TFP Rivista "Tradizione Famiglia Proprietà", ottobre 2015

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Anno 21, n. 66 - Ottobre 2015 Sped. in Abb. Post. Art. 2, Comma 20/C, Legge 662/96 Filiale di Padova

La lunga marcia di una certa ecologia


Dallo sviluppo al tribalismo

Q

uando, nel 1962, Claude Lévi-Strauss pubblicò «La pensée sauvage», proponendo come modello per l’Occidente le tribù primitive, molti lo considerarono appena una stravaganza del filosofo post-marxista. Eppure, ne «L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato» (1884), lo stesso Engels aveva già indicato il tribalismo come tappa ultima del processo evolutivo rivoluzionario, oltre il comunismo.

Nella tribù, scrisse Engels sviluppando uno schema di Marx, non esiste famiglia come noi la concepiamo, non esiste l’idea di proprietà privata, e nemmeno quella di Stato oppressore. Non esiste, cioè, nessuna fonte di “alienazione”. La società ugualitaria e libertaria post-comunista, concludeva, “sarà una risurrezione di quella tribale”. All’epoca, l’Occidente era in piena rivoluzione industriale, la tecnica trionfava ovunque, la Belle Époque stava sbocciando magnificamente e l’ottimismo regnava incontestato. Nessuno voleva sentir parlare di ritorno al tribalismo.

Nemmeno due guerre mondiali riuscirono ad ammorzare tale ottimismo. Nel 1962, data di pubblicazione di «La pensée sauvage», mentre si moltiplicavano dappertutto i “miracoli” economici, il mondo era nel pieno di un’era di grande prosperità economica e di relativa tranquillità politica, sotto l’egida della strapotenza statunitense. Il progresso sembrava inarrestabile, la modernità dava i suoi migliori frutti. L’Italia, per parlare di casa nostra, cresceva al ritmo del 5-6% annui. Verso la fine del decennio, però, diverse voci cominciarono ad avvertire che tale ritmo di sviluppo 2 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015

era “insostenibile”: l’Occidente doveva frenare, anzi tornare indietro. L’uomo occidentale, si diceva, avrebbe dovuto riscoprire i valori dell’austerità, anzi della ristrettezza, abbandonando gli attuali modelli di sviluppo. I più avventati si azzardavano a presentare la tribù come il modello del futuro. Questa volta, le voci provenivano non solo dai soliti settori dell’avanguardia rivoluzionaria, ma anche da importanti organismi internazionali come il Club di Roma, le Nazioni Unite e l’Internazionale Socialista. Anche gli argomenti erano diversi: non più elucubrazioni sull’evolversi del processo rivoluzionario, bensì constatazioni de facto riguardanti l’ambiente e il clima. Le conclusioni, comunque, erano le stesse: la modernità basata sullo sviluppo deve finire.

Non mancarono versioni “cattoliche” di tale ambientalismo, come la creation theology di P. Matthew Fox, che lavorò sulla scia di Teilhard de Chardin; oppure la “teologia indigena”, sviluppata sulla scia della Teologia della liberazione. Tutte e due furono a suo tempo condannate dalla Chiesa.

La situazione, però, sembra essere cambiata. Mentre le tesi del movimento ambientalista ormai guidano la politica di molti governi e di organismi internazionali, molte delle sue idee base hanno trovato il modo di insinuarsi in alcuni documenti ecclesiastici, anche recenti, conferendogli quindi una grande autorevolezza.

Qual’è la storia di questo ambientalismo? Come si è potuto passare dall’ideale di progresso a quello tribale?


Sommario Anno 21, n° 66, ottobre 2015

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Editoriale: Dallo sviluppo al tribalismo ISIS: rapite in Siria 230 persone Il transgenderismo è un disturbo mentale La lunga marcia di una certa ecologia 1976: la lucida previsione La nuova lotta di classe Cuba: Un nuovo inizio? O le solite manovre? Intervista a Carlos Carralero Il pastore che dà la vita per il lupo San Giuseppe Moscati Elia: Pater et Dux carmelitarum Considerazioni sull’anima russa Il mondo delle TFP Il Kaiser e l’Imperatrice

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Copertina: Il secolo XX è nato sotto il segno del progresso, nell’ambiente sfavillante della Belle Époque, e si è chiuso, invece, con l’irrompere delle correnti pauperiste ed indigeniste, con il pretesto dell’ecologia.

Tradizione Famiglia Proprietà Anno 21, n. 66 ottobre 2015 Dir. Resp. Julio Loredo

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Direzione, redazione e amministrazione: Tradizione Famiglia Proprietà - TFP, Viale Liegi, 44 — 00198 ROMA Tel. 06/8417603 Fax: 06/85345731 Email: info@atfp.it Sito: www.atfp.it CCP: 57184004 Aut. Trib. Roma n. 90 del 22-02-95 Sped. in abb. post. art. 2, Comma 20/C, Legge 662/96 — Padova Stampa Tipolito Moderna, via A. de Curtis, 12/A — 35020 Due Carrare (PD) TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015 - 3


Attualità

Isis: rapite in Siria 230 persone, tra cui 60 cristiani

I

l sequestro è avvenuto dopo la conquista della cittadina in cui vivevano, in provincia di Homs.

Siamo nella Siria centrale, in un luogo chiamato al-Qaryatain, dove i terroristi sono entrati di sera. Molti dei cristiani rapiti, tra cui donne e bambini, erano fuggiti dalla provincia di Aleppo.

Si aggiungono dettagli all’ennesima crudeltà dell’Isis, resa nota il 7 agosto. Si apprende che i nomi dei cristiani rapiti questa volta erano su una lista di “collaborazionisti con il regime” ed erano “ricercati” come lo furono gli ebrei con i nazifascisti. Alcuni sono riusciti a fuggire, ma poi sono stati catturati. L’Osservatorio nazionale siriano per i diritti umani ha riferito che tra gli ostaggi ci sono 19 minorenni e 45 donne.

Al-Qaryatain non è nuova ai sequestri di persone di fede cristiana: a maggio venne rapito il priore del monastero di Mar Elian (Dar Alyan), padre Jacques Murad, che era impegnato ad organizzare aiuti per i profughi da Palmira. Prima della guerra vivevano nella cittadina 18.000 sunniti, 2.000 siro-cattolici e cristiani cattolici e ortodossi, ma alcune stime dicono che adesso i cristiani rimasti sono solo 300. Di “pulizia religiosa” parla senza mezzi termini a Radio Vaticana il patriarca della Chiesa siro-cattolica Ignace Youssif III Younan, puntando il dito contro i governanti occidentali che paiono indifferenti al destino dei cristiani siriani e sottolineando che gli abitanti sunniti di Al-Qaryatain stanno dalla parte dell’Isis e aspettavano solo il momento opportuno per attaccare l’esercito impiegato anche per proteggere i cristiani. (Alessandra Boga)

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Da sopra: l’ISIS fa il suo ingresso in un paese della Siria; bambini uccisi col gas cloro; distruzione di chiese nei territori controllati dall’ISIS


Il transgenderismo è un disturbo mentale: parola di psichiatra

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l dott. Paul R. McHugh è uno dei più autorevoli psichiatri a livello mondiale, con quasi mezzo secolo di pratica professionale. Già Primario di psichiatria nel celebre Johns Hopkins Hospital, di Baltimora, oggi è Distinguished Service Professor of Psychiatry. Autore di sei libri, ha pubblicato più di 130 saggi in riviste specializzate.

Qualche settimana fa, il dott. McHugh ha sollevato un piccolo tsunami nel mondo accademico affermando che il transgenderismo è un “disturbo mentale” che va trattato, e che il cambio di sesso è “biologicamente impossibile”. La chirurgia per cambiare sesso, secondo lui, non è la soluzione per persone che soffrono di “disordine di assunzione”, vale a dire la percezione che la propria mascolinità o femminilità sia diversa da quella che la natura le ha assegnato biologicamente. Secondo McHugh, le persone che promuovono un tale intervento chirurgico stanno favorendo la diffusione di un disturbo mentale. Nell’articolo, pubblicato sul Wall Street Journal, lo psichiatra statunitense riporta vari studi che mostrano come il tasso di suicidi tra le persone transgender sia venti volte superiore a quello tra persone non transgender. Egli cita inoltre studi della Vanderbilt University e della Portman Clinic di Londra che mostrano come, nel 70% dei casi, i sentimenti tran-

sgender spariscono spontaneamente col passare del tempo.

L’ex Primario di psichiatria critica l’amministrazione Obama, Hollywood e i grandi mezzi di comunicazione, come la rivista Time: “Promovendo il transgenderismo come normale, questi signori non fanno affatto un favore né al pubblico né ai transgender, nel trattare le loro confusioni mentali come un diritto che va difeso piuttosto che come un disturbo mentale che merita comprensione, trattamento e prevenzione”.

“Il sentimento di essere transgender costituisce un disturbo mentale in due aspetti – scrive McHugh – il primo è che il cambio di sesso è semplicemente sbagliato, non corrisponde alla realtà fisica. Il secondo è che può portare a conseguenze psicologiche atroci”.

Il disturbo della persona transgender, continua McHugh, sta nel fatto che la percezione psicologica che essa ha della propria sessualità non corrisponde alla realtà fisica del suo corpo, cioè alla propria mascolinità o femminilità, come assegnata dalla natura. In linguaggio scientifico si chiama gender dysphoria. Si tratta di un disturbo simile all’anoressia, nella quale, guardandosi allo specchio, una persona periTRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015 - 5


Attualità

“Per quaranta anni ho studiato persone che dicono di essere transgender. Posso affermare che si tratta di un disturbo mentale”

Paul R. McHugh

cambiare sesso si dichiarano “soddisfatti” con l’operazione, la realtà è che, successivamente, il loro adeguamento psicologico e sociale si dimostra pieno di problemi.

“Perciò, allo Johns Hopkins abbiamo smesso di fare interventi di cambio di sesso. Ci sembrava che rendere persone apparentemente ‘soddisfatte’ ma in realtà piene di problemi psicologici e sociali non era una ragione sufficiente per amputare chirurgicamente organi perfettamente funzionanti”, scrive il dott. McHugh.

colosamente magra si vede comunque sempre “sovrappeso”, oppure alla dysmorfia, nella quale una persona percepisce se stessa come fisicamente diversa da ciò che in realtà è.

La percezione delle persone transgender, secondo cui la loro sessualità risiede nella mente, a prescindere dalla realtà anatomica, ha portato al riconoscimento sociale di queste persone basato sull’affermazione di “verità soggettive” che nulla hanno a che fare con la realtà. Non sorprende, dunque, che nell’approvare leggi che permettono il cambio di sesso in minorenni, alcuni Stati abbiano proibito agli psichiatri, anche con l’autorizzazione dei genitori, di trattarli per permetterli di ripristinare la sensibilità sessuale naturale.

I promotori degli interventi precoci di cambio di sesso semplicemente non vogliono prendere atto degli innumerevoli studi che mostrano come tra il 70% e l’80% dei giovani che esprimono sentimenti transgender spontaneamente perdono tali sentimenti nel corso del tempo. Inoltre, anche se molti tra quelli che si sommettono a un intervento chirurgico per 6 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015

L’ex Primario di psichiatria mette in guardia contro le lobby LGBT che promuovono un tipo di educazione sessuale che presenta il cambio di sesso come “normale”. Se la prende pure con i “consiglieri” nelle scuole che suggeriscono ai giovani di prendere le distanze dalle loro famiglie, evitando quindi di sentire altre campane. Infine, critica quei “medici fuorviati” che, al primo accenno di una tendenza sessuale non corretta, somministrano droghe per ritardare la pubertà, per rendere i successivi interventi di cambio di sesso meno onerosi, esponendo i ragazzi a ogni sorta di pericoli, sia fisici sia psicologici. Tale atteggiamento, secondo McHugh, è al limite dell’abuso di minorenni. McHugh ritiene un suo preciso dovere come medico e come psichiatra, avvertire il pubblico che l’ideologia gender costituisce un pericolo per la salute mentale della società: “Dobbiamo puntare il ditto e dire che il re è nudo!”

“Il cambio di sesso è biologicamente impossibile – conclude McHugh – le persone che si sottopongono a un tale intervento non si trasformano da uomo a donna, o viceversa. Piuttosto, diventano uomini effeminati e donne mascolinizzate. Affermare che tale intervento è un ‘diritto’equivale a promuovere, a livello sociale, un grave disturbo mentale”. 


La Rivoluzione ecologista

Morto il marxismo, o meglio il socialismo reale che le serviva da vettore, la sinistra internazionale ha dovuto riciclare non pochi concetti, tra cui quello della lotta di classe. Abbandonando il confronto fra proletariato e borghesia, si parla oggi di un conflitto fra Sud (paesi poveri) e Nord (paesi ricchi). Agli argomenti di carattere politico, sociale ed economico, sono subentrati quelli ambientalisti. Si parla di una “Rivoluzione globale” che avrebbe come scopo “un cambiamento fondamentale di mentalità, una rivoluzione radicale”. Qualcuno vuole la fine della civiltà industriale. E non manca chi presenta le tribù indigene come modello di società “ecosostenibile” per il futuro.

La lunga marcia di una certa ecologia verso il tribalismo

di Julio Loredo

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La Rivoluzione ecologista L’enciclica «Laudato sì» cita il cosiddetto Vertice della Terra, celebrato nel 1992 a Rio de Janeiro, menzionando anche quello precedente, tenutosi a Stoccolma vent’anni prima. Qual è la storia di questi Vertici?

L

a recente enciclica «Laudato sì» cita il cosiddetto Vertice della Terra, celebrato nel 1992 a Rio de Janeiro. Si trattò della II United Nations Conference on Environment and Development (II Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo). Il primo Vertice si era tenuto vent’anni prima a Stoccolma.

Lo zampino del Club di Roma...

Nel giugno 1972 si tenne a Stoccolma, Svezia, la United Nations Conference on the Human Environment (Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano). L’assise voleva segnare una presa di coscienza dell’ONU di fronte ai problemi del clima, dell’ambiente e dello sviluppo, venendo incontro alle esigenze dell’ appena nato movimento ecologista. La conferenza emise una

Sopra, Aurelio Peccei, fondatore del Club di Roma A dx., il “Rapporto Meadows”: limiti allo sviluppo

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“Dichiarazione sull’ambiente umano” articolata in ventisei principi.

In realtà, la riunione di Stoccolma non fece altro che assumere alcune tesi del Club di Roma, un’associazione internazionale di ricercatori e attivisti fondata nel 1968 dall’imprenditore italiano Aurelio Peccei, che ne fu il primo presidente. Il Club di Roma divenne tristemente noto per le sue predizioni catastrofistiche, poi puntualmente avveratesi esagerate o, addirittura, false. Un esempio: il Club predisse la fine delle riserve di petrolio entro la fine del secolo. In realtà, le riserve sono cresciute anno dopo anno, situandosi oggi a 900 miliardi di barili, senza contare le nuove tecnologie di estrazione come il fracking.

La vicinanza di Peccei e di altri membri del Club agli ambienti comunisti proiettava, comunque, un’ombra di sospetto ideologico sull’operato del Club. Infatti, sin dall’inizio il Club si è identificato con le posizioni della sinistra mondialista, proponendo un “Nuovo ordine mondiale” basato sul freno allo sviluppo industriale dell’Occidente e sulla redistribuzione comunitaria della ricchezza.

Nel 1971 il Club stilò il «Rapporto sui limiti dello sviluppo», noto anche come «Rapporto Meadows». Il documento prediceva che la crescita economica non poteva continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali, e della limitata capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del pianeta. Proponeva come soluzione una drastica riduzione dei livelli di consumo dei paesi sviluppati, tornando a uno stile di vita più primitivo che, in sostanza, sarebbe la negazione del moderno progresso. Il Rapporto proponeva una “Rivoluzione sostenibile” per cambiare radicalmente il paradigma del mondo moderno. Alla riduzione della crescita economica andava poi abbinata una politica di controllo delle nascite: “Ci sono solo due modi per ripristinare l’equilibrio. O il tasso di natalità viene portato verso il basso per essere uguale al tasso di mortalità, oppure il tasso di mortalità deve salire nuovamente. (…) Ogni società deve intraprendere delle azioni deliberate per ridurre il tasso di natalità”.


“Il Papa propone tesi identiche a quelle che, ormai da tanti anni, presenta il Club di Roma” Roberto Peccei

Nel 1991, il Club di Roma pubblicò il libro-manifesto «La prima rivoluzione globale», in cui esponeva le proprie intenzioni: “Alla ricerca di un nuovo nemico per unirci, abbiamo scoperto che l’inquinamento, il riscaldamento globale, la mancanza di acqua, la fame, e in generale i temi ambientalisti servivano all’uopo. Nell’individuarli come nemici, però, non possiamo cadere nella trappola di confondere i sintomi con le cause. Tutti questi pericoli sono provocati dall’intervento umano, e potranno essere risolti solo se gli uomini cambiano di mentalità e di comportamento. Il vero nemico è l’uomo stesso”. Nell’ammissione dello stesso Club di Roma, dunque, i temi ambientali sono quasi un pretesto per attuare una “Rivoluzione globale” che abbia come bersaglio l’uomo stesso e la civiltà odierna.

Il Club di Roma ha manifestato compiacimento con l’enciclica. “Il Papa propone tesi identiche a quelle che, ormai da tanti anni, presenta il Club”, ha dichiarato Roberto Peccei, figlio di Aurelio e attuale vicepresidente del Club. A presentare l’enciclica al pubblico in Vaticano lo scorso 18 giugno, a fianco al Cardinale Peter Turkson, c’era Hans Joachim Schellnhuber, dirigente del Club di Roma.

…e quello dell’Internazionale socialista

Il panorama presentato dal Club di Roma si inserisce in una più vasta proposta articolata dall’Internazionale socialista. Dagli anni Sessanta, i ricercatori di questa organizzazione stano esplorando nuove prospettive per la Rivoluzione nell’Occidente, visto l’evidente fallimento del marxismo. Un frutto di tale lavoro sono alcuni documenti che tracciano ciò che gli analisti hanno definito “una nuova lotta di classe”: al vecchio scontro fra proletari e borghesi si sostituisce quello planetario fra Sud (paesi poveri) e Nord (paesi ricchi), facendo leva non tanto su argomenti politici o sociali quanto su temi legati al clima e all’ambiente.

In concreto, con l’alto patrocinio dell’United Nations Environment Programme, l’Internazionale socialista presentò due documenti programmatici: nel 1980 il «Rapporto Brandt» (dal nome del cancelliere tedesco e presidente dell’Internazionale socialista Willy Brandt); e nel 1987 il «Rapporto Brundtland» (dal nome della Primo ministro norvegese e vicepresidente dell’Internazionale socialista Gro Harlem Brundtland). Che questi documenti, come pure i Vertici sull’ambiente patrocinati dall’ONU, provenissero dalla fuc i n a dell’Internazionale socialista, lo confermò la stessa Gro Harlem Brundtland, in un’intervista concessa al sottoscritto nel giug n o 1992, a Rio de Janeiro:

Il “Rapporto Brundtland” TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ /OTTOBRE 2015 - 9


La Rivoluzione ecologica “Tutti questi incontri internazionali sul clima, e le loro conclusioni, sono ispirati e coordinati dall’Internazionale socialista”

Gro Harlem Brundtland

“Domanda: Membri dell’Internazionale socialista, della quale Lei adesso è il vicepresidente, hanno partecipato a tutte le commissioni che hanno portato fino a questo Vertice. Esiste un progetto dell’Internazionale socialista in tema di ecologia? “Gro Harlem Brundtland: Ci sono state tre diverse commissioni, che hanno costruito una sopra l’altra le loro analisi e proposte. Ci fu prima la Commissione Brandt. Oltre a trattare il problema del dialogo Nord-Sud, la Commissione studiò la situazione dell’economia mondiale nei suoi rapporti con il clima e con l’ambiente. Negli anni successivi, ci fu una seconda Commissione, presieduta da me, che presentò il rapporto «Il nostro futuro comune». Oggi, le proposte che abbiamo fatto nei vari campi, sono state accolte dalla comunità internazionale. Inoltre, ci fu la Commissione sull’ambiente e lo sviluppo, questa volta gestita dalle Nazioni Unite.

“Questo è molto positivo, poiché mostra che i nostri Rapporti e le nostre proposte sono stati assunti ufficialmente dalle Nazioni Unite, il che ci ha portato fino a questo Vertice a Rio De Janeiro. È vero che tutti i principali membri di queste Commissioni, a cominciare dai presidenti, erano dell’Internazionale socialista, della quale io adesso sono il vicepresidente. È vero che noi, socialisti, da tempo stiamo studiando questi temi. È vero che tutti questi incontri internazionali e le loro conclusioni, sono ispirati e coordinati dall’Internazionale socialista”. 10 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015

Il Vertice della Terra a Rio de Janeiro

Vent’anni dopo Stoccolma, nel giugno 1992, e sempre sotto l’egida dell’ONU, si realizzò a Rio de Janeiro, Brasile, il cosiddetto Earth Summit (Vertice della Terra), che annoverò in realtà due eventi paralleli: - la II UNCED (United Nations Conference on Environment and Development);

- il Global Forum, ovvero il raduno mondiale delle NGO (Non Governmental Organisations).

Fu la più grande assise della storia: 178 delegazioni di Governi, 118 delle quali guidate dallo stesso Capo di Stato; 3.800 Ministri; 48 delegazioni internazionali (FMI, OIT, UNESCO, ecc.), per un totale di quasi diecimila partecipanti. Il tutto coperto da quasi settemila giornalisti, tra cui il sottoscritto. Da parte sua, il Global Forum riunì ottocento NGO, con più di centomila partecipanti. Nella sessione inaugurale Gro Harlem Brundtland espose l’obiettivo della riunione: “La storia dell’umanità è giunta a un punto critico che richiede cambiamenti fondamentali nel governo del mondo. La terra grida per una rivoluzione!”.

La II UNCED fu presieduta dal canadese Maurice Strong, noto ecologista di sinistra. Ecco come egli ne sintetizzava lo scopo: “Quest’assise dovrà far scattare una nuova rivoluzione eco-industriale, che modifichi profondamente non solo le strutture so-


ciali, economiche e culturali del mondo, ma la stessa mentalità dell’uomo moderno. Ciò che vogliamo è un cambiamento fondamentale di mentalità, una rivoluzione radicale nel modo in cui facciamo le cose”.

La II UNCED produsse due trattati internazionali – Rio Declararion e Agenda 21 – e tre convenzioni: Convention on Biological Diversity, Convention on Climate Change e Convention on Forest Principles. Impossibile analizzare questi documenti in dettaglio. La sola Agenda 21 conta più di 900 pagine. Possiamo, però, tracciare alcune tendenze emergenti, che ispireranno il movimento ambientalista nei decenni successivi. Fu Rio a diffondere, per esempio, i concetti di “sviluppo sostenibile” e di “biodiversità”.

Il Vertice di Rio è qualificato nell’enciclica «Laudato sì» come “veramente profetico” (N° 167). In cosa consisterebbe questa “profezia”?

A dx., Maurice Strong: “Una nuova rivoluzione eco-industriale, che modifichi profondamente non solo le strutture sociali, economiche e culturali del mondo, ma la stessa mentalità dell’uomo moderno”

Il “Vertice della Terra”

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La Rivoluzione ecologista

“Le industrie nei paesi sviluppati dovranno essere modificate o rottamate” “L’unico modo per risolvere l’attuale situazione è procedere verso una crescita negativa. Questo è il vero obiettivo della moderna ecologia” “Così come l’Unione Sovietica è crollata, adesso deve crollare l’Occidente. Questo è ciò che noi, ecologisti, auspichiamo”

Prima tendenza: un freno allo sviluppo

Una prima idea guida è che il modello di sviluppo finora adottato dall’Occidente è “insostenibile”. Leggiamo in Agenda 21: “Uno dei problemi più gravi che affliggono il pianeta è il consumo e i modelli di produzione insostenibili che portano al degrado ambientale, all’aggravamento della povertà e allo squilibrio nello sviluppo dei paesi”. Stessa campana da Maurice Strong: “Il modello che ha prodotto lo stile di vita benestante di cui noi oggi godiamo, è insostenibile”.

Questi modelli andrebbero eliminati. Afferma Gro Harlem Brundtland: “Dobbiamo cambiare le tendenze e i modelli di consumo e di produzione. Dobbiamo renderci conto che noi, del mondo industrializzato, abbiamo aumentato il nostro tenore di vita con l’uso eccessivo delle risorse naturali”.

In una prima fase, gli impianti industriali andrebbero sottoposti a regole ambientali talmente stringenti da costringerli a chiudere. Linda Starke, del Centre for Our Common Future, organizzazione internazionale istituita a seguito del Rapporto Brundtland, ammette: “Le industrie nei paesi sviluppati dovranno essere modificate, o forse rottamate”.

Questo comporterebbe la fine dell’Occidente come noi lo conosciamo. Dichiarava Edward Gol-

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dsmith, premio Nobel Alternativo, direttore della rivista britannica “The Ecologist” e partecipante alla riunione di Rio: “Chi ha distrutto di più dovrà pagare di più. Sono i ricchi a dover pagare. Tutte le centrali nucleari vanno chiuse. Il mondo industriale non potrà sopravvivere a lungo. Così come l’Unione Sovietica è crollata, adesso deve crollare l’Occidente. Questo è ciò che noi, ecologisti, auspichiamo”.

Seconda tendenza: verso una “crescita negativa”

Ma questo freno allo sviluppo non basta. Agenda 21 lo afferma senza mezzi termini: “La modifica dei modelli di consumo richiederà una diminuzione della domanda”. Ciò che eufemisticamente chiama una “crescita negativa”. Prosegue Agenda 21: “Dobbiamo rivedere gli attuali concetti di crescita economica, ideando un nuovo concetto di ricchezza e di prosperità”. Un documento distribuito a Rio, cita il pensatore socialista francese André Gorz: “L’unico modo per risolvere l’attuale situazione è procedere verso una crescita negativa. Questo è il vero obiettivo della moderna ecologia”.


“Il mondo industriale non potrà sopravvivere a lungo. Così come l’Unione Sovietica è crollata, adesso deve crollare l’Occidente. Questo è ciò che noi, ecologisti, auspichiamo”

Edward Goldsmith

Terza tendenza: emerge un’eco-dittatura

Ma che cosa accadrebbe se un Paese non è disposto a rispettare le severe regole ambientali emanate dall’ONU?

In un paper presentato a Rio, Hillary French, del Worldwatch Institute di Washington, ammetteva: “Sarà necessario imporre sanzioni per punire i Paesi che violano gli accordi”. Non meno esplicito l’ex primo ministro francese Michel Rocard nel suo intervento a Rio: “Non dobbiamo illuderci. La comunità internazionale dovrà essere in grado di esercitare una forte pressione su qualsiasi Paese mantenga impianti industriali che minacciano l’ambiente. (…) È necessario che gli strumenti internazionali che stiamo elaborando, alcuni dei quali saranno adottate a Rio, abbiano il potere di imporre sanzioni, e anche di espropriare qualsiasi impianto sia considerato inquinante”.

Quarta tendenza: un governo mondiale

Nella logica di questo eco-socialismo globale, gli organismi di controllo ambientale delle Nazioni Unite avrebbero una giurisdizione de facto su tutto

il mondo, a prescindere dai confini nazionali. La II UNCED ha chiaramente stabilito che, poiché l’inquinamento non ha confini nazionali, nemmeno si può più parlare di sovranità nazionale. “In molti settori, tra cui quello ambientale – spiegava Maurice Strong – non è più possibile parlare di una sovranità esercitata da Stati-nazione”. Il presidente francese François Mitterrand, protagonista a Rio, fu altrettanto chiaro: “Dobbiamo ridurre il controllo dei Paesi sui propri territori, nel caso vengano accusati di danni all’ambiente”. E, infatti, una delle proposte discusse a Rio fu la creazione di una forza militare di intervento veloce, i “Caschi Verdi”, per risolvere “situazioni ambientali” in tutto il mondo.

Quinta tendenza: la nuova lotta di classe

Una quinta tendenza emersa da Rio è un cambio nel concetto di lotta di classe, spiegato in dettaglio nel prossimo articolo. Nel suo intervento al Forum Globale, il leader del Partito Verde brasiliano Fernando Gabeira, affermò: “Rio darà origine a una guerra tra il Nord e il Sud del pianeta. Le armi di questa guerra saranno: inquinamento, deforestazione, sovrappopolazione e la cappa d’ozono”.

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La Rivoluzione ecologica

1976: la lucida previsione

illusoria tra l’apice della libertà individuale e del collettivismo accettato, in cui quest’ultimo finisce per divorare la libertà. In tale collettivismo, i diversi ‘io’ o le persone singole, con il loro pensiero, la loro volontà e i loro modi di essere, caratteristici e contrastanti, si fondono e si dissolvono — secondo loro — nella personalità collettiva della tribù che genera un modo di pensare, un modo di volere e un modo di essere massivamente comuni.

“Ben inteso, la strada verso questo stato di cose deve passare attraverso la estinzione dei vecchi modelli di riflessione, volizione e sensibilità individuali, gradatamente sostituiti da forme di sensibilità, di pensiero e di deliberazione sempre più collettivi. Quindi la trasformazione deve avvenire soprattutto in questo campo.

N

el 1976, aggiornando il suo capolavoro del 1959 «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione», il prof. Plinio Corrêa de Oliveira accennava esplicitamente al tribalismo come modello della IV Rivoluzione, vale a dire, quella dopo la rivoluzione comunista:

“È impossibile prevedere, nella prospettiva marxista, come saranno la ventesima o la cinquantesima Rivoluzione. Però non è impossibile prevedere come sarà la IV Rivoluzione. Questa previsione l’hanno già fatta gli stessi marxisti.

“Essa dovrà essere il crollo della dittatura del proletariato in conseguenza di una nuova crisi, per cui lo Stato ipertrofizzato sarà vittima della sua stessa ipertrofia; e scomparirà, dando origine a uno stato di cose scientista e cooperativista, in cui — dicono i comunisti — l’uomo avrà raggiunto un grado di libertà, di uguaglianza e di fraternità fino a ora inimmaginabile.

“Come? È impossibile non chiedersi se la società tribale sognata dalle attuali correnti strutturaliste non dia una risposta a questa domanda. Lo strutturalismo vede nella vita tribale una sintesi 14 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015

“In che modo? Nelle tribù, la coesione tra i membri è assicurata soprattutto da un comune sentimento, da cui derivano abitudini comuni e un comune volere. In esse la ragione individuale rimane ridotta quasi a nulla, cioè ai primi e più elementari moti che il suo stato di atrofia le consente. ‘Pensiero selvaggio’, pensiero che non pensa e si volge soltanto al concreto. Questo è il prezzo della fusione collettivistica tribale. Lo stregone ha il compito di conservare questa vita psichica collettiva, attraverso culti totemici carichi di ‘messaggi’ confusi, ma ‘ricchi’ di fuochi fatui o perfino anche delle folgorazioni provenienti dal misterioso mondo della metapsichica o della parapsicologia. Con l’acquisizione di queste ‘ricchezze’ l’uomo compenserebbe l’atrofia della ragione.

“Proprio della ragione, in altri tempi ipertrofizzata dal libero esame, dal cartesianesimo, ecc., divinizzata dalla Rivoluzione francese, utilizzata fino al più aperto abuso in ogni scuola di pensiero comunista, e ora, infine, atrofizzata e resa schiava del totemismo metapsichico e parapsicologico. (...) “Sono pure sintomatici gli elogi idilliaci, sempre più frequenti, di un tipo di ‘rivoluzione culturale’ generatrice di una società nuova postindustriale, ancora mal definita”. 

(Plinio Corrêa de Oliveira, «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione», Luci sull’Est, Roma 1988, pp. 154-157)


Altrettanto chiaro Roberto Pereira Guimarães, rappresentante del governo brasiliano presso l’UNCED: “La grande sfida dello sviluppo sostenibile non è risolvere la questione ambientale, bensì quella sociale. Dobbiamo risolvere la contraddizione degli attuali modelli che generano una divisione tra ricchi e poveri”. Un documento diffuso ai giornalisti durante il Vertice di Rio affermava senza mezzi termini: “La questione ambientalista, nei nostri giorni, è fondamentalmente un problema di scontro fra paesi poveri e paesi ricchi”.

Sesta tendenza: accettazione delle religioni indigene e del modello tribale

La II UNCED di Rio diede grande risalto alle ONG, a scapito degli organismi ufficiali. Quasi settecento rappresentanti delle ONG sedevano all’Assemblea Generale. Tra questi spiccavano i rappresentanti delle “religioni tradizionali” e dei “popoli aborigeni”, presentati dall’ONU come tasselli fondamentali nella soluzione dei problemi ambientali: “Agenda 21 promuove i metodi e le conoscenze tradizionali dei popoli indigeni e delle loro comunità”. Il sistema tribale aborigeno fu presentato nella II UNCED come modello di “ecosostenibilità”, e di “stile di consumo”. Leggiamo in un documento: “I popoli indigeni sono gli unici che sono riusciti a gestire un ambiente sostenibile nel corso di migliaia di anni”.

Non sorprende, quindi, che mentre si svolgeva la riunione ufficiale dell’ONU, su un colle vicino centinaia di “guide spirituali” – monaci buddisti, streghe, sciamani, devoti della New Age e via dicendo – realizzavano una sorta di happening esoterico intorno a un falò al ritmo di tamburi africani. A guidare gli incantesimi, nientedimeno che Hanne Strong, la moglie del Segretario generale dell’UNCED. “Il cerchio di fuoco rappresenta il regno della verità – spiegava Mrs. Strong – il falò il nesso col creatore. (…) Il nostro intento è di inviare energie di saggezza sull’Assemblea dell’ONU al fine di generare una rivoluzione spirituale”.

Lungi dallo sprezzare tale contributo, i leader dell’ONU lo accolsero come una “nuova forma di coscienza ambientale”, che sarebbe dovuta servire da fondamento per la “rivoluzione eco-industriale” che cercavano di lanciare. Leggiamo in un documento dell’UNCED: “La Terra è un’entità vivente, tutto ciò che contiene ha un’anima”. E anche Maurice Strong, nel suo discorso di apertura, citò a lungo la «Dichiarazione della Sacra Terra» emessa qualche giorno prima dalla “Conferenza Mistica dei Leader Spirituali”.

Questo riconoscimento ufficiale di credenze e di pratiche religiose esoteriche e tribali solleva seri interrogativi in merito alla sussistenza delle Nazioni Unite come organizzazione laica. E poi, cosa ci fa l’Internazionale Socialista, organismo anch’esso prettamente laico, fomentando le “religioni tradizionali” e il “modello aborigeno”? 

Gli indios dell’Amazzonas: proposti dagli ecologisti come modello di “ecosostenibilità”

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La Rivoluzione ecologista

L a n uo va lo t ta di cl a sse di Raffaele Citterio Morto il comunismo, e con esso la lotta di classe dei proletari contro la borghesia, la sinistra l’ha sostituita con un nuovo conflitto: la lotta planetaria del Sud povero vs. il Nord ricco. Agli argomenti di carattere politico, sociale ed economico, sono subentrati quelli ambientalisti. Fra le “armi”, anche l’immigrazione.

P

rima del 1990, gli occidentali erano abituati a considerare il comunismo come un’ombra colossale incombente sui rapporti internazionali e sulla vita interna di ogni paese. A un dato momento, questa minaccia è svanita. Il Muro di Berlino è stato abbattuto ed è finita la “guerra fredda”. Uno a uno, quasi tutti i vecchi governi comunisti hanno ceduto. L’URSS si è sgretolata. Nonostante la precaria sopravvivenza di “dinosauri” come i fratelli Castro a Cuba, nel breve spazio di due o tre anni, il mostro che aveva tenuto il mondo senza fiato per più di mezzo secolo, sembrò svanire nel nulla.

La spaventosa miseria del comunismo

Il problema del comunismo, come ogni problema socio-politico, aveva un aspetto dottrinale e

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uno pratico. Si trattava non solo di sapere se il marxismo-leninismo era valido o meno a livello teorico, ma anche di sapere se la sua applicazione avesse ottenuto risultati soddisfacenti.

Ora, abbattuta la Cortina di ferro, si è rivelato agli occhi di tutti il clamoroso fallimento dell’esperienza sovietica. Per la prima volta il mondo ha potuto constatare la spaventosa eredità del comunismo: una situazione di miseria e di oppressione quale il mondo non aveva mai visto, e che il cardinale Ratzinger ha giustamente qualificato come “la vergogna del nostro tempo”.

Questa constatazione ebbe un immediato riscontro in campo ideologico: apparve chiaro al buon senso dell’opinione pubblica che l’utopia comunista era irrealizzabile. Di fronte al clamoroso fallimento del socialismo reale, come potevano i comunisti con-


tinuare a difendere le loro dottrine? Così alla disfatta politica si aggiunse pure quella ideologica, scatenando all’interno dei vari PC una crisi d’identità.

La morte delle ideologie

Questa duplice disfatta delle correnti comuniste si situava all’interno di un panorama più ampio: la “morte delle ideologie”.

Da tempo dilaga nello spirito dell’uomo occidentale un tremendo indifferentismo morale, provocato dal deteriorarsi del principio di non contraddizione, principio fondamentale e supremo del pensiero umano. Si parla perfino del tramonto dell’uso della ragione. Si diffonde un nuovo tipo umano incapace di interessarsi a ciò che oltrepassa il suo campo individuale, incapace quindi di emettere un giudizio profondo sugli avvenimenti, ridotto a un coacervo di emozioni, di umori e di reazioni primarie.

Questo tipo umano suppone un grave problema per la sinistra, che si ritrova di colpo impossibilitata a mobilitare come prima le masse per le cause rivoluzionarie. Morto il comunismo come ideologia e distrutta la sua base operazionale, come articolare un nuovo movimento rivoluzionario internazionale, tenendo conto anche di tale atonia ideologica? Occorreva ricostituire un certo quadro generale di fronte al quale le persone potessero essere sollecitate a schierarsi e a scendere in campo.

Ritorna la lotta di classe

Un primo tassello della risposta è quello che si potrebbe definire il riciclaggio della lotta di classe.

Abbattuta la Cortina di ferro, si è rivelato agli occhi di tutti il clamoroso fallimento dell’esperienza sovietica. Per la prima volta il mondo ha potuto constatare la spaventosa eredità del comunismo: una situazione di miseria e di oppressione mai vista prima

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La Rivoluzione ecologista

Nel frattempo, i poveri avranno diritto a partecipare direttamente all’abbondanza dei ricchi, trasferendosi nei loro paesi. Ed ecco la giustizia intrinseca che ci sarebbe negli enormi flussi migratori degli ultimi tempi

Secondo il marxismo, la società moderna era divisa fra i proprietari dei mezzi di produzione (i borghesi) e quelli che ne erano privi (i proletari). Da questa divisione scaturiva necessariamente un antagonismo, la lotta di classe, ritenuta il motore del processo rivoluzionario. Secondo questo mito, i borghesi sarebbero diventati sempre più ricchi e i proletari sempre più poveri, l’antagonismo si sarebbe fatto sempre più aspro fino all’esplosione finale, culminando nella rovina dell’ordine borghese e nell’instaurazione della dittatura del proletariato.

La storia si è incaricata di smentire questo mito. Nell’Occidente il proletariato ha migliorato la sua situazione economica fino a diventare in pratica un’agiata classe media. Nel mondo socialista, invece, il capitalismo di Stato non ha prodotto altro che miseria e oppressione.

Lungi dall’ammettere il fallimento di questo mito, i rivoluzionari lo hanno sostituito con uno nuovo: la fine della tensione Est-Ovest avrebbe lasciato allo scoperto una nuova tensione fra Sud (paesi poveri) e Nord (paesi ricchi).

Sparisce, al meno apparentemente, qualsiasi connotazione ideologica. Si tratta, dicono, di una situazione di fatto: alcuni paesi sono poveri, altri sono ricchi. I primi producono materie prime a basso 18 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015

prezzo; i secondi le acquistano e le trasformano in prodotti industriali che poi vendono a prezzi maggiorati. Si stabilisce così un circolo vizioso per il quale i poveri diventano sempre più poveri ed i ricchi sempre più ricchi. Questa crescente tensione sfocerà nello scontro fra i due mondi, con la conseguente vittoria del Sud. Si instaurerà un nuovo ordine economico internazionale più “giusto” dove le ricchezze saranno ridistribuite e l’uguaglianza finalmente regnerà.

Nel frattempo, i poveri avranno diritto a partecipare direttamente all’abbondanza dei ricchi, trasferendosi nei loro paesi. Ed ecco la giustizia intrinseca che ci sarebbe negli enormi flussi migratori degli ultimi tempi. L’insediarsi di queste masse umane, non più assimilabili alla cultura locale come una volta, crea delle vere e proprie colonie del Sud nelle cittadelle del Nord. Queste colonie tenderanno solo a crescere, visto il loro alto tasso di nascite. Oltre a destabilizzare la vita interna dei paesi ospitanti, a giudizio degli alfieri di questa nuova prospettiva, queste colonie potrebbero eventualmente fornire masse da manovra per moti rivoluzionari. In casi estremi, alcuni paesi del Nord potrebbero perfino perdere la loro identità culturale e storica. Questa prospettiva offre alla sinistra un valido pretesto per mobilitare i suoi militanti e per reclu-


tare compagni di viaggio. L’intensa carica sentimentale dell’obiettivo permette alla sinistra di risparmiarsi l’uso della persuasione ideologica, rivolgendosi direttamente al cuore delle persone.

L’ecologia come ideologia

A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, a questi argomenti di carattere politico, economico e sociale, la nuova sinistra mondiale ha aggiunto anche quelli ecologici e ambientali.

Il ritmo di sviluppo del Nord, dicono, sta sciupando le risorse del pianeta, a scapito del Sud. Bisogna abbassare drasticamente il livello di consumo dei paesi del Nord, portandolo più vicino a quello del Sud, non solo per motivi politici e sociali, ma anche per motivi di carattere ambientale. E anche qui, dice questa sinistra, non ci sarebbe niente di ideologico: si tratta solo di salvaguardare la “nostra casa comune”. Un dato di fatto.

Un’ideologia nascosta

tarismo, cioè alla stessa essenza del comunismo.

Tutto ciò traccia i contorni di una autentica rivoluzione mondiale in preparazione. “Si rischia una guerra di classe da fare impallidire il ricordo delle lotte sociali che fin qui hanno punteggiato la storia moderna”, ammoniva nel 2001 Eugenio Scalfari.  * Basato su una conferenza di Plinio Corrêa de Oliveira per soci e cooperatori della TFP brasiliana, nel 1991.

Gli alfieri di questa nuova prospettiva dichiarano che in essa non c’è nulla di ideologico, e dunque niente di programmato, in quanto non sarebbe altro che il risultato di una situazione di fatto: lo squilibrio economico mondiale.

Per cominciare, questa prospettiva ci sembra troppo semplicistica. Essa non prende in considerazione, per esempio, i motivi della povertà nei paesi del Sud. Il fatto è che molti di questi paesi, ricchi di risorse naturali, sono poveri per via della disastrosa applicazione di programmi di stampo statalista e la totale mancanza di un’etica del lavoro.

Perché non se ne fa mai menzione? Forse perché in tal modo si aprirebbe uno spiraglio di soluzione? C’è da augurarsi, infatti, che, abbandonando il socialismo e applicando invece le formule che hanno funzionato bene al Nord, questi paesi possano svilupparsi. Ma allora essi non sarebbero più “Sud”, si imborghesirebbero, e la sinistra potrebbe rimanere ancora una volta senza massa da manovrare.

Ma allora cominciamo a intravedere i lineamenti di una ideologia soggiacente. Da una parte vediamo il sostegno, mai venuto meno, alle politiche socialiste, a volte mascherate da “populismo”. Vediamo poi l’affermazione che è ingiusto che vi siano paesi ricchi e paesi poveri, così come è ingiusto che vi siano classi ricche e classi povere. In altre parole, è ingiusto che vi siano disuguaglianze. Questa rivoluzione, dunque, è ispirata al principio dell’uguali-

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Dossier Cuba

USA - Cuba: un nuovo inizio?

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na soleggiata mattinata di agosto sul lungomare de l’Havana, la capitale di Cuba. Dopo ben 55 anni di ostilità, la bandiera a stelle e strisce è di nuovo alzata nel patio dell’Ambasciata americana. La banda dei Marines suona l’inno nazionale, fino a poche settimane prima ritenuto fuorilegge. A presiedere il solenne atto, il vicepresidente Joe Biden. La folla urla God bless America! Un nuovo inizio di amicizia tra Cuba e gli Stati Uniti? Oppure le solite manovre castriste? In mezzo all’entusiasmo, più nei media che nell’opinione pubblica, un fatto avrebbe dovuto suscitare qualche perplessità: l’assenza di rappresentanti del-

O le solite manovre?

l’esilio e degli ambienti dissidenti. Le autorità USA hanno, infatti, proibito la partecipazione a qualsiasi cubano avesse dimostrato in passato una posizione contraria alla dittatura comunista. In nome del disgelo, hanno sacrificato proprio quei cubani che, per mezzo secolo, si erano dimostrati i più fedeli alleati.

La riapertura dell’ambasciata è il più recente atto di un processo diplomatico iniziato quasi due anni fa e culminato lo scorso 17 dicembre con l’annuncio del ristabilimento dei rapporti tra i due Paesi, interrotti dal 1960. La riconciliazione è avvenuta, secondo quanto si è fatto sapere, per intermedio di Papa Francesco. Quello stesso giorno, una nave della Guardia Costiera cubana affondava un barcone con 32 persone a bordo, tra cui donne e bambini, che fuggivano dalla dittatura castrista.

Il fatto è molto simbolico: mentre gli Stati Uniti hanno concesso a Cuba tutto quanto essa chiedeva per compiere il gesto amichevole, da parte comunista non è stata fatta nessuna promessa di liberalizzazione. Le notizie che giungono dall’isola parlano ancora di repressione e di incarceramenti per motivi ideologici. Due giorni prima dell’atto all’ambasciata americana, la Polizia ha soppresso con la forza una manifestazione delle Dame in Bianco che chiedevano la libertà per i prigionieri politici. Perché questa via a senso unico? 

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A sin., balseros cubani: per loro nessuna pieta?


Intervista a Carlos Carralero

Che cosa sta veramente accadendo a Cuba? Le cose sono cambiate dopo gli accordi con Obama e la visita di Papa Francesco? Lo abbiamo chiesto a Carlos Enrique Carralero Almaguer, noto dissidente cubano, dal 1995 esule in Italia e residente a Milano. Carralero è autore di molti volumi tra cui la celebre trilogia «Saturno», un’allegoria della dittatura castrista. Il suo ultimo libro è «Fidel Castro – L’abbraccio letale» (Greco & Greco Editori, 2013) Potrebbe fornirci qualche elemento sul suo background politico?

Io mi proclamo cristiano. Sono stato membro di alcune associazioni di opposizione al regime comunista. Concretamente, ho collaborato con CID (Cuba Independiente y Democrática), l’organizzazione fondata da Huber Matos nell’esilio (1). Facevamo un’azione di propaganda ideologica pacifica, evidentemente clandestina. Se fossi stato preso, mi aspettavano almeno vent’anni di carcere duro. Nel 1990 sono stato cacciato via dal lavoro. Sono stato allora avvicinato da Oswaldo Payá, coordinatore nazionale del Movimiento Cristiano de Liberación, col quale ho collaborato per alcuni mesi. Nel 1993 ho raccolto 72 firme nel mio quartiere in sostegno a un plebiscito per restaurare la democrazia in Cuba. L’articolo 88 della Costituzione contiene un comma secondo il quale, con 10mila firme, i cubani possono chiedere all’As-

samblea Nacional (Parlamento) di convocare un plebiscito. Evidentemente il regime non ne ha mai tenuto conto. Le mie firme, quindi, non sono servite a niente.

Espulso da Cuba nel 1995, sono approdato in Italia. Qui, nel 2003, ho fondato l’Unione per le libertà a Cuba, per cercare di aiutare i miei connazionali perseguitati e, nello stesso tempo, aprire gli occhi agli italiani sulla reale situazione nell’isola-prigione. A questo scopo organizziamo conferenze, pubblichiamo libri, interveniamo in programmi radio e TV e via dicendo. In collaborazione col giornalista Aldo Forbice, questa associazione ha raccolto 100mila firme in favore dei prigionieri politici e della democrazia a Cuba. Bisogna registrare che, prima, in Italia c’era il Comité italiano por los derechos humanos en Cuba, fondato da Laura González, scomparsa nel 2005. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015 - 21


Dossier Cuba “Quasi tutti i rivoluzionari della prima ora, compresi i miei parenti, sono morti, uccisi dallo stesso regime che avevano aiutato a instaurare” Foto: il tristemente noto “paredón”

Una “scheda” di tutto rispetto. In Europa in generale, e in Italia in particolare, conosciamo la situazione di Cuba soltanto attraverso la lente deformante dei mass media. Che cosa è, in realtà, il regime dei fratelli Castro? Che cosa ha significato per Cuba?

Rispondo con qualche ricordo di famiglia. Io sono il più giovane di una famiglia che, nel suo piccolo, fece la Rivoluzione. Mio padre, quattro zii di parte paterna, uno zio di parte materna e un cugino formavano un nucleo di opposizione alla dittatura di Batista (2). La mia casa era praticamente un accampamento ribelle. Tra noi alcuni raggiunsero Fidel Castro alla Sierra Maestra, ma non combatterono mai né incontrarono personalmente Castro, sempre protetto dalle sue guardie del corpo. Tornando in pianura, sul finire del 1959, poche settimane prima del trionfo della Revolución, ricevettero la notizia che i due membri della famiglia rimasti a casa, mio padre e mio cugino, erano stati uccisi dai corpi paramilitari. Io ero ancora piccolo, ma il fatto mi sconvolse molto. I miei zii, invece, sono morti nella povertà.

Essendo nato in una famiglia rivoluzionaria, io sono entrato a far parte del sistema. Col tempo, però, ho acquisito la coscienza che il regime castrista non era, nemmeno da lontano, l’ideale per il quale avevamo lottato e che tanti cubani avevano sognato. Oggi, quasi tutti questi rivoluzionari della prima ora, compresi i miei parenti, sono morti, uccisi dallo stesso regime che avevano aiutato a instaurare.

Fidel Castro aveva ripetutamente giurato di non essere comunista e di voler restaurare la democrazia in Cuba. Balle che egli raccontò fino ai primi mesi del 1961. Diceva che non era una “rivoluzione rossa” ma “verde come le palme”. La Palma Real, alta ed elegante, è l’albero nazionale di Cuba. Dopo il 1961, 22 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015

egli tradì questi begli ideali, trasformando la rivoluzione verde in rossa. Fu la cosiddetta svolta comunista, in cui Castro si mise nelle mani di chi lo poteva proteggere, ossia l’Unione Sovietica. Più di uno all’epoca, tra cui Rafael Díaz-Balart, fratello della prima moglie di Castro, aveva profetizzato che egli avrebbe scelto il “rosso”. Cuba allora era un paese piuttosto ricco. La rivoluzione non è stata fatta col pretesto di combattere la povertà?

Cuba era uno dei paesi più sviluppati dell’America Latina, classificata allora come potenza emergente, o “paese in fase di decollo economico”, secondo la classifica del celebre economista Whitman Rostov. Aveva la più bassa mortalità infantile del continente e uno dei più alti indici di scolarità. L’economia era fiorente. Il peso cubano era una delle valute più solide del mondo. Alla vigilia della rivoluzione, c’erano più investimenti cubani negli Stati Uniti, che investimenti americani a Cuba. Avevamo un’industria di zucchero molto fiorente, e più di un capo di bestiame per abitante. Castro ha distrutto tutto ciò, gettando la mia patria in una miseria quale non si era mai vista. A Cuba, oggi, ci sono medici, tecnici e ingegneri. Si potrebbe, dunque, dire che esiste una buona educazione. Il nostro popolo, però, ha perso la sapienza. La sapienza unifica. Il popolo cubano oggi è diviso, le manca assolutamente una bussola spirituale. Perché un popolo che perde la Fede è un popolo smarrito spiritualmente.


Perfino la tanto biasimata dittatura di Batista non era poi tanto cattiva. Egli era un dittatore nello stile classico degli “uomini forti” latinoamericani. Niente a che fare con figure come Hitler o Stalin, o anche Castro. Batista permetteva l’esistenza di partiti politici di opposizione e non infieriva contro la stampa contraria al suo governo. La Costituzione varata nel suo primo governo, nel 1940, era considerata da molti una delle più avanzate del mondo. Batista indurì il regime solo quando il movimento 26 de Julio, capeggiato da Fidel Castro, cominciò a mettere bombe nelle città. Una notte, per esempio, scoppiarono quasi cento bombe all’Avana. Questo era terrorismo. Non difendo quel regime, anche perché Batista era circondato da militari senza scrupoli. Ma se proprio di mancanza di scrupoli dobbiamo parlare, allora il primato va senza dubbio a Fidel Castro e a i suoi seguaci. Poi, nessuna dittatura nella storia dell’America Latina è durata cinquantasei anni. Com’è il controllo del regime sulla popolazione?

A Cuba ci sono due forme di repressione. Una diretta e un’altra indiretta. La repressione diretta è rivolta ai “dissidenti”, che in realtà vuole dire chiunque

non la pensi come il regime comunista. Minacce, ricatti, arresti e via dicendo, completati dai famosi processi stalinisti, in cui i “dissidenti” vengono condannati senza pietà. L’accusa più comune è “propaganda nemica”, reato che non è definito da nessuna parte, ma che vuol dire semplicemente avere idee diverse da quelle del regime. Per esempio, io ho visto persone condannate per aver detto che Fidel Castro sbagliava tale o tale politica. Oppure, accusare qualsiasi membro del regime, perfino i più modesti, costituisce “propaganda nemica”.

Castro abolì la Costituzione del 1940 e promulgò una Ley Fundamental, di carattere prettamente comunista, vigente fino al 1975, quando fu sostituita da una nuova Costituzione, anch’essa comunista. Bisogna, però, dire che i primi a violarla furono gli uomini del regime. Per esempio, l’articolo 53 garantisce la libertà di riunione. Ma provi Lei a riunirsi senza l’autorizzazione del regime! La repressione indiretta è rivolta a tutta la popolazione. A partire dai cinque anni i bambini devono frequentare la scuola statale, dove sono vittime

“Nel 1959 Cuba era uno dei paesi più sviluppati dell’America Latina, classificata come potenza emergente. Castro ha distrutto tutto, gettando la mia patria in una miseria quale non si era mai vista”

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Dossier Cuba

“A partire dai cinque anni i bambini devono frequentare la scuola statale, dove sono vittime di un vero lavaggio del cervello. La giornata scolastica comincia col grido “¡Por el comunismo!”, al quale i bambini rispondono in coro “¡Seremos como el Che!”

di un vero lavaggio del cervello. La giornata scolastica comincia col grido “¡Por el comunismo!”, al quale i bambini rispondono in coro “¡Seremos como el Ché!”. Se un bambino non aderisce all’ideologia ufficiale, convocano i genitori e li minacciano di escluderlo dal sistema scolastico. Si stabilisce, in questo modo, un sistema di terrore che appiattisce le coscienze e terrorizza i cittadini. La tanto decantata educazione cubana non è che un’immensa operazione di lavaggio di cervello.

Questo controllo continua poi durante tutta la vita. Per esempio, se un medico vuole promuoversi professionalmente, deve superare l’esame di idoneità ideologica sostenuto presso un Comitato del regime. Se devi traslocare in un’altra città, hai bisogno di un certificato del regime. Poi esiste il controllo del sistema sanitario nazionale, che accompagna ogni cittadino, non solo nelle sue vicende di salute, ma anche nelle sue scelte politiche. In questo modo, la tua vita è sempre condizionata dalla tua integrazione politica. “Il controllo della dittatura sulla popolazione diventa capillare attraverso i Comités de Defensa de la Revolución (CDR), una sorta di soviet di quartiere che controllano ogni cittadino, anche nella sua vita privata”

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Il controllo diventa capillare attraverso i Comités de Defensa de la Revolución (CDR), una sorta di soviet di quartiere, che controllano ogni cittadino anche nella sua vita privata. Questo è cambiato negli ultimi anni?

La situazione dei diritti dei cittadini non è cambiata in assoluto. Ogni volta che si leggono cose su Cuba, anche sui social network, si vedono persone perseguitate per le loro idee. A Cuba non esiste una sola organizzazione di opposizione che sia legale. Sono tutte illegali.

Perfino il Movimento Cristiano de Liberación, nonostante il suo fondatore Oswaldo Payá fosse un fisico di prestigio, perfino candidato al Nobel per la pace, è stato perseguitato. Payá era vicino mio all’Avana, e mi ricordo quando hanno vandalizzato la sua casa, per spaventarlo, senza che la Polizia intervenisse. Quali effetti avrà l’accordo recentemente firmato tra Obama e Cuba, con la mediazione di Papa Francesco?

Non mi atteggerò a profeta. Potrebbe succedere ciò che è successo in Romania, cioè che vi sia un inizio di vera contestazione che cresca fino a rovesciare il regime. Ma è una probabilità molto ridotta. Il popolo cubano è diventato inerte. È affetto da ciò che gli psicologi chiamano “Sindrome d’indifendibilità appresa”. È un riflesso condizionato, come quello di Pavlov, per il quale dopo anni di sottomissione a un giogo, la persona non reagisce più. Le persone afflitte da questa sindrome soffrono una sorta di paralisi psicologica che gli toglie la capacità di reagire di fronte a ingiustizie, umiliazioni e via dicendo. Questo è tipico dei regimi comunisti, e il popolo cubano si è abituato. Tutti dicono “Esto no hay quien lo tumbe” (questo non lo rovescia nessuno). È un atteggiamento arrendevole.

Bisogna riconoscere che il regime castrista è riuscito, crudelmente, a sviluppare nell’anima cubana questa sindrome. Se soltanto un 5% dei cittadini si fosse ribellato seriamente, credo che la storia sarebbe stata molto diversa. Forte di questo fatto, il regime comunista cubano, in sostanza, non ha alcuna intenzione di cambiare. Detto ciò, credo che si potrà camminare verso una sorta di capitalismo di Stato alla cinese. È una cosa che io stesso ripeto ormai da anni.

Ma, se il regime castrista ha un tale controllo sulle istituzioni, e anche sulla mente dei cittadini, che bisogno ha di firmare tali accordi? Perché cerca il riconoscimento da parte del suo ex arci-nemico, gli Stati Uniti?

Raul Castro non è un dittatore nato, come suo fratello. Egli lo è diventato. Raul non è un dilettante, un improvvisatore: è militare, ha una mente organizzatrice. Per esempio, è lui a gestire l’immensa fortuna dei Castro. Non è un ideologo, bensì un pragmatico. Che cosa cerca Raul con questa manovra?

La manovra ha due scopi. Anzitutto, immagine. E devo dire che ci è riuscito. Come ripetendo uno slogan, molti dicono: “todo está cambiando” (qui sta cambiando tutto). Questo slogan è poi amplificato dai mezzi di comunicazione, a livello mondiale. Con l’immagine viene anche il riconoscimento ufficiale. Obama ha legittimato il regime comunista, come adesso sembra voler fare anche Papa Francesco. Bisogna, però, dire che non vi è stata nessuna apertura politica. Un esempio personale: da anni io ho la cittadinanza italiana. Il Consolato cubano si rifiuta di lasciarmi entrare nel Paese col passaporto italiano, che è l’unico che possiedo. D’altronde, io avrei paura di tornarci. Se riuscissi a mettere piede a Cuba, avrei subito sulle mie spalle cento poliziotti dei servizi che mi piantonerebbero giorno e notte. Potrebbero, per esempio, creare un incidente stradale.

Che libertà è questa? Ancor oggi, manifestare un’opinione politica diversa da quella del regime è la via più sicura per il carcere.

Il secondo scopo della manovra di Castro è economico. In conseguenza della manovra, il regime sta ricevendo molti più soldi. Con la liberazione delle transazioni bancarie, dagli Stati Uniti stanno arrivando palate di soldi, inviate dai residenti cubani. Il numero di turisti sta aumentando esponenzialmente. Ogni aereo che arriva dagli Stati Uniti implica fior di quattrini iniettati nella fragile economia dell’isola. Per esempio, solo la mancia lasciata da un turista gringo può significare metà dello stipendio mensile di un cubano. Il famigerato embargo non fu mai effettivo. Non vi fu mai un blocco a Cuba. In realtà era un colabrodo. Ma è evidente che adesso ci sarà più facilità per commerciare con l’isola. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015 - 25


Dossier Cuba

È un mistero, ma Castro ha sempre avuto l’appoggio del mondo.

Il regime comunista di Fidel Castro è la dittatura più aiutata di tutti i tempi. Dall’URSS Cuba ricevette tanti soldi, in sostanza quasi quanti col famoso Piano Marshall per la ricostruzione dell’Europa. Un debito che non pagherà mai. Crollata la Cortina di ferro, i Paesi occidentali hanno gareggiato negli aiuti al dittatore. Solo dal Venezuela, per esempio, arrivano gratuitamente a Cuba ogni giorno centomila barili di petrolio. Un’ultima domanda. Fra tutti, forse, l’appoggio più importante, a livello morale, è stato quello di non pochi rappresentanti della Chiesa?

In concreto, non credo che ci sia stato un sostenitore più utile e tenace del comunismo cubano dell’arcivescovo de l’Avana, cardinale Jaime Ortega. Ricordo che, dopo la morte di Zapata (3) nel 2010, proprio Ortega bloccò le manifestazioni delle Damas de Blanco (4) contro il regime.

Egli convocò le Damas in Curia per dire loro che non potevano manifestare in pubblico. Poco tempo dopo, la leader delle Damas, Laura Pollán, morì in circostanze misteriose. Nemmeno una volta Ortega ha protestato contro i maltrattamenti che queste donne, alcune anziane, ricevono continuamente da parte degli sbirri di Castro. L’appoggio di Ortega è tanto più sconvolgente in quanto, ancora semplice sacerdote, egli patì il campo di concentramento. Ortega, però, è solo la punta dell’iceberg dell’appoggio cattolico al regime comunista. C’è tutta una corrente allineata alla cosiddetta teologia della liberazione, che appoggia il comunismo. Non a caso sono venuti a Cuba i fratelli Boff e il domenicano fra Betto. Sì, purtroppo c’è stato molto appoggio cattolico a Castro. Anzi, i casi di sacerdoti oppositori si contano sulle dita della mano. 

1. Huber Matos (1918-2014). Rivoluzionario della prima ora, compagno di Fidel Castro, successivamente oppositore per causa della sua avversione al marxismo. Incarcerato nel 1959, riuscì a rifugiarsi negli Stati Uniti vent’anni dopo. 2. Fulgencio Batista (1901-1973) presidente democratico di Cuba, poi presidente de facto, fu deposto da Fidel Castro nel 1959. 3. Orlando Zapata Tamayo (1967-2010), dissidente cubano morto nel carcere. 4. Damas de Blanco, Dame in Bianco, associazione apartitica, composta da donne parenti di prigionieri politici, che da anni si batte pacificamente per la loro liberazione.

Manifestazione delle “Damas de Blanco” nel quartiere diplomatico di Avana (l’unico loro permesso). Nel tondo, Laura Pollán

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Il pastore che dà la vita per il lupo

di Armando Valladares

La precedente intervista a Carlos Carralero solleva un punto importante per capire la situazione a Cuba: l’appoggio che, sin dall’inizio, un certo catto-comunismo ha dato alla dittatura dei fratelli Castro. Ne parla Armando Valladares, saggista e poeta, prigioniero politico a Cuba per ben 22 anni, già ambasciatore degli Stati Uniti presso la Commissione Diritti Umani delle Nazione Unite, Medaglia presidenziale del Dipartimento di Stato. Valladares è autore di numerosi libri, tra i quali il best-seller mondiale «Contro ogni speranza: 22 anni nel Gulag delle Americhe»

È

triste, ma i fatti lo dimostrano: alla guida dell’arcidiocesi de L’ Avana da oltre 34 anni, il cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino è diventato uno dei più grandi e indispensabili sostenitori del regime comunista a Cuba.

Lo scorso 5 giugno, Sua Eminenza ha concesso un’intervista alla radio spagnola “Cadena Ser”, nella quale affermava che “a Cuba non ci sono prigionieri politici”, e che quelli graziati in occasione della visita di Benedetto XVI, nel 2012, erano “criminali comuni” (“Diario de Cuba”, 7 giugno 2015).

Le dichiarazioni cardinalizie hanno causato costernazione. L’ex prigioniero politico Ciro Casanova Alexis Pérez ha affermato, con mal celata rabbia, che le parole del cardinale Ortega circa la presunta mancanza di prigionieri politici a Cuba “è una bugia to-

tale” atta a “puntellare la dittatura dei fratelli Castro” (“Diario de Cuba”, 11 giugno 2015).

Da Cuba, il giornalista indipendente Mario Félix Lleonart ha sottolineato: “È al limite della pazzia. Come è possibile che questo uomo possa affermare una cosa che tutti a Cuba sanno di essere falsa? Questo non favorisce né la Chiesa né se stesso. D’altronde, la folle dichiarazione butta per terra tutta la dottrina sociale della Chiesa, che Ortega dovrebbe, invece, difendere” (“14 y Medio”, 12 giugno 2015). Pure l’ex prigioniero politico Daniel Ferrer ha deplorato: “Negare che ci siano prigionieri politici a Cuba mi sembra un tradimento a Colui che è morto sulla croce per salvare l’umanità e per difendere i poveri, i discriminati e i perseguitati. (…) Il cardiTRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015 - 27


Dossier Cuba

Cuba: la grande fuga degli atleti

C

ome ogni paese comunista, Cuba destina enormi risorse allo sport, nel quale vede un’importante arma di propaganda, soprattutto all’estero. A Cuba, gli atleti fanno la grande vita, con privilegi e compensi che un cittadino comune può solo sognare. Eppure, sembra che non bastino per impedirgli di fuggire non appena si presenta l’occasione, per esempio nelle trasferte all’estero. Il ferreo schema poliziesco che accompagna le delegazioni sportive cubane in trasferta non sempre riesce a impedire la fuga degli atleti. È successo di nuovo durante i recenti Giochi panamericani tenutisi a Toronto, Canada. Ignorando le promesse liberalizzanti dei fratelli Castro, gli atleti cubani sono fuggiti in massa.

La metà della squadra di hockey maschile su erba si è volatilizzata. Dei sedici giocatori, soltanto otto sono scesi in campo, perdendo 13-0 contro Trinità e Tobago. Non è andato meglio per la squadra femminile, che ha perso sette giocatrici. “La squadra ha avuto un periodo molto duro”, cerca di spiegare Mileysi Argentel, capitano della nazionale. Più svelti, quattro rematori sono spariti non appena hanno messo piedi in Canada, non arrivando nemmeno al pullman che li avrebbe portati in albergo, secondo quanto si lamenta il CT Juan Carlos Reyes. E anche tre tuffatori hanno scelto di saltare verso la libertà.

In totale, secondo il supplemento sportivo de “La Nación”, di Buenos Aires, più di una ventina di atleti cubani sono fuggiti a Toronto, superando il “record” precedente di quattordici defezioni durante i Giochi panamericani di Winnipeg, Canada, nel 1999.

Stessa storia per la nazionale di calcio, che ha lasciato sul campo quattro giocatori durante il viaggio verso Baltimora per disputare la Coppa Oro. Hanno perso contro gli Stati Uniti, mandando su tutte le furie il CT Raúl González.

Il fenomeno non è nuovo. Anni fa, Fidel Castro qualificò questi atleti come “soldati che hanno abbandonato i propri commilitoni in mezzo alla battaglia”. Si riferiva, in concreto, ai pugili Guillermo Rigondeaux e Erislandy Lara, fuggiti durante i giochi Pan-Americani di Rio de Janeiro nel 2007. Catturati dagli sbirri cubani, sono stati riportati a Cuba e severamente puniti. Triste situazione quella di un Paese che deve trattare i propri cittadini come dei carcerati.

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nale Ortega non mostra di essere un buon samaritano quando nega l’esistenza di prigionieri politici, invece di condannare apertamente le flagranti violazioni dei diritti fondamentali dei cubani, compresi i diritti dei cattolici, e quando minimizza consapevolmente l’importante lavoro di coloro che lottano con amore per la libertà, la giustizia e il benessere della nazione” (“Religión en Revolución”, giugno 2015).

Ada María López Canino, membro del movimento Damas de Blanco, che domenica 7 giugno è stata assalita e ferita da militanti castristi a L’Avana, ha detto: “Se non ci sono prigionieri politici, chiedo allora al Cardinale cosa ci fanno in carcere Ángel Santiesteban e Danilo Maldonado, per citare appena due nomi? (…) Che mi perdoni, ma quello che ha detto è una palese bugia. Noi Damas de Blanco ci battiamo pacificamente per liberare ogni prigioniere politico a Cuba. Ecco alcune fotografie. Sua Eminenza vuole dire che sono false? Che stiamo mentendo?” (“Cubanet”, 10 giugno 2015). Da parte sua, la Commissione cubana per i diritti umani ha affermato che le dichiarazioni del Cardinale non hanno niente a che fare con la realtà del paese: “In questo momento, a Cuba ci sono più di 50 prigionieri politici” (“Radio Martí”, 8 giugno 2015).

In realtà è difficile conoscere il numero dei detenuti politici a Cuba, perché molto spesso il regime condanna gli avversari politici incriminandoli per reati comuni, in modo da nascondere che si tratti di persecuzione politica. Secondo la filosofia totalitaria del regime, e in conformità con la Costituzione e il Codice penale, esiste libertà di religione fintanto che non ci si opponga all’ideologia comunista. Il che, per un cattolico, è cosa impossibile sotto pena di tradire il Vangelo. Cuba è un’immensa isola-prigione, con 12 milioni di persone ridotte a “prigionieri di coscienza”, controllati da un implacabile sistema politico, poliziesco e giudiziario. I recenti “rilasci” di prigionieri sono stati amplificati dai mass media, e dai vari leader politici e religiosi. Tuttavia, gli oppositori hanno sottolineato che si tratta di misure cosmetiche che servono a facilitare i negoziati con il presidente Obama.

Alcuni prigionieri recentemente “rilasciati” sono stati minacciati dalle forze di sicurezza, che hanno loro proibito qualsiasi dichiarazione, pena il ritorno al carcere. Ad altri “rilasciati” sono stati trattenuti i documenti, costringendoli a vivere in una sorta di limbo giuridico, come relitti all’interno della

società comunista. (“La Vanguardia-Europa Press”, 9 gennaio 2015).

Queste manovre sono perfettamente note alle ambasciate straniere e alle cancellerie di tutto il mondo. Perché si sceglie di non sollevare il problema?

I cubani conoscono benissimo questa tattica. L’operazione cosmetica oggi fatta per facilitare i negoziati con gli Stati Uniti, e per preparare la visita di Papa Francesco a Cuba a settembre, era già stata realizzata alla vigilia delle visite di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Poi tutto è tornato, in sostanza, come prima. Tuttavia, permane un misterioso silenzio su queste farse del regime cubano. Forse, mai prima d’ora nella storia tanti leader mondiali hanno unito i loro sforzi per salvare una dittatura, come oggi nel caso del regime dei Castro. I cubani che, dentro e fuori dell’isola, dedicano la vita per combattere sul piano delle idee, in difesa della libertà e della dignità di Cuba, sono disposti a continuare a esporre le manovre della dittatura castrista, sperando contro ogni speranza.

Il caso del cardinale Jaime Ortega merita un commento. Siamo dinanzi a una persona che, alla guida della Chiesa cubana da oltre tre decenni, ha dimostrato di essere un pastore pronto a dare la propria vita non per le pecore a lui affidate, bensì per il lupo che vuole mangiarle.

L’appoggio cattolico al comunismo castrista, però, non è l’unico mistero del dramma cubano. Questo mezzo secolo di ingiustizie inimmaginabili, di miseria e di sangue si è svolto sotto l’Indifferenza – con la I maiuscola – di gran parte dell’opinione pubblica mondiale. Perché una tale indifferenza quando di fronte ad altre dittature – quella nazista per esempio – dimostra, invece, una reattività al limite dell’isterismo? Un ultimo commento, con una nota di biasimo, sulla collaborazione, testarda ed enigmatica, che un macro-capitalismo, legato a una certa élite politica e finanziaria mondiale, ha sempre dato al regime comunista cubano. Che Dio, a Cui a questo punto mi appello chiedendo giustizia, aiuti gli indifesi, gli orfani, gli indigenti, le vittime di tanti abusi, rimuova l’indifferenza del mondo e risollevi la nazione cubana.  TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015 - 29


Vita di santi

San Giuseppe Moscati, Primario all’Ospedale degli Incurabili

San Giuseppe Moscati modello di santità laicale

di Riccardo Giulio Bevilacqua

Stiamo vivendo tempi molto difficili, tempi in cui i figli delle tenebre si stanno scatenando con inaudita determinazione, sia nella società che all’interno di Santa Romana Chiesa. In questo clima di pugna e di confusione, il seguente scritto di san Giuseppe Moscati ci incita a restare fedeli a Cristo perché Lui solo è la via, la verità e la vita! Facciamo tesoro delle seguenti poche righe, scritte il 17 ottobre 1922, che già ci fanno capire di che tempra fosse fatto il Moscati:

«Ama la verità, mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, e tu accettala; e se il tormento, e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio». 30 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015


I

l 12 aprile 1927, poco dopo le 15, una tristissima notizia suscita enorme clamore a Napoli e in tutta la regione: «Giuseppe Moscati, il medico santo, è morto!».

È morto un Santo!

La fama di santità, infatti, lo aveva sempre accompagnato nei suoi 47 anni di vita. La camera ardente, allestita nella sua abitazione–studio, è subito meta di una commossa fiumana di persone appartenenti a tutte le classi sociali. La povera gente ha forse più di un motivo per essere particolarmente affranta; ecco una frase significativa scritta da mano ignota nel registro delle firme: «Non hai voluto fiori e nemmeno lacrime ma noi ti piangiamo, perché il mondo ha perduto un santo, Napoli un esemplare di tutte le virtù, i malati poveri hanno perduto tutto!». Il dottore, infatti, visitava gratuitamente i poveri e spesso, con infinita discrezione, li aiutava regalando loro beni di prima necessità. Il Cardinale di Napoli Alessio Ascalesi, dopo aver pregato davanti alla sua salma, si rivolge ai familiari con parole che si riveleranno come vedremo profetiche: «Il Professore non apparteneva a voi, ma alla Chiesa. Non quelli di cui ha sanato i corpi, ma quelli che ha salvato nell’anima gli sono andati incontro quando è salito lassù».

di intuito geniale. Pareva, a volte, che la sua divinazione diagnostica materiata di intima sapienza scaturisse al cenno di esseri soprannaturali; e, forse, dovette credere in questo cenno invisibile, egli che portò sempre nel cuore una sconfinata fede nel Creatore di tutte le cose. Dal mondo la sua vita breve, feconda di verità, attossicata dal disgusto per il denaro, si accomiata con le parole del divino Platone: “Tutto l’oro, sulla terra e sotto la terra, non vale la virtù”».

Genitori cristiani senza se e senza ma

Francesco Moscati, padre del Santo, in gioventù aveva accarezzato l’idea di farsi sacerdote. Il suo confessore però, il redentorista padre Ribera, gli disse: «Il Signore non vuole che siate sacerdote ma sarete un buon magistrato». E così fu. Lasciato il borgo natio di Santa Lucia di Serino (Avellino) per intraprendere la carriera in magistratura, in una delle sue prime destinazioni come giudice, Cassino, cono-

Sessant’anni dopo, nell’ottobre del 1987, Sua Santità Giovanni Paolo II eleverà il “medico dei poveri” alla gloria degli altari in una piazza San Pietro gremita da oltre centomila fedeli!

La stampa dell’epoca, unanime, annuncia la morte del professor Moscati sottolineando la sua grande fede e le sue grandi capacità professionali. Il 13 aprile 1927, ad esempio, lo storico quotidiano napoletano “Il Mattino” così scrive: «Una morte fulminea ed inesplicabile ha stroncato nel pomeriggio di ieri, alle ore 15, la vita di Giuseppe Moscati. È un clinico sommo che perde la Facoltà medica napoletana e un professionista che non conobbe altra ricchezza se non quella che gli venne dalla propria anima candida, grande, generosa… La vasta cultura di lui non solo nel campo di tutte le scienze, ma in quello dell’arte, della filosofia, della religione, lo rese, a dispetto della grande modestia, che lo tenne lontano dal clamore delle folle, un maestro incomparabile… il Moscati lascia il ricordo di un clinico San Giuseppe con la sorella maggiore TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015 - 31


Vita di santi «Abbiate, nella missione assegnatavi dalla Provvidenza, vivissimo sempre il senso del dovere; pensate cioè che i vostri infermi hanno soprattutto un’anima, a cui dovete sapervi avvicinare e che dovete avvicinare a Dio; pensate che v’incombe l’obbligo di amore allo studio, perché solo così potrete adempiere al grande mandato di soccorrere gli infelici. Scienza e fede!»

delle Ancelle del Sacro Cuore. In casa Moscati, insomma, si vive alla presenza di Dio.

sce e sposa la nobile Rosa De Luca, figlia di Raffaele, marchese di Roseto Valforte.

I coniugi Moscati hanno nove figli di cui tre muoiono in tenera età. A tutta la prole danno una salda educazione cristiana che si manifesta anche con l’esempio. Erano gli anni in cui in Italia la massoneria spadroneggiava e per i pubblici funzionari era pericoloso manifestare apertamente la propria fede, anche solo partecipando alla Santa Messa. I coniugi Moscati, invece, pieni di amore per Cristo, non si faranno mai vincere né dalla paura né dal rispetto umano. Quale esempio migliore per i loro figlioli di fedeltà a Cristo!

Nel “Processo ordinario napoletano” sulle virtù dell’allora Servo di Dio Giuseppe Moscati, così dichiara Eugenio Moscati (fratello del Santo) sui suoi genitori: «Furono ferventissimi cristiani e come prova vada la scrupolosità loro nell’educarci in grembo alla Religione Cattolica con la frequenza esatta ai doveri di cristiani e con la recita quotidiana in comune del Santo Rosario…Il nostro Servo di Dio, secondo la costumanza della nostra casa, fu subito battezzato e gli fu imposto il nome di Giuseppe facendo seguire Maria, come hanno fatto i nostri genitori con tutti i figli maschi… ». A Napoli i coniugi Moscati entrano subito in contatto con Caterina Volpicelli (canonizzata nel 2009) e, con il giovane Giuseppe, frequentano le sue riunioni a sfondo religioso organizzate nella chiesa

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Un giovane esemplare e il desiderio di una missione: diventare medico

Giuseppe Moscati è un giovane esemplare. Dall’età di quattro anni vive a Napoli (era nato a Benevento il 25 luglio 1880) perché il padre era stato promosso Consigliere presso la Corte d’Appello della città partenopea. È un figlio affettuoso, rispettoso e ubbidiente; studente modello consegue con il massimo dei voti la maturità classica. Così un suo professore, il famoso latinista Giuseppe Petrone, parlava di lui agli studenti delle altre classi: «Cercate di imitare il mio discepolo Moscati. Quello sì, è la perla dei giovani, non solo per lo studio ma anche per il contegno e la serietà».

Dopo il liceo si iscrive alla facoltà di medicina sorprendendo il padre, illustre magistrato appartenente ad una famiglia di giuristi. Il fratello maggiore Gennaro, avvocato, cerca invano di dissuaderlo. Alla madre, che gli rammenta la pesantezza della professione di medico, risponde: «Ma che dite mamma, io son pronto a coricarmi nel letto stesso dell’ammalato». Giuseppe sente nel profondo del suo animo di volere esercitare la professione medica come missione e non per brama di notorietà con una carriera di successo o peggio ancora per accumulare denaro grazie alle salate parcelle! Gli unici motivi che lo spingono a tale scelta, quindi, sono il desiderio di lenire il dolore fisico e lo smarrimento spirituale di quei fratelli colpiti dalla malattia. Motivi nobilissimi, autenticamente cristiani. L’ambiente universitario che si trova a frequentare è però ostile alla realtà etico-religiosa: il positivismo materialista imperava assolutizzando e


Rosa De Luca, dei marchesi di Roseto Valforte, madre del santo

divinizzando la materia; negli atenei gli studenti erano facile preda di docenti agnostici e atei. Ma Giuseppe Moscati, sempre unito al suo Dio, si concentra sull’unico motivo per cui frequenta l’Università: lo studio. E sarà uno studente esemplare laureandosi con il massimo dei voti, la lode, il plauso della commissione e la pubblicazione della tesi.

Un grande clinico al servizio dei malati e in particolare dei malati poveri

Descrivere in poche righe l’invidiabile iter professionale del Moscati è impossibile. Ci limitiamo a ricordare che dopo la laurea gli viene conferita la libera docenza in Chimica fisiologica. Diventa poi Direttore dell’Istituto di Anatomia patologica dell’Università di Napoli e, nel 1919, Primario dell’Ospedale degli Incurabili. La sua fede non nascosta, la sua ricchezza professionale e umana attirano su di lui la stima dei colleghi, anche di quelli atei. Tant’è che in almeno due casi li porta alla clamorosa conversione: trattasi degli illustri clinici Leonardo Bianchi e Pietro Castellino.

Dopo il faticoso lavoro ospedaliero, il Professore riceve instancabile nel suo studio–abitazione e poi ancora a domicilio, nei quartieri più poveri della città dove spesso si reca anche di notte perché il tempo non basta mai. Il Professore, oltre a curare, raccomanda a chi si è allontanato da Dio di tornare a Lui e a tutti esorta maggior preghiera e maggior consapevolezza nell’accostarsi ai Sacramenti. Lo fa in modo dolce e affabile, ma con fermezza. Molte sono le lettere a colleghi, amici, malati o semplici suoi scritti in cui esprime ciò che il suo cuore di medico e di credente gli suggerisce.

anime, che, malgrado i loro passati errori, stanno lì lì per capitolare e far ritorno ai principi ereditati dagli avi, stanno lì ansiose di trovare un conforto, assillate dal dolore. Beato quel medico che sa comprendere il mistero di questi cuori e infiammarli di nuovo». E ancora (ad un suo discepolo appena laureato in medicina): «Abbiate, nella missione assegnatavi dalla Provvidenza, vivissimo sempre il senso del dovere; pensate cioè che i vostri infermi hanno soprattutto un’anima, a cui dovete sapervi avvicinare e che dovete avvicinare a Dio; pensate che v’incombe l’obbligo di amore allo studio, perché solo così potrete adempiere al grande mandato di soccorrere gli infelici. Scienza e fede!».

L’amore per Gesù Eucarestia e la Vergine Maria

Il Moscati trova la forza per affrontare cristianamente la sua pesantissima giornata nella Santa Messa quotidiana, che spesso serve con infinita umiltà. La sua devozione all’Eucarestia è totale; così scrive, per esempio, ad un collega che ha il fratello malato: «Vi ricordo soprattutto che c’è un Medico al di sopra di noi: Iddio! Di Cui domani è la festa Eucaristica. Vi prego di non privare vostro fratello di questa Medicina (ch’è la Santa Comunione): dite-

Ecco alcuni significativi esempi: (da un suo scritto) «Il dolore va trattato non come un guizzo o una contrazione muscolare, ma come il grido di un’anima, a cui un altro fratello, il medico, accorre con l’ardenza dell’amore, la carità». Da una lettera ad un collega: «Il medico si trova poi in una posizione di privilegio, perché si trova tanto spesso al cospetto di

Il prof. Moscati con alcuni suoi studenti della Facoltà di Medicina di Napoli TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015 - 33


Vita di santi Il beato Bartolo Longo, fondatore del Santuario di Pompei, amico e confidente di s. Giuseppe Moscati Sotto, il corteo funebre del santo, Napoli, 1927

glielo a nome mio». L’amore per Gesù Sacramento il Professore lo manifesta anche con l’adorazione eucaristica. Sovente, infatti, viene visto nelle chiese di Napoli in ginocchio, profondamente assorto nella preghiera, davanti all’ostensorio... Chi ama veramente Gesù non può che amare anche Sua Madre. La devozione alla Vergine Maria di Giuseppe Moscati è pertanto totale: oltre alla recita giornaliera del Santo Rosario, è buon amico del beato Bartolo Longo, fondatore del Santuario di Pompei, con il quale ha una grande intesa spirituale. E sarà proprio davanti all’immagine della Madonna del Buon Consiglio, nella chiesa delle Sacramentine, a Napoli, che il diciottenne Moscati farà voto di castità.

Che la grande fede e la grande rettitudine di Giuseppe Moscati ci accompagnino nella nostra vita quotidiana senza mai dimenticare le sue semplici e cristalline parole: «Ama la verità, mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, e tu accettala; e se il tormento, e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio». 

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Parla un parente del Santo

a cura di Cristina Reduzzi

A Fajano di Pontecagnano (SA) sorge la dimora avita di quel ramo della famiglia Moscati che, nei primi del 1800, lasciò il borgo natio di Santa Lucia di Serino (AV). Qui ci accoglie il Nobile Fabrizio Moscati, per illustrarci le iniziative e gli obiettivi del Centro Studi San Giuseppe Moscati di cui è presidente. Nobile Moscati, per quale motivo ha deciso di costituire un Centro Studi sulla figura del suo illustre avo?

Due anni fa, ragionando con un parente che vive a Bergamo, convenimmo che sarebbe stato molto utile dar vita ad un’associazione il cui scopo fosse quello di organizzare conferenze volte a far conoscere la figura di san Giuseppe Moscati. Ci eravamo resi conto, infatti, di due cose: il Santo era fondamentalmente conosciuto solo in Campania ed inoltre, non essendo egli appartenuto ad alcun ordine religioso, la sua memoria rischiava di affievolirsi con il passare dei decenni.

La sua associazione, quindi, organizza eventi su tutto il territorio nazionale?

Sì, uno dei nostri obiettivi è proprio quello di muoverci anche fuori la terra di origine del nostro Santo. Pertanto, promuoviamo incontri a nostro nome, e affianchiamo qualsiasi associazione voglia diffondere l’insegnamento del medico santo. Può farci qualche esempio significativo?

Nel 2013 il nostro Centro Studi ha partecipato con due relatori al convegno “Giuseppe Moscati il Medico Santo di Napoli”, tenutosi nella prestigiosa sede di via Nilo a Napoli, del Real Monte Manso, i cui soci appartengono alle più antiche nobili famiglie partenopee. Particolarmente emozionante, per ovvi motivi, è stato invece il convegno che abbiamo promosso come Centro Studi presso l’Ospedale di

Pagani. Tra i relatori segnalo il dott. Mario Ascolese, presidente dell’associazione medici cattolici della Campania. Prima dell’incontro, il padre gesuita Alessandro Piazzesi si è recato nei diversi reparti dell’ospedale con una reliquia del Santo. Il Centro Studi è aperto a tutti?

Certo, chiunque può farne parte, mentre ne sono membri di diritto tutti i Moscati e tutte le famiglie imparentati con il Santo. Può delineare, in sintesi, l’origine e l’evoluzione della famiglia Moscati?

Il capostipite dei Moscati di Santa Lucia di Serino è il medico e nobiluomo Palmiero (1480-1560), dal quale discendono tre linee: quella dei marchesi di Poppano e baroni di Albanella che si estingue nel 1845 con la morte di Nicola, colonnello del Reggimento Borbone Cavalleria; quella dei baroni di Olevano, che si estingue alla fine del 1800 con la morte della baronessa Luisa, e quella dei nobili Moscati a cui appartiene il ramo del Santo ed il mio. Il casato ha dato alla chiesa numerosi sacerdoti e monache di clausura, in gran parte appartenenti all’Ordine delle Clarisse.

Che legame esiste tra la sua famiglia e quella di san Giuseppe Moscati?

In primo luogo precisiamo che, dei quattro fratelli del Santo, solo il dr. Eugenio si sposa ma dal matrimonio del suo unico figlio, il dr. Franco (19131984), non c’è discendenza. Attualmente, pur non esTRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015 - 35


Vita di santi

più giovane del Santo, che fu anche sindaco di Napoli. I due prepararono la complessa documentazione per la richiesta del riconoscimento del titolo di Nobile da parte della Consulta Araldica del Regno d’Italia, che la accolse favorevolmente il 25 settembre 1942. Può farci l’esempio di un altro ramo Moscati presente nell’Associazione?

Certamente quello rappresentato dal vicepresidente, il cardiologo Pasquale Moscati. Questi, oltre ad avere il mio identico doppio legame con la famiglia del Santo, può vantarne un terzo: anche la sua bisnonna paterna era una Moscati ed era cugina del padre del prof. Giuseppe Moscati. Pensa che ci siano degli aspetti poco conosciuti della vita e della personalità del Santo?

sendo un Moscati, la persona genealogicamente più vicina al Santo è il dr. Pietro Maria De Nicolais, pronipote di Rosa Moscati, zia del prof. Giuseppe in quanto sorella di suo padre. La mia linea Moscati, invece, è legata da doppia parentela a quella del Santo: discendiamo entrambi dal nobile dr. Domenico (1608-1675) e una mia ava diretta, Giuseppa Moscati, era la nonna del magistrato Francesco padre del Santo. Comunque tutti i Moscati originari di Santa Lucia di Serino sono sempre stati caratterizzati da un forte spirito di appartenenza, che li portava a frequentarsi nonché a imparentarsi sovente tra loro. Mio nonno Ruggero (1908-1981), ad esempio, era un caro amico di Domenico Moscati (1884-1953), il fratello

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Credo di potere affermare che alcuni aspetti, pur trattati dai biografi, sfuggano all’attenzione dei più. Mi riferisco, da un lato al profondo legame che aveva con la terra dei suoi avi, come testimoniato anche in diversi suoi scritti, dall’altro alla grande intesa con la sorella Nina (Anna). Emblematica a tale proposito è l’espressione usata da Eugenio Moscati, fratello del Santo, in occasione della testimonianza resa al processo canonico diocesano: «Mio fratello per complice nel fare il bene al prossimo aveva nostra sorella Nina». Era lei ad occuparsi delle necessità quotidiane del fratello e ad affiancarlo con fervore nelle opere caritative. Le sue spoglie mortali riposano, dal 2009, nella chiesa del Gesù Nuovo a pochi metri da quelle dell’amato fratello. Altri aspetti poco conosciuti del nostro Santo sono il suo amore per l’arte e per la natura, nelle quali contempla la bellezza divina, e la sua profonda conoscenza teologica. Giuseppe Moscati era un uomo di eccezionale cultura che non trascurava nemmeno l’impegno civile per il bene della sua città, Napoli, di cui profetizzò la devastazione, in una lettera inviata al Consiglio Comunale nel 1919, a causa di una indiscriminata cementificazione. 

Sopra, Domenico Moscati (1608-1675), avo del Santo A sin., alcuni membri del Centro Studi san Giuseppe Moscati: (partendo da sin.) il presidente Fabrizio Moscati, il giovane Filippo Moscati, il vice presidente Pasquale Moscati con la consorte, Anna Moscati, Ornella e Rocco Perrottelli (la nonna, Luisa Moscati, era cugina del Santo), il sacerdote Giuseppe Salomone


Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira

E l i a : P a t e r et D u x c ar m e l i t a r u m Il 16 luglio si celebra la festa della Madonna del Carmine, mentre il 20 ricorre quella di S. Elia profeta, fondatore ideale dell’Ordine Carmelitano, invocato perciò come Pater et Dux carmelitarum. Trascriviamo in merito l’intervento del prof. Plinio Corrêa de Oliveira, durante una conferenza tenuta il 27 ottobre 1990.

Plinio Corrêa de Oliveira è stato, per lunghi anni, priore del Terz’Ordine Carmelitano a San Paolo.

Il Monte Carmelo

TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ /OTTOBRE 2015 - 37


Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira

E

La vittoria di Elia sui profeti di Baal

lia aggiunse al popolo: “Sono rimasto solo, come profeta del Signore, mentre i profeti di Baal sono quattrocentocinquanta. Dateci due giovenchi; essi se ne scelgano uno, lo squartino e lo pongano sulla legna senza appiccarvi il fuoco. Io preparerò l’altro giovenco e lo porrò sulla legna senza appiccarvi il fuoco. Voi invocherete il nome del vostro dio e io invocherò quello del Signore. La divinità che risponderà concedendo il fuoco è Dio!”. Tutto il popolo rispose: “La proposta è buona!”.

Elia disse ai profeti di Baal: “Sceglietevi il giovenco e cominciate voi perché siete più numerosi. Invocate il nome del vostro dio, ma senza appiccare il fuoco”. Quelli presero il giovenco, lo prepararono e invocarono il nome di Baal dal mattino fino a mezzogiorno, gridando: “Baal, rispondici!”. Ma non si sentiva un alito, né una risposta. Quelli continuavano a saltare intorno all’altare che avevano eretto.

Essendo già mezzogiorno, Elia cominciò a beffarsi di loro dicendo: “Gridate con voce più alta, perché egli è un dio! Forse è soprappensiero oppure indaffarato o in viaggio; caso mai fosse addormentato, si sveglierà”. Gridarono a voce più forte e si fecero incisioni, secondo il loro costume, con spade e lance, fino a bagnarsi tutti di sangue. Passato il mezzogiorno, quelli ancora agivano da invasati ed era venuto il momento in cui si sogliono offrire i sacrifici, ma non si sentiva alcuna voce né una risposta né un segno di attenzione.

Elia disse a tutto il popolo: “Avvicinatevi!”. Tutti si avvicinarono. Si sistemò di nuovo l’altare del Signore che era stato demolito. Elia prese dodici pietre, secondo il numero delle tribù dei discendenti di Giacobbe. Con le pietre eresse un altare al Signore; scavò intorno un canaletto, capace di contenere due misure di seme. Dispose la legna, squartò il giovenco e lo pose sulla legna.

Quindi disse: “Riempite quattro brocche d’acqua e versatele sull’olocausto e sulla legna!”. Ed essi lo fecero. Egli disse: “Fatelo di nuovo!”. Ed essi ripeterono il gesto. Disse ancora: “Per la terza volta!”. Lo fecero per la terza volta. L’acqua scorreva intorno all’altare; anche il canaletto si riempì d’acqua.

Al momento dell’offerta si avvicinò il profeta Elia e disse: “Signore, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, oggi si sappia che tu sei Dio in Israele e che io sono tuo servo e che ho fatto tutte queste cose per tuo comando. Rispondimi, Signore, rispondimi e questo popolo sappia che tu sei il Signore Dio e che converti il loro cuore!”. Cadde il fuoco del Signore e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la cenere, prosciugando l’acqua del canaletto. A tal vista, tutti si prostrarono a terra ed esclamarono: “Il Signore è Dio! Il Signore è Dio!”. Elia disse loro: “Afferrate i profeti di Baal; non ne scappi uno!”. Li afferrarono. Elia li fece scendere nel torrente Kison, ove li scannò.

(1Re, 18, 21-40)

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Il dott. Plinio commenta il seguente brano del celebre esegeta gesuita Cornelio a Lapide (1): “Dopo il regno di Salomone, tra gli eroi e gli uomini illustri di Israele divenne eminente Elia, che distrusse con il suo zelo e la sua forza d’animo l’idolatria e la malvagità introdotte nel regno di Salomone e poi diffusesi con Jeroboam. Dio suscitò Elia come il fuoco che bruciava di zelo per Lui e per la vera religione. (…) Lo zelo di Elia ha ucciso più idolatri di quelli che ha convertito. Egli uccise 850 indovini, magi e pseudo-profeti, e molti di più con la fame durata tre anni” (2).

C

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he cosa posso commentare di questo magnifico testo?

È insito nello spirito degli uomini con mentalità centrista affermare che è più consono al cattolico costruire che distruggere. È, quindi, altresì più appropriato convertire che combattere. Di conseguenza, è meglio esibire uno spirito di riconciliazione, di bontà, di dolcezza, insomma uno spirito arrendevole, pur di non combattere l’avversario.

Questa obiezione è stata, spesso, rivolta contro «O Legionário» [giornale cattolico diretto da Plinio Corrêa de Oliveira dal 1933 al 1947, ndr] e contro l’Azione Cattolica quando ne ero il presidente. Purtroppo, in quel periodo io non conoscevo ancora Cornelio a Lapide. La sua autorevolezza dottrinale è enorme. Ed egli è molto esplicito: “Lo zelo di Elia ha ucciso più idolatri di quelli che ha convertito”.

Qualcuno potrebbe obiettare: Io non saprei giustificare tale elogio di Elia. Non è meglio convertire che combattere?

Rispondo: naturalmente! Se si è in grado di convertire una persona con un buon argomento, invece di spaccarle la testa con la spada, è chiaro che si deve scegliere il primo approccio. Questo è di un’evidenza totale. Solo un barbaro la penserebbe in un altro modo. Il fatto, però, è che ci sono numerosi casi di persone che diffondono il male in ogni modo, e non vogliono proprio convertirsi. Allora dobbiamo combatterle perché non facciano male agli altri.

In epoche di grande malvagità, di grande decadenza, i cuori degli uomini si induriscono e diventano refrattari a qualsiasi argomento, a qualsiasi buona volontà nei loro confronti. Nessun argomento bonario riesce a dissuaderli dal diffondere il male. Per impedire loro di continuare a diffondere il male, cioè per odio al male che stanno compiendo e per amore ai buoni che stanno pervertendo, noi dob-

Plinio Corrêa de Oliveira, priore del Terz’Ordine Carmelitano

biamo combatterle, sempre secondo la legge di Dio e degli uomini. Non c’è altra strada.

Il colpevole della repressione non era Elia, bensì Salomone e Jeroboam, che favorirono il peccato, avvelenando Israele. Quindi, se un centrista mostra indignazione nei confronti della severità di Elia, rispondiamo che dovrebbe invece mostrare indignazione nei confronti della prevaricazione di Salomone e di Jeroboam. Elia è stato come un medico che, con un intervento di amputazione, ha eliminato la cancrena che Salomone e Jeroboam avevano inoculato in Israele. Questo è il punto. 

1. Cornelius Cornelissen van den Steen, sacerdote gesuita nato a Limburg (Belgio) nel 1567 e morto in odore di santità a Roma nel 1637. Teologo ed esegeta, fu docente di Sacre Scritture a Lovaino. Egli è noto, soprattutto, per l’opera monumentale (21 volumi) Commentaria in Scripturam Sacram, una raccolta di commenti sulle Sacre Scritture diffusa attraverso innumerevoli edizioni e traduzioni, perfino in lingua araba. 2. Cornelio a Lapide, Commentaria in Scripturam Sacram, Ludovicus Vives, Paris 1861, In Ecclesiasticum, XVIII, 1. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015 - 39


Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira

Brani scelti di padre Cornelio a Lapide, S.J. Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita”.

Ecco perché alcuni commentatori chiamano Elia di angelo. (...) Ecco perché Elia sarà inviato prima del Giudizio finale per lottare contro l’anticristo. (...) Elia è tutto fuoco e fulmine. “Elia, il Tisbita, uno degli abitanti di Gàlaad, disse ad Acab” (1Re, 17, 1)

Perché Dio suscitò Elia e lo inviò contro Acab?

Anzitutto per estinguere l’ardore di questo re e della sua moglie, Jezabele, nel propagare l’idolatria. Poi per conservare Israele nella vera fede e nella vera religione dell’unico Dio. Dio armò, dunque, Elia di zelo e di un ammirevole spirito di fortezza affinché, da solo, affrontasse tutti gli idolatri. (…) È proprio di Elia l’essere forte. (…) Quali erano le virtù di Elia?

Il primo dono di Elia era l’innocenza di vita, l’austerità e la santità. (…) Il secondo, la solitudine e la contemplazione. Sul Monte Carmelo, egli era dedito alla preghiera e alla contemplazione. (…) In terzo luogo, il suo ardore nell’incriminare e nell’accusare gli idolatri. (…) In quarto luogo, la pazienza e la fortezza d’animo con le quali vinse tutte le persecuzioni dei re e degli idolatri, e uccise i sacerdoti di Baal.

Quinto, lo zelo per l’onore e per il culto divino, che lo spingeva ad affrontare in campo aperto i baalaiti. Sono sue, infatti, queste parole: “Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli

Lo stemma dell’Ordine Carmelitano: la spada fiammegante di Elia col lemma “Zelo zelatus sum pro Domino Deo exercitum”, sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti 40 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015

“Allora sorse Elia profeta, simile al fuoco, le sue parole bruciavano come fiaccola” (Siracide, 48, 1)

Il senso di queste parole è che Dio suscitò Elia come il fuoco che bruciava di zelo per Lui e per la vera religione. Le parole della sua bocca provenivano da un cuore igneo, erano come una fiamma ardente che bruciava, incendiando con l’amore di Dio il popolo fedele e annientando col fuoco celeste gli infedeli. Infatti, lo zelo di Elia ha ucciso più idolatri di quelli che ha convertito. Egli uccise 850 indovini, magi e pseudo-profeti, e molti di più con la fame durata tre anni. Così, c’era in Elia molto più zelo per la giustizia e per la vendetta, per sterminare gli empi, che non clemenza e carità per convertirli.


“Elia disse loro: ‘Afferrate i profeti di Baal; non ne scappi uno!’” (1Re, 18, 40)

Elia fece questa richiesta ad Acab per poter uccidere tutti gli pseudo-profeti. Avendoli uccisi, egli distrusse pure gli idoli di Baal e quelli “dei boschi”, cioè gli altri déi. Dunque, i falsi profeti, i falsi dottori dell’eresia e dell’idolatria, erano in totale 850, che Elia uccise in parte di propria mano, in parte per mano del popolo. (...)

Scrive San Basilio: “L’avvalersi dello sdegno, quando bisogna, come di un rimedio, il Signore non condanna. Egli stesso ha detto ‘Porrò inimicizia fra te e la donna’, e anche ‘Siate nemici dei madianiti’. Il Signore ci insegna, dunque, a servici dell’ira come di un’arma. Per questo Mosè, il più mite di tutti gli uomini, vendicando l’idolatria, armò le mani dei Leviti per l’uccisione dei fratelli. (…) E che cosa rese giusto Fineas, se non il giusto sdegno per i fornicatori? Allorché vide le fornicazioni degli Zambri con le Madianite (…) non potendo ciò sostenere, si sdegnò, come richiedeva il bisogno dell’ira, e li trapassò con un colpo di lancia. Samuele, con santa ira uccise il re Amalec. Così l’ira è molto frequente fra i ministri del Signore. Ed Elia, lo zelatore, pieno di giusta e saggia ira, a profitto di tutta Israele, decretò e esecutò la sentenza di morte contro quattrocentocinquanta sacerdoti di Baal e contro quattrocento profeti del bosco, zeloti

della turpitudine” (S. Basilio, Omelia 20, De Ira).

Elia è chiamato dagli ebrei Eliahu, cioè Dio è forte, oppure Dio è la mia forza. Infatti, armato di forza e dell’onnipotenza divina, Elia sterminò i baalaiti, vinse Acab e Jezabele, sottomise il cielo e la terra. (…) Racconta S. Epifanio nella sua «Vitae Prophetarum» che Elia fu nutrito con le fiamme come segno della sua ardente eloquenza. (...)

Elia fu specchio vivo dei predicatori della parola di Dio. Ignea fu la sua mente, ignea la sua lingua, ignea la sua mano con la quale convertì Israele. “Egli fece venire su di loro la carestia e con zelo li ridusse a pochi. Per comando del Signore chiuse il cielo, fece scendere così tre volte il fuoco” (Siracide, 48, 2-3).

Questo è il secondo grande prodigio per mezzo del quale l’igneo Elia dominò totalmente il cielo, invertendone la natura. È naturale che il cielo faccia piovere. Elia sospese la natura del cielo, impedendogli di far piovere. Elia è, dunque, non solo ignipotente, ma anche coelipotente. (…) E sarà così anche alla fine del mondo. Dice l’Apocalisse (11,5), parlando di Elia e di Enoch: “Se qualcuno pensasse di far loro del male, uscirà dalla loro bocca un fuoco che divorerà i loro nemici”.

Chi, dunque, resiste ad Elia, che vibra con la bocca non parole ma fulmini, sappia che ha davanti a sé non un semplice avversario ma un vittorioso. Perché le sue battaglie sono il trionfo delle fiamme, la cui pompa è la luce, il cui plauso è il fragore degli incendi.  Statua del Profeta Elia sul Monte Carmelo, in Israele TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015 - 41


Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira

42 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015


Considerazioni sull’anima russa

S

di Plinio Corrêa de Oliveira

e fosse esistito uno Zar contro-rivoluzionario, quale sarebbe stata la sua politica?

Prima di tutto, è ovvio che si sarebbe convertito alla religione cattolica e l’avrebbe stabilita su tutto il territorio russo. Poi, dal punto di vista temporale, egli avrebbe dovuto trovare nella Chiesa alcuni teologi, molto avveduti e di grande caratura intellettuale, invitandoli a studiare e risolvere un punto fondamentale: qual è la vera anima russa?

Parlo dell’anima russa di prima di Pietro il Grande, che terminò col Medioevo. Molto della vera anima russa continuò a vivere anche dopo Pietro il Grande, come un fiume sotterraneo e possente, perché la Russia non era Pietro. Pietro introdusse una nuova civiltà che galleggiava sulla vera anima russa un po’ come la panna sul latte. Si tratterrebbe, dunque, di individuare questa anima, seguendo le sue variazioni fino ai giorni nostri.

La vera anima russa stava più nel popolo che nelle élite, era presente nel cerimoniale di Corte, ma non negli uomini della Corte.

Pietro il Grande fu un po’ il Luigi XIV, un po’ il Napoleone e un po’ il Lenin della nuova Russia. Non sorprendono, dunque, gli elogi rivoltigli dagli ambienti massonici.

Mosca sarebbe per l’Oriente ciò che Parigi è per l’Occidente? Evidentemente sì, ma con un elemento in più: Mosca ha un lato religioso e metafisico che manca a Parigi, almeno alla Parigi post-medievale. Perché io ritengo la Parigi moderna l’esatto opposto di quella medievale.  (Brani di una conversazione informale del prof. Plinio Corrêa de Oliveira, probabilmente a metà degli anni Settanta. Senza revisione dell’Autore)

In secondo luogo, tenendo tale anima in vista, sarebbe necessario sviluppare una confutazione in regola della Rivoluzione, come essa è stata introdotta in Russia con l’influenza della cultura occidentale. In terzo luogo, sarebbe necessario studiare non solo gli aspetti rivoluzionari dell’influenza occidentale, ma la cultura occidentale in sé, in quanto diversa da quella russa. Non c’è nessun motivo per occidentalizzare la Russia.

A partire da questi presupposti, si dovrebbe lanciare una crociata per ripristinare la vera anima russa, affermando con vigore: la Russia è così! Uno Zar che avesse fatto ciò sarebbe stato in grado di salvare l’Impero.

Purtroppo, successe esattamente il contrario. Mentre la nobiltà assumeva dall’Europa lo spirito liberale, laico e moderno, sorgeva un’intellighenzia liberale e massonica. Entrambi inocularono in Russia il cancro della modernità. In quel frangente, un vero russo sarebbe dovuto insorgere in favore della Russia tradizionale, cercando di ripristinarla prima che venisse spazzata via.

Pietro il Grande TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015 - 43


Il mondo delle TFP

L

“Supplica Filiale” supera il mezzo milione di adesioni

a campagna “Supplica Filiale”, della quale partecipano le TFP in tutto il mondo, ha superato il mezzo milione di adesioni. Tra i firmatari, nove cardinali e 160 vescovi, anche dell’Asia e dell’ Africa. Il testo è indirizzato a Sua Santità il Papa Francesco, chiedendogli “una parola chiarificatrice”, come “unica via per superare la crescente confusione fra i fedeli” in materia di matrimonio e di unioni omosessuali. Per i firmatari un supremo intervento è necessario per arginare lo strisciante progredire della rivoluzione culturale, promossa da forze anticristiane

che da decadi cercano d’indebolire le convinzioni morali fondate sul Vangelo e sulla Legge Naturale.

In vista del Sinodo sulla Famiglia di ottobre 2015, consapevoli del fatto che cedimenti morali apparentemente lievi possano avere conseguenze rovinose, un gruppo di fedeli laici, tra cui le TFP di tutto il mondo, ha promosso questa “Supplica Filiale” e creato un’omonima associazione per diffonderla. L’iniziativa, come i numeri dimostrano, non ha tardato a trovare una larga accoglienza nell’opinione pubblica cattolica e anche fra personalità di spicco nella vita civile, accademica ed ecclesiastica. 

Due momenti della raccolta di firme negli Stati Uniti

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Francia: presentata biografia di Plinio Corrêa de Oliveira

È

stata presentata a Creutzwald, in Lorena, la biografia di Plinio Corrêa de Oliveira «Begegnung mit Plinio Corrêa de Oliveira. Katholischer Streiter in stürmischer Zeite», scritta dal direttore della TFP tedesca Mathias von Gersdorff. Gli abitanti di questa zona di confine sono, infatti, perfettamente bilingui.

La giornata è cominciata con una Santa Messa, celebrata nel rito romano straordinario da S.E.Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, Kazakhstan, nella chiesa di S. Nicolas de L’Hôpital. Ha fatto da assistente l’abbé François Thomen, vicario della comunità parrocchiale di Saint Jean de Puits (foto a dx.).

Dopo la Messa, gli organizzatori hanno offerto un pranzo a mons. Schneider nella sede della Fédération pro Europa Christiana, sempre a Creutzwald. Presenti all’evento, il duca Paul von Oldenburg, direttore dell’ufficio delle TFP a Bruxelles, il dott. Caio Xavier da Silveira, presidente della Fédération, e l’avv. Francesco Pignatta, direttore dell’Institut Européen de Sciences Sociales. Nel pomeriggio, nella sala convegni del Comune di Creutzwald, è stata presentata la biografia del leader cattolico brasiliano. Oltre a mons. Schneider, sono intervenuti il duca von Oldenburg e l’autore (foto sotto). 

TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015 - 45


Il mondo delle TFP

Messico: NO al “matrimonio” omosessuale

A

l grido di “¡Viva Cristo Rey!”, cooperatori della TFP hanno realizzato una campagna pubblica nella città di Chihuahua, capitale dell’omonimo Stato messicano, raccogliendo firme in favore della famiglia naturale e cristiana, e contro il progetto del “matrimonio” omosessuale.

Recentemente, la Corte Suprema messicana ha emesso una sconvolgente sentenza parificando le unioni fra persone dello stesso sesso a un regolare matrimonio. Lo stato di Chihuahua, però, non ci sta. Anzi, una deputata regionale del PAN (Partido de Acción Nacional) ha presentato un disegno di legge che definisce il matrimonio come un’unione fra uomo e donna. Progetto che, ovviamente, la TFP appoggia. Milioni di persone hanno sfilato per le vie delle città protestando contro l’iniqua sentenza.

I giovani della TFP hanno diffuso anche volantini con la “Supplica filiale a Papa Francesco sul futuro della famiglia”, chiedendo a Sua Santità una parola chiarificatrice in vista del prossimo Sinodo sulla Famiglia che si terrà in Vaticano il prossimo ottobre.  (A sin., la campagna davanti al Duomo di Chihuahua)

Cile: vescovi richiamano i politici cattolici

C

inque vescovi diocesani hanno firmato un manifesto di Acción Familia, consorella delle TFP, chiedendo coerenza ai legislatori cattolici. Il governo socialista ha, infatti, presentato un disegno di legge che introdurrebbe il massacro degli innocenti. Di fronte alla titubanza di non pochi cattolici in politica, Acción Familia ha avviato un’ampia campagna per ricordare il Magistero della Chiesa su questo delicato tema.

Nel ribadire che il progetto di legge costituirebbe una condanna a morte per cittadini innocenti, il testo ricorda quanto espresso, in proposito, dal Magistero della Chiesa: l’aborto è un crimine abominevole che un cattolico non può moralmente approvare in nessun caso.

46 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015

“È il nostro preciso dovere di pastori avvertire i fedeli, indipendentemente dalle legittime scelte politiche, che non è moralmente lecito dare il proprio voto a un candidato che appoggi il progetto di legge abortista”, concludono i vescovi. 


Irlanda: carovana per la famiglia

A

pprofittando dell’estate, un gruppo di volontari della TFP irlandese ha percorso il Paese prendendo contatto con il “pubblico della strada” in difesa dei valori familiari e cristiani. Come sappiamo, un recente referendum abilmente manipolato ha approvato – in realtà con una minoranza dei voti – l’introduzione del “matrimonio” fra persone dello stesso sesso. Ma l’opinione pubblica cattolica non ci sta.

I giovani della TFP hanno visitato le principali contee e distribuito un Vademecum sulla famiglia, riscontrando ovunque un solido appoggio, ma anche qualche contrasto da parte delle minoranze LGBT. Come assaporando ancora la vittoria, costoro urlavano: “Voi non avete diritto a dire queste cose! Questo è omofobia!”. Come se la libertà di opinione fosse ormai solo un ricordo del passato nell’Isola Verde!

A vivacizzare le campagne pubbliche, una banda di cornamuse e tamburi, che suonavano musiche tradizionali irlandesi.  (A dx., davanti alla cattedrale di Drogheda, dove è sepolto S. Oliver Plunket, martire dei protestanti. Sotto, sulle rovine del monastero di Slane, dove S. Patrizio iniziò la sua epopea evangelizzatrice.)

TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2015 - 47


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di Plinio Corrêa de Oliveira

servizio di paggetto, ammirando estasiato le belle maniere, piene di dignità, e il magnifico portamento che contraddistingueva l’Imperatrice. “Lei eseguiva con estrema precisione tutte le esigenze del protocollo della Corte: non si sedeva, ma si posava maestosamente; non si alzava, ma si elevava; non camminava, ma avanzava con dignità. Questo è il miglior modo per descrivere lo splendido ritmo che segnava ogni movimento della bella Sovrana”.

A

ll’epoca dell’episodio che commenterò, Guglielmo II era ancora principe ereditario del Reich tedesco. Nei decenni antecedenti alla Prima guerra mondiale, la Germania fu in larga misura modellata dal Kaiser, tipo umano del nobile moderno, erede di una lunga storia ma allo stesso tempo perfettamente adattato al nuovo mondo industriale.

Elisabetta, imperatrice dell’Austria-Ungheria, detta Sissi, moglie di Francesco Giuseppe, era molto diversa. Lei rappresentava il passato.

Quale sarebbe stato l’effetto di questo passato glorioso sul futuro Kaiser, uomo eminentemente moderno? In altre parole, come sarebbe stata vista la Tradizione da un uomo più povero di tradizione di fronte a una persona più ricca in questo senso?

La questione è molto interessante, non solo per capire come si tramanda la Tradizione all’interno di una famiglia, ma anche per capire come avviene l’irradiazione della nobiltà, come tipo umano, nel corpo sociale. Nelle sue «Memorie», il Kaiser così descrive un incontro con l’Imperatrice Sissi:

“Un ricordo dell’Imperatrice è rimasto indelebile nella mia memoria. Un giorno, la grande dama è venuta a prendere il tè a casa di mia madre, a Hetzendorf. Io ero nella mia camera, impegnato a scrivere il mio Diario. Mia madre mi fece chiamare in giardino, dove passeggiava con l’Imperatrice. L’Imperatrice mi salutò con la sua consueta delicata gentilezza. Mia madre mi ordinò di reggere la lunga coda del vestito di Sua Maestà. Accettai con entusiasmo questo soave

Notate anzitutto una caratteristica essenziale della vera nobiltà: una “consueta delicata gentilezza”, cioè raffinata non solo in certe occasioni, ma d’abitudine. Vedete poi la gerarchia. Quando la Kaiserin ordinò al figlio di portare la coda dell’Imperatrice, costui obbedì senza indugio. Nel suo palazzo, la Kaiserin aveva a disposizione decine di valletti che avrebbero potuto eseguire questo servizio. Ma era tale il rispetto per l’Imperatrice dell’Austria-Ungheria, che lei volle chiederlo al proprio figlio.

Un altro aspetto della gerarchia: la gioia nel servire. Lungi dal sentirsi diminuito, il Principe ereditario prese quell’incarico come un “soave servizio di paggetto”, ammirando la dignità e il magnifico portamento dell’Imperatrice. Il vero nobile dev’essere così. Tutto ciò che Guglielmo ammirò in Sissi era un prezioso distillato di secoli di cerimoniale di Corte.

Il linguaggio del Kaiser è molto ricco e riflette la sostanza di ciò che egli osservava. Notate come egli descrive i movimenti dell’Imperatrice: “Non si sedeva, ma si posava maestosamente; non si alzava, ma si elevava; non camminava, ma avanzava con dignità”.

Questo episodio mostra come l’Imperatrice Sissi esercitasse un’azione molto profonda sull’educazione di un intero popolo. Un’azione possibile solo perché ella rappresentava una dinastia millenaria che aveva innalzato tutto al suo più alto livello.

(Brani di una riunione del 18 novembre 1992, tratto dalla registrazione magnetofonica, senza revisione dell’Autore)


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