In Aevum 42

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crescere… come?

Prima di vivere altre avventure ho insegnato a lungo lettere latine e greche nei licei di Stato. Consentitemi allora di muovere dal mondo classico, da uno scritto di Epicuro, il filosofo greco vissuto fra il 342 e il 270 a.C. La “lettera a Meneceo”.

“L'uomo cominci da giovane a far filosofia e da vecchio non sia mai stanco di filosofare. per la buona salute dell'animo, infatti, nessun uomo è mai troppo giovane o troppo vecchio. Chi dice che il giovane non ha ancora l'età per far filosofia, e che il vecchio l'ha ormai passata, è come se dicesse che non è ancora giunta, o è già passata, l’'età per essere felici. Quindi sia l'uomo giovane che il vecchio devono far filosofia: il vecchio perché invecchiando rimanga giovane per i bei ricordi del passato; il giovane perché, pur restando giovane d'età, sia maturo per affrontare con coraggio l'avvenire. E' bene riflettere sulle cose che possono farci felici: infatti, se siamo felici abbiamo tutto ciò che occorre; se non lo siamo, facciamo di tutto per esserlo.”

Bisogna fare attenzione all’ equivoco che si potrebbe generare mentre leggiamo queste parole. Far filosofia non è stare sui libri o stare solo assorti in meditazione. Il sofòs, non è il “sapiente” astratto; è il poeta che scrive i suoi versi, ma è anche l’artigiano che scolpisce una statua. Nel pensiero di Epicuro vi è un grande insegnamento: l’uomo non deve mai dimenticare di realizzare se stesso, se vuole essere felice. Anche nell’ultimo giorno della propria vita. Questo pensiero ci deve guidare mentre viviamo la nostra esperienza nel mondo degli anziani, molto spesso “parcheggiati” in una casa di riposo come in attesa del momento in cui toglieranno il disturbo.

Se non si finisce di realizzarsi, apprendere, crescere, appare estremamente valido il concetto di “educazione permanente”. Se ci riferiamo al mondo classico Educare è un verbo latino che significa nutrire mentre l’altra derivazione, da educere, e-ducere, “trarre fuori” sottolinea la realizzazione dell’essere dalle sue qualità nascoste. Per Plutarco educare è “suscitare una fiamma” (e finché l’uomo è vivo ha materiale da far ardere). Richter, pedagogista dell’Ottocento, sostiene che “l’uomo è una parola di Dio che non si ripete mai”, realtà unica e irrepetibile, dono alla comunità che non può essere tradito o nascosto. Tutto ciò è detto in funzione, appunto, dell’educazione permanente: il continuo realizzare del sé.

Leopardi, nell’Operetta morale Dialogo di un fisico e di un metafisico, immagina un fisico che ha scoperto la maniera di prolungare la vita e lo comunica all’amico metafisico. Quest’ultimo gli risponde di non divulgare subito la scoperta ma di attendere fino a «quando sarà trovata l’arte di vivere felicemente». Aggiunge:

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editoriale
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«se la vita non è felice… meglio ci torna averla breve che lunga» dal momento che «la vita debba essere viva, cioè vera vita; o la morte la supera incomparabilmente di pregio».

Leopardi sostiene che l’uomo non desidera semplicemente vivere: vuole vivere bene, vuole avere una buona vita. Come dargli torto?

Se parliamo di formazione, educazione, maturazione un buon spunto di riflessione potrebbe essere il dialogo di Platone, il Simposio, ma si corre il rischio di delicate interpretazioni senza possedere conoscenze specifiche in merito.

Mi limito a ribadire come il primato della relazione, il recupero del ruolo fondamentale della coscienza e dell’interiorità nella costruzione dell’identità della persona umana, la necessità di ripensare i percorsi pedagogici come pure la formazione degli adulti, divengono oggi priorità ineludibili. Oggi le tradizionali agenzie educative (famiglia e scuola), si sentono indebolite e in profonda trasformazione, esse non devono essere viste solo come un problema ma una risorsa.

Fondamentali sono le iniziative capaci di realizzare nuove alleanze educative: famiglie che sostengono famiglie più fragili, famiglie che attivamente sostengono la scuola offrendo tempo ed energie a sostegno degli insegnanti per trasformare la scuola in un luogo di incontro. Il nuovo scenario chiede la ricostruzione delle grammatiche educative, ma anche la capacità di immaginare nuove ‘sintassi’, nuove forme di alleanza che superino una frammentazione ormai insostenibile e consentano di unire le forze, per educare all’unità della persona e della famiglia umana.

In questo senso l’educazione occupa uno spazio centrale nella nostra riflessione sull’umano e sul nuovo umanesimo. Dobbiamo impegnarci non soltanto nella comprensione attenta delle ricadute di queste trasformazioni sulla nostra identità personale (la nozione di vita umana, la configurazione della famiglia e il senso del generare, il rapporto tra le generazioni e il senso della tradizione, il rapporto con l’ambiente e l’utilizzo delle risorse d’ogni tipo, il bene comune, l’economia e la finanza, il lavoro e la produzione, la politica e il diritto), ma anche sulle loro interconnessioni.

Educare è un’arte: occorre che ognuno di noi, immerso in questo contesto in trasformazione, l’apprenda nuovamente, ricercando la sapienza che ci consente di vivere in quella pace tra noi e con il creato che non è solo assenza di conflitti, ma tessitura di relazioni profonde e libere.

Rimane significativa una pagina degli Orientamenti pastorali della CEI: “In una società caratterizzata dalla molteplicità di messaggi e dalla grande offerta di beni di consumo, il compito più urgente diventa, dunque, educare a scelte responsabili. Di fronte agli educatori cristiani, come pure a tutti gli uomini di buona volontà, si presenta, pertanto, la sfida di contrastare l’assimilazione passiva di modelli ampiamente divulgati e di superarne l’inconsistenza, promuovendo la capacità di pensare e l’esercizio critico della ragione” (Educare alla vita buona del Vangelo, 10).

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Educare all’umanesimo solidale

Sottotitolo, “per costruire una “civiltà dell’amore” a 50 anni dalla “Populorum progressio”. Il documento, emesso il 16 aprile 2017 dalla CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, riprende in forma estremamente chiara i concetti che sono alla base dell’azione della Chiesa e dei cristiani nella Comunità. Ne riprendiamo alcuni passi.

2. Umanizzare l’educazione

7. «Esperta di umanità», come sottolineò cinquant’anni fa la Populorum progressio, la Chiesa ha sia la missione sia l’esperienza per indicare i percorsi educativi adeguati alle sfide attuali. La sua visione educativa è al servizio della realizzazione degli scopi più alti dell’umanità. Tali scopi furono messi in evidenza, con lungimiranza, nella Dichiarazione conciliare Gravissimum educationis: lo sviluppo armonico delle capacità fisiche, morali e intellettuali, finalizzate alla graduale maturazione del senso di responsabilità; la conquista della vera libertà; la positiva e prudente educazione sessuale. Lungo tale prospettiva, si intuiva che l’educazione doveva essere al servizio di un nuovo umanesimo, nel quale la persona sociale era disponibile al dialogo e operava per la realizzazione del bene comune.

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8. Le esigenze indicate dalla Gravissimum educationis sono ancora attuali. Nonostante le concezioni antropologiche basate sul materialismo, sull’idealismo, sull’individualismo e sul collettivismo vivano una fase decadente, ancora esercitano una certa influenza culturale. Esse spesso intendono l’educazione come un percorso di addestramento dell’individuo alla vita pubblica, nella quale agiscono le diverse correnti ideologiche, in competizione fra loro per l’egemonia culturale. In questo contesto, la formazione della persona risponde ad altre esigenze: l’affermazione della cultura del consumo, dell’ideologia del conflitto, del pensiero relativista, ecc. È necessario, perciò, umanizzare l’educazione, cioè farne un processo nel quale ciascuna persona possa sviluppare le proprie attitudini profonde, la propria vocazione, e con ciò contribuire alla vocazione della propria comunità. “Umanizzare l’educazione” significa mettere la persona al centro dell’educazione, in un quadro di relazioni che costituiscono una comunità viva, interdipendente, legata ad un destino comune. In questo modo si qualifica l’umanesimo solidale.

9. Umanizzare l’educazione significa, ancora, prendere atto che c’è bisogno di aggiornare il patto educativo fra le generazioni. In modo costante, la Chiesa afferma che «la buona educazione familiare è la colonna vertebrale dell’umanesimo», e di là si propagano i significati di una educazione al servizio dell’intero corpo sociale, basata sulla mutua fiducia e sulla reciprocità dei doveri. Per tali ragioni le istituzioni scolastiche e accademiche che intendano porre la persona al centro della propria missione sono chiamate a rispettare la famiglia come prima società naturale, e a mettersi al suo fianco, in una retta concezione di sussidiarietà.

10. Un’educazione umanizzata, perciò, non si limita a elargire un servizio formativo, ma si occupa dei risultati di esso nel quadro complessivo delle attitudini personali, morali e sociali dei partecipanti al processo educativo; non chiede semplicemente al docente di insegnare e allo studente di apprendere, ma sollecita ciascuno a vivere, studiare e agire, in relazione alle ragioni dell’umanesimo solidale; non progetta spazi di divisione e contrapposizione ma, al contrario, propone luoghi di incontro e confronto per realizzare progetti educativi validi; si tratta di un’educazione - allo stesso tempo – solida e aperta, che rompe i muri dell’esclusività, promuovendo la ricchezza e la diversità dei talenti individuali ed estendendo il perimetro della propria aula in ogni angolo del vissuto sociale nel quale l’educazione può generare solidarietà, condivisione, comunione.

3. Cultura del dialogo

11. La vocazione alla solidarietà chiama le persone del XXI secolo a misurarsi con le sfide della convivenza multiculturale. Nelle società globali convivono quotidianamente cittadini di tradizioni, culture, religioni e concezioni del mondo differenti, e da ciò si producono spesso incomprensioni e conflitti. In tali circostanze, le religioni sono spesso considerate come strutture di principi e di valori monolitici, intransigenti, incapaci di condurre l’umanità alla società globale. La Chiesa cattolica, al contrario, «nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni», ed è suo

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dovere «annunciare la croce di Cristo come segno dell’amore universale di Dio e come fonte di ogni grazia». E’ altresì convinta che, in realtà, le difficoltà sono spesso il risultato di una mancata educazione all’umanesimo solidale, basata sulla formazione alla cultura del dialogo.

12. La cultura del dialogo non raccomanda il semplice parlarsi per conoscersi, così da attutire l’effetto estraniante dell’incontro fra cittadini di diverse culture. L’autentico dialogo avviene in un quadro etico di requisiti e atteggiamenti formativi nonché di obiettivi sociali. I requisiti etici per dialogare sono la libertà e l’uguaglianza: i partecipanti al dialogo devono essere liberi dai loro interessi contingenti e devono essere disponibili a riconoscere la dignità di tutti gli interlocutori. Questi atteggiamenti sono sostenuti dalla coerenza con il proprio specifico universo di valori. Ciò si traduce nella generale intenzione di far coincidere azione e dichiarazione, in altre parole, di collegare i principi etici annunciati (per esempio pace, equità, rispetto, democrazia…) con le scelte sociali e civili compiute. Si tratta di una «grammatica del dialogo», come indicato da Papa Francesco, in grado di «costruire ponti e […] trovare risposte alle sfide del nostro tempo».

13. Nel pluralismo etico-religioso, perciò, le religioni possono essere al servizio, e non d’intralcio, alla convivenza pubblica. A partire dai loro valori positivi di amore, speranza e salvezza, in un quadro di relazioni performativo e coerente, le religioni possono contribuire in modo determinante al conseguimento degli obiettivi sociali di pace e di giustizia. In tale prospettiva, la cultura del dialogo afferma una concezione propositiva dei rapporti civili. Invece di ridurre la religiosità alla sfera individuale, privata e riservata, e costringere i cittadini a vivere nello spazio pubblico unicamente le norme etiche e giuridiche dello Stato, capovolge i termini del rapporto, e invita le credenze religiose a professare in pubblico i propri valori etici positivi.

14. L’educazione all’umanesimo solidale ha la gravissima responsabilità di provvedere alla formazione di cittadini provvisti di un’adeguata cultura del dialogo. D’altronde la dimensione interculturale è di frequente vissuta nelle aule scolastiche di ogni ordine e grado, nonché nelle istituzioni universitarie, per cui è da lì che si deve procedere per diffondere la cultura del dialogo. Il quadro di valori nel quale vive, pensa e agisce il cittadino formato al dialogo è sostenuto da principi relazionali (gratuità, libertà, uguaglianza, coerenza, pace e bene comune) che entrano in modo positivo e decisivo nei programmi didattici e formativi delle istituzioni e agenzie che hanno a cuore l’umanesimo solidale.

15. È proprio della natura dell’educazione la capacità di costruire le basi per un dialogo pacifico e permettere l’incontro tra le diversità con l’obiettivo primario di edificare un mondo migliore. Si tratta, in primo luogo, di un processo educativo dove la ricerca di una convivenza pacifica e arricchente si áncora nel più ampio concetto di essere umano

nella sua caratterizzazione psicologica, culturale e spirituale

oltre ogni forma di egocentrismo e di etnocentrismo secondo una concezione di sviluppo integrale e trascendente della persona e della società

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27. Da più parti si solleva la domanda per un’educazione che superi le insidie dei processi di massificazione culturale, dai quali si producono gli effetti nocivi del livellamento e, con ciò, della manipolazione consumistica. L’insorgere di reti di cooperazione, nel quadro dell’educazione all’umanesimo solidale, può provvedere al superamento di tali sfide, perché offre decentramento e specializzazione. In una prospettiva di sussidiarietà educativa, tanto al livello nazionale che internazionale, si favorisce la condivisione di responsabilità e di esperienze, indispensabile per ottimizzare le risorse ed evitare i rischi. In tal modo si costruisce una rete non solo di ricerca ma, soprattutto, di servizio dove ci si aiuta vicendevolmente e si condividono le nuove scoperte, “scambiandosi i docenti per determinati periodi e sviluppando quelle iniziative che incrementano la loro collaborazione.”Prospettive

28. L’educazione e l’istruzione scolastica e universitaria sono stati sempre al centro della proposta della Chiesa cattolica nella vita pubblica. Essa ha difeso la libertà di istruzione quando, nelle culture secolarizzate e laiciste, sembravano ridursi gli spazi assegnabili alla formazione ai valori religiosi. Attraverso l’educazione, ha continuato a rifornire di principi e di valori la convivenza pubblica quando le società moderne, illuse dai traguardi scientifici e tecnologici, giuridici e culturali, credevano insignificante la cultura cattolica. Oggi come in ogni epoca, alla Chiesa cattolica incombe ancora la responsabilità di contribuire, con il proprio patrimonio di verità e di valori, all’edificazione dell’umanesimo solidale, per un mondo pronto ad attualizzare la profezia contenuta nell’enciclica Populorum progressio

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Festa all’Oratorio di Acireale:

20 marzo 2022

Parole di accoglienzarivolte a S. E. R. Mons. Salvatore Gristina,già Vescovo di Acireale e Arcivescovo di Catania L’occasione particolare dell’incontro permette di porre all’attenzione il significato della presenza filippina nel territorio di Acireale: non c’è più l’istituzione-scuola, ma l’impegno dell’Oratorio è ogni giorno più intenso e significativo. di p. Salvatore Alberti d.O. Ecc.za Rev.ma, a nome della Congregazione e a nome mio personale, La ringrazio per questa Sua presenza in questa sede, in un giorno nel quale ricordiamo, tre eventi per noi speciali.

1. Ventidue anni fa circa (25.06.1999), Lei, rev.mo Padre, allora novello Pastore della nostra Diocesi, dopo un lungo periodo di attesa e di silenzio, procedeva alla riapertura della Causa di Beatificazione del nostro Servo di Dio, P. Mariano Patanè. Com’è risaputo, il Fondatore di questa casa è tumulato nell’ala sinistra della chiesa, insieme con uno dei suoi collaboratori, P. Giovanni Carpinati, primo direttore di quella Scuola filippina, voluta dal padre Mariano per gli ”agnelletti” di Gesù Cristo; detta scuola, alcuni decenni dopo avrebbe ottenuto dal Re di Napoli il titolo di Real casa di educazione, e avrebbe goduto di chiara fama per oltre cento anni, fino alla ben nota soppressione degli Enti ecclesiastici.

La Causa di beatificazione, in questi anni, non è progredita molto, ma è servita almeno a mantener vivo il ricordo di Patri don Marianeddu, una figura carismatica di notevole spessore spirituale e culturale, in una città di fine Settecento, che si riprendeva in maniera più che dignitosa dopo il famigerato terremoto del 1693.

2. L’altro motivo di festa è il ricordo del 4° Centenario della canonizzazione di San Filippo, beatificato il 12 marzo 1622, insieme con quattro spagnoli: Ignazio di Loyola, Teresa d’Avila, Francesco Saverio e Isidoro l’Agricoltore. I rappresentanti delle case filippine presenti nel mondo (n.87) l’abbiamo festeggiato a Roma qualche giorno fa: g.12, alla presenza del Sommo Pontefice, nella chiesa del Gesù; g.13, nella chiesa della Vallicella, sede della 1a Congregazione tipo (1575), alla presenza del titolare della chiesa, il Card. George Pell; di un vescovo inglese, Robert Byrne, già membro dell’Oratorio di Birmingham e di una ventina di sacerdoti filippini, sotto

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la presidenza del vescovo di Ivrea, Mons. Edoardo Aldo Cerrato, già Procuratore generale della Confederazione dell’Oratorio.

L’indomani, lunedì 14 marzo, i festeggiamenti romani si concludevano con la proposta alla Vallicella di una densa serata in forma di oratorio, con testi scelti dai confratelli Maurizio Botta CO, Rocco Camillò CO; Pierre Paul OMV e Nicola Steves SJ, raccolti nella guida «Chi segue me non cammina nelle tenebre», edita dalla Confederazione dell’Oratorio.

Le riflessioni e le meditazioni, tratte dall’Imitazione di Cristo e da alcuni pensieri dei Santi festeggiati, venivano accompagnate dalla musica in stile antico, offerta dai componenti dell’Accademia Musicale San Pietro, sotto la direzione del M° Pierre Paul e con la partecipazione degli attori Stefano Mondini e Claudia Natale.

3. Il 3° motivo della nostra festa odierna è la giornata diocesana di sensibilizzazione per la beatificazione del Ven.le Giambattista Arista: essa si lega bene con quel che avvenne cent’anni fa. La Diocesi, da due anni appena (1920), aveva perduto il Suo santo Pastore. I chierici da Lui formati nel problematico periodo della grande guerra e tutti i novelli sacerdoti non avevano ancora elaborato quella grave assenza pastorale. L’occasione del terzo centenario (nel 1922) diede loro opportunità di colmare quel vuoto con un dono tangibile: venne donata all’Oratorio una splendida statua lignea di Filippo in veste talare, oggi collocata nell’antica sacrestia affrescata dell’Oratorio, un’effige molto espressiva, movimentata dallo slancio delle mani verso l’alto, come a ripetere a tutti noi “di preferire il Paradiso” alle mille vanità di quaggiù!

Un aneddoto: il giorno della prima visita di san Giovanni Paolo II alla Vallicella in Roma, il 26 maggio 1979, fu anche quello nel quale quella statua diede inizio all’annuale festa esterna di San Filippo sul fercolo, in giro per le vie della nostra città.

Dopo la biennale pausa forzata dovuta alla pandemia, è bello pensare che si voglia ricominciare daccapo a manifestare la nostra fede giovanile in chiesa e per le strade, guardando insieme ai nostri Santi: a messer Filippo, a P. Mariano e al ven.le Arista

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GI ovan nI battIsta ar Ista:

l ’o pe ra del l’ed ucato re

Integra bene l’immagine del grande Vescovo il Suo impegno nell’educazione dei giovani. Ecco uno stralcio dal discorso per l’inaugurazione dell’anno scolastico 1888-89 (il discorso intero è riportato in IN AEVUM 11, del novembre 2007)

Quando si tratta dell’educazione del fanciullo, o Signori, due idee ricorrono subito alla nostra mente ed inseparabili, pure sono realmente distinte. Il magistero che dà la verità, e l’opera che insinua la virtù; lo sviluppo dell’intelligenza la formazione del cuore; quel lento lavorio che fa l’uomo dotto ed istruito, e quell’altro più lento ma più difficile che lo rende probo ed onesto e ne forma il carattere: l’istruzione e l’educazione insieme.

Or io non dubito di farmi eco alle vostre idee, nell’affermarvi che se grande ed utile compito dell’istitutore si è l’istruzione, non men grande e forse più vantaggioso alla patria ed alla verità si è l’educazione del cuore. Imperciocché è soprattutto necessario aprire all’anima del fanciullo gli elevati orizzonti del dovere; nutrire il suo intelletto delle verità religiose e morali che formano come il perno di tutta la vita umana; iniziare il suo cuore alle dolci emozioni della virtù; fortificare la sua volontà contro l’impeto delle passioni; piegare il suo carattere alle esigenze sociali; bisogna in una parola dare a tutte le sue facoltà nelle giuste proporzioni quello sviluppo di che sono capaci, e che richiede il posto a cui viene destinato dalla Provvidenza. Onde si armonizza così all’educazione della mente l’educazione del cuore, facendogli percorrere non solo la via della scienza ma ancora quella della virtù, affinché possa divenire un sincero credente ed un onesto cittadino.

Dico un sincero credente, perché l’educazione del cuore si fonda sul sentimento religioso, siccome sopra incrollabili basi di granito. Non solamente l’insegnamento religioso è voluto da Dio, ma anche richiesto potentemente dalla natura dell’uomo.

Il fanciullo à bisogno di credere, come à bisogno d’amare. Il suo istinto il più puro, il più forte, il più irresistibile lo spinge a Dio. Come la pianta cerca la luce, come il fiore si apre alla rugiada, come il fiume segue il suo letto, come l’aquila drizza il suo volo verso le alte cime, così l’anima del fanciullo sospira verso il divino. Figlio del cielo vuol egli conoscere il suo paese d’origine; erede d’eterne ricchezze vuol egli intravederne i divini splendori. Perciò l’educatore non deve allontanare il fanciullo da questa via maestra, che à principio dalla terra e che mette

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capo al cielo. Imperciocché, non è chi nol vegga, un tale indirizzo sarebbe vizioso e sbagliato, perché l’assenza dell’insegnamento religioso arrecherebbe danni non lievi. Si estinguerebbe il genio che al dir di Senofonte alimenta la sua fiamma al focolare della divinità; mancherebbe l’eroismo che, al dir di Socrate, non può comprendersi senza convinzioni religiose; e si sospingerebbe l’uomo nella stretta cerchia delle semplici conoscenze umane, tarpandogli le ali ai grandi pensieri e alle alte concezioni.

Ma accanto alla religione ispiratrice e scopo dell’educazione del fanciullo, vi è un’altra luce, alla cui conquista egli deve indirizzarsi.

Dio, verità incerata e sostanziale, si riflette attraverso le creature, ciascuna delle quali è come un’eco della parola che eternamente tiene a sé stesso, come una pagina del gran libro ove scrive i suoi pensieri. L’intelligenza dell’uomo ha ragunato queste pagine sparse e ne à creato la scienza. Ed è appunto all’acquisto della scienza che gradualmente l’educatore deve guidare il fanciullo. E siccome la scienza, sostanza e pensiero abbisogna d’una forma che la rivesta e sia quasi per la sua descrizione e lucidezza il nitido cristallo donde trasparisca l’idea, non è chi nol vegga come sia importante lo studio delle lettere, molto più per l’età giovanile; essendoché la mente ancor tenera non è ancora capace di sostenere il grave peso dei severi pensamenti e delle profonde concezioni

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intellettuali. Onde dovendo essa a questo predisporsi, fa bisogno di addestrare lo spirito nella ginnastica della forma, pria di venire alla comprensione ed alla creazione del concetto. Per cui lo studio pria della lingua materna e poi delle lingue classiche, che debbono avere il predominio nella formazione intellettuale del fanciullo, mentre colla storia si avvezza a conoscere le glorie e le sventure dei suoi antenati, colle scienze naturali elementarmente trattate comincia a leggere nel gran libro del creato, e coi severi studii matematici esercita ed apparecchia all’energia della virilità il suo spirito, che sarà un dì chiamato ad introdursi nei misteriosi penetrali della scienza.(….)

L’essenza d’ogni buona educazione (…) è opera dell’autorità e del rispetto, come ancora opera della libertà: due grandi elementi che costituiscono la base ed il fondamento di tutti i diritti e di tutti i doveri degli uomini. Sapere unire in bell’accordo questi due elementi, ecco il compito del savio educatore.

L’educatore dev’essere necessariamente rivestito d’una vera autorità, senza la quale non potrà mai conciliarli dai giovanetti quel rispetto, che è sì necessario perché possa condurli al bene, come non potrà mai ottenere da loro quella soggezione ed ubbidienza, che sono come la chiave della volta di tutto l’edifizio educativo.

Però tale autorità deve rispettare la libertà nell’educando. Imperciocché qualunque sia l’opera dell’istitutore non giungerà mai ad educare l’alunno senza di lui e suo malgrado. L’alunno non è un ente passivo, ma bensì un ente sublime, capace di verità e di virtù, di cognizione e di amore; egli è una creatura attiva, potente, sovrana; dotato di coscienza e di libertà; per cui egli deve necessariamente operare e svolgersi da sé. Onde saggiamente il grande Dupanloup scriveva: “Nell’educazione ciò che l’educatore fa per sé stesso è poca cosa; ciò che sa ottenere che si faccia è tutto; ben inteso ciò che sa ottenere che si faccia liberamente”.

Una laurea!

Il 20 aprile 2022, presso il dipartimento di Scienze Giuridiche e Sociali dell’Università “Gabriele D’Annunzio” di Chieti-Pescara, ha conseguito brillantemente la laurea in Sociologia e Criminologia l’exalunna ERICA MARANO, discutendo la tesi “La violenza sulle donne e i pericoli online”. Relatrice la chiar.ma prof. Mara Maretti. Alla carissima ERICA giungano le più affettuose congratulazioni e fervidissimi auguri di una prestigiosa carriera professionale, dai “compagni di scuola” e dal Consiglio direttivo dell’Associazione exAlunni di cui è componente e da questa Redazione.

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ex-allievi

che ricordano, dopo 50, 25, 15 anni

i loro esami di “Maturitààa

Maturità classica

1971-72

Giorgio Antoci

Carmelo Aprile

Angelo Cammarata

Giuseppe Crapio

Carmelo Disca

Carmelo Firringieri

Luigi Musumeci

Francesco Leotta

Gianfranco Piccolo

Carlo Pubblico

Leopoldo Romeo

Natale Ronzisvalle

Salvatore Varrica

Maturità scientifica

2006-2007

Andrea Alioto

Filippo Boemi

Claudia Bonfiglio

Arianna Caffo

Natascha Canì

Chiara Casella

Marzia Consoli

Alessia De Santis

Ennio Di Mauro

Marco Di Stefano

Orazio Ferlito

Graziana Irene Fiorilla

Fabrio Fricano

Alfio Licciardello

Christian Magrì

Salvatore Mannanici

Francesco Mingrino

Giuseppe Panebianco

Giovanni Pappalardo

Vincenzo Pomona

Marialfina Randisi

Francesco Rizzo

Carlo Scudero

Salvatore Torrisi

Maria Trombetta

Rosario Monaco

Maturità scientifica

1971-72

Giuseppe Battiato

Calogero Belluzzo

Calogero Brucculeri

Giancarlo Costa

Francesco Costantino

Luciano Di Martino

Francesco Fichera

Martino Leonardi

Antonio Lo Garfo

Francesco M. Marra

Corrado Mauceri

Prospero Palazzo

Frank Rafaraci

Giuseppe Tornello

Salvatore Tropea

Maturità scientifica

1996-97

Marinella Coco

Orazio Frizzi

Gabrile Gandolfo

Rosario Licciardello

Cesare Mannino

Giuseppe Nobile

Elvira Rita Pardi

Vania Palama Pavone

Benedetto Pennisi

Salvatore Salerno

attualItà dI d ante

Dante Alighieri nacque a Firenze sotto il segno dei Gemelli ovvero tra il 21 maggio e il 21 giugno 1265 e morì nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321, all'età di 56 anni, a causa della malaria che aveva contratto tornando da una missione a Venezia. La Divina Commedia è considerata la più grande opera scritta in lingua italiana e uno dei capolavori della letteratura mondiale. E' un veicolo allegorico della salvezza umana perchè descrive i drammi dei dannati nell'Inferno, le pene del Purgatorio e le glorie del Paradiso fornendo al lettore , come è stato scritto, “uno spaccato di morale e di etica”. Il suo stesso nome Dante (anche se al fonte battesimale gli fu imposto il nome Durante) indica colui che attraverso le sue opere “dà” agli altri i grandi doni intelletuali ricevuti da Dio.

Ma in tanti si chiedono se Dante, vissuto nel Medioevo, è ancora attuale, considerato che in quel periodo la visione filosofica, teologica e scientifica era molto diversa da quella attuale. Cercherò di sottolineare alcuni aspetti che meritano di essere esposti. Intanto rileviamo che la poesia di cui è composta la Divina Commedia è considerata ancora oggi come una delle più alte realizzazioni dello spirito umano, ma è anche forse in assoluto l'opera letteraria nella quale ciascuno può riconoscere la propria storia e rinvenire nelle storie raccontate dal Poeta alcune risposte alle domande che ci poniamo specialmente quando entriamo profondamente in dialogo con noi stessi. Papa

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Francesco nella Lettera Apostolica ”Candor Lucis aeternae” dello scorso 15 marzo ha scritto che “molto meglio di tanti altri, egli (Dante) ha saputo esprimere, con la bellezza della poesia, la profondità del mistero di Dio e dell'amore. Il suo poema, altissima espressione del genio umano, è frutto di un'ispirazione nuova e profonda, di cui il Poeta è consapevole quando ne parla come del <poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra> (Par XXV, 1-2)”. E più avanti nella stessa Lettera, tra l'altro, scrive:”La ricchezza di figure, di narrazioni, di simboli, di immagini suggestive e attraenti che Dante ci propone suscita certamente ammirazione, meraviglia, gratitudine. In lui possiamo intravedere un precursore della nostra cultura multimediale, in cui parole e immagini, simboli e suoni, poesia e danza si fondono in un unico messaggio”. E, infine, si chiede Francesco se Dante ha ancora qualcosa da dirci ai nostri giorni e così risponde: “Dante … non ci chiede, oggi, di essere semplicemente letto, studiato, analizzato. Ci chiede piuttosto di essere ascoltato, di essere in certo qual modo imitato, di farci suoi compagni di viaggio, perché anche oggi egli vuole mostrarci quale sia l'itinerario verso la felicità, la via retta per vivere pienamente la nostra umanità, superando le selve oscure in cui perdiamo l'orientamento e la dignità”.

Accanto a queste considerazioni generali, occorre soffermarsi sulla testimonianza di Dante intellettuale impegnato certamente nella letteratura, ma anche uomo credente attivo nella vita politica del suo tempo, dal periodo del suo impegno nella città di Firenze fino all'esilio ramingo alla ricerca di

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aiuto in protettori presso altri Comuni. Dante nelle sue opere, specificamente nella citata Commedia e nella Monarchia, denuncia coraggiosamente i mali della società, la degenerazione dei costumi e la politica incentrata sugli interessi personali anziché sul bene comune. La via d'uscita dalla prigione dell'egoismo è la “carità” o, come si dice oggi, la solidarietà che può consentire la riscoperta della pienezza della vita vissuta in pace e in armonia col prossimo. E tutto questo nell'ambito della laicità che si riallaccia al “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” (politica e religione, oggi diremmo Stato e Chiesa). Durante il periodo del suo impegno diretto in politica da membro del Consiglio Speciale del Popolo, del Consiglio dei Savi per l'elezione dei Priori e del Consiglio dei Cento, fino a ricoprire la carica di Priore, la massima carica di governo, constatò amaramente come la mala politica, abbandonando alcuni valori che avevano contraddistinto in passato il ruolo di potere, ormai era concentrata sul vil denaro e sugli interessi economici e finanziari. Tutto ciò portava ad una durissima conflittualità per i contrapposti interessi e a vendette di un'enorme gravità. Il prevalere dell'uno sull'altro partito (Guelfi o Ghibellini e poi Bianchi o Neri) comportava lo spoil system nei confronti dei perdenti, a cui venivano tolti i beni e talora anche la vita (e la sua fu vita da esule). Dante nella sua opera maggiore emette sentenze impietose e accuse nei confronti anche di persone di rango, che gli procurarono l'esilio. Egli mostra quali effetti disastrosi produce la politica non incentrata sulla giustizia che inevitabilmente decade in demagogia. La società è smarrita e lo stesso Dante si ritrova in una “selva oscura” perchè entra in crisi di fronte a questo sovvertimento dell'ordine naturale in cui prevalgono egoismo, avidità, idolatria del potere e della ricchezza, senza una guida capace di governare rispettando la libertà e la dignità umana. Egli sollecita l'impegno di tutti per migliorare la vita sociale e politica e condanna gli ignavi che coltivano soltanto il proprio orticello e disprezzano il libero arbitrio, dono prezioso di Dio alla natura umana e fonte di tutte le libertà: “Fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e canoscenza” (canto XXVI dell'Inferno, vv. 119-120). Dante esorta gli uomini di buona volontà ad avere degli ideali, a non essere indifferenti, a non restare inerti di fronte alle ingiustizie, a far fruttare i talenti, come indicato nei Vangeli, perchè la salvezza nella sua visione non è opera dei singoli ma interesse e responsabilità di tutti. Per Dante, in fondo il problema è che non è possibile realizzare una vita sociale minimamente ordinata, di vivere una condizione davvero umana, se si prescinde da un qualche codice morale. Bisogna, cioè, avere la capacità di discriminare in maniera netta ciò che è bene e ciò che è male. Quando non si fa questo, infatti, la società sprofonda in quel nichilismo relativistico, in quella disarticolazione della civiltà, che purtroppo stiamo vivendo in questo momento storico. Se prevale

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l'individualismo esasperato, la cupidigia simboleggiata dalla “lupa”, gli effetti nella vita del popolo sono nefasti. Mi sembra opportuno riportare un giudizio di Daniela Bianchini, da me pienamente condiviso. Secondo la Bianchini l'attualità di Dante “è legata soprattutto alla trasmissione dell'universale messaggio di onestà, giustizia e di fraternità che zampilla dalle sue opere e in particolare dalla Divina Commedia. In un mondo, quale quello attuale, con particolare riferimento al panorama europeo, dove vi è la tendenza sempre più forte alla superficialità, al consumismo, all'individualismo, ove le quotidiane relazioni umane sono sempre più spesso sostituite dalle relazioni <virtuali>a testimonianza, non di rado, dell'incapacità di entrare veramente in relazione con l'altro – è importante, soprattutto per i più giovani, tornare a leggere pagine cariche di valori, di umanità, di esortazione a non perdersi dietro false felicità e di non rinchiudersi nella gabbia dell'egoismo, ma di coltivare il rispetto per l'altro, nel perseguimento della pace e della giustizia. Fanno riflettere, allora, le proposte di vietare lo studio di Dante nelle scuole, con il pretesto che il pensiero dantesco sarebbe omofobo, antisemita e persino islamofobo. E' evidente che l'avversione per le opere dantesche celi qualcos'altro. Forse le parole di Dante danno fastidio perché scuotono ancora le coscienze, perché sollevano il velo dell'ipocrisia e dell'ignoranza, e perché si scagliano contro i falsi messaggi che attirano gli uomini con l'ingannevole prospettiva di farli essere pienamente liberi, ma dietro ai quali è in realtà occultato l'obiettivo di instillare nella società modelli egoici e talora contrari alla natura umana”. Per concludere, ancora qualche annotazione sul messaggio dantesco: nelle opere del Sommo Poeta è centrale il tema dell'amore, inteso non soltanto come espressione terrena, ma anche (e soprattutto) come “ingrediente” fondamentale dell'esistenza dell'uomo: filia come amore per la conoscenza. E, infine, un messaggio che è come un monito: il ruolo della razionalità. Dante riconosce alla ragione una funzione importante perché è uno strumento necessario, ma nello stesso tempo l'uomo deve avere sempre presenti i suoi limiti.

La ragione va usata dunque con cautela evitando il delirio dell'onnipotenza.

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C inqu ant’an ni de “i limiti dello svilup po”

Nel 1972 veniva pubblicato il celebre The Limits to Growth (nello stesso anno in Italia con il titolo I Limiti dello Sviluppo –Mondadori-). E’ un’rapporto al Club di Roma’, in quanto era stato commissionato al MIT (Massachusetts Institute of Technology) da questa associazione non governativa (che riunisce scienziati, economisti, alti dirigenti di tutto il mondo) così denominata essendosi i suoi fondatori nel 1968 riuniti la prima volta a Roma nella sede dell’Accademia dei Lincei.

La prestigiosa università di Boston, provò ad applicare la teoria dei sistemi con una modellizzazione della evoluzione di certe variabili attraverso programmazione con l’elaboratore, descrivendo gli scenari conseguenti a diverse previsioni dell’andamento di esse. Attraverso il modello World3 [evoluzione del modello World2, scritto nel linguaggio di simulazione

DYNAMO da Jay Forrester nel 1971] gli autori Donella Meadows, Dennis Meadows, Jørgen Randers e William W. Behrens III in buona sostanza provavano a vagliare l’evoluzione di cinque variabili del ‘sistema mondo’: popolazione, produzione di alimenti, industrializzazione, inquinamento e sfruttamento delle risorse naturali. I risultati della modellizzazione prevedevano che una continuazione inalterata della crescita di queste cinque variabili avrebbe portato il Pianeta in un certo tempo dei successivi cento anni

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a collassare (con un declino improvviso e incontrollabile, risultato delle equazioni non lineari che individuavano punti critici di ‘non ritorno’).

Anche per via della Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente umano, tenutasi a Stoccolma in quello stesso anno (e poi della crisi petrolifera dell’anno successivo e dell’unica coeva crisi dei mercati cerealicoli della seconda metà del secolo scorso), il rapporto ebbe grande risonanza. A esso va quindi sia il merito di aver portato i temi ambientali alla ribalta, che quello di aver fatto sorgere una certa consapevolezza sul carattere sistemico delle problematiche –le quali cioè andavano considerate in ambito veramente mondiale –si pensi all’inquinamento, che certamente non si preoccupa di confini nazionali-: e questo molto ma molto prima che si cominciasse a parlare di globalizzazione-). E’ stato contestualmente sottoposto a serrate critiche.

Certamente il modello non poteva prevedere l’evoluzione tecnologica che successivamente si è avuta, la quale ha portato ad affrontare da una diversa prospettiva queste problematiche, ma si è comunque caratterizzato come lungimirante, dato che le linee di tendenza individuate sono state costantemente

riscontrate persistere nei successivi anni.

Tanto infatti ha rilevato il primo aggiornamento del rapporto (del ventennale nel 1992) intitolato Beyond the Limits (in italiano nel 1993 Oltre i limiti dello sviluppo –il Saggiatore-), i cui autori sono solo i primi tre del precedente. Essi hanno sostenuto che le conclusioni del primo mantenessero il loro valore, ma andassero rafforzate in direzione di una società sostenibile:

“La transizione verso una società sostenibile richiede un bilanciamento accurato fra mete a lungo termine e a breve termine, e una accentuazione degli aspetti di sufficienza, equità, qualità della vita, anziché della quantità di prodotto. Essa vuole più che produttività, o tecnologia; vuole maturità, umana partecipazione, saggezza” (p.18). Tanto sulla scia del concetto di sviluppo

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sostenibile affermata per la prima volta nel Rapporto Brundtland del 1987 (Our Common Future).

In occasione poi del trentennale è seguita –nel 2004- un'altra pubblicazione di aggiornamento (Limits to Growth: The 30-Year Update, tradotto e pubblicato in Italia nel 2006 col titolo I nuovi limiti dello sviluppo –Mondadori-) in cui gli stessi tre autori del precedente testo hanno provato a utilizzare il modello World3-03 per simulare 11 scenari diversi di evoluzione (avendo ben presente la nuova tecnica della impronta ecologica - con cui si misura impatto dell'uomo sulla Terra- e il concetto di capacità di carico del Pianeta, che hanno ritenuto già iniziatasi a superare dal 1980). In altre parole la Terra non ha infinite risorse (terra coltivabile, acqua dolce, petrolio, gas naturale, carbone, minerali, metalli, ecc.). Né può illimitatamente essere assoggettata a fattori inquinanti, sussistendo una capacità di sopportazione del sistema, oltre la quale si possono generare scenari critici.

Peraltro gli undici dell’aggiornamento del trentennale erano stati definiti dai suoi stessi autori ‘ottimistici’, in quanto il modello non si è curato di distinguere tra aree geografiche e tra regioni ricche e regioni povere (e ora abbiamo visto come ciò porti a una rilevantissima problematica come quella delle migrazioni); ugualmente non ha nemmeno considerato eventi catastrofici quali inondazioni, terremoti, incidenti nucleari, pandemie (e proprio con una pandemia globale –da Covid 19- il mondo sta ancora facendo i conti, non solo economici); infine esso non ha tenuto conto nemmeno di limiti

"sociali" e cioè delle instabilità politiche ed economiche (e le abbiamo avute nel 2008 con la crisi del mutui sub prime, recessione globale e crisi creditizia), della criminalità e del terrorismo (si pensi agli sviluppi dopo l’eclatante attentato alle Torri Gemelle del 2001), dei conflitti etnici, della

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corruzione, dell’uso di droghe e delle guerre (una delle quali non si vedeva in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale: quella dovuta all’invasione della Ucraina da parte della Russia, con tutte le problematiche connesse ambientali, per l’ipotizzato ricorso ancora a combustibili fossili inquinanti pur di non dipendere energeticamente dalla Russia, ed economiche, con aumento dei prezzi delle materie prime, soprattutto energetiche, comportanti significative ricadute sull’intero sistema economico della globalizzazione).

Morta Donella Meadows nel 2001, ha invece tenuto parzialmente conto di questo 40 anni dopo (nel 2012) il solo Jørgen Randers (è morta nel 2001), che ha pubblicato 2052 A Global Forecast for the Next Forty Years (e cioè un rapporto al Club di Roma “commemorating the 40th anniversary of the Limith to Growth”, pubblicato in Italiano come 2052. Scenari globali per i prossimi quarant'anni –Edizioni Ambiente-)

Vengono ancora confermate certe tendenze, sia per quanto concerne gli andamenti demografici (benché la popolazione non crescerà quanto previsto) ed economici, le fonti di energia e cambiamenti climatici, il cibo, gli impatti sulla biodiversità, tenendosi anche presenti gli sviluppi culturali e tecnologici, in uno con gli aspetti della geopolitica. Alla fine si prevedono in prospettiva diseguaglianze crescenti, e maggiore vita in connessione sì, ma nelle città, peraltro non riuscendo le fonti di energie rinnovabili a rimpiazzare i combustibili fossili in tempo per eliminare del tutto la possibilità del predetto riscaldamento climatico catastrofico.

Giunti ora a 50 anni di distanza cosa ha ancora da dirci la modellistica de I limiti dello sviluppo?Non abbiamo qui lo spazio per approfondire quale potrebbe essere il contenuto di un eventuale nuovo aggiornamento a cinquanta anni di distanza; ma è sicuro che i problemi alla base dei “dilemmi dell’umanità” trattati dal primo rapporto (e aggiornati nei successivi) rimangono sostanzialmente persistenti nella loro consistenza. Proprio il problema dei mutamenti climatici detto da ultimo è il più emblematico di tutti essi, dato che interessa insieme tutte e cinque variabili precedentemente viste del primo rapporto: popolazione -maggiore crescita maggiore inquinamento-; produzione di alimenti -maggiore sfruttamento delle aree per coltivazioni, maggiore deforestazione dei ‘polmoni’ boschivi della Terra: si pensi all’Amazzonia-; industrializzazione, inquinamento e sfruttamento delle risorse naturali –maggiore crescita dell’inquinamento per masse sempre più estese di popolazioni che pretendono anch’esse di beneficiare degli aspetti del benessere da crescita economica senza al momento curarsi delle ricadute ambientali.

A differenza del primo rapporto abbiamo però cinquant’anni di meno per intervenire rispetto ai punti di non ritorno. Sarà finalmente ciò capito?

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Il Romanticismo è un movimento letterario, artistico e culturale originatosi in Germania ed Inghilterra tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Per definizione, il termine ‘Romantic’, derivante da ‘Romance’ appare inizialmente in Inghilterra già nel corso del XVII secolo, con il significato di ‘romanzesco’, cioè ‘non reale’. Con il sorgere del movimento letterario, prevale, comunque, il nuovo significato di ‘pittoresco’, che spiega non tanto la caratteristica oggettiva della scena naturale quanto, piuttosto, l’emozione che la stessa suscita nell’animo umano.

Proprio la natura costituisce, dunque, l’oggetto delle descrizioni dei poeti romantici: in Inghilterra, William Wordsworth e Samuel Taylor Coleridge sono gli iniziatori di tale nuova fase artistico-letteraria,, mentre in Italia ne sono fondatori Alessandro Manzoni e Giacomo Leopardi.

William Wordsworth e Samuel Taylor Coleridge sono gli autori delle ‘Lyrical Ballads’, una raccolta di poesie di cui Wordsworth redige personalmente il ‘Preface’, cioè la ‘Prefazione’, documento che costituisce il ‘Manifesto’ del Movimento Romantico inglese e nella quale egli fissa quelle che ne sono le caratteristiche ispiratrici.

La contemplazione della natura è ciò che accomuna il Romanticismo inglese e quello italiano, ma mentre Wordsworth fa riferimento ad elementi concreti, quale il paesaggio rurale ove si staglia un’ampia distesa di narcisi (Daffodils) Leopardi, invece, fa riferimento all’idea astratta di “Infinito”,

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dI WIllIam WordsWorth, l’InfInIto dI GIacomo leopardI: analoGIe e dIfferenze. di Nando Costarelli
daffodIls
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sottolineando l’immagine di quella siepe che gli preclude lo sguardo lasciando in tal modo spazio all’immaginazione di ciò che può esservi al di là di quella barriera naturale.

In entrambe le opere, è sottolineato il ruolo che la Natura assume agli occhi dei due poeti. ‘Daffodils’ (Narcisi), più nota come ‘I wandered lonely as a cloud’ (dal primo verso dell’opera), descrive il luogo in cui un’ampia distesa di narcisi, sovrastata da alcuni alberi, fa bella mostra di sé e cioè un campo che si trova accanto ad un lago, ambientazione questa che è una scelta non casuale ma voluta da parte del poeta. Egli, infatti, è un esponente dei ‘Lake Poets’ (i ?Poeti dei Laghi’), così definiti in quanto nativi del ‘Lake District’ (il ‘Distretto dei Laghi’), zona di confine (il ‘Border’) tra Inghilterra e Scozia.

Nella poesia ‘L’Infinito’, Giacomo Leopardi, invece, si ritrova dinanzi ad una siepe che, seppur gli occulti la visione effettiva del paesaggio circostante, gli consente, comunque, di immaginare la realtà infinita che si trova oltre quell’ostacolo.

Un elemento che accomuna le descrizioni dei due poeti è sicuramente il vento; la giornata descritta da Wordsworth è, infatti, ventosa, mentre Leopardi, invece, ode il sibilo del vento che agita gli alberi (?E come il vento odo stormir tra queste piante …’) e, seppur la realtà descritta da Wordsworth è riferita ad eventi realmente vissuti e cioè a quanto egli vede durante una passeggiata ( ‘… a host of golden daffodils … fluttering and dancing in the breeze’ = ‘una folla di narcisi dorati … tremolanti e danzanti nella brezza del vento’), quella di Leopardi, pur essendo solo immaginaria, in quanto non direttamente visibile a causa di un ostacolo che si frappone allo sguardo, non impedisce al poeta di immaginare quegli ‘interminati spazi’ che ispirano una ‘profondissima quiete’ al suo animo.

E ancora, nei versi finali ‘… e il naufragar m’è dolce in questo mare’ di Leopardi e ‘… and then my heart with peasure fills’ ( ‘… e poi il mio cuor si riempie di piacere’) di Wordsworth, entrambi i poeti descrivono una situazione di piacere il cui godimento però deriva da due realtà diverse e cioè quella ‘concreta’ (l’ampia distesa di narcisi, scossa dalla brezza del vento) per Wordsworth, contrapposta alla realtà ‘astratta’ che vede Leopardi immergersi in quell’infinito che gli causa quel godimento infinito che egli, invece, non può trovare nella natura, che è fatta di realtà ‘finite’ (cioè limitate nello spazio e nel tempo).

Altra differenza che emerge da un confronto tra i due poeti è che Wordsworth avverte di non trovarsi ‘da solo’ in quanto la contemplazione dei narcisi gli tiene compagnia, mentre Leopardi sottolinea che ognuno può anche trovarsi fisicamente ‘da solo’ ma, allo stesso tempo, godere della ‘compagnia’ dei propri pensieri.

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IlVULCANESIMO

Pochi semplici cenni, poco più che appunti, su un argomento di grande attualità nel territorio etneo: da molti mesi l’Etna è percorso da “parossismi” che si concretizzano in scosse di lieve entità e soprattutto nell’emissione di ceneri.

Per noi che abitiamo alle falde d’ ‘a muntagna”, cioè del vulcano Etna, è un fatto naturale convivere con i fenomeni vulcanici e osservarli in tutte le loro forme. Così potrà essere utile ricordare qualche aspetto, in generale e in particolare, di la materia, tanto per comprendere meglio le caratteristiche e le attività di questo vicino “scomodo”. L’esposizione apparirà un po’ arida, ma nella sintesi i dati vengono chiariti con precisione (e questo è quel che conta).

Ricordiamo che un vulcano è costituito da una montagna più meno conica, la ci sommità presenta una cavità imbutiforme (cratere).

L’apparato vulcanico comprende:

1) Il focolare magmatico, in cui si formano materiali allo stato gassoso e fluido, detti lave;

2) Il camino vulcanico, attraverso il quale i gas e i vapori ad alta temperatura, i magmi allo stato fluido e materiali di varia natura salgono e fuoriescono dal cratere.

Il magma, più è fluido e ricco di gas, più scorre veloce, ance a notevole distanza dalla sua sorgente. In questo caso il magma è basico (vedi Etna e Stromboli), con un basso contenuto di ossido di silicio (Si2O3)-

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Krakatoa, 1883 di Francesco Privitera
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Se il magma è acido, cioè con un alto contenuto di ossido di silicio, le lave sono molto più viscose e scorrono con lentezza.

Etna, cratere di Nord-Est

Esistono vari tipi di attività vulcanica:

1) Tipo hawaiiano, nel quale la lava fuoriesce senza fenomeni violenti;

2) Tipo stromboliano, nel quale la fuoruscita di lava è accompagnata da esplosioni che espellono materiali solido (lapilli e bombe);

3)Tipo vulcaniano; eruzioni a carattere esplosivo;

4) Tipo peleano (dal vulcano Pelée nell’isola di Martinica – Piccole Antille), caratterizzato da fuoruscita di nubi ardenti.

Vari e particolari sono i “prodotti” vulcanici: lave, lapilli e cenere.

Abbiamo accennato alle lave, riguardo ai lapilli, dal latino lapillus “piccola pietra”, sassolino, possiamo dire che sono dei piccoli ciottoli di lava molto frastagliati, detti anche “piroclasti”, che hanno varie dimensioni. Vanno dalla grandezza di un pisello a quello di una nocciola e perfino di una noce.

Infine sabbia e ceneri, che rappresentano i prodotti più minuti delle eruzioni In questi ultimi anni abbiamo constatato la fuoruscita dall’Etna di una rande quantità di cenere e lapilli che, sotto forma di una vastissima e lunghissima “nube nera”, hanno ricoperto gran parte della nostra provincia, causando difficoltà e pericoli per la viabilità.Le ceneri derivano da lave polverizzate che possono essere trasportate a grandissima distanza.

Per concludere vorrei ricordare che, durante l’eruzione catastrofica del 1883 del Krakatoa (Indonesia), un vulcano allo stato di caldera attiva dell'isola indonesiana di Rakata, posto nello stretto della Sonda fra le isole

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di Sumatra e Giava; il nome Krakatoa viene anche usato per riferirsi al gruppo di isole circostanti, che costituiscono i resti di un'isola molto più grande costituita, prima della catastrofica eruzione del 1883, da tre distinti picchi vulcanici. L’eruzione distrusse i 2/3 dell’isola; venne lanciata in aria una gran quantità di materiali. Le ceneri rimasero in aria, nella stratosfera, per tre anni e in tutto il mondo si videro crepuscoli con una colorazione particolare (“crepuscoli rossi”).

esempi di bombe vulcaniche e proietti

Non possiamo p erò dimenticare, in chiusura di questa breve “conv ersazione ” un “effetto colla te rale ” dei sommovimenti che riguardano il nostr o vulcano : l e numerose eruzioni d el 2021 ne hanno fatto aumentare l'altezza . Gli eventi succedutisi nell ’an no, oltre cinquanta epi sodi parossistici dal 16 febbraio , hanno accumulato notevoli quantità di materiale piroclastico e strati di lava sul cono del Cratere di Sud - Est - il più giovane e più attivo dei quattro crateri sommitali dell ’Etna. Questo h a portato ad un ragguardevole cambiamento nel profilo .

Da quarant ’ anni la vetta del Monte Etna, il vulcano più alto del continente europeo, era il Cratere di Nord - Est. A f ine luglio, grazie all’analisi e all’elaborazione delle immagin i satellitari, si è visto che il cratere di Sud - Est lo ha superato in altezza ( ha raggiunto i 3357 metri) .

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L La a s stteelllla a d deel l m maattttiinno o Quando il sole il mattino alza la testa, vedo laggiù in fondo al mare una stella luccicare.

Fulgore celeste amore sei tu, che presto giungi a portare le cose belle da donare!

Getti luce nella foschia, come sole che a terra giunge per le nubi splendono le tue vesti di candore.

Aria pura di creazione, tu sei speranza al peregrinar sulla. Terra.

E quanta tenerezza percepisco d’allora nel costruire questo.

Stella di speranza

Verso il sole grande dell’amore.

Bella m’appare Venere a oriente e tu amore che ne sai?

Spegne le stelle il ciel senza di te.

Il sole non può aspettare ch’io abbellisca il tramonto senza sognare, magia forte rapisce la sorte nella notte.

Giuseppe Valenti

a a n ntto ollo o g giia a

’’ n na a j jaarrg

giia a

’A vju ’a jargia ammenzu ai cosi vecchi ammunziddati nta ’na cammiredda: ’na jargitedda ’i ferru anniricatu cu’i barretti di lignu, a purticedda ca si teni cu’n chiovu arriggiratu, a buttigghiedda ’i l’acqua, ’a mangiatura.. ..e c’è ’a scagghiola nta ’na sacchitedda. Teh, ca ancora ci pensu, all’acidduzzi, unu chiù forti, l’autru nicareddu.. ca mi davanu vera cumpagnia: c’era ’u cardiddu e c’era ’u rappareddu;

..’u rappareddu, ca si nni vulava s’iddu ’u nisceva, libbiru nt’a casa,..

.. di lu cardiddu, invece, sentu ancora la sò canzuni: di prima matina dda vuci bedda, ricca, supraffina.

Attagghiu ò finistruni, supra ’u muru ddi du’ chiova p’a jargia s’arruggiaru; tuttu ’u munnu di tannu si pirdìu, ’a jargia è nta n’agnuni, abbannunata .. comu ddi beddi sp’ranzi ch’arristaru sognu ca l’uri di ddu tempu miu si nni fujeru, e mi scurau ’a jurnata.

(da “Ritorni”) Rosario Musmeci

Amarcord… Come eravamo…

Riprenderemo, magari senza un filo logico, “scavando” tra le raccolte di più che cent’anni di storia della nostra scuola, situazioni, eventi, trionfi e sconfitte: documenti di vita. E non sarà un inutile, sterile ritorno al passato. Ritrovare quel che si era non è un semplice conversare tra amici ma uno stimolo a ricreare un mondo nella vita nostra di tutti i giorni e di quelli che verranno. Perché gli ideali si concretizzano nel modo d’essere: in ogni cosa che avviene “da noi” perché l’abbiamo voluta. Anche il Carnevale, che ad Acireale torna “quasi” ad essere quel che era prima della pandemia: come lo vivevamo “allora” e come, con gli stessi sentimenti, potremmo riviverlo ora Allora: ecco, nelle pagine che seguono, il primo anello della catena, tratto da IN AEVUM, aprile 1958!

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