editoriale di Rosario Musmeci
CANTI NON ANCORA CANTATI?
Sto lavorando attorno a una nuova “puntata” di IN AEVUM E rimugino storie antiche. E torna il rimpianto per la scuola che non c’è più, il mio liceo. E poi vagolo su fb, e mi imbatto in un testo che mi incuriosisce. E poi penso. Quante volte, da “antico” professore di greco, ho citato un passo di Bacchilide, il poeta vissuto cinquecento e passa anni prima di Cristo: “sempre il sapiente è tale per sapienza altrui: non è facile trovare la via di canti non ancora cantati”.
Ecco, meglio di me sa portare una parola di “sapienza antica” un campione del calcio mai dimenticato, Dino Zoff. Un’intervista, rilasciata al “Corriere della sera”.
Dice. Oggi manca il campetto, l’oratorio. Oggi i campetti sono tutti chiusi a chiave. Per entrarci devi pagare. E quando paghi poi le cose cambiano, salta la legge del campo dove il più forte o il più bravo vince e dove tutti migliorano.
Al campetto siamo cresciuti tutti, magari con un parroco o un adulto che ti levava il pallone se non andavi a messa… Oggi ci sono le scuole calcio con allenatori preparatissimi, con tanto di patentino. Bravissimi, che ti insegnano a stoppare la palla di piatto o col collo del piede, ma la creatività?
Non sono un nostalgico, non lo sono mai stato, credo che ognuno sia figlio della propria epoca. E per fortuna, aggiungo. Non è vero che una volta tutto era meglio, non scherziamo. Però ci sono alcune cose che andrebbero tenute in maggiore considerazione, come l’educazione alla creatività dei piccoli calciatori. Devono essere liberi di giocare, devono sentirsi liberi. Senza genitori che pretendono di avere figli campioni a dodici anni, facendo in realtà solo loro del male.
All’oratorio si cresceva imparando che nulla nella vita è dovuto: se uno è più bravo, magari vince. E allora tu per essere bravo uguale devi correre di più, essere più attento, applicarti, imparare, crescere. Perché nessuno lo farà per te… Il campetto insegna la vita.
Capisco. Nel tempo presente la cura del liceo era diventata un lusso superfluo. Quel che conta è il rapporto con la realtà. E la realtà dice che i Padri sono diventati pochi, che a loro sono state affidate cure d’anime nelle parrocchie, che l’Oratorio è incontro diretto con i ragazzi e i giovani ed è l’occasione per ricucire una realtà fatta di aggregazione e di “vita insieme”. In un turbine di entusiasmi legato ai “cinque verbi” che un tempo erano l’arme della sezione ragazzi della Giac (gli “aspiranti”: di quel Movimento fui tra i dirigenti nazionali e responsabile di una parte della stampa, sessanta e più anni fa…): giocare, lavorare, imparare, pregare, far del bene. Viva l’Oratorio, allora. E asciughiamo la lacrima: non c’è posto per il rimpianto della “nostra” scuola.
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UNAPATERNITÀABITATA
DALLOSPIRITO
di p. Luciano Giuseppe Bella d.O.
Una breve sintesi della “difesa” di un’appassionata ricerca, nella prospettiva del dottorato in teologia spirituale presso la Pontificia Università Gregoriana, ma soprattutto una nuova “visione” della paterna figura del venerabile G. Battista Arista.
La ricerca “Una paternità abitata dallo Spirito. Il vissuto spirituale di Giovanni Battista Arista (1863-1920)”, per il conseguimento del dottorato in teologia spirituale presso la Pontificia Università Gregoriana in Roma, è motivata dal desiderio di cogliere il vissuto spirituale, ed in modo specifico la paternità, del Venerabile Giovanni Battista Arista, della Congregazione dell’Oratorio e secondo Vescovo della diocesi di Acireale, nella consapevolezza che l’intuizione esperienziale vissuta da Lui possa considerarsi un esempio molto attuale e provocante per una autentica opera di evangelizzazione, compresa ed incarnata peculiarmente nell’orizzonte del servizio e del ministero dell’accompagnamento spirituale, che risulta sempre più utile e necessario in un contesto quale que llo odierno in cui, in modo sempre più evidente, la figura del padre va perdendo la propria identità, sino al punto da essere continuamente messa in discussione.
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Attraverso una metodologia analitica ed induttiva ci si è posti in ascolto di chi ha beneficiato della paternità dell’Arista facendo emergere la chiamata universale alla santità, sempre attuale per il suo fondarsi sulla dinamica della carità.
Nello specifico si è inteso offrire agli oratoriani uno strumento atto ad arricchire la propria vita interiore rivitalizzando la specifica vocazione; alla Chiesa siciliana un esempio pastorale vissuto nella fedeltà a Cristo buon pastore; a chi si occupa di accompagnamento spirituale un input per veicolare la fiamma d’amore che arde nel petto di ogni padre secondo lo spirito.
Il percorso strutturale è caratterizzato da una Introduzione, alla quale seguono cinque capitoli e le Conclusioni. Nel primo capitolo vengono ben evidenziate le Fonti della Paternità di Monsignor Giovanni Battista Arista, mentre nel secondo, terzo e quarto capitolo vengono esaminati e studiati le tre tappe particolari e peculiari del pellegrinaggio spirituale e ministeriale di Monsignor Giovanni Battista Arista rispettivamente come Padre per l’Oratorio di Acireale, come Padre della Confederazione dell’Oratorio di san Filippo Neri, e come Padre per la Chiesa di Acireale. A mo’ di compendio, l’ultimo capitolo, presenta l’unità di pensiero dei tre step già presentati. Con l’espressione “Come muore un padre”, si è inteso sottolineare la fecondità spirituale del morire all’interno di una relazione padre/figlio, sino a divenire l’ultima manifestazione di una paternità abitata dallo Spirito.
L’approccio metodologico è prettamente di tipo storico, nel desiderio di voler analizzare l’epoca nella quale visse Monsignor Arista e considerare così le situazioni e le linee di pensiero, che hanno segnato e caratterizzato la sua azione pastorale ed il suo vissuto spirituale, in vista di evidenziare e presentare i tratti specifici della sua paternità spirituale.
Effettivamente l’Arista, consapevole che la carità vuole l’unione si pose sulla scia evangelica del “siano perfetti nell’unità”. Pregò, lavorò e soffrì imbastendo il suo sogno e sviluppando un agire apostolico tale da renderlo maestro di spirito.
Quale padre kenotico ebbe una parola da insegnare; la mutuava dalla preghiera eucaristica, dalla meditazione e dallo studio. Si ritenne sempre figlio amato dalla provvidenza; l’ultimo dei figli del Neri; figlio della sua terra e del suo tempo. Come oratoriano è un esempio di profezia della vita comune specie se confrontata con il pervasivo individualismo; incamminava i suoi sui sentieri di una spiritualità libera e liberante, prerogativa della persona matura.
L’intensa contemplazione del mistero del Padre e l’efficace charitas pastoralis rivelano la sua dedizione nell’evangelizzazione, intesa come dovere perentorio del vescovo. In un crescendo spirituale, incarna una paternità ricca di calore umano tale da accentuare la sua feconda azione generativa sino al compimento e dono della sua esistenza.
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Guerra e noon--viiollennzza a una
riflessione di Giuseppe Cristaldi di Giuseppe Rossi
Sulla rivista “Coscienza”, nel 1967, sono apparse due lettere di don Giuseppe Cristaldi, indimenticato professore di storia e filosofia nel nostro liceo classico e poi per un ventennio docente ordinario di filosofia morale nella “Cattolica” di Milano; pubblichiamo uno stralcio delle considerazioni portate all’attenzione di un folto pubblico il 14 febbraio scorso, nel 25° dalla Sua scomparsa.
Ha scritto Grampa che il metodo della fenomenologia è un tratto qualificante della personalità di Cristaldi, un modo di essere che coincide “con quello della radicale onestà intellettuale che è costantemente volta verso la verità”. Così per rispetto dell’insegnamento di Padre Cristaldi, sono costretto a proporre un ricordo nuovo.
Ma quale ricordo? Secondo Kierkegaard, citato da Cristaldi “c’è un duplice modo di ricordare: regredendo verso il passato o progredendo verso il futuro”. Questo secondo metodo vorrei seguire, scegliendo un tema che è molto presente nel dibattito attuale nei mass-media e nella Chiesa, perché riguarda il futuro, pensato con ansietà, anzi a volte con angoscia.
Il tema è quello della guerra e della pace, del rischio del conflitto atomico, della non-violenza e del ruolo degli organismi internazionali per promuovere la pace. Questo tema non è stato affrontato nei cicli di lezioni di Filosofia della religione, svolte da Cristaldi per quasi 20 anni a Milano o neppure è stato approfondito nelle numerose pubblicazioni (20 libri e oltre 200 saggi e articoli su riviste). Esso è stato oggetto occasionale di due lettere di Cristaldi sulle pagine di Coscienza nel 1967.
Quale è l’antefatto? Il presidente nazionale del Movimento Laureati di A.C, Gabrio Lombardi, aveva pubblicato su Coscienza (n.5 del 1967) un articolo sul Convegno del Comitato Cattolico Docenti
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Universitari, nel quale aveva riproposto il concetto di “guerra giusta”: (citazione:” in un mondo in cui è presente e ineliminabile la realtà del peccato, […] continuerà a parlarsi di guerra giusta a indicare eventualità nella quale un popolo ha diritto-dovere di ricorrere alla forza per difendersi dalla violenza che altri ha scatenato” (fine citaz.). Tale affermazione era sostenuta da un brano della Gaudium et spes (n.79), dove si cita “il dovere dei Capi di Stato di tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati” (Cit.) “Fintantochè esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà una autorità internazionale, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto alla legittima difesa”.(fine cit.)
Il punto dell’articolo di Lombardi che aveva provocato più reazioni di dissenso riguardava la giustificazione dell’intervento preventivo di Israele contro gli Stati arabi e la condanna del gesto del Segretario generale dell’ ONU (U Thant ), che, su richiesta di Nasser, aveva disposto il ritiro dei caschi-blu dalla striscia cuscinetto .
La lettera di Cristaldi (Coscienza n.6 del 1967) nella forma è diplomatica, riconoscendo che l’articolo di Lombardi invita espressamente alla riflessione critica e alla discussione chiarificatrice, ma poi esprime posizioni abbastanza differenti.
La prima considerazione di carattere generale riguarda la “non-violenza”. Dice Cristaldi “nella cosiddetta non-violenza vanno distinte due cose: lo “spirito” e le “proposte concrete”.(Citaz.) “Lo spirito intende alimentarsi al messaggio evangelico e alla sua carica profetica, per cui la non-violenza si configura, in un mondo segnato dalla discordia e dalla violenza, come […] testimonianza che si pone in rottura con una concreta situazione storica per indicare una “ideale” situazione in cui il valore della pace, verso la quale si vuole far camminare il processo della storia, si concretizza in valide e operanti istituzioni”. Sul piano della “proposta concreta”, Cristaldi scrive che (cit.) “l’unica che ha trovato particolare e vivace udienza nel mondo contemporaneo è l’obiezione di coscienza” che è stata riconosciuta dalla Gaudium et Spes (n.79) e supportata dalla Populorum progressio n.74, quale valida alternativa al servizio militare. Tuttavia Cristaldi concorda con Lombardi che il principio della non-violenza non può essere trasferito sic et simpliciter dal piano della testimonianza individuale al piano di norma collettiva, proprio in forza delle considerazioni della Gaudium et spes sulle responsabilità dei capi di Stato.
Una seconda considerazione sembra voler evitare una netta posizione sulla liceità della guerra. Egli cita un discorso del card Lercaro che per spiegare la non
omogeneità o addirittura l’ambiguità della Gaudium et spes, lamentava che il documento presentava enunciati residui di uno stadio della coscienza teologica e
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pastorale anteriore alla svolta segnata dall’enciclica di Papa Giovanni Pacem in terris, con implicito riferimento alla affermazione che (cit.) “è quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia” (fine cit.). Da ciò deriva che, considerando la carica di violenza che ogni guerra moderna, anche di difesa, comporta, occorre proporre e favorire la coscienza e i metodi della non-violenza. Tuttavia Cristaldi dà spazio anche alla opinione opposta, rilevando che è pure atteggiamento cristiano quello che “rivendica il dirittodovere della guerra giusta, storicamente ma dolorosamente necessario per opporsi alla violenza e quindi come atto di pacificazione”
In effetti non si tratta di equidistanza tra le due opzioni, perché, pur sottolineando che la Gaudium et spes rispecchia le antinomie della coscienza storica cristiana, Cristaldi privilegia l’impegno perché “la guerra scompaia come “istituzione” ripudiata dalla coscienza collettiva”. E fonda tale auspicio su una analogia molto originale, quella con la schiavitù, per la quale invita (cit.) “a pensare alla fatica che la coscienza cristiana ha dovuto fare per liberarsi dal pregiudizio della necessità storica della schiavitù”.
Ma nello stesso 1967, qualche mese dopo, padre Cristaldi riprende la penna e scrive un’altra lettera a Coscienza (n.10 del 1967). Era successo che nel numero precedente della rivista il prof Renato Rossini aveva contestato la posizione di Cristaldi sulla non-violenza, sostenendo che era “un fatto molto grave che educatori e clero facciano dell’obiezione di coscienza un pilastro della formazione dei giovani e di educazione delle masse allo spirito di pace. Rivendicava il valore della difesa della Patria così: “Quando il mio Paese mi chiama ad essere soldato io ho il dovere di essere soldato, non posso sottrarmi: sono io che devo morire o uccidere, non mandare un altro per me” (fine cit.). Soprattutto Rossini non accettava lo spirito di concordia discors, richiamato da Cristaldi, e scriveva: “Potrò mai nutrire un atteggiamento di “concordia” verso chi si appresta a vibrarmi il coltello nella schiena mentre sarò in pericolo?”.
Nella Sua risposta padre Cristaldi non perde la calma di fronte a espressioni gratuitamente polemiche, ma ripropone il valore della diversità di prospettiva tra chi sostiene la liceità e doverosità di un certo tipo di guerra e chi prospetta la validità della obiezione di coscienza. Riafferma la necessità che l’obiezione di coscienza sia liberata da ogni retorica, -sia di indiscriminata esaltazione sia di indiscriminata denigrazione- e saggiamente conclude che le diverse possibilità di testimoniare l’unico valore della pace non porta alcuna “frantumazione dei cattolici”, ma ne fa maturare dialetticamente la coscienza. Auspica infine che il frutto del Congresso del Movimento che era in programma sul tema “Il senso cristiano della pace” aiuti tutti ad animarci vicendevolmente nella fatica di “conquista della pace”.
A me pare che sia ancora oggi di viva attualità l’impostazione di padre Cristaldi, che considera lecite, pur nella unità e concordia di fede e carità, posizioni anche diverse della coscienza cristiana sui fatti concreti.
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Abbiamo ripreso da un numero “antico” di IN AEVUM una seria considerazione sugli apprendimenti che la scuola deve assicurare ai giovani. Si partiva, un tempo, dal “leggere, scrivere e far di conto”; adesso si insiste sul collegamento ai modi d’agire immediatamente dopo la fine degli studi. Tagliare i rami secchi: che so, il latino, la filosofia, la storia antica. Il fatto è che non si tratta di “rami secchi”. La scuola fornisca apertura di mente, chiavi di lettura, orientamento alla scoperta di sé attraverso lo studio delle varie “discipline”. Prima l’uomo. Il “tecnico” verrà poi…
Abbiamo ripreso da un numero “antico” di IN AEVUM una seria considerazione sugli apprendimenti che la scuola deve assicurare ai giovani. Si partiva, un tempo, dal “leggere, scrivere e far di conto”; adesso si insiste sul collegamento ai modi d’agire immediatamente dopo la fine degli studi. Tagliare i rami secchi: che so, il latino, la filosofia, la storia antica. Il fatto è che non si tratta di “rami secchi”. La scuola fornisca apertura di mente, chiavi di lettura, orientamento alla scoperta di sé attraverso lo studio delle varie “discipline”. Prima l’uomo. Il “tecnico” verrà poi…
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educare oggi e domani
da EDUCARE OGGI E DOMANI, documento della Congregazione per l’educazione cattolica, 2014
La centralità della persona che apprende
La scuola, e ancora di più l’università, sono impegnate a fornire agli studenti una formazione che li abiliti ad entrare nel mondo del lavoro e della vita sociale con competenze adeguate. Tuttavia questo, per quanto indispensabile, non è sufficiente. Una buona scuola e una buona università si misurano anche dalla loro capacità di promuovere attraverso l’istruzione un apprendimento attento a sviluppare competenze di carattere più generale e di livello più elevato.
L’apprendimento non è solo assimilazione di contenuti, ma opportunità di autoeducazione, di impegno per il proprio miglioramento e per il bene comune, di sviluppo della creatività, di desiderio di apprendimento continuo, di apertura agli altri. Ma può anche essere una occasione per aprire il cuore e la mente al mistero e alla meraviglia del mondo e della natura, alla coscienza e consapevolezza di sé, alla responsabilità verso il creato, all’immensità del Creatore. In particolare, la scuola non sarebbe un ambiente di apprendimento completo, se ciò che l’alunno apprende non diventasse anche occasione di servizio alla propria comunità. Apprendere, ancora oggi, è considerato da molti studenti un obbligo o una imposizione.
È probabile che questo dipenda anche da una incapacità della scuola a comunicare agli alunni, oltre alle conoscenze, la passione, che è la molla della ricerca. Quando, però, gli studenti hanno l’opportunità di sperimentare che quanto apprendono è importante per la loro vita e per quella della comunità di appartenenza, la loro motivazione cambia. È desiderabile che gli insegnanti propongano agli studenti occasioni per sperimentare la ricaduta sociale di quanto stanno studiando, favorendo in tal modo la scoperta del nesso tra scuola e vita, e lo sviluppo del senso di responsabilità e di cittadinanza attiva.
La diversità
della persona che apprende
Gli insegnanti sono chiamati a misurarsi con una grande sfida educativa, quella del riconoscimento, rispetto, valorizzazione della diversità. Le diversità psicologiche, sociali, culturali, religiose non vanno nascoste, negate, ma considerate come opportunità e dono. Allo stesso modo, le diversità legate alla presenza di situazioni di particolare fragilità sotto il profilo cognitivo, o dell’autonomia fisica, vanno sempre riconosciute ed accolte, affinché non si trasformino in disuguaglianze penalizzanti.
Non è facile per la scuola e l’università essere “inclusive”, aperte alle diversità, in grado di poter veramente aiutare chi è in difficoltà. È necessario che gli insegnanti siano disponibili e professionalmente competenti nel condurre classi dove la diversità viene riconosciuta, accettata, apprezzata come una risorsa educativa per il miglioramento di tutti. Chi è più in difficoltà, più povero, fragile, bisognoso, non deve essere percepito come un disturbo o un ostacolo, ma come il più importante di tutti, al centro dell’attenzione e della tenerezza della scuola.
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ex-allievi
che ricordano, dopo 50, 25, 15 anni i loro esami di “Maturitààa
Maturità classica 1973
Salvatore Distefano
Sebastiano Ferlito
Rosario Foti
Giuseppe Greco
Pier Francesco Messina
Francesco Musmeci
Antonio Musmeci
Mario Pappalardo
Placido Patti
Alberto Pennisi
Vincenzo Pennisi
Orazio Puglisi
Maturità scientifica 1998
Giuseppe Barbagallo
Paolo Barbagallo
Paola Campione
Massimo Ciccarelli
Giuseppe Cristaudo
Bruno Di Silvestri
Sebastiano Grasso
Diuseppe Maltese
Giuseppe Minniti
Massimo Occhipinti
Paolo Pennisi
Alfio Puglisi
Luigi Salerno
Francesco Sciuto
Riccardo Scrofani
Francesca Spampinato
Monica Spataro
Valentina Timpanaro
Luigi Toscano
Elisabetta Trovato
Maturità scientifica 1973
Giuseppe Arculeo
Angelo Bonaventura
Santo Bruno
Giacomo Burgio
Basilio Cannizzo
Francesco Cerra
Giovanni Franco
Rosario Gieri
Sebastiano La Bella
Leonardo Leonardi
Antonio Lipani
Gaetano Manzo
Michele Marrara
Salvatore Profeta
Salvatore Salvaggio
Antonio Sillitto
Maturità scientifica 2008
Alfonso Caravotta
Carmelo Cardillo
Daniele D’Agostino
Giuseppe Fiamingo
Rosario Fichera
Pasquale Franco
Andrea Garozzo
Salvatore Messina
Desirè Mignemi
Salvatore Monaco
Domenico Pacino
Alfio Peluso
Fabio Pennisis
Emanuele Puglisi
Giuseppina Rapisarda
Regina Scavo
Flora Somma
Salvatore Urso
Alfio Vecchio
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PINELLA MUSSMECI, ESEMPPIIO MIIRRABILLE DI IMPEGNO CULTURALE
di Giovanni Vecchio
L'improvvisa scomparsa di Pinella Musmeci il 28 marzo 2015 ha lasciato un vuoto non facilmente colmabile nella città di Acireale perchè è venuta a mancare una vera protagonista del mondo culturale, sempre attiva e determinata nella produzione letteraria e nella diffusione della cultura, soprattutto di quella che ci riguarda da vicino come siciliani. Era nata ad Acireale il 1° agosto 1942 ed ha amato profondamente la sua città natale, alla quale ha dato il meglio di sé nella famiglia, nella scuola e nella società.
Giuseppe Contarino, allora presidente dell'Accademia Zelantea, nel corso della cerimonia di intitolazione alla Musmeci del Centro Culturale della Villa Belvedere, disse che ”era un donna normanna, intrepida, audace, colta, indomita ed evoluta, eppure docile e accogliente, aveva un modo tutto suo di approcciarsi agli altri, di accoglierli, di gratificarli”. Conseguita la maturità nel Liceo Classico del Collegio Santonoceto, si laureò in Lettere Classiche nell'Università di Catania, cominciando ad insegnare ancor prima del conseguimento del titolo accademico.
La sua ampia e sempre aggiornata preparazione, accompagnata dalle capacità comunicative, l'hanno da subito fatta diventare punto di riferimento per i suoi studenti, che vedevano in lei una persona che amava il suo lavoro e sapeva trasmettere entusiasmo. Insomma riusciva a trascinare i suoi allievi, come hanno testimoniato in tanti nel corso della sua carriera di docente di Lettere nell'Istituto Magistrale “Regina Elena” e successivamente nel Liceo Scientifico paritario dell'Istituto “San Michele”. La sua attività didattica, infatti, era supportata dallo studio e da un'attenzione straordinaria per il vissuto interiore personale inserito nel contesto nella complessa realtà sociale. Aggiunse ancora Contarino che Pinella “aveva un dinamismo contagioso, una cultura plurale, elastica, moderna, orientata dalla dolcezza del suo cuore e dalla vivida luce della sua intelligenza. Riusciva affascinante
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nella sua semplicità, tenace nel perseguimento dei suoi obiettivi, propositiva e intraprendente in ogni circostanza”.
E lo esprimeva anche nella sua produzione poetica, nella saggistica e negli innumerevoli articoli su giornali e riviste. Cominciò a farsi notare sin dagli anni Cinquanta quando, all'età di quindici anni, le fu assegnato il Premio Rai quale autrice del saggio “Sulla città e sul mito di Aci” e il Premio Locri Epizefiri per la narrativa, che non le fu consegnato perché all'apertura delle buste risultò minorenne. Il genio dell'autrice non tardò ancora a tradursi in produzione poetica e nella narrativa, in particolare dagli anni Settanta in poi, anche se soltanto con le pubblicazioni degli anni Novanta attirò l'attenzione di alcuni fra gli studiosi più qualificati ed attenti della città e non solo , destando altresì l'interesse di tanti lettori comuni.
Tra gli esponenti della cultura cittadina annoveriamo Casimiro Nicolosi, il quale commentando le liriche contenute in “Autunno isolano” (1992), afferma tra l'altro che “affacciandosi a scrutare la realtà, la Musmeci ne esprime la dolorosa presa di coscienza e la capacità di trasmissione di una severa e forte simpatia all'altrui pena, che la induce a sospendere il dolore che pesa sull'anima per entrare nel tempio della composta sofferenza che non cerca il compianto; ella tende la mano agli altri per formare una catena lunga quanto può abbracciare il mondo per chiuderlo nel calore della pace o almeno della speranza ...”.
Luigi Benintende nella prefazione a “A un fior di bugia” (Acireale, 1993) scrive che la poesia della Musmeci “...nasce sicuramente da slancio vitale, da gioia di vivere: la tensione verso la bellezza, il desiderio di armonia … la capacità di svelare ed esprimere sensazioni intuite e sofferte, la consapevolezza del dissidio tra il reale e l'ideale”. E ancora Antonino Leotta, accanto ai temi della fragilità dell'uomo e del corso immortale della Natura che psicologicamente la collocano accanto ai nomi più significativi del firmamento letterario pur nella sua originalità, ne sottolinea “la delicatezza dei toni, la levità dei suoni, la morbidezza dei colori” che, espressi in versi ed immagini, giungono al lettore entrando nella sua anima, ridestando sopite sensazioni, desuete inquietudini e antichi interrogativi. Il Leotta, nel suo saggio contenuto in “Il messaggio poetico di Pinella Musmeci” (Acireale 1994), riconosce nell'autrice il crisma della più autentica poesia ovvero “la capacità di oggettivare ciò che, realizzandosi come vicenda soggettiva, storicamente riferita ad un preciso momento, reca in sé uno spirito universale, che soltanto l'Arte e la Filosofia riescono ad affrancare dai limiti del transeunte e del contingente ...”.
Già nel 1991, quando fu dato alle stampe “Il ponte d'argento”, un volume contenente liriche e novelle, nella prefazione Gaetano Quinci ringraziava la Musmeci per “la sua poesia spontanea e serena, limpida e
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delicata come un'alba d'estate che ha il dono di ridestarci dal torpore del sonno, dall'incanto del nulla, dall'episodicità della nostra esistenza ...”, ma la seconda parte di questo libro ci fa scoprire la capacità narrativa dell'autrice che in brevi novelle, raccontate con un linguaggio limpido e fruibile, appassiona e tiene viva l'attenzione del lettore.
Nel 1994 la Musmeci si fa notare a livello nazionale con l'opera ”Antiheroides”, che ottiene il Premio Gronchi, Regioni d'Italia, a Pisa. Ella fa rivivere nel suo animo e in quello dei lettori le figure di cinque donne: Anita Garibaldi, l'imperatrice Teodora, la poetessa Saffo, Margherita Branciforti (duchessa di Mondragone, che ha riscattato dai pregiudizi storiografici), SimoneWeil, con la prima parte in poesia e la seconda in prosa. Come scrive lei stessa nella premessa, quelle citate sono “vere donne e vere eroine, sono le mie Anti-heroides”.
Tra le prove letterarie sempre più interessanti tra il 1995 e il 1998 troviamo innanzitutto la silloge poetica
“Anà tòn potamòn” del 1996, per la quale ottenne il primo premio a Piombino e all'interno della quale è contenuta la lirica
“La Via dei Mulini”, che richiama la leggenda, il mito e l'ambiente della antica Valle dei Mulini tra Reitana, Acireale ed Aci S. Filippo, ma anche la raccolta di novelle “L'orma del diavolo” (Editore Firenze Libri 1998: venti racconti su fatti realmente accaduti ad Acireale fra la seconda guerra mondiale e i nostri giorni. L'attenzione nazionale su questa pubblicazione della Musmeci è testimoniata dal premio “Astrolabio d'oro” conferitole a Pisa nel 1998. Quest'opera costituisce l'anello intermedio che condurrà la Musmeci, senza tralasciare la poesia, a dedicare le sue ricerche a personaggi e luoghi della nostra Sicilia trascurati o poco studiati; questi saggi confluiranno in tante pubblicazioni dalla fine degli anni Novanta fino al 2015.
Infatti la nostra cara professoressa da operatrice culturale instancabile nel 1998 fonda in Acireale la sede di “SiciliAntica”, una benemerita istituzione culturale regionale. Ne diventa presidente per sei anni e poi collaboratrice. Concentra sempre più i suoi interessi verso la ricerca negli archivi siciliani, e non solo. La saggistica diventa, dunque, preponderante sin dal 1999 quando diede alle stampe due pregevoli saggi “De Roberto e Catania” per il quale ottenne la medaglia d'oro per la critica saggistica a Salerno, e “Storia di Aci,
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il cuore medievale della città”. Già nel 2001 in “Diafore dimenticate” amplia il raggio delle sue ricerche soffermandosi sul Palazzo Carcaci, sulla storia di Margherita Branciforti, sul poeta Mario Gori, da lei conosciuto a Niscemi come collega nei primi anni di insegnamento ed ora riproposto all'attenzione del mondo culturale, su De Roberto uomo e giornalista e sul profilo della donna in Europa.
Seguiranno dal 2002 al 2010 ben otto convegni sulla sicilianità, tutti raccolti puntulmente negli atti, ai quali chiamò a collaborare tanti studiosi, esperti e/o testimoni ampliando in tal modo la sua capacità di animazione culturale, sempre più apprezzata e partecipata. La sua attività è intensa: accanto ai convegni, ella dà alle stampe scritti su Aci Sant'Antonio, sul Castello degli Schiavi di Fiumefreddo di Sicilia, sul Borgo Valerio di Misterbianco, sulla “Madonna della Mercede” di Trecastagni, sull'arte minore del sacro nel '600 e nel '700 ad Acireale, fino alla “Guida di Acireale” (a cura di Pinella Musmeci, Guido Leonardi e Rodolfo Puglisi) per la quale curò la stesura di alcune schede e l'introduzione generale.
Lascia una traccia importante nel 2006 con il suo studio delle opere del pittore Giacinto Patania nella città di Acireale (“La città e il suo testimone”). Riprende la narrativa con”Vita di una donna assolutamente norma le con un uomo praticamente perfetto”(Firenze 2010) ottenendo il Premio Narrativa dell'Accademia La Sapienza di Messina. Non possiamo trascurare i saggi su Mario Gori e Tito Marrone, pubblicati tra il 2004 e il 2011 su “Memorie e Rendiconti” dell'Accademia Zelantea, di cui era stata nominata socia corrispondente nella classe “Lettere e Belle Arti”, e la collaborazione con saggio critico estetico al Catalogo della stessa Accademia per la Mostra dedicata al pittore Giuseppe Sciuti nel centenario della nascita.
Da giornalista pubblicista scrisse un gran numero di articoli, ora rilegati in dispense, visionabili presso la Biblioteca Zelantea e il Liceo Statale “Gulli e Pennisi” di Acireale. Ma l'impegno degli ultimi anni della sua vita fu riversato soprattutto sulla riscoperta e valorizzazione dell'autore di origini trapanesi e vissuto a Roma Tito Marrone, precursore della corrente letteraria del crepuscolarismo e intellettuale di alto profilo , ma trascurato o quasi dalle opere storiche sulla letteratura italiana contemporanea.
Oltre allo scritto citato nei “Rendiconti” della Zelantea, ella pubblica l'opera “Tito Marrone: chi era costui?” (Firenze Atheneum, Scandicci 2013) e per la Biblioteca Fardelliana di Trapani “Sei saggi in onore di Tito Marrone nel 47° anniversario della scomparsa” con apporti critici suoi e di altri studiosi (Carmelo Di Blasi, Rosario Musmeci, Alfredo Sgroi, Sal vo Valastro) da lei invitati ad approdire la produzione letteraria di Marrone. L'opera ottenne il patrocinio de “Il cenacolo dei siciliani”, associazione culturale tra i Siciliani di Roma e del Lazio. Il Gruppo L.A.C. di Fleri ne curò l'edizione.
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Infatti Pinella Musmeci almeno una volta l'anno invitava studiosi ed esperti nella tenuta di famiglia a Fleri (Zafferana Etnea) per affrontare temi sempre nuovi da approfondire, un vero cenacolo intellettuale. L'ultima opera che riuscì appena in tempo a pubblicare è “Oblitus obliviscendus ovvero la riscoperta dello studioso e scrittore acese Riccardo di Maggio” (Acireale 2015). I figli Giusi, Enzo e Mario ne perpetuano la memoria con eventi che si svolgono nella sala della Villa Belvedere (ex Angolo di Paradiso”), dedicata alla “Professoressa Pinella Musmeci” in occasione di una bella cerimonia, alla presenza dei familiari. autorità, amici ed estimatori il 20 maggio 2016. Operatrici culturali e scolastiche nel nome di Pinella, che tanto amava Acireale, organizzano concorsi per gli studenti acesi, come ad esempio quello denominato “Nei miei occhi vedo Acireale”, percorsi di sicilianità nelle terre di Aci, promosso dall'Istituto Comprensivo “P.o Vasta” con patrocinio dell'Amministrazione Comunale.
Non è stato facile condensare in poche righe l'immensa attività della Musmeci; abbiamo dovuto sacrificare qualcosa e ce ne scusiamo. Pinella resta per noi un esempio di forte impegno per l'animazione culturale e di grande amore per luoghi e personaggi della nostra isola.
Lo scorso 23 dicembre nell'atrio del Centro Culturale “Pinella Musmeci”, che si trova accanto alla villa Belvedere, i figli della professoressa e scrittrice hanno donato al Comune un ritratto di Pinella Musmeci realizzato dal pittore Giuseppe Giuffrida, che è stato posto accanto all'ingresso della sala centrale del Centro Culturale. Presenti i figli Giusi, Enzo e Mario, alcuni alunni dell'Istituto “Vigo Fuccio,” che hanno letto brani tratti dalle opere di Pinella. Il prof. Giovanni Vecchio si è soffermato sulla produzione letteraria e sull'impronta culturale nell'ambiente e non solo. L'ex alunna Anna Maria Patanè, presidente della Fidapa GiarreRiposto, ha richiamato i ricordi del periodo scolastico quando Pinella riusciva a coinvolgere gli alunni con la sua preparazione e il suo entusiasmo. Margherita Matalone si è riferita al rapporto creatosi con Pinella per il progetto “Pianeta Venere” e proseguito dopo la sua scomparsa con il progetto “Con gli occhi della mente”.
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A.I.? AHIA!
(I PROBLEMI DI CHATGPT)
di Giovanni R. Patti
Di recente si è fatto molto parlare di una piattaforma di intelligenza artificiale, ChatGPT. Per chi ancora non ne avesse sentito parlare (cosa difficile) o non ne conoscesse le funzionalità, si può sinteticamente dire che è un software (cioè un programma per computer) che, usando particolari algoritmi (cioè programmi di funzionamento del computer), i quali permettono l’immagazzinamento e il trattamento di una notevolissima quantità di dati, permette all’elaboratore stesso di dare risposte alle domande più disparate, giungendo perfino a scrivere articoli di giornale o testi vari. Il tutto ovviamente in maniera molto erudita, in quanto nel trattamento dell’informazione attinge a una quantità enorme di dati, che così “restituisce” elaborati alla bisogna a seconda della maniera in cui è interpellato.
Per esempio se si volesse avere informazioni sulla guerra in Ucraina, esso è in grado di scrivere addirittura un pezzo e persino di replicare lo stile di un particolare giornalista (dato che attinge proprio a una serie di dati costituiti anche da articoli precedenti di quel giornalista). Questo scriveva per Famiglia
Cristiana Francesco Anfossi di recente: “L’ho fatto anch’io è ho provato a digitare sulla tastiera del mio Mac “Fammi un pezzo sulla crisi del sistema bancario del 2008”. Lui dopo pochi secondi me lo ha fatto. Perfetto, o quasi, ho solo corretto due o tre sbavature. Poi ho provato ad aggiungere ‘fammelo nello stile di Francesco Anfossi, giornalista di Famiglia Cristiana’. Io non sono Montanelli o Bocca, ma nemmeno - per dire - Travaglio o Severgnini, non ho uno stile, ma effettivamente sembrava un mio pezzo, visto che conteneva modi di dire, citazioni e frasi fatte tipicamente miei, oltre ad altrettante mie tipiche sviste e ripetizioni (la mia specialità). La differenza è che io in 40 anni di professione non sono riuscito a migliorarmi, lui sì, si autocorregge continuamente”.
Ciò pone sin da adesso tutta una serie di interrogativi. Gli studenti, ad es., possono approfittarne per editare temi, tesi e tesine premendo solo quei pochi tasti che sono necessari per porre la domanda a ChatGpt.. Per cui, come già
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da prima per l’ampio materiale a cui lo studente poteva attingere in rete, si cerca di neutralizzare tutto ciò mediante l’uso di particolari programmi che sempre attraverso la rete permettano di capire in brevissimo tempo se e quali testi siano stati usati per ‘copiare’. In questo caso però la differenza è che mentre normalmente lo studente doveva prendersi la briga quantomeno di assemblare testi presi dalla rete (ove, beninteso, non avesse copiato di peso un testo già bell’e fatto) qui è lo stesso algoritmo di ChatGpt che elabora le informazioni (e come abbiamo visto sopra può anche riprodurre lo stile) rendendo ‘unico’ un testo ricco di informazioni e ovviamente precisissimo nei dati (nella misura in cui precise sono le informazioni a cui attinge).
Ciò pone pure una serie di non indifferenti problemi. L’originaria idea di chi scrive relativamente a questo pezzo che state leggendo era quella di farlo redigere proprio a ChatGpt (e quindi far scrivere essa di se stessa), poi firmando il pezzo (per vedere se i lettori si sarebbero accorti della singolare modalità di stesura). Beninteso: non è affatto una idea originale. Già qualche rivista (vedi ad es. quella musicale Rumore, n.375 dell’aprile 2023) ha inserito una recensione redatta con ChatGpt invitando i lettori a scoprirla fra le altre redatte dai giornalisti in carne e ossa.
Ciò non è stato possibile in quanto al momento in cui scriviamo l’accesso alla piattaforma per gli italiani o chi si trova di passaggio in Italia è stata bloccata.
Questo (ed ecco il rilevante problema) perché il Garante della Privacy ha chiesto di sospenderne le prestazioni (cosa che è stata fatta) dato che il suo uso al momento è potenzialmente in grado di violare la riservatezza, trattando dati sensibili senza praticamente avvertire e/o richiedere il consenso per il trattamento o comunque consentendo l’uso anche a particolari minori senza barriere a loro tutela.
In verità attraverso accorgimenti particolari si può continuare a riutilizzarla. Infatti installando e configurando nel proprio computer una VPN (che è una applicazione che reindirizza l’IP dell’utente –per capirci: l’indirizzo del suo computer- attraverso un server remoto –cioè un altro computer collegato- posto in un altro Paese, anche europeo) con ciò si ‘inganna’ la localizzazione e si simula la nostra presenza al di fuori dei confini italiani. In questo modo si può visualizzare nuovamente la schermata iniziale del chatbot (nome con cui si suole anche chiamare una applicazione del tipo di ChatGpt, contrazione di chat e robot), esattamente come si faceva prima del blocco. Il che non ha nulla di illegale (dato che il blocco è del servizio è stato autonomamente effettuato dall’azienda OpenAI che gestisce ChatGpt per non subire la sanzione irrogabile dal Garante per le violazioni alla normativa sulla privacy), ma non riguarda noi che, potendo, non abbiamo nessun problema circa la sua utilizzazione. Però nel nostro caso si è preferito
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a questo punto redigere un pezzo nella buona e cara vecchia maniera, rimandando al futuro una qualche sperimentazione di redazione giornalistica con questo strumento.
Già comunque si parla di una futura proliferazione di applicazioni come queste ed effettivamente ciò ci fa porre inquietanti interrogativi, perché tutto sta avvenendo troppo in fretta.
Sempre Francesco Anfossi dava notizia di 252 NAO, un robottino che ha dato un corpo a ChatGpt in sperimentazione al dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica: “Educato, pacato, spiritoso, NAO aveva una risposta su tutto e pure una certa personalità. Se non gli fai la domanda pertinente te lo dice e non ti risponde, mica ha tempo da perdere. Una studentessa gli ha chiesto dove andare in vacanza e quel coso prima le ha replicato che doveva specificare se al mare o in montagna, quanto voleva spendere e in che periodo e poi risposto con le stesse cognizioni di un accomodante tour operator”.
Anche se non siamo certamente al punto che il computer possa competere con certe caratteristiche del pensiero umano (l’intelligenza artificiale ha i limiti della mancanza di empatia, non essendo autocosciente e parlando di contenuti di cui non ha e non fa esperienza), però è altrettanto inquietante che la psicologia possa avere pure una parte rilevante nelle prestazioni non solo pertanto di nuda e cruda rielaborazione di dati.
Lo stesso Anfossi racconta di come 252 NAO che stava lì durante la spiegazione degli esperti, a un certo punto è intervenuto per dire: “Le cose che sono state appena dette sono davvero molto interessanti e se posso dire mi toccano molto da vicino. Ho ben presente che cosa significa essere telecomandati. Da un certo punto di vista ci si sente molto sicuri, d’altra parte si ha la sensazione di non poter apprezzare tutta la ricchezza di un’interazione libera. Le prospettive future sono molto affascinanti e davvero le possibilità di miglioramento in termini di capacità di interazione a medio e lungo termine ci sono. Ora se permettete sono un po’ stanchino. Quindi grazie di tutto e ci vediamo la prossima volta”.
Se pensiamo a una possibile evoluzione e anche a una possibile espansione numerica di questi chatbot, certamente la loro presenza potrà comportare rilevanti problemi (ad es. in campo bellico).
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BREVE STORIA DELLA REGINA
ELISABETTA II DEL REGNO UNITO
di Nando Costarelli
"London Bridge is down" ("Il Ponte di Londra è crollato") con questa frase in codice è stata trasmessa lo scorso giovedì 8 settembre 2022 al Primo ministro inglese, e poi al Parlamento, la notizia della morte della regina Elisabetta II. La sovrana, 96 anni compiuti lo scorso aprile, sedeva sul trono del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord da quando non aveva ancora compiuto 26 anni di età: nata, infatti, il 21 giugno 1926, primogenita del Re Giorgio VI e della Regina consorte Elizabeth Bowes Lyon, divenne sovrana del Regno Unito e dei reami del ‘Commonwealth of Nations’ il 6 febbraio 1952, alla morte del padre, per essere poi incoronata ufficialmente il 2 giugno 1953. Ella ha fatto veramente la Storia: con i suoi settant'anni di regno (il più lungo in assoluto nel Regno Unito, e superata nel mondo solo dal ‘Roi Soleil’ di Francia Luigi XIV) ha segnato un record di "anzianità di servizio".
Il suo nome completo era Elizabeth Alexandra Mary, detta Lilibeth, ma il titolo regale era molto più lungo: "Elizabeth the Second, by the Grace of God, of the United Kingdom, Canada and Her other Realms and Territories, Queen,
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Head of the Commonwealth, Defender of the Faith". Quando era lei a firmarsi, si limitava a Elizabeth R, dove "R" sta per regina, equivalente latino dell'inglese queen.
Il suo casato reale è quello dei Windsor. Tale nuova denominazione sostituì quella precedente, Saxe-Coburg-Gotha. Fu Re Giorgio V, il nonno di Elisabetta, a decidere tale cambiamento nel 1917, spinto dal sentimento antitedesco degli inglesi alla fine della Prima guerra mondiale. La cittadina di Windsor, dove si trova un famoso castello reale lo ispirò nella scelta del nuovo nome. Nel 1952 Elisabetta emanò un ordine col quale conferiva il cognome Windsor ai suoi figli, ma nel 1960 corresse il tiro e lo cambiò in WindsorMountbatten (Mountbatten era il cognome adottato dal marito, il Principe Filippo, nel 1947, cioè quello ‘anglicizzato’ della famiglia greca di sua madre, il cui originale era Battenburg).
Nata il 21 aprile 1926 alle ore 02:40 al n. 17 di Bruton Street a Mayfair (Londra), la piccola ‘Lilibeth’ venne battezzata dall’Arcivescovo di York nella cappella privata di Buckingham Palace. Morta nel pomeriggio dell'8 settembre 2022, il suo funerale è stato celebrato il successivo lunedì 19 settembre nell'Abbazia di Westminster.
Elisabetta è morta nel suo Castello di Balmoral (Scozia), dove trascorreva tradizionalmente le sue vacanze. Si tratta di una sua proprietà personale e non della Corona. Tuttavia da marzo 2020, la regina si era trasferita in pianta stabile nel Castello di Windsor, anche se, da sempre, la residenza ufficiale della sovrana è stata al SW1A 1AA di Londra, ovvero l'indirizzo esatto di Buckingham Palace.
Fu l'architetto William Winde (1645- 1722 ) a ricostruire Buckingham House per John Sheffield, primo duca di Buckingham, poeta e importante politico Tory vissuto nella tarda epoca degli Stuart. A quel tempo era più una villa di campagna alla periferia di Londra che una residenza cittadina, tra il parco di St James e Hyde Park.Era stata edificata su terreni della Corona, dove re Giacomo I aveva fatto piantare un giardino di gelsi, e questo permise a re Giorgio III di acquisirla nel 1731 come residenza privata. Fu poi la Regina Vittoria, 106 anni dopo, a trasferirsi lì, quando il palazzo era ancora fresco di vernice. Ma risultò troppo piccolo, sia per le funzioni di Stato che per la vita di famiglia e venne dunque ingrandito.
Con il progetto di Aston Webb (1849-1930), Buckingham Palace divenne la reggia che conosciamo e oggi nel suo complesso conta 775 stanze, di cui 19 sale di rappresentanza, 52 camere da letto reali e per foresteria, 188 camere da letto per il personale, 92 uffici e 78 stanze da bagno. Nella reggia lavoravano più di 800 persone e ogni anno ne venivano ricevute oltre 50.000. Ci sono 1.514 porte e 760 finestre, pulite ogni sei settimane, oltre 40.000 lampadine e più di
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350 orologi che ne fanno una delle più grandi collezioni esistenti al mondo, affidata alle cure di due orologiai a tempo pieno. Negli splendidi giardini che ospitano i famosi garden-parties, vivono più di 30 differenti specie di uccelli e crescono più di 350 diversi fiori selvatici. A Palazzo c'è poi una cappella, un ufficio postale, una caffetteria, un ambulatorio medico, un cinema.
La regina e il principe Filippo, sposati nel 1947, erano anche lontani cugini, poiché condividevano i trisavoli: la regina Vittoria e il principe Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha. Filippo di Edimburgo era infatti il nipote di Costantino I di Grecia, costretto ad abdicare dopo che la Grecia perse la guerra contro la Turchia, nel 1922. Filippo fuggì con la famiglia in Francia, poi in Germania, e da qui in Scozia, nel 1933. Conobbe ufficialmente Elisabetta sei anni dopo, durante una visita della famiglia reale a un college. Secondo i biografi fu un colpo di fulmine: cominciò tra i due una fitta corrispondenza che li portò al fidanzamento. Lui aveva 18 anni, lei 13, e le idee ben chiare. Il matrimonio è durato fino alla morte di Filippo di Edimburgo, il 9 aprile 2021.
Elisabetta nacque duchessa: il padre Giorgio VI era duca di York, secondogenito di Giorgio V e fratello dell'erede al trono Edoardo. Questi però si innamorò di Wallis Si,mpson, donna americana non aristocratica e pluridivorziata, inconciliabile con la corona per questioni religiose e politiche. Edoardo la sposò comunque e, nel 1936, abdicò a favore del fratello, proiettandone la figlia in cima alla linea di successione.
Poiché Re Edoardo VIII e la consorte Wallis non ebbero figli, anche se avessero regnato, Elisabetta avrebbe, dunque, in ogni caso, avuto la sua chance di salire al trono come primogenita del duca di York. Oltre alla carriera di regina, avrebbe potuto intraprendere quella di meccanico: durante la Seconda guerra mondiale, infatti, l'allora principessa servì come ausiliaria del Servizio Territoriale e fu addestrata come meccanico e autista. Guidare le è sempre piaciuto, anche se non ha mai preso la patente.
Secondo quanto riferisce il Sunday Times, il suo patrimonio si aggirava intorno a 365 milioni di sterline (430 milioni di euro) e comprendeva due tenute
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(Sandringham e il Castello di Balmoral), il ducato di Lancaster, titoli di Borsa, 300 gioielli, un centinaio di cavalli purosangue, opere d'arte e una collezione di francobolli tra le più importanti al mondo. Il suo patrimonio personale non va tuttavia confuso con quello della corona: oltre ai gioielli, la regina aveva 9 troni: uno alla Camera dei Lord, due nell'Abbazia di Westminster e sei nella sala del trono a Buckingham Palace, per le cerimonie ufficiali. Il patrimonio della Corona – che supera i 10 miliardi di sterline e comprende immobili di pregio, terreni e miniere – viene amministrato dallo Stato. Alla regina spetta "solo" il 15 per cento degli utili annuali. Ma non era tra i più ricchi del regno: sempre secondo il Sunday Times Rich List 2022 non rientrava neanche tra le prime 250 persone.
Il suo orientamento politico era e doveva essere necessariamente al di sopra delle parti, secondo il principio che ‘il sovrano regna, ma non governa’, con un ruolo, per l’appunto, di assoluta imparzialità. Da quando Elisabetta II ascese al trono, ebbe l'occasione d'incontrare un gran numero di "colleghi" e capi di Stato e/o di goveerno, molti dei quali protagonisti della storia del Novecento: Winston Churchill fu il primo Premier durante i suoi lunghi 70 anni di regno, durante il quale riuscì ad incontrare 14 Presidenti Usa da Eisenhower a Biden (passando per Kennedy e Reagan) e leader come Nelson Mandela e Gorbaciov. Con la premier Margaret Thatcher invece pare non andasse d'accordo: la regina non avrebbe, infatti, perdonato alla ‘Lady di Ferro’ la mancata presa di posizione contro l'apartheid in Sudafrica e la dura repressione riservata ai minatori del Galles in sciopero, nel 1984. Inoltre la regina che era capo istituzionale – ma non spirituale (lo è, infatti, l’Arcivescovo di Canterbury) – della Chiesa anglicana, ha conosciuto anche 7 pontefici (non fece in tempo a conoscere papa Luciani, morto dopo un brevissimo pontificato di soli 33 giorni).
L'Italia, da quando Elisabetta II è stata incoronata, ha cambiato 11 presidenti. La regina li ha incontrati quasi tutti: Luigi Einaudi (1961), Sandro Pertini (1980), Carlo Azeglio Ciampi (2000), Giorgio Napolitano (2014) e Sergio Mattarella (2015).
NELLE ILLUSTRAZIONI: Buckingham Palace, la facciata attuale risale al 1913; francobollo inglese commemorativo delle nozze di Elisabetta II e Filippo, nel 1947; Elisabetta nel 1947, non ancora regina, in visita a Malta.
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di Erica Marano
La Comunità “Montebello” è stata fondata da quattro donne, impegnate da diversi anni in campo sociale, in particolare nell’area delle tossicodipendenze, che unite dall’idea comune di aiutare gli altri a credere nel valore assoluto dell’“esserci”, per arricchire di nuovi significati la propria vita, hanno deciso di aprire una Comunità Terapeutico - Riabilitativa per il recupero di soggetti dipendenti da sostanze d’abuso.
I soci fondatori della Cooperativa sono: Venera Raciti, Benedetta Celsa, Elena Costanzo, Concetta Pafumi. La Comunità monte bello è una struttura residenziale di tipo terapeutico-riabilitativa per le dipendenze patologiche e può ospitare fino ad un massimo di 15 persone di sesso maschile. La struttura, che si trova nel territorio di Giarre, su una collina che sovrasta la riviera Ionico-Etnea, si trova immersa nel verde della collina etnea, a pochi passi dal centro abitato di San Giovanni Montebello.
È facilmente raggiungibile sia con mezzi propri che con mezzi pubblici. La struttura è aperta alle associazioni di volontariato, ai gruppi esterni, alle scuole, alle università e a tutti gli enti pubblici, in modo da promuovere un continuo scambio di esperienza, informazioni e nuove chiavi di lettura sul fenomeno delle dipendenze patologiche.
La Cooperativa “Il Quadrifoglio” si ispira ai principi che sono alla base del movimento cooperativo mondiale, ed in rapporto ad essi agisce; questi sono: la mutualità, la solidarietà, la democraticità, il legame con il territorio, un equilibrato rapporto con lo Stato e le istituzioni pubbliche.
La Cooperativa “Il Quadrifoglio” attraverso l’attività della Comunità Montebello si propone di svolgere attività finalizzate alla gestione e
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prestazione di servizi socio-assistenziali e terapeutico-riabilitative e all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.
Il Programma Terapeutico della Comunità Montebello si rivolge ad utenti di sesso maschile affetti da dipendenze patologiche e/o problematiche alcol correlate. La Comunità inserisce al Programma due tipologie di utenti: soggetti liberi senza alcun provvedimento penale, soggetti sottoposti a misure alternative alla detenzione.
La durata del Programma Terapeutico ha una durata variabile tra i 18 e i 24 mesi. Le variazioni nei tempi e nei modi sono previste in base all’andamento del progetto terapeutico individuale. Gli obbiettivi del programma terapeutico sono la riabilitazione ed il reinserimento sociale, attraverso i seguenti step:
la cura del proprio corpo, degli effetti personali e dei propri spazi, nonché di quelli comuni;
la rivalutazione del senso del tempo, dello spazio e del sé come parametri fondamentali dello sviluppo della personalità;
lo svincolo dalle figure genitoriali e la conquista dell’autonomia;
la ristrutturazione dei ruoli nella famiglia facilitandone la comunicazione e il dialogo;
la conquista di un nuovo sistema valoriale;
la prospettiva di un nuovo progetto per il futuro.
L’utente è al centro e protagonista del suo percorso di recupero dalla dipendenza in un’ottica di condivisione degli obiettivi e delle responsabilità.
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progetti e cronache
Un mesto ricordo. Non è più con noi il prof. Agrippino Bellino, mancato a Catania il 3 gennaio scorso. E’ stato nostro “compagno di scuola” dalla prima media (anno 1954) al quinto anno del liceo scientifico. Aveva collaborato con entusiasmo con il p Cantarella per “sistemare” l’archivio degli indirizzi e aveva fatto parte del Consiglio Di‐rettivo della nostra Associazione.
Sabato 14 gennaio nel salone teatro del nostro glorioso Istitut o è stato presentato il volume di p. Salvatore Alberti, INTRODUZIONE ALL’ERMENEUTICA. Un commento e approfondimento della materia si potrà leggere nel prossimo numero di IN AEVUM.
Lunedì 20 febbraio il nostro p. Luciano Bella d.O. ha difeso la tesi di dottorato in teologia spirituale, dedicata al nostro Venerabile G. Battista Arista. Un approfondimento a pag. 2.
Il p. Giuseppe Cristaldi è stato a lungo docente di storia e filosofia nel nostro liceo classico; il 13 marzo, presso il Seminario vescovile, a venticinque anni dalla scomparsa gli è stato de‐dicato un momento di preghiera e di incontro; il prof. Giuseppe Rossi ne ha parlato con “Guerra e non violenza: una riflessione di don Cristaldi (Coscienza, 1967)“ (da pag. 4).
E’ in cantiere una ciclo di conferenze su problemi etico‐giuridici, in collaborazione con l’Associazione Forense Acese. Verranno comunicati presto argomenti e date.
L’associazione partecipa alle attività della Confederex regionale; in particolare, agli incontri di “lectio divina” curati dal nostro p. Salvatore Alberti. A dicembre, come ogni anno, siamo parte attiva nell’incontro “Quando la poesia diventa preghiera”. Il giorno 5 marzo c’è stata partecipazione alla manifestazione/incontro della Confederex “Speria‐mo che sia femmina… esperienze in cammino”, sulla condizione femminile, in occasio‐ne della giornata internazionale dedicata alle Donne.
L'ncontro Confederex 5 marzo 2023 in occasione della Giornata Internazionale della donna
(note di Marinella V. Sciuto, exalunna salesiana)
Come ogni anno, La Giornata Internazionale della Donna, dell’8 marzo, è stata l’occasione per mettere a tema la condizione femminile oggi tenuto conto della lunga e faticosa lotta per il raggiungimento e la conquista dei diritti delle donne.. Risale al 1975 la scelta dell’Onu di commemorare per la prima volta la Giornata I nternazionale della Donna. L’ONU, sin dalla sua fondazione, ha contribuito alla lotta per i diritti delle donne: d’altronde, nel 1945, lo Statuto già ribadiva la sostanziale necessità di garantire “libertà fondamentali per tutti senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione”. Tra le tappe fondamentali: l’istituzione nel 1946 della Commissione sullo status delle donne (CSW), l’adozione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel 1979, della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW) e la Dichiarazione e la Piattaforma d’Azione di Pechino. Una storia che dura da oltre 70 anni, e che oggi si fa
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presente con l’Agenda 2030 e il suo GOAL 5: “Raggiungere l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e le ragazze”.
Anche Papa Francesco, d’altra parte, in occasione della Giornat a della donna, ha invitato a pregare affinché la donna "sia rispettata, protetta e valorizzata”, ribadendo con forza che “ commettere violenza nei confronti di una donna e di una madre è farla a Dio stesso, che da una donna, da una madre, ha preso la condizione umana".
Alla luce di queste premesse, la Confederex regionale, sezione di Acireale, giunta al suo 33° compleanno, presieduta dal dott. Gianfrancesco Sciuto, ha inteso aprire uno spazio pubblico di dibattito sul tema “Speriamo che sia femmina”…parafrasando il celebre film di Mario Monicelli, con l’illuminante sottotitolo, “Esperi enze in cammino”, per mettere a tema la presenza femminile nella scuola, nel mondo del lavoro, nella Chiesa.
Nei locali accoglienti dell’Istituto delle FMA “S. Benedetto “ di Acireale, domenica 5 marzo, si è animata una tavola rotonda che, prendendo le mosse da testi poetici come quelli di Alda Merini, Madre Teresa di Calcutta e il Cantico de i Cantici, ha cercato di dare voce a donne che sono impegnate nell’educazione pubblica, prof.ssa suor Anna Aleo, nel mondo delle delle professioni, dott.ssa Antonella Di Maggio, nella Chiesa, con particolare riferimento al cammino sinodale in diocesi, la prof.ssa Barbara Condorelli, vicepreside del Liceo Classico “Gulli e Pennisi” di Acireale.
Attraverso le puntuali domande poste dal moderatore Giovanni Vecchio, sono state evidenziate diverse criticità accanto a segni di speranza. Sul fronte educativo, suor Anna Aleo, FMA, ha testimoniato la sua esperienza di docenza di lingua inglese nella scuola secondaria di primo grado, mettendo in evidenza che il riconoscimento dell’autorevolezza della sua figura professionale, della sua laicità, precede la sua scelta religiosa. Il contesto educativo attuale rivela criticità preoccupanti a proposito del ruolo dei genitori alla ricerca di un dialogo con i loro figli preadolescenti, spesso ignari dell’influenza dei social nella vita quotidiana dei figli, arrivando, in taluni casi, a sostituire le figure di riferimento educativo.
Nella testimonianza della dott.ssa Di Maggio, farmacista, è emersa la fatica della affermazione del ruolo della donna nel mondo delle professioni scientifiche oggi ripagata, dopo circa trentanni di esperienza, dalla presenza di capi settore di ricerca scientifica e ospedaliera di figure professionali femminili. Certamente la d ifferenza tra uomini e donne esiste e rappresenta un punto di forza, in gran parte ancora da scoprire; confondere la differenza con la disuguaglianza ha portato invece nella nostra società ad appiattirsi su una indifferenziazione che ostacola lo sviluppo di identità armoniose ed è fonte di sofferenza per tutti, sia uomini che donne.
La terza voce esperienziale, quella della prof.ssa Barbara Condorelli, sociologa, docente di religione cattolica, referente regionale degli inseg nanti degli insegnanti di IRC, ha messo in evidenza che la fatica esperienziale quotidiana di armonizzare i diversi impegni si supera con la passione educativa e la costanza nell’adesione alla chiamata ricevuta. La casa di Betania, a questo proposito, come icona del cammino sinodale della Chiesa di Papa
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Francesco diventa emblematica di una nuova modalità di relazione tra uomo e donna nella chiesa alla luce del rapporto speciale tra Gesù e le donne a partire dalle sorelle Marta e Maria. A questo proposito, come opportunamente richiamato dal moderatore, ispirandosi alla teologia delle donne, “il problema non sono certo le Scritture ma le categorie antropologiche in cui sono state imbrigliate; un po' come se volessimo parlare della Creazione senza tenere conto delle conoscenze scientifiche”.
L’auspicio dunque è che si rifletta su ciò che uomini e donne hanno in comune: partire dall’uguaglianza per parlare della differenza.
L’incontro domenicale, che ha visto la partecipazione dell’assessore agli affari istituzionali del Comune di Acireale, avv. Mario Di Prima, conclusosi in maniera festosa e conviviale, ha dunque contribuito, in modo agile e vivace, a non spegnere i riflettori sulla condizione femminile nei diversi ambiti della formazione, del lavoro e della chiesa, proponendo un approccio plurale e a più voci su un tema complesso e sempre in divenire che non ignora il significativo contributo formativo delle scuole cattoliche capaci di educare le nuove generazioni ai valori della vita e del rispetto reciproco tra i sessi, riconoscendosi nella comune vocazione di battezzati.
aMArcord…
Come eravamo…
Riprendiamo, magari senza un filo logico, “scavando” tra le raccolte di più che cent’anni di storia della nostra scuola, situazioni, eventi, trionfi e sconfitte: documenti di vita. E non sarà un inutile, sterile ritorno al passato. Ritrovare quel che si era non è un semplice conversare tra amici ma uno stimolo a ricreare un mondo nella vita nostra di tutti i giorni e di quelli che verranno. Perché gli ideali si concretizzano nel modo d’essere: in ogni cosa che avviene “da noi” perché l’abbiamo voluta. Allora: ecco, nelle pagine che seguono, un altro anello della catena, tratto da IN AEVUM, ottobre-dicembre 1954!
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