N.36 policentrico, il supporto a forme integrate di trasporto e di comunicazione, e lo sviluppo e la valorizzazione del patrimonio naturale e culturale italiano. Nello specifico, il programma Porti & Stazioni sostiene la riqualificazione di aree adiacenti le stazioni ferroviarie di grandi città e limitrofe alle principali aree portuali, caratterizzate da condizioni di particolare degrado urbano e sociale. Rileggendo nelle stazioni ferroviarie e nei porti un ruolo chiave di nuove centralità urbane e territoriali, capaci di attivare inediti processi di integrazione tra opere infrastrutturali (terrestri e portuali) e attrezzature pubblico-private (commercio, direzionale, servizi), il programma si propone di attivare procedure sperimentali di intervento sul territorio. A livello nazionale, sono stati individuati 22 programmi, per un finanziamento complessivo pari a 37 milioni di euro, riferiti alle città di Savona, Genova, La Spezia, Livorno, Carrara, Piombino, Civitavecchia, Napoli, Salerno, Cagliari, Olbia, Palermo, Catania, Messina, Trapani, Taranto, Bari, Brindisi, Ancona, Ravenna, Venezia, Trieste.

Porti & Stazioni a Messina. Un affaccio verso il futuro Con un finanziamento pubblico di quasi 3 milioni di euro, il programma Porti & Stazioni - Messina. Un affaccio verso il futuro propone la riqualificazione, nel corso dei prossimi 30 anni, di una vasta porzione di territorio messinese adiacente la costa ionica, racchiusa tra la zona Falcata (a Nord) e lo Svincolo autostradale di Tremestieri (a sud). In accordo con gli obiettivi del programma nazionale, e in continuità con il PruSSt “Messinaperil2000”, per il quale l’architetto spagnolo Oriol Bohigas è incaricato dal Comune della redazione del Masterplan per lo sviluppo dell’area tirrenica a nord della città, e con il Piano Strategico Messina 2020, il nuovo intervento intende ridisegnare un’ampia porzione di tessuto urbano degradato (aree ex-industriali in corso di bonifica, campo Rom da riqualificare, marginalità di alcune aree del centro urbano) e, al contempo, ridefinire il sistema della mobilità alla scala cittadina (miglioramento dei collegamenti intermodali, riconnessione fra città e costa, e fra città e porto) e alla scala nazionale (Corridoi transeuropei NordSud). Un Protocollo d’Intesa sottoscritto, nel gennaio 2009, da Comune di Messina, RFI del gruppo Ferrovie dello Stato e Autorità portuale, le tre proprietà presenti sull’area, garantisce la trasversalità e la gestione condivisa del procedimento. Alcuni obiettivi puntuali dell’intervento riguardano il recupero a fini urbani di aree attualmente di RFI, la ridefinizione dell’affaccio a mare con la costituzione di un parco urbano sul fronte mare (anche mediante la valorizzazione della Real Cittadella, vera cerniera con il centro città, l’apertura di un nuovo percorso pedonale di connessione con la Stazione Marittima, un Parco archeologico, ed il Centro Documentazione di Arte Contemporanea) lo sviluppo di funzioni direzionali, turistiche e culturali e la riqualificazione delle zone industriali dismesse. Su di un’area complessiva di circa 3 km² ed alla luce del lungo iter di dismissione e di trasformazione, il progetto prevede una gestione separata dei singoli interventi da parte dei rispettivi enti competenti, ed una procedura di realizzazione per subambiti (diversi lotti funzionali) e per stralci. Gli obiettivi di massima del programma riguardano invece la trasformazione di Messina e del suo terri32

torio in nuova “piattaforma intermodale naturale”, in grado di “divenire uno dei grandi poli trainanti dello sviluppo cittadino, che valorizzi la vicinanza al centro urbano ed al porto storico sfruttando le potenzialità logistiche nonché il fascino dell’affaccio sullo Stretto, sviluppando funzioni qualificate ed innovative di servizio rivolte alla città ed alle attività produttive del territorio metropolitano”2. L’iter di sviluppo del programma conosce, ad ora, l’attuazione di due momenti fondamentali. Un primo momento (approvazione ottobre 2009) vede la redazione, da parte del Raggruppamento Temporaneo “APRI S.p.A - Apriambiente S.p.A. Apri Sviluppo S.r.l. - Consorzio Leonardo - UP Studio S.r.l. - MBM Arquitectes Sl”, di un Masterplan della macroarea ricompresa tra la zona Falcata e Tremestieri, corredato da studi socio-economici e documenti di fattibilità. La proposta affronta i temi della riqualificazione degli spazi esterni (in primo luogo del nuovo parco urbano lungo la costa) e della progettazione di nuovi edifici con destinazioni volte alla valorizzazione del mare (Acquario di villa Mazzini, laboratori per gli studi progettuali sulle imbarcazioni, istituto Nautico, ecc.). Un secondo momento (gennaio 2011-marzo 2012) riguarda il lancio del Concorso internazionale di progettazione in due fasi che, a partire dalla prima ipotesi di Masterplan, ne rivedesse le principali problematiche e ne approfondisse gli aspetti esecutivi. L’obiettivo del concorso è dunque dotare l’Amministrazione degli opportuni strumenti tecnici attuativi per l’avvio di interventi di rivitalizzazione sociale ed economica dell’area. Oggetto specifico del concorso è la redazione di un Piano Integrato per la Ristrutturazione e Riqualificazione Urbana dell’Area Stazione Marittima – S. Cecilia. Come auspicato dagli scenari del Masterplan, il programma individua, come catalizzatori dello sviluppo dell’area, tre temi-chiave: l’insediamento di servizi direzionali avanzati per la cultura e turistici, la definizione di un nuovo parco urbano, la creazione di un piccolo porto per il diportismo con servizi annessi nell’area S. Cecilia. Analizzando nel dettaglio gli obiettivi delle due fasi del concorso: la prima fase (gennaio 2011-luglio 2011) ha riguardato la redazione di un concept dell’ambito di studio, ad approfondimento del Masterplan approvato, con particolare attenzione alle specificità dell’assetto urbano e alla fattibilità tecnica, soprattutto rispetto alle funzioni previste per la Marina S. Cecilia e l’area Maregrosso - S. Cecilia; la seconda fase del concorso (luglio 2011-marzo 2012), destinata ai 5 raggruppamenti selezionati al termine della prima fase, ha richiesto la redazione di un Masterplan di dettaglio dell’area di intervento e la progettazione preliminare di un Centro Servizi e Parco Urbano tra la Real Cittadella ed il Porto Storico secondo le destinazioni ipotizzate nel concept della prima fase.

Spazio pubblico e sviluppo sostenibile: principi di progetto In tale seconda fase di concorso, il gruppo di progettazione concentrato sul “Sistema del verde 2 Piau “Porti e stazioni. Programma strategico per la valorizzazione urbanistica, economica, sociale e direzionale della porzione di territorio che si estende dalla zona Falcata allo svincolo autostradale Tremestieri”. Linee guida del programma strategico, 8 ottobre 2009, p. 5.


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3 e 4 - Il disegno del concept suggerisce l’importanza della linearità data dalla costa e ripresa dal fascio delle linee ferroviarie. La sintesi offre una partizione in cui le note legate alla trama urbana, alle piazze e strade con il loro rispettivo sistema del verde sono tenute insieme dal progetto del Parco del litorale, sui cui poggia l’intero sistema dello spazio pubblico sostenibile.

e sulla sostenibilità urbana e architettonica” ha elaborato una speciale Carta di progetto dello spazio pubblico partendo dalla costatazione che lo sviluppo sostenibile si articola in tre “pilastri” - ambientale, sociale, economico - e che è assolutamente necessario tener conto, nel progetto, di questi tre fattori e di come essi si articolano e interagiscono tra loro. Materiali, componenti, ma anche gestione, manutenzione, un’attenzione agli usi e alle dinamiche di appropriazioni dei luoghi contribuiscono alla definizione del progetto sostenibile dello spazio3. Questa impostazione ha permesso di definire progressivamente dei princi3 Cfr. Luna d’Emilio, La ville durable nel dibattito francese. Tra riflessione e praxis: figure all’opera a Strasburgo, Université de Strasbourg, Università di Firenze, aprile 2013.

pi capaci di orientare l’evoluzione della riflessione in modo ricorsivo. I principi alla base del progetto sono stati distinti a partire delle componenti sociali, ambientali ed economiche proprie dello sviluppo sostenibile. Dal punto di vista economico, i principi di progetto scelti per il recupero dell’area hanno risposto agli obiettivi generali di risparmio, riciclo, responsabilità; dal punto di vista ambientale, gli obiettivi generali hanno risposto alla questione del miglioramento del microclima urbano (riduzione dell’impatto acustico, filtraggio delle polveri, ossigenazione dell’aria), dell’ottimizzazione degli apporti passivi di energia e la riduzione delle emissioni inquinanti. Si è dunque cercato di scegliere elementi, componenti e materiali che prevedono una gestione e una manutenzione economica, 33


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5 e 6 - Nel quartiere residenziale un parco lineare ombreggiato sottolinea la linearità del percorso nel cuore degli isolati. Esso corre parallelo alla via Marina, pensata come un boulevard urbano che lascia ampio spazio ai percorsi pedonali, alle piste ciclabili e alle zone di stazionamento delle automobili. Atelier CMYT, 2012.

in termini di risorse umane e naturali; di favorire le superfici permeabili, erbose e non (queste ultime garantiscono una maggiore biodiversità e continuità ecologica, contrastano il dilavamento e il rischio di erosione del suolo); di favorire l’uso del “verde urbano”, attraverso la predisposizione di filtri verdi, aree alberate, filari semplici e doppi (in questo modo si contrasta il surriscaldamento delle aree urbane in estate attraverso l’immissione di grandi quantità di vapore nell’atmosfera - fenomeno di evapotraspirazione); di utilizzare materiali da costruzione ed essenze locali; privilegiare le essenze caduche nelle zone esposte a sud, per un ombreggiamento ottimale in estate e un irraggiamento maggiore in inverno; privilegiare le essenze sempreverdi a nord. Dal punto di vista sociale, nel quartiere abitativo e attraverso il sistema dei cortili aperti e delle terrazze, i principi di progetto rispondono agli obiettivi 34

generali di incoraggiare l’appropriazione da parte degli abitanti e le pratiche creative di trasformazione dello spazio; essi rispondono inoltre all’incoraggiamento dell’impianto di attività di piccola taglia a servizio della residenza. La finalità è: di favorire le pratiche di appropriazione dello spazio da parte degli abitanti garantendo un’apertura alle pratiche creative, aree gioco, aree didattiche, aree di riposo, etc.; di garantire la permeabilità visiva dello spazio e la sua percorribilità a tutte le classi di utenti; di delimitare e permettere un’identificazione chiara dello spazio pubblico e di quello privato (pertinenze), in modo da evitare processi di incuria o degrado; di favorire l’istallazione di usi diversificati nei piani terra compatibili con la residenza (asili, piccolo commercio, artigianato). Secondo la classificazione dei climi di Köppen, la città di Messina fa parte della fascia climatica Csa, un clima caldo e molto secco in estate e mite e pio-


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voso nel semestre invernale. Si tratta in sintesi del clima mediterraneo, con escursioni termiche assai contenute in ogni stagione. L’inverno, piuttosto breve, presenta rari episodi di freddo; l’ultimo episodio nevoso risale all’inverno del 2000. L’estate è moderatamente calda e non particolarmente afosa, grazie anche alle brezze marine frequenti. I picchi di temperatura (40°) raggiunti in estate sono dovuti ai venti meridionali, che però fanno diminuire l’umidità relativa sotto la soglia del 20%. Le precipitazioni sono importanti, e fanno sì che Messina sia la città più piovosa della Sicilia4; le piogge abbondanti sono dovute sia alla presenza di rilievi montuosi alle spalle della città, sia alla presenza di due mari (Tirreno e Ionio). Tale piovosità del clima messinese rappresenta una risorsa per il progetto sostenibile, basti pensare alle possibilità offerte dal riuso delle acque piovane in ambito residenziale. Attraverso il passaggio dalla riflessione sui piani urbanistici al progetto alla scala dello spazio pubblico e dell’architettura sostenibile, ciò che ci interessa qui evidenziare è la necessità di trovare una valida articolazione tra i differenti livelli di riflessione e di progettazione del territorio e della città. Nel caso del settore ferroviario in mutazione sul fronte mare di Messina ciò che permette tale articolazione è, secondo noi, il ritorno alla considerazione della geografia stessa del luogo. Situata tra le montagne, la città novecentesca e il mare, la zona di progetto si configura come una fascia di terreno longitudinale tagliata dalle fiumare che scendono dai monti e che creano un andamento contrastato del terreno. È inutile sottolineare che tale geografia è stata negata durante tutto il seco-

lo scorso, sia alla macro-scala, che alla micro-scala, con il livellamento dell’insieme del terreno, la sua impermeabilizzazione all’acqua piovana e all’acqua delle fiumare. Alla macro-scala territoriale lo sguardo alla geografia del luogo permette di capire la forma d’insieme di tale parte di città e di pensare a una figura/immagine concettuale che rinvia alla sua essenza e che permette di definire il concept d’insieme del progetto. Alla micro-scala, tale figura del territorio, nata in modo endogeno dal territorio stesso, permette di porre le basi per lo sviluppo di progetti settoriali che abbiano un nesso esplicito con le idee espresse alla grande scala e che declinino diverse risposte legate non solo alla geografia, ma anche alle forme spaziali e alle diverse pratiche di vita che accolgono.

7 - Il Parco residenziale nel cuore del nuovo quartiere abitativo propone uno spazio verde per la città diversamente articolato in funzione di una rilettura della trama dell’antico quartiere Borzì. Gli isolati accolgono tipi residenziali in linea e a padiglione, che formano gruppi di edifici a corti chiuse, nel lato adiacente la città, e a corti aperte, nel lato adiacente la ferrovia.

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4 Con una media annuale di 846,9 mm, la città si pone inoltre sopra la media italiana. Le precipitazioni si concentrano nell’autunno e in inverno, con alcuni episodi temporaleschi in estate. Il vento presenta una velocità media annua di 3,8 m/s, con minimi a 3,4 m/s a luglio e agosto, e massimi di 4,2 m/s a marzo e aprile; le direzioni prevalenti sono di maestrale (NO) tra dicembre e aprile, di grecale (NE) tra maggio e settembre, di libeccio (SO) a ottobre e novembre.

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Reggio Calabria, il riciclo dei paesaggi delle infrastrutture di Vincenzo Gioffrè

[…] C’è una città mobile, incerta, transitoria. Invisibile come città. Una città che se la cercate non la trovate, perche non si torva segnata su nessun atlante. Un posto che si può cogliere solo in movimento e raccontare solo in una descrizione di viaggio […] In Calabria la strada è l’unica architrave del paesaggio moderno. Spiega tutto, si prende tutto. […] Questa città a nastro è il regno di un’umanità eterogenea, mescolata, disarmonica, sfusa e spesso imperscrutabile, sparpagliata, in uno sguardo superficiale può persino apparire normale1. Mauro Francesco Minervino

La città stradale La stratificazione tra infrastrutture antropiche e sistemi naturali è una delle condizioni che maggiormente identifica i territori delle metropoli del mediterraneo producendo sia paesaggi straordinari che dello scarto; rappresenta anche il paradigma di nuove strategie progettuali per la sperimentazione della dimensione paesaggistica nei processi di rigenerazione dei territori urbanizzati, soprattutto in aree di margine peri-urbane. La “città stradale” è sicuramente un fenomeno globale, ma in Calabria assume connotati particolari per l’assenza di grandi città e la diffusione urbana lungo le infrastrutture costiere. Secondo dati ISTAT e della Regione Calabria 2009 la riduzione della superficie agricola utilizzata in Calabria tra il 1990 e il 2005 è del 26,13 %; ogni anno sono edificate 2.500 case illegali; il 25% del totale di case sono illegali; lungo i 700 km di costa si contano 5.210 abusi edilizi; sono censiti oltre 8 milioni di vani a fronte di una popolazione inferiore ai 2 milioni di abitanti; il 75% degli abitanti così come il 70% degli insediamenti produttivi sono sulla costa. Nel territorio calabrese è quindi lungo le costa che si concentra la maggiore quantità di paesaggi dell’abbandono e del degrado, con un elevato livello di compromissione delle risorse naturali e storico-culturali. Eppure il caotico fenomeno di urbanesimo spontaneo in atto determina una grande quantità di spazi vuoti interstiziali e risparmia grosse porzioni del paesaggio agrario, fiumi, arenili e rilievi collinari, che continuano ad essere ancora presenti tra le infrastrutture costiere e i nuclei edificati. Si tratta, appunto, di paesaggi dello scarto, materiale ideale a cui attribuire nuovi ruoli, funzioni, significati e qualità per avviare un processo virtuoso di rigenerazione urbana e disegnare un modello di città metropolitana sostenibile. Reggio Calabria è una tipica città del Sud Mediterraneo il cui tratto peculiare è la presenza di un patrimonio non comune di risorse naturali e culturali 1 Mauro Francesco Minervino (2010), Statale 18, Galleria Fandango.

Reggio Calabria, recycling the infrastructure landscapes

by Vincenzo Gioffrè

The stratification of anthropic infrastructure and natural systems is one of the primary conditions identifying the territory of the major Mediterranean cities, producing both extraordinary landscapes and left-over spaces; it also represents the paradigm of new design strategies for the regeneration of urbanized territories, especially in peripheral suburban areas. In Calabria the city as defined by streets acquired particular characteristics due to the lack of major cities and the urban sprawl along the coastal infrastructure: the largest quantity of abandoned and blighted landscapes is therefore concentrated along the coast, and the natural and historic-cultural resources are in grave condition. Yet today’s chaotic phenomenon of spontaneous urban growth has created a large number of empty interstitial spaces, and saves large zones of the agricultural landscape, rivers, beaches and hillscapes. These are the leftover landscapes, the ideal material that may be shaped to adopt new roles, functions, meanings and quality, to foster a virtuous process of urban renewal and design a new model for a sustainable metropolitan city. February 2013 marked the beginning of the three-year PRIN research project entitled “RE-CYCLE Italy. New life cycles for the architecture and infrastructure of the city and the landscape” which involved various italian universities coordinated by the Iuav di Venezia. The Reggio Calabria Research Unit proposes an applied experimentation process to bring new meaning to the landscapes of leftover, waste, abandon that are produced beside, below and within the infrastructure.

Nella pagina a fianco: Pettinissa, ponti abitati.

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1 - Pettinissa, masterplan.

2 - Pettinissa, ideogramma.

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in un territorio con forte criticità di carattere ambientale, sociale ed economico; con un processo di modernizzazione mai definitivamente raggiunta, inseguita attraverso la costruzione di grandi infrastrutture (autostrada, porto, aeroporto), opere mai completamente ultimate, mai realmente e pienamente entrate a regime. A fronte di una città “legale” pianificata ma irrealizzata si è invece definita nel tempo una non-città costituita da edilizia autocostruita, diffusa lungo le infrastrutture costiere, frutto di una capacità di azione degli abitanti i cui esiti sono certamente discutibili, ma che ha ridisegnato forme, funzioni e comportamenti assolutamente nuovi per l’habitat contemporaneo. Nel marzo 2009 il Parlamento italiano ha riconosciuto per Reggio Calabria lo status di “Città Metropolitana”; nei prossimi anni sono previsti maggiori investimenti nell’intera area per la realizzazione di reti infrastrutturali e grandi opere con una maggiore autonomia amministrativa. Il rischio che si palesa è che si ripeta nuovamente un ciclo negativo che, anziché risolvere le contraddizioni, le acuisca favorendo ulteriori fenomeni di degrado urbano, ambientale, sociale.

La lunga linea verde La “città stradale” intesa come “armatura del paesaggio contemporaneo calabrese”, per riprendere le parole dell’antropologo Minervino, è stato argomento nel 2011 del workshop internazionale “Pettinissa: la lunga linea verde”. Il workshop si è svolto presso la Facoltà di Architettura di Reggio Calabria e ha visto coinvolti 80 progettisti, 15 docenti visiting, 12 tutor. Dato di partenza un masterplan alla scala 1/10.000 che propone un parco lineare di 26 km lungo la direttrice autostradale urbana, un disegno imperfetto, con margini provvisori, che tenta di interpretare la variabilità di un paesaggio in costante mutazione in una ipotesi di progetto alla macro scala del territorio dello Stretto. Un pettine costituito dal dorso (la direttrice autostradale) e i denti (le fiumare); ai lati del dorso si coagulano scarti di paesaggio in abbandono, terrain vagues, paesaggi rifiutati, luoghi determinati da un continuo conflitto irrisolto con l’infrastruttura. Lungo le trasversali, verso mare, sono evidenziate le coltivazioni tradizionali di agrumi e gli orti. La condizione attuale è estremamente complessa: accanto, sotto


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i cavalcavia, all’interno degli svincoli, si svolgono attività impreviste in un universo spontaneo di officine, brandelli di agrumeti, stalle, discariche, orti, depuratori e baracche. Il masterplan propone otto comparti operativi di approfondimento per i laboratori intensivi; otto condizioni puntuali ritenute strategiche per il futuro della Città Metropolitana. L’area 1. Annunziata, estremità Sud del centro cittadino dal nome della fiumara, attraversa la coltre fitta delle case dei popolosi quartieri di Arangea, Ravagnese, Modena ed in alto domina San Sperato, pezzi di città privi di piazze, giardini, marciapiedi; 2. Calopinace, una fiumara imbrigliata in argini di calcestruzzo fiancheggiata dagli edifici della Provincia, il Centro Direzionale, il nuovo Palazzo di Giustizia, un’area fondamentale nei futuri assetti della città ma con una carenza cronica di aree di parcheggio e spazi pubblici; 3. Portanova, ingresso al centro cittadino, attraversa il nodo Ospedale Riuniti a valle dell’asse stradale e il Cimitero Comunale a monte, ma senza percorsi pedonali e spazi pubblici di connessione; 4. Annunziata: l’autostrada taglia la cittadella universitaria tra le facoltà di Architettura e Ingegneria, è un parco irrealizzato segnato dal viadotto monumentale sulla vallata della fiumara; 5. Pentimele, ancora un grande parco urbano sempre auspicato ma ancora oggi senza definizione, in cima alla collina la struttura fortificata ottocentesca, una vista privilegiata sullo Stretto, l’area è oggi marginalizzata da continui incendi e smottamenti; 6. Scaccioti, è il paradosso della sub-alvea, una fiumara che sovrappassa l’A3 con un’opera di ingegneria brutalista anni settanta dalla quale, nei giorni di piena, tracima acqua e fango sulle corsie; 7. Gallico e 8. Catona, sono due fiumare che tagliano fitti e pregiati agrumeti a rischio di scomparsa per la scarsa redditività, le piante sono abbandonate e le arance a terra disegnano tappeti arancioni. Le strategie progettuali dei diversi laboratori intensivi si incentrano in azioni sperimentali che vanno oltre le categorie tradizionali del progetto

di spazio pubblico; propongono reti e connessioni piuttosto che condizioni statiche; le ipotesi non sono nè definitive nè immodificabili: si tratta di processi più che di esiti, un linguaggio che si concretizza in segni nuovi che dialogano con quelli esistenti ponendosi a volte in continuità, in altri casi in totale dissonanza, utilizzano un vocabolario di progetti puntuali che definiscono reti materiali e immateriali, una strategia di “virus” rigeneratori che si concretizza in ponti abitati, forestazioni intensive, linee di ciclabili visionarie tra i pilastri dei viadotti. I paesaggi accanto, sotto, dentro l’autostrada A3 nel tratto oggi urbanizzato si connotano per frammentazione, incertezza, instabilità, discontinuità, alternanza senza regole di costruito e campagna; una “città infinita” senza più centro, margine, gerarchia, ordine, misura, che sfugge per complessità alle categorie interpretative tradizionali dell’architettura o dell’urbanistica. La tesi è che la direttrice autostradale da generatore di luoghi del degrado e dell’abbandono, diventa l’asse portante di un processo di rigenerazione urbana, un sistema articolato per una nuova mobilità che connette piazze, giardini, orti, ponti abitati, mercati km zero. Gli interventi sono declinati secondo le due categorie della Mobilità Lenta e dell’Agricoltura sostenibile di prossimità, per riscoprire caratteri propri della cultura della città mediterranea. Ogni azione progettuale ipotizzata si “aggancia” ad un fattore propulsivo che arriva dalla comunità (esigenza sociale, possibile partner economico pubblico o privato, emergenza ambientale, richieste di enti su argomenti specifici come una piazza, un giardino, un arboreto, un sistema di ciclabili e marciapiede) attraverso interviste, questionari, seminari divulgativi. La strategia è mettere a sistema un repertorio di progetti operativi, condivisi e partecipati con le comunità di abitanti, per ipotizzare ricadute dirette nella produzione di scenari sostenibili di tipo locale finalizzati a incentivare nuove attività economiche: spin-off università-imprese, urban cen-

3, 4 e 5 (a pag. 40) - Atlante fotografico “La Pettinissa”, di Maria Rosa Russo. 6 (a pag. 41) - Pettinissa, il paesaggio della A3.

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TRASPORTI & CULTURA N.36 ter, laboratori di quartiere con addetti nel settore delle costruzioni e della piccola e media impresa, cooperative agricole con finalità sociali, produzione e vendita di prodotti di qualità con filiera corta.

Il riciclo dei paesaggi dello scarto “La strategia del riciclo appare allora come un approccio che consente di tenere insieme memoria e innovazione radicale, realismo e tabula (quasi) rasa, una specie di piccola utopia socio espressiva che può guidarci nel ricostruire allo stesso tempo i territori e le teorie (…) una specie di forma omeopatica della modernità, capace di assorbire il passato, il contesto, le identità preesistenti senza imitare e senza lasciarsene sopraffare.” 2 Pippo Ciorra

La mostra del 2011 al MAXXI Re-Cycle. Strategie per l’architettura, la città e il pianeta (a cura di Pippo Ciorra) ha dimostrato l’efficacia dell’applicazione del principio del riciclo ai temi dell’architettura. Si è trattato di un manifesto, una dichiarazione di intenti che si muove trasversalmente tra l’urbanistica, il paesaggio, l’architettura, il design. Una ricca rassegna di progetti d’autore, molto sofisticati, che spaziano dall’architettura parassita ad interventi di demolizione di parti dure della città per consentire il reinstallarsi della natura (Clément), dal recupero di manufatti urbani apparentemente insignificanti che guadagnano nuove centralità grazie a nuove scritture (Corner & Diller-Scofidio), ai grandi piani per capitali europee che propongono un’immagine di “città porosa” (Secchi-Viganò) o incisive azioni di forestazione urbana che trasformano strade carrabili in una rete di parchi lineari (Gausa). Anche grazie gli esiti della mostra del MAXXI ha preso avvio dal febbraio 2013 il Progetto di Ricerca triennale PRIN (Programmi di Rilevante Interesse Nazionale) “RE-CYCLE Italy. Nuovi cicli di vita per architetture e infrastrutture della città e del paesaggio” che vede coinvolte le Università IUAV Venezia (coordinazione), Camerino, ChietiPescara, Genova, Politecnico di Milano, Politecnico di Torino, Napoli Federico II, Palermo, Reggio Calabria Mediterranea, Roma La Sapienza, Trento. Il programma nazionale di ricerca si basa sulla presa di coscienza della condizione problematica nella quale oggi versano le città e i paesaggi italiani a causa della progressiva urbanizzazione dei suoli e del contemporaneo processo di abbandono di strutture e spazi aperti anche se di recente costruzione o trasformazione. Le contraddizioni e i problemi affrontati dallo studio sono oggetto di un vero e proprio “Viaggio in Italia” che gli undici gruppi di ricerca di ciascuna sede universitaria compiranno - con la collaborazione di diversi enti, nazionali e esteri - nei propri territori di pertinenza. L’oggetto del “viaggio” sono tessuti urbani e costruzioni non conclusi, abbandonati anche prima di essere utilizzati, vissuti ma non più congruenti con nuovi usi, che definiscono paesaggi ordinari del rifiuto; lo scopo è delineare strategie sperimentali in grado di rispondere all’urgenza della trasformazione degli spazi di vita quotidiana. Nello specifico l’Unità di Ricerca di Reggio Calabria – che conduce la ricerca in partenariato con WWF Italia Onlus; Consiglio Nazionale delle Ricerche; Nottingham Trent University School; Ecole Nationale Superieure d’Architecture de Strasburg; Area Metropolitana De Barcelona - propone una 2 Pippo Ciorra (2011) Re-cycle, strategie per l’architettura, la città, il pianeta, Electa.

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TRASPORTI & CULTURA N.36 sperimentazione applicata per la risignificazione dei paesaggi dello scarto, del rifiuto, dell’abbandono che si producono accanto, sotto, dentro le infrastrutture. L’ipotesi di lavoro è che la costituita Città Metropolitana di Reggio si può realizzare nel paesaggio, nel dialogo tra i caratteri forti degli elementi naturali (orografia, fiumare, spiagge, vegetazione) e la ri-scrittura degli spazi tra i segni maggiori dell’antropizzazione che il tempo ha stratificato. Contrariamente a quanto potrebbe apparire da uno sguardo superficiale, l’oggetto della ricerca è un territorio dinamico, in continua mutazione, per certi versi costantemente sottoposto al riciclaggio delle sue parti, ma proprio per questo suo funzionamento si registra un alto quantitativo di produzione di scarto, frammenti di paesaggio rifiutati, che perdono significato e funzione e decadono in una condizione di abbandono. È quindi necessario sperimentare strategie di riciclo dei paesaggi dello scarto in chiave interpretativa contemporanea, così come proposto della Convenzione Europea del Paesaggio, quindi paesaggio come espressione della comunità che lo vive e lo modifica, secondo proposte operative partecipate e multifunzionali che associano i grandi temi ambientali della riduzione del consumo di suolo e di risorse primarie mantenendo alla sperimentazione figurativa e spaziale. L’ambito territoriale della città Metropolitana di Reggio Calabria è senza dubbio connotato da peculiarità specifiche, ma costituisce allo stesso tempo un caso studio rappresentativo ed emblematico delle forme di urbanizzazione in atto nei grandi agglomerati urbani del sud del mondo. I paesaggi dell’abbandono che si determinano tra gli interstizi di sistemi autostradali, linee ferroviarie, strade statali, in adiacenza di banchine portuali, sono luoghi sensibili, paesaggi latenti in attesa di progetti in grado di disegnare nuovi scenari mediterranei e metropolitani. Per intervenire in contesti così complessi è necessario comprendere come gli abitanti percepiscono i paesaggi del rifiuto, dell’abbandono, dello scarto, del degrado e individuare quali sono gli ambiti nei quali la comunità intende muoversi nel progetto di riciclo dell’esistente. In realtà quella del sud è una comunità che ha ben presente la pratica del riciclo attuata nella vita quotidiana in forme tutt’altro che banali, una comunità che rinnova l’utilizzo degli oggetti fino al loro deperimento definitivo in interventi di spazi di soglia privati ma con vocazioni collettive. È quindi necessario estendere la sensibilità del riciclo dai singoli oggetti alle parti del paesaggio; dagli spazi privati a quelli pubblici e collettivi per occupare con nuove attività economiche luoghi oggi abbandonati e sperimentare una ricerca spaziale e figurativa con nuovi materiali, tecnologie e programmi funzionali.

Nuovi immaginari Corpo celeste è un film del 2011 realizzato a Reggio Calabria dalla giovane regista italo-tedesca Alice Rohrwacher. Il film è spietato nel descrivere la condizione di arretratezza di una comunità chiusa in una dimensione arcaica e post-moderna allo stesso tempo; in alcuni casi la rappresentazione è senza dubbio eccessivamente caricaturale: oggi, infatti, il sud è interessato da un rinnovato interesse, quasi una nuova stagione del Grand Tour, da parte di nuovi viaggiatori che registrano la fascinazione per quella estetica contemporanea del 41


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7 - Pettinissa, attivare economie.

8 - Pettinissa, attivare il paesaggio agrario.

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TRASPORTI & CULTURA N.36 brutto, dello sporco, dell’abbandono, del degrado, che proprio nei territori del sud scopre una sovrabbondanza di temi e luoghi fra le tracce di antiche bellezze e le devastazioni di oggi. Gli sguardi critici dell’arte e delle discipline che studiano aspetti di carattere sociale e antropologico, oggi più che in passato, possono sicuramente fornire delle chiavi di lettura inedite - utili ad architetti, paesaggisti e urbanisti - per svelare significati e relazioni impreviste negli spazi di vita quotidiana e definire nuovi immaginari collettivi. L’ipotesi di lavoro delle ricerche progettuali esposte in questo articolo consiste nel considerare la condizione di marginalità geografica e la presenza nel territorio di Reggio Calabria di una grande quantità di aree oggi degradate ed in abbandono, da situazione di criticità in condizione favorevole per nuovi scenari evolutivi in grado di rinnovare gli spazi di vita quotidiana. Si tratta di assumere come materiale di lavoro proprio quei luoghi o condizioni che per il loro sottoutilizzo sono suscettibili

di un nuovo ciclo di vita, secondo modalità operative che spaziano da nuove pratiche produttive ecologiche all’abbandono controllato alla rinaturalizzazione. Lo scopo è riformulare un concetto di nuova urbanità utilizzando la categoria paesaggio come tema unificante per questioni ambientali e di carattere architettonico e urbanistico, un mix di sottosistema urbano/infrastrutturale per paesaggi compositi di natura, mobilità e attrezzature urbane evolute che trova nelle infrastrutture l’asse portante. Nuovi approcci per la definizione di nuovi paesaggi portatori di una dichiarata vocazione ecologica ed un messaggio eticamente e socialmente positivo. Paesaggi che interpretano le vocazioni inespresse del territorio secondo processi e programmi largamente condivisi con le comunità di abitanti e definiti da una figuratività inedita che fa riferimento ad una estetica propria della sostenibilità. Riproduzione riservata ©

9 - Pettinissa, il paesaggio dello scarto.

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Marghera e Venezia riunite dal futuro di Sergio Pascolo

La Laguna di Venezia, con i suoi 550 chilometri quadrati di estensione, rappresenta la più vasta area umida del Mediterraneo, un bene ambientale di valore inestimabile, la cui salvaguardia è indissolubilmente associata alla tutela del patrimonio storico, artistico e culturale dei centri urbani di Venezia e di Chioggia, ma anche del litorale e delle isole minori. La preservazione del sistema territoriale costituito dalla Laguna di Venezia, dal suo litorale e dal relativo bacino scolante, è sempre stata correlata al mantenimento dell’equilibrio tra le tendenze evolutive naturali e gli interventi antropici volti a migliorare le condizioni di vita della popolazione attraverso lo sviluppo delle attività economiche e sociali esistenti1. Nonostante questa descrizione e queste indicazioni ed intenzioni siano in grande evidenza nel sito web della Regione Veneto, fino ad oggi il processo di “modernizzazione” della città ha esteso a macchia d’olio la porzione di terraferma, ha fatto perdere drasticamente abitanti alla città insulare, ha ridotto le economie non turistiche quasi a zero, ha ampliato a dismisura i traffici portuali pesanti con relativi squilibri ecologici nella laguna, ha insediato attività industriali altamente tossiche e nocive mettendo a rischio la salute dell’ambiente e dei cittadini. Siamo in presenza, uno a fianco all’altro, di uno dei più importanti patrimoni storico-culturali ed ambientali dell’umanità e di una delle più vaste aree industriali europee giunte alla fine di un ciclo e all’inizio di una fase di riconversione. Tutti e due rischiano di morire, tutti e due possono abbracciare le virtù intrinseche alla loro diversità e risorgere insieme in una nuova forma in cui il rispetto e la valorizzazione della delicatezza del sistema diventa ricchezza e garanzia di futuro. Porto Marghera è sorta nonostante Venezia. Venezia è sopravvissuta nonostante Porto Marghera. Ora è sopraggiunta una nuova era, stanno prosperando le città di produzione di idee, le città dove circola la conoscenza e il sapere, le città con alta densità di capitale umano, la città della diversificazione, della piccola dimensione, della molteplicità e della prossimità che genera interazione, scambio, crescita. A quella vitalità, contemporanea, Venezia da riabitare e Marghera da rifunzionalizzare devono e possono fare riferimento per disegnare la propria rinascita. Ma questa è una scelta da fare, una direzione di marcia non scontata perché l’era dell’urbanizzazione globale tende invece a reiterare ed imporre modelli di sviluppo obsoleti estremamente dannosi per l’habitat sociale comune 1 Fonte: sito della Regione Veneto.

A future of reunification for Marghera and Venice by Sergio Pascolo Venice, one of the true historical, cultural and environmental treasures of mankind, coexists side by side with Porto Marghera, one of the largest industrial areas in Europe, now at the close of its productive cycle and at the start of a new redevelopment phase. Both are threatened by a death sentence, both can embrace the inherent virtues of their diversities and rise again in a new body, relying on the respect and cultivation of a delicate system as a resource and a guarantee for future development. Porto Marghera was built in spite of Venice. Venice has survived in spite of Porto Marghera. We are now living in a new era – an era of cities of ideas, cities of knowledge, cities with a high density of human capital, cities of diversification, small scale cities of multiplicity and proximity, that flourish and generate interaction, exchange, growth. Venice, as a city that needs to be repopulated, and Marghera, as a city that needs to be redeveloped, should and could rely on such a contemporary vitality in order to engineer their rebirth. But this is not an obvious result, it is a path that must be chosen, at a time when the era of global urbanization tends to repeat and dictate obsolete models of development that, although extremely harmful to the common social habitat and the environment, still seem to be able to generate some kind of short-lived and feverish speculative profit, while wreaking irreversible damage.

Nella pagina a fianco, in alto: il canale che collega Marghera e Venezia; in basso: Marghera città d’acqua, collage di progetti (S. Pascolo-Iuav).

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TRASPORTI & CULTURA N.36 e per l’ambiente, ma che ancora sembrano poter generare qualche veloce e affannoso profitto speculativo, producendo danni irreversibili.

Due esempi

1 - Detroit, 2013.

2 - Pechino, 2013.

3 - Marghera, 2013.

4 - Progetto WaVe, Iuav 2010, Masterplan.

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Detroit e Pechino possono essere considerate oggi esempi indicatori di due aspetti cruciali ad estremi opposti dell’urbanità contemporanea. La capitale dell’auto americana ha perso il 58% della popolazione, diventando un prototipo premonitore di desertificazione urbana: interi quartieri disabitati, edifici abbandonati, case demolite, su una rete stradale svuotata e inutile che testimonia la preesistenza della città che, drammaticamente, non fa più resistenza al sopravvento della rinaturalizzazione spontanea. La fine del mito del progresso infinito e la fisicizzazione dell’inversione non potrebbe essere più dirompente, ma allo stesso tempo sta diventando un’occasione di riflessione, un laboratorio di reinvenzione della Riduzione. La megalopoli cinese invece rappresenta l’apoteosi dello sviluppo così come è stato concepito fino ad oggi dal paradigma dominante: crescita demografica, urbanizzazione, illimitata espansione della città basata sulla mobilità individuale, aumento del traffico, ingigantimento delle infrastrutture: segno più all’infinito. Ma lo stop è arrivato abbastanza presto: a distanza di cinque anni dalle Olimpiadi, dopo un decennio di record delle costruzioni, di cantieri 24 ore su 24, di miliardi di metri cubi costruiti in fretta pensando irresponsabilmente di poter coniugare il “sogno” dell’auto alla dimensione della megalopoli, Pechino oggi è avvelenata e avvelenante, inattraversabile, inutilizzabile per l’eccesso di smog al punto che gli stessi “nuovi cittadini” hanno iniziato ad abbandonare la città alla ricerca della qualità della vita per sé e per i propri figli. Contemporaneamente, ai poli opposti del pianeta, da una parte una città della prima era industriale che cerca di ripensarsi con creatività e sperimentazione sulle tracce della propria ineludibile e macrocospica contrazione, dall’altra una città dell’era globale che cresce troppo, costretta a ripensare la propria insostenibile espansione con grande dispendio di risorse: in comune il mito dell’automobile; come paradigma della modernità nella prima, come status symbol del raggiunto benessere nella seconda. I due diversi disastri sono emblematici della criticità del modello di crescita basato, da un lato, sulla monocultura manifatturiera, sull’eccesso di accelerazione dall’altro e si stanno diffondendo a molte altre metropoli e megalopoli indicandoci quanto sia necessaria una riflessione sul rapporto tra disegno della città, economia urbana, mobilità e ambiente; dal Nord America all’Asia, dalle metropoli emergenti in Africa a quelle del Sud-America gli effetti dell’omologazione culturale della globalizzazione che ha generato una urbanizzazione indistinta a dispetto delle peculiarità, specificità e diverse condizioni geografiche e climatiche, ci indicano l’ineluttabilità della revisione del modello di sviluppo. In Europa e in Italia, dove quella stessa omologazione globale ha generato fenomeni meno macroscopici nella dimensione ma di gravità ancora maggiore in relazione alla straordinaria ricchezza della storia, della cultura e del paesaggio, Io sviluppo urbano oggi va coniugato non più con la crescita ma con la riduzione demografica, con l’in-

vecchiamento della popolazione e con la contrazione economica. Queste condizioni vanno colte come occasione storica per affermare un approccio fondato su alcuni criteri oramai inderogabili: fermare l’abuso e lo spreco di natura, fermare la necessità di mobilità veicolare inutile, promuovere, con un nuovo disegno della città, la pedonalità e quindi il movimento che è la salute dei cittadini, creare spazio


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5 - Progetto WaVe, Iuav 2010 schema della mobilità integrata d’acqua e di terra.

6 - Mobilità integrata, linee d’acqua, di terra, d’aria.

civico e sociale per la vita collettiva e per il vivere solidale sulla base delle specifiche caratteristiche dei luoghi e delle tradizioni delle loro popolazioni. Cioè riportare al centro la qualità insediativa come bene comune, come risorsa permanente e garanzia di futuro. In Europa e in Italia ri-formare l’esistente significa orientare lo “sviluppo” verso una tendenziale, progettata e qualificata compattazione e coesione delle città in un macro-mosaico

urbano discontinuo, immerso nella natura e nel paesaggio. In questo quadro Venezia con la sua laguna e la grande area di Porto Marghera sono significative, in modo diverso e complementare, per la loro potenzialità di diventare esempi paradigmatici per una modificazione sostenibile del territorio fondata sulla specifica qualità insediativa del contesto, non indifferente ad esso, non in contrasto con esso. 47


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7 (in questa pagina) - Le banchine di Porto Marghera, oggi. 8 (nella pagina a fianco, in alto) - Canale Grandissimo, planimetria generale. 9 (nella pagina a fianco, in basso) - Canale Grandissimo, vista d’insieme.

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Venezia come modello, Marghera come prototipo

Il progetto di città lagunare e metropolitana

Venezia può essere assunta come modello, non per le sue forme, irripetibili, ma per la sua intrinseca sostenibilità che è l’equilibrio straordinario tra artificiale e naturale, tra terra e acqua, tra pesantezza e leggerezza, tra cultura e produzione, fra tradizione e innovazione, tra liquido e solido, tra materiale e immateriale, tra maggiore e minore, tra antico e nuovo. Modello urbano esemplare in quanto sistema insediativo basato su una centralità dell’uomo reale, percepita, vissuta. Città del futuro perché centralità dell’uomo significa integrazione, inclusione, interazione complementari a riduzione dell’energia, riduzione dei costi, riduzione della segregazione, della separazione, dell’emarginazione. Centralità dell’uomo vuol dire urbanità transgenerazionale, cioè vissuta ed esperita quotidianamente da bambini, giovani, adulti e anziani, insieme, come piattaforma di solidarietà e di socialità; insieme di valori che costituiscono qualità della vita come bene comune non come lusso esclusivo e recintato. Venezia quindi cittàparadigma, attualissima per la sua pedonalità e per le sue vie d’acqua, per la sua spazialità civica e civile, portatrice di tolleranza, di cultura, di bellezza. Marghera intesa come prototipo per il suo essere potenziale esempio di rigenerazione urbana basato sulla diversificazione e sulla complessità funzionale in sostituzione della separazione monofunzionale e monoindustriale. Prototipo anche per il suo essere terreno ideale di implementazione di una mobilità sostenibile ed ecologica basata sulla compresenza di mezzi di terra, d’acqua e d’aria in antitesi alle anacronistiche urbanizzazioni basate ancora sull’imposizione del dominio assoluto dell’auto. Prototipo quindi di nuova urbanità fondata su quei caratteri fisici e sociali che abbiamo riconosciuto come valori nella città antica.

Su questi obiettivi e con questi criteri si è lavorato in diversi Laboratori di progettazione, Workshop e gruppi di Tesi di Laurea della Facoltà di Architettura dell’Università Iuav di Venezia, nel corso di vari anni accademici,2 alla definizione di una strategia insediativa per l’insieme del sistema – isole, laguna, gronda lagunare, piattaforma industriale - capace di riconoscere e potenziare quei valori e quelle caratteristiche morfologiche tipiche della città d’acqua coniugandole con il valore della situazione anfibia; le idee guide sono: re-inserire il sistema insulare al centro del sistema metropolitano, superare la monocultura turistica e riportare abitanti nella città antica, tutelare e organizzare la laguna come grande oasi naturale e specchio d’acqua per una mobilità leggera e compatibile, riutilizzare come parte urbana produttiva e abitata una porzione dell’immensa superficie urbanizzata di Porto Marghera, bloccare l’ulteriore espansione e sub-urbanizzazione della periferia di terraferma che genera spreco di suolo e marginalizzazione della città antica. L’ipotesi progettuale è uno schema di processo che intende dimostrare come sia possibile prevedere un incremento fino a 50.000 abitanti e fino a circa un milione di m² di spazi per nuove attività produttive, per attività commerciali e per servizi a suolo zero, senza quindi nessuna ulteriore urbanizzazione di terreno naturale, con grande qualità insediativa dettata dal rispetto per 2 Laboratorio integrato di progettazione, Laurea specialistica indirizzo sostenibilità, A.A. 2010-11, Città dell’innovazione, innovazione della città: Il canale grandissimo, Laboratorio integrato di progettazione laurea specialistica indirizzo sostenibilità, A.A 2009-2010, Un centro di ricerche sull’acqua, Progetto WaVe, Gruppo di Tesi di Laurea, Laurea specialistica indirizzo sostenibilità, 2010, Workshop intensivo di progettazione, Sergio Pascolo, 2005.


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TRASPORTI & CULTURA N.36 punti insediamenti tutti caratterizzati da un mix di funzioni, complessi, ad alta densità. I luoghi di contatto tra acqua e terra diventano frammenti urbani densamente abitati e vissuti e non più solo nodi di “interscambio” del mezzo di trasporto o “attrezzature” specializzate. Sono stati individuati siti puntuali e strategici nel sistema lagunare come Passo Campalto, Tessera Porto, la Stazione Marittima di Venezia e soprattutto Marghera nei suoi fronti d’acqua dei grandi canali industriali e lungo il margine tra la città industriale e la città giardino. Nel disegno d’insieme, Marghera diventa progetto pilota sia per dimensione che per complessità: la sfida è ri-pensare la città produttiva come città abitata, dove produzioni innovative, residenza, commercio, servizi coesistano negli edifici e negli spazio urbani. La complessità è obiettivo e risultato allo stesso tempo di un processo che va iniziato, promosso e incentivato nelle tracce dell’esistente e con il disegno del nuovo dando spazio alla micro-imprenditorialità, ad iniziative diverse che colgono in quel sistema logistico e di valori opportunità e sinergie in un circolo virtuoso che richiama altre iniziative ed attività e quindi nuovi residenti.

10 - Via dell’Elettricità, vista d’insieme. 11 - Studio planimetrico, Progetto WaVe, Iuav 2010, Tesi di Laurea G.Calvi – G. Masiero.

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l’ambiente e dalla sintonizzazione degli ambiti urbani con la straordinaria qualità dell’ambiente e del paesaggio lagunare. La circolarità delle connessioni e la complessità funzionale dei nodi, sostituiscono progressivamente la zonizzazione monofunzionale che ancora oggi crea limiti e barriere (la zona industriale) e viene proposta come “modernità” (i centri commerciali, i business district, le varie cittadelle, etc.). L’idea, opposta, è quella di diffondere in diversi

Mobilità - Venezia come modello, Marghera come prototipo alternativo alla città “dominata dall’auto”, con una strategia della mobilità del trasporto pubblico che favorisce la qualità del tempo e della vita; cruciale per il successo della strategia è l’efficacia e la qualità dell’interfaccia e dell’interazione della mobilità di terra (Sfmr, tram, eco-car sharing, piste ciclabili) con la mobilità leggera d’acqua dotata di mezzi innovativi e a basso impatto ondoso, energetico ed ambientale, con le nuove linee proposte di funicolari orizzontali e infine con la pedonalità che a sua volta è efficiente proprio perché integrata da un mix molteplice di connessioni locali e di trasporti veloci. Anziché cercare di “superare” l’acqua (con ponti o tunnel) e “strutturare” la terra con svincoli e rotatorie stradali, si tratta di utilizzare l’acqua con tutti i suoi valori, e “superare” la terra nelle sue porzioni più difficoltose perché inquinate o delimitate, con le linee aeree. Al contrario della omologazione all’auto come mezzo unico, il sistema integrato di trasporti offre un mix di possibilità che, nel caso delle linee d’acqua, non richiede alcuna infrastrutturazione, nel caso delle linee aeree (funicolari orizzontali) necessita di strutture leggere, reversibili e di minimo impatto; questo tipo di trasporto urbano è particolarmente indicato in zone in corso di trasformazione perché permette collegamenti che scavalcano aree ancora non accessibili creando continuità dove esistono barriere invalicabili o superando ostacoli infrastrutturali pesanti come il nastro di collegamento stradale e ferroviario Venezia-Mestre. La mobilità diventa efficace – con punti di scambio veloce con i vaporetti, i tram, i treni regionali, ma anche in corrispondenza delle grandi attrezzature di ricerca, universitarie e sportive e fino alla Stazione dell’Alta Velocità di Mestre – offrendo sempre, al contempo, un’esperienza di qualità: l’acqua è pensata come opportunità e non come ostacolo; come spiega Maria Rosa Vittadini si tratta di “… ridare all’acqua il suo ruolo nella vita quotidiana della città, ridistendere la Laguna in tutta la sua dimensione tra l’isola (le isole) e la terraferma, recuperare i suoi paesaggi e la sua bellezza anche nel muoversi. Non per tornare ai remi ma per spendere intelligenza e risorse per innovazioni tecno-


TRASPORTI & CULTURA N.36 logiche di tutt’altro tenore, per una navigazione insieme rispettosa della morfologia lagunare, della fragilità delle rive, della qualità delle acque”. Per esempio per assicurare la continuità dei percorsi pedonali e ciclabili sono state ipotizzate zattere a chiamata e funicolari d’acqua a catena sommersa. In questa logica la strategia della mobilità potrebbe promuovere Venezia come Laboratorio internazionale di sperimentazione della mobilità ecologica sull’acqua, come centro di ricerca di nuovi mezzi di navigazione, piccoli, grandi, leggeri e veloci o lenti; oltre a coinvolgere le migliori risorse artigianali e produttive della cantieristica locale questo potrebbe attrarre imprese e ricercatori da tutto il mondo, innescando un circolo virtuoso di economia, occupazione, ricerca per il settore della nautica e per tutto l’indotto. Marghera Canale Grandissimo - Il progetto che abbiamo denominato del “Canale Grandissimo” si sviluppa lungo cinque chilometri di “waterfront” oggi costituito da banchine di porto industriale in maggior parte sottoutilizzate o del tutto dismesse. Le aree che nel tempo potrebbero essere coinvolte nella trasformazione disposte lungo il Canale industriale Nord occupano un’area di 200 ettari comparabile per dimensione con le più significative trasformazioni urbane europee come quelle di Amburgo, Rotterdam, Amsterdam, Stoccolma, Oslo, Copenhagen, Lisbona e Valencia. Nel quartiere possono risiedere 15.000 abitanti e trovare lavoro oltre 40.000 addetti in una città d’acqua in terra, dove i grandi canali nati per l’industria diventano il supporto per una città anfibia, di innovazione che crea sinergie, agglomerazione di attività e idee, di saperi e tecnologie, una parte di città appoggiata alla laguna e al grande parco di San Giuliano. Il disegno delle nuove parti urbane lungo il “Canale Grandissimo” assume come connotato costante l’affaccio sull’acqua, che permette il collegamento diretto da e per la città insulare, e la creazione di spazi prevalentemente pedonali come nuove “fondamenta” di una città “car-less”, cioè a bassa necessità di uso dell’automobile per merito della qualità dell’alternativa di trasporto pubblico sia locale che di medio e lungo raggio. Il disegno d’insieme nasce da diverse possibili aggregazioni di edifici di nuova generazione che introiettano sia la complessità funzionale con spazi produttivi e commerciali ai piani terra che la condizione anfibia (terra e acqua) di affaccio principale e di servizio come peculiarità tipologica e architettonica. I nuovi edifici fanno riferimento al fondaco (dall’arabo: funduq, letteralmente casamagazzino), struttura che storicamente ha associato gli scambi commerciali e l’ospitalità, che viene ristudiato come nuova tipologia per associare attività produttive sia tradizionali che di innovazione con l’abitare, il tempo libero e lo svago. Le possibili composizioni dei nuovi edifici individuano diverse logiche con l’obiettivo di promuovere l’uso dello spazio pubblico urbano come spazio civico, come luogo di incontro e scambio, luogo di socialità e di convivialità, luogo di connessione tra individui come qualità della vita urbana in cui il paesaggio d’acqua diviene elemento di identità per i futuri residenti e lavoratori. Via dell’Elettricità - La seconda grande area è localizzata nel margine tra la zona residenziale e quella industriale di Marghera. Si tratta di una fascia di territorio compresa tra due strade parallele in direzione nord-sud, Via Fratelli Bandiera e Via

dell‘Elettricità, che secondo le previsioni di piano dovrà essere trasformata da zona industriale a zona artigianale, commerciale, direzionale. Il progetto propone il superamento della rigidità della destinazione d’uso a favore, anche qui, di una nuova complessità attraverso la rimodulazione delle densità edificatorie con trasferimenti compensativi di superficie edificabile e con la sperimentazione di regole morfologiche di costruzione. Si delinea un orientamento alla trasformazione capace di definire un “nastro urbano” lineare in chiave ecologica, caratterizzato da alcuni capisaldi per produrre una rivitalizzazione che si irradia alla vicina città giardino e alla parti industriali che affacciano sul canale. Il riuso di parti dell’esistente e una sostituzione interstiziale e progressiva genera una parte di città di grande vitalità caratterizzata dalla sovrapposizione di funzioni diverse sempre insieme alla residenza. La striscia si configura longitudinalmente come una serie di lotti che generano una sequenza di spazi pubblici tutti collegati tra di loro in un “interno” pedonale protetto dal traffico; ai lati le grandi arterie di traffico attrezzate da piste ciclabili e dalla linea del tram assicurano il trasporto veloce. La struttura permette la realizzazione in comparti di diversa misura per favorire il coinvolgimento della più ampia gamma di investitori dando spazio alla nuova imprenditoria, alla creatività, alle nuove professioni che già oggi si stanno insediando, così come ad interventi consistenti di investitori locali, istituzionali ed internazionali. Marghera Darsena Grande - La cerniera tra questi grandi comparti di possibile trasformazione è l’area della grande darsena a conclusione del canale industriale ovest lungo Viale delle Macchine, un’area preziosa e strategica sia dal punto di vista metaforico che geografico e tecnico-infrastrutturale: la darsena-canale è il primo bacino d’acqua visibile dalla terraferma, affaccia sui cantieri navali dove si costruiscono le grandi macchine per viaggiare sull’acqua, si trova a ridosso della stazione ferroviaria di Mestre, può essere servita dalla metropolitana regionale e dalle linee dei tram ed è raggiungibile da tutti i mezzi di navigazione. Porta della laguna e della città insulare, porta di Marghera postindustriale, porta d’acqua porta di terra: lo spazio che separa la banchina della darsena dalla stazione di Mestre – 750 metri, distanza paragonabile a piedi a quella tra Piazza S. Marco e Rialto - è stato studiato come una piazza allungata, pedonale, urbana, con abitazioni, uffici, locali e negozi che collega la città d’acqua con la terraferma nel suo centro urbano infrastrutturale più importante che è quello della stazione di Mestre. La nuova parte urbana così configurata diventerebbe naturalmente il luogo di riferimento di tutto il quartiere esistente che assumerebbe a sua volta un nuovo ruolo e nuova energia per ulteriori riqualificazioni. Nel suo affaccio sull’acqua nella grande darsena potrebbe trovare sede un centro internazionale di ricerca sull’acqua cioè sulla materia su cui Venezia è fondata e dalla quale ha tratto la sua prosperità; una “Casa dell’acqua” che diverrebbe anche sede e simbolo della ricerca sullo sviluppo urbano sostenibile perché informato dalla potenza connettiva della fluidità esemplarmente antitetica alla rigidità delle infrastrutture di terra. Come insegna l’esperienza della città di Nantes, un’istituzione di questo tipo, che potrebbe essere patrocinata e sponsorizzata da tutto il mondo, diverrebbe essa stessa motore della trasformazione e magnete di attività, di saperi e di persone, quindi di economia, 51


TRASPORTI & CULTURA N.36 occupazione, prosperità. Quest’area, che può diventare il fulcro della riconfigurazione urbana di Marghera e Mestre, centro di tutto il sistema insediativo lagunare, è salita alla ribalta della cronaca per la proposta, da parte dello stilista Pierre Cardin, di un grattacielo denominato Palais Lumière.

12 - Venezia e l’area di progetto di Marghera.

13 - Il progetto di Marghera città d’acqua, vista nel contesto lagunare.

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Quella proposta non sarebbe stata nient’altro che il sogno di un anziano miliardario se non fosse per il plauso unanime delle istituzioni cittadine e regionali che ha fatto di tutto per porre concretezza al progetto. D’altra parte, simmetricamente a quel plauso, come annota Tomaso Montanari 3 “… si capisce che una buona parte dei cittadini di Marghera, abbandonati a se stessi da decenni, abbia salutato con cieco favore questa specie di emiro nostrano che prometteva una magica fontana di lavoro e benessere alta 250 metri.” Non si tratta di un dibattito sullo sviluppo urbano, si tratta di disperazione. Come a Taranto, il lavoro e la morte in alternativa alla disoccupazione e alla povertà, a Marghera il Palais Lumière in alternativa all’assenza di futuro. Di fronte a questo nessuno ha discusso di una platea di cemento di 210 metri di diametro a 27 metri di profondità, di pali che scendono a 55 metri di profondità, di un’altezza e una posizione che comporta un basso (sic !) rischio di collisione per gli aerei in atterraggio all’aeroporto Marco Polo. Tantomeno si è discusso del fatto che una torre isolata e fuori misura con al piede parcheggi per 4.500 auto esprimerebbe il peggior consolidamento possibile di un pensiero urbano atopico, indifferente nel suo essere clichè, tanto superato quanto dannoso: infatti l’accentramento di enormi superfici e funzioni in un mega-manufatto di lusso toglie urbanità, periferizza, separa, e aggiunge al suo esterno, solo traffico, rumore, caos. Gli svincoli necessari per “scaricare” in città il fardello di migliaia di automobili lo testimoniano; ancora una volta migliaia di metri quadri di asfalto, e centinaia di milioni di euro di costi, per le automobili al posto di piazze e luoghi di incontro, al posto della città per gli uomini. Ancora una volta edificazione che provoca il traffico automobilistico anziché parti urbane e reti di connessione che creano qualità della vita e rendono non necessario l’uso dell’auto. Dell’arrogante modifica del paesaggio lagunare e dell’estetica dell’oggetto sembra sia stato obbligatorio tacere. Viene in mente il film di Carlo Verdone in cui due amici romani “sognano” di asfaltare il Tevere pur che si faccia qualcosa. Viene in mente la grande speranza riposta nel Renaissance Centre di Detroit, l’enorme struttura realizzata da Henry Ford II negli anni settanta per risollevare il destino della città, speranza di rinascita rimasta solo nel nome, drammaticamente delusa dal duro declino della città che ne è seguito e che è proseguito fino ad oggi. La storia ci insegna che non è con un macro edificio nelle mani di un solo investitore, chiunque esso sia, che si crea il futuro di una città. La storia ci insegna che queste mega operazioni private sono macchine gigantesche per catturare ingenti somme di denaro pubblico. Ora che Pierre Cardin sembra aver rinunciato, tralasciando il desolante spettacolo delle “suppliche” a non rinunciare, è urgentemente necessario preoccuparsi di avere gli strumenti per pensare il futuro della città prima che si presenti il prossimo stravagante miliardario. 3 Tomaso Montanari, Le pietre e il popolo, Minimum fax, 2013.


TRASPORTI & CULTURA N.36 La grande opportunità è da ricercare in una trasformazione urbana che sia supporto delle sinergie tra i settori produttivi, della ricerca, della formazione, utilizzando le proprie vocazioni, capacità e tradizioni per creare un ambiente favorevole alle nuove economie. La grande opportunità è da ricercare nello sviluppo sostenibile della città che non può prescindere dalla riduzione del traffico, dell’inquinamento e del riscaldamento globale, quindi nello sviluppo di una mobilità ecologica ed integrata. La grande opportunità è da ricercare negli spazi dedicati all’incontro, alla convivialità, alla vita pubblica, ridando centralità a quelli esistenti nella città storica e creandone altri nei nuovi quartieri perché questi sono gli elementi indispensabili alla rinascita della città, l’unica possibile, quella delle idee, della conoscenza dell’innovazione. La grande opportunità risiede nel poter fare nuovi spazi urbani con le qualità insediative specifiche e uniche del contesto lagunare che sono il valore aggiunto straordinario, permanente e duraturo, la vera garanzia di futuro, e che in quanto tale deve essere tutelata e protetta. La grande opportunità è da ricercare nel fermare lo spreco della turisticizzazione assoluta del nucleo antico4 riportando abitanti nella città insulare e creando le sinergie di attività e servizi nella terraferma d’acqua dove molte iniziative sono già in corso, molte altre possono sorgere, in forma interstiziale nell’esistente e dove con il nuovo si possono realizzare centinaia di migliaia di metri quadrati creando urbanità senza lo spreco di nuove infrastrutture, a suolo zero e nuova viabilità zero. C’è tanto lavoro da fare; è importante coinvolgere la cittadinanza e metterla in grado, anzichè di “schierarsi” a favore o contro veri o sedicenti mecenati che promettono di realizzare qualche castello delle meraviglie, di organizzarsi, di riunirsi, di lottare per avere il diritto di discutere sulle scelte e sui progetti anche alternativi e sulle prospettive: c’è da organizzarsi per spingere l’Amministrazione ad invertire rotta, a fermare le scelte distruttive, ad attivare i meccanismi necessari ad un processo di trasformazione che costruisca le basi per una vera nuova prosperità saldamente fondata sul patrimonio di civiltà che abbiamo ereditato e che ancora oggi è la nostra ricchezza che vorremmo lasciare anche alle prossime generazioni. Riproduzione riservata © I progetti e gli elaborati sono esito di Workshop, Laboratori integrati di progettazione e dei gruppi di Tesi di Laurea dell’Università Iuav di Venezia, Laurea specialistica e Magistrale, indirizzo sostenibilità diretti e coordinati dai professori Pascolo, Vittadini, Riva, Faggiani, Gaspari, Porciani; gli elaborati di sintesi, la concezione di insieme e il coordinamento dei progetti nel tempo è a cura del Prof. Sergio Pascolo.

4 Sul tema vedi anche in Sergio Pascolo, Abitando Venezia, Corte del Fontego Editore, Venezia, 2012.

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Politiche per il contenimento del consumo di suolo: l’esperienza di Monaco di Baviera di Chiara Mazzoleni

Tra le grandi città europee interessate, nel corso della seconda metà del Novecento, da intensi processi di sub-urbanizzazione della popolazione e dei posti di lavoro e di dispersione insediativa, che hanno originato complesse agglomerazioni costituite da una collezione di strutture di patchwork regionali, Monaco di Baviera è quella che non ha subito un processo di rapido declino della popolazione. Dal periodo di intensa e costante crescita, dal dopoguerra al 1970, in cui la popolazione è più che raddoppiata e ha superato un milione e 300 mila abitanti, si è assistito a una sua sostanziale stabilizzazione, contestuale alla crescita molto sostenuta della regione urbana, che ha raggiunto due milioni e 700 mila abitanti. Si tratta dell’area della Grande Monaco, comprendente – oltre alla città – gli otto distretti che costituiscono il suo hinterland più prossimo e formano con essa un’unità funzionale fortemente integrata e interdipendente tra le sue diverse parti1. Nel corso degli anni Settanta, quest’area è stata definita come ambito amministrativo soggetto a pianificazione unitaria e basato sull’associazione volontaria dei comuni (Regione di piano 14), con riferimento al Programma di sviluppo della Baviera, che ha identificato 18 ambiti di pianificazione (Regionaler Planungsverband) che avrebbero dovuto concorrere al conseguimento di un maggiore equilibrio territoriale delle condizioni economiche e di vita. È anche per questo orientamento verso lo sviluppo di azioni cooperative di pianificazione tra istituzioni che la crescita dell’area metropolitana di Monaco si è realizzata in forma policentrica, con l’insediamento di nuovi nuclei produttivi in parte complementari e in parte competitivi rispetto al tradizionale core metropolitano, quindi non in modo fortemente condizionato da quest’ultimo – nonostante a Monaco permanga una concentrazione dominante di opportunità di lavoro all’interno sia della regione urbana sia della Baviera – e con un’attenzione agli aspetti ambientali e alle infrastrutture di trasporto collettivo. I distretti urbani e rurali della cintura, cresciuti in modo rilevante negli ultimi due decenni – fino ad assorbire più di 300 mila abitanti – sono così riusciti a imporsi tra quelli più ricchi della Germania 2. Il basso livello di tassazione mantenuto in questi distretti, che evidenzia la presenza di una significativa disomogeneità delle politiche fiscali 1 S. Lüthi, A. Thierstein, V. Goebel, Intra-firm and extra-firm linkages in the knowledge economy: the case of the emerging megacity region of Munich, Global Networks, vol. 10, n. 1, 2010. 2 M.A. Bontje, S. Musterd, P. Pelzer, Inventive City-Regions. Path Dependence and Creative Knowledge Strategies, Ashgate, Burlington 2011.

Policies for limiting land-take: the Munich experience by Chiara Mazzoleni The case study of Munich, a city whose success stems from its development history and the interaction between place, policy and politics, is examined in terms of the general goal of countering urban sprawl in cooperation with the surrounding municipalities in order to achieve a significant decrease in land take. Particular attention is paid to the Perspective Munich integrated development strategy, with its approach to spatial development that can be summed up in essence as “compact, urban, green”, and the primary instruments through which its principles are implemented, such as the procedural principles of socially compatible land use (SoBoN). The article focuses on how the local government has promoted mixeduse development in order to minimise travel and promote environmentally friendly transport modes,the re-use and development of abandoned and vacant areas (such as the former airport, trade fair and land released by the federal railway system and the military) for mixed purposes including housing, open space and commercial uses, with a substantial proportion of the sites designated for social housing. It also shows how the city has made it a priority to build housing by redeveloping, infilling and developing suburban sites accessible by public transport.

Nella pagina a fianco, in alto: progetto del nuovo insediamento di Messestadt Riem, planimetria; in basso: Progetto per l’area precedentemente occupata dalla fiera: Theresienhöhe (planimetria del progetto vincitore).

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1 - Perspective Munich, schema dello sviluppo insediativo (fonte: City of Munich, Department of Urban Planning and Building Regulation, Perspective Munich, 2005).

all’interno dell’area metropolitana, ha costituito un forte incentivo per l’insediamento all’esterno dell’area urbana dei gruppi sociali a maggiore capacità di spesa. Le esigenze di un effettivo controllo delle dinamiche insediative della popolazione nella regione hanno, quindi, fatto emergere la necessità di una maggiore capacità di cooperazione tra le differenti municipalità organizzate in forma associativa per l’attuazione della pianificazione regionale, nonostante siano da tempo operative numerose reti costituite da istituzioni e attori privati e diverse organizzazioni tra municipalità con specifiche funzioni. La principale e più influente tra queste ultime attiene al sistema dei trasporti – affidato al Munchner Tarif und Verkehrverbund (MVM) – rispetto al quale il coordinamento delle politiche è risultato più efficace, soprattutto in relazione a prospettive di sviluppo economico, in un contesto regionale che da tempo è considerato come un’entità economica unitaria. Alla formazione di relazioni sempre più strette tra la città e la sua regione urbana, al consistente addensamento di popolazione nell’immediato 56

circondario di Monaco e al conseguente forte incremento dei flussi di pendolari si è cercato, infatti, di provvedere con un significativo potenziamento del trasporto pubblico. Per cui oggi la regione urbana, dopo i primi grandi investimenti in infrastrutture realizzati per i Giochi Olimpici del 1972 e in seguito alle ingenti risorse impiegate dal governo regionale nel programma di ammodernamento e di estensione del sistema metropolitano di superficie (S-Bahn), è caratterizzata da un’efficientissima rete fortemente innervata a livello dell’area centrale e dei comuni contermini. Da alcuni anni, una maggiore propensione alla cooperazione intercomunale, orientata a connettere gli obiettivi di sviluppo spaziale della regione urbana con quelli del piano strategico di Monaco, è stata raggiunta in merito alla strategia di controllo dell’espansione insediativa che consolida e rafforza il policentrismo. Attraverso un accordo intergovernativo tra il comune di Monaco, le amministrazioni dei comuni del circondario e l’authority di regolazione dei trasporti, la realizzazione di nuovi insediamenti residenziali in aree agricole è stata


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prevista esclusivamente nei centri dell’area metropolitana connessi al sistema ferroviario regionale e dotati di una rete efficiente di trasporto pubblico. Di recente l’amministrazione della città, che ha finalizzato le sue scelte strategiche al contenimento dello sprawl e al raggiungimento della “città compatta”, ha ulteriormente incrementato e potenziato il sistema di trasporto collettivo. Attraverso un ambizioso Piano di sviluppo del trasporto (Verkehersplan), ha previsto un insieme di misure volte a ridurre la circolazione dei mezzi privati, integrare le tecnologie di trasporto e il sistema di tariffazione e incrementare l’intermodalità, oltre ad aver stabilito uno stretto coordinamento tra la pianificazione del traffico e lo sviluppo insediativo 3 . Questo piano, che si prefigge di diffondere una nuova “cultura della mobilità”, è stato infatti assunto come progetto cardine del programma di sviluppo urbano. L’efficacia della politica perseguita è stata anche riconosciuta da alcune agenzie a livello internazionale, che hanno valutato il sistema del trasporto pubblico di Monaco come uno tra i migliori a livello europeo. Oltre ad essere diventata una tra le più dinamiche ed economicamente prospere agglomerazioni urbane d’Europa, in virtù della sua robusta e ben diversificata base economica – Munich Mix (Muenchner Mischung) – caratterizzata da un’ampia gamma di settori, dalla presenza di imprese di differenti dimensioni e dall’alta concentrazione di imprese high-tech, ad avere il livello del reddito 3 City of Munich, Transport Development Plan, Department of Urban Planning and Building Regulation, Munich 2007.

pro capite più elevato della Germania e di molto superiore a quello di altre aree metropolitane europee, la regione di Monaco ha raggiunto le prime posizioni nel ranking basato sulla valutazione della qualità della vita, con riferimento ad aspetti politici, sociali, economici e ambientali. Come è ampiamente documentato in numerose ricerche, il successo conseguito da Monaco non è solo path dependent, ma discende da una politica particolarmente aggressiva, lanciata alla fine degli anni ’90, negli ambiti del rinnovamento tecnologico e della formazione di cluster in settori fortemente innovativi e a più elevata intensità di conoscenza – High-tech Offensive e Cluster-Offensive – e soprattutto da una positiva interazione tra le proprietà del luogo, la capacità di governo e le strategie di pianificazione. Ha infatti contribuito in modo rilevante al miglioramento della qualità della vita e al rafforzamento dell’attrattività della regione urbana la costruzione graduale di forme e di strutture di governance multilivello, affiancata da un piano strategico approvato dall’amministrazione di Monaco nel 1998 – Perspective Munich – basato sull’approccio del trend-screening, più idoneo a orientare un efficace sviluppo dell’area urbana in una condizione di crescente complessità del processo di pianificazione, interessato da incertezza. Si tratta di un dispositivo flessibile e aperto alla discussione pubblica, che ambisce indirizzare le trasformazioni territoriali in modo processuale, con continue valutazioni e aggiornamenti, sulla base di linee guida strategiche, che rappresentano il meta-livello tra gli ambiti funzionale e spaziale, e di linee guida tematiche

2 - Perspective Munich, principali punti focali dello sviluppo urbano di Monaco: compatto, urbano, verde.

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TRASPORTI & CULTURA N.36 vincolanti, che recepiscono i principali temi al centro del dibattito attinenti alla sostenibilità dello sviluppo urbano e li traducono in strategie spaziali e in specifici progetti urbani, al fine di rispondere adeguatamente ai mutamenti demografici e socio-economici e alle nuove priorità. Nel corso della sua implementazione e del suo aggiornamento, che hanno coinvolto in modo sistematico la cittadinanza e i rappresentanti delle comunità contermini, il piano strategico ha progressivamente allargato il suo campo di applicazione anche in relazione alle azioni richieste dalle nuove questioni emergenti. Questi aspetti concorrono a spiegare l’elevata institutional thickness che caratterizza gli organismi di governo della regione urbana e la sua struttura economica e sta a designare la presenza di istituzioni forti, socialmente legittimate, con un elevato livello di cooperazione e di interazione con le varie autonomie funzionali e i diversi soggetti coinvolti nelle trasformazioni urbane e nel consolidamento della struttura produttiva. Si può così comprendere come tra gli aspetti strategici essenziali dello sviluppo urbano siano stati individuati e tradotti in linee guida quelli che attengono al rafforzamento della governance mediante azioni cooperative e allo sviluppo della solidarietà e della società civile attiva, al fine di promuovere responsabilità civica e di fortificare la coesione all’interno della comunità urbana. Negli ultimi due decenni la città, che ha raggiunto un elevato livello di urbanizzazione – con il 72% del territorio interessato da insediamenti e infrastrutture, secondo il rilievo effettuato nel 2003 – è riuscita a trarre profitto dai principali cambiamenti strutturali e dalla rigenerazione di ampie aree destinate a nuovi usi residenziali, produttivi e a spazi pubblici (nel complesso circa 650 ettari), localizzate in ambiti urbani a elevata accessibilità. In seguito alla riflessione avviata di recente sul futuro sviluppo urbano, considerato che la disponibilità di aree libere e di aree dismesse (industriali e occupate da complessi militari) di vaste dimensioni è rara e che entro il 2030 sono stati stimati 150 mila abitanti aggiuntivi, per conseguire l’obiettivo del contenimento del consumo di suolo e della ridensificazione urbana, si è manifestata la necessità di trasformare il piano strategico in un unico e comprensivo strumento di politica per la città e in un dispositivo di regolazione dello sviluppo urbano giuridicamente vincolante4 .

Spazio urbano e qualità “Compatto, urbano, verde” è il motto scelto per sintetizzare la linea guida strategica di Perspective Munich concernente gli spazi urbani e la qualità, che fa riferimento sia alla tradizione urbana di Monaco, sia all’uso responsabile del territorio5. L’obiettivo dichiarato è di frenare la dispersione insediativa riducendo significativamente il consumo di suolo e qualificando lo sviluppo interno all’area urbana, con interventi che ripropongono il mix funzionale caratteristico del tessuto edilizio dell’area centrale e assicurano un’adeguata dota-

3 - Progetto delle aree comprese nel Zentralen Bahnflächen: inquadramento dell’ambito di intervento.

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4 A. Thierstein, I. Auernhammer, “Monaco”, in C. Ranci (a cura di), Sviluppo ed integrazione sociale in Europa. Politiche urbane a confronto, Quinto rapporto su Milano sociale, Politecnico di Milano, Laboratorio di Politiche Sociali, Milano 2013. 5 City of Munich, Department of Urban Planning and Building Regulation, Shaping the future of Munich. Perspective Munich – Strategies, Principles, Projects, Development Report 2005.


TRASPORTI & CULTURA N.36 zione di infrastrutture tecniche e sociali. Entrambe le azioni si ritiene concorrano a migliorare la qualità della vita dei quartieri urbani, a rispondere alla crescente pressione della domanda abitativa nella città da parte di famiglie mononucleari – la cui incidenza nello stock residenziale è risultata del 50% nel 2004 – o formate da due componenti e a riequilibrare la funzione residenziale nell’area centrale, più interessata dal processo di distribuzione selettiva nello spazio di popolazione e di attività economiche. Nel 2001, infatti, il centro storico risultava abitato da sole 20 mila persone, mentre di contro offriva 80 mila posti di lavoro6. Le aree di intervento prioritario sono quelle interessate da processi di dismissione: dalle aree occupate da magazzini e industrie, agli scali ferroviari – in particolare le aree comprese tra la stazione centrale e quella di Pasing e l’area della Ostbanhof – ai complessi militari in disuso, alle aree precedentemente occupate dalle grandi infrastrutture della mobilità. All’interno di questi ambiti sono state previste azioni di ridensificazione, con un mix di funzioni che varia in relazione alle differenti parti della città. Un’ulteriore azione volta a contenere l’espansione urbana, che si affianca alla rifunzionalizzazione delle aree dismesse, consiste nella riqualificazione e densificazione delle aree di frangia. Al fine di assicurare una continuità nella produzione di edilizia residenziale è stata programmata la realizzazione di 7.000 alloggi per anno, dei quali 1.800 destinati a edilizia sociale. Con queste previsioni di sviluppo e con la significativa quota della produzione con prezzi calmierati si è inteso rispondere alla sempre più consistente domanda di alloggi assicurando l’accessibilità a una parte del patrimonio edilizio alle fasce sociali con reddito medio-basso, nel contesto di un mercato che presenta forti tensioni, avendo raggiunto valori immobiliari e livelli di costo dell’affitto tra i più elevati tra le città medio-grandi della Germania e in presenza di uno stock residenziale con una forte incidenza di abitazioni in affitto (circa il 70%)7. La questione abitativa ha iniziato ad essere particolarmente grave a partire dagli anni ’90 e ha riguardato i diversi segmenti dell’offerta e in modo particolare quello delle abitazioni in affitto a prezzi medio-bassi, che diversi anni di migrazioni selettive da e verso Monaco hanno contribuito a ridurre drasticamente. Il programma di azione Living in Munich, lanciato nel 2001, insieme a forme di incentivazione economica ha introdotto elementi prescrittivi di carattere non solo quantitativo, relativi allo stock da realizzare, ma anche qualitativo per gli interventi privati nel settore delle nuove abitazioni (ad esempio con incentivi per le iniziative immobiliari che operano nel comparto delle abitazioni in affitto). Inoltre, per contrastare il processo di segregazione spaziale della popolazione per status socioeconomico e gruppi etnici, e per far fronte ai mutamenti intervenuti nella struttura sociale si è perseguita una politica di diversificazione dei segmenti dell’offerta nei vari interventi (socially compatible land use), adottando anche per i nuovi insediamenti il modello del Munich Mix per l’housing. La strategia individuata per una politica di uso del 6 M.A. Bontje, S. Musterd, P. Pelzer, Inventive City-Regions …., cit. 7 L’andamento del mercato abitativo è periodicamente monitorato dal Dipartimento di pianificazione urbana e regolamentazione edilizia del Comune di Monaco.

4 - Progetto delle aree comprese nel Zentralen Bahnflächen: planimetria della parte centrale.

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5 - Theresienhöhe, spazio pubblico attrezzato.

6 - Nuovo insediamento di Ackermannbogen, particolare

suolo socialmente sostenibile si basa sul dispositivo SoBoN (Sozialgerechte Boden Nutzung), reso operativo nel 1994, dopo un serrato confronto politico, successivamente ridefinito e integrato, assunto poi come modello da altre città della Germania e inserito nella legge urbanistica del governo federale. Si tratta di una forma di partenariato pubblico-privato, che prevede un’attenta regia da parte dell’amministrazione locale e regole chiare 60

che definiscono i vantaggi pubblici generati dai progetti di rigenerazione urbana. Attraverso questo dispositivo, l’incremento di valore fondiario e immobiliare, stimato in attuazione dei piani di sviluppo approvati, viene condiviso con gli operatori privati che possono disporre di almeno un terzo di questo plusvalore, mentre al massimo due terzi sono vincolati alla realizzazione delle infrastrutture necessarie e delle attrezzature sociali, alla com-


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partecipazione ai costi sostenuti per la predisposizione degli strumenti di pianificazione esecutiva (inclusi i concorsi di progettazione) e all’organizzazione del pubblico ascolto e includono una parte dei costi per la realizzazione di edilizia sociale, oltre che la cessione di parte delle aree richieste per la realizzazione della città pubblica8. Con le risorse finanziare originate dalle trasformazioni urbane dopo l’entrata in vigore del SoBoN, è stato possibile attuare la quota di housing sociale prevista dall’ambizioso programma Living in Munich, lanciato nel 1990 per promuovere la costruzione di nuove unità abitative. Delle 125 mila abitazioni stimate per il periodo 1990-2010 ne sono state realizzate 115 mila, delle quali circa il 20% è stato sussidiato con fondi pubblici per l’edilizia sociale. L’aggiornamento del programma ha definito nuove priorità in risposta ai bisogni emergenti e delle 3.500 nuove unità stimate all’anno il 50% dovrà essere sovvenzionato per soddisfare la domanda abitativa dei gruppi sociali con reddito mediobasso.

I progetti più significativi di rigenerazione urbana Il primo progetto attraverso il quale si è sperimentata la strategia del Munich Mix funzionale e sociale, con l’introduzione del principio one third mix – consistente nella ripartizione equilibrata delle diverse destinazioni d’uso (1/3 terziario e industria, 1/3 residenza, 1/3 spazi verdi e collettivi), applicando il modello negoziale SoBoN, è il nuovo quartiere fieristico Messestadt Riem. Si tratta della rigenerazione urbana di una rilevante area (560 ettari) posta al margine del confine di Monaco, resasi disponibile in seguito al trasferimento dell’aeroporto a nord dell’area metropolitana (Freising). Il 8 F. Ennis (ed.), Infrastructure Provision and the Nogotiating Process, Ashgate Press, Washington D.C., 2003.

progetto di riconversione di quest’ambito urbano, che delimita lo sviluppo della città verso est, è facilmente accessibile attraverso la rete metropolitana e ha rappresentato il più vasto investimento immobiliare dopo quello avvenuto per le Olimpiadi, ha previsto la localizzazione di una nuova infrastruttura fieristica e l’insediamento di 16 mila nuovi abitanti e di 13 mila posti di lavoro in attività direzionali, terziarie e artigianali. L’intervento è stato realizzato con una partnership pubblicoprivato costituita dall’amministrazione pubblica di Monaco, proprietaria dell’intera area, e da un consorzio di banche, attraverso il coinvolgimento diretto della popolazione, promosso da un comitato appositamente costituito dal Dipartimento dei servizi sociali. La mixité residenziale è stata garantita dalla destinazione del 40% delle unità abitative a edilizia sociale, alla quale si è aggiunta una quota del 30% destinata ai gruppi sociali non rientranti nelle fasce sussidiate e nel comparto del libero mercato e appartenenti alle categorie individuate dal nuovo dispositivo “Munich Model”, teso a favorire le famiglie più giovani con figli. Il nuovo quartiere si distingue per l’elevata dotazione e la qualità degli spazi e delle attrezzature collettive, tra cui un parco urbano di 220 ettari e per la presenza di edilizia residenziale a basso consumo energetico. Ciò che l’intervento non sembra però riuscito a conseguire è il carattere di urbanità dell’insediamento per la configurazione morfologica che ha privilegiato l’edilizia aperta e per l’assenza della necessaria varietà delle strutture organizzative. La delocalizzazione della fiera ha reso contestualmente disponibile l’ampia area centrale nei pressi del centro storico – Theresienhöhe – precedentemente occupata da questa struttura, liberandola dal recinto che la separava dall’intorno. La trasformazione dell’area, acquisita dall’amministrazione di Monaco dall’ente fieristico e restituita a funzioni urbane, è stata delineata da un piano esito di un concorso pubblico. Ha preceduto quest’ultimo un’intensa attività di coinvolgimento della po-

7 - Potenziali insediamenti previsti in connessione con le stazioni del sistema ferroviario, secondo il piano regionale di Monaco (fonte: City of Munich, Department of Urban Planning and Building Regulation, Perspective Munich, 2005).

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8 (a sinistra) - Progetto delle aree comprese nel Zentralen Bahnflächen, schema del verde. 9 (a destra, in alto) - Progetto delle aree comprese nel Zentralen Bahnflächen, sistema delle connessioni con il tessuto urbano. 10 (a destra, in basso) - Progetto dell’area dell’ex-caserma Ackermannbogen (planimetria progetto vincitore).

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TRASPORTI & CULTURA N.36 polazione dei quartieri circostanti, dove elevata è la presenza di immigrati stranieri. Le proposte emerse, relative alla configurazione del nuovo insediamento – un ampio parco urbano, la presenza di servizi commerciali di vicinato, una consistente dotazione di attrezzature scolastiche, per l’infanzia e per i giovani e di unità abitative in affitto a prezzi calmierati – sono state recepite nel bando di concorso e tradotte in specifiche prescrizioni d’uso del suolo. L’operatore privato ha acquisito il 45% dell’area per la realizzazione di un insediamento denso, costituito da 1.400 unità abitative – delle quali il 50% destinato all’edilizia sociale in affitto – e da strutture terziarie (per 270 mila metri quadrati di superficie utile). L’insediamento è completato da un parco pubblico, che occupa quasi un quarto dell’area, e da un’attrezzatura culturale (museo), con la quale è stata recuperata una parte degli edifici della vecchia fiera9. Un ulteriore programma che interessa la riconversione di ambiti urbani strategici, con la previsione di un’elevata quota di unità residenziali, è il Zentralen Bahnflächen, il quale definisce le linee guida di un progetto unitario di rigenerazione urbana per l’insieme delle aree poste a ridosso della fascia di circa otto chilometri, occupata dalla rete ferroviaria tra la stazione centrale e quelle di Laim e Pasing. Si tratta di una superficie complessiva di 170 ettari prevalentemente di proprietà delle società sussidiarie dell’authority delle ferrovie del governo federale, precedentemente adibita a scalo e deposito di container. In quest’ambito sono previsti insediamenti misti, residenziali, commerciali e produttivi (piccole e medie imprese che operano nell’artigianato di qualità) – per 16 mila abitanti e 19 mila posti di lavoro – e una rilevante dotazione di infrastrutture sociali che incrementano le aree per il tempo libero e le attrezzature collettive dei quartieri limitrofi. Gli insediamenti, in corso di ultimazione e per la realizzazione dei quali sono stati applicati i principi del socially just land use – che assicurano, come già precisato, la realizzazione di quartieri socialmente misti – consentono la ricomposizione del tessuto edilizio lungo la rete ferroviaria e la sua separazione da questa attraverso un’ampia fascia verde che è stata connessa alle altre aree a parco esistenti e di progetto attraverso una rete di spazi verdi in grado di produrre effetti di mitigazione del clima urbano. Prototipo delle politiche di housing sociale, che esemplifica anche la strategia di ridensificazione e di riconversione di aree urbane, è il progetto Akermannbogen, che prevede la rifunzionalizzazione in aree residenziali nel centro urbano, nelle vicinanze del parco Olimpico, di un grande comparto precedentemente occupato da caserme militari. Si tratta di un ambito di circa 40 ettari che, quando completato, ospiterà 2.200 unità residenziali e circa 650 posti di lavoro. L’intervento, concepito in stretta relazione con il programma Living in Munich, ha un’ampia gamma di tipologie abitative, che cercano di soddisfare le domande emergenti nel settore abitativo (dagli alloggi per famiglie a basso reddito, alle residenze per anziani e studenti) e di raggiungere un equilibrio sociale, ed è integrato con funzioni commerciali e produttive e con attrezzature sociali per l’infanzia e per anziani. Il progetto ha anche cercato di rispondere in modo innovativo alle istanze di sostenibilità ambienta-

le, attraverso la realizzazione di edifici che fanno uso di energie alternative, di infrastrutture per il risparmio energetico e una conformazione dello spazio libero a verde che consente di completare la struttura reticolare di connessione del sistema delle aree verdi, anche in vista della riduzione del calore. La rifunzionalizzazione delle aree delle ex-caserme è una delle azioni strategiche più rilevanti del programma Living in Munich in corso di realizzazione e che si sviluppa su un periodo di cinque anni. Coinvolte nel processo di rigenerazione urbana sono aree per complessivi 180 ettari, prevalentemente ubicate a nord di Monaco, nei distretti di Hasenberg e di Freimann. La riconversione di questi grandi recinti a spazio urbano e ad usi prevalentemente residenziali, con una significativa presenza di edilizia sovvenzionata e di nuove tipologie di housing, quali gli atelier per artisti (nell’area individuata come “quartiere creativo”), consentirà di ricostituire il tessuto edilizio di questa parte urbana fortemente frammentata, riqualificandolo con un’articolata infrastruttura sociale (dalle scuole, agli asili per l’infanzia, alle attrezzature culturali), una rete di spazi commerciali, istituti e centri di ricerca pubblici e privati. Quelli descritti sono alcuni dei progetti esemplari attraverso i quali è stato implementato e aggiornato il piano strategico. Oltre a perseguire politiche di riduzione del consumo di suolo, di ridensificazione dell’area urbana e di miglioramento della qualità della vita, dimostrano come il governo locale, anche con il coordinamento e l’integrazione di programmi e politiche e la messa a punto di un modello negoziale pubblico-privato basato su regole chiare che limitano fortemente la discrezionalità del comportamento delle istituzioni pubbliche, sia stato capace di derivare dai processi di valorizzazione immobiliare, implicati dai progetti di rigenerazione urbana, un rilevante capitale fisso sociale e di attuare politiche di mitigazione degli effetti distorcenti del mercato urbano e di coesione sociale. Riproduzione riservata ©

9 M.C. Gibelli, Vivibilità e nuova urbanità nelle politiche e nei progetti di rigenerazione urbana, in I. Boniburini (a cura di), “Alla ricerca della città vivibile”, Alinea, Firenze 2009.

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Svizzera: una scelta popolare di modifica di una legge di pianificazione di Emanuele Saurwein

È difficile capire il motivo per il quale il popolo della Confederazione Svizzera ha accettato la modifica della legge sulla pianificazione del territorio (LPT) lo scorso 3 marzo 2013, senza prendere in considerazione alcuni aspetti della stessa politica svizzera di questi ultimi 20 anni. Infatti, quanto votato dal popolo svizzero rientra in una logica di sostenibilità e di riorganizzazione delle proprie basi civili, non solo quindi di quelle territoriali, che ha e avrà sempre più ripercussioni sul modo di vivere e di abitare. È una presa di coscienza di un cambiamento radicale e irreversibile di un modo, appunto, di considerare il territorio. Questo breve articolo ha quindi come obiettivo quello di annotare prima e di indagare poi le reali possibilità che la nuova legge avrà sulla gestione di un piccolo territorio come quello della Confederazione Svizzera. Una sorta di possibile esperimento reale. Una gestione del territorio che rientra in una nuova visione del futuro. Una visione che piano piano diventa parte della realtà.

Un aspetto generazionale La Svizzera – e quindi il suo popolo - è una Confederazione. Questo significa che popolo e Cantoni hanno la sovranità e la responsabilità di realizzare i compiti che si sono dati liberamente. Così, la Confederazione Svizzera si è impegnata nel 1992 a Rio, alla Conferenza sull’Ambiente e sullo sviluppo delle Nazioni Unite a cui parteciparono altri 171 governi, a promuovere i due concetti di base di una società che – per scelta o per necessità – vuole orientarsi alla sostenibilità. Il primo concetto base è che il sistema ecologico globale ha un limite di sostenibilità determinato dal fatto che questo è un sistema chiuso. Il secondo concetto é che ogni individuo ha il diritto di veder soddisfatti i propri bisogni di base (rimando per questi concetti al rapporto sullo stato dell’umanità del Club di Roma, intitolato “I limiti della crescita”, datato 1972). Questi due sistemi messi insieme mettono in forte relazione, anzi uniscono, le generazioni – ossia le persone, il popolo confederato nel nostro caso - avendo così ben chiara l’idea di temporalità che le unisce. Sembra un aspetto banale, ma non lo è affatto. Aver preso (forse sarebbe opportuno scrivere ri-preso) consapevolezza che le generazioni non sono separabili, ma sono appunto inter-generazioni, é un terremoto che farà crollare tutta una serie di concetti territoriali, sociali e di impostazione del modo di vivere e di organizzarci. Una sorta di domino, che pezzo dopo pezzo viene a cadere. Dopo una visione della modernità impostata sullo spazio (il rapporto città-campagna,

Titolo Switzerland: the people Autore vote to change a planning law by Emanuele Saurwein Fuga. Qui aborers picimin conemo od maio

ipis re lam dolo quiam ut rem repe plab ipsaperum anda idignimet poritam vendio quatissiment offi ciaSwiss veliaspeople aut oditi quunt On March 2013 the approved repro vellatur amplanning inverchitthe exped quat aut the new “Law for territory”, pa cumiscon coremporro quam which actually a majorexpelitatum change towards autat et quuntur, quunt labor si odis considering the territory in terms of reptat perero blabo. Nemporio This te digendaera sustainable development. new nes eat ex estioraerae volum laciet approach requires the landscape and unt facesto volecup taerspi endundis dunt et the cities to be re-invented, based on eos numet, cusant From restiaover-sized cus idunto qui existing conditions. ratquam ra accust repraes tiamus. building zones andearum scattered settlement Borit hitaque non endissincit exerumq patterns, the new territorial organisation uisque am, aturi dolescite comnis simpos calls for conglomerations with greater et officiudensity stiumquinamustiu et ut building order torerumque liberate free et aut archili gentur mostem venistiundi access to agricultural and leisure zones. voloreicil maximil itemos estiandae In this context, theipsanih territory is considered verum dolor alibus ne atiore ilis eum re as a landscape divided into an urban que volorem eturia nos mi, et volorest, sim landscape, a natural landscape, an alpine enim nobitia temquo id qui quiaspeditat landscape, and so on. eos ut rerem iusa consed Thisdisquos new vision of the sam territory, based que licitius, as et volectem ratio test, vellibus, on sustainability and therefore on the apis nonsed pediciendam, idea of time asquaestemque well as space, has become nullupt possibleinulparum since 1999,ipictat. when the concept Faccabo. Ecae nis eatent volorum etur? of sustainable development was added Ucientinctus rerum, sitas quiate nullabo to the Swiss Federal Constitution and remque ad ma volorenda corum, comnim subsequent legislation. reicia cus, optatquam simus cum, sinctor The author considers this revolutionary epudaercius, ommolo berume process, et hilictate change of view as an on-going vendipsandem et aborat rem fugiass which will lead to more sustainable living iminumet in the future.expediti dolorem haruptas restor mint es secumet ommo modipsam quis doluptiatur sequi nobis accus atat mi, voluptati volor aligenimet quaepudant labo. Nam vendae lique vitaeptaquis molupie ntibusamus volore, offictio dolupta tisimeniant omnis re dollab ipsunt quisque di dolorehenis demporepudis alibus dipidi qui que verovit ibuscius, quidenet, od eribearum aut que dolest et, odigeni andebit volorum ipis et exera samus cum nos et fuga. Us, consequia volorem oluptio quam voluptatur, omnimporecus dest, in et ipiciis citiam sit elitibu sandis venissitis aut experias rerio blandio. Ribusci mpore, iur sanissequae vendis suntium et quaesto mod quam, ut il es mo voluptae

Nella pagina a fianco, in alto: vista della piana di Ambrì salendo al Ritom; in basso: scatto dall’autostrada A2 Chiasso-Basilea.

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1 - Veduta del Matterholm. 2 - Area della stazione di Lugano.

3 - Panoramica di Lugano.

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la periferia, i sobborghi, le aree industriali, gli azonamenti … si ritorna a una concezione impostata sul tempo. Lo spazio, il territorio, viene inteso ora quale paesaggio e come tale si inizia a costruirlo, a dargli gli aggettivi appropriati: paesaggio urbano, paesaggio naturale, paesaggio alpino, … Quanto è sorprendente è la dimensione territoriale di questa lettura. Non più limitata ai propri orizzonti, ma spostata a scala globale. Si misura finalmente il battito cardiaco del nostro pianeta. Sono concetti chiave oggi e sono nella mente di chiunque sia impegnato nella progettazione o nella costruzione di strade o di nuove infrastrutture, di edifici o città, di chiunque si occupi di amministrare o di finanziare, di vendere o comperare qualsiasi cosa sui mercati, o quantomeno dovrebbero esserlo. Per le nuove generazioni questi nuovi principi di convivenza fanno parte dei programmi scolastici fin dalla scuola dell’infanzia e sono socialmente materia acquisita. Un fondamentale cambiamento culturale e di percezione del mondo. Un dato molto fondato: di questo mondo nuovo! Ma non è così facile far convivere questi nuovi concetti, queste idee, con la consolidata e cieca realtà delle cose. Soprattutto con la parassitaria abitudine, che rende spesso ciechi e sordi. Per molti anni l’uomo – il cittadino in particolare - ha pensato diversamente (soprattutto l’uomo europeo od occidentale) e ora si trova davanti a una condizione mutata. Aggiungo, una “condicio sine qua non”. Senza la quale non vi è lettura alcuna dei fenome-

ni che stanno accadendo. Mi riferisco ovviamente alla mia nazione, luogo in questo momento privilegiato di possibilità, ma potrei estendere il discorso ad altre realtà apparentemente diverse.

Sviluppo Sostenibile Nel 1987 appare sulla scena mondiale il concetto di “Sviluppo Sostenibile”, concetto racchiuso nel Rapporto Brundtland. Assistiamo passivi a un problema ambientale e sociale, oltre che ovviamente economico. Sono i tre pilastri sul quale il nostro futuro dovrà appoggiarsi. Avremo poi occasione di verificare come spesso le intenzioni siano rimaste tali, ma anche come qualcosa, in uno scorrere carsico, stia per affiorare a scala mondiale. Nel 1994 tuttavia, ad AAlborg, viene sottoscritta una carta che concretizzerà l’Agenda 21 a livello locale. Città e comuni firmano un accordo per avviare azioni sostenibili. Questo è il primo segnale concreto di azioni mirate. Azioni mirate alla scala del quotidiano, ossia una scala che tutti noi possiamo facilmente gestire. I Comuni (la Confederazione Svizzera è fondata sulla relazione istituzionale Comune-CantoneConfederazione) iniziano a promuovere concretamente progetti impostati soprattutto sul risparmio energetico e sulla sostenibilità. È argomento ancora d’avanguardia per molti, ma la classe politica inizia a vedere in questi argomenti le neces-


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sarie premesse per la propria sopravvivenza. Si ha quantomeno in chiaro che molti problemi legati allo sviluppo sostenibile passano e passeranno per le realtà locali. La cultura di una nazione passa soprattutto dalla classe politica che la gestisce, nel proprio piccolo comune e a livello di governo nazionale.

Ragionare sull’idea di tempo e non solo di spazio Tutte le dichiarazioni, le carte, gli accordi e le agende sviluppatesi negli anni hanno valore unicamente d’intenti, di principi; sono generici e non sono vincolanti per gli Stati firmatari. Tuttavia, la Confederazione Svizzera ci ha creduto. O forse ha preso semplicemente atto con straordinaria lucidità che quanto discusso e osservato in questi anni, attraversato da due crisi energetiche importanti, una crisi economica senza precedenti e guerre sparse per il controllo delle materie prime, delle risorse energetiche, era in effetti un radicale cambiamento in atto. Molto più rapido di quanto si fosse potuto solo immaginare. Forse, proprio il fatto di non avere risorse prime e di faticare per produrre energia è stato il motore di questa scelta svizzera. Negli ultimi 40 anni il pianeta Terra -la nostra casa - è cambiato più che in tutta la sua esistenza. Questo grazie unicamente all’opera di quello straordi-

nario essere che è l’uomo. È il nostro essere uomini che ci ha condotto a queste condizioni. Abbiamo quindi preso semplicemente atto che stiamo modificando il pianeta. Abbiamo preso coscienza che il tempo è la condizione dentro la quale lo stiamo facendo. Il 18 aprile del 1999 la Confederazione Svizzera modifica la propria Costituzione Federale che non era mai stata oggetto di una revisione totale dal 1874 . Il 59,2% dei cittadini dice sì alla nuova Costituzione Federale Svizzera. Lo sviluppo sostenibile diventa, ora, la base esplicita del nuovo accordo tra il popolo e i cantoni. Da questo momento - e solo con questo atto di volontà nazionale - non sono più semplici parole o solo intenti attorno al grande tema della sostenibilità. Chiunque in Svizzera, per accordo preso liberamente, è vincolato a rispettarne il valore. Il valore della sostenibilità. Ci vuole ancora qualche anno affinché leggi federali e ordinanze vengano modificate e riscritte, ma non si fanno attendere troppo. È stimato che entro il 2020 le leggi si adatteranno al nuovo quadro costituzionale. Ci vuole tempo. Mi interessa in particolare dare uno sguardo trasversale al preambolo alla Costituzione Federale: “Consci della loro responsabilità di fronte al creato, […], in uno spirito di solidarietà e di apertura al mondo, […] Coscienti delle acquisizioni comuni nonché delle loro responsabilità verso le generazioni future, […] si sono dati la presente Costituzione”. In questi pochi e brevi estratti ritroviamo uno spirito nuovo. Una motivata e rinnovata capacità di responsabilità verso le generazioni future (quelle che non sono ancora nate, per intenderci, e quelle che un giorno prenderanno altre decisioni). L’intergenerazionalità è scritta nel preambolo della Costituzione Federale. In questi lunghi anni di lavoro svolti dall’amministrazione e dalla classe politica, così come dalle nuove generazioni cresciute all’interno di questo nuovo modo di vedere la realtà, stia il fondamento nel rinnovare le proprie abitudini. In questi brevi estratti dal preambolo, leggo un cambiamento culturale che ha poi permesso tutta una serie di successivi interventi atti a una nuova definizione di paesaggio, di città e di territorio. Questo è quanto stiamo vivendo, votazione dopo votazione, decreto dopo decreto. Una breve istantanea quindi su questo passaggio importante di modifica della cultura di una nazione era necessario. Io ritengo che si sono modificati e rinforzati i pilastri sui quali si regge il patto costituzionale e questa è un grande, straordinaria occasione. Non facile, non immediata, certo, ma di portata unica dalla quale nascono poi tutta una serie di scelte che sono ancora in corso. Si è aperto il più grande cantiere che permetterà la riorganizzazione del territorio svizzero.

Il Progetto Territoriale Svizzera Conseguentemente, nel 2009 il Consiglio Federale ha integrato la strategia per uno sviluppo sostenibile nel programma di legislatura; e ancora nel 2012 il Consiglio Federale, per il tramite dell’ Ufficio federale dello sviluppo territoriale (ARE), Settore sviluppo sostenibile, pubblica il testo “Strategia per uno sviluppo sostenibile 2012-2015”. All’interno di queste linee guida, si trova anche l’obiettivo di modifica della Legge sulla Pianificazione del Territorio (LPT). Sempre nel 2012 viene pubblicato - nel mese di dicembre - il “Progetto Territoriale Svizzera”, un documento sottoscritto dal Consiglio 67


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4 (a sinistra) - Scatto dall’autostrada A2 Chiasso-Basilea. 5 (a destra) - La collina di Brè a Lugano.

6 (a sinistra) - Area della stazione di Lugano. 7 (a destra) - Area ai margini del paesino di Arosio, Lugano.

8 (a sinistra) - Vista aerea del piano Vedeggio, Lugano. 9 (a destra) - Scatto lungo l’autostrada A2 Chiasso-Basilea.

federale svizzero, dalla Conferenza dei Governi cantonali, dalla Conferenza svizzera dei direttori delle pubbliche costruzioni, della pianificazione del territorio e dell’ambiente, dall’Unione delle città svizzere e dall’Associazione dei Comuni Svizzeri. È proprio in questo documento che troviamo il modo che permetterà di raggiungere gli obiettivi fissati. Cinque obiettivi specifici: promuovere le qualità degli insediamenti e la diversità regionale, tutelare le risorse naturali, gestire la mobilità, rafforzare la competitività, affermare la solidarietà. Tre sono le strategie per il raggiungimento degli obiettivi (con le relative carte della Svizzera). La prima vede la Svizzera come uno sviluppo policentrico di città e di agglomerati, la seconda ha lo scopo di valorizzare gli insediamenti e i paesaggi, la terza vede nel coordinamento dei trasporti e degli insediamenti la chiave per migliorare l’efficienza energetica. Cinque associazioni attive su tutti e tre i livelli istituzionali; la Confederazione, i Cantoni e i Comuni sono concordi e unanimi nel modificare la Legge sulla Pianificazione del Territorio. Le basi quindi sono ferme e hanno un valore condiviso. La SIA (Società Svizzera Ingegneri e Architetti), l’A68

SPAN (Associazione Svizzera per la Pianificazione del Territorio), inoltre, appoggiano il progetto di revisione della legge a livello nazionale. La stessa modifica della Legge sulla Pianificazione del Territorio (LPT) è stata sottoposta dall’ufficio per lo sviluppo territoriale (ARE) ad analisi di sostenibilità con criteri assai selettivi.

Il 3 marzo 2013 Il 3 marzo 2013, con una percentuale del 63%, il popolo svizzero accetta la modifica della legge. Un dibattito molto importante ha accompagnato la votazione. Solamente con un lavoro iniziato più di vent’anni or sono, faticoso e necessario, il popolo svizzero - i suoi cittadini - ha preso coscienza che il paesaggio e le città devono essere, sulla base di quanto esiste, reinventati. La revisione della Legge sulla Pianificazione del Territorio è quindi un passo in direzione di un nuova visione del modo di abitare. La Svizzera ha oggi circa 8 milioni di abitanti, su una superficie territoriale di 41,285 km², ossia una densità pari a circa


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10 e 11 - Progetto Territoriale Svizzera.

190 abitanti per km². Un dato non stabile in quanto la popolazione, per forte immigrazione, è in crescita. Inoltre, l’invecchiamento attivo della popolazione (una popolazione sempre più anziana e sempre più longeva) farà sì che lo scenario dei 10 milioni di abitanti per il 2050 sia abbastanza realistico. Un cittadino svizzero consuma il triplo delle reali possibilità sostenibili a lungo termine che la Svizzera offre. Questa è l’impronta ecologica della Svizzera (http://www.footprintnetwork.org). I 2/3 di questo consumo sono generati dalla mobilità e dall’organizzazione frantumata delle attività lavorative e residenziali. Ci si sposta molto sul territorio e questo è un gran consumo di energia. Quali effetti avrà quindi l’entrata in vigore della nuova Legge sulla Pianificazione del Territorio? Di base, la Confederazione delega ai Cantoni la pianificazione del proprio territorio con lo strumento

del Piano Direttore Cantonale. I Cantoni a loro volta chiedono ai Comuni di organizzare il territorio comunale, attraverso l’uso del Piano Regolatore. La nuova legge ha l’obiettivo di garantire un uso più parsimonioso del suolo, con l’imposizione da parte della Confederazione ai Cantoni di ridurre l’estensione delle zone edificabili sovradimensionate. Si vuole passare, in sintesi, ad un’organizzazione territoriale più densa e meno dispersiva. Si vogliono rinforzare gli agglomerati e le città, aumentandone la densità abitativa, al fine di liberare aree di paesaggio per l’agricoltura e lo svago. In questo modo si concentrano le attività prevalentemente là dove già oggi ci sono i mezzi di trasporto, la rete viaria, elettrica e idrica. È un progetto di riorganizzazione di quanto esiste. Vengono ottimizzate le reti esistenti. Ovviamente l’aumento di densità edificabile, anche importante per alcune 69


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12 - La collina di Breè a Lugano.

aree, porterà vantaggi economici ai proprietari fondiari di queste zone. La legge prevede quindi una tassa sul plusvalore (si discute in ogni Cantone quanto debba essere il valore di questa tassa, che per legge è al minimo il 20% del plusvalore, ma che può raggiungere anche il 50%, come nel caso di Basilea città). Questa tassa ha lo scopo di “sistemare” il territorio, attraverso nuovi progetti di riqualifica di sentieri, piazze, strade, … è quindi un grande progetto di riqualifica, ben rappresentato dalle carte del Progetto Territoriale Svizzera. Un progetto, attraverso una legge, per arginare il consumo del suolo. Inoltre, la legge prevede che un beneficio di indici su un fondo sia messo in pratica entro 15 anni. Infatti le zone edificabili andranno definite “in modo da soddisfare il fabbisogno prevedibile per 15 anni” (art. 15, cpv. 1 della LPT). Questo per evitare una tesaurizzazione del fondo con conseguente speculazione fondiaria. Ecco, nuovamente il parametro temporale.

Ambizione: una nuova misura di paesaggio Io reputo questo un progetto ambizioso, esattamente come fare un progetto di un edificio sostenibile, e applicato per la prima volta a un intero territorio nazionale. Un progetto, sostenuto 70

ora da leggi (non dobbiamo dimenticare l’altra importante legge, ossia quella sull’uso razionale dell’energia, anch’essa figlia della Costituzione Federale, art. 89), che permetterà di utilizzare nuovi strumenti nel progettare il paesaggio: valorizzare, densificare, tutelare, proteggere, coordinare, limitare, integrare, salvaguardare, armonizzare, rafforzare, sostenere … Obiettivo comune è il paesaggio, non più da intendersi in termini di Natura, ma un paesaggio completamente antropizzato e quindi un Artificio. Un paesaggio artificiale, fatto quindi ad arte. La responsabilità del cittadino – preambolo della Costituzione - è qui evidente. Non può esserci un nuovo paesaggio-progetto, se non c’è la responsabilità individuale di curarlo. Dalle Alpi ai laghi di pianura, avremo un paesaggio inteso come opera organizzata e pianificata dall’uomo per le generazioni future, le quali dovranno farsi carico di ri-progettarlo per le successive generazioni. Nuovamente il parametro temporale. La rete dei trasporti in tutto questo gioca un ruolo fondamentale in quanto è quella che permette il funzionamento di questa straordinaria visione e di questo modo di vivere nuovo. È il trasporto in tutte le sue forme, infatti, che riduce i tempi di attraversamento e di percorrenza di uno spazio artificiale e quindi, se vogliamo un territorio sviluppato e armonizzato nel suo essere paesaggio, dovremo dotarci di sistemi di trasporto che a tutti i livelli permettono di raggiungere la meta desiderata in tempi ridotti. Estremamente ridotti.


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13 - Progetto Territoriale Svizzera.

La legge avrà diversi mezzi per attuare questo progetto ambizioso. Dalla pianificazione dei quartieri sostenibili, per contenere la dispersione degli abitanti sul territorio, ai poli urbani densi e multifunzionali (per inciso, assisteremo nei prossimi anni a un grande cambiamento nel modo di produrre, grazie alle nuove tecnologie sempre più nuove, di produzione di beni e servizi), spazi pubblici intesi come spazi intergenerazionali, la ricomposizione particellare, coordinare i Piani Direttori Cantonali, misure per rinnovare gli edifici, promuovere la qualità degli edifici e degli insediamenti, solo per citarne alcune. I comuni, attori di questo processo, disporranno di strumenti quali il piano di utilizzazione comunale o piano di azzonamento (vincolante per i proprietari), dove sono definite le superfici e la loro destinazione e il traffico, i programmi di agglomerato, così come la pianificazione di quartieri, progetti modello, piani di sviluppo paesaggistico … Quindi, e per concludere, la LPT è una legge che in realtà è uno strumento di progettazione di un intero territorio. Certo, una lettura forse spinta oltre le reali possibilità di questa legge, ma ritengo che ad ampio raggio queste siano le possibilità, da utilizzare appieno, che poggiano su questa legge. Come ho voluto evidenziare, questo passaggio è inoltre strutturale. Non è un episodio e come tale non deve essere visto. Anche la votazione sull’iniziativa Minder (quella sulle retribuzioni abusive, che era in votazione lo stesso giorno della LPT, e che è passata in tutti i 26 Cantoni, con una percentuale di quasi il 70% di sì, si basa sul presupposto di una maggiore responsabilità individuale) rientra in una mutata percezione della realtà. In generale è un cambiamento contro gli eccessi. Siano questi di paesaggio o finanziari. Appunto in un orientamento verso un senso di sostenibilità ampio e diffuso. Questo scritto non è un saggio, ma sono note a poca distanza di tempo da una votazione popolare che ha scelto una via: quella della misura. Solamente tra qualche anno si potrà verificare e quindi

analizzare se lo strumento pianificatorio scelto sia rispondente ai mutati bisogni. La Svizzera, come quasi tutti i territori nazionali che io conosco, ha realmente bisogno di essere ri-progettata partendo dall’esistente, dando peso al paesaggio che in questi anni di grande attività edilizia, è stato sacrificato in nome della crescita economica (… e della speculazione). Riproduzione riservata ©

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Parigi, un salotto urbano per la piazza della stazione Saint-Denis Centre di Cristiana Mazzoni, Francesca Fontana e Anne Jaurèguiberry

In un recente dibattito organizzato a Strasburgo sulle Teorie del progetto della terza modernità1, abbiamo posto l’accento sulla necessità di riformulare, all’interno dell’università, i quesiti legati al progetto architettonico e urbano alla scala metropolitana. Molti sono i teorici – primi fra tutti gli economisti e i filosofi – che sottolineano i cambiamenti di paradigma intervenuti nell’epoca dell’”ipermodernità” attuale, in cui la città e le sue periferie sono chiamate a evolvere secondo schemi e principi tutti da ridefinire. Tale nuova forma di modernità non è altro che l’espressione della rivoluzione numerica in atto, che induce una revisione delle pratiche e delle scale del processo del vecchio progetto urbano. Se la si considera sotto l’angolo delle comunicazioni, si tratta di una “terza modernità”, che succede alle due precedenti, legate rispettivamente alla prima e alla seconda rivoluzione industriale, all’arrivo del treno e, in seguito, dell’automobile come mezzi di trasporto e di strutturazione del paesaggio urbano. Il passaggio dal progetto urbano al progetto territoriale - al progetto cioè delle diverse sfaccettature del mosaico di cui è composta la città alla scala metropolitana - segue, secondo noi, una duplice strada: esso pone innanzitutto l’attenzione sulle specificità geografiche, sociali, politiche, morfologiche del luogo e rivela un approccio bottom up, attento a tutto ciò che contribuisce a delinearne il genius loci; esso propone, nello stesso tempo, un’interpretazione poetica e sensibile del luogo, attenta sia alle percezioni e alle sensazioni che esso suggerisce, sia a dati oggettivi e quantitativi, e interviene a definire un nuovo e rivisitato approccio top down. La soggettività del luogo, da una parte, coniugata alla soggettività dell’osservatore/progettista, dall’altra, contribuisce a sottolineare uno dei tanti aspetti paradossali della nostra epoca: più la mondializzazione porta a livellare le differenze, più tale livellamento è controbilanciato da un’attenzione alle specificità e soggettività emergenti. Questa posizione riguardante l’approccio del progetto territoriale ha di recente interessato una nostra ricerca-azione centrata sull’evoluzione delle stazioni e dei territori ferroviari da riconvertire, situati nella regione del Grand Paris2. In partico1 Projet et théorie(s) de la 3e modernité, tavola rotonda all’Ecole d’architecture di Strasburgo, 17 aprile 2013. L’articolo si basa in particolare sullo studio effettuato da Francesca Fontana per la sua tesi di dottorato in cotutela : Francesca Fontana, ‘Seuils’ et ‘densités’ dans les perspectives de régénération urbaine au tournant du XXIe siecle, Université de Strasbourg, Università di Pescara, aprile 2013. 2 Cfr. Cristiana Mazzoni e Anne Jaurèguiberry (dir.), Valérie Lebois, Marie-Christine Welsch, La gare-seuil et l’imaginaire de

Paris, an exclusive urban space for the city square at the Saint-Denis Centre Station by Cristiana Mazzoni, Francesca Fontana and Anne Jaurèguiberry “La Ville 24H Chrono” is a research program of the French Ministry of Culture and Communication concerning new urban strategies for the metropolitan and regional development of Greater Paris. It joins and pursues the objectives of the international consultation “Le Grand pari(s) de l’agglomération parisienne”, and its role is to define new issues for urban research, renewing sources, methods and working hypotheses. The AMUP laboratory from Strasbourg and the urban agency AUPA-URBA have been involved in this programme focused on the global theme of “re-thinking” the ancient stations of regional railways (RER) and their surroundings. The project concentrates on La Plaine Saint-Denis, a 750-hectare metropolitan area located immediately to the north of Paris, with formerly declining industries and transport infrastructure. The urban designers involved in the 1991 consultation joined together to conduct the Urban Project planning, and created the Group Hippodamos 93 for this purpose. In 1992-94, they produced an important vision and method for the regeneration of the entire area and studied the integration of the Stade de France. When the Commune of Plaine created its own Urban Planning Department in 1999-2001, Hippodamos ceased its work. Today, the “Saint-Denis Centre” railway station appears as an ancient building, underdeveloped for this renovated strategic area, to the detriment of the old hearth of Saint-Denis, the social housing district and the new activities area. Our project proposes a bottom-up design strategy that can engender new ways of defining the inhabited environment of the station: a “cultural “ and “democratic” strategy that reinvents the relationship between inhabitants and their mobility.

Nella pagina a fianco: immagini del territorio ferroviario nel cuore della Plaine SaintDenis.

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TRASPORTI & CULTURA N.36 lare, attraverso l’allestimento di un “salotto urbano” della durata di un giorno, nella piazza della stazione di Saint-Denis, si è cercato di raccogliere le impressioni, le immagini, i sogni e le posizioni critiche dei numerosi passanti e degli abitanti dei quartieri limitrofi al settore ferroviario: un materiale prezioso che costituirà una base interessante per la riflessione sul divenire delle stazioni regionali e metropolitane del Grand Paris e sulla possibilità di proporre nuovi progetti sperimentali. In questo articolo ci soffermeremo a descrivere i due quadri in cui si è inserita tale ricerca-azione : quello dello sviluppo territoriale della Plaine SaintDenis e della conversione di vasti settori industriali in cluster della creatività, e quello della riflessione sulla mobilità proposta dal Ministero della Cultura francese attraverso il programma “La Ville 24 heures Chrono”.

Verso la costruzione di un cluster della creatività a Saint-Denis

1 - Carta dei settori di progetto del territorio metropolitano di Parigi. A Nord, il settore della Plaine Saint-Denis. APUR, 2012.

2 - Marie-Christine Welsch, manifesto della ricerca-azione La gare-seuil et l’imaginaire de l’homme métropolitain, MCC/BRAUP, 2012-2013.

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Da quando le città europee si sono impegnate in una concorrenza internazionale, il dominio della creatività, che in Europa era associato piuttosto a politiche pubbliche trasversali o all’istituzionalizzazione di azioni collettive e temporanee, sembra convergere verso il modello americano dove le attività legate alla creatività sono piuttosto la risultante di iniziative di attori economici privati. Ancor più, dal momento in cui la parola d’ordine “creatività” sembra diventare essenziale per far ripartire le aree industriali delle città dopo i postumi del caos lasciato dalla deindustrializzazione, e di cui la Plaine Saint-Denis - primo grande territorio industriale francese fino agli anni 1970 - è un esempio emblematico. Situato a nord di Parigi, a partire dagli anni 1970 il sito era stato oggetto di problematiche dismissioni e del conseguente smantellamento di grandi impianti industriali, che avevano accentuato le cesure causate dal passaggio di pesanti reti infrastrutturali. Proprio su questo vasto territorio (dove si concentrava anche il più alto tasso di immigrazione della regione), morfologicamente ambiguo e praticamente ingovernabile con gli strumenti classici del progetto urbano, un famoso gruppo di professionisti, coordinato dal paesaggista Michel Corajoud, aveva gettato le basi di un nuovo modo di pensare e fare il progetto, basato sull’urbanistica dei legami e a partire dal disegno degli spazi vuoti3. A distanza di vent’anni dal progetto urbano del gruppo Hippodamos, e dopo l’istituzione politica di una nuova istanza comunale - Plaine Commune -, nel 2000 l’area ha conosciuto un dinamico processo di progetto territoriale che è servito anche l’homme métropolitain, programma “La Ville 24 heures Chrono: “L’architecture en quête du territoire en mouvement”, MCC/ BRAUP, 2012-2013. 3 Ci si riferisce in particolare alla prima fase del progetto per la Plaine Saint Denis, quella che va dal 1980 al 1993, i cui autori sono Michel Corajoud, Yves Lion, Pierre Riboulet, Philippe Robert, Christian Devillers. I principi su cui si impostava il progetto erano sostanzialmente: la forte presenza del senso del luogo - lo spazio pubblico - un’urbanistica di prossimità attenta alle relazioni - l’interpretazione delle aree residuali industriali - un risanamento alternativo - il lavoro sul tessuto parcellare (anche se di grandi dimensioni per la presenza di siti industriali) - la predisposizione del sito all’accoglienza di grandi attrezzature (motore dello sviluppo urbano) - l’impatto dei trasporti nella sistemazione dell’area.


TRASPORTI & CULTURA N.36 a riattivare la grande macchina dei finanziamenti pubblici. L’intero settore ha accolto negli ultimi due decenni importanti attrezzature collettive a livello nazionale: in particolare, la realizzazione del nuovo stadio, costruito nel ’93, la fiera espositiva, e gli edifici del campus Universitario di Condorcet, oggi in fase di costruzione. Tuttavia, il territorio dell’agglomerazione continua a presentare, rispetto agli altri della corona periferica della capitale, il maggior numero di siti obsoleti e da riqualificare, soprattutto in alcuni dei settori ai margini comunali, uniti ad un’offerta abitativa ancora, nel complesso, insoddisfacente. La grande diversità di siti industriali è alternata a numerose aree abbandonate, ad altre ri-naturalizzate e alle vecchie città operaie. Le vaste e obsolete cité di alloggi sociali, riferibili al periodo di politiche sulla città dei Trente glorieuses, prevalgono ancora tra gli aspetti rilevanti di questo paesaggio urbano4. Oltre ai grands ensembles, anche molti degli antichi quartieri di immobili collettivi di proprietà privata versano in situazione di precarietà, così che per un terzo degli abitanti l’accesso alla casa individuale, quando possibile, resta l’unico strumento di riscatto sociale. Nell’ultimo decennio, il settore economico ad exprevalenza industriale ha subito un’importante ricomposizione. A quello più tradizionale e di stampo fordista, e alle attività terziarie di servizio alle imprese si è affiancato un terzo settore, più mediatico, del cinema e del multimediale. Una micro economia dell’immagine e della telematica che riunisce ad oggi più di 2000 imprese della filiera5. Facendo leva sulla presenza sul sito di alcune compagnie di rilevanza nazionale legate alla settima arte, il cinema e l’audiovisivo, l’obiettivo dell’amministrazione di Plaine Commune per rilanciare la creazione di posti di lavoro intendeva, da un lato, amplificare l’indotto che gravita intorno alla rilocalizzazione di grandi imprese (con ateliers, centri di studio di tecnologie innovative, ecc.) e dall’altro, offrire ai residenti senza alcun grado di specializzazione la possibilità di qualificarsi, affinché col tempo l’offerta di impiego potesse pervenire direttamente agli abitanti, in maniera che lo sviluppo economico riuscisse a trainare lo sviluppo sociale. Pertanto, fin dal lancio della consultazione internazionale sul Grand Paris del 2007, da quando nelle aule istituzionali è diventata opinione condivisa che lo sviluppo dei territori centrali e periferici fosse una sfida doverosa da affrontare per lo sviluppo futuro dell’intera capitale, il settore della Plaine è stato identificato fra i più strategici per lo sviluppo della regione parigina. L’agglomerazione della Plaine Commune con i comuni di Saint-Ouen, Aubervilliers e dal 2011 includendo anche quello di Clichy, per un totale di 800 ettari di superficie, è stata annoverata fra i sette clusters del Grand Paris, con la vocazione di diventare un polo della creatività a livello internazionale. La rilevanza dell’operazione e la dimensione territoriale sono state motivo dell’implicazione di diversi attori politici, corrispondenti ad altrettante scale metropolitane: i comuni, le intercomunalità, le agglomerazioni, la regione e lo stato. Accanto a questi organi, l’istituzione di un Atelier partecipativo è stata votata 4 Il parco residenziale in quest’area è formato al 36% da alloggi sociali contro il 25% di tutto il resto della regione Île de France. 5 Secondo una ricognizione del 2006. In De la banlieue à la métropole, P. Estèbe, nella rivista “Projet” n.312 sett. 2009, pp. e in H. Vieillard-Baron La Plaine Saint Denis: un ancien territoire industriel au centre des contradictions mètropolitaines, in “BAGF”, giugno 2011, pp. 164-173.

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3 - Pierre Reb, “Immaginario metropolitano 1”, dalle parole alle immagini, ricerca-azione La gare-seuil et l’imaginaire de l’homme métropolitain, MCC/BRAUP, 2012-2013. 4 (a centro pagina) - Carta dei diversi territori di sviluppo della regione metropolitana di Parigi. Caratterizzazione tematica delle 7 polarità urbane: 1/ La Défense - polo finanziario e di servizio alle imprese; 2/ Pleyel-Plaine Saint-Denis - polo mondiale della creatività; 3/ Le Bourget - sviluppo servizi aeroportuali; 4/ Descartes - ricerca sullo sviluppo sostenibile; 5/ Roissy - CDG - polo a carattere espositivo e congressuale; 6/ Villejuif-Evry - polo di ricerca farmaceutica; 7/ Plateau de Saclay - polo di ricerca in biotecnologie. IAURIF 2012.

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nell’obiettivo di coinvolgere fortemente la popolazione a partecipare all’operazione. Già nei progetti per il Grand Paris alcune équipes, come quella di Protzamparc o di Rogers, avevano proposto un nuovo assetto della Plaine proponendone ipotesi di densificazione in relazione ad alcuni assi strutturanti il collegamento nord-sud con la capitale. Il primo, partendo dal definire la nuova stazione ferroviaria del nord-Europa alle porte di Parigi come un connettore multimodale lungo il quale consolidare ed affermare finalmente nuove volumetrie ed usi di un quartiere disomogeneo dalla forte connotazione popolare. Il secondo, Rogers e la London School of Economics, proponendo di partire da un asse strutturante che nelle fattezze di un parco verde lineare collegherebbe la Senna e la Plaine alla rete degli spazi pubblici di Parigi intra-muros. Su questo nuovo asse del Nord un’accessibilità migliorata farebbe da sostrato per lo sviluppo dei quartieri creativi, stimolando nuove dinamiche sociali. In tutte e due i casi, la riflessione della relazione fra tessuto costruito e spazi pubbli-

ci è fatta sempre a partire da un elemento sovraordinato. Piccole ricuciture urbane che sottolineano la presenza del nuovo asse naturale nord-sud nel caso di Rogers o marcata densificazione del quartiere circostante la nuova stazione europea nel caso di Protzamparc; ambedue non menzionano il tipo di relazioni che intendono prevedere per le differenti tipologie dei tessuti esistenti, come se la configurazione dei quartieri creativi possa da sola redimere i reali problemi sociali e di coabitazione presenti nel sito. Anche in proposte analoghe per altre aree sembra che l’inserimento a scala territoriale di un sistema naturale, concentrato o lineare, possa sostituire l’idea di uno spazio culturale centrale, ed essere inteso come uno “spazio pubblico strutturante” disponibile agli usi più diversi e che amplifica, a scala territoriale, il ruolo che la piazza aveva in un impianto di città classica. Cinque anni dopo l’eco che il lancio della consultazione sul Grand Paris ha avuto nel resto d’Europa, è stato soprattutto grazie all’impegno delle collettività locali che la discussione iniziale ha po-


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tuto relativamente avanzare. Sulla scia dell’euforia suscitata dal dibattito generale, l’amministrazione della Plaine Commune ha incaricato di una nuova diagnosi del sito l’Equipe dell’AUC, per valutare, attraverso un progetto preliminare, la fattibilità della realizzazione del cluster della creazione sancito dalla stipula di un contratto di sviluppo territoriale con la regione metropolitana e lo Stato6. Il contributo dell’AUC alla costruzione dell’immagine di un cluster hybride è consistito nel ripartire da un’analisi attualizzata del substrato della città periferica: grandes ensembles, tessuto di case individuali pavillonnaires, strutture industriali funzionanti o gradualmente in disuso, infrastrutture e canali allo stato attuale (rifacimenti, coperture, trincee), recenti sedimentazioni (comprendendo 6 I CDT, Contrat de développement territorial sono accordi stipulati fra le Collettività locali e lo Stato centrale e fanno parte degli strumenti e metodologie sviluppate nell’ambito del Grand Paris per proiettare e gestire insieme ai governi locali, la ricaduta dei vari progetti sul territorio.

anche il settore più a nord e più lontano da Parigi, sul prolungamento della tangenziale ferroviaria). In altre parole l’intento è stato quello di ritrovare le potenzialità latenti recuperando, come avevano già fatto gli Hyppodamos più di trent’anni fa, l’eredità e le diversità provenienti dal contesto. Il fulcro del sistema del cluster, idoneo ad una migliore declinazione urbana, è stato indicato nel settore Pleyel, il sito destinato ad accogliere una delle più grandi stazioni del nuovo circuito metropolitano veloce, l’Arc Express. A cavallo fra i comuni di Saint Ouen e Saint Denis, in un’area che gode di un’eccezionale accessibilità e caratterizzata da una delle poche torri parigine (risalente al 1969), una nuova stazione a ponte fa da start up per la definizione di un “diverso tipo di spazio pubblico nodale” che introduce allo sviluppo e all’intensificazione urbana di tutto il quartiere, proponendo, insieme, nuove tipologie abitazione/lavoro. Lungi dal voler ripetere l’edificazione di un quartiere terziario monofunzionale come la vicina Défense, il cluster hybride proposto dagli AUC è caratterizza-

5 e 6 - Viaggiare, muoversi, incontrarsi nella grande città contemporanea implica una maggiore articolazione delle diverse forme di mobilità e un nuovo atteggiamento di progetto nei confronti dei luoghi legati alle reti ferroviairie. Copyright: AUPAURBA.

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to da nuovi tipi di spazi di lavoro (small office), da nuove combinazioni residenza/lavoro (small office, home office), e da una diversificata offerta di spazi verdi. Nei “multiparc”, la densità necessaria per ri78

creare una opportuna intensità urbana è ricercata a piccole dosi, sempre in relazione al tessuto residenziale, secondo una molteplicità di forme aggregative che permettono di addizionare piccole parti nel tempo. Un processo che intende essere in sintonia con quanto già accade attualmente sul territorio locale. Il cluster hybride dell’AUC vuole rappresentare il supporto di un nuovo progetto sociale, economico e urbano, portavoce dell’emergenza di un’urbanità contemporanea nei territori del suburbano. Citando il geografo Jacques Lévy, (che a sua volta riprende la definizione di “gradiente d’urbanità” introdotta da Michel Lussault), “l’urbanità è una situazione produttiva che consiste nella massimizzazione della compresenza d’oggetti sociali in una configurazione di distanze minime”. In altre parole, si guadagna in urbanità intensificando la densità o la differenziazione degli elementi, nel prefigurare le potenzialità della metropoli condivisa, dal micro-quartiere fino alla metropoli-rete. Tale urbanità sarebbe anche portatrice di un’innovazione architettonica e urbanistica, anche e soprattutto in termini di prospettiva sociale. “La stimolazione delle sostanze urbane diventa un processo di covalorizzazione di densità, diversità e innovazione.” A livello progettuale, nei disegni dell’équipe, la proposta si traduce in termini di giustapposizione di sistemi di autonomia-interconnessione; pone il problema della composizione di zone di sperimentazione e dell’innovazione degli spazi residenziali. La ricerca spaziale propone una condizione urbana non gerarchizzata e sufficientemente aperta e disponibile ad accogliere le richieste di una società di cui non è possibile anticipare i desideri di cambiamento, ma che diventa quanto mai necessario integrare nel tempo. Rispetto al progetto degli spazi pubblici, l’idea è di mettere a sistema i numerosi terreni dismessi o in fase di dismissione, presenti sul sito che si offrono meglio ad un vocabolario di usi informali per la loro natura più flessibile, e perchè potenzialmente sfruttabili dagli abitanti 24 ore su 24. Due necessari presupposti alla realizzazione dei vari progetti sono la partecipazione della popolazione nel processo insieme agli attori privati e il destinare il 30% del parco immobiliare stabilito dalle cifre del Contratto di Sviluppo alla produzione di tipologie residenziali idonee ad accogliere un’economia creativa (locali ad affitto moderato ed alta flessibilità d’uso). In effetti, sembra che a nord della metropoli parigina si voglia ripercorrere l’esperienza messa in atto in Normandia, con il montaggio dell’operazione dell’isola creativa di Nantes. Sfruttando gli incubatori preesistenti e accogliendo manifestazioni e gruppi autogestiti già presenti e dislocati sull’area, l’idea complessiva è mettere in rete le risorse già presenti sul territorio e affiancare altre attività complementari che possano potenziare la dotazione di domanda-offerta e l’attrattività di tutto il sito. É in questo contesto che si pone anche l’operazione di riconversione di una ex centrale-idroelettrica della EDF firmata dallo studio Reichen&Robert e recentemente inaugurata, in linea generale con la politica di mantenere le vecchie fabbriche sul sito, di integrarle nel disegno complessivo (lì dove ancora funzionanti) o di prevederne un ri-uso. Per questo motivo, i contenitori industriali permettendo l’installazione di differenti tipologie di attività (fablab, officine di prototipaggio, ricerca, ecc.), sarebbero in grado di offrire le basi per pensare ad un “rinnovato tipo di comunità”, insieme a molteplici nuovi modi per ri-


TRASPORTI & CULTURA N.36 spondere tipologicamente alla domanda contemporanea di residenza e lavoro. In questa strategia di densificazione che parte dalla valorizzazione di un inclusivo genius loci, tuttavia sono state contestate dalle amministrazioni, perché poco chiare, le relazioni urbane fra i tessuti insediativi proposti e le aree urbane preesistenti. É quello che si evince osservando la maniera in cui il progetto si interfaccia e si sovrappone fortemente alle infrastrutture ferroviarie (la cui presenza ha influito sempre pesantemente sull’evoluzione del sito), e alle antiche halles della società trasportistica SNCF, con l’intenzione di colonizzarne ogni spazio residuale.

Il “salotto urbano” come principio di progetto Accanto a tali esempi legati ad ecologia e creatività si è affiancato un altro recente slogan portavoce di garanzia di urbanità, quello della ville mobile. Una recente mostra, Ville mobile, organizzata alla Cité de l’Architecture da Jean-Marie Duthilleuil ha permesso di promuovere il programma di ricercaazione “La Ville 24 heures Chrono” - sostenuto in parallelo dal Ministero Francese per la Cultura e dall’Atelier International du Grand Paris (AIGP). Esso ha mobilitato l’interesse di architetti, ricercatori ed artisti verso siti meno conosciuti, ma “significativi” per gli abitanti della metropoli contemporanea, con l’intenzione di parlare di un altro, rinnovato concetto di “mobilità” e intensità urbana. Nove territori della città-paesaggio della regione francese sono stati scelti per diventare teatro di una sequenza di iniziative, distribuite nell’arco delle 24 ore come dimostrazione di “luoghi viventi”, dove intravedere la possibilità di ricostruire legami forti e significativi per lo sviluppo futuro del territorio. Se consuetudine della pianificazione urbanistica è favorire la densificazione dell’urbano intorno ai poli di scambio inter-modali, dove un’organizzazione più efficace degli spostamenti veloci è alla base della configurazione successiva di tutto il quartiere, l’idea di promuovere un’accessibilità generalizzata servirebbe a rendere visibili e rivalorizzare anche quei territori che risultano penalizzati dalla distanza dai nodi della rete dei trasporti collettivi. Nonostante le metropoli attuali si presentino come la combinazione di dinamiche economiche particolari, e di un’articolazione complessa di organizzazioni sociali, la politica dei trasporti per lungo tempo è stata autoreferenziale e slegata dalle altre problematiche urbane. La ville mobile immaginata negli apparati istituzionali, continua ad essere progettata in maniera tradizionale e gerarchica alla scala vasta, risultando di debole incisività nella risoluzione delle problematiche sociali. Se la rete dei trasporti collettivi, così come si è consolidata, continua a seguire un circuito radio-concentrico e gerarchizzato attraverso quei luoghi considerati centrali, in generale un’analisi più approfondita della distribuzione dei gruppi sociali sul territorio, rileva la presenza di una moltitudine di aree potenzialmente più interessanti per lo svolgimento di attività regolari dei cittadini, anche in relazione ad usi ed eventi temporanei. In altre parole, in un sistema urbano costantemente in mutazione, la logica della “produzione di massa degli spostamenti” dovrebbe vertere verso quella della “domanda alla carta”, offrendo un carnet di trasporti diversificati e variabili, più adattabili alle esigenze dei singoli. La ville à la

carte, quindi, insieme alle numerose politiche delle “deboli mobilità” o delle “città delle corte distanze”, implica l’aggiunta, più che la sostituzione, di nuove forme di spostamento e promuove un uso potenziato del proprio tempo libero. Dell’esperienza “La Ville 24 heures Chrono”, ciò che ci sembra anche interessante sottolineare è in che modo una concezione antropologica della mobilità, intesa come accessibilità generalizzata, possa incidere sulla problematica della solidarietà dei territori. Anche su questo punto, la questione della densificazione dovrebbe essere rimessa in discussione, attraverso un nuovo approccio alla mobilità. Ciò implicherebbe di considerare la densità non strettamente dipendente dai collegamenti intermodali, definita matematicamente in base alle politiche fondiarie e statica nel tempo, ma come un potente strumento per il progetto dell’accessibilità.

7 - Nella pagina a fianco, in alto: “L’Imaginarium urbain”, schema cronologico degli eventi svolti sulla piazza della stazione Saint-Denis Centre, giugno 2013. 8 - Nella pagina a fianco, in basso: Pierre Reb, “Immaginario metropolitano 2”, dalle parole alle immagini, ricercaazione La gare-seuil et l’imaginaire de l’homme métropolitain, MCC/BRAUP, 2012-2013.

Al giorno d’oggi, riteniamo che lavorare sulla città che abbiamo ereditato, non può prescindere da una riflessione più ampia portata sugli spazi di relazione. Né dal potenziare la disponibilità del territorio ad accogliere la varietà delle forme culturali che lo rendono significativo per i suoi abitanti. Le sempre più numerose strategie urbane proposte “dal basso” suggeriscono quanto i sistemi urbani siano già organizzati da una pluralità di forme e di azioni che si sviluppano fuori dei regolamenti, capaci di evolvere e rivelatrici di un mondo ricco di immaginazione ed inventiva. Di fronte al clima di incertezza che caratterizza il nostro tempo, saper incorporare il cambiamento attraverso la flessibilità, ma anche integrando elementi di permanenza che sopravvivono nel tempo come valori nell’immaginario comune, diventa una necessità. Pensare a quale configurazione urbana favorisca meglio il passaggio dalla sola riconversione al ri-uso, inteso come un diverso sistema locale di sviluppo, potrebbe essere anche un modo per capire come suggerire un rinnovamento nella gestione locale di queste problematiche. La città in questo contesto di cambiamenti gioca un ruolo essenziale, come un vero e proprio laboratorio su cui si possono intersecare differenti scale progettuali, dalla piccola alla grande, dai parchi urbani, alle piazze, alla pianificazione territoriale. Riproduzione riservata ©

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Il recupero dei Docklands di Dublino di Oriana Giovinazzi

La città di Dublino, nella provincia di Leinster, è affacciata sul Mar d’Irlanda e situata alla foce del fiume Liffey sulla costa orientale dell’isola. La baia è delimitata a nord dal promontorio di Howth e a sud da quello di Dalkey. Collocata lateralmente rispetto all’isola, Dublino costituisce il centro del sistema di trasporto irlandese. Il Dublin Airport è il maggiore terminal aeroportuale d’Irlanda, mentre il porto si attesta come il principale scalo marittimo dell’isola, che non solo gestisce 2/3 del traffico containerizzato da e per l’Irlanda e il 50% circa delle importazioni/esportazioni del paese, ma rappresenta inoltre una componente chiave per il settore turistico e una risorsa per l’occupazione e l’economia della regione. Numerose arterie stradali collegano la città alle principali località irlandesi, mentre una sola autostrada - la M50, completata nel 2005 - attraversa il territorio in direzione nord-ovest-sud come una sorta di raccordo semi-circolare tra le principali strade nazionali. Il porto è collegato alla rete stradale attraverso il Dublin Port Tunnel che, aperto nel 2006, consente un accesso rapido e diretto agli assi di connessione strategici. L’intero territorio è servito da una rete ferroviaria con stazioni ad intervalli regolari: tra queste la Heuston Station (destinazioni meridionali e orientali) e la Connolly Station (Sligo, Rosslare/Wexford, Belfast). In particolare, lungo la costa orientale dell’agglomerato dublinese, i collegamenti sono garantiti dal Dublin Area Rapid Transit (DART), un servizio locale di treni veloci che costeggia la Dublin Bay da Howth a Greystones passando per il centro. La città è dotata inoltre di un sistema tram-metro leggero integrato con il trasporto pubblico urbano, chiamato Luas Line (Dublin Light Rail System) e inaugurato nel 2004, che copre la parte sud di Dublino nonché la zona portuale. La Green Line (linea verde) collega Sandyford a Stephen’s Green, mentre la Red Line (linea rossa) collega Tallaght a Connolly Station. La sua estensione nel 2009 fino ai Docklands ha reso il porto maggiormente accessibile dal centro urbano con l’apertura di 4 stazioni: George’s Dock, Mayor Square, Spencer Dock e Point Village. La componente principale del trasporto pubblico è rappresentata dal servizio dei bus, gestito dalla Bus Átha Cliath (Dublin Bus), che opera sulla rete con circa 200 tratte giornaliere e 24 tratte notturne. Diverse compagnie garantiscono invece i collegamenti su distanze più lunghe e con i sobborghi della capitale irlandese. Va segnalato infine il servizio effettuato tra il centro della città e i Docklands lungo le rive del fiume, il Liffey River Cruises, che consente di apprezzare

The regeneration of the Docklands in Dublin by Oriana Giovinazzi In Dublin the port remained active through the second half of the twentieth century, when containerization and the need for larger areas for stocking and handling cargo from ships caused the activity to be moved towards the eastern edges of the city. The process to regenerate the city-port landscape, which the city undertook in the 1980’s and which has made Dublin one of the most competitive of European cities since the 1990’s, was guided prevalently by the central and specific development agencies. The regeneration of the port waterfront has involved a growing area, including the 526 hectares inside the abandoned Dublin Docklands industrial area and the eastern zone of the city of Dublin. The 2008 Docklands Master Plan delineates a general picture, over a ten-year period, of the area’s regeneration with projects for infrastructure and transportation, building and economics, with the particular goal of developing tourism, culture and art. The investments have made it possible to transform the Docklands into a consolidated shopping area, with new residential areas, and an office district which now houses the headquarters of many companies. The project for the Docklands is one of the most visionary and ambitious projects at the European level, with a recent new Master Plan for the Port of Dublin that proposes several alternatives and opportunities for the development and enhancement of the area from 2012 to 2040.

Nella pagina a fianco, in alto: il Samuel Beckett Bridge e il Convetion Centre Dublin; in basso: le rive fluviali del Liffey; sullo sfondo il Convention Centre Dublin.

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TRASPORTI & CULTURA N.36 dall’acqua il paesaggio storico di Dublino con un tempo di percorrenza di circa 45 minuti.

La città, il porto, i Docklands

1 - L’area dei Docklans di Dublino interessata da diversi progetti di recupero spaziofunzionale.

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Città portuale vivace e dinamica, il cui sviluppo nel corso degli ultimi 300 anni è stato strettamente legato alla crescita e all’espansione delle attività commerciale e mercantile, Dublino ha tuttavia conservato nel corso del tempo una certa distanza dal porto, che resta comunque un elemento fondamentale della sua storia e del patrimonio marittimo. Esteso su 260 ettari di superfici bonificate e per 14 km lungo il waterfront, il porto è rimasto attivo fino alla seconda metà del XX secolo, quando l’avvento della containerizzazione e l’esigenza di aree di maggiore dimensione per le operazioni di stoccaggio e di movimentazione delle navi hanno portato al trasferimento di alcune attività verso i margini orientali della città, nell’attuale posizione, su un terreno bonificato prossimo alla Dublin Bay. A seguito del processo di deindustrializzazione

- che ha interessato la maggior parte delle città portuali in Europa a partire dagli anni ’60 - e del successivo sviluppo di nuove forme di economia, anche la città di Dublino ha conosciuto numerose opportunità di cambiamento che, nonostante la crisi economica irlandese negli ultimi decenni, hanno prodotto interessanti processi di riorganizzazione e riqualificazione urbana accompagnati da progetti infrastrutturali e da nuovi modelli di crescita. Il processo di rinnovamento del paesaggio urbano-portuale, che ha interessato la città a partire dagli anni ’80 e che a partire dagli anni ’90 ha reso Dublino una delle città europee più competitive, è stato guidato prevalentemente dal governo centrale e da specifiche agenzie di sviluppo. Supportata da notevoli incentivi fiscali e dall’utilizzo di fondi pubblici per attirare gli investimenti del settore privato, anche mediante procedure di semplificazione della pianificazione tradizionale, la rigenerazione urbana ed economica del territorio ha prodotto una forte crescita demografica e occupazionale, lo sviluppo del settore immobiliare e


TRASPORTI & CULTURA N.36 direzionale, ed effetti importanti anche dal punto di vista sociale e culturale. La riqualificazione del waterfront portuale ha interessato inizialmente una superficie ridotta di circa 11 ettari per il recupero della quale è stata istituita una specifica agenzia di sviluppo, la House Docks Development Authority (CHDDA), responsabile della pianificazione e degli aspetti finanziari dell’area, oltre che della promozione di incentivi fiscali per l’International Financial Services Centre (IFSC), concepito nel 1980 con la finalità di rigenerare un ambito del nucleo urbano oggetto di degrado e di stimolare l’economia locale in difficoltà. Nel 1997 i confini sono stati significativamente estesi arrivando ad occupare una superficie pari a 1/10 del tessuto urbano, ed è stata istituita una nuova agenzia di sviluppo, la Dublin Docklands Development Authority (DDDA), con la finalità di gestire e promuovere un approccio strategico alla rigenerazione fisica, economica e sociale di oltre 526 ettari di suolo all’interno dell’area industriale dei Dublin Docklands, progressivamente dismessa

a partire dagli anni ’70, e 1.300 acri lungo le rive nord e sud del fiume Liffey soggetti per un lungo periodo alle maree e successivamente bonificati recuperando una vasta area di waterfront. La nuova struttura organizzativa ha favorito una maggiore rappresentanza dei diversi gruppi di interesse, tra cui i proprietari delle aree e la comunità locale, all’interno del processo decisionale. Attraverso un approccio di partenariato pubblicoprivato sono stati investiti approssimativamente 450 milioni di euro di fondi pubblici per incrementare l’interesse dei privati sull’area portuale.

Il Docklands Master Plan 2008 La riqualificazione fisica, economica e sociale dei Docklands è stata progressivamente estesa verso la zona est della città di Dublino, attraendo nuove imprese, residenti e turisti. La rivisitazione del Master Plan 2003 ha portato all’elaborazione del Docklands Master Plan 2008, che delinea un quadro generale, riferito ad un pe-

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2 - Una veduta dall’alto della città e della baia di Dublino, del fiume Liffey e dei Docklands.

riodo di 10 anni, relativo alla rigenerazione dell’area con interventi nel settore delle infrastrutture e dei trasporti, dell’edilizia e dell’economia, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo del turismo, della cultura e dell’arte. Nell’implementazione del piano sono stati stabiliti indirizzi strategici e indicate politiche da adottare per la predisposizione di strumenti urbanistici mediante processi di consultazione e di partecipazione attiva che hanno coinvolto i diversi attori interessati e la comunità locale. Per le singole aree interessate dagli interventi di riqualificazione (Custom House Dock, Grand Canal Dock, North Lotts, Poolbeg Peninsula, etc.) sono state inoltre fornite norme dettagliate e specifiche riferite alla destinazione d’uso, alla progettazione urbana, alle altezze e alle densità, ai servizi e ai trasporti. Gli investimenti hanno permesso di trasformare i Docklands in un centro del commercio consolidato che ha dato occupazione ad oltre 40.000 persone, in nuovi insediamenti residenziali che hanno accolto una popolazione di 26.703 persone (il 53% in più rispetto al 1997, 6.500 nuove unità abitative di cui 832 in social housing), in un polo direzionale che è diventato la sede di numerose aziende. La zona dei Docklands di Dublino si è rivelata una scelta ottimale in particolare per gli investimenti esteri nel mercato immobiliare e nel settore finanziario. L’area continua ad esercitare una forte attrazione, in particolare per le imprese multinazionali; a partire dal 1997 oltre 600.000 m² di superfici sono state consegnate a grandi nomi del settore bancario internazionale (Google, Walkers Legal Global, Seb Life, Blood Stone Building, Kennedy

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Wilson, etc.). La disponibilità immediata di alcuni siti serviti da infrastrutture già in esercizio, come North Lotts e Grand Canal Dock (complessivamente circa 22,8 ettari), è stata ritenuta fondamentale per garantire lo sviluppo potenziale e in tempi rapidi di tali aree. Asse portante del processo di riqualificazione dei Dublin Docklands è stata la pianificazione del territorio con l’assegnazione di localizzazioni per il turismo, i servizi, il commercio, ma in particolare per quanto riguarda le politiche residenziali (social housing) e il boom immobiliare che ha interessato l’area portuale - anche grazie alla disponibilità di agevolazioni fiscali riservate ai proprietari e ai residenti per il recupero o la costruzione di nuove abitazioni - risolvendo il problema di una ridotta presenza di unità abitative nel centro di Dublino di fronte all’incremento della domanda, principalmente da attribuire alla forte crescita demografica.

Una visione di lungo periodo per i Docklands (2012-2040) Il progetto che interessa i Docklands si attesta senza dubbio come uno dei progetti più ambiziosi e visionari a livello europeo, guidato da politiche e scelte strategiche principalmente orientate a creare un nuovo centro urbano, piuttosto che finalizzate ad integrare le aree industriali dismesse nella città. Accanto ai nuovi insediamenti residenziali e al paesaggio urbano-portuale riqualificato, persistono tuttavia complessi industriali abbandonati, caratterizzati dalla presenza di un ricco patrimo-


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nio storico e archeologico il cui recupero richiede la risoluzione di problematiche complesse, nuovi modelli di sviluppo, tempi più lunghi di intervento, nuovi investimenti del settore privato, una pianificazione più flessibile e politiche di governance innovative. In questo contesto si inserisce il Master Plan per il Porto di Dublino 2012-2040, risultato di un processo di coinvolgimento e di consultazione che ha fornito, alla Dublin Port Company - società a responsabilità limitata interamente di proprietà dello Stato che dal 1997 si occupa di gestione, controllo, operatività dello scalo - e agli altri soggetti interessati, una visione chiara e dettagliata da un lato sullo sviluppo sostenibile e competitivo del porto nel lungo periodo, dall’altro sulla rigenerazione sociale ed economica dei Docklands finalizzata alla restituzione di una nuova immagine urbana per le aree portuali dismesse. Il Master Plan propone un’analisi dettagliata delle attuali destinazioni d’uso in ambito portuale, individuando diverse alternative e opportunità di sviluppo e di valorizzazione in un arco temporale che va dal 2012 al 2040. Non si tratta di indicazioni prescrittive ma di opzioni da valutare opportunamente rispetto alla capacità finanziaria e alle esigenze di fruitori, investitori privati e comunità locale, con la finalità di contribuire allo sviluppo e alla competitività non solo di Dublino ma dell’intera regione irlandese. In questa direzione la Dublin Port Company si è impegnata in un programma di investimenti per 110 milioni di euro nei primi cinque anni del Master Plan, che prevede la realizzazione di progetti su scala urbana per fasi successive e la promozio-

ne di Dublino come destinazione turistico-crocieristica, investendo molto (circa 200 milioni di euro) anche sullo sviluppo e sul miglioramento delle infrastrutture in ambito portuale.

3 - Una veduta dall’alto della penisola di Poolbeg (a sinistra) e del porto di Dublino (a destra).

Tra gli obiettivi strategici del Master Plan per il Porto di Dublino 2012-2040, elaborato nel rispetto delle politiche territoriali adottate e in conformità con gli strumenti urbanistici vigenti, che forniscono indicazioni circa lo sviluppo futuro della città portuale, vanno segnalati per quanto riguarda: - le funzioni portuali: conservare il ruolo nazionale, regionale e locale del porto; garantire la sicurezza in ambito portuale; promuovere uno sviluppo sostenibile in grado di soddisfare la domanda futura per quanto riguarda il traffico merci e passeggeri; razionalizzare e riorganizzare la distribuzione e la localizzazione di aree destinate a specifiche attività (Ro-Ro, Lo-Lo, traghetti, crociere, merci, stoccaggio merci, etc.); valutare eventuali opzioni in merito all’espansione dello scalo; recuperare i terreni inutilizzati per le attività portuali a nuove destinazioni funzionali, etc.; - gli investimenti: definire un quadro generale per quanto riguarda gli investimenti futuri in funzione della domanda, massimizzando l’uso del territorio e delle strutture già disponibili; - l’integrazione porto-città: creare opportunità e modalità di integrazione tra i due diversi ambiti territoriali; realizzare percorsi pedonali e piste ciclabili per garantire l’accessibilità pubblica alle aree portuali; valorizzare l’aspetto estetico e visivo del porto, in particolare nelle aree prossime al tessuto urbano, etc.; - la mobilità e l’accessibilità: favorire l’utilizzo 85


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4 - Un’immagine del porto di Dublino.

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5 - I Dublin Docklands recuperati sulle rive del fiume Liffey.

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del trasporto pubblico anche acqueo da parte degli operatori portuali e dei passeggeri, migliorando l’integrazione modale; elaborare un piano dei trasporti in collaborazione con la municipalità; promuovere la mobilità sostenibile secondo le indicazioni delle politiche nazionali e comunitarie; incrementare l’uso del trasporto ferroviario per quanto riguarda lo spostamento delle merci; realizzare nuove infrastrutture e migliorare quelle esistenti; incrementare l’accessibilità mediante percorsi ciclabili e pedonali, etc.; l’ambiente e il patrimonio: assicurare uno sviluppo compatibile con le aree limitrofe, in particolare per quanto riguarda la Dublin Bay; tutelare le risorse naturali e conservare le specie protette presenti sul territorio; integrare il pa-

esaggio costruito con quello naturale, preservando e valorizzando il patrimonio immobiliare e garantendo la qualità della progettazione, etc; - le attività ricreative e i servizi: massimizzare l’accesso pubblico al waterfront, realizzando passeggiate e percorsi ciclabili; favorire l’accesso a punti di osservazione sulla baia e sull’ambiente circostante, etc. Il Master Plan riconosce l’incremento delle movimentazioni merci e passeggeri e la rapida espansione del porto negli ultimi anni, nonché la posizione strategica dello scalo e la capacità attrattiva che esercita sui mercati, destinati a stimolare ulteriormente la crescita del porto nel corso dei prossimi anni. Nel 2040 la movimentazione delle merci si stima possa raggiungere i 60 milioni di tonnellate


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6 - La linea del tram-metro leggero Luas in prossimità dei Docklands.

(circa il 2,5 % di crescita annua) con un incremento significativo anche per quanto riguarda il settore delle crociere e con esigenze di espansione su una superficie stimata di 24,4 ettari. In particolare per quanto riguarda l’integrazione porto-città il Master Plan 2012-2040 punta sul settore del turismo crocieristico: notevolmente cresciuto negli ultimi anni e significativo per l’economia locale è infatti destinato a svilupparsi ulteriormente nel prossimi decenni grazie alla posizione strategica dei terminal marittimi rispetto alla città, ad investimenti in nuove strutture e servizi dedicati ai passeggeri, e ad un incremento della connettività garantita sia dalla presenza dell’aeroporto che dalla realizzazione di nuovi sistemi di trasporto pubblico. Con la finalità di promuovere ulteriormente il turismo crocieristico e di avviare uno studio sulle esigenze del settore e sulle best practice messe in atto altrove nella fase di realizzazione e di gestione di nuovi terminal, la Dublin Port Company ha costituito, in collaborazione con la Dublin Chamber of Commerce, la Cruise Dublin. Entro il 2015 una nuova struttura adiacente all’East Link Bridge sarà in grado di ospitare più di 135.000 passeggeri e circa 90 navi da crociera a stagione; realizzato secondo le indicazioni fornite nel Dublin City Council’s Cruise Tourism Local Action Plan sul prolungamento del North Quay, il nuovo terminal dovrebbe creare interessanti opportunità di integrazione del porto con la città. Tra le politiche e le azioni avviate in questa direzione: l’incremento dell’accessibilità pubblica all’area portuale (piste ciclo-pedonali, visite turistiche e percorsi didattici, open days, servizi di trasporto pubblico, terminal traghetti, aree di sosta, visitor centre, etc.); l’eliminazione delle barriere fisiche esistenti tra porto e l’area immediatamente limitrofa; l’incremento del numero dei punti di osservazione delle strutture e delle attività portuali lungo la Great South Wall a nord della Bull Island; la definizione di un programma di iniziative culturali e artistiche (esposizioni, installazioni, centri culturali, cinema all’aperto, mappa del patrimonio pre-

sente sui moli, recupero anche funzionale di alcuni immobili, etc.); la tutela di risorse naturali, habitat, flora e fauna presente sull’area; la promozione di attività ricreative e sportive legate all’acqua (vela, nuoto, pesca, etc.). Se le politiche per la rigenerazione economica e gli interventi per la riqualificazione urbana sono stati fondamentali per il recupero dell’area portuale dismessa dei Docklands, altrettanto importante si è rivelata la nuova immagine restituita al centro di Dublino e al waterfront, con miglioramenti significativi in termini di paesaggio e di qualità architettonica, di potenziamento e riorganizzazione di infrastrutture e servizi pubblici, di rivitalizzazione economica e di occupazione, di sviluppo immobiliare e residenziale, di disponibilità di spazi pubblici e aree verdi, di promozione turistica e culturale che, a partire dalle risorse del territorio, hanno creato interessanti prospettive e opportunità per lo sviluppo futuro. Riproduzione riservata ©

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Il Paesaggio Storico Urbano come nuovo approccio UNESCO per conciliare storia e modernità di Viviana Martini

Negli ultimi decenni, le trasformazioni sociali ed economiche in corso nella città storica hanno mutato profondamente il rapporto tra il vecchio e il nuovo: lo sviluppo spesso incontrollato delle aree urbane, la costruzione di edifici moderni e la realizzazione di nuove infrastrutture sembrano aver messo in crisi gli strumenti di gestione esistenti, che si rivelano molto spesso inadeguati o insufficienti a coniugare tutela e sviluppo e a guidare in modo coerente l’ espansione nei territori storici preservandone i “valori”.

Nascita del concetto di paesaggio storico urbano Il concetto di paesaggio storico urbano (Historic Urban Landscape, HUL), quale nuovo approccio che affronta il tema del conflitto tra conservazione e sviluppo nelle città storiche, nasce ufficialmente a Vienna nel 2005, in occasione della Conferenza internazionale “World Heritage and Contemporary Architecture - Managing the Historic Urban Landscape” che ha visto la partecipazione, oltre che di professionisti da tutto il mondo, anche di esperti dell’UNESCO e dell’ICOMOS. In tale occasione, il progetto del Wien Mitte Station a Vienna ha scatenato l’interesse internazionale in relazione all’inserimento del nuovo progetto nel centro storico di Vienna, poco tempo dopo che lo stesso era stato incluso nella Lista del Patrimonio Mondiale, ed ha costituito il pretesto per la discussione del tema. A questo primo momento di confronto ha successivamente fatto seguito la pubblicazione del Vienna Memorandum, che per la prima volta ha affrontato in modo sistematico il tema dell’inserimento degli edifici contemporanei (in particolare edifici alti) nelle città inserite nella World Heritage List ed ha proposto la definizione di Historic Urban Landscape: “La sfida centrale dell’architettura contemporanea nel paesaggio storico urbano è quella di rispondere alle dinamiche di sviluppo al fine di facilitare da un lato i cambiamenti socioeconomici e la crescita, e allo stesso tempo rispettare l’assetto della città ereditata e l’impostazione del suo paesaggio, dall’altra le città storiche viventi, in particolare le città iscritte nella lista, richiedono una politica di pianificazione urbanistica e di gestione che assume la conservazione come punto chiave. In questo processo, l’autenticità e l’integrità della città storica, che sono determinate da vari fattori, non devono essere compromesse”. Dopo il Vienna Memorandum, fra il 2006 ed il 2010, l’intenso dibattito a livello internazionale

The Historic Urban Landscape as a new approach to reconcile history with modernity by Viviana Martini This paper offers some considerations on the conservation/development of Historic Urban Landscapes, in line with what is contained in the 2011 UNESCO Recommendations on HUL. It considers the historic city as a living organism, the result of a long stratification, which can adapt to the necessities of modern life, seen in a perspective of development that should be based on the balance between conservation and transformation, the past and the future of historic urban landscapes. Nowadays, in fact, the pressure on historic cities continues to rise, making the conservation and management of historic urban landscapes one of the most dynamic tasks of our time. In this situation, traditional planning tools often seem inadequate or insufficient to control the transformations of historic cities: what could be a possible new approach for the conservation of historic urban landscapes? This approach to the management of Historic Urban Landscapes aims to answer the need for modernization and investment in historic cities without compromising their historical character and identity, as indicated by the European Landscape Convention and, in particular, the Draft Action Plan of the 2011 UNESCO Recommendations on HUL.

Nella pagina a fianco, in alto: uno dei progetti per il futuro waterfront di Liverpool, in seguito al quale la città è stata posta nel 2012 nella Lista del Patrimonio Mondiale in pericolo; in basso: il nuovo ponte sul Corno d’Oro a Istanbul (Halic Metro Crossing Bridge)

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1 - Wien Mitte railway station a Vienna.

volto alla revisione degli strumenti esistenti relativi alla conservazione delle città storiche, primo fra tutti la Raccomandazione del 1976, è sfociato nelle Conferenze di San Pietroburgo, di Olinda, di Vilnius, con lo spirito di affrontare il tema del crescente numero di conflitti che oppongono le ragioni della conservazione a quelle dello sviluppo e di discutere le problematiche dell’inserimento di nuova architettura in un contesto consolidato. Nel 2006, erano oltre 70 i casi critici relativi all’inserimento di nuove architetture in città iscritte nella Lista del Patrimonio Mondiale, e se l’intenso impegno diplomatico ha portato alla revisione del progetto della Wien Mitte railway station di Vienna, nel 2009 Dresda ha proseguito nella costruzione del Waldschlösschen Bridge, finendo così nella Lista del Patrimonio Mondiale in pericolo, e molte altre sono oggi le città storiche che si apprestano a inaugurare progetti di forte impatto in cui la costruzione di edifici alti minaccia di modificare lo skyline della città, e quindi l’integrità visiva che è uno dei requisiti fondamentali che accompagnano l’iscrizione. La “UNESCO Reccomendation on the Historic Urban Landscape”, adottata nel novembre 2011, rappresenta l’esito di questo lungo lavoro di re-

2 - Il progetto del tunnel che collegherà la penisola storica di Istanbul con la parte asiatica (Eurasia tunnel).

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visione. Pur essendo un documento di indirizzo, costituirà in futuro un riferimento essenziale per la definizione di un nuovo approccio alla gestione delle città storiche, nel quale i temi della conservazione e dello sviluppo sostenibile sono posti quali obiettivi fondamentali, sottolineando il ruolo strategico che la corretta gestione del patrimonio può ricoprire promuovendo lo sviluppo del territorio nell’ottica della conservazione e del rispetto delle qualità e soprattutto delle risorse del luogo.

Paesaggio storico urbano e strumenti urbanistici Il problema del controllo dello sviluppo del paesaggio storico urbano, concetto nato come detto in ambito UNESCO ma successivamente allargatosi a tutti i contesti urbani e quindi anche alle città non iscritte nella Lista UNESCO, risiede nel fatto che, molto spesso, i tradizionali strumenti urbanistici non sono sufficienti a controllare lo sviluppo della città storica nel suo insieme. Mentre i centri storici delle città (non solo italiane) sono di solito adeguatamente protetti dal punto


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di vista urbanistico e gestionale, le aree contermini risentono a volte della mancanza di un adeguato controllo per quanto riguarda il loro sviluppo urbano, e ciò determina effetti negativi sull’intero sistema, primo fra tutti sulle stesse aree protette. Basti citare come esempio la penisola storica di Istanbul, dove la protezione UNESCO comprende 4 aree ben definite: le mura di Teodosio, l’area della Zeyrek Mosque, l’area della Suleymanie Mosque e quella dell’Archaeological Park. Ebbene, al di fuori di queste quattro Core zone molto ben protette, la situazione risente fortemente della mancanza di un controllo complessivo del territorio. Nella penisola storica di Istanbul, lo sviluppo infrastrutturale ed edilizio degli ultimi anni (si vedano gli esempi dell’Halic Bridge nel Corno d’Oro e dell’Eurasia tunnel) ha creato non pochi problemi in relazione all’inserimento di queste nuove opere nel tessuto storico esistente, grazie anche alla mancanza di un piano di gestione complessivo del sito che regoli le necessità dello sviluppo della città con quelle della conservazione. In tale situazione, l’approccio al paesaggio storico urbano, ovvero l’andare oltre le singole aree e il considerare la città nel suo insieme e non come un insieme di parti disgiunte tra loro, può costituire un valido strumento per inserire nuove architetture nel tessuto storico consolidato senza perdere il significato complessivo del luogo. Allo stesso modo, le aree protette (in questo caso, le 4 Core zone di eccezionale valore) non possono essere considerate come “isole felici” disgiunte dal resto del territorio, in quanto è evidente che l’inserimento di una nuova infrastruttura in un tessuto storico consolidato può creare effetti (e cambiamenti positivi e negativi) che devono essere valutati in relazione al tutto: la città deve essere considerata come un tutt’uno, e ogni singola par-

te deve essere posta in relazione con le altre, e di questo i futuri strumenti di pianificazione e gestione devono tener conto. È quindi necessario andare oltre la sola idea di centro storico o di “group of buildings”, per includere anche il più ampio contesto geografico entro cui la città si è nel tempo costruita e modificata, estendendone il significato e i limiti all’organizzazione dello spazio, ai valori sociali e culturali che sono radicati nel vivere urbano, alla percezione visiva ed al rapporto tra le varie parti della città, alla topografia e alla morfologia, e integrando nello sviluppo anche quelle componenti di patrimonio intangibile che sono il cuore di ogni singolo insediamento. Sotto questo aspetto, la Raccomandazione UNESCO, ricalcando anche quanto contenuto nella precedente European Landscape Convention, propone un approccio che preservi “the qualities of the human environment”(art. 11), ovvero le qualità, le risorse e lo spirito del luogo, che vanno oltre i valori eccezionali e che comprendono i valori comuni e i paesaggi del quotidiano.

3 - Waldschlösschen Bridge a Dresda.

Storia e modernità nella città storica L’inserimento di nuova architettura nelle città storiche non è da escludere a priori, anzi è auspicabile nell’ottica della visione dinamica della città, ed è subordinato ad una comprensione profonda del contesto e della sua “stratificazione di significato” basata su di un approccio multidisciplinare che comprenda diversi settori e che sia in grado di definire e valutare le risorse e le qualità che caratterizzano il territorio e le sue eventuali possibilità di cambiamento. A tale proposito, la bozza della 2010 Recommen91


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4 - Friendly Alien a Graz.

dation on HUL propone un “Draft Action Plan” che, in 6 punti essenziali, elenca le possibili fasi che dovrebbero costituire l’approccio a HUL. Tali fasi comprendono lo studio dell’importanza delle risorse del paesaggio storico urbano, la definizione della loro vulnerabilità e la determinazione delle più importanti azioni di conservazione e sviluppo nelle diverse aree della città storica. Il documento sottolinea il ruolo della pianificazione e della gestione, che deve integrare le strategie di conservazione del patrimonio e le decisioni che riguardano lo sviluppo, inclusi gli interventi di nuova edificazione, di trasformazione urbana e di infrastrutturazione. Accanto agli strumenti di carattere normativo, tecnico e finanziario, rivestono una importanza essenziale anche tutti gli strumenti gestionali tesi a favorire la partecipazione della comunità locale che deve essere educata e informata - al processo di conoscenza e di decisione. HUL si configura quindi come un approccio manageriale che comprende tutti gli aspetti pianificatori-sociologici-gestionali che caratterizzano il territorio identificato come paesaggio storico urbano. Come ha affermato il prof. Jokilehto1 “Il successo della gestione futura dei paesaggi storici urbani dipenderà dalla comprensione reciproca e dalla collaborazione di tutti i soggetti interessati, amministratori, tecnici e popolazione. Obiettivo di HUL è quello di riconoscere la qualità del paesaggio urbano più vasto, non solo quello costituito dalle città iscritte nella lista ma anche tutte le città storiche. Ciò significa che la questione non riguarda solo gli edifici ma, come già affermato nella Raccomandazione del 1976, “tutti gli elementi validi, tra cui le attività umane, per quanto modeste, che hanno un significato in relazione al tutto e che non devono essere ignorate”. La questione chiave è sicuramente la capacità di gestione e di pianificazione che riconosca HUL nella sua “diversità e integrità”. Obiettivo è quello di riconoscere la natura dinamica della città storica, di favorirne lo sviluppo senza con ciò perderne il suo significato”. Riproduzione riservata ©

Bibliografia generale International Conference World Heritage and Contemporary Architecture – Managing the Historic Urban Landscape, Vienna, 2005. Declaration on the Conservation of Historic Urban Landscapes. Paris,UNESCO Headquarters, 10-11 October 2005. ICOMOS Xi’An Declaration on the Conservation of the setting of heritage structures, sites and areas, Xi’An, China, 21 October 2005. Workshop on New Approaches to Urban Conservation, Jerusalem, 4- 6 June 2006. Management and Preservation of Historic Centres of Cities inscribed on the World Heritage List, St. Petersburg, 2006. Regional Conference Historic Urban Landscapes in the Americas, Olinda, November 2007.

5 - Ponte PIetra a Verona.

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1 Prof. Dr. Jukka Jokilehto, membro dell’ ICCROM (International Centre for the Study of the preservation and Restoration of Cultural Property) ed esperto UNESCO per la valutazione delle candidature dei siti nella Lista Patrimonio Mondiale.


TRASPORTI & CULTURA N.36 ICCROM Seminar on World Heritage and Contemporary Architecture and Development: Management of the Historic Urban Landscape in the Baltic Countries” Vilnius, Lithuania, 7-8 December 2006. (Executive Board 179EX/25) Paris, 7 March 2008: Proposal by the General Director for the preparation of a revised Recommendation Concerning the Safeguarding and Contemporary Role of Historic Areas. Workshop on the Application of the concept of Historic Urban Landscapes in the African context, Zanzibar, Tanzania, Nov. 30, -Dec.3, 2009. Zanzibar Recommendation on the Application of the Concept of the Historic urban Landscape in the African Context. Preliminary study on the technical and legal aspects relating to the desirability of a standard-setting instrument on the conservation of the historic urban landscape. Paris, 20 March 2009 (Executive Board 181EX/29). Preliminary study on the technical and legal aspects relating to the desirability of a standard-setting instrument on the conservation of the historic urban landscape. General Conference 35th Session, Paris, 27 July 2009. 2009, 181st session of the Executive Board Full preliminary study of the technical and legal aspects of a of a revised recommendation concerning the safeguarding and contemporary role of historic areas (181EX/Decision 29). 2009, 35th session of the General Conference Preliminary study on the technical and legal aspects relating to the desirability of a standard-setting instrument on the conservation of the historic urban landscape (35C / Resolution 42). 2011, 36th session of the General Conference Proposals concerning the desirability of a standard-setting instrument on historic urban landscapes. 2010, Preliminary report on the draft Recommendation on the Historic Urban Landscape. 2011, Report and revised text of the draft Recommendation on the Historic Urban Landscape. Independent historical and visual impact assessment report for the Golden Horn metro crossing bridge, Prof. Enzo Siviero, Michele Culatti, Viviana Martini, Luigi Siviero, Alessandro Stocco, Dicembre 2010. The assessment of the Golden Horn metro crossing bridge colours, Prof. Enzo Siviero, Alessandro Stocco, Michele Culatti, Viviana Martini, Ilgın Ezgi Tunç, Nadia Danieli, Filippo La Monica, Marijan Sokota, Giugno 2012. Viviana Martini, The conservation of Historic Urban Landscapes: an approach. Tesi di Dottorato, Università di Nova Gorica, Aprile 2013.

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TRASPORTI & CULTURA N.36

Da dogana a museo d’arte, la cultura entra in autostrada di Laura Facchinelli

È una sorpresa, un’autentica sorpresa trovare, mentre si percorre un’autostrada, un museo d’arte. Accade, da poco tempo, lungo l’A22, poco prima del confine del Brennero, dove è stato realizzato il Plessi Museum. L’edificio si configura come una grande teca di cristallo con un’imponente copertura. La sala centrale a tutt’altezza (12,90 metri) ospita una esposizione permanente dell’arte di Fabrizio Plessi, veneziano, uno degli artisti italiani più conosciuti e apprezzati a livello internazionale. Nel vano adiacente c’è un punto di ristoro (l’edificio svolge anche le funzioni di autogrill). Nel piano superiore è stata realizzata una sala conferenze. Il complesso è collocato in un’area di grandi dimensioni - 13 mila m², per una lunghezza di 55 metri e una larghezza di 30 - dove in passato operava la dogana fra Italia e Austria. La realizzazione è stata promossa dall’Autostrada del Brennero Spa, con progetto del suo direttore tecnico generale, l’Ingegner Carlo Costa.

Un’opera simbolo Il passo del Brennero, col Trattato di Schengen entrato in vigore 1° gennaio 1995, ha perduto il ruolo di punto di confine che aveva svolto per decenni, a partire dalla fine della prima guerra mondiale: è venuta meno la funzione di separazione e di controllo. Da questo cambiamento è nata l’idea di dare un nuovo significato al luogo della dogana: sul piano politico e identitario, ma anche dal punto di vista sociale, pensando a quanti utilizzano l’autostrada. “Con la dismissione della frontiera – spiega l’ing. Costa – si è avvertita la necessità di riqualificare l’area realizzando un’opera simbolica. L’autostrada è vista generalmente solo come un luogo di transito e le soste si fanno negli autogrill, piuttosto anonimi, che sono in grado di soddisfare solo le esigenze primarie. Non ci sono rapporti col territorio né stimoli culturali. La nostra idea è stata quella di sovvertire questo stato di cose”. Il Plessi Museum è il primo esempio – non solo in Italia, ma probabilmente nel mondo – di spazio museale in autostrada. Il percorso espositivo dedicato a Fabrizio Plessi comprende grandi installazioni video, sculture, dipinti, disegni. Al centro dello spazio espositivo è stata collocata un’opera fortemente simbolica: quella pensata dall’artista in occasione dell’Expo di Hannover del 2000 per celebrare l’Euregio, il progetto di collaborazione transfrontaliera delle province di Trento, Bolzano e Innsbruck, che componevano il Tirolo storico. È proprio attorno a questo nucleo che è stata di-

From customs area to art museum, culture breaks into the highway by Laura Facchinelli Along the A22 highway, just before the border of the Brenner Pass, stands the new Plessi Museum. The building appears as a large glass display case with a distinctive roof. The central space hosts a permanent exhibition of the art of Fabrizio Plessi, one of the most internationally-renowned Italian artists, who also curated the design of the exhibition spaces. There is a barrestaurant in the adjacent space, and a meeting room on the upper floor. The complex rises on the site of the former customs zone between Italy and Austria. The project was promoted by Autostrada del Brennero Spa, which wanted to regenerate the area by introducing an element of cultural interest. The project reverses the trend of standardized highway rest stops: the highway becomes more than an infrastructure to speed across, it becomes a place of beauty and culture.

Nella pagina a fianco, in alto: il salone centrale del Plessi Museum; in basso: l’esterno dell’edificio visto dall’autostrada.

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TRASPORTI & CULTURA N.36 segnata la grande sala, nella quale Plessi stesso ha concepito la collocazione di sculture, videoinstallazioni e disegni. Oltre al grande spazio espositivo, l’edificio ospita un bar ristorante e, al piano superiore, una sala congressi con divanetti di pelle bianca trapuntata. E dalle vetrate si ammira, tutt’intorno, la montagna. Il progetto è stato approvato negli anni 20062007; l’intervento di Plessi, che ha disegnato anche gli arredi, si è compiuto negli anni dal 2008 al 2011, mentre erano in corso i lavori di costruzione. Ne è risultato un luogo di grande suggestione, anche per la scelta dei materiali: dalla pietra naturale dell’esterno all’acciaio corten degli arredi (l’acciaio corten è un materiale che si ossida in superficie con effetto di ruggine).

Creatività ad alta tecnologia

1 (a sinistra) - Elementi naturali e immagini digitali. 2 (al centro) - La sala ristorante. 3 (a destra) - Disegni sullo sfondo della sala centrale.

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Il leit-motive tematico è l’acqua, rappresentata attraverso video, disegni e installazioni. Dice l’artista: “penso che il video formi con l’acqua un binomio perfetto: l’acqua è un elemento cangiante, antico, ancestrale, primordiale, il video è un elemento della contemporaneità: entrambi sono fluidi, instabili. Entrambi emanano un bagliore azzurro. L’acqua, divenuta ora digitale grazie alla magia delle nuove tecnologie, continuerà a scorrere per l’eternità, luminescente e viva”. “Imponente la videoinstallazione L’anima della natura, costituta da 80 monitor, programmi digitali, sonoro. Interessanti i Tavoli digitali: 8 strutture in corten, 8 monitor con altrettanti programmi, effetti sonori, 8 disegni. L’artista ha concepito un paesaggio montano artificiale da vivere tecnologicamente, in dialogo con gli adiacenti pendii boscosi. L’edificio è stato infatti costruito con grandi pareti vetrate, che garantiscono la compenetrazione visiva fra interno ed esterno, e dunque fra l’elemento naturale e la sua rappresentazione artificiale. All’artista Fabrizio Plessi (rappresentato in Italia dalla galleria Contini) chiediamo com’è nata l’idea di questo museo, del quale è protagonista. - Perché, perché lungo un’autostrada e perché al Brennero?

“Nel 2000 vinsi un concorso per realizzare un’opera sull’Euregio, in occasione dell’Expo internazionale di Hannover. Realizzai una gigantesca scultura, una specie di metafora delle montagne e dei fiumi, rappresentati in maniera digitale. Dato il grande successo, l’Autostrada del Brennero acquistò la scultura. Poi negli anni, per proteggerla, hanno pensato di costruirle intorno una specie di spazio, al passo del Brennero. Col tempo, senza dirmi nulla, hanno realizzato questa bellissima architettura progettata da Carlo Costa”. - Quindi l’idea è della società Autostrada del Brennero. “Sì, ed è stato così realizzato il primo museo al mondo situato lungo un’autostrada. Noi siamo abituati a questi luoghi anonimi, orribili che sono gli autogrill, ed ora, grazie a questa idea geniale, noi in autostrada abbiamo un luogo di sosta culturale. Ho disegnato tutto io: il ristorante, il bar e – al secondo piano - oltre a una sala per incontri culturali e istituzionali, ho creato una grande biblioteca dove io, anziché mettere i libri, ho messo un albero (una foresta), origine della carta e quindi del libro. È un luogo straordinario. Possiamo calcolare che ci entrino un migliaio di persone al giorno che potranno, non solo mangiare e bere, ma anche appagarsi lo spirito col mio lavoro. Il museo è già aperto al pubblico, ma verrà inaugurato nei prossimi mesi, e allora saranno messi in funzione anche video e sonoro, che costituiscono una parte molto importante del lavoro. Aggiungo che io ho intenzione di farlo vivere, questo museo: voglio creare un luogo di studio e di lavoro, una specie di officina continua. Tra l’altro ho intenzione di creare un Premio Plessi per i giovani artisti che lavorano con le tecnologie”. - Qual è il tema centrale dell’esposizione? “Il tema centrale è l’acqua: i torrenti, i fiumi, i laghi. Naturalmente il tutto trasformato da me in forma digitale. E poi c’è l’albero. La natura e la tecnologia che, finalmente, si sposano, comunicano. Che poi è il tema del mio lavoro da sempre”. - Lei ha realizzato alcune opere appositamente per questo museo? “Certo, ho realizzato alcune opere nuove e la parte centrale, che è una grande scultura con le mon-


TRASPORTI & CULTURA N.36 tagne, i fiumi, i laghi, consente che almeno 70-80 persone possano entrarvi dentro. Questa è una grande operazione, ed è davvero un miracolo che Autostrada del Brennero mi abbia regalato questa possibilità: io l’ho colta perché un’occasione così non poteva andare perduta. Tra l’altro è davvero una cosa unica, un museo dedicato a un artista vivente.” - Sembra che ci sia un solo altro esempio al mondo: il museo dedicato a Giuliano Vangi in Giappone. “Però quello è un museo dedicato al lavoro dell’artista. Il Plessi Museum, invece, ha qualcosa di sociale, perché fa parte dell’autostrada, è gratuito: ho voluto che sia gratuito. Voglio che la gente possa entrare, bere qualcosa e vivere, per qualche minuto, l’atmosfera di Plessi. Sarà un’opera wagneriana – questa – piena di luce, con tutti i video, le immagini, i miei disegni che fanno parte della mia vita. Nel bookshop ci saranno anche i cataloghi e i CD sul mio lavoro. E poi credo che il punto in cui sorge il museo sia molto importante, perché mette in comunicazione l’Europa del nord con l’Europa del sud: è un punto nevralgico fra la cultura mediterranea e quella mitteleuropea. E dove si avvertiva il disagio del confine, ora c’è un luogo di aggregazione culturale”. - Cosa ha voluto comunicare al pubblico a proposito della relazione – che è poi il nodo cruciale della sua arte – fra la natura “reale” e la sua “riproduzione” tecnologica? “Nessun diaframma fra natura e tecnologia. Io penso che possono convivere perfettamente se abbiamo l’intelligenza di saperle coniugare ed amplificare. Mi sento di dire: non abbiate paura della tecnologia! La tecnologia è un’amica che ci serve a capire il futuro. Però se noi non abbiamo la coscienza storica del passato, non potremo prendere quello che ci dà il futuro. Passato e futuro sono la stessa cosa, e io sono un equilibrista che convive in questa strana cosa che sono, appunto, passato e futuro”.

Un concetto nuovo di viaggio Con l’operazione “Museo Plessi” si apre un capitolo nuovo, che interpreta l’autostrada non solo come

infrastruttura da percorrere in velocità, nel più breve tempo possibile, ma come un luogo che offre di per sé motivi di interesse che meritano una sosta: luogo esso stesso di piacevolezza e conoscenza. Del resto l’asfalto non può essere solo un percorso veloce, quando si attraversa un paese come l’Italia, che vanta secoli di storia e cultura e presenta luoghi di assoluta bellezza paesaggistica, centri storici e musei ricchissimi di opere d’arte. Si tratta di promuovere un fattore di crescita culturale della popolazione e di sviluppo di un turismo moderno e consapevole. “Questo intervento va in direzione opposta rispetto all’omologazione degli autogrill”, spiega l’ing. Costa. “È indicativa la parola stessa autogrill, uguale per tutti: è impensabile che la stessa struttura vada bene per tutte le situazioni”. Sembra che ci siano state delle critiche da parte di chi avrebbe preferito un edificio tirolese; Costa ha ritenuto, invece, che si dovesse puntare più in alto, pensare più in grande. - La società autostradale porterà avanti questa idea? “La concessione scade nel 2014: se verrà rinnovata si pensa all’innovazione, cioè alla creazione di punti di sosta con significato culturale. Si tratta di creare un percorso architettonico lungo l’arteria autostradale, che impegna ore del nostro tempo nel percorrerla” . Lungo la A22 la società Autostrada del Brennero aveva già introdotto, nel 2009, innovazioni importanti dal punto di vista dell’ambiente. Interessante la barriera fonoassorbente di Isera dotata di pannelli fotovoltaici, che risponde a una duplice finalità a favore dell’abitato adiacente: da un lato l’abbattimento del rumore, dall’altro la produzione dell’elettricità occorrente per i consumi domestici di circa 600 persone. La seconda innovazione importante è stata la realizzazione, a Bolzano sud, dell’impianto di produzione e distribuzione di idrogeno per autotrazione. Un’autostrada può e deve essere molto più di un semplice nastro d’asfalto. Riproduzione riservata ©

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La musica, interprete del tempo presente. Un convegno a Venezia

“La musica, interprete del tempo presente”: questo il titolo del convegno che si è svolto al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia il 17 aprile. È stato organizzato dal Gruppo di studio Paesaggi Futuri, legato alla nostra rivista, che già nel 2012 aveva dedicato una giornata di studio alla musica, mettendola in relazione con l’ingegneria e il paesaggio, nella comune ricerca dell’armonia. In che senso la musica può rendersi interprete della nostra realtà, segnata da una vorticosa trasformazione? Perché la musica stessa, al pari delle altre espressioni artistiche (pensiamo alle arti visive), ha subito, nell’ultimo secolo, un vero e proprio scardinamento delle modalità del comporre e delle aspettative dell’ascoltare. E così ha accompagnato passo passo i mutamenti sociali e psicologici che si verificavano. In questo convegno si è parlato di musica, ma anche di rappresentazione scenica e di opere musicali, e di musica nel cinema, quindi di spazialità. Questo scambio di idee, ancora una volta interdisciplinare, è stato concepito come esperienza che può essere utile anche riguardo alla progettazione nel paesaggio, tema al quale il gruppo di studio Paesaggi Futuri ha dedicato molto impegno. La signora Nuria Schoenberg Nono, presidente della Fondazione Luigi Nono, che ha sede a Venezia, si è soffermata sulle relazioni fra le arti parlando di musica, regia e scenografia e sottolineando l’esigenza che la rappresentazione si mantenga fedele al significato e al valore storico dell’opera. Carlo Montanaro ha invece parlato del ruolo fondamentale svolgo nella musica nella creazione cinematografica. Insolito il punto di vista di Enzo Siviero, docente dell’Università IUAV, che ha parlato del “vissuto armonico nei ponti pedonali”, illustrando le rilevazioni dell’ambiente sonoro in corrispondenza di alcune infrastrutture. La saggista Matilde Caponi ha commentato il libro La musica è un tutto. Etica ed estetica, di un grande della musica, Daniel Barenboim. Una parte del convegno è stata dedicata all’espressione musicale, con l’esecuzione di un brano per soprano e mixed media dall’opera La signora del labirinto. Con gli autori Stefano Alessandretti e Julian Scordato, è intervenuto Marco Bellussi, che di quell’opera ha curato da drammaturgia. La signora del labirinto è un’opera in 7 quadri di Victor Nebbiolo di Castri, Davide Gagliardi, Alvise Zambon, Julian Scordato, Marco Marinoni, Stefano Alessandretti, Giovanni Sparano, che fanno capo alla Scuola di Musica elettronica di Paolo Zavagna e alla Scuola sperimentale di composizione di Corrado Pasquotti, presso il Conservatorio Benedetto

Marcello di Venezia. In chiusura dell’incontro di studio il direttore del Conservatorio Massimo Contiero ha parlato della complessa relazione fra musica e spazio e della sua evoluzione del tempo.

Nella pagina a fianco: alcuni momenti del convegno.

Riproduzione riservata ©

1 - La locandina.

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La musica e lo spazio di Massimo Contiero

Mi auguro che qualcuno di voi sia stato presente all’evento inaugurale della Biennale Musica 2010 – Don Giovanni e l’uom di sasso - svoltosi a Palazzo Pisani, sede del Conservatorio. In quella circostanza tutto l’intero palazzo era utilizzato per avvenimenti musicali contemporanei e ripetuti, rispetto ai quali la fruizione non avveniva con il pubblico costretto a sedersi di fronte ad un gruppo di esecutori, ma ogni spettatore era libero di muoversi secondo itinerari liberamente scelti e libero di soffermarsi anche per pochi istanti o per l’intera durata di un brano. Un insolito spazio multi-sonoro veniva visitato non come una sala da concerto tradizionale, ma come, ad esempio, una galleria d’arte, nella quale i tempi e l’ordine di accostamento alle opere non sono predeterminati. Mi permetto di partire da qualcosa che riguarda il Conservatorio per introdurre uno dei temi che vengono trattati oggi, per indagare le possibili relazioni tra musica e spazio, dalla creatività all’ascolto. Spazializzazione sonora: questo concetto fa venire in mente, all’ascoltatore più avvertito, molte cose veneziane, Gabrieli, gli organi contrapposti di San Marco, i cori divisi di Willaert, l’arca di Renzo Piano per il Prometeo di Nono a San Lorenzo. Cose da specialisti dell’antico e del moderno? Non proprio. Per convincervene farò velocemente alcuni esempi dal grande repertorio, per farvi notare come le potenzialità della distribuzione della musica nello spazio fossero presenti anche a compositori come Verdi e Puccini, tanto per menzionarne di popolarissimi. Trovatore, scena del Miserere. Verdi dispone Leonora in proscenio – per D’amor sull’ali rosee - Manrico nella torre – per Pago col sangue mio – e il coro dei pellegrini in quinta – per il Miserere. Bohème, inizio quadro terzo, la barriera d’Enfer. Nessun personaggio sulla scena avvolta nel gelo. Da diversi punti si sentono richiami di spazzini, doganieri, lattivendole, contadine, avventori. Nell’inizio del quadro secondo, al quartiere latino, avevamo avuto un’analoga pluralità di sorgenti sonore e nel finale quella modernissima sovrapposizione della musica dei protagonisti con quella della banda militare che passa per la ritirata serale, che anticipa Ives e il suo Holidays in New England (1909-1913). Tosca, finale del primo atto: ci sono Scarpia in proscenio – per Va’ Tosca – il coro che passa cantando il gregoriano Te Deum, l’organo che suona sullo sfondo. All’inizio atto III Puccini prescrive una dislocazione puntigliosa delle campane romane in quinta. Potrei continuare a lungo: per la sua prima aria,

Music and space by Massimo Contiero Sound spatialization: this concept brings many Venetian things to mind: Gabrieli, the opposite organs in San Marco, Willaert’s divided choirs, Renzo Piano’s ark for Nono’s Prometeo in San Lorenzo. Is this just for specialists of the ancient and the modern? Not exactly. The author quotes several examples from the great repertoire, to show how the potential for distributing music in space also existed in popular composers such as Verdi and Puccini. The music changes its impact, its function, it causes different emotions depending on how it interacts with space. Systematic research into these themes is important, especially in the contemporary era, which implies phenomena such as: the possibility of technically reproducing the musical work of art and the consequent separation between the original sound and the way it is transmitted or reproduced electro-acoustically; saturation, the redundancy of sound space; the new musical composition processes based on space developed by the composers of the post-war period; the new processes for designing architecture based on music. If we begin with Renaissance Venice then open our view to Italy and the world, all the way to the present day, there are many considerations to be made which are not just musical and architectural, but inevitably involve the sociological aspect and the perception of music based on the variable of “space”. Over the twentieth century, the theme of the relationship between space and music was discussed at great length, on a theoretical level, and featured illustrious collaborations between musicians and architects. Nella pagina a fianco, in alto: Venezia, Palazzo Pisani, sede del Conservatorio; in basso: lo studio di Luigi Nono durante la composizione del Prometeo, Venezia 1984 (Archivio Luigi Nono, Venezia, copyright eredi Luigi Nono).

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TRASPORTI & CULTURA N.36 Verdi mette Manrico, il Trovatore, non in scena, ma in quinta – Deserto sulla terra – fa rispondere a Violetta che canta “sempre libera degg’io”, da Alfredo (solo evocato), “Amor ch’è palpito”, da fuori scena. Potrei citare tutte le volte che, nelle opere italiane, all’orchestra rispondono le cosiddette “bande in palcoscenico”. Perfino fare esempi dal repertorio sinfonico, da Mahler che fa risuonare alcuni strumenti da fuori, ad esempio nella Terza sinfonia. Insomma la musica cambia il suo impatto, la sua funzione, causa emozioni diverse a seconda di come interagisce con lo spazio e dunque ben venga una ricerca sistematica su questi temi, tanto più necessaria nell’epoca contemporanea, che implica alcuni fenomeni: - la riproducibilità tecnica (e la diffusione di massa) dell’opera d’arte musicale e la conseguente schizofonia, la separazione tra un suono originale e la sua trasmissione o riproduzione elettroacustica; - la saturazione, la ridondanza dello spazio sonoro (studio di Franco Fabbri del 2002 parla di due miliardi di altoparlanti esistenti, oggi 2013 dobbiamo ritenere la cifra almeno raddoppiata); - la nuova progettualità musicale in funzione dello spazio di compositori del secondo dopoguerra; - la nuova progettualità dell’architettura in funzione della musica. Se si parte dalla Venezia rinascimentale per guardare poi all’Italia, al mondo e arrivare ai giorni nostri, le considerazioni da fare non sono solo di carattere musicale ed architettonico, ma inevitabilmente sono, da una parte di stampo sociologico, perché prendono in considerazione l’uso della musica da parte dei diversi segmenti sociali nelle varie epoche, dall’altra ineriscono la percezione del fatto musicale in funzione della variabile “spazio”.

1 - Venezia, chiesa della Pietà.

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Il Teatro di San Cassiano, il teatro della famiglia Tron, di cui oggi resta solo la memoria in una lapide in un cortile privato, annesso a Palazzo Albrizzi, fu il primo in cui si poteva entrare a pagamento già dal 1637. Dunque non era uno spazio privato, ma democraticamente aperto. Non era necessario essere nella cerchia dei Tron, dei patrizi veneziani, per accedere, ma bastava avere i denari per comprare il biglietto. Era dunque aperto anche a gondolieri, pescivendoli, fabbri, marangoni, tagiapiera etc. Questa novità ha conseguenze sulla struttura dello spazio, sulle richieste dell’ascoltatore, sui condizionamenti dei compositori etc. Pensiamo anche alla struttura dei teatri a palchetti, alla dislocazione sui vari piani delle classi sociali e alla relazione che inevitabilmente c’è fra struttura architettonica, tipo di fruizione e tipo di creazione. Spostiamo lo sguardo alle chiese, costruite qui a Venezia da grandi architetti come Palladio, Sansovino, Longhena, Sardi, Massari, riflettiamo sulle funzioni benefico-didattiche degli Ospitali a Venezia, che modulano i loro spazi per accogliere sempre un pubblico più vasto di potenziali benefattori-sostenitori. Pensiamo a quello celeberrimo della Pietà e sugli adattamenti degli spazi per ospitare le putte, sulle “lunette”, le grate dal quale il loro canto, le loro esecuzioni magicamente si effondevano nella chiesa sottostante, per la delizia e l’ammirazione di un pubblico internazionale soggiogato da quella malia. Va sottolineato come questa città abbia sempre

avuto dunque una grande propensione alla sperimentazione. Molte utili informazioni si ricavano dal volume Lo Spazio Sonoro di Roberto Favaro, edito da Marsilio. Le sale da concerto, cioè destinate alla musica strumentale, si affermano prima in Europa che in Italia, “quando si forma un pubblico considerato di massa per l’epoca, cioè tra fine settecento e primi dell’ottocento” e “più persone, numericamente accedono alla musica, allo spettacolo concertistico.” Nel 1672 nascono a Londra i primi concerti a pagamento, ad opera del compositore John Banister. Nascono sedi concertistiche attive ancor oggi. La Gewandhaus di Lipsia è stata fondata nel 1781, la Gesellschaft der Musikfreunde di Vienna è del 1819. La Società del Quartetto di Milano, antesignana nell’Italia dominata dall’opera lirica, risale al 1864. Le architetture della musica si adeguano, mettendo a disposizione più poltrone, più file, più settori. Ecco il progressivo gigantismo delle orchestre con Berlioz che vagheggia la città di Euphonie con un auditorium da 20.000 posti e spazio per 10.000 esecutori e nel 1837 scrive la suo ipertrofica Grande Messe des Morts, in memoria dei soldati caduti nella rivoluzione del 1830 e piazza ai quattro punti cardinali altrettanti gruppi di ottoni. I fiati sono 60, ci sono 16 timpani, dieci coppie di piatti etc, e un coro di duecento cantanti. Si apre la strada all’Ottava sinfonia di Mahler, detta appunto “dei mille”. Il teatro-tempio che Wagner, plagiando il munifico e folle Ludwig di Baviera, si fa costruire a Bayreuth, è lo spazio vincolante in assoluto, quello che accetta “solo quella musica”, con una sacralizzazione del luogo. L’orchestra viene nascosta nel golfo mistico. Non c’è da stupirsi se Stravinski, un musicista affatto diverso, scrive nel suo Cronache della mia vita: “In verità questa commedia di Bayreuth, col suo ridicolo cerimoniale, non è forse una semplice scimmiottatura del rito sacro?”. È forse questo il culmine della dominanza della


TRASPORTI & CULTURA N.36 musica che detta le caratteristiche dello spazio. Da qui si procede inversamente, vorrei dire lentamente desacralizzando. È la musica che diviene contorno dello spazio, è la musica a restare sullo sfondo della vita quotidiana. Come non vedere il capostipite di tutto questo nel francese Erik Satie, che aveva parlato di Musique d’ameublement, tappezzeria, sfondo della vita quotidiana: “Crea una vibrazione; non ha altro scopo. Ha la stessa funzione della luce, del calore e del comfort in tutte le sue forme.” Di pari passo c’è la desacralizzazione dell’autore, che non pretende più neppure di essere considerato un genio creatore, ma quasi un assemblatore di suoni dello spazio. Addirittura si arriverà al silenzio, per altro utopia non raggiungibile, perché lo spazio propone sempre qualcosa da ascoltare. Paradigmatico in questo senso è il brano 4’33” di John Cage, il quale fissa solo questo ambito di durata temporale entro il quale l’esecutore resta fermo davanti allo strumento e quel vuoto viene riempito dai privati pensieri degli ascoltatori, chiamati a loro volta ad un ruolo creativo (non a caso il libro più famoso di Cage è Silenzio). Siamo ormai agli antipodi della concezione romantica dell’artista creatore, sciamanico rivelatore di verità trascendentali. Per Cage la composizione è un fatto casuale, che può essere ispirato alle regole del gioco cinese degli I Ching. Il Prepared piano che egli adotta è un pianoforte al quale vengono applicati sulle corde viti, bulloni, pezzi di gomma ed altri aggeggi, perché il suono che viene così prodotto sfugga al controllo dell’esecutore e sia frutto di una sostanziale casualità. Si ha così un suono involontario. Composizioni di Cage come Imaginary Landscape N. 4, che prevedono di usare diversi apparecchi radio sintonizzati su diverse stazioni, non predeterminano nulla in partenza e sono dipendenti da cosa quelle emittenti proporranno nel momento in cui saranno azionate. Muzak è termine coniato da George Owen Squier nel 1934, frutto della crasi di Music e Kodak, fabbrica di supporti elettromagnetici, quella destinata a “sollecitare una condizione psicologica ideale affinché possano essere svolte nel migliore dei modi determinate funzioni”. Indubbiamente è stato il XX secolo l’epoca nella quale si è ragionato più a fondo, in sede teorica, sul rapporto tra spazio e musica. Le grandi collaborazioni tra musicisti e architetti (che riprenderemo parlando di Nono) iniziano con la collaborazione tra Le Corbusier e Varèse per lo spazio Philips all’esposizione universale di Bruxelles del 1959. L’IRCAM nel 1976 prevede uno spazio di proiezione sonora ad acustica variabile, così il centro Manuel de Falla a Granada etc. Tutto questo porta alla “manipolazione sonora dell’ambiente”, che sfocia nell’uso della musica elettroacustica e nella nascita dei centri di Colonia, della Rai di Milano, Varsavia, Princeton, Stanford, Padova. Si fa di tutto per spezzare la frontalità emittentericevente. Ma ci sono anche musiche che non hanno spazi tipici, il jazz, cui può bastare un bar d’infimo ordine, come può invece essere ospitato alla Carnegie Hall, e la musica etnica. Un tema molto affascinante è quello dell’architettura come musica pietrificata, definizione che si deve a Goethe, di un’architettura che nasce da una progettualità di stampo musicale (non vi è chi,

studiando una fuga di Bach e le sue formidabili sovrapposizioni di linee musicali, non abbia pensato a Bach come grande architetto musicale). Ci sarebbe per taluni un rapporto tra il duomo di Firenze e il mottetto di Dufay Nuper rosarum flores con cui il tempio fu inaugurato. Questa relazione tra musica e architettura ha intrigato, oltre a Goethe, personalità come Leon Battista Alberti, François Blondel, Paul Valery (per il quale alcuni edifici erano muti ed altri parlavano, altri addirittura cantavano), Le Corbusier, Paul Klee, Fausto Morlotti. Pensiamo ancora alla musica e la casa, ai suoni della casa e nella casa, agli spazi “dedicati”, quelli che prima ospitavano il virginale, poi il pianoforte (nel 1884 ci sono in Germania 424 fabbriche di pianoforti che sfornano 73.000 strumenti all’anno: è il grammofono dell’epoca). In ogni abitazione borghese c’è e la Musikzimmer, la stanza della musica. Una diffusa pratica musicale genera una letteratura facilitata di trascrizioni di ogni genere. Ecco gli spazi che ospitano oggi le apparecchiature che servono a riprodurre la musica, che possono anche essere diversi (dal garage, alla cantina al salotto) e avere ciascuno la sua propria musica, a seconda della generazione che ascolta. È la musicalizzazione dell’ambiente. La casa è parte della città, miniera a sua volta di suoni sovrapposti, prodotti dalla sua vita, dalla folla che la abita, dai veicoli che la attraversano, ma anche l’insieme dei luoghi della musica, dei teatri auditorium, o sedi all’aperto di esecuzioni. La sinfonia della città, i suoi suoni, sono puntigliosamente annotati già nel 1700 da Sébastian Mercier in Le tableau de Paris, opera in 12 volumi! Pensiamo ai fenomeni del rave, dell’hip hop, del rap, della musica che nasce nei quartieri più disagiati della città. Chiudo ricordando Lugi Nono, uno dei musicisti più sensibili a queste tematiche. Il suo excursus spazialistico inizia forse Musik zu “Die Ermittlung”, di Peter Weiss rappresentata alla Volksbühne di Berlino, (poi riversata in Ricorda cosa ti hanno fatto ad Auschwitz) e prosegue con Intolleranza 60, La fabbrica illuminata, Prometeo. Tragedia dell’ascolto del 1984, Composizione per orchestra n. 2, Diario Polacco ’58, Y entonces comprendiò, La lontananza nostalgica utopica futura, madrigale per più “caminantes” con Gidon Kremer, Hay que caminar soñando”. Il desiderio di ricerca, di sperimentazione di Nono è pervasivo, con una curiosità profonda per ogni mezzo la tecnologia gli mettesse a disposizione per ampliare il suo universo sonoro, con l’intuizione immediata delle possibilità dei computer, negli anni ’80, all’alba delle loro potenzialità, con la capacità immensa di collaborare con ingegneri del suono come Richard o Vidolin, con interpreti come Pollini, Kremer, Scarponi, Schiaffini, Fabbriciani, Poli, Taskova etc, ma anche con l’amore e il ricordo della grande tradizione di Venezia, con l’uso ricorrente alla policoralità o nella ricerca dei suoni dell’acqua della laguna. Determinante la sua collaborazione con Renzo Piano, che gli costruì la famosa arca per il Prometeo, e la stimolante amicizia con Carlo Scarpa, cui dedicò A Carlo Scarpa, architetto, ai suoi infiniti possibili, per orchestra a microintervalli. Riproduzione riservata ©

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TRASPORTI & CULTURA N.36

Strade e Paesaggio, il convegno a Cagliari per il ridisegno del territorio di Michele Culatti

Il 9 maggio scorso a Cagliari presso l’Aula Magna della Facoltà di Ingegneria/Architettura si è tenuto il Convegno dal titolo Strade e Paesaggio, coordinato dal Prof. Francesco Annunziata, i cui atti sono pubblicati sul n. 35 della rivista Trasporti & Cultura. Il convegno nasce provocatoriamente da due categorie concettuali che negli ultimi anni si sono poste in posizione conflittuale e che hanno visto l’obiettivo prestazionale della strada, ovvero la domanda di trasporto, l’accessibilità al territorio e la garanzia di sicurezza, al centro del progetto dell’infrastruttura viaria lasciando però in secondo piano il rapporto con l’ambiente, in particolare nella sua connotazione percettiva caratterizzata dal paesaggio. Nelle considerazioni preliminari del Convegno, che hanno visto succedersi il direttore del DICAAR Antonello Sanna, la rappresentanza dell’Assessorato regionale ai Lavori Pubblici e quella del Collegio dell’Ordine degli Ingegneri di Cagliari oltre all’introduzione del coordinatore del Convegno, si è compresa la complessità del rapporto tra infrastruttura e paesaggio in termini di responsabilità, di competitività, di strumenti e di competenze. Innanzitutto responsabilità da parte dei fautori di infrastrutture e delle amministrazioni, perché oggi la capacità di modificare l’ambiente e il territorio è diventata più forte rispetto ad un tempo, nella misura in cui esistono maggiori conoscenze oltre ad un’ampia dotazione di strumenti in grado di controllare le trasformazioni. Tale responsabilità aumenta se si pensa che la competizione con gli altri Paesi in via di sviluppo è proprio sulla capacità attrattiva della qualità dell’ambiente e della vita in cui la mobilità ed il paesaggio hanno un ruolo centrale. Nella realizzazione di una infrastruttura viaria, tra i principali strumenti in dotazione va sicuramente ricordato il ruolo di una buona pianificazione strategica a monte di una mobilità sostenibile. Pianificazione che, nel tentativo di interpretare i valori della società, cerca di trasformare il progetto in modo tale da renderlo compatibile dal punto di vista storico, economico e soprattutto sociale. Ma tra gli strumenti vanno anche sottolineati, oltre all’importanza del recupero del patrimonio infrastrutturale ancor prima della nuova infrastrutturazione per evitare il consumo di suolo, anche la valorizzazione delle competenze. In tal senso nella progettazione di opere infrastrutturali viarie intervengono numerosi settori che vanno visti nella loro correlazione: dagli aspetti geotecnici a quelli sismici, dal rischio idraulico e idrogeologico ai problemi della pianificazione dello sviluppo sostenibile, dall’attenzione che deve essere data alle

Roads and Landscape: a conference in Cagliari about re-designing the territory by Michele Culatti A conference was held at the Faculty of Engineering and Architecture in Cagliari, entitled Streets and Landscape. The theme arose out of two conceptual categories that in recent years have always expressed conflicting positions, with the road pursuing the objective of performance, i.e. placing the demand for transportation, accessibility to the territory and the guarantee of safety at the centre of road infrastructure planning, and leaving the relationship with the environment and the landscape in second place. The preliminary considerations shed light on the complexity of the relationship between infrastructure and landscape, in terms of responsibility, competitiveness, tools and competences. Some answers were found in reports that also focused on other types of mobility infrastructure, such as railways: in the case of the Turin-Lyon, there was an obvious need to regionalize the infrastructural project. It also became clear that the economic aspects must be dealt with in the earliest phases of the project. After addressing the more general themes, the analysis shifted to local aspects of infrastructure, focusing on two case studies: the roads between Cagliari and Pula and between Quartu and Villa Simius. The relationship between roads and the landscape is a complex multidisciplinary problem. The conference offered a comparative view of the approaches taken by engineers and architects, expressing the hope that this collaboration might extend to other disciplines such as geography, psychology and anthropology, to understand and respect the Genius Loci. Nella pagina a fianco: due momenti del convegno di Cagliari.

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TRASPORTI & CULTURA N.36 nuove tecnologie agli strumenti normativi che costituiscono linee guida, dai problemi di processo spesso legati ad una lentissima macchina amministrativa fino all’eccessiva fiscalità. Si comprende, dunque, che il progetto diventa un gioco ad intarsio di tematiche che richiedono una interrelazione complessa e difficile da governare. La creazione di un sistema di saperi, dunque, deve essere capace di sostenere scelte talvolta difficili non solo per il riverbero sul territorio ma anche per controbilanciare aprioristiche posizioni ideologiche sulla conservazione ambientale che spesso nega la conoscenza delle motivazioni profonde di una infrastruttura. Ecco perché, all’interno del complesso quadro del ciclo di vita del progetto, va data particolare attenzione alle competenze che coinvolgono la progettazione che dovrebbero, ciascuna per la propria parte, saper interpretare le problematiche con adeguate soluzioni e simmetricamente l’amministrazione dovrebbe saper cogliere in una visione strategica tali soluzioni.

1 - Paesaggio dalla strada Cagliari-Villa Simius.

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Queste prime considerazioni non esauriscono tutte le problematiche del rapporto tra opera e paesaggio, tuttavia alcune risposte, sia pur parziali, vengono date nelle comunicazioni che si sono succedute, le quali hanno avuto attenzione non solo alla strada ma anche alle infrastrutture per la mobilità di altra natura come le linee ferrate. Il caso Torino-Lione, esposto dal Commissario Governativo Mario Virano ha evidenziato l’importanza di affrontare unitariamente il problema del rapporto con i territori, con l’ambiente e con il paesaggio, attraverso un’idea guida che consiste nella territorializzazione di un progetto infrastrutturale, ovvero nella concezione di un progetto infrastrutturale che non si inserisce nel territorio ma ne diventa parte, superando l’approccio tecnocratico e basandosi sull’azione partecipata dei diversi attori coinvolti all’interno di un soggetto tecnico, in questo caso: l’Osservatorio. In tale approccio, come illustrato nel caso Piana di Susa che ospita la stazione ferroviaria, tra i numerosi valori aggiunti al territorio, è interessante notare come la grande scala dell’infrastruttura dialoghi con la microscala del territorio. L’azione è stata attuata attraverso il riordino della viabilità in modo che non vi fossero dei residuati tra una parte e l’altra, attraverso la dotazione, negli edifici a servizio della stazione, di pannelli fotovoltaici per la produzione elettrica; attraverso la formazione di punti di osservazione dal treno di luoghi particolari e con opere architettoniche che, oltre ad essere il punto di riferimento di passeggiate nella valle, richiamano il contesto, reinterpretando il disegno della trama del tetto a lose della tradizione locale. Si è parlato poi del tema dei ponti in cui Michele Culatti (Università IUAV di Venezia), valutatore, ha sottolineato l’importanza del ruolo della percezione nella determinazione della qualità esterna del ponte proponendo una checklist utile sia nella fase di progettazione sia nella fase di valutazione di un progetto. Checklist che declina il rapporto opera–contesto secondo un approccio metodologico dove forma, funzione e significato sono le chiavi di lettura alla base del controllo del progetto e conseguentemente del suo rapportarsi con il contesto. Oliviero Baccelli, economista, è invece intervenuto sottolineando che spesso gli economisti vengono chiamati a valle di una riflessione tra ingegneri ed architetti per giustificare un progetto dal punto di vista dell’analisi costi-benefici. Tuttavia un salto di

qualità nella pianificazione si può fare se si tiene conto degli aspetti economici fin dalle prime fasi del progetto, quindi osservando le priorità fra diverse infrastrutture e valutando come si possano creare sinergie tra più attività, non solo trasportistiche, ma facendo attenzione anche alle diverse funzioni che possono essere valorizzate, come ad esempio lo sfruttamento geotermico, o il ridisegno del progetto a supporto delle telecomunicazioni o della produzione di energia solare. In assenza di un Piano Nazionale dei Trasporti realistico e nell’ottica di superare le restrizioni della finanza pubblica attraverso il coinvolgimento di investitori privati, è possibile avere un approccio moderno alla pianificazione del progetto infrastrutturale almeno per quanto riguarda l’analisi economicofinanziaria. Si è sottolineata l’importanza dell’analisi costi-benefici che dà la possibilità di gerarchizzare i progetti; dell’analisi finanziaria in capo all’investimento privato, che osserva il rischio di investimento nonché i relativi effetti diretti ed indotti; dell’analisi sul contributo pubblico, richiesto dalla Commissione Europea, al fine di circostanziare tutti i passaggi della pianificazione e quindi non solo controllando la regolarità dell’operazione finanziaria ma anche chi sono i beneficiari, se possono essere incrementati, nonché la congruità del contributo pubblico. Infine si tratta di effettuare la valutazione di impatto socio-economico, che ha lo scopo non solo di verificare le ricadute economiche sul contesto, ma anche di valutare quelle politiche di accompagnamento capaci di valorizzare il territorio. Da questi temi generali la comunicazione si è spostata su considerazioni di infrastrutture a livello locale. L’esposizione di Ernesto Porcu ha sottolineato l’importanza di non esasperare il tema della conservazione ambientale, che talvolta rischia di cadere nel ridicolo soprattutto a fronte della realizzazione di infrastrutture capaci di dare un elevato servizio alla domanda di mobilità in particolar modo in ambito urbano. Inoltre, citando il colle-


TRASPORTI & CULTURA N.36 gamento tranviario nella città di Cagliari, che sotto il profilo tecnico non presenta particolari problemi, ha evidenziato che va posta molta attenzione a come la città risponde a questa infrastruttura, ovvero a come si adeguano gli utenti, il traffico, i commercianti; ma soprattutto l’accento va posto sul valore estetico e urbanistico che si vuole dare ad un’opera che entra nella città. Dunque l’infrastruttura non si deve porre solo obiettivi funzionali ma anche di qualità in senso ampio, ovvero deve comprendere anche lo studio di qualità estetica. Ma non basta: è necessario anche presentare bene l’opera, raccontarla nel suo percorso evolutivo e culturale, affinché possa essere compresa nelle sue ragioni. Si sono succeduti poi interventi su casi studio di carattere locale come:: L’area urbana di Cagliari e la Provincia: inquadramento dei due casi-studio, a cura di Michele Camoglio (Ass LL.PP, Provincia di Cagliari); Caso studio: la strada Cagliari-Pula a cura di Francesco Pinna, Claudia Piras (Università di Cagliari). Caso studio: la strada Provinciale l QuartuVilla Simius a cura di Alessandro Appeddu, Alfonso Annunziata, Francesco Pinna, Francesco Annunziata (Università di Cagliari). Tutti casi che affrontano il tema del collegamento tra parti di territorio con attenzione al tema dell’itinerario ed esplicitano i principi esposti nella parte introduttiva del convegno dal coordinatore Francesco Annunziata, relativamente alla definizione di strada, infrastruttura che, oltre ad assicurare le relazioni nel territorio e tra le persone, è uno spazio lungo il quale camminano la cultura e la civiltà. Nella sua realizzazione, tra gli obiettivi dovrebbe esserci quello di contribuire alla riorganizzazione di un territorio. Gaetano Nastasi e Silvia Serreli (rispettivamente: Federazione Regionale Sardegna Ordini Ingegneri e Università di Sassari), nella relazione L’infrastruttura come spazio pubblico per il territorio, analizzando il significato delle componenti della strada, hanno messo in luce la necessità/opportunità delle infrastrutture “come possibilità di riacquistare uno sguardo attivo sul paesaggio” soprattutto

nelle misura in cui si ha la consapevolezza che “il progetto dell’infrastruttura esalta le capacità culturali del contesto”. Si sono succeduti poi due interventi complementari: Strade nel paesaggio, esperienze in Europa a cura di Oriana Giovinazzi (Università IUAV di Venezia) e Strade nel paesaggio, esperienze in Italia a cura di Antonella Falzetti (Università “Tor Vergata”, Roma) in cui sono emersi esempi di inserimento paesaggistico di infrastrutture, metodi, approcci al progetto ed approcci al contesto urbano o territoriale, riflessioni, linee guida e chiavi di lettura per comprendere come l’ampio repertorio di segni che un “oggetto” funzionale come la strada offre può, in realtà, creare paesaggi, luoghi identitari e di relazione. A chiudere i lavori è intervenuta Laura Facchinelli, con la presentazione della rivista Trasporti & Cultura, che oltre ad ospitare gli atti del Convegno, è, ad oggi, uno di più colti bacini di riflessioni su temi infrastrutturali. Il convegno Strade e Paesaggio si colloca in un momento storico che, nel nostro Paese, segna il passaggio da una cultura delle infrastrutture legata all’unico obiettivo tecnico-prestazionale ad una nuova e diversa sensibilità che negli ultimi anni si è radicata non solo nelle aule di Ingegneria ed Architettura ma anche in alcune Amministrazioni. Tuttavia il processo di maturazione è lento e va coltivato ed il fatto che l’ingegneria che di fatto modifica il territorio si occupi in modo trasversale di paesaggio non è solo un’occasione per una trasformazione consapevole, ma è anche un atto dovuto nel rispetto di una sostenibilità tanto ricercata quanto complessa da raggiungere. È sicuramente un problema complesso per sua natura in quanto multidisciplinare ma, proprio per questo, l’infrastruttura che appartiene al territorio (nella declinazione più ampia del senso di appartenenza), è un tema su cui due “universi” apparentemente lontani devono riflettere. Il primo è quello dei progettisti e dei committenti, che hanno la responsabilità pratica di operare tutti i giorni su questi temi e che dovrebbero porre molta attenzione alla ”relazione tecnica illustrativa” del progetto cercando di superare gli standard minimi dati dalla normativa e inserendo quel percorso progettuale e culturale capace di far comprendere per quale motivo venga scelta una soluzione anziché un’altra. Il secondo “universo” è quello politico che dovrebbe incominciare a sensibilizzarsi per scommettere sul rilancio dell’infrastruttura come opportunità strategica al fine di realizzare prodotti della cultura al servizio della comunità. Il tema Strade e Paesaggio, esteso, nel Convegno, ad Infrastrutture e Paesaggio, è stato affrontato con l’esposizione di idee, progetti e metodi, nel tentativo far comprendere diversi modi di interpretare il bisogno di mobilità e rispondere ad equilibri territoriali che, per quanto diversi, hanno sempre l’obiettivo di creare una convivenza tra coloro che percepiscono od usano le infrastrutture e l’ambiente circostante. Dunque ci sono diverse interpretazioni e diversi modi di intendere le infrastrutture per la mobilità in una collaborazione tra ingegneri ed architetti che si auspica possa continuare proficuamente allargandosi anche ad altre discipline come ad esempio la geografia, la psicologia e l’antropologia al fine di creare il tanto ricercato Genius Loci. Riproduzione riservata ©

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MEMIT Master in Economia e management dei trasporti, della logistica e delle infrastrutture

CERTeT Centro di Economia Regionale, Trasporti e Turismo

Gli aeroporti nell’economia del territorio, nella rete dei trasporti per la competitività e il turismo Quale ruolo per gli scali italiani?

Modera Frediano Finucci Tg La7 Il punto di vista degli operatori Giuseppe Bonomi SEA - Aeroporti di Milano Enrico Marchi Gruppo SAVE - Società di gestione dell’Aeroporto “Marco Polo” di Venezia Fabrizio Palenzona ADR - Aeroporti di Roma e Assaeroporti Il punto di vista delle istituzioni Gerardo Mario Pelosi già Direttore Generale per gli Aeroporti e il Trasporto Aereo, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti Vito Riggio ENAC Ente Nazionale per l’Aviazione Civile Tavola rotonda Maria Antonietta Esposito Università degli Studi di Firenze Frances Ouseley easyJet Stefano Paleari Università degli Studi di Bergamo Giancarlo Schisano ALITALIA C.A.I. Per informazioni MEMIT tel +39 02 5836.6881 fax + 39 02 5836.5272 memit@unibocconi.it CERTeT tel. 02 5836.5414 fax 02 5836.6612 certet@unibocconi.it Iscrizione online all’indirizzo www.unibocconi.it/eventi

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Presentazione del numero 32 della rivista “Trasporti e Cultura” Aerometropoli Laura Facchinelli e Oriana Giovinazzi “Trasporti e Cultura” Aerometropoli Conclusioni Lanfranco Senn CERTeT Università Bocconi

Via Sarfatti, 25 20136 Milano

Introducono Lanfranco Senn CERTeT Università Bocconi Oliviero Baccelli MEMIT Università Bocconi

Università Commerciale Luigi Bocconi

16 maggio 2013 ore 14.30 Aula Manfredini via Sarfatti 25


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Aerometropoli, presentazione della rivista alla Bocconi e convegno a Firenze di Laura Facchinelli

“Aerometropoli”: questo è il tema monografico del numero 32 di Trasporti & Cultura, nel quale abbiamo pubblicato contributi sullo sviluppo dei grandi aeroporti. Si tratta di realtà complesse e in rapida evoluzione, dove l’aerostazione e gli spazi esterni vengono progettati anche e soprattutto pensando ad esercizi commerciali e molteplici servizi: attività estranee, seppur complementari, rispetto alla vera e propria funzione del trasporto. La pubblicazione è stata realizzata in collaborazione con l’Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano.

Esperti di aeroporti riuniti alla Bocconi Proprio nell’ateneo milanese questo numero della rivista è stato presentato il 16 maggio scorso, nell’ambito di un convegno dal titolo Gli aeroporti nell’economia del territorio, nella rete dei trasporti per la competitività e il turismo. Quale ruolo per gli scali italiani?, che è stato coordinato da Lanfranco Senn e Oliviero Baccelli del CERTeT, Centro di Economia Regionale, Trasporti e Turismo. L’iniziativa è stata organizzata nell’ambito del Master in Economia e management dei trasporti, della logistica e delle infrastrutture. Senn ha sottolineato l’esigenza di fare sistema: costruire strategie comuni che rispettino le differenze: necessario collaborare anche in concorrenza. Per Baccelli occorre lavorare sui temi di frontiera: la relazione fra “trasporti” e “cultura” è fondamentale. La relazione fra infrastrutture e servizi è centrale nell’analizzare il ruolo degli investitori privati, l’evoluzione delle normative, la conoscenza di contesti sempre più dinamici e sfidanti. Questo appuntamento è stato interessante soprattutto perché ha messo a confronto opinioni e punti di vista diversi e complementari, chiamando operatori, istituzioni, università. Il punto di vista degli è stato offerto dai responsabili dei tre maggiori aeroporti italiani: Giuseppe Bonomi di SEAAeroporti di Milano, Enrico Marchi del Gruppo SAVE, società che gestisce l’aeroporto Marco Polo di Venezia, e Fabrizio Palenzona di ADR-Aeroporti di Roma, in rappresentanza anche di Assaeroporti. Sintetizzando: dobbiamo fare i conti con la crisi. L’Europa è in crisi, ma è anche un mercato vasto e ricco, situato in posizione baricentrica per i flussi. L’Italia è in posizione di debolezza, unico mercato europeo senza un presidio forte. Le soluzioni le ha indicate Bonomi: rapporto solido col settore low cost, guardare a Oriente, investimenti significativi sulle infrastrutture aeroportuali, servizi innovativi per attrarre i passeggeri in transito, tariffe compe-

‘Aerometropoli’, presentation of the magazine at the Bocconi University and conference in Florence by Laura Facchinelli “Aerometropoli”: this is the monograph theme of issue number 32 of Trasporti & Cultura, which features articles on the development of the major airports. These are complex entities that are rapidly evolving, in which the airport and the outdoor spaces are also and primarily designed with the concept of offering commercial activities and a variety of services: activities that are extraneous yet complementary to the actual function of transportation. The publication was organized in collaboration with the Università Commerciale Luigi Bocconi in Milan. The University campus in Milan was also the venue for the presentation of this issue, in the course of the conference entitled Airports in the regional economy, in the transportation network for competitiveness and tourism, coordinated by Lanfranco Senn and Oliviero Baccelli of the CERTeT, the Centre for Regional Economy, Transport and Tourism. Speakers included the directors of the airports of Milan, Venice and Rome. Another important event was held in Florence where the Department of Architecture of the University held a meeting entitled The Evolution of Airports, Integration among the Disciplines, organized and coordinated by Maria Antonietta Esposito.

Nella pagina a fianco: la locandina del convegno alla Bocconi.

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1 - La locandina del convegno di FIrenze.

titive. Malpensa deve trovare un riequilibrio nella distribuzione del traffico fra i nostri aeroporti. Riguardo a Roma, Palenzona ha detto che Fiumicino è uno scalo supercongestionato, e poiché uno scalo degli anni ’70 non può essere adeguato per i traffici del 2030, è prevista la costruzione di un nuovo aeroporto, un hub, che avrà bisogno di grande respiro. Il secondo punto di vista è stato quello delle istituzioni, con Gerardo Mario Pelosi del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e Vito Riggio dell’ENAC, Ente Nazionale per l’Aviazione Civile. Entrambi si sono espressi a favore del privato. Per Riggio occorre: privatizzare (l’aeroporto di Venezia, privato, è uno dei migliori in Italia), definire il Piano Aeroporti, provvedere agli aggiustamenti istituzionali. Alla tavola rotonda hanno partecipato Maria Antonietta Esposito, docente dell’Università di Firenze, Stefano Paleari, rettore dell’Università di Bergamo, Frances Ouseley di easyJet, e Giancarlo Schisano di Alitalia C.A.I. Per Paleari occorre puntare sugli aeroporti low cost: cosa possibile, ma non senza il concorso dello stato. Esposito ha sottolineato l’esigenza di una collaborazione fra le discipline per conciliare funzionalità, architettura, ambiente,

tenendo conto delle esigenze del passeggero, che è mediamente over 65 e straniero. In chiusura Laura Facchinelli e Oriana Giovinazzi hanno presentato il numero 32 della rivista Trasporti & Cultura dedicato agli aeroporti.

Evoluzione degli aeroporti: un convegno a Firenze Un altro incontro di studio importante si è svolto il 27 maggio a Firenze, dove il Dipartimento Architettura dell’Università ha ospitato un incontro di studio dal titolo “Aeroporti in evoluzione, integrazione fra discipline”, organizzato e coordinato da Maria Antonietta Esposito. Dopo l’apertura della docente, i lavori sono proseguiti con Paolo Lio del CERTeT, che ha affrontato gli aspetti economici: “L’aeroporto come motore di sviluppo”. Stefano Damiano Barbati dell’Università di Padova ha illustrato il fattore “Infrastrutture”, di fondamentale importanza per mettere in relazione un aeroporto col territorio circostante. Un aeroporto è anche progetto urbano: ed ecco il punto di vista di Oriana Giovinazzi dell’Università IUAV. Ha completato l’orizzonte multidisciplinare l’approccio dell’architetto: Giulio De Carli della società ONe Works ha illustrato i fattori di successo nella pianificazione e nell’architettura dei terminal passeggeri. Nel presentare la rivista Trasporti & Cultura, Laura Facchinelli ha colto l’occasione per porre alcuni interrogativi sull’attuale progettazione, spesso non consapevole della storia straordinaria del nostro paese per arte, architettura e paesaggio. Le infrastrutture per il trasporto debbono rispecchiare il luogo nel quale si collocano, tuttavia gli aeroporti sono metropoli a se stanti, al di fuori del contesto delle città. Diversamente accade per le stazioni ferroviarie, che costituiscono la porta della città e la rappresentano, e si confrontano con le sue architetture e i suoi spazi; ci sono esempi molto negativi in questo senso. Dobbiamo riflettere nel momento in cui, per assolvere nuove funzioni, inseriamo forme contemporanee nei paesaggi storici urbani. Riproduzione riservata ©

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Progetto di strade e disegno dello spazio pubblico. L’analisi in un libro di Andrea Debernardi

Nel corso dell’ultimo ventennio, i sistemi di trasporto delle città italiane hanno conosciuto tendenze contrastanti. Da un lato, non sono mancate iniziative di riordino e riqualificazione di molti spazi pubblici urbani, con esiti spesso interessanti. Dall’altro, quei medesimi spazi hanno subìto una pressione crescente, generata dall’incremento degli spostamenti urbani ed interurbani, ma anche – e non secondariamente – dalla diffusione di modi d’uso e comportamenti ben poco rispettosi del loro carattere pubblico. Si tratta di un esito non indifferente allo sdoganamento, da parte di molti opinion leader, di varie forme di disprezzo per le regole, che talora si spinge sino alla giustificazione della pura e semplice prepotenza. Ne fanno ovviamente le spese i soggetti più deboli - disabili, bambini, anziani – che conoscono ancora difficoltà di movimento ormai impensabili in altri paesi d’Europa. Ma a ben vedere ne fanno le spese tutti, in termini di fatica della vita quotidiana, e più in generale di inefficienza dei sistemi urbani, che non costituisce l’ultima concausa della grave crisi economica attuale. Il libro di Federico Jappelli Street Design: progetto di strade e disegno dello spazio pubblico (Maggioli editore, 2012) ha il merito di ricordarci, con dovizia di esempi, l’esistenza di una alternativa, basata sull’intelligente adozione di regole di comportamento e di soluzioni tecniche flessibili, orientate alla piena fruibilità della rete viaria urbana. È un’alternativa che vede nelle trasformazioni dell’assetto fisico non solo un’importante occasione di riqualificazione ed abbellimento urbano, ma anche un efficace mezzo di empowerment, capace di riequilibrare le posizioni sociali all’interno dell’arena quotidiana della vita pubblica. I riferimenti alle best practices europee inducono l’autore a sviluppare un’interessante riflessione sul ruolo dello spazio pubblico nella città contemporanea, con ampi riferimenti alle principali esperienze di Urban Design, rilette in un ottica interdisciplinare ed attenta agli aspetti regolamentari sottesi al percorso progettuale. La seconda parte del testo contiene un abaco di progettazione, strutturato per schede illustrate da un ampio apparato iconografico, relativo ad opere di moderazione del traffico realizzate in Inghilterra, Germania, Francia, Svizzera ed anche Italia. I temi trattati da Street design sono in realtà ben noti ai pochi specialisti del settore; essi tuttavia ancor oggi stentano ad affermarsi nella pratica della progettazione urbana. Eccettuati pochi casi di successo (come le rotatorie compatte), gli interventi di moderazione restano spesso occasionali, e salvo lodevoli eccezioni l’istituzione di Zone 30 non manca di innescare proteste (tecnicamente

immotivate) da parte dei cittadini che temono un peggioramento delle condizioni di traffico. D’altro canto, lo stesso apparato normativo di settore, pur innovato negli ultimi anni in alcune sue parti, continua a presentare preoccupanti ritardi rispetto alle esperienze delle altre nazioni europee. Nel frattempo, all’estero, le tecniche e gli approcci progettuali hanno conosciuto ulteriori avanzamenti: nei Paesi Bassi, alle Zone 30 si affiancano le zone 60; nei paesi nordici l’adozione di nuove tecniche di regolazione della velocità e delle manovre più pericolose (sorpassi, immissioni laterali) determina sulle strade extraurbane riduzioni dell’incidentalità grave dell’ordine del 70-80%; nella stessa Svezia, esperienze di gestione dinamica della segnaletica e di adattamento intelligente delle condizioni di guida, basate sulle tecnologie telematiche, escono ormai dalla fase prototipale per inserirsi in un contesto di pieno sviluppo industriale. L’Italia riprende così a cumulare ritardi, anche questa volta non estranei alla sua parabola declinante. Ben venga, allora, il contributo appassionato e costruttivo dell’autore, che indica una via d’uscita alla rassegnazione, anche intellettuale, di questi anni. Riproduzione riservata ©

1 - La copertina del libro di Federico Jappelli Street Design: progetto di strade e disegno dello spazio pubblico; Maggioli, Rimini, 2012.

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CONVEGNO Dipartimento di Architettura e Progetto - DIAP Università degli Studi di Roma “ La Sapienza” ENSAS, Laboratoire AMUP Ecole Nationale Supérieure d’Architecture, Strasburgo Rivista Trasporti & Cultura

Roma Dipartimento di Architettura e Progetto Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Via Gramsci, 53 Lunedì 14 ottobre 2013 Ore 9.30-17.30

RIPROGETTARE L’ESISTENTE IDEE PER UNO SVILUPPO SENZA CONSUMO DI TERRITORIO Coordinamento: Laura-Valeria Ferretti, Cristiana Mazzoni

9.30 Piero Ostilio Rossi Direttore Dipartimento di Architettura e Progetto, Università La Sapienza, Roma

Saluto e apertura del convegno 10.00 Cristiana Mazzoni

Laura Valeria Ferretti

Ecole Nationale Supérieure d’Architecture, Strasburgo

Università La Sapienza, Roma

Introduzione ai temi del convegno

Carlo Gasparrini, Michelangelo Russo Università di Napoli Federico II

Progetti urbani nell’area orientale di Napoli

Yannis Tsiomis Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, Parigi

Recupero aree ferroviarie dismesse. Il caso di Messina 11.30 COFFEE BREAK 11.45 Maurizio Morandi Istituto Nazionale di Urbanistica Riqualificare la città diffusa: connessioni e percorrenze

Oriana Giovinazzi

Università IUAV, Venezia

Recupero delle aree portuali per lo sviluppo urbano

Laura Facchinelli

Rivista Trasporti & Cultura

Presentazione del n. 36 della rivista, “Riprogettare l’esistente” 13.15 DIBATTITO 13.30 PAUSA 15.00 Vincenzo Gioffré Università Mediterranea, Reggio Calabria Reggio Calabria, il riciclo del paesaggio delle infrastrutture 15.30 TAVOLA ROTONDA – LA RICERCA RE-CYCLE, APERTURE EUROPEE Coordinamento: Cristiana Mazzoni, Laura Valeria Ferretti

Carlo Gasparrini Yannis Tsiomis Vincenzo Gioffré 17.00 DIBATTITO 17.30 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE E CHIUSURA DEL CONVEGNO

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Riprogettare l’esistente, un convegno a Roma di Cristiana Mazzoni e Laura Valeria Ferretti

Il tema monografico di questo numero della rivista verrà sviluppato a Roma, presso l’Università La Sapienza, in un convegno organizzato con l’appoggio del Dipartimento di Architettura e Progetto – DIAP, della stessa Università La Sapienza e del Laboratorio Architecture, Morphologie/Morphogenèse Urbaine et Projet – AMUP (EA 7309) delle Scuole Nazionali di Architettura e Ingegneria di Strasburgo (ENSAS- INSA), e con il sostegno della rivista Trasporti & Cultura. Il coordinamento scientifico è di Cristiana Mazzoni (ENSA, Strasburgo) e di Laura Valeria Ferretti (Università di Roma La Sapienza). Il convegno dal titolo Riprogettare l’esistente. Idee per uno sviluppo senza consumo di territorio intende proporre una riflessione e un dibattito sul ruolo attuale del progetto del territorio, nel campo dell’insegnamento nelle discipline dell’architettura, dell’urbanistica e del paesaggio, in quello della ricerca universitaria europea e in quello delle relative pratiche professionali. Il convegno trae spunto da tre recenti pubblicazioni riguardanti dibattiti interdisciplinari e di confronto di esperienze diverse - italiane e internazionali - del progetto di territorio, tra architettura, paesaggio e politiche urbane: - Laura Valeria Ferretti (a cura di), L’architettura del progetto urbano. Procedure e strumenti per la costruzione del paesaggio urbano, Franco Angeli, Milano, 2012; - Cristiana Mazzoni e Yannis Tsiomis (a cura di), Paris, métropoles en miroir. Stratégies urbaines en Ile-de-France, La Découverte, 2012; - Maurizio Morandi, Marisa Fantin, Maurizio Piazzini e Lorenzo Ranzato (a cura di), La città fuori dalla città, INU Edizioni, Roma, 2012. Gli interventi della mattinata riguardano i temi trattati nelle pubblicazioni e mettono l’accento sugli elementi che caratterizzano il progetto urbano e/o metropolitano contemporaneo, con la presentazione di due aree studio, legate alle città di Napoli e di Messina. L’area studio relativa alla città di Reggio Calabria è invece oggetto di una presentazione nel quadro della tavola rotonda del pomeriggio. Dal punto di vista teorico-disciplinare, gli elementi chiave del dibattito sono definiti, da una parte, dalle questioni politiche e di governance del progetto di territorio, con una riflessione sulla natura del potere e il ruolo della pubblica amministrazione all’interno del processo di progetto e gli strumenti possibili per il suo controllo. Dall’altra, essi sono definiti dal rapporto tra la forma del progetto e la qualità urbana, con l’idea che il “disegno” possa essere uno strumento di controllo del pensiero paesaggio, dal progetto urbanistico al

Redesigning the Existing, a conference in Rome by Cristiana Mazzoni and Laura Valeria Ferretti The theme of this issue of the magazine will be developed in Rome, at the Università La Sapienza, in a conference organized with the support of the Department of Architecture and Design – DIAP at the University, and by the Laboratory Architecture, Urban Morphology/Morphogenesis and Design – AMUP of the National Schools of Architecture and Engineering in Strasbourg (ENSAS-INSA), and with the support of the magazine Trasporti&Cultura. The conference intends to stimulate thought and debate on the current role of regional planning, in the teaching of architecture, city planning and the landscape, in European university-level research and in the fields of professional practice. The speakers in the morning will address the issues involved in planning contemporary cities and/or metropolises, presenting two areas of study relative to the cities of Naples and Messina. This will be an opportunity to debate the European implications of the research study RE-CYCLE ITALY, New Life Cycles for Architecture and Infrastructure in Cities and the Landscape, funded by MIUR. In its programme, financed by the French Ministry of Culture, the AMUP laboratory has included a research study on energy in the “short-distance city”, a concept developed within the European Commission (Livre vert, 2007) and adopted by the city of Strasbourg with the EcoCité model. The strategy for regenerating the city and the landscape of the suburbs focuses on the re-use of railway lines and the vast abandoned brownfields around them, for a dense and multi-centred new city. The interest in the meeting in Rome concerns the possible interaction between these research studies conducted by the universities and by the Italian and French ministries, and European research policy, with specific reference to the Horizon 2020

programme. Nella pagina a fianco: la locandina del convegno.

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1 (in alto a sinistra) - La copertina del volume: Cristiana Mazzoni e Yannis Tsiomis (a cura di), Paris, métropoles en miroir. Stratégies urbaines en Ile-de-France, La Découverte, 2012. 2 (in alto a destra) - Veduta di Roma.

3 (a sinistra) - La copertina del volume: Laura Valeria Ferretti (a cura di), L’architettura del progetto urbano. Procedure e strumenti per la costruzione del paesaggio urbano. Franco Angeli, Milano, 2012. 4 (a destra) - La copertina del volume: Maurizio Morandi, Marisa Fantin, Maurizio Piazzini e Lorenzo Ranzato (a cura di), La città fuori dalla città, INU Edizioni, Roma, 2012.

progetto di architettura. Il tema del disegno urbano e del progetto della “città per parti” ha coinvolto negli anni Ottanta prevalentemente gli architetti, mentre il dibattito più recente ha per lo più investito gli urbanisti. A tutt’oggi il termine “progetto urbano” sembra assumere significati diversi se utilizzato dagli archi114

tetti, che lo considerano essenzialmente il progetto appunto di una parte di città, o dalle discipline della pianificazione urbana, che fanno riferimento a una procedura o a uno strumento. Il passaggio dal progetto urbano al “progetto metropolitano” cerca di conciliare e di associare tali elementi per controllare la grande scala senza


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tralasciare la qualità degli elementi alla scala della “parte di città” e considerare nello stesso tempo gli strumenti di tale controllo. Il progetto di paesaggio alla scala metropolitana, in quanto articolazione tra piano globale e progetti settoriali, dovrebbe potersi così delineare come una narrazione globale a partire dalla specificità dei luoghi, proporre figure d’insieme formate dal rapporto tra le singole forme costruite e le componenti geografiche primordiali del paesaggio - la terra, l’acqua, i declivi... -, delineare una reinvenzione dei luoghi nel loro insieme, un riutilizzo sapiente del territorio, a partire dalle diverse percezioni, pratiche e modi di vita dei singoli cittadini. Sono queste le relazioni dialettiche a partire dalle quali poter costruire un nuovo dibattito teoricodisciplinare sul progetto metropolitano. Un dibattito che mostri in che modo, attraverso la tematica del riutilizzo dell’esistente, esso possa evidenziare le reciprocità fra la dimensione locale e la dimensione strategica globale, diventare occasione di confronto e di esplicitazione dei conflitti senza ridursi ad un insieme di norme tecnico-pratiche calate dall’alto sui luoghi singoli e sul territorio. Se si crede alle parole di Paolo Virno espresse in Grammatica della moltitudine. Per una analisi delle forme di vita contemporanee (2001), tale approccio induttivo può permettere di fare emergere la spinta creativa e ricca di nuove energie che viene dal basso, dai molteplici luoghi del territorio e dalla “moltitudine” che la abita e lo arricchisce con la forza del proprio pensiero “impersonale e pubblico”, ma anche “unico e irripetibile”.

vita per architetture e infrastrutture di città e paesaggio, ricerca finanziata dal MIUR per l’area 08 (ingegneria civile e architettura) e coordinata dal prof. Renato Bocchi dell’Istituto Universitario di Architettura di Venezia. La tavola rotonda di chiusura del convegno vede la partecipazione di tre studiosi responsabili e co-responsabili della ricerca per l’Università di Napoli «Federico II», l’Università di Roma La Sapienza e l’Università Mediterranea di Reggio Calabria, con cui il laboratorio AMUP di Strasburgo ha firmato un accordo di collaborazione. Come ha sottolineato Renato Bocchi nel seminario di apertura della ricerca, il 15 febbraio 2013 a Venezia, tale programma triennale di ricerca propone una riflessione sull’integrazione fra le istanze culturali delle discipline “umanistiche” del progetto architettonico, urbano e del paesaggio, e la necessità di trovare modi e metodi attuativi “per arrestare i fenomeni di consumo di suolo e di spreco delle risorse e per affermare, anche nel campo delle trasformazioni edilizie urbane e del paesaggio, una eco-logica ispirata ai concetti della triade Reduce-Reuse-Recycle, ormai largamente affermata nel campo della cosiddetta Green Economy. Il laboratorio AMUP ha di recente inserito nel proprio programma quadriennale di ricerca finanziato dal Ministero della Cultura francese una ricerca sull’energia della “città delle corte distanze”, concetto nato in seno ai dibattiti della Commissione Europea (Livre vert, 2007), legato al modello delle città polinucleari tedesche, olandesi e svizzere e ripreso dalla città di Strasburgo per la propria riflessione sul modello di EcoCité (cfr. Tram-train, ou l’energie des courtes distances dans Strasbourg métropole. Acteurs, logiques et processus du projet métropolitain durable, ricerca coordinata da Cristiana Mazzoni in risposta al programma IMRMCC, 2013). La strategia di rigenerazione urbana e del paesaggio delle periferie, proposta dalla ricerca, riguarda il riutilizzo delle linee ferroviarie e delle vaste aree annesse in disuso, per la costruzione di una nuova città densa e multipolare. L’interesse dell’incontro e del dibattito di Roma è legato ai possibili intrecci di tali ricerche universitarie e ministeriali italiane e francesi con la politica della ricerca europea, in particolare con il programma Horizon 2020. Riproduzione riservata ©

Il convegno desidera anche cogliere l’occasione per dibattere sulle aperture europee di un’importante ricerca in corso, che vede il coinvolgimento di più di una decina di università italiane e di un centinaio di studiosi: RE-CYCLE ITALY, Nuovi cicli di 115


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Progetti urbani nell’area orientale di Napoli di Carlo Gasparrini

Ad est del della stazione ferroviaria e del fascio dei binari, il nuovo Piano urbanistico di Napoli approvato nel 2004 perimetra un’area di oltre 400 ettari – il cosiddetto “Ambito 13” - che ospitava un’importante raffineria fino alla fine degli anni ‘90 e che comprende ancora oggi i depositi petroliferi della Campania (Q8, Esso, Agip), oltre ad un insieme di impianti industriali di svariata dimensione in fase di riconversione funzionale, ancora attivi o dismessi. Qui negli ultimi anni è stato promosso dall’Amministrazione Comunale un ambizioso progetto urbano che costituisce il più importante investimento per il futuro della città. Per certi versi un investimento ancor più rilevante di quello compiuto per l’ex acciaieria Italsider di Bagnoli ad ovest che, nonostante sia stato avviato 20 anni fa, stenta tuttora ad esprimere le sue potenzialità. All’”Ambito 13” e alla sua rigenerazione è attribuito un valore strategico anche in ragione della posizione di cerniera rispetto alla collina di Poggioreale, il Centro direzionale, l’area di Gianturco e la piana vesuviana1. Il progetto urbano è chiamato a dare risposte a queste domande e a proiettarle in un arco temporale compatibile con la graduale soluzione delle criticità esistenti nell’ambito, dichiarato peraltro “sito di interesse nazionale” alla fine degli anni ‘90 per la particolare densità dei fattori di rischio e dei necessari interventi di messa in sicurezza e bonifica. Per la trasformazione dell’Ambito è stato predisposto dal Comune uno schema di assetto urbanistico - definito “Preliminare dei Piani Urbanistici Attuativi” - un vero e proprio strumento di progettazione urbana che ha avuto il compito di fornire un quadro di conoscenze approfondite, definire il disegno urbano dell’area sviluppando quello abbozzato col Piano urbanistico della città, configu1 L’incarico di redazione dello schema di assetto urbano dell’”Ambito 13 – Ex Raffineria” (420 ettari) è stato affidato nel 2007 dalla Società consortile pubblico-privata “Napoli Orientale” alla società Ecosfera col coordinamento scientifico e progettuale di Carlo Gasparrini. Lo strumento è stato approvato nel gennaio 2009 dal Comune di Napoli. L’incarico di redazione del Piano Urbanistico Attuativo delle aree Q8 ricomprese nell’Ambito 13 è stato affidato nel marzo 2010 ad un gruppo di progetto coordinato da Carlo Gasparrini (coordinatore scientifico e progettuale per l’urbanistica, l’architettura e il paesaggio) così composto: Massimo Lanzi e Eduardo Mignone, responsabili di progetto; Paola D’Onofrio, Mirella Fiore e Cinzia Panneri, coordinamento operativo; Mariangela Cimma, Rodolfo Cipriani, Marika Cirigliano, Gianluca Donadeo, Rosalba Giannoccaro, Danilo Nappo, Alessia Sannolo, Valeria Sassanelli, Anna Terracciano, Invertimmagine.com (Marcello Parlati, Antonio Negrini), collaboratori. Il PUA è in corso di approvazione definitiva da parte del Comune di Napoli, sono state già state concluse le operazioni di smantellamento dell’area dismessa della ex Raffineria (38 ettari su 96 complessivi) e avviate le relative operazioni di bonifica.

rare un complesso di regole morfologiche, funzionali e procedurali con funzioni di guida dei futuri piani e progetti attuativi di dettaglio e restituire un quadro della fattibilità economico-finanziaria. L’idea di progetto è basata sull’interazione innovativa di due materiali urbani tradizionali: un grande parco urbano di 150 ettari e un complesso di nuovi isolati destinati a insediamenti urbani integrati con circa 1.250.000 m² di superficie di pavimento destinati ad una mixité potenzialmente attrattiva di residenza, servizi pregiati, attrezzature urbane e industrie pulite. La proposta di parco conferma l’obiettivo del PRG del 2004 di far “riemergere” la rete fluviale del Sebeto, obliterata dal consumo di suolo pervasivo della zona industriale nel secolo scorso, assumendo una prospettiva di coesistenza della città con una falda emergente, piuttosto che “resistere” con soluzioni idrauliche tanto dure quanto costose e di incerto esito. Questa prospettiva si coniuga al recupero e alla reinterpretazione della matrice agraria ancora leggibile e delle sue giaciture “diagonali”, prodotte da un plurisecolare adattamento del parcellario catastale alle direttrici di scorrimento delle acque. Il disegno di suolo che prende forma da questo lavoro è sinergico con la riorganizzazione delle reti infrastrutturali, ambientali ed energetiche e con la previsione di una ricca tessitura formale di spazi verdi che interessa l’intero ambito, interagendo con le esigenze di bonifica e la progressiva permeabilizzazione e rinaturazione. Il parco presenta un disegno unitario ma, allo stesso tempo, propone un racconto articolato in parti distinte per ciascuna delle quali definisce specifici connotati dotati di forte identità spaziale, funzionale e simbolica. Il “Parco attrezzato della depurazione” costituisce la parte principale del Parco del Sebeto interessato dallo scorrimento superficiale delle acque depurate. Un lungo canale rettilineo di circa 500 metri, a sezione variabile, posizionato lungo una giacitura nord-est/sud-ovest, ribatte la giacitura dei corsi d’acqua scomparsi e si conclude in una grande vasca di laminazione e fitodepurazione dopo aver intercettato paesaggi vegetali differenziati e una serie di piccole attrezzature per attività all’aperto, ludiche e sportive in grado di vitalizzare e rendere godibile la lunga passeggiata. Il “Parco dei grandi attrattori” è in diretta continuità col precedente e interessa le aree comprese tra la viabilità est-ovest e le testate dei nuovi isolati. Su questa fascia di bordo dei “polder” si affacciano alcune attrezzature pubbliche e di uso pubblico, immaginate appunto come “attrattori” di scala ur-

Nella pagina a fianco, in alto: Napoli, area Q8, vista parziale del parco; in basso: vista interna di un isolato-polder.

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TRASPORTI & CULTURA N.36 bana e territoriale, e un sistema di parcheggi alberati che consentono di razionalizzare l’accessibilità alle attrezzature. Infine il “Parco dei depositi di naturalita’” è uno straordinario racconto dei paesaggi vegetali della piana napoletana ospitati all’interno dei segni circolari dei depositi petroliferi da smantellare, tracce vistose di una memoria industriale da conservare come fondazioni archeologiche emergenti dal suolo, come serbatoi svuotati e riciclati o come “pieni” vegetali. Si conferma dunque la scelta principale di affidare agli spazi aperti, alla loro qualità e pervasività, un ruolo centrale per la rigenerazione ecologica e ambientale e per la riappropriazione di quest’ampia porzione di territorio da parte della città, in particolare attraverso la realizzazione di vie e macchine dell’acqua per governare la falda, far convergere le acque meteoriche di ruscellamento superficiale e completare il processo di depurazione con bacini di fitodepurazione. Il parco ha il compito di connotare l’identità di questo settore urbano, di divenire il luogo di condensazione qualificata di un nuovo welfare urbano e di guidare la stessa forma dei nuovi insediamenti edilizi. 1 (in questa pagina) - Ambito 13, vista zenitale di progetto. 2 (nella pagina a fianco) - Napoli, area Q8, vista complessiva da est.

Elemento centrale e caratterizzante del progetto urbano è inoltre il trattamento delle strade che guida la costruzione progressiva del paesaggio del parco e quindi la complessiva trasformazione urbana col progredire del processo di dismissione/trasformazione. Questa strategia di street-lan-

dscape affida alle strade un ruolo propulsivo nella riconfigurazione di questo vasto drosscape, con rilevanti effetti nel tempo sugli spazi aperti ad esse connessi in termini di rinaturazione e rifunzionalizzazione, proponendo un telaio incrementale del parco e della sua rigenerazione ecologica e ambientale. La relazione che si viene a determinare tra costruzione della rete stradale e parco configura così il sistema del verde come una sorta di grande “cretto verde” che innerva l’intero ambito e si incunea tra gli isolati di progetto, proponendo una stretta integrazione di paesaggio tra spazi aperti e nuova edificazione. La nuova rete di infrastrutture stradali d’altronde non è solo la matrice dinamica di costruzione del parco e degli isolati, ma sostiene anche una strategia dell’accessibilità affidata ad un completamento “leggero” del sistema di ferrovie metropolitane tangenti all’area, attraverso la realizzazione di una rete del “trasporto pubblico di superficie” ospitato nelle strade a sezione variabile assieme alla rete ciclopedonale, in cui particolare importanza viene attribuita al nuovo “asse verde” di collegamento tra la stazione di piazza Garibaldi - ridisegnata da Dominique Perrault - e il quartiere di Ponticelli. Sottosuolo, strade, parco ed edifici sono attraversati da una rete energetica diversificata che fa affidamento su un ruolo esclusivo delle fonti rinnovabili articolato in tre diverse direzioni: coltivazioni intensive di pioppeti per biomasse, finalizzate anche alla rifinitura del processo di bonifica e al futuro impianto di orti urbani, alcuni monumentali dispositivi fotovoltaici che enfatizzano gli accessi al parco e un asse diagonale di micropale eoliche parallelo al canale principale. Con questa scelta si coniuga un indirizzo di massimizzazione del comportamento passivo e del risparmio energetico degli edifici. Vengono così garantiti elevati rendimenti energetici e la necessaria autosufficienza per garantire il funzionamento delle macchine dell’acqua, dell’illuminazione e delle attrezzature pubbliche. In modo complementare al sistema di spazi aperti, il disegno degli isolati di nuova edificazione è caratterizzato dalla scelta di trasformare la “superficie fondiaria” in un “nuovo suolo”, tridimensionale e attrezzato, che si presenta come una sequenza di placche sagomate e rialzate rispetto al livello della falda poco profonda, con cui quindi non interferiscono da un punto di vista costruttivo. Ciò consente di accogliere in sicurezza, all’interno di ciascuna placca, le attrezzature di servizio e pertinenziali dei nuovi insediamenti, ma anche alcune attività rivolte all’uso urbano degli spazi esterni e interni agli isolati. Allo stesso tempo, il “nuovo suolo” comprende il sistema fondazionale della nuova edificazione, strutturalmente indipendente da questa per garantire maggiori prestazioni antisismiche. Ciascuna placca si configura così come una parte dell’infrastrutturazione di base del nuovo quartiere, con una maggiore persistenza nel tempo rispetto alla sovrastante edificazione. I grandi “isolati-polder” disegnati su questo suolo si presentano come corti aperte di forme irregolari, caratterizzati da un’alternanza di edifici alti e bassi, che puntano a produrre uno spazio urbano diversificato e riconoscibile, in uno stretto rapporto con il parco e le sue infiltrazioni nel tessuto urbano. Questo nuovo paesaggio conferma una

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TRASPORTI & CULTURA N.36 prevalente dimensione orizzontale del paesaggio urbano, attraverso la prevalenza massiva del parco e dei grandi isolati a corte. Ad essi fanno da contrappunto alcune isolate escursioni verticali, fino ad oggi affidate agli slanci metallici degli impianti tecnologici e dei fasci tubieri della ex Raffineria, quasi completamente scomparsi, e domani a quelli di alcuni edifici a torre e memorie industriali da conservare. Il progetto urbano abbandona ovviamente il criterio della monofunzionalità che ha caratterizzato la costruzione delle singole parti della città nel secolo scorso, come nel caso appunto della zona orientale e del suo esclusivo uso industriale a ridosso della città centrale. Ricerca invece una efficace mixité funzionale - e, contestualmente, un’adeguata suddivisione del suolo e articolazione degli organismi architettonici in grado di accoglierla - per almeno due ragioni. Perché garantisce quella pluralità di utenti, usi e relazioni in grado di restituire le condizioni di accoglienza, vitalità e sicurezza che siamo soliti associare ad una città vivibile. Ma anche perché questa mixité consente di immaginare una maggiore flessibilità e quindi efficacia delle operazioni trasformative nel tempo, evitando le conseguenze nefaste prodotte dalla crisi e dall’abbandono improvviso di un’unica tipologia di attività economica e di un’unica destinazione funzionale. Vengono allora immaginate e descritte le miscele auspicabili e fattibili di usi sulla base delle norme

di Piano e delle domande di mercato, attraverso la costruzione di scenari funzionali differenziati che combinano scala di quartiere, urbana e territoriale dell’offerta, aprendo ad una molteplicità di soluzioni che sono messe a disposizione degli “sviluppatori”. La coesistenza di usi non si basa solo su un equilibrato peso quantitativo di ciascuna funzione, ma anche sul ruolo affidato alla capacità di condensazione valoriale dello spazio pubblico come fattore di eccellenza, attraverso cui quindi stimolare l’attrattività di questa vasta parte della città e la sua rigenerazione urbana. Riproduzione riservata ©

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Riqualificare la città diffusa: connessioni e percorrenze di Maurizio Morandi

Le analisi condotte negli ultimi trent’anni sulla diffusione insediativa ne hanno esplorato modi di vita e caratteristiche spaziali. Ne è emersa una realtà nella quale questi due aspetti si presentano con caratteristiche molto differenziate. I modi di vita appartengono alla cultura della città, mentre le qualità spaziali e architettoniche ne prescindono. I modi con i quali affrontare questa realtà insediativa sono stati a lungo dibattuti nella cultura urbanistica senza sciogliere il principale dilemma: accoglierla come paradossale nuova estetica rappresentativa del presente e del futuro oppure rifiutarla in nome dell’urbanistica tradizionale, senza proporre alternative attendibili. Con il libro La città fuori dalla città1 abbiamo voluto indicare un’altra strada da percorrere: prendere atto della realtà dell’insediamento disperso sapendo che occorre trasformarla e costruire una nuova città e una nuova campagna capaci di contenere quella complessità che la tradizione del vivere urbano ha sedimentato. Nel libro sono riportati i risultati di tre ricerche svolte rispettivamente nelle regioni Marche, Veneto e Toscana, alcune metodologie di analisi e diversi ragionamenti sviluppati da vari specialisti sulla situazione europea. Ne risulta che la città diffusa, pur presentando grandi analogie, assume forme diverse che necessitano di analisi specifiche per le varie situazioni. La gran parte delle analisi condotte fino ad ora ha messo in evidenza l’inadeguatezza della strumentazione adottata, puramente analitica e frazionata secondo diversi campi disciplinari. Con questo libro abbiamo cominciato ad utilizzare una conoscenza sintetica in un’ottica progettuale. Sono sintesi che permettono di mettere in luce quelle zone d’ombra che sfuggono alla tradizionale separazione analitica; sono sintesi che possono raccogliere le nuove relazioni spaziali e tipologiche; sono sintesi che cercano di integrare una percezione della spazialità che vada oltre la pura percezione visiva, introducendo altre percezioni sensoriali2. Per far questo occorre partire da “quello che c’è” (infrastrutture, suoli, acque, spazi ed architetture) e dalle caratteristiche dei modi di vita. Analisi e progetti integrati si pongono l’obiettivo di trasformare questi spazi e queste architetture in una nuova forma di uso del territorio. É impor1 M.Fantin, M.Morandi, M.Piazzini, L.Ranzato, La città fuori dalla città, INU Edizioni 2012. 2 Sulla necesità di integrare la precezione visiva dello spazio con la percezione colta dagli altri sensi v. J.François Augoyard. Elements pour une theorie des ambiences architecturales et urbaines in “Le cahiers de la recherche architecturale” n. 42-42 Editions Parhenteses 1998 e Joan Nogué, Altri paesaggi, Franco Angeli 2010.

tante sottolineare fin da subito che gli interventi ai quali ci riferiamo sono all’interno della città diffusa e non ne estendono la dimensione: ogni intervento si configura inizialmente come trasformazione e riduzione del consumo di suolo. Per avviare i progetti di riorganizzazione della città diffusa occorre partire dai problemi propri della diffusione insediativa. Questi in prima approssimazione possono essere così schematizzati: - la mancanza di centralità complesse, intendendo con questo termine luoghi riconosciuti caratterizzati da una pluralità funzionale; - la presenza diffusa di vuoti: il vuoto considerato non come potenziale area edificabile, ma colto come spazio disponibile a una pluralità di usi che ne mantengano le caratteristiche di spazio aperto; - l’uso del territorio considerato e progettato come spazio continuo, che prescinda dalle divisioni amministrative; - la rottura dello zoning e di conseguenza l’esigenza di tipologie e configurazioni spaziali caratterizzate da una mixité funzionale; - la dinamica di veloce e continua trasformazione che richiede l’adozione di metodologie progettuali capaci di accogliere il rapido mutarsi della domanda e delle esigenze3 . Un ruolo fondamentale nella città diffusa è svolto dal sistema dei flussi e dagli spazi dell’attraversamento. L’attraversamento è l’attività che caratterizza la diffusione insediativa. Con l’attraversamento l’abitante ricompone in se stesso quella complessità urbana che non può trovare in nessun frammento insediativo attraversato o raggiunto; con l’attraversamento la separazione obsoleta dei territori può essere ricomposta. Se il movimento è, come ha notato De Certeau, “la pratica contemporanea di attribuzione di significati” attraverso l’osservazione dei percorsi posso contribuire a comprendere il sistema urbano della città diffusa. Attualmente i sistemi delle connessioni sono sistemi autonomi, controllati e progettati secondo regole settoriali che rispondono alle esigenze del traffico e alle connessioni funzionali tra i diversi punti del territorio. I vari sistemi di collegamento – metropolitani, di prossimità o storici - sono trattati in modo separato, difficilmente se ne esplicitano le potenzialità morfologiche e paesaggistiche, non si relazionano con l’insieme degli spazi aperti. Manca qualsiasi considerazione dell’idea di percorrenza, intendendo con questo termine una 3 Le esperienze più interessanti in questo momento si ritrovano negli scritti e nei progetti di Michel Devignes. M.Devignes, Le paysage en prealable, Parentheses 2011.

Nella pagina a fianco: Maurizio Morandi, Francesca Bai, Daniel Screpanti, schema progettuale per una centralità lineare nel territorio di Calenzano.

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1 - Stefano Daddi. Il sistema ferroviario metropolitano: un’occasione di riqualificazione urbana tra Firenze e Prato. Tesi di laurea, Facoltà di Architettura di Firenze, 2013. Relatore prof. Maurizio Morandi; correlatori prof. Francesco Alberti, dott. Francesca Bai. Masterplan. Sono indicati: la metropolitana leggera, le stazioni, i divesi tessuti insediativi, gli elementi centrali, l’agricoltura urbana, i servizi, le diverse viabilità, le ipotesi di connessione.

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sintesi tra la configurazione spaziale del percorso e i valori attribuiti dall’utente: in sintesi manca una visione contemporaneamente spaziale e interpretativa che consentirebbe di giungere alla realizzazione di quei significati, di quei valori urbani e di quell’ordine che sembrano oggi inesistenti4. L’analisi delle percorrenze diviene quindi una base sulla quale inserire la riprogettazione del sistema delle connessioni e delle relazioni della città diffusa, capace di integrare lo spazio della viabilità esistente con il costruito e con il sistema degli spazi vuoti. Per concludere una breve descrizione di due progetti che affrontano il tema della riqualificazione di un territorio dove la diffusione insediativa si è radicata negli ultimi trent’anni. È un territorio pianeggiante compreso tra Firenze e Prato con insediamenti che sono stati sviluppati prima attorno ad una diffusione di piccole strutture produttive e, successivamente, attorno alla loro densificazione in aree produttive e residenziali e all’inserimento di grandi strutture commerciali. Un sistema viario metropolitano si è poi sovrapposto alla viabilità locale preesistente senza stabilire alcuna relazione con l’ambiente attraversato. Si tratta di due progetti che pongono a scale diverse il problema di come riconnettere questo territorio quanto mai disordinato e privo di una conformazione morfologica. Tutti e due i progetti propongono la creazione di connessioni tra gli elementi esistenti e la realizzazione di nuove centralità. È importante sottolineare che le nuove centralità inseriscono esclusivamente nuovi sistemi di uso dell’edificato senza prevedere la realizzazione di ulteriori cubature. Il primo progetto5 considera la linea ferroviaria tra Firenze e Prato, un’infrastruttura importante ma

in via di abbandono. Attraversa sei comuni ed è dotata di diverse stazioni ferroviarie. Il progetto si propone di trasformarla in metropolitana leggera e di qualificare le stazioni esistenti come centralità territoriali per l’intera piana e di prossimità per i servizi esistenti sul territorio. Il progetto si basa sulla riqualificazione della viabilità esistente per costruire un nuovo paesaggio, sulla realizzazione di una percorrenza ciclabile diffusa e di conseguenza sulla creazione, in corrispondenza di tutte le stazioni, di un servizio di bike sharing. L’altro progetto si radica su una serie di ricerche svolte sulla piana Firenze-Prato, condotte nell’ambito del Dipartimento di Progettazione Urbanistica e Pianificazione del Territorio dell’ Università di Firenze6. Il progetto si propone di realizzare una centralità lineare nel territorio di Calenzano improntata alla valorizzazione di strutture viarie e corridoi verdi preesistenti per riconnettere le diverse funzioni presenti sul territorio con gli elementi di centralità parziali già esistenti. Viene così progettata una percorrenza ortogonale alla linea ferroviaria che connette la stazione di Calenzano con le aree residenziali e produttive a nord e con le funzioni centrali dislocate a sud (aree commerciali in via di sviluppo, centro commerciale dei Gigli, cinema multisala). I collegamenti sono realizzati attraverso il recupero di una vegetazione ripariale trasformata in un parco e la realizzazione di un boulevard che ripropone la viabilità esistente opportunamente attrezzata.

4 V. M.Morandi Progettare una strada, progettare la città. Alinea 2003. 5 Stefano Daddi, il sistema ferrroviario metropolitano: un’occasione di riqualificazione urbana tra Firenze e Prato. Tesi di laurea Facoltà di architettura di Firenze 2013. Relatore prof. Maurizio Morandi; correlatori prof. Francesco Alberti, dott Francesca Bai.

6 Si fa riferimento a numerose ricerche coordinate da Maurizio Morandi che hanno trovato diverse occasioni di pubblicazione. Il progetto a cui ci riferiamo è riportato insieme ad altri progetti analoghi nel saggio M.Morandi, F.Bai, D.Screpanti, La città diffusa nella piana Firenze-Prato-Pistoia pubblicato in “La città fuori dalla città” op.cit.

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Recupero delle aree portuali per lo sviluppo urbano di Oriana Giovinazzi

Il porto è stato per secoli un ambito penetrabile, fisicamente contiguo, separato ma complementare al tessuto urbano, funzionalmente interdipendente, una zona di interfaccia tra terra e acqua che ha intrattenuto con la città forme differenti di relazione, determinandone spesso l’espansione e l’accumulo di ricchezza, e promuovendone l’immagine. Diversi fattori hanno innescato processi di separazione tra città e porto operando nel tempo ad una varietà di scala e in differenti condizioni spaziali e tecnologiche, arrivando a mettere in discussione l’identità originale dell’ambito portuale in quanto spazio commerciale e produttivo. In numerose esperienze le vecchie aree portuali sono state riutilizzate e reintegrate nel circuito della fruizione urbana (residenze, infrastrutture, servizi, commercio, terziario, etc.) o più spesso ricostruite, recuperando la situazione di degrado spaziale e sociale, cogliendo così l’occasione per una ridefinizione complessiva dell’assetto urbano e del sistema infrastrutturale; questo processo ha generato trasformazioni anche nei tessuti insediativi immediatamente adiacenti al porto, che riconvertiti e riqualificati sono stati valorizzati anche dal punto di vista economico-sociale e ambientale, diventando spesso luoghi di fruizione e attrazione per residenti e turisti. Le trasformazioni sperimentate dalle città portuali nella seconda metà del XX secolo, viste alla luce delle straordinarie dinamiche di mutamento spaziale e di rinnovamento funzionale che hanno interessato aree inutilizzate ed obsolete, rappresentano senza dubbio una delle maggiori opportunità di sviluppo urbano in epoca contemporanea. I porti urbani sono luoghi che più di altri possono raccontare e offrire un’immagine del cambiamento di città e territori, in cui i processi legati alla trasformazione si presentano e si leggono con maggiore evidenza; i caratteri morfologici assunti nel tempo e le destinazioni d’uso, permettono di riconoscere un ampio spettro di assetti e forme socio-spaziali, in grado di sollecitare la costituzione di rappresentazioni dell’immaginario e la comprensione delle trasformazioni che interessano la città contemporanea. Non più identificabile come spazio fisico ordinato, l’interfaccia città-porto appare oggi caratterizzata dal persistere di differenze, conflitti, interazioni: rapporti tra diversi attori, livelli di competenza e settori disciplinari molteplici, consolidate situazioni ed equilibri preesistenti difficili da ridefinire, vincoli che rendono difficoltoso un approccio integrato, pluralità di interpretazioni e di rappresentazioni, interessi contrastanti e specifici. In queste

complesse forme di interazione sono sintetizzate tutte le contraddizioni e le problematiche della pianificazione e della progettazione contemporanea, dalla dimensione scalare alla gestione dei processi, dalle strategie territoriali alle forme di finanziamento, pertanto è possibile interpretare l’interfaccia città-porto come “laboratorio” dei processi di trasformazione urbana. I modi e le intensità del mutamento sul territorio urbano-portuale presentano caratteristiche diverse: - paesaggi della conservazione, dove al recupero passivo dei segni del degrado e dell’abbandono si affiancano interventi attivi, in cui le permanenze si intrecciano con le trasformazioni, dove gli spazi recuperati non sempre mantengono la destinazione e le utilizzazioni originarie, modificando l’identità dei luoghi; - paesaggi della dismissione, particolarmente diffusi nella città contemporanea, che coinvolgono nei processi di recupero settori e discipline diverse, in cui il “vuoto urbano” può avere un ruolo strategico nella riqualificazione urbana, in particolare quando si attesta lungo i waterfront che hanno subito processi di deindustrializzazione; - luoghi dell’innovazione, legati ai cambiamenti del settore produttivo che incidono sulla struttura urbana e sulle scelte organizzative, producendo effetti anche dal punto di vista sociale, diffondendo nuove capacità di apprendimento e nuovi comportamenti (stili) di vita; - nuove centralità, che funzionano come spazi di attrazione, di informazione, di servizio, di scambio culturale, spesso collegati con le grandi infrastrutture (centri commerciali, spazi espositivi, stazioni di servizio, parchi per il divertimento, etc.). Negli anni recenti a livello internazionale la città ha subito mutamenti radicali, modificazioni fisiche e relazionali del modo di abitare e vivere un territorio. Lo spazio contemporaneo è divenuto il campo di applicazione delle nuove figure del cambiamento, arrivando a proporre immagini rispondenti ai nuovi fenomeni sociali e culturali che stanno rapidamente cambiando e configurando lo spazio del quotidiano, dei processi economici e della pratica dei luoghi. La nuova città diffusa, complessa e stratificata, si è sviluppa secondo le regole della flessibilità, dell’adattamento, della mutevolezza e dello sfruttamento delle risorse disponibili, si presenta come insieme di “frammenti”, di reti di relazioni, di compresenze diversificate e combinate secondo modalità ricorrenti o inedite, dove il passato è sempre presente nel contemporaneo, dove la cultura anti123


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1 - Veduta dei Docklands di Dublino.

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ca si coniuga con nuove forme di fruizione. É dal momento in cui il porto, prima spazio di produzione e di scambio, in seguito generica periferia urbana, si è reso disponibile ad altri usi a seguito di profondi cambiamenti, restituendo un’immagine spesso contraddittoria e multiforme, che si può parlare di città-porto, caratterizzata da confini ormai indefiniti, spazio del tempo collettivo e dell’esperienza quotidiana, delle pratiche di acquisto e di consumo, nuova centralità urbana estesa e in continua evoluzione, caratterizzata spesso dalla presenza di una pluralità di funzioni e di una moltitudine di flussi, che contribuiscono a configurare una nuova immagine urbana composta di “frammenti”. I nuovi waterfront portuali interagiscono con il paesaggio contemporaneo in modo innovativo, in quanto luoghi di grande interesse progettuale, arrivando a produrre uno dei fenomeni urbani contemporanei tra i più diffusi, attraverso interventi di recupero funzionale e strutturale, di riqualificazione spaziale, che si muovono di pari passo con quelli per lo sviluppo economico e sociale, per la tutela delle risorse e del patrimonio culturale. Descrivibile e confrontabile con la molteplicità urbana proprio a partire dai suoi caratteri intriseci ed eterogeni, il porto del XXI secolo può essere assunto nell’analisi delle dinamiche temporali, degli assetti spaziali e delle forme sociali come strumento utile a “leggere/interpretare” i recenti processi di trasformazione, un punto di vista privilegiato per osservare la città contemporanea nelle sue molteplici fratture, discontinuità e articolazioni. Il porto urbano, le cui peculiarità consentono di innescare fenomeni di urbanizzazione capaci di creare forme alternative dell’abitare, del commercio, della mobilità, risponde infatti ai modi caotici di vivere la città contemporanea, con nuove pratiche di scambio sociale, economico e culturale. Con la finalità di ricreare una relazione tra spazi, usi antichi e scenari futuri, tra immagine urbana e sviluppo economico-produttivo, tra patrimonio culturale e paesaggio, le città-porto hanno saputo reinterpretare attraverso forme naturali e artificiali i comportamenti diversificati della comunità e degli individui, tendendo a raccogliere le tracce del passato, ma anche i segni e i simboli delle pratiche contemporanee. I recenti processi di riqualificazione sono stati in grado in numerose esperienze di modificare la percezione del waterfront urbano-portuale, proiettandone una nuova immagine dinamica e creativa nel panorama internazionale, fino a produrre una re-interpretazione e ri-definizione della complessa identità della città-porto.

Strumenti di pianificazione e progettazione proattiva e reattiva per il recupero dei waterfront Se il waterfront urbano-portuale appare come una realtà urbana complessa che chiama in causa differenti fattori, molteplici livelli di competenza, campi disciplinari diversificati, numerosi interessi spesso difficili da gestire e che rendono difficoltoso un approccio integrato, è altrettanto evidente la sua ricchezza in termini di risorse e di potenzialità. Luogo scenografico di grande visibilità, il waterfront urbano-portuale esercita da sempre un’attrazione e un fascino particolare, non solo in termini di valore immobiliare, ma anche dal punto di vista socio-culturale e paesaggistico, e costituisce una grande opportunità di sviluppo per i territori urbani limitrofi. Sono numerose le esperienze e i processi di riqualificazione che a livello internazionale hanno restituito nuova immagine e funzionalità alle aree di waterfront urbano-portuale attraverso progetti interessanti e di qualità. In Europa importanti città portuali (Genova, Berlino, Glasgow, Valencia, Liverpool solo per citarne alcune) si sono focalizzate sullo sviluppo del waterfront con strategie volte a promuovere la loro crescita urbana e lo sviluppo territoriale. L’importanza del rapporto tra la città e il porto sta emergendo nel contesto europeo, anche nelle piccole e medie realtà urbane, che hanno scelto di delocalizzare le attività industriali e commerciali in aree esterne al centro urbano, recuperando spazi e strutture sull’acqua per la città e per la creazione di spazi pubblici ed aree ricreative. La stessa tendenza si osserva in America e in Asia dove le grandi città (Baltimora, Boston, Oakland, Toronto, Kobe, Seul, Singapore, Shanghai, etc.), come le città medie e le piccole comunità stanno investendo sullo sviluppo e sulla valorizzazione delle aree portuali. I processi di sviluppo e riqualificazione del waterfront sono diventati una realtà anche in Australia (Melbourne, Sydney, etc.) e in Nuova Zelanda (Wellington, Auckland, etc.). La tendenza alla riqualificazione urbana del waterfront portuale si è diffusa oltre i litorali del mondo avanzato per raggiungere i paesi di nuova industrializzazione e lambire le regioni più povere dei paesi in via di sviluppo: anche qui si cerca di rivalutare il patrimonio urbano-portuale e di trovare le modalità per conservare e riutilizzare elementi a lungo trascurati di ambiti territoriali affacciati sull’acqua. L’Africa offre numerosi esempi di conservazione attiva e di recupero dell’interfaccia città-porto, come esperienze interessanti di processi di sviluppo (Cape Town, Lamu, Mombasa, Zanzibar). Accanto alla potenzialità che caratterizzano i waterfront occorre tuttavia prendere in considerazione un altro aspetto: la grande vulnerabilità dei territori tra terra e acqua spesso soggetti a scenari di disastro prodotti dalla natura e/o dall’attività antropica, con forti ripercussioni a livello spaziostrutturale, funzionale, economico e sociale. I processi di ricostruzione sui waterfront urbani sono divenuti una realtà contemporanea sempre più frequente e complessa.


TRASPORTI & CULTURA N.36 Il progetto di ricerca Waterfront Resilience Reconstruction. Linee-guida per la pianificazione sostenibile dei fronti d’acqua urbani dopo il disastro (coordinamento scientifico: Oriana Giovinazzi, 2009), promosso e finanziato dal Dipartimento di Pianificazione Territoriale dell’Università Iuav di Venezia, ha identificato principi e “buone pratiche” per lo sviluppo sostenibile e la ricostruzione “resiliente” delle aree di waterfront. La ricerca ha preso in esame e valutato criticamente contraddizioni e compatibilità tra le linee-guida per lo “sviluppo sostenibile” dei waterfront ed i principi generali che guidano i processi di rigenerazione o di ricostruzione “resiliente” a partire dall’analisi di diversi casi-studio a livello internazionale (Kobe dopo il grande terremoto HanshinAwaji del 1995; New Orleans dopo l’uragano Katrina del 2005; i villaggi del Marathwada dopo il terremoto del 1993; la ricostruzione nel Gujarat dopo il terremoto del 2001; la costa del Tamil Nadu dopo lo tsunami del 2004; le esperienze di Aceh e delle isole di Nias dopo i terremoti e gli tsunami nell’Oceano Indiano nel 2004). Il concetto di “sviluppo sostenibile” fa riferimento a diverse dimensioni, quella economica (controllo degli impatti sulle economie locali, produzione di nuova occupazione, etc.), quella urbana e ambientale (tutela e valorizzazione delle risorse storiche, architettoniche, naturali, etc.), quella socio-culturale (interazione tra società, cultura, tradizioni, identità locale, etc.), quindi ad una forma di sviluppo capace di non compromettere la possibilità, anche per le generazioni future, di perdurare nello sviluppo stesso, preservando la quantità e la qualità del patrimonio e delle risorse naturali e non, con l’obiettivo di garantire l’equità sociale e l’equilibrio tra gli ecosistemi. La pianificazione sostenibile post-disastro punta a ricreare sui waterfront il rapporto tra spazi, usi e visioni, tra immagine urbana e sviluppo economico, mediante approcci multidisciplinari, specifici strumenti territoriali, opportune strategie di finanziamento e il dialogo tra diversi attori. Il concetto di “resilienza” si riferisce alle potenzialità di un sistema urbano costantemente in evoluzione - in questo caso l’interfaccia terra-acqua - di reagire e adattarsi a condizioni/situazioni particolarmente complesse, prodotte da eventi inattesi o di lungo periodo, da disastri naturali e antropici. La ricerca sottolinea la necessità di incrementare la “resilienza” sui waterfront urbani, dimostrando che se non è possibile pianificare sistemi urbani in grado di resistere completamente ai disastri naturali o prodotti dall’uomo, è comunque possibile mitigare gli impatti che potrebbero generare sui waterfront, attraverso misure di riduzione della vulnerabilità e di previsione rischio; potenzialità ampiamente dimostrate da diverse esperienze a livello internazionale che, attraverso la ricostruzione di sistemi fisici e relazionali, sono state in grado di mantenere una soglia minima di funzionamento, di sopravvivere a condizioni estreme e a situazioni di emergenza, indirizzando la visione del futuro verso una “finestra di opportunità” senza dimenticare l’identità dei contesti territoriali, tutelando o recuperando allo stesso tempo il rapporto con le preesistenze e con la cultura del passato. I processi di ricostruzione sui waterfront urbani sono una delle problematiche contemporanee più complesse; il verificarsi di eventi calamitosi (uragani, tsunami, inondazioni, terremoti, etc.) lungo le coste è una realtà sempre più frequente, anche a

causa degli effetti prodotti sul territorio dal cambiamento climatico, e la cui gestione presuppone un approccio globale e a scala internazionale. In questo contesto sarebbe opportuno implementare sulle aree di waterfront misure di prevenzione e di mitigazione del rischio in stretta connessione con politiche e strategie di adattamento al cambiamento (esperienze esemplari in questa direzione sono quelle di numerose città olandesi, Vienna, Anversa, della Laguna di Venezia, delle rive londinesi), elaborando una visione multidisciplinare e plurisettoriale, capace di tenere assieme le diverse scelte di governo del territorio dentro un quadro dinamico di analisi e scenari. A questa esigenza risponde la proposta per un progetto di ricerca BeSureToWare - Between Sustainability and Resilience towards the Waterfront Redevelopment (cordinamento scientifico: Oriana Giovinazzi, 2013) elaborato in risposta al programma della Comunità Europea Adaptation to Climate Change from a natural and social science perspective: Water in coastal Mediterranean areas, CIRCLE-2 ERA-NET, CIRCLE-MED2-2013 sotto la direzione della Prof.ssa Cristiana Mazzoni, del Laboratorio AMUP (Architecture, Morphogenesis/Morphology and Urban Project) e National School of Architecture of Strasbourg (ENSAS), Università di Strasburgo. L’approccio adottato punta ad estendere i concetti di vulnerabilità/resilienza e di adattamento ai cambiamenti climatici ad un’analisi su contesti territoriali di interfaccia città-porto, individuando tendenze generali o specificità per i territori urbani studiati nell’ottica di giungere alla formulazione di raccomandazioni e di strategie possibili. Il risultato atteso consiste nella costruzione di una rete consolidata di istituti di ricerca che nel campo della pianificazione territoriale e dei cambiamenti climatici si occupano delle aree urbane di waterfront, e nella produzione di conoscenza che risulti utile alla comunità scientifica e possa svolgere un ruolo di sostegno per le istituzioni pubbliche e per altri soggetti che a diverso titolo si occupano della gestione, dello sviluppo e della pianificazione dei waterfront urbani. L’obiettivo della proposta è triplice. In primo luogo, il progetto di ricerca ha una dimensione di teorizzazione e concettualizzazione di definizioni interdisciplinari e trasversali fortemente dibattute (vulnerabilità, resilienza, adattamento, sviluppo sostenibile etc). In secondo luogo, promuove la comprensione degli effetti dei cambiamenti climatici sui sistemi antropici e identifica fattori che determinano la capacità di risposta delle società a rischi che interessano il waterfront urbano. Infine, in linea con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, il progetto cerca di delineare scelte e indirizzi per contribuire alla definizione ed attuazione di strategie di adattamento e misure di mitigazione, destinati a migliorare la capacità di recupero spazio-funzionale del waterfront, utilizzando un approccio metodologico e di governance “replicabile” in altri contesti. La sfida è quella di partecipare alla costruzione di politiche e strategie urbane in grado di costruire la “città d’acqua “ sostenibile e resiliente per il futuro. Riproduzione riservata © Nella pagina seguente:: Bill Culbert, Daylight Flotsam Venice (2013). Copyright Bill Culbert, Photo: Jennifer French.

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TRASPORTI & CULTURA N.36

Autori Stefano Lenzi – Responsabile Ufficio relazioni istituzionali WWF Italia Andrea Filpa – Università degli Studi Roma Tre e Rete Docenti “Riutilizziamo l’Italia” Maria Cristina Treu – Professore Ordinario di Urbanistica, Politecnico di Milano Zeila Tesoriere – Professore Associato di Composizione architettonica e urbana, Università di Palermo Cristiana Mazzoni – Professore Ordinario HDR di Urbanistica e progettazione, Ecole Nationale Supérieure d’Architecture di Strasburgo Roberta Borghi – Professore Associato a contratto di Progetto architettonico e urbano, Ecole Nationale Supérieure d’Architecture di Strasburgo Luna d’Emilio – Professore Associato a contratto di Progetto architettonico e urbano, Ecole Nationale Supérieure d’Architecture di Grenoble Vincenzo Gioffrè – Ricercatore in Architettura del paesaggio, Dipartimento dArTe, Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria Sergio Pascolo – Architetto, docente di Progettazione architettonica e Urbana, Università Iuav, Venezia Chiara Mazzoleni – Docente di Urbanistica, Università Iuav di Venezia Emanuele Saurwein – Architetto, titolare dello studio LANDS di Lugano, docente di progetto e teoria del progetto alla SUPSI di Lugano Francesca Fontana – Dottore di ricerca in Urbanistica e progettazione, Università di Strasburgo e Università di Pescara Anne Jaurèguiberry – Professore Associato di Urbanistica e progettazione, Ecole Nationale Supérieure d’Architecture di Strasburgo Oriana Giovinazzi – Assegnista di ricerca, Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in ambienti complessi, Università Iuav di Venezia Viviana Martini – Dottore di ricerca in Economia e tecnica della conservazione e del patrimonio architettonico e ambientale Massimo Contiero – Direttore del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia Michele Culatti – Assegnista di ricerca, Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in ambienti complessi, Università Iuav di Venezia Andrea Debernardi - Ingegnere civile, dottore di ricerca in Pianificazione territoriale e ambientale, Sudio META, Monza Laura Valeria Ferretti – Docente e Ricercatrice di Progettazione e Gestione dell’ambiente, Università di Roma La Sapienza Carlo Gasparrini – Professore Ordinario di Urbanistica, Università di Napoli Maurizio Morandi – Professore emerito di Urbanistica, Università di Firenze Questo numero della rivista è stato coordinato dalla prof.ssa Cristiana Mazzoni dell’Ecole Nationale Supérieure d’Architecture di Strasburgo e dall’arch. Oriana Giovinazzi dell’Università Iuav di Venezia

Copyright Questa rivista è open access, in quanto si ritiene importante la libera diffusione delle conoscenze scientifiche e la circolazione di idee ed esperienze. Gli autori sono responsabili dei contenuti dei loro elaborati ed attribuiscono, a titolo gratuito, alla rivista Trasporti & Cultura il diritto di pubblicarli e distribuirli Non è consentita l’utilizzazione degli elaborati da parte di terzi, per fini commerciali o comunque non autorizzati: qualsiasi riutilizzo, modifica o copia anche parziale dei contenuti senza preavviso è considerata violazione di copyright e perseguibile secondo i termini di legge. Sono consentite le citazioni, purché siano accompagnate dalle corrette indicazioni della fonte e della paternità originale del documento e riportino fedelmente le opinioni espresse dall’autore nel testo originario. Tutto il materiale iconografico presente su Trasporti & Cultura ha il solo scopo di valorizzare, sul piano didattico-scientifico i contributi pubblicati. Il suddetto materiale proviene da diverse fonti, che vengono espressamente citate. Nel caso di violazione del copyright o ove i soggetti e gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, si prega di darne immediata segnalazione alla redazione della rivista - scrivendo all’indirizzo info@trasportiecultura.net – e questa provvederà prontamente alla rimozione del materiale stesso, previa valutazione della richiesta. 127


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