la brigata ed il mito

Page 1

Antonello Mocci

Storia di vita e di militari


varie parti d'Italia, ma perlopiù erano eventi sporadici. Avevo seguito dall'esterno le manifestazioni fino al 2010 ... veniva consegnata una Targa, ma l'apprezzamento del pubblico, il coinvolgimento degli studenti presenti, "vero futuro del Paese" e l'emozione dei Militari che lo ricevevano, mi spinse a guardare oltre. Letto lo statuto della Federazione dei Mdl, e considerato che esisteva già un "nastrino", mai indossato da un militare, prospettai al Mdl Giacometti, di considerare la possibilità di avviare dei contatti col Ministero della Difesa. Venne redatta una Tesina di presentazione del progetto, che il Mdl Giacometti portò al Quirinale nel dicembre 2010 consegnandola nelle mani della dott.ssa Grazia Graziani, dando inizio ad un percorso che ci ha portato fino ad oggi. Nel manifestazione del 2011 venne letta la comunicazione del Sig. Presidente della Repubblica inviata alla dott.ssa Giacometti, del Ministro del lavoro On. Sacconi; sul palco l'onorevole Carmelo Porcu intratteneva tutti, riscuotendo tantissimi applausi. Un grande successo, e per la prima volta la Manifestazione si apriva con l'Inno Nazionale. Ancora più grande fu il risultato del 2012, ove venne finalmente consegnata la tanto "ambita" decorazione...aveva un valore simbolico, ma eravamo ad un passo dal risultato finale.

ll valore di essere un militare attraverso una parabola di storia e di vita.

Q

uale socio laico scrivo per la prima volta nel nostro sito. Volutamente, ho lasciato trascorrere del tempo ... prima di iniziare, perché era giusto e doveroso, leggere la storia del Premio nelle Sue varie sfaccettature, e comprendere cosa il Mdl Giacometti ha trascorso in questi mesi, davvero pesanti e dove il buon senso delle persone, e i principi etici propri di ciascun individuo, hanno evidenziato comportamenti e atteggiamenti non consoni a chi è decorato al Merito del Lavoro dal Presidente della Repubblica. Usando l'incipit del nostro motto “ Il lavoro merita “, iniziamo assieme questo percorso, dato che più volte vengo citato , ma ora ... tastiera e pc scrivo a tutti Voi , tenendo come punto fermo questa famosa frase: Non chiedetevi cosa il vostro Paese può fare per voi, chiedetevi cosa Voi potete fare per il vostro Paese. (John Fitzgerald Kennedy)

Purtroppo anche i Mdl, malgrado il loro Codice Etico, sono uomini, e quindi soggetti ad invidie, soprattutto nei confronti di chi, dopo tanto lavoro, spese personali e fatiche, svolte tutte in silenzio per il bene comune, otteneva il meritato successo. Nel mio percorso di vita, ho visto negli anni, tante persone attaccare il mondo militare, per le motivazioni più disparate, ma non in maniera così subdola, come ho riscontrato con dei maestri a Padova.

Quando incontrai il Mdl Enzo Giacometti, e mi spiegò la Sua idea, rimasi perplesso...mai nessun Ente pubblico aveva pensato di creare appositamente un riconoscimento, e non certo che potesse realizzarsi in ambito nazionale. Vari riconoscimenti erano stati dati, in 2


vita, fino alla cessazione della leva obbligatoria nel 2005!!

Infatti alcuni di essi, essendo vicini al settore della stampa, ottenevano di modificare gli articoli della Manifestazione, rendendoli puerili ed insignificanti, pur di screditare il Premio e chi lo organizzava. Il massimo si ebbe quando, pur di denigrare il premio, vi furono espressioni indegne di un Maestro, nei confronti delle FFAA e delle Istituzioni, che per decenza ometto.

Nonno classe 1889, guerra di Libia nel 1912, e tutta la grande guerra, pluridecorato e ferito più volte, non parlava mai della guerra. Ero ragazzo e qualche volta lo accompagnavo quando andava a caccia, e mi racconto piccolissimi episodi, come quando dovettero andare per i paesi, “per portar via i ragazzi del '99 " ...a volte prese maledizioni, ma se si legge "un anno sull'altipiano" di Emilio Lussu, molte mamme, consegnando i figli a Babbu Mannu (letteralmente grande papà, come veniva chiamato il Generale Sanna, comandante della mitica Brigata Sassari) dicevano: vai e fatti onore, diversamente non tornare!!

La cosa peggiore era, che questi signori avevano prestato il servizio militare in qualità di Ufficiali, ed uno a tutt’oggi, ha la sfrontatezza di portare il Labaro alle manifestazioni militari, e ottenere il saluto e gli onori degli stessi…e appena voltato l’angolo della caserma, insultarli!!! Giacomo Leopardi diceva che : La guerra più terribile è quella che deriva dall'egoismo, e dall'odio naturale verso altrui, rivolto non più verso lo straniero, ma verso il concittadino, il compagno.

Il servizio verso il proprio paese, era cultura...il farsi onore, era un senso comune. Le gesta della Brigata Sassari, citata dai bollettini di guerra degli Austriaci, la nascita del mito dei "Dimonios".

Questi avvenimenti, più che ferire mi disgustano, perché da sardo, il concetto di Patria, servizio e onore, è insito nel nostro vivere.

Q

uesta è la prima parte del viaggio che intraprenderò con Voi, attraverso una serie di notizie, foto, aneddoti filmati, che ci porteranno a comprendere il lavoro svolto per ottenere la Decorazione e l’alto valore morale che la stessa ha, sia per chi la consegna, sia per chi la riceve.

Sono passati tanti anni da quel lontano 1976, quando non ancora 21 enne ricevetti la nomina ad Ufficiale. Nato in Sardegna, Italiano, ma a causa dei trasporti, "lontano mille miglia dall'Italia" , sono cresciuto in una famiglia che con divise diverse, ma sempre con le "stellette" ha sempre servito lo Stato.

Prima di concludere, ricordo un famoso epiteto di John Fitzgerald Kennedy : “Pochi avranno la grandezza per raggiungere la storia, ma ciascuno di noi può agire per cambiare qualcosa nel mondo, e nell'insieme di tutte queste gesta sarà scritta la storia di questa generazione.”

Evidenzio che per "noi" andare a fare il militare, era andare "in servizio" ... Nei ns paesi, i ragazzi che dovevano partire per il servizio di leva, qualche giorno prima della partenza, “rubavano un vitello o degli agnelli, da mangiare con gli amici ". Ovviamente la colletta fatta giorni prima per il paese, rifondeva il danno al pastore, al quale era stato sottratto il bestiame, ma Loro con questo gesto, dimostravano di essere diventati adulti. Pensate che questa usanza ė rimasta in 3


Riannodando le fila, Vi ricorderete che sono Sardo, quindi…se me lo permettete, gioco in casa. Dalla Sardegna sono scaturiti nel corso della storia, statisti, uomini politici e militari, che hanno influenzato e influenzano la vita del ns. Paese. La Sardegna è parte integrante di quello che fu il nostro Risorgimento, infatti nel 1767-69 Carlo Emanuele III di Savoia sottrasse l'arcipelago della Maddalena al controllo genovese. Nel 1847 confluirono nel Regno tutti gli altri stati della Casa Reale sabauda con la cosiddetta fusione perfetta.

La bandiera del Regno di Sardegna e quella dei “4 MORI”

Con il riordino dello Stato e la conseguente scomparsa delle antiche istituzioni, l'isola divenne una regione di uno Stato più ampio, non più limitato alla sola isola come era stato fin dalla sua fondazione, ma unitario, con un unico territorio doganale, un solo popolo, un unico parlamento ed un'unica legge costituzionale (lo Statuto Albertino), comprendente la Sardegna, la Savoia, il Nizzardo, la Liguria e il Piemonte (che ospitava la capitale Torino), conservando il nome di Regno di Sardegna ancora per qualche anno, finché, una volta raggiunta l'Unità d'Italia, con la legge n°4671 del 17 marzo 1861, cambiò il proprio nome in Regno d'Italia. Lo Statuto fu, fino all'adozione della Costituzione Repubblicana, la legge fondamentale e costitutiva dello Stato Italiano.

Articoli, quelli che leggerete con un pizzico di storia, e di vita personale, di chi per tanti anni, ha servito e ancora serve lo Stato. Nel mio caso…un ritorno al passato e alle mie origini, nella mia bella “ Sardegna” da dove ha avuto inizio….la mia storia.

4


Carlo Alberto Amedeo di Savoia detto il Magnanimo (francese: Charles-Albert; piemontese Carl Albert; Torino, 2 ottobre 1798 – Oporto, 28 luglio 1849) fu Re di Sardegna, Re titolare di Cipro e di Gerusalemme, principe di Piemonte, duca di Savoia e duca di Genova dal 1831 al 23 marzo 1849, settimo Principe di Carignano dal 1800 al 23 marzo 1849, e conte di Barge dal 1800 al giorno della sua morte.

Purtroppo in quegli anni la Sardegna veniva governata in un'ottica di sfruttamento fiscale e coloniale, tra lo scontento crescente di tutte le classi sociali, mentre la dinastia sabauda progettava e realizzava l'adeguamento istituzionale, urbanistico e artistico dei possedimenti della terraferma. Ma non per questo, l’isola mancò mai ai Suoi doveri.

Giovanni Maria o Juanne Maria Angioy è stato un rivoluzionario, politico e funzionario del Regno di Sardegna, poi ribelle ai Savoia dopo i vespri sardi, considerato un patriota sardo dall'autonomismo ed indipendentismo isolano. (Bono, 21 ottobre 1751 – Parigi, 22 febbraio 1808) (Monumenti in Suo onore si trovano anche in tutte le piazze della Corsica; infatti nell’isola prima della “colonizzazione” francese, parlava il dialetto gallurese)

I

compiti di polizia in quel periodo erano svolti dai Dragoni di Sardegna, corpo creato nel 1726 e composto da volontari, mentre parallelamente andava sviluppandosi il progetto di un apposito Corpo delle Guardie di Pubblica 5


Sicurezza. Dopo l'occupazione di Torino da parte dei soldati francesi, alla fine del XVIII secolo, quando questi lasciarono il campo alla famiglia Savoia, con la legge reale del 13 luglio 1814 ("Regie Patenti"), fu istituito il Corpo dei Reali Carabinieri, al quale vennero via via assegnate crescenti funzioni di polizia. Essi raccoglievano l'eredità dei Reali Cavalleggeri che, a loro volta discendendo dal corpo dei Cacciatori Reali (poi riuniti nel Corpo dei Moschettieri di Sardegna), avevano maturato ragioni d'onore nella lotta al brigantaggio in Sardegna; dai Cacciatori derivano anche i Granatieri (appunto detti "di Sardegna"), dal 1664.

L’isola ebbe i Suoi Carabinieri fino dagli albori dell’Arma, infatti il Re Carlo Felice decise il 16 ottobre 1822 di sostituire in Sardegna al servizio dei Cacciatori Reali quello dei Carabinieri, dispose che ciò avvenisse per fusione dando vita al "Corpo dei Carabinieri Reali di Sardegna". L'incorporazione ebbe termine il 1° aprile 1823, la forza comprendeva 425 carabinieri a cavallo e 100 a piedi.

Murales di Orgosolo che rappresenta la cattura di un bandito

GRANATIERI DI SARDEGNA, distintivo omerale e Banda

6


Pensate che il detto “Se Deus cheret, e sos carabineris lu permittini” (Se Dio vuole e i Carabinieri lo permettono), non ha bisogno di commenti, su quella che era la considerazione dei Carabinieri Reali. Vi è un curioso aneddoto, nel quale si narra che nel 1829 durante il Suo viaggio in Sardegna, il Re Carlo Alberto si fermo in una locanda per mangiare. Complimentandosi con il padrone per l’ottimo vino, si sentì rispondere: Maestà ne ho anche di più buono!! Al che il Re disse: allora portatelo!! Ma il padrone candidamente rispose: ma no Maestà, quello è per il Maresciallo. Questo fatto ci porta a comprendere quanto l’Autorità “presente” fosse rispettata, a discapito di un RE…che nessuno conosceva!! Nel gennaio 1861, anno della costituzione del Regno d'Italia, venne riorganizzata l'Arma dei Carabinieri, tra l'altro con l'istituzione di 13 Legioni territoriali (oltre ad una Legione Allievi) distinte per numero d'ordine progressivo. La 3^ Legione fu appunto quella di Cagliari, che mantenne nel nuovo "Compartimento" le Divisioni di Cagliari e Sassari. Cessò così di esistere il "Corpo dei Carabinieri di Sardegna" che la citata legge fuse con l'Arma dei Carabinieri in un ordinamento che fece dell'isola la giurisdizione della Legione di Cagliari.

Le prime divise dei Carabinieri in stampe d’epoca

7


L’Unicità dei “Dimonios” La forza del legame fra i “Sassarini” ed il proprio territorio Come era stato predisposto nella sera precedente, alla mattina alle ore 6 fu iniziato l’assalto alla trincea dei Razzi, il nemico venne sorpreso nel sonno, solo pochi opposero resistenza e furono uccisi, gli altri furono fatti prigionieri (278 militari, di cui 11 Ufficiali). Vennero inoltre conquistate due mitragliatrici, molte armi e munizioni ed un apparato telefonico.

I

l Diario del 152° Reggimento del 14 novembre 1915 registra così, con queste righe scarne, l’impresa dei Razzi, il grande trinceramento austriaco contro cui si erano infranti i disperati attacchi di altri reggimenti del regio esercito, e dove i diavoli rossi del 152° trionfarono.

Il glorioso riscatto del passato e la ferma coscienza del presente

G

Stemma araldico del 151° e del152° Reggimento fanteria Sassari Nella fascia sotto si legge “SA VIDA PRO SA PATRIA” (la vita per la Patria)

li abitanti di una terra che, come la Sardegna, mostrano con naturale disinvoltura ed alla luce del sole i riflessi di una storia più che millenaria, non possono non condividere agevolmente le tracce portanti e costanti che caratterizzano l’inconscio collettivo dell’isola e che sono, inevitabilmente ed 8


intimamente, legate alla propria identità. Una di queste tracce culturali, cui si fa spesso riferimento, trova di fatto riscontro, anche se ormai sempre più raramente in maniera diretta, soprattutto nelle zone più interne del centro e del nord Sardegna. Qui, a sentire le preziose testimonianze ed i racconti dei primi sassarini, durante il Primo Conflitto Mondiale il notissimo fucile modello 91 venne assorbito al fronte nell’ottica della balentìa, influenzando, più o meno chiaramente, l’organizzazione militare della neonata Brigata di Tempio, connotandola di forme e riti culturalmente autentici e già radicati in tutte le aggregazioni, semplici e complesse, proprie di quella terra, da sempre denominata Capo di sopra, che aveva recentemente dato i natali alla promettente realtà militare della Sassari. (Nei paesi sardi il balente, in un’antichità quasi

dell’Altopiano dei Sette Comuni, nella provincia vicentina. Si tratta di un eroismo immediatamente percepito come diverso da quello che solitamente si tende a celebrare nel corso di un conflitto così sanguinoso. Fu allora, proprio in quei momenti di enorme sofferenza e di epico riscatto, che i sassarini cominciano ad essere chiamati con un appellativo che da solo incute grandissimo rispetto e che li contraddistinguerà da tutti gli altri reparti dell’Esercito italiano. I dimonios conquistano da subito la simpatia di tutte le altre unità italiane impegnate al fronte, guadagnandosi l’inusitato appellativo di leggendaria Brigata. Stavolta si comincia a parlare con sempre maggiore forza e con legittima riconoscenza non solo di coraggio fisico ma anche di quello morale. I fanti dei due Reggimenti della Sassari hanno rapidamente imparato ad osservare le regole proprie dell’uniforme italiana, premurandosi però di riporvi al loro interno tutto l’orgoglio della propria terra.

scomparsa, era l’uomo protettore. Quello che difendeva il villaggio dalle angherie dei vicini. Era lo Stato mai conosciuto. L’ordine. Feroce e spietato, assassino e vendicatore, mai bandito. Mai umiliato dagli insulti della latitanza. Di lasciare il paese non se ne parlava. Se volevano scacciarlo dal suo regno dovevano prima sopprimerlo. Era la persona cui rivolgersi per riparare un torto. Colui che ti aiutava in cambio di nulla. Solo perché era il balente. Perché per lui tutto era possibile ed era nella sua natura farlo.)

Quando, nel novembre del 1919, la guerra finisce, le coraggiose gesta dei sassarini già riecheggiano nei più sperduti villaggi di tutta la Sardegna e danno rapidamente origine al mito della Sassari. Gli intrepidi sardi combattenti della Sassari, che seppero interpretare insperatamente la definitiva conquista di Monte Valbella, Col del Rosso e Col d’Echele, consegnarono il nome dei diavoli rossi alla storia italiana, suggellando così il primo riscatto del nostro Esercito dopo la catastrofe di Caporetto. Fu così che il primo successo dopo la ristrutturazione dell’Esercito in grigioverde, avvenuto il 9 novembre 1917, ebbe luogo sulle montagne

Un gruppo di “futuri” soldati appena arrivati in caserma per l’arruolamento

9


Il triste primato della Sardegna in trincea

Non c’è niente che possa tenere l’urto dei dimonios al fronte.

“L

a Prima Guerra Mondiale ha significato per la Sardegna 13.602 morti, il che significa 138,6 morti ogni mille abitanti, una media considerevolmente più alta di quella nazionale. [...] (Inoltre), ha anche voluto dire che 98.142 maschi adulti, l’11 per cento degli 870.077 abitanti dell’isola, furono gioco forza mobilitati. [...] Un’esperienza di nazionalizzazione di massa, visto che grandissima parte dei 98.142 sardi mobilitati proprio in questa occasione entrano per la prima volta direttamente, personalmente, fisicamente, nella sfera dell’italianità”.

I

n trincea, così come prima di un assalto alla baionetta, si narra che i dimonios si alzino in piedi al passaggio dei propri Comandanti, che le giberne siano sempre allacciate, il fucile sempre pulito e che i loro occhi, pur se rossi e stanchi, li guardino d’un rosso e con un’intensità tali da far venire la pelle d’oca. I dimonios capitalizzano al meglio le proprie qualità, la loro maggiore capacità di muoversi agevolmente su un terreno impervio, la confidenza con una natura ostile, la decisione e la prontezza nell’uso della baionetta.

Nello stesso momento in cui i sardi, chiamati alle armi imparano sulla loro pelle ad essere italiani, imparano anche ad essere sardi: a questo, ad imparare ad essere sardi, servono i due Reggimenti della Sassari, a questo servono le innumerevoli citazioni al merito.

Al riguardo, “non fu possibile la cattura di prigionieri dato l’improvviso affluire di forti gruppi nemici e forse – dice un rapporto del 152° Reggimento nel gennaio 1916 – per l’istinto del sardo di baionettare anziché imprigionare”. Frase che potrebbe suonare come sconcertante, ma che ci rivela come gli stessi Comandi guardino ai fanti della Sassari, a testimonianza della diversità di interpretazione della guerra combattuta dai sardi. Sarà per questo che i sassarini diventeranno subito per gli austriaci i diavoli rossi (die roten Teufels), anche a causa delle loro mostrine bianco-rosse che, scolorendo sotto la pioggia, dovevano apparire come rosse macchie indistinte, agli occhi terrorizzati degli austriaci, che subivano l’irruenza degli assalti dei due reggimenti della Sassari.

In circa 20 mesi in cui i bianco-rossi sono stati utilizzati nelle battaglie più cruente, sia in bassa, media ed alta montagna, hanno lasciato oltre duemila Caduti, molti noti, altrettanto ignoti. Un numero imprecisato di attestazioni e di medaglie dei tre metalli che, comunque, non rendono l’esatto valore espresso dai dimonios dal 5 giugno 1916 al 31 gennaio 1918. Ciascuna delle bandiere dei due Reggimenti della Sassari venne decorata con due Medaglie d’Oro al Valor Militare (caso rimasto unico nel nostro Esercito nell’arco di una sola campagna di guerra). E questo racconta, in modo dolente, un canto di allora che dice: “Pro defender sa Patria italiana/Distrutta s’este sa Sardigna intera”. (Per difendere la Patria, si è distrutta l’intera Sardegna) 10


Di lì a poco ed in seguito ad una disposizione del Comando Supremo del 3 dicembre 1915, il Comando della Terza Armata imporrà che tutti i militari sardi siano trasferiti al 151° e al 152° Reggimento, perché la Sassari possa conservare la sua caratteristica di Grande Unità di eccezionale vigore, pur se i due Reggimenti della Brigata erano stati formati sol- tanto alla vigilia della Grande Guerra (gennaio-febbraio 1915): il 151° a Sinnai ed il 152° a Tempio Pausania, reclutando rispettivamente i propri militari dalla provincia di Cagliari e dal cosiddetto Capo di Sopra (in cui fu volutamente compresa anche l’attuale provincia di Nuoro).

"...il comandante tedesco non ha come me - duemila anni di civiltà alle spalle! " "....Si vide il Piave rigonfiar le sponde, e come i fanti combattevan l'onde.... "

Il modo di combattere dei fanti della Sassari si rivelò assolutamente speciale perché riuscì a sfruttare a monte un rapporto tutto particolare tra le loro identità (esaltate dall’esperienza di trincea) e la loro civiltà regionale originaria.

L’inaspettata scoperta della sardità per i fanti della Sassari

I

fanti pastori-contadini del Capo di Sopra (Sassari) e del Capo di Sotto (Cagliari), rispettivamente inquadrati nelle fila del 152° e del 151° Reggimento della Sassari, seppero interpretare pienamente la scoperta più importante fatta in trincea, che più avanti sarà riconosciuta col termine di sardità. Questa nuova emozionante comunità di trincea è il nucleo intorno a cui lo spirito di entrambi i Reggimenti della Sassari si autoalimentò, reclutò i suoi adepti e li organizzò finalmente come soldati compiuti.

Tale peculiarità, come risulta dagli stessi articoli apparsi sulla stampa nazionale e sarda tra il 1915 e il 1918 (i mito del sardo agilissimo, ardito e capace di adattarsi in condizioni estreme), fu largamente avvalorata dalla ricca memorialistica di guerra. All’interno del libro che un valoroso ufficiale della Sassari, Leonardo Motzo, dedicherà nel 1930 agli intrepidi sardi della Sassari, il legame con le qualità naturali dei diavoli rossi, figli del mondo pastorale e contadino, è messo chiaramente in luce, come, ad esempio, quando si fa cenno al peculiare coltello sardo (che nel Capo di Sopra si chiama sa pattadesa), arma che si rivelerà spesso decisiva nel corpo a corpo nelle trincee austriache ed il cui uso è direttamente derivante dalla concezione della balentìa, che ha sempre avuto grande spazio all’interno dell’elemento agonistico del sassarino che ne

Infatti, sarà questa la prima volta nella storia dell’Esercito Italiano che gli Alti Comandi citeranno nei bollettini di guerra non più una singola brigata ma anche un singolo reggimento. Soprattutto, ciò che tuonò assolutamente nuovo, per la cultura militare del giovane Stato liberale, fu l’insistito accenno alla composizione regionale di un’unità militare: quel intrepidi sardi segnò in realtà l’epico inizio del legame tra la terra di Sardegna e la sua Sassari. 11


interpretava il termine come qualcosa di irraggiungibile e con lo scopo di indicare ciò che, di fatto, balentìa non è.

Significativo il Murales di Orgosolo, col vecchio che dice: FORTUNATO IL POPOLO CHE NON HA BISOGNO DI EROI

Per meglio comprendere il rapportarsi del pastore/contadino in armi nei riguardi della balentìa, va detto che balentìa in senso positivo è quel che nessuno è mai riuscito a fare; il riuscire a fare cose grandi, che però siano state già fatte, è soltanto abilitate.

La consapevolezza delle proprie radici e l’italianità sarda

N

o nde cherimus de continentales, pro nche leare su trinceramentu, su chentuchinbantunu, chi’ su chentuchinbantaduos reggimentu tot’impare (non ne vogliamo di continentali per prendere la trincea (nemica),(noi) il 151° col 152° Reggimento (bastiamo) uniti). Si può tranquillamente evidenziare che in questa affermazione risieda la carta dell’identità collettiva della sardità al fronte. Ed in un conflitto dal risultato così incerto, lo Stato Maggiore dell’Esercito non poteva chiedere di meglio. Lo scopo principale che sottintese alla formazione della Sassari su base regionale mirava appunto ad innescare la

12


sfida del sacrificio competitivo e dell’eroismo agonistico, ulteriormente avvalorato e stimolato non tanto dalle citazioni che il 151° ed il 152° ebbero nei bollettini di guerra, quanto dallo scoprire il proprio valore, oltre che in maniera diretta e traumatica, anche rapportandosi alla scarsa coesione degli altri reparti con cui furono a contatto. La constatazione evidente del proprio valore costituì di certo un elemento di coesione non meno importante della contrapposizione ad un nemico ben identificato.

Cartolina della Brigata Sassari

Il senso della sfida e della solidarietà per il sassarino

I sassarini al fronte erano in armonia con la loro gente ed affermavano, senza forzature, i valori della propria cultura, vedendoli finalmente riconosciuti dagli altri.

N

on a caso, Giuseppe Tommasi, sassarino del 152° Reggimento ci riporta:

I dimonios seppero esprimersi forti come i nuraghes, guardandosi a vista ed operando con meccanicismi ancestrali, in cui anche l’esecuzione dei tradizionali balli tondi aveva un’efficacia semantica, al tempo stesso preparatoria ed unificante, non inferiore alle marce.

“Il 6 novembre i genieri fecero saltare in aria tutti i ponti sul Piave. Quello di Vidor rimase in piedi ancora per poche ore. Sprezzante del ridicolo, il generale Graziani il 7 novembre fece pubblicare il bando di sgombero della popolazione del territorio della Sinistra Piave. L'ultimo reparto a passare il fiume a Ponte della Priula fu un battaglione del 152º reggimento della brigata Sassari, inquadrato per quattro, fucile a bilanc'arm ed al passo, comandato da un piccolo ufficiale di Thiesi, un paese del Meilogu in provincia di Sassari, il capitano Giuseppe Musinu, futuro generale di corpo d'armata. «Gli austriaci - ricordò il generale Musinu, cercarono di fermarci in ogni modo, ma non osavano attaccare frontalmente e allora mandavano pattuglie a disturbare la nostra marcia. Il battaglione procedeva in perfetto ordine, rispondevamo al fuoco con le nostre pattuglie che ci proteggevano i fianchi e ci precedevano. Io stesso sparavo con il mio 91. Mi dissero che stavano per far saltare il ponte: temevano che gli austriaci riuscissero a passare il Piave.

Infatti, anche Emilio Lussu, nel suo famoso Un anno sull’Altipiano ricorda nitidamente - ed è una delle pochissime connotazioni indirette che possiamo trovarvi della sardità dei suoi sassarini che i soldati cantavano le loro nenie e che le consuete parole d’ordine erano di fatto sostituite da formule come “si ses italianu ‘aedda in sardu” (se sei italiano parla in sardo).

13


nemico, una provenienza, una koiné linguistica e con la speranza di un avvenire), dall’altra stava non tanto l’impero austro-ungarico, quanto il cecchino bavarese al quale mostrare con rinato orgoglio la propria balentìa, come, emblematicamente, riportano le pagine dei Diari del Comando del 152° Reggimento della “Sassari” nelle drammatiche giornate di Monte Zebio, quando mettendo in evidenza che i tiri delle artiglierie si manifestarono sin da subito molto corti, offendendo in tal modo non solo i sassarini che trovavano scarso riparo nei camminamenti di prima linea, ma anche quelli provenienti da tergo che muovevano a rincalzo dell’azione offensiva, consentì l’emersione dello stridente contrasto esistente tra le carenze della macchina bellica italiana ed il generoso e concreto eroismo dei dimonios, costretti a ri-mediare con l’impeto dell’assalto alla baionetta a deficienze strutturali più generali.

Mandai avanti un sottufficiale per dire di aspettare. Arrivammo appena in tempo. Io ero in retroguardia, per proteggere la ritirata. Quando l'ultimo dei nostri fu dall'altra parte del Piave, passammo anche noi. E il ponte fu fatto saltare». In effetti un colonnello del genio stava per dare l'ordine di far brillare le cariche che avrebbero distrutto il manufatto, quando uno squillo di tromba avvertì che stava giungendo un reparto, inquadrato perfettamente e comandato da un piccolo e impettito ufficiale: era Musinu, che fu anche fra i primi, l'anno successivo, a far balzare i suoi uomini dalle trincee per ripassare il fiume Piave.” È evidente che siamo in presenza di un rapporto speciale tra Ufficiali e soldati, intimamente mediato dalla fiducia nel proprio Comandante e dalla comune appartenenza alla terra sarda. La forza vincolante del riferimento al territorio, e come in questo caso al territorio del Capo di Sopra, costituisce la principale chiave di lettura della psicologia del combattente inquadrato nel glorioso Battaglione Musinu, la cui preziosa eredità (e non solo in termini di mera organica militare) è oggi raccolta dal I Battaglione del 152° Reggimento fanteria “Sassari”.

Il problema fondamentale diventerà così, nell’esperienza di guerra del fante della Sassari, quello stesso impegno che lo chiama normalmente a far fronte alla sfida degli eventi, a parare a sa fortuna, con cui il pastore e il contadino si misurano ogni giorno nel loro rapporto con la natura inclemente. Sfida che dovette purtroppo ripetersi anche durante il Secondo Conflitto Mondiale, quando i fanti della Divisione Sassari, impiegati in Croazia dal 1941 all’inizio del 1943, furono severamente impegnati in una dura ed insidiosa attività di controguerriglia e, soprattutto, una volta rientrati in patria nell’aprile del 1943, quando fu loro chiesto di prendere eroicamente parte alla difesa di Roma nelle giornate successive all’8 settembre, sciogliendosi definitivamente per causa di forza maggiore il 13 settembre, dopo aver posto in salvo la bandiera in un monastero ubicato nei pressi di Monte Mario.

Si assisteva in trincea alla nascita di un nuovo senso di solidarietà interregionale e regionale (grazie al confronto fra il 151° ed il 152° Reggimento), gettando così le basi di una coscienza collettiva sarda che, proprio da questo confronto duale, riscoprirà pienamente la propria identità storica. Ha scritto l’antropologo Michelangelo Pira: “La Grande Guerra fu vissuta dai Reggimenti della Sassari come una guerra dell’etnia sarda in concorrenza con tutte le altre. Da una parte stavano i sardi de su Forza Paris (omogeneizzati per la prima volta da una parola d’ordine, da una divisa, da un rancio, un fucile, un 14


i bisogni, così come conoscere gli uomini, la loro psicologia e le loro potenzialità sono temi più che mai attuali, ma che divennero fondamentali per la cultura militare italiana solo dopo la disfatta di Caporetto, quando ci si accorse che proprio dalla rigidità di un rapporto gerarchico inteso come separazione tra classi, derivò, in buona parte, lo scollamento morale della ritirata.

Fu così che dagli amari e dolorosissimi frutti di due conflitti mondiali, due generazioni susseguenti di dimonios consegnarono, indirettamente, alla propria terra l’architettura morale di un progetto nuovo, più alto e più dignitoso per il futuro dei propri cari e dell’intera comunità sarda.

Il confine che divide il rapporto profondo di solidarietà tra Ufficiali e soldati dalla gratuita strumentalizzazione del fante sardo come inesauribile macchina di guerra è labilissimo. Ma senza capire l’eccezionalità di questo rapporto non si arriverebbe a spiegare la resistenza dei sassarini anche nei momenti più tragici delle due guerre.

Murales di Orgosolo

Alla luce di una tale comunione di intenti, assolutamente peculiare ed innovativa, dobbiamo ad Emilio Lussu, nel suo famoso “Un anno sull’Altipiano”, l’analisi più convincente di questa straordinaria esperienza.

La coesione dei diavoli rossi ed il peculiare rapporto con la disciplina

O

ggigiorno bisogna guardarsi bene dal rischio di sottovalutare e scoraggiare la tendenza della cultura corrente al recupero e all’ulteriore sviluppo della specificità culturale sarda e, soprattutto, delle implicazioni che questo tipo di operazione comporta.

Il protagonista del suo romanzo-verità impersona, in definitiva, proprio l’itinerario umano percorso dai fanti della Sassari in quegli anni durissimi. Gli stessi meccanismi della disciplina interna posano soprattutto sul consenso che nasce dal prestigio degli Ufficiali, su questo loro rapporto di fiducia con i fanti.

Sono finiti i tempi in cui si poteva disporre delle cose sarde e dei sardi ignorandone codici e messaggi, così come cultura e volontà. L’unità degli intellettuali da una parte e dei pastori, dei contadini, degli operai e degli artigiani dall’altra è ancora sentita come un valore; così come un valore è ancora sentita la disciplina tra i ranghi dei fanti della Sassari, al cui interno la superiorità degli Ufficiali non è mai consistita tanto nei galloni, quanto nel valore effettivo degli uomini, sostanziata del senso di responsabilità dei superiori e della fiducia di chi obbedisce.

Ecco perché non sorprende che dopo Caporetto la disgregazione generale non investa i fanti della Sassari con gli stessi effetti devastanti che si verificano nel resto dell’esercito. Nel disastro generale i dimonios appaiono comunque compatti, non manca né un uomo né un fucile, così come anche i sardi che stavano a casa, le madri, le sorelle, le figlie, i vecchi genitori, vissero con questi stessi sentimenti

Comprendere le sofferenze, le speranze, 15


i fatti in cui erano coinvolti i loro cari lontani.

..quando si è chiamati, ognuno di noi deve fare il proprio dovere …” e “ noi sardi abbiamo sempre fatto il nostro dovere”.

Foto dal fronte

Foto dalla trincea

16


Nel periodo universitario Lussu si schierò con gli interventisti democratici (repubblicani e salveminiani), perché l'Italia entrasse nel conflitto contro gli imperi tedesco e austroungarico.

EMILIO LUSSU

Vi prese parte direttamente, come ufficiale di complemento decorato per quattro volte al valor militare si congedò con il grado di capitano nel 151º fanteria della Brigata Sassari, costituita su base regionale per la maggior parte da contadini e pastori sardi. I due reggimenti 151° e 152° che formavano la brigata furono decorati entrambi per due volte con la medaglia d'oro al valor militare. Nel 1916 la Brigata fu inviata sulle montagne intorno ad Asiago per creare un fronte che resistesse a qualunque costo alla discesa degli austriaci verso Vicenza e Verona. Le vittorie della brigata nei primi scontri furono seguite da un potente contrattacco che la impegnarono sino al luglio dell'anno successivo sul Monte Zebio e sulle Melette, in una sfiancante e sanguinosa lotta che, più che per avanzare, si conduceva per la tenuta delle posizioni. Questa esperienza ispirò a Lussu il capolavoro per il quale è principalmente noto, Un anno sull'Altipiano, scritto nel 1937 (di quest'opera è stata fatta un riduzione cinematografica ad opera di Francesco Rosi dal titolo Uomini contro del 1970); si tratta di un'importantissima memoria, di un prezioso documento sulla vita dei soldati italiani in trincea che, per la prima volta nella letteratura italiana, descrive l'irrazionalità e il non-senso della guerra, della gerarchia e

Emilio Lussu (Armungia, 4 dicembre 1890 – Roma, 5 marzo 1975) è stato un politico, scrittore e militare italiano. Si laureò a Cagliari in giurisprudenza nel 1914. Avvocato e giornalista, come Senatore prese parte alla I, II, II, IV Legislatura. 17


GIUSEPPE MUSINU

dell'esasperata disciplina militare in uso al tempo. Dotato di un algido razionalismo, l'autore poté lucidamente dimostrare nel suo scritto la profonda differenza fra ciò che davvero accadeva ai soldati e quanto invece ne conosceva l'opinione pubblica; dipinse in tutti i suoi drammatici aspetti quanto fosse inutilmente crudele la disciplina militare applicata a poveri contadini analfabeti e quanto infondato fosse il rispetto dovuto ai generali ed agli ufficiali superiori, i quali avevano ed applicavano eccesso di arbitrio. In un brano di notevole efficacia, descrisse il silenzioso terrore dei momenti che precedevano l'attacco, il drammatico abbandono della "sicura" trincea per proiettarsi verso un ignoto, rischioso, indefinito mondo esterno: «... tutte le mitragliatrici ci stanno aspettando».

I

l futuro Generale di Corpo d`Armata, Giuseppe Musinu nasce il 22 marzo del 1891 a Thiesi, fratello del Tenente Medico 18


metterla da parte”.

Giovannino Musinu, anch`egli eroe di guerra e di Eleonora. Al termine del conflitto mondiale rimase nell`esercito con il grado di Maggiore. Fra le due guerre lo troviamo, nel 1937, Comandante del 69° Reggimento Fanteria "Ancona". Partecipò anche alla seconda Guerra Mondiale e nel 1942 fu a Capo del Comitato Direttivo della Retroguardia dell`8ª Armata in Russia.

Il soprannome che gli venne dato in trincea fu "su diaulu" (il diavolo), e i soldati erano certi che avesse venduto, novello Faust, l`anima al diavolo in cambio dell`immortalità, considerato che fu ferito solo 4 volte, e come da lui stesso riportato ”una ferita per ogni anno di guerra” e nell`assalto era sempre in testa. E sempre dalle sue parole “I soldati ci

A Musinu capitò di non sposarsi, ma ebbe certo un grande amore: la Brigata Sassari.

stavano a sentire, non c`era bisogno di comandare. Noi eravamo lì davanti con l`esempio e loro seguivano”

Il giorno dello scioglimento della Brigata, il 28 dicembre 1975, ad un giornalista che lo intervistava, il Generale ebbe a dichiarare: "Questa di

Giuseppe Musinu detiene un record, ad oggi, imbattuto, è stato, a 26 anni, il più giovane maggiore dell’ esercito italiano e, comandante delle truppe di retroguardia che ebbero il compito di proteggere la ritirata italiana dopo Caporetto, fu l`ultimo soldato a passare il Ponte della Priula, pochi istanti dopo le cariche d`esplosivo demolirono l`ultimo ponte sul Piave.

oggi è per me una giornata di lutto. Ho percorso in questi giorni ed in queste notti insonni i momenti più cari alla mia memoria. Ecco, scriva questo: la Brigata Sassari si è comportata sempre onorevolmente ovunque sia stata".

Antiretorico, antieroe, aveva anche lui i suoi appunti dal fronte. "Ma non

Ma venne anche il giorno della felicità per la ricostituzione della “Sassari”, nel 1988, e nella circostanza ebbe a dire: “è una decisione che ha significato morale, serve per tenere viva la memoria di ciò che è accaduto: tanti morti, quindici soldati sardi su cento, la più alta percentuale del nostro esercito”.

scriverò mai un libro. La guerra è tremenda, è la cosa peggiore che l`uomo possa fare. Io l`ho fatta perché era un dovere". La sua popolarità era una tentazione. Prima, durante e dopo il fascismo cercarono di coinvolgerlo in politica. Rifiutò: "sono stato e rimarrò sempre

soltanto un soldato".

A chi gli chiedeva della guerra diceva:

“ … la paura è un fatto personale. Si può averla o no. Si sapeva che dovevamo rimanere là e le pallottole come arrivavano per gli altri potevano arrivare anche per me. La paura non poteva aiutare, allora tanto valeva

Dopo una vita dedicata alla Brigata ci lasciò nel 1992, alla bella età di 101 anni. Le associazioni combattentistiche e in 19


particolare la Brigata Sassari hanno sempre onorato la figura del Generale Musinu: per il suo centesimo compleanno il Comando della Brigata organizzò una cerimonia in suo onore, che potete rivedere collegandovi al seguente indirizzo:

Vorrei esprimere un mio pensiero, su ciò che avete letto. Per un sardo, la brigata ….è una parte delle famiglie, perché i componenti di ogni nucleo familiare vi hanno prestato servizio. Con queste testimonianze potete avvicinarvi passo passo a capire, cosa possa valere un riconoscimento per queste persone.

http://www.sardegnadigitallibrary.it/in dex.php?xsl=626&s=17&v=9&c=4460 &id=129163 Ora chiedetevi, dopo aver visto il filmato…ma ha 100 anni?? Si.. è su

dialu!!!

Chi è interessato a leggere il libro può scaricarlo per uso personale al’indirizzo di torrent

7cd51d59e2ccb97840fede17db8759 09847774ad

20


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.