IN Aevum n. 43

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NATALE

Salvatore Quasimodo

Natale. Guardo il presepe scolpito, dove sono i pastori appena giunti alla povera stalla di Betlemme. Anche i Re Magi nelle lunghe vesti salutano il potente Re del mondo. Pace nella finzione e nel silenzio delle figure di legno: ecco i vecchi del villaggio e la stella che risplende, e l'asinello di colore azzurro. Pace nel cuore di Cristo in eterno; ma non v'è pace nel cuore dell'uomo. Anche con Cristo e sono venti secoli il fratello si scaglia sul fratello. Ma c'è chi ascolta il pianto del bambino che morirà poi in croce fra due ladri?

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Auguri di Natale? Ne vale la pena? Perché?

Editoriale

lascuoladel terzomIllennIo

E’ vero, come “liceo scientifico paritario San Michele”, game over, siamo fuori. Inutile discutere sulle occasioni perdute, su sogni. A pensarci bene, ad Acireale la scuola cattolica avrebbe potuto avere un avvenire. Senza tornare alle parole, un po’ accorate e un po’ sferzanti, di don Salvatore Pappalardo (IN AEVUM 38, maggio 2020). Ma si sarebbe potuto costituire, con riferimento alle “realtà” esistenti in Acireale, un “mondo” articolato su tre poli coordinati di “scuole d’ispirazione cattolica”, elementari e medie, professionali, secondaria di secondo grado; eventualmente coordinandosi con le paritarie di Catania. Anche ai fini fiscali e dei contratti con il personale. Ma è andata com’è andata. Bene. Ma non possiamo dimenticare che la scuola cattolica è ancora viva in Italia, con molti istituti e molte migliaia di alunni. Ecco.

Valide sono, comunque, ancore le idee che i docenti di formazione cattolica possono portare nelle scuole che li vedono protagonisti. Mi sembra buona cosa, a tal proposito, riportare qualche stralcio dal documento “la scuola cattolica alle soglie del terzo millennio”, del dicembre 1997. Si parla di “scuola cattolica”, ma sono idee valide per ogni “scuola” che voglie essere maestra di vita. Lascio, per chi vuol trovare riferimenti precisi al testo, l’indicazione dei paragrafi.

10. Il contesto socio-culturale odierno rischia di mettere in ombra « il valore educativo della scuola cattolica, nel quale, fondamentalmente, risiede la sua principale ragion d'essere e per il quale essa è autentico apostolato ». Infatti, se è pur vero che negli ultimi anni vi è stata una forte attenzione ed una accresciuta sensibilità da parte dell'opinione pubblica, delle organizzazioni internazionali e dei governi alle questioni della scuola e dell'educazione, va anche notata una diffusa riduzione dell'educazione agli aspetti puramente tecnici e funzionali. Le stesse scienze pedagogiche ed educative sono apparse più ferme sul versante della ricognizione fenomenologica e della pratica didattica, che non su quello della valenza propriamente educativa, centrata su valori ed orizzonti forti di significato. La frammentazione dell'educazione, la genericità dei valori, a cui di frequente ci si appella ottenendo ampio e facile consenso, a prezzo, però, di un pericoloso offuscamento dei contenuti, tendono a far ripiegare la scuola in un presunto neutralismo, che snerva il potenziale educativo e si riflette negativamente sulla formazione degli allievi. Si vuole dimenticare che l'educazione presuppone e coinvolge sempre una determinata concezione dell'uomo e della vita. Alla pretesa neutralità scolastica corrisponde, il più delle volte, la pratica rimozione, dal campo

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della cultura e dell'educazione, del riferimento religioso. Una corretta impostazione pedagogica è invece chiamata a spaziare nel territorio più decisivo dei fini, ad occuparsi non solo del « come », ma anche del « perché », a superare il fraintendimento di una educazione asettica, a ridare al processo educativo quella unitarietà che impedisce la dispersione nei rivoli delle diverse conoscenze e acquisizioni e mantiene al centro la persona nella sua identità globale, trascendentale e storica.

da un libretto di “cartoline illustrate” in uso negli anni circa il 1930

19. (…) L’'insegnante, infatti, non scrive su materia inerte, ma nello spirito stesso degli uomini. Assume, perciò, un valore di estrema importanza la relazione personale tra insegnante ed alunno, che non si limiti ad un semplice dare ed avere. Inoltre si deve essere sempre più consapevoli che gli insegnanti ed educatori vivono una specifica vocazione cristiana ed una altrettanto specifica partecipazione alla missione della Chiesa e « che dipende essenzialmente da essi, se la scuola cattolica riesce a realizzare i suoi scopi e le sue iniziative»

20. Nella comunità educativa hanno un ruolo di speciale importanza i genitori, responsabili primi e naturali dell'educazione dei figli. Purtroppo oggi si assiste alla diffusa tendenza a delegare questo compito originario. Diviene così necessario non solo dare impulso alle iniziative che esortino all'impegno, ma che offrano un sostegno concreto e corretto e coinvolgano le famiglie nel progetto educativo della scuola cattolica. Obbiettivo costante dell'educazione scolastica è quindi l'incontro ed il dialogo con i genitori e le famiglie, che va favorito anche attraverso la promozione delle associazioni di genitori, per definire con il loro insostituibile apporto quella personalizzazione che rende efficace la progettualità educativa.

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la LA FELICITÀ

pensieri di papa Francesco

Puoi avere difetti, essere ansioso e perfino essere arrabbiato, ma non dimenticare che la tua vita è la più grande impresa del mondo.

Solo tu puoi impedirne il fallimento. Molti ti apprezzano, ti ammirano e ti amano.

Ricorda che essere felici non è avere un cielo senza tempesta, una strada senza incidenti, un lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni.

Essere felici significa trovare la forza nel perdono, la speranza nelle battaglie, la sicurezza nella fase della paura, l'amore nella discordia.

Non è solo godersi il sorriso, ma anche riflettere sulla tristezza. Non è solo celebrare i successi, ma imparare dai fallimenti.

Non è solo sentirsi felici con gli applausi, ma essere felici nell'anonimato.

Essere felici non è una fatalità del destino, ma un risultato per coloro che possono viaggiare dentro se stessi.

Essere felici è smettere di sentirsi una vittima e diventare autore del proprio destino.

È attraversare i deserti, ma essere in grado di trovare un'oasi nel profondo dell'anima.

È ringraziare Dio ogni mattina per il miracolo della vita.

È avere la maturità per poter dire: "Ho fatto degli errori".

È avere il coraggio di dire "Mi dispiace".

È avere la sensibilità di dire "Ho bisogno di te".

È avere la capacità di dire "Ti amo".

E quando commetti un errore, ricomincia da capo.

Perché solo allora sarai innamorato della vita.

Scoprirai che essere felice non è avere una vita perfetta.

Ma usa le lacrime per irrigare la tolleranza.

Usa le tue sconfitte per addestrare la pazienza.

Usa i tuoi errori con la serenità dello scultore.

Usa il dolore per intonare il piacere.

Usa gli ostacoli per aprire le finestre dell'intelligenza. Non mollare mai.

Soprattutto non mollare mai le persone che ti amano. Non rinunciare mai alla felicità, perché la vita è uno spettacolo incredibile.

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LA DIOCESI DI ACIREALE 150 ANNI DI STORIA

La costituzione della Diocesi di Acireale, com’è noto, risale al 27 giugno 1844, annunciata con la Lettera Apostolica “Quodcumque ad Catholicae Religionis incrementum” del pontefice Gregorio XVI. Il lungo tormentato iter che portò all’erezione della nuova Diocesi di Acireale e all’attesa di ben 28 anni per l’esecuzione di quanto disposto sono stati ampiamente descritti e con il supporto di fonti sicure dal prof. Cristoforo Cosentini con la pubblicazione del discorso celebrativo per il primo centenario della Diocesi il 12 novembre 1972 nella Cattedrale e da Giuseppe Contarino nella pregevole opera “Le origini della Diocesi di Acireale e il primo Vescovo”. Nell’anno 2009 don Giovanni Mammino ha curato la storia della Diocesi all’interno del volume “Storia delle Chiese di Sicilia”, coordinato da Gaetano Zito, accompagnata da una puntuale bibliografia. (da: Accademia di Scienze Lettere e Belle Arti degli Zelanti e dei Dafnici Acireale, Memorie e Rendiconti, Serie V- Vol. VIII, Acireale 2009) [nota di Giovanni Vecchio, come introduzione al proprio studio sull’argomento, sul sito internet dell’Accademia].

Gerlando M. Genuardi Ven. G. Battista Arista Antonino Raspanti (1872- 1907)
(1911-1920) (dal 2011)
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L L a a r r a a p p p p r r e e s s e e n n tt a a z z ii o o n n e e d d e e llll a a N N a a ttii v v iitt à à

dai primi

secoli dell'era cristiana fino alla metà del XX secolo

di Giovanni Vecchio

La rappresentazione della Natività è testimoniata sin dai primi secoli dell'era cristiana in affreschi, bassorilievi, incisioni su pareti, sarcofagi e formelle inseriti negli edifici di culto, ma non si tratta ancora di presepi. Il termine presepe viene riferito alle rappresentazioni plastiche a tutto tondo della nascita di Gesù, con l'aggiunta dell'annuncio ai pastori, dell'adorazione dei pastori stessi e dei magi.

Il Cusimano sostiene che il passaggio dalla esecuzione delle figure in pietra a quelle in legno a tutto tondo può essere considerato l'atto di nascita del presepio vero e proprio. Le sacre rappresentazioni medievali hanno un loro sviluppo fino alla Controriforma o Riforma Cattolica quando si cercò di frenare gli abusi e si preferì la rappresentazione fissa con personaggi stabili. Antonino Uccello nella sua fondamentale opera Il presepe popolare in Sicilia sostiene che l'arte del presepe si sia <cristallizzata> quando il popolo cominciò a ritualizzare le processioni natalizie con l'intenzione di riprodurre <animatamente> la Natività, l'Epifania, l'adorazione dei pastori e dei magi e altri episodi neotestamentari. Le figure umane furono sostituite più tardi da statuette portatili. In seguito la processione delle immagini si

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<bloccò> e si materializzò atrtraverso l'uso di presepi nelle chiese, nei conventi e persino nelle case private.

Nel Seicento, che vide l'affermazione del barocco, il presepe trovò ampia diffusione e si arricchì di ambienti (edifici sontuosi), personaggi (uomini e donne con costumi sfarzosi, soggetti esotici al seguito dei magi) ed effetti speciali. L'iconografia settecentesca, invece, perde un po' della fastosità e del modo di sentire spettacolare che l'aveva distinta nel secolo precedente per divenire più bucolica e pastorale.La sontuosità degli edifici cede al paesaggio, e al posto dei re fastosi insorgono i pastori e la gente umile che, come i re, si avviano ad adorare Gesù. Il secolo XVII dà preferenza ai temi secondari, aneddotici e popolari. La Natività, nel presepe settecentesco, è piuttosto un pretesto per introdurre rovine, pastorelle, contadini, angeli barocchi, dame, nobili e suonatori. Nel Settecento si diffonde progressivamente il presepe familiare, costruito e smontato di anno in anno, mentre quelli rinascimentali e barocchi, particolarmente pregiati, potevano essere variamente adornati ma la scena di base restava fissa.

Nel periodo romantico l'annualità del presepe si affermerà definitivamente e pertanto di anno in anno il presepe veniva costruito e poi smontato o distrutto per rifarlo ex novo l'anno successivo. Si svilupparono così delle arti minori che rispondevano al bisogno di disporre di pastori, addobbi e ingegnosità varie. Molti artigiani infatti, vista la richiesta, si specia-

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L’Epifania sull’altare maggiore della chiesa di Santa Venera in Santa Venerina (1903) lizzarono nella creazione di statuine di terracotta, di legno, di gesso a basso costo per il presepe familiare, di teste e mani di cera o di cartapesta per i presepi delle chiese con personaggi ad altezza naturale o quasi.

La tendenza si è protratta fino alla metà del XX secolo quando è sopravvenuta la produzione industriale in serie che ha fatto scomparire definitivamente tra gli anni Cinquanta e Sessanta i maestri artigiani del settore. Come dimostra Antonino Uccello, questo tipo di presepe veniva ad essere la miniatura della vita sociale e artistica dell'epoca, con l'intromissione a volte di personaggi storici, quali soldati napoleonici, garibaldini, ecc., o l'introduzione dei primi fanali a gas, degli impianti elettrici o telegrafici. Sicché il presepe perdette il suo carattere ecclesiastico e paraliturgico per divenire un passatempo devoto, figlio della pietà personale. Il presepe, dunque, si caratterizza per la teatralizzazione delle composizioni plastiche e per la netta caratterizzazione naturalistica della modellazione dei personaggi. Giuseppe Pitrè e Carmelina Naselli ci hanno descritto le molteplici tipologie dei personaggi e degli elementi del paesaggio riscontrabili nei presepi apparecchiati nelle case siciliane tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento: altrettanto ha fatto Antonino Uccello fino agli anni Settanta.

Ai giorni nostri il Natale o viene rappresentato soltanto con l'albero o addirittura subisce una metamorfosi totale come “festa dei regali” massicciamente sponsorizzata dalla pubblicità commerciale, e il Festeggiato, ovvero Gesù Bambino, viene addirittura ignorato. Quanta nostalgia per il presepe fatto in casa di fronte al quale ci si riuniva per le preghiere e i canti tradizionali!

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IgNo-bis

Assegnati come ogni anno a metà settembre i premi IgNobel.

Si tratta di un riconoscimento ricevuto da autori di ricerche aventi tematiche strane, divertenti, e perfino assurde (ma svolte del tutto serissimamente e rigorosissimamente tanto che gli articoli sono pubblicati su riviste scientifiche autorevoli), che "prima fanno ridere e poi danno da pensare” (come è il motto del premio).

Per capirci riportiamo qui di seguito qualche esempio di questa tipologia di ricerche (che giustifica anche il nome del premio -chiaro gioco di parole fra Nobel e Ignobile-). Nel 1995, per la Medicina, furono premiati Marcia E. Buebel, David S. Shannahoff-Khalsa e Michael R. Boyle, per il loro studio su Effetti sulla cognizione della respirazione forzata da una sola narice. Nel 2002, per la Matematica, furono premiati K.P. Sreekumar e G. Nirmalan dell'Università Agraria Kerala, India, per il loro studio analitico Stima della superficie totale dell'elefante indiano. Nel 2003, per la Fisica, furono premiati Jack Harvey, John Culvenor, Warren Payne, Steve Cowle, Michael Lawrance, David Stuart e Robyn Williams dall'Australia, per il loro studio Analisi delle forze necessarie per trascinare una pecora su diverse superfici. Nel 2012, per la Psicologia, furono premiati Anita Eerland, Rolf Zwaan e Tulio Guadalupe, dei Paesi Bassi, per il loro studio Piegarsi a sinistra fa sembrare la Torre Eiffel più piccola.

E potremmo continuare con tanti altri, anche italiani. I premi, che non consistono in denaro, sono sponsorizzati dalla rivista scientifica-umoristica statunitense Annals of Improbable Research (AIR), e sono consegnati in una cerimonia di presentazione al pubblico, scherzosa anch’essa, anche da vincitori di veri premi Nobel. A distanza di pochi giorni dalla cerimonia si

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hanno le Ig Informal Lectures (lezioni informali) al MIT (Massachussets Institute of Technology) di Boston in cui i ricercatori premiati possono seriamente illustrare al grande pubblico i risultati e l'importanza delle proprie ricerche.

Quale è la singolarità (che riguarda l’Università di Catania) dei premi assegnati in questo 2022?

Nel 2010, per il Management, furono premiati Alessandro Pluchino, Andrea Rapisarda e Cesare Garofalo dell'Università di Catania, per il loro studio The Peter Principle Revisited. A Computational Study. Essi hanno preso spunto dal principio di Peter che, formulato nel 1969 dallo psicologo canadese Laurence J. Peter (da cui ha preso il nome), in un libro dal titolo The Peter Principle, riguarda la evoluzione delle carriere fondata sul merito nelle organizzazioni gerarchiche. Per esso la riuscita in certi compiti per via di determinate competenze porta all’affidamento di compiti sempre più difficili, fino a che si raggiunge il proprio ‘livello di incompetenza’, cioè un grado finale di incapacità specifica per un certo livello di complessità del compito (principio poi generalizzato nel 1970 da William R. Corcoran come ‘Ogni cosa che funziona per un particolare compito verrà utilizzata per compiti sempre più difficili, fino a che si romperà’). Pluchino e gli altri nel loro citato studio hanno dimostrato matematicamente che le organizzazioni diventerebbero più efficienti se promuovessero persone a caso più che per merito, perché la casualità supera in efficienza ogni altro criterio usato per le "promozioni" gerarchiche. Concetto da loro poi sviluppato in ambito di dinamiche politiche (con la ricerca Accidental politicians: How randomly selected legislators can improve parliament efficiency) e poi anche divulgativamente nel testo A. Pluchino, A. Rapisarda, S. Spagano, M. Caserta, C. Garofalo, Democrazia a sorte. Ovvero la sorte della democrazia, Catania, Malcor D’, 2012. In questo ambito gli Autori, partendo dal presupposto che nel caso dei Parlamenti l’efficienza dipenda da due parametri (numero di leggi approvate e impatto sul benessere sociale), hanno dimostrato con dei modelli di simulazione ad agenti, come un rilevante ruolo per l’efficienza dei Parlamenti stessi può essere assicurata dalla scelta casuale (a sorteggio) dei parlamentari.

Nel 2022 nuovamente (e questa è la singolarità) ancora loro stati premiati!

Alessandro Pluchino e Andrea Rapisarda, (questa volta con Alessio Emanuele Biondo) hanno ricevuto il premio per la loro ricerca Talent vs. Luck: The Role of Randomness in Success and Failure (Talento contro Fortuna, Il ruolo della casualità nel successo e nel fallimento), ripresa da prestigiose testate internazionali quali MIT Technology Review, Scientific American, Sunday Times, Die Welt, Forbes e The Irish Times, e anch’essa a

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sua volta poi più chiaramente spiegata per il grande pubblico nel libro divulgativo di A. Pluchino, A.E. Biondo, A. Rapisarda, Talento e Fortuna. Gli ingredienti del successo, Malcor'D, 2019.

Con questa ricerca, sempre mediante l’ausilio di un modello matematico ad agenti, simulato numericamente al computer, gli Autori hanno potuto quantificare il ruolo del caso nel raggiungimento del successo di un certo numero di persone con talento distribuito secondo una curva a campana (al pari di come è il quoziente di intelligenza). Gli agenti, con un capitale iniziale uguale per tutti, dopo incontri casuali con eventi positivi (che comportano il raddoppio di capitale di ognuno con una probabilità proporzionale al proprio talento) e negativi (che comportano invece un dimezzamento del proprio capitale), finiscono per riprodurre la famosa legge

di Pareto, in base a cui il 20% della popolazione possiede l’80% della ricchezza totale. E il risultato più interessante –e apparentemente paradossale (tanto che può dirsi, in tema con i premi IgNobel, dato che prima sorprende e fa sorridere e poi induce a riflessioni più profonde) è quello per cui le persone che raggiungono il maggiore successo, nell’arco di una carriera di 40 anni, non sono quasi mai quelle più di talento, ma le più fortunate e con un talento poco sopra la media. Come dire che il talento è necessario, ma non sufficiente per avere successo.

La cerimonia di consegna del premio (che di solito è ospitata nel prestigioso Sanders Teather della Harvard University di Boston) in questo 2022, causa precauzioni per il covid-19 è avvenuta in streaming, ma non è stata meno interessante, dato che gli Autori hanno presentato i loro risultati in un video.

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La terminologia ‘Poesia Sepolcrale’ definisce un gruppo di opere composte nel secolo XVIII e all'inizio del XIX, in cui le meditazioni ispirate dalle sepolture costituiscono una parte prevalente ed essenziale. Questo genere poetico si ispira à quello della notte e delle rovine con cui talora si confonde: e, secondo quanto la poesia ossianica, attesta nel sec. XVIII, l'aspirazione a una poesia più intima di quella classicistica, e, molto spesso, nella stessa ricerca d'intimità, una mancanza d'intimità vera, che traspare dall'ostentazione del sentimento e dall'insistenza su immagini di facile effetto.

Non va altresì trascurato che la diffusione di tale genere letterario è coeva ai dibattiti che sorsero, in Italia e in Francia soprattutto, intorno alla sistemazione dei cimiteri che sulla fine del secolo XVIII e al principio di quello successivo cominciarono a poco a poco ad assumere la configurazione attuale: si consideri ancora che in quel genere di poesia e nel singolare apprezzamento che essa conseguì è possibile evidenziare alcune manifestazioni peculiari della religiosità del secolo, che non di rado si sofferma sul pensiero della morte per trarne con compiacimento sentimenti lugubri o melanconici e che talora invece sente e celebra il sepolcro come consacrazione di virtù civili e politiche.

di Nando Costarelli
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Alla letteratura inglese e protestante appartengono i primordiali esempi della poesia sepolcrale: del Parnell, ad esempio, Night-Piece on Death (1712-13) è una meditazione notturna ambientata in un cimitero sui temi dellla morte e dell'immortalità dell'anima e sulle vanità dei riti funebri; ed ancora, il poema The grave (1743) di Blair descrive con evidenti fini di edificazione i differenti e più paurosi aspetti della morte. Maggiore risonanza assunsero i Night thoughts (1742-43) dello Young, che effettivamente rientrano soltanto parzialmente nel genere della poesia sepolcrale: nel terzo di tali poemetti, infatti, è contenuta la descrizione della morte e dei funerali di Narcisa, figlia del poeta: tali opere fornirono alla poesia sepolcrale ragioni di dibattito sul tema dei destini dell'uomo, la morte, l'immortalità, ecc.; le Meditations among the tombs (1748) di Hervey, che in prosa poetica espone le sue pie riflessioni presso i sepolcri di un edificio ecclesiastico rurale, e la Elegy written in a country church-yard (1742-50) del Gray che, diversamente dalle precedenti opere, non contiene propositi di edificazione come ogni pensiero dell'oltretomba e ritrae un momento di raccoglimento del poeta, il quale in un cimitero di campagna pensa al destino di quegli umili ivi sepolti e, con contenuta melanconia, a quella di tutti gli uomini e di sé medesimo. Queste tre opere, di cui presto si ebbero numerose traduzioni, ispirano l'abbondante letteratura sepolcrale della seconda metà del secolo, che dello Young e dell’Hervey, nonché dei loro predecessori, dimentica per lo più i propositi di edificazione, dagli stessi ricavando, non meno che dal "filosofo" Gray, esempi di ispirazioni pessimistiche ed immagini funeree. Vivace fu il successo di tale genere letterario in Germania, Francia e in Italia.

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Nuovo ulteriore impulso a questa letteratura fu offerto degli eventi della rivoluzione francese, che da una parte, contrastando credenze tradizionali, provocarono reazioni sentimentali in favore del culto dei defunti e dall'altra appoggiarono con favore il sorgere di un culto laico dei grandi benemeriti della nazione (come attestano l'istituzione del Pantheon ed il trasporto trionfale dei resti umani del Voltaire e del Rousseau in tale sede). Un'eco evidente di questi sentimenti risuona, per esempio, nel poema La sépulture (1797) del Legouvé, che presenta nella propria struttura singolari analogie con i Sepolcri foscoliani ed è una rivendicazione

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della funzione civile dei sepolcri, e in alcune parti del poema L'imagination (1806) del Delille, che descrivono il conforto che i vivi trovano con le visite ai sepolcri contenenti i resti mortali dei propri cari: e a propositi di reazione polemica, nei quali si confondono il gusto sepolcrale e la devozione alla religione degli antenati, si ispirano scritti come il saggio sui Cimiteri (1804) del Giovio e il poema rimasto interrotto sui Cimiteri di Ippolito Pindemonte. Da quella polemica prende le mosse, e la trascende, nei suoi Sepolcri , il Foscolo: questi, nella sua opera giovanile, dimostra di essersi nutrito della letteratura sepolcrale del secolo, e nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis (che hanno per epigrafe un verso del Gray nella versione latina e di due strofe del Gray fanno la parafrasi in un passo famoso) lascia trasparire assai più scopertamente che nel carme l'efficacia che quel genere letterario ebbe su di lui.

Ma se per gli altri poeti l'argomento sepolcrale rappresentò un episodio della loro attività letteraria o semplicemente il tributo a una moda, il motivo del sepolcro (che compare nei sonetti e ricomparirà nelle Grazie) costituì per Foscolo uno di quei motivi che un poeta porta con sé tutta la vita, come espressione peculiare della sua personalità. Nell'immagine del sepolcro, che congiunge insieme morte e vita, dolore e conforto, il pensiero della fragilità dell’essere umano e quello della perennità dei valori, egli riuscì a tradurre in poesia il suo complesso sentire e a raccogliere intorno a sé le sue idealità patrie ed eroiche e il suo pianto segreto. Da quell'immagine, in evidente risalto nei ‘Sepolcri’, pagina insigne della patria storia italiana e alta voce nel contesto della poesia universale, traspaiono il senso vichiano della tradizione storica e il culto alfieriano dell'eroe ed è possibile riconoscere, trasfigurate dalla fantasia foscoliana, immagini della poesia classica e immagini della più recente poesia sepolcrale: la maniera sepolcrale si tradisce appena nell'episodio della sepoltura abbandonata del Parini.

Coi Sepolcri del Foscolo, che, come opera di autentica poesia, esce dai limiti del genere sepolcrale, si può considerare compiuta la storia di quel genere letterario poetico: l'epistola del giovane Lamartine Les sépultures (1813) e i canti del Leopardi Sopra un bassorilievo antico sepolcrale e Sopra il ritratto di una bella donna (1836) riprendono i modi della poesia sepolcrale settecentesca e rappresentano una tardiva e sporadica eco di una poesia conforme ai gusti di un'età trascorsa.

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la musIca sacra nel novecento lorenzo perosI

(1872-1954)

di p. Salvatore Alberti d.O.

Il direttore perpetuo della Sistina

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La rassegna oratoriale di questo volume giunge al suo acme con il ricordo a Roma e in tutto il mondo di un sacerdote compositore, autore di innumerevoli oratori, musiche liturgiche, messe e mottetti. L’evento culminante sarà il 21.12. 2022, con un concerto all'interno della Cappella Sistina - il cui Coro Lorenzo Perosi diresse per 50 anni, dal 1902 al 1952 -, esattamente a 150 anni dalla sua nascita a Tortona.

Avviato alla musica dal padre, Giuseppe, maestro di cappella del Duomo della città, Lorenzo, come i suoi 5 fratelli, amò molto la musica. Il 6 marzo 1887 divenne terziario francescano; l’anno dopo entrò al Liceo Musicale di Santa Cecilia a Roma, e iniziò a seguire, per corrispondenza, un corso di studi del Conservatorio di Milano. Organista all’età di 18 anni, fu maestro di canto all'Abbazia di Montecassino, che lasciò nel 1891, per motivi di salute. L’anno successivo si diplomò in contrappunto al Conservatorio di Milano, e continuò a studiare a Ratisbona.

1 Da una intervista rilasciata a WIKIPEDIA 2022 dal maestro monsignor Vincenzo De Gregorio, direttore del Pontificio Istituto di Musica Sacra, già direttore del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli.

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Nel dicembre del 1893 divenne maestro di cappella a Imola, e l’anno seguente, direttore della Cappella Marciana di San Marco di Venezia. Nel 1895 venne ordinato sacerdote e, tre anni dopo, Papa Leone XIII lo nominò direttore perpetuo della Cappella Musicale Pontificia Sistina, carica che ricoprì fino alla morte, il 12 ottobre 1956.

Perosi ha lasciato un grande segno nella storia della musica perché, intanto era una personalità musicalmente dotata, già suo papà era maestro di cappella nella città natale, quindi ha assorbito la cultura musicale in famiglia, dove ha trovato terreno fertile. Inoltre, grazie al fatto che la sua esistenza si è mossa in grandi centri di cultura e di musica - studi musicali al Conservatorio di Milano, poi maestro di Cappella alla Basilica di San Marco a Venezia, e poi gli studi e il canto gregoriano a Montecassino dove decide di diventare prete – Egli ha potuto assorbire professionalmente tutte le abilità e le capacità necessarie per intercettare la musica del suo tempo.

La grandezza di Perosi non sta però solo nell'aver composto grande musica per la liturgia. Ha composto anche grande musica sinfonica e musica da camera e ha frequentato molto, come compositore, la famosa forma dell'oratorio. Una forma affermatasi già nel Medioevo, quando il dramma liturgico diventa per la Chiesa un mezzo di inculturazione e favorisce la partecipazione del popolo alla musica dei testi sacri. Nel tempo poi l'oratorio acquista forma narrativa: in fondo era teatro, teatro per la gente che, servendosi di testi sacri e non sacri, raccontava attingendo a piene mani dallo stile del tempo.

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Perosi, anche con l'Oratorio, interpreta quello che stava succedendo alla fine dell'Ottocento e all'inizio del Novecento in Europa, cioè un gran fermento: la grande musica, le grandi svolte che vanno dal teatro melodrammatico italiano alla grande epopea wagneriana. Quindi dimostra di essere un uomo molto curioso e attento, una sorta di carta assorbente per tutti gli stili e le novità che si stavano affermando in quell'epoca.

Tutt'altro che chiuso, come lui si definiva, nelle vesti di un "povero prete": è stato un personaggio dalla capacità artistica e dall'intelligenza musicale straordinaria. Il filo rosso è costituito dai suoi luoghi natii e di appartenenza professionale, a cominciare da Tortona, sua città natale, con la diocesi in prima linea. Da qui la diffusione dei concerti e la loro risonanza sarà - ritengo - a pelle di leopardo, nel senso che lì dove la sensibilità musicale, la frequentazione musicale è pratica quotidiana come nei paesi mitteleuropei, tutto diventa molto più semplice.2

Grazie al fatto di avere scritto tantissimo per la liturgia e, ovviamente in particolare per i seminaristi, per le voci pari, non c'è prete di una certa età che da giovane non abbia eseguito e cantato qualche Messa di Perosi. Quindi la più nota delle sue produzioni è quella liturgica, con le Messe in particolare. Ma il capitolo più rilevante della sua musica riguarda gli Oratori, che sono stati apprezzatissimi e stimatissimi.

La vecchia maestra, Emilia Gubitosi, fondatrice della Associazione Scarlatti di Napoli, si faceva vanto, onore e merito di aver eseguito tutti gli Oratori di Perosi nelle stagioni sinfoniche di quell’Associazione, fino a ridosso della Seconda Guerra Mondiale.

Quale impronta ha lasciato il maestro Perosi nella

Sistina?

Nella Cappella Sistina Perosi aveva un doppio compito: sia quello di dirigere il coro, preparandone la concertazione per le celebrazioni pontificie, sia quello di scrivere. E quindi aveva un grande vantaggio: avere a sua disposizione lo strumento per il quale scrivere e questo creava ovviamente anche uno stimolo a scrivere tanto per un magnifico coro, la più antica istituzione musicale che ancora oggi esista senza soluzione di continuità.

Teniamo però anche presente che il contesto era del tutto diverso dal nostro. Il Papa non celebrava in San Pietro, le celebrazioni di piazza non esistevano e anche il pubblico era ridotto numericamente, niente a che vedere con le celebrazioni odierne di massa che impongono altri criteri ed esigono altre scelte. Dunque non possiamo

2 Cfr intervista di WIKIPEDIA, a Mons. Giuseppe De Gregorio: “Invece in Italia, ad es., dove la musica è negletta tra le proposte pubbliche, e la grande musica, la musica colta, non è il pane quotidiano, allora [forse?] l'anno perosiano finirà per essere un "incidente di percorso" che non scuoterà più di tanto gli appassionati, perché non esistono le strutture musicali per farlo. Comunque Tortona darà inizio al percorso perosiano e poi insieme ci sarà la Cappella Sistina e poi ancora, la Cappella Marciana di Venezia e tutti i luoghi cari al compositore”.

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non contestualizzare la figura di Perosi: volendolo valutare con i criteri di oggi e con le celebrazioni pontificie della Cappella Sistina di oggi, andremmo fuori pista. Cosa ci dice la musica di Perosi uomo di Dio, uomo di fede?

Ci svela una pietà solida: intendo una persona che dà spazio nella propria vita alla preghiera, all'aspetto della spiritualità, al legame con la vita della Chiesa, e Perosi da questo punto di vista era un uomo di una sensibilità e di una spiritualità immensa che ha riversato lì dove lui poteva riversarla, vale a dire nella musica. Da questo punto di vista Lorenzo Perosi per un verso presenta tutte le caratteristiche di un prete che cerca di rimanere nell'ombra. D'altra parte io credo anche che soffrisse in qualche modo perché le risorse interiori che aveva, le capacità compositive, non potevano non portarlo ad andar fuori dai suoi confini perché era un musicista talmente grande, talmente musicale che gli potevano sicuramente rimanere un po' stretti i suoi compiti, quelli assolti nel corso della sua esistenza.

Noi abbiamo in Italia un tessuto connettivo che appare poco ma è straordinario, - prosegue De Gregorio -, anche se ovviamente con tante diversità di situazioni. Si tratta del tessuto connettivo dei cori delle parrocchie, che in Italia sono oltre 22 mila, e tanti sono cori attivi e professionali. Allora il mio auspicio è che ci sia un tentativo di fare corpo, di distribuire sul territorio iniziative incoraggianti e così rinverdire la storia meravigliosa di questa musica alla quale il maestro Perosi ha dato un grande impulso. Grazie a Perosi la bellissima musica della metà del Novecento è stata ascoltata in tutti gli angoli d'Italia, perché dappertutto si cantavano le sue composizioni polifoniche, orchestrali e organistiche.

Il problema è il linguaggio! Il linguaggio musicale di Perosi è sicuramente colto e come sempre, quando un linguaggio è veramente colto, è anche semplice e immediato. Andando a vedere bene penso che, ancora una volta, l'arte, anche la sua, ci parli di spiritualità. In fondo credo che la bella musica scritta da Perosi, per voci, cori e insieme, compia l'opera che è assegnata all'arte: alzare lo sguardo oltre l'orizzonte.3

Gli oratori di Lorenzo Perosi: La passione di Cristo secondo S. Marco (1897); La trasfigurazione di Cristo (1898); La risurrezione di Lazzaro (1898); La risurrezione di Cristo (1898); Il Natale del Redentore (1899); L'entrata di Cristo in Gerusalemme (1900); La strage degli Innocenti (1900); Mosè (1901); Stabat Mater (1904); Il giudizio universale (1904); Dies Iste (1904); Transitus Animæ (1907); In patris memoriam (1909); Vespertina Oratio (1912); Le Sette Parole di N.S.G.C. sulla Croce (1913); La Samaritana (1913); In diebus tribulationis (1916); Il sogno interpretato (1928); In fratris memoriam (1930); In Transitu Sancti Patris Nostri Francisci (1937); Natalitia (1937); Il Nazareno (1950).

3 Cfr Wikipedia, 2022; v. anche documenti, n. 21, pp 276-282

Quale può essere anche oggi il messaggio della sua musica?
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tempo di bilanci: il corsodiinformatica

Avevamo presentato questi corsi sul n. 38 di IN AEVUM con una punta di orgoglio. Di solito un’associazione di ex-studenti è una sorta di nostalgico “luogo della memoria”; noi sammichelini ci eravamo proposti esperienze nuove: al servizio della comunità, dicevamo.

La collaborazione con la S.T. Microelectronics di Catania, grazie al dott. Francesco Litrico ed il dott. Santo Vanadia, ci ha permesso di ottenere in uso una moderna aula informatica da 10 postazioni e la formazione di docenti individuati tra i nostri associati. Sapevamo infatti che mission della S.T. Microelectronics Foundation è ridurre il divario digitale esistente sia tra le diverse regioni del globo, che tra le diverse fasce di una data società (ricchi-poveri; giovani-anziani …).

Così la nostra Associazione, con il grande contributo dei PP Filippini, ha potuto aiutare molti soggetti “tecnologicamente arretrati” nell’accostarsi a tutte quelle nozioni prodromiche ad un uso quotidiano del personal computer. In qualche modo abbiamo ricreato, all’interno del Nostro Istituto, una sorta di “Oratorio Filippino” dell’informatica. Nel mese di giugno scorso si è concluso l’ultimo dei corsi organizzati da noi. Diverse diecine di persone hanno potuto scoprire le bellezze di un mondo che è il “nuovo modo” dell’essere vivaci partecipi della vita d’ogni giorno.

Lo ripetiamo. L’emozione più bella che abbiamo vissuto è quella di vedere persone, anche avanti con l’età, padroneggiare i diversi metodi e applicativi di videoscrittura o di calcolo, inviare email e (perché no?) connettersi anche con i propri nipoti tramite Facebook.

Possiamo dire.. “missione compiuta”? Adesso ci attendono altre, stimolanti avventure.

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Amarcord… Come eravamo…

Abbiamo ripreso, “scavando” tra le raccolte di più che cent’anni di storia della nostra scuola, situazioni, eventi, trionfi e sconfitte: documenti di vita. E non si tratta di un inutile, sterile ritorno al passato. Ritrovare quel che si era non è un semplice conversare tra amici ma uno stimolo a ricreare un mondo nella vita di tutti i giorni nostra e di quelli che verranno. Perché gli ideali si concretizzano nel modo d’essere: in ogni cosa che avviene “da noi” perché l’abbiamo voluta. Ecco, nelle pagine che seguono, un altro anello della catena, tratto da IN AEVUM, luglio-ottobre 1957: è la cronaca del secondo convegno dell’Associazione Ex-Alunni…

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