ANTONIO MANCINI - Pittore di pensiero - Oltre cinquant'anni di ricerca

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Antologica

Antonio Mancini Pi!ore di Pensiero Un percorso artistico di oltre cinquant’anni di ricerca



Antonio Mancini - Pi!ore di Pensiero

Pensieri e pittura sull’uomo nella società moderna Di Fabrizio Rovesti Lasciate le sponde arcadiche dell’arte di sentimento domestico e arricchita l’esperienza pittorica di nuovi modi espressivi, l’artista Antonio Mancini, all’alba degli anni Settanta, entra decisamente negli anfratti più problematici dell’ambito sociale. E di realtà su cui riflettere ne ha a iosa. Per comprendere appieno il suo percorso esistenziale e creativo, vale la pena aprire una finestra su alcune trasformazioni socio-culturali fortemente caratterizzanti, che l’Italia, segnatamente, registrava in quegli anni. Il ritorno degli operai sulla scena sociale quale esito dello sviluppo industriale, il protagonismo dei giovani indotto da una scolarizzazione diffusa e dai mezzi di comunicazione di massa, e la presa di coscienza della libertà e del ruolo della donna nella società moderna sono il terreno su cui s’innesca negli anni Settanta il fuoco generato da una profonda crisi sociale, economica e istituzionale. Il disagio giovanile e popolare sfocia, non di rado, nelle peggiori forme di violenza sociale, o nella ricerca di illusori rifugi dell’anima quali le droghe. Le avanguardie artistiche interpretano questa stagione percorrendo strade diverse che in genere tendono ad abbandonare i mezzi tradizionali dell’arte a favore sia di un recupero di materiali poveri, naturali, vitali (si parla di Arte Povera), sia del ricorso a un panorama in bianco e nero (e grigio) fatto di immagini fotografiche, scritture, grafici e simili in una ricerca in cui è nodale la componente mentale e l’analisi dei linguaggi artistici (arte concettuale è l’etichetta). Si paventa dunque la situazione prevista da Hegel della morte dell’arte e il suo accoglimento nei regni della scienza e della filosofia. Ci penserà la Transavanguardia, a fine decennio, a spazzare via questo timore. Alle poetiche delle avanguardie non si accosta Mancini: non è nel suo Dna. Ma ritenendo che l’artista non può rimanere soltanto spettatore e notaio del cambiamento sociale, prende coscienza dell’urgenza di accostarsi all’arte con un approccio creativo nuovo nei contenuti e nel linguaggio volto a interpretare e sondare il reale oltre l’apparente, pur tenendo ancora in mano pennello e tavolozza. Così sul palcoscenico della sua rappresentazione compaiono i molteplici attori di una società caotica, fluida, imper-

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sonale non di rado mossi dalla ricerca di quel mondo senza tempo, insieme paradisiaco e mostruoso, che solo la droga può offrire (è del 1971 l’olio Droga). Agli “assembramenti” di figurazioni biomorfiche, rimando a una partecipazione emotiva negativa e spaesata della situazione in atto, presto il pittore sostituisce una rappresentazione che più che narrare pone domande e mette in guardia da certi fantasmi che si muovono dietro le quinte. È la felice serie di oli del 1973 che hanno titoli quali Luci e ombre in secondo piano e Uomo che compare, uomo che scompare, opere nella quale le immagini figurali prendono nitide forme semplificate simili a prosciugate silhouette di carta in movimento negli spazi serrati, sbarrati di teatrini blu-violetti con fondali su cui campeggiano grandi ombre umane, metafore del dominio espresso dai poteri occulti, ovvero - come osserva il critico Giorgio Seveso - “…stanze chiuse da sbarre e da pareti soffocanti o abitate da situazioni d’angoscia silenziosa, da inaudite prevaricazioni cui reagisce il disperato abbandono all’eros o al delirio della droga”. Se l’uomo è finito in un pericoloso labirinto forse l’arte può aiutarlo a prendere coscienza di quel tranello sociale. In questo senso Mancini s’impegna nell’attivare una partecipazione del pubblico in un percorso labirintico vero e proprio disseminato di simulacri umani. L’installazione prende corpo, sempre nel 1973, nell’ambito della manifestazione “Artisti nei quartieri” con il gruppo legnanese presente al 13° Piazzetta di Sesto San Giovanni, luogo simbolo delle rivendicazioni di classe post sessantottine. Esperienza che lo porterà alla Biennale di Venezia di tre anni più tardi nella sezione “ambiente”. Centralità della figura umana Quindi, nelle sue riflessioni sul sociale, il pittore sposta l’accento dalla collettività al singolo individuo con esiti nuovi nella rappresentazione pittorica. L’emancipazione femminile e le difficoltà di comunicazione nelle relazioni di coppia sono due tematiche che portano in primo piano la figura umana. Essenzializzato nelle forme chiuse da linee simili a quelle delle vetrate a piombo e nelle cromie stese à plat del blu, l’essere umano è reso simulacro anodino di una società standardizzata. In Emancipazione, del 1974, la stilizzata figura della donna seduta su una sedia rossastra accenna ancora a una solitudine hopperiana, valenza di una sentimentalità che si perde del tutto in Comunicativa n. 6, coniugi (1975),

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opera in cui i simbolici consorti seduti frontalmente hanno la parvenza di mute statue di pietra che solo il colore, sia pure in declinazione monocroma blu, rimanda a possibili esistenze umane. L’incomunicabilità, ovvero l’incapacità di stabilire un rapporto con gli altri, è una condizione esistenziale che Mancini sonda pittoricamente anche attraverso elementi iconici di separazione (v. Comunicativa n. 2, 1975). Strutture che nell’opera La classe operaia (1977) si presentano come quinte teatrali da cui erompono gruppi di figure simbolo di rivendicazioni collettive capaci di sfidare il potere imprenditoriale con la fierezza dell’uomo e della donna rappresentati in primo piano: un vero e proprio manifesto del “potere operaio”, letto con felice intuizione da Giorgio Fedeli come la riproposizione in chiave contemporanea del famoso dipinto di Pelizza da Volpedo Il Quarto Stato. Se agli inizi degli anni Ottanta in Italia le tensioni sociali iniziano ad allentarsi, non accade altrettanto nella pluriennale “guerra fredda” tra le due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica, che divengono sempre più militarizzate. La Terra è diventata una polveriera pronta ad esplodere. Mancini traduce questa inquietudine universale nel quadro Il gioco dei fiammiferi (1981), in cui lo spazio della tela è saturato dalle due grandi figure astratteggianti, caratterizzate simbolicamente, e dal globo trattenuto con braccia e mani aperte dai due contendenti che rimarcano in tal modo i propri emisferi d’influenza colmi di zolfanelli. Ma questa non è che una parentesi aperta e, per fortuna, da lì a poco chiusa dalla storia stessa. Quindi diventerà terreno più fertile per la poetica manciniana la situazione sociale che seguirà agli anni di piombo, ben sintetizzata nello slogan pubblicitario della “Milano da bere” estensibile ad altri ambienti urbani della realtà italiana caratterizzati dalla percezione di benessere diffuso, dal rampantismo arrivista e opulento dei ceti sociali emergenti. Dinnanzi a questa spettacolarizzazione del vivere, Antonio sembra affidarsi a un processo d’introspezione diretto a scandagliare eticamente i propri comportamenti, quindi la più universale condizione umana. Ne fanno fede due opere del 1984: Autoritratto, in cui la figura stilizzata del pittore ha di fronte a sé il suo più realistico e serioso volto; e L’acrobata che rimanda alla presa di coscienza di un vivere quotidiano che è il funambolico adattamento della volontà umana alle coercizioni di potenti dalle sembianze inafferrabili riunite attorno al tavolo della stanza dei bottoni.

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La nuova stagione pittorica, pur confermando sostanzialmente l’inconfondibile formulazione stilistica di Mancini, apporta alcune novità espressive quali la minor esasperazione di linee e forme accompagnata dall’attenuazione delle cromie che possono anche sfumare e dare più spazio alle tonalità rossastre oltre a quelle azzurre. Declinazioni pittoriche che conferiscono alle opere un maggior respiro poetico a scapito delle più esacerbate ragioni contestative. Si palesano inoltre nella rappresentazione alcuni elementi icastici: le strutture già incontrate nei temi della incomunicabilità ora diventano pregnanti metafore di condizioni costrittive entro cui è chiuso l’essere umano e di cui vuole liberarsi. La ricerca di vie d’uscita Tuttavia è “attraverso le asperità che si giunge alle stelle”. Nella tela, appunto, Per aspera ad astra (1984) due figure di genere indistinguibile con lo sguardo rivolto all’esterno cercano di uscire dall’angusto labirinto, dalle barriere che ostacolano il loro portarsi verso la libertà. Condizione invece raggiunta dall’imponente e fiero personaggio dalla carnagione rossastra che si lascia alle spalle il carico di travi nell’opera Controvento (1985); quadro che per certi aspetti formali e di contenuto sociale richiama il capolavoro di Millet Il seminatore. Lo smontaggio dell’impalcatura che impedisce all’uomo di conoscere se stesso, in Antonio tocca anche l’ambito delle pulsioni sessuali, come esemplificano Estasi (1987) e La continuazione possibile (1993), nella cui narrazione pittorica si fa evidente il coinvolgimento dell’artista. Dunque, nella parabola pittorica manciniana, i metaforici labirinti sociali iniziano ad aprirsi per divenire strutture architettoniche metafisiche collocate verticalmente in parallelo alle asciutte figure ora in cerca di nuovi spazi del vivere umano. Sono la mistica coppia di Spazio temporale (1989) e i singoli riflessivi personaggi dell’Uomo che pensa (1990) e dell’Uomo che guarda lontano (1994). Ma c’è l’ancora più emblematica figura mitologica di Arianna (1991), che consapevole del suo destino sembra meditare sul duplice abbandono vissuto in termini contrapposti: la fuga d’amore dal labirinto e il suo abbandono sull’isola di Nasso.

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Realtà virtuale e biotecnologie Lasciati alle spalle i rampanti anni Ottanta avanzano i Novanta con un pesante carico di problematiche sociali, che fanno di nuovo drizzare le antenne al nostro, ora impegnato in inediti messaggi capaci di introdurre cambiamenti nel suo ormai consolidato panorama iconico. Lo sviluppo della tecnologia digitale, presupposto della rivoluzione informatica, sta portando alla proliferazione del computer, così il piccolo scherma entra nelle rappresentazioni di Mancini con una novità: le immagini contenute nel rettangolo di vetro rispecchiano forme più reali di quelle sinora proposte nella sua inconfondibile cifra stilistica. I prodotti delle galline nell’ironica opera Uova nel computer (1997) sono quelle che potremmo trovare in un cesto caravaggesco: la forza suggestiva dell’immagine apparente pare rendere l’oggetto virtuale più reale del reale nell’immaginario collettivo. Un trompe-l'œil dello spirito che, nella produzione manciniana, si accompagna a una presa d’atto di uno sconvolgente “progresso” biotecnologico, al servizio del quale si pone la mente artificiale, sollevando domande di pregnante carattere etico. La possibilità di scegliere e programmare la tipologia del proprio figlio è un’eventualità che il nostro palesa nell’opera Progetto futuro (2000): il volto paffuto di un bimbo, sullo sfondo di una piramide e inquadrato nello schermo, è estrapolata da un’immagine vera e propria in bianco e nero. E ancora. Il concepimento di una nuova vita al di fuori della coppia canonica attraverso modalità diverse di fecondazione è indagata in Progetto Maternità (2000), in cui due figure dalle convenzionali sembianze femminili osservano con sguardo assente il monitor nel quale appare la delicata e realistica scena dipinta di una madre che allatta il neonato. Il mito dei media (2003) è un dipinto in cui non appare il simbolo dello schermo, che tuttavia conduce alla visione metaforica dell’informazione digitale nei suoi aspetti globalizzanti, di standardizzazione e perfino di manipolazione della notizia, come rimandano le ombre di teste e i palloncini all’interno di un globo davanti al quale si trovano due figure ritte e dallo sguardo anestetizzato.

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Tra elevazioni e falsi idoli L’arte di Mancini è stata detta da più esegeti pittura di pensiero, di riflessione, di idee. Felice Monolo, con sottile intuizione, specifica meglio questa enunciazione: “osservando le opere di Mancini ricavo l’impressione di un mondo che sta dentro e fuori dalla realtà: dentro perché al centro della sua ispirazione c’è l’uomo calato nella società moderna in rapida trasformazione, fuori perché quello che avviene è rappresentato con distacco e visto come dietro i vetri di una finestra”. Riflessioni che a tratti hanno un prosieguo etico di apertura verso orizzonti in cui l’essere può ricostruire la sua natura umana. Le ricerche all’inizio del nuovo millennio sulle tematiche dell’equilibrio, dell’armonia dei corpi (Volo e Intreccio caldo, 2005) e della Elevazione (2006) ci riportano in questo ambito, a suo tempo già affrontato nel tema dell’impegno nell’uscita dalle strutture sociali costrittive. Nel contempo Mancini rileva le nuove aberrazioni della società dell’immagine con la diffusione da parte di falsi profeti della comunicazione mediatica di modelli di vita privi di valori. È L’idolo di carta (2005), ovvero il vacuo direttore di un’orchestra che assembla e dirige una moltitudine anonima senza “strumenti di giudizio” e pronta ad assumere come verità valoriale ciò che viene loro inculcato. Ma gli idoli non sono soltanto di carne ed ossa, sia pure senza midollo; sono anche le promettenti quanto illusorie partecipazioni allo spettacolo mediatico di belle e disinibite ragazze che nella prospettiva di un’attività che offra loro visibilità, successo e denaro mostrano un corpo-oggetto spersonalizzato: sono le Veline (2008) messe a nudo dalla pittura del nostro e le realistiche fotopitture di Bambole Barbie (2009) spogliate. L’iterazione dell’immagine seducente di un giovane corpo femminile, che nella nuova proposta del pittore prende risalto su esaltanti fondi cromatici campiti privi di strutture metaforiche, diventa simbolo di una serialità artefatta che nel titolo dell’opera evocano gli stampati delle dichiarazioni omologanti della burocrazia: Modello unico n. 2 (2008). Mancini, dunque, muove i fili delle sue figure umane spersonalizzate nel fluente teatrino di una società contemporanea in cui l’adattamento al modello comune e la manipolazione delle personalità nascondono spesso la volontà di dominio del vertice sulla base di quella piramide sociale di arcaica origine

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(Esercizi per il potere, 2013). Ma, osserva Monolo: “la manipolazione e l’omologazione rompono l’equilibrio della natura e la violentano: la manipolazione ne altera la struttura, l’omologazione cerca di rendere uguale e identico ciò che non lo è, perché ogni essere vivente o cosa è diverso l’uno dall’altra e in continua trasformazione”. Rottura e ricomposizione dell’armonico equilibrio Ed è partendo da questa rottura dell’armonico equilibrio della natura umana (L’uomo frantumato, 2011) che il nostro apre un ciclo pittorico rispondente a una modalità più volte messa in atto nel suo iter creativo in cui si delineano corsi e ricorsi legati agli eventi sociali rilevanti da lui investigati pittoricamente. Se in un primo momento disvela le patologie del cambiamento, successivamente Antonio sembra arrestarsi e riflettere sulle possibilità di un recupero etico manifestato attraverso un linguaggio pittorico che può assumere nuovi connotati di contenuto ed estetici pur mantenendo quella sintesi che gli è propria. Innanzitutto va notato che nella stagione in cui la sua pittura si apre al recupero del perduto equilibrio della natura umana introduce l’uso del mezzo digitale come sussidio a una rappresentazione più realistica espletata secondo due modalità. Una prima chiama in causa capolavori del Rinascimento Italiano. In Venere frantumata (2011), fa sua la Nascita di Venere di Botticelli: estrapola, manipola digitalmente e frammenta la meravigliosa figura della dea uscita dalla conchiglia, secondo un’operazione volta a simboleggiare la perdita dell’equilibrio naturale e armonico dell’individuo nella società contemporanea. Solo attraverso la ricomposizione etica ed estetica del corpo della dea è raggiunta una sintesi di armonia e di equilibrio della bellezza divina che si identifica per emanazione nella bellezza umana (secondo il pensiero del neoplatonismo rinascimentale). E ancora. In Evoluzione di Adamo (2015) opera un intervento analogo con il corpo del primo uomo nella Creazione di Michelangelo della Cappella Sistina. Adamo, creato a immagine somiglianza di Dio, è l’uomo irriconoscibile, smarrito, ridotto a frammenti da una società manipolata dagli eccessi tecnologici che solo attraverso un cammino di riflessione sui valori fondamentali può riconquistare la

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sua integrità morale e fisica, un percorso simboleggiato nel dipinto dalla ritrovata armonia della forma e dei valori cromatici originari. Una seconda modalità pittorica che fa ricorso anche al mezzo digitale per esprimere un ritorno al perduto equilibrio della natura, intesa in senso generale, è l’introduzione nello spazio compositivo di elementi iconografici realistici. Diversi gli esempi, a cominciare dall’innovativo lavoro a tecnica mista Finestra sul mare (2013) con il busto di una Barbie un po’ smarrita immersa in acque ondeggianti che forse vorrebbe cantare il motivo battistiano “acqua azzurra acqua chiara…”; sino all’opera Ritorno alla natura (2015), in cui dalle messi mature si erge una coppia dalle forme icastiche che volge uno sguardo d’attesa verso il cielo. In questa serie di grande leggerezza e libertà compositiva si affaccia il tema delle razze trattato con pensiero affettivo in Le mani di Matilde (2014): mani stilizzate scure e chiare condividono con reciproco rispetto le veritiere spighe di grano. La metafora è chiara. La sublimazione di pensieri e azioni Nel progredire del nuovo millennio, il nostro sembra spostare le sue riflessioni pittoriche dall’uomo calato in una “società disarmonica, labirintica, a volte persa nel nulla sempre pronta a irrompere nella tela”, come l’ha definita il noto saggista Armando Torno, all’uomo teso a sublimare pensieri ed azioni. Il nuovo uomo etico manciniano non perde le sue essenziali caratteristiche estetiche, ma si lascia alle spalle le strutture costrittive per tentare di librarsi verso l’alto. Ora l’iconografia di figurazioni singole e multiple è accompagnata da titoli quali L’aliante e Il gabbiano con l’ala spezzata, opere del 2013, Prova di volo e Oltre la struttura (2016), Pensieri e Donne in volo (2018) segnali verbali in sintonia con una creatività di elevata valenza lirica. Così a ricordarci il dramma di una natura offesa e ormai col fiato corto, l’artista non leva il suo grido di denuncia contro il disastro ambientale, bensì fa giungere alla terra un messaggio musicale (Salviamo il pianeta, 2015) nelle dolci note di un clarinetto suonato da un immenso angelo senza ali. E per l’essere umano può anche valer la pena abbracciare “fratello sole” (Donna che prende il sole, 2019) che illuminandoci porta benefici al corpo come allo spirito.

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Ancora. Quando un invisibile alieno distruttore scende sulla terra seminando morte e terrore, e il nostro vivere è diventato un sonno intessuto di incubi, la poetica di Mancini si affida al Risveglio e all’Ascendere, la risalita (2020). Un durante e un dopo in cui il nostro corpo appare come un altro noi stessi. Nella Donna Alter Ego la rassegnata immagine femminile distesa si sdoppia in due aree distinte nelle cromie terrigne e azzurre, ma non secondo tensioni contrapposte, ovvero senza quello sdoppiamento in malvagità-onestà proprio del dottor Jekill e del signor Hyde. Dunque, Antonio Mancini continua a percorrere la via dei pensieri positivi. Per dirla con Tito Livio “non è ancora tramontato il sole di tutti i giorni”.

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Siti Internet www.antoniomancini.net www.mazzotta.it collana Biblioteca D’Arte www.legnanonews.com Antonio Mancini Twitter Antonio Mancini@(Antonio78371532) Facebook/ facebook.com/antonio.mancini.9843 Contatti Cell. 338 1254251 E mail - mancinart@libero.it Antonio.mancini39@alice.it

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Da ART-now Il Bacio, 2019 Acrilico su due teli Cm 102x50 Antonio Mancini Nella produzione pittorica di Antonio Mancini, caratterizzata da un realismo esistenziale minimalista, si avverte l’inquietudine del nostro tempo. Il messaggio arriva forte e chiaro, comunicando le emozioni che hanno ispirato l’artista. Le sue opere sono immerse in un’atmosfera metafisica, in uno spazio privo di coordinate temporali, ma denso di simbologie e di riferimenti sia alla storia che al mito. Il coinvolgimento emotivo delle sue composizioni sta proprio nella loro sostanziale enigmaticità, dove figure stilizzate, o oggetti essenziali, sono avvolti in un silenzio sospeso, sottintendendo interrogativi anche inquietanti sulla problematicità del nostro vivere in una società che ha perso i valori e il contatto con la natura. La stesura cromatica è assai ben controllata e ritmata da un disegno sapiente e preciso. Mancini riesce quindi a trasmettere il messaggio sotteso alle sue opere tramite la simbologia dell’archetipo, attualizzandolo in chiave emotiva e poetica. 2019, Alessandra Alagna. 13


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Dal 1° Premio Internazionale Arte Palermo “Dai lavori di Antonio Mancini emerge l’urgenza di una continua analisi della realtà a cui l’artista si accosta con uno sguardo attento, sensibile e in grado di cogliere l’essenza più intima delle cose. Il suo percorso artistico ha spaziato da un’arte figurativa a una rappresentazione sempre più minimale dei soggetti, quasi simbolica, concentrandosi su temi sociali legati alla quotidianità. Di questo orientamento sono significative testimonianze i lavori più recenti concepiti attraverso la contrapposizione di masse cromatiche, modulate dalla morbidezza di alcuni passaggi sfumati e definite dall’andamento sinuoso delle linee di contorno, rappresentazione visiva di un flusso di coscienza. Quello di Antonio Mancini è un linguaggio pittorico assolutamente originale e personale che va al di là della rappresentazione formale di un soggetto. L’equilibrio compositivo, le raffinate scelte cromatiche e i delicati trapassi chiaroscurali, ottenuti grazie ad una perfetta padronanza tecnica, rivelano gli aspetti più lirici delle sue composizioni il cui significato viene esplicitato nelle titolazioni conducendo l’osservatore a quella verità emozionale che è il valore e la misura di ogni contenuto creativo. Queste rielaborazioni sospese tra la realtà e l’emozione soggettiva, appaiono armoniose e delicate, racchiudendo una poetica nutrita d’introspezione, che non si ferma solo a contemplare il mondo nelle sue varie sfaccettature, ma che sa appropriarsene nella sua intima essenza.” Paolo Levi Luglio 2018

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La donna alter ego, 2020, acrilico su mediudens cm 90x100

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Ascendente, la risalita, 2020, acrilico su mediudens, cm 50x50

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Il risveglio, 2020, acrilico su tela, cm 80x60

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Donna che prende il sole, 2019, acrilico su tela, cm 90x50

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L’Italia, 2019, acrilico su tela, cm 108x100

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Donne in volo, 2019, acrilico su mediudens, cm 50x50

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Attenti al Lupo, 2017, acrilico su tela,cm 70x70

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Testo critico – Mostra Villa Pomini Antonio Mancini ritorna a Villa Pomini con una mostra che fa il punto delle proprie produzioni pittoriche degli ultimi anni ed aggiunge un nuovo tassello alla sua ricerca artistica sulla relazione dell’uomo con la propria dimensione sociale ed ambientale: in questo atteso appuntamento, l’artista consolida infatti quanto precedentemente espresso, innervandolo di nuova una linfa poetica, stilistica e comportamentale, capace di aprire ad un’inedita stagione di riflessioni ed azioni da parte dei fruitori. Nel primo decennio del 2000 Mancini ha indirizzato il pennello verso l’esposizione di fatti e problemi assillanti della nostra contemporaneità, nel suo originalissimo stile non scevro da incursioni pitto-fotografiche garanti di un realismo consono alla rappresentazione delle urgenze del mondo, affrontando appiattimenti mediatici e culturali ed insensibilità nei confronti della società e del mondo, espressi attraverso il simbolismo di immagini frantumate e spezzate in attesa di una risposta, una ricomposizione.È quanto viene ora specificamente espresso in quest’inedita, propositiva rassegna pittorica, perché da sempre la pittura di Mancini non è solo l’esposizione dei fatti ma anche la loro possibile risoluzione auspicata sulla tela per essere infine operata dai fruitori. Ecco allora che le forme si ricompongono, abbandonano il loro stato frammentario ed inalberano nuove armonie dentro l’arte e quindi nella vita. Sfilano dunque le tipiche silohuette manciniane in una nuova formulazione, impegnate a recuperare un’unità, dopo aver risolto le fratture della propria identità e della propria coscienza, come evidente nell’efficace simbolo di un’ala spezzata subito prossima a rinsaldarsi per spiccare il volo; o ancora, finalmente ricomposte, nell’atto di alzarsi o mentre si sforzano di attraversare una porta o di uscire da sbarre e barriere che sappiamo essere non solo pittoriche, e che infine, con un denso afflato di poesia e di slancio vitale, guardano oltre, verso un’armonia che forse anche la natura saprà donarci. Mancini qui ri-unisce - portando non a caso spesso l’attenzione su una coppia di persone, simbolo di una ritrovata compostezza ed unione dell’uomo - forme e colori in nuove figurazioni armoniche dense di rinnovato spirito e voglia di agire, in maniera avvicente e contagiosa. Diventa subito imperativo trasporre questa positività, arma totale ed invincibile dell’arte manciniana, in un dover fare che esca dalla tela e cammini veramente nel percorso attuale dell’umanità: oltre l’armonia di quanto rappresentato nel quadro, fin dentro ogni disarmonicità, ogni mancanza di comprensione e comunicazione, della nostra quotidianità. Le figure in mostra mentre guardano altrove ci rivolgono comunque lo sguardo: ciascuna di loro può benissimo essere, anzi deve necessariamente diventarlo, ognuno di noi spettatori, uniti in un intreccio di volontà e condivisione che sa farsi danza serena come quella del dipinto manifesto di questa nuova, incoraggiante mostra. Giorgio Fedeli Settembre 2016

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Oltre l'armonia, 2016, acrilico su tela, cm 100x100

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Oltre la struttura, 2016, acrilico su tavola, cm 88x64

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Lungimiranza, 2018, acrilico su mediudens, cm 80x65

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Alla ricerca di un’etica Mancini è un pittore di idee - idee di vita vissuta - che nascono da denunce, dalla sofferenza di una civiltà invasa dalla comunicazione (la quale ormai comunica soltanto se stessa), nel tentativo di trovare un’etica tra le mille che la società propone e moltiplica con lo scopo di vanificare la dimensione morale. Questo pittore non ha scelto una pittura “facile”, né mi sembra abbia rincorso una particolare corrente artistica, ha semplicemente dipinto quelle situazioni e quei fenomeni della vita attuale che l'uomo ormai non è più in grado di metabolizzare. Le sue linee cercano una chiarezza che nella realtà diventa sempre più evanescente; i suoi colori sono delicati sino alla gentilezza e forse altro non sono che immense pellicole di valori con cui egli desidera avvolgere uomini e cose; le sue figure, appiattite e specularmente disposte, diventano un punto di ritrovo per l'occhio e al tempo stesso suggeriscono misura ed equilibrio. La società denunciata nei suoi quadri è disarmonica, labirintica, a volte persa in un nulla sempre pronto a irrompere nella tela. Cercare un'etica per poter abitare senza dolore il tempo che ci è stato dato, resta il lavoro dei filosofi; denunciare la mancanza di un'etica, è lo scopo dei moralisti; scovare le ragioni per cui il mondo fugge lontano da ogni etica, dimenticandosi di uomini e cose, è compito di un artista. Mancini, con molta semplicità, ci offre il suo bilancio di osservazioni, quadro dopo quadro. Di certo si avverte nelle sue figure l'angoscia postmoderna della provvisorietà. Jürgen Habermas, nella sua ponderosa opera <Teoria dell'agire comunicativo>, ci ricorda che il nostro è il tempo della monetizzazione e della burocratizzazione di tutte le cose, anche di quelle infime:le conseguenze si osservano nelle mille nuove patologie di cui soffre la società. Per questo ho guardato attentamente le opere di Mancini e ho avviato un dialogo con le sue figure. Cercano qualcosa come tutti noi. Armando Torno Editorialista del corriere della sera Settembre 2009

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Salvare il pianeta, 2015, acrilico su mediudens, cm 80x64

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Nuova Etnia, 2015, acrilico su tavola, cm 70x50

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Il gabbiano con l'ala spezzata, 2013, acrilico su tela, cm 100x80

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L’essenza dell’essere “Dio è morto. E noi l’abbiamo ucciso”. Questo celebre aforisma del filosofo tedesco Friederich Nietzsche riassume il senso della profonda crisi culturale da cui la società contemporanea è angustiata. Secondo Nietzsche la morte di Dio, ermeticamente intesa come la decadenza del mondo occidentale, conduce al rifiuto di credere in un’oggettiva ed universale legge morale. La perdita di un così importante legame sociale innesca una reazione a catena involutiva che comporta inevitabilmente un annichilimento culturale. Antonio Mancini è testimone del disagio di un’epoca caratterizzata da forti contrasti ideologici, culturali, religiosi e attraverso la sua pittura ne descrive gli atteggiamenti diffusi di indifferenza, apatia e rassegnazione nei quali l’uomo si lascia colpevolmente crogiolare. Le sue figure sono infatti lo specchio di una società convulsa e culturalmente appiattita incapace di generare validi punti di riferimento e al contempo troppo presa nella sterile e aberrante esaltazione di modelli unici, privi di spessore e profondità che appaghino l’incessante brama di effimero. Questa figurazione essenziale dell’uomo, acuita da una bidimensionalità cromatica, mette in risalto la volontà dell’artista di evidenziare il nichilismo serafico nel quale ristagna l’uomo contemporaneo. Alle figure appiattite dalle tenui tinte fanno eco le miopi ripetizioni, le standardizzazioni passive e le massificazioni speculari che esplicitano l’involuzione del pensiero postmoderno la cui complessità fa della crisi dei nostri giorni un travaglio strutturale, esistenziale, totalizzante. L’uomo, che brama divinizzarsi, ha spento il fuoco donatogli da Prometeo ed ora, privo di riferimenti, vaga sovente nell’oscurità incapace di visualizzare i punti cardinali dell’esistenza. Mancini allude all’uomo che frantumato il proprio Io ha interrotto il rapporto armonico con le proprie origini, sacrificando sull’altare della vacuità i valori etici della società civile. Ma è attraverso un procedimento catartico che l’uomo di Mancini, purificato dal valore etico dell’arte, prova a riconciliarsi con l’essenza dell’essere, trasformando quel messaggio di apparente critica passiva o sterile denuncia in una nuova e ottimistica ricerca. Gerardo Giurin Giugno 2014

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Donna in tuta blu, 2013, acrilico su mediudens, cm 80x64

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Prova di volo, 2016, acrilico su tela, cm 50x50

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Comunicare sul muretto, 2015, acrilico su tela cm 70x70

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Pensieri, 2018, acrilico su tela, cm 70x60

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Ritorno alla natura, 2015, foto pittura, su tavola, cm 47x47

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L’evoluzione di Adamo Quest’opera è ispirata alla creazione di Adamo dipinto da Michelangelo Buonarroti nel 1511, nella Cappella Sistina e riportata ai nostri giorni. Da uomo creato a immagine e somiglianza di Dio, a uomo ridotto a oggetto spezzettato e confuso, senza più unità. Anche la variazione dei colori rimanda a una mancanza d’integrità dell’individuo. L’epoca moderna presenta molti aspetti positivi nel grande sviluppo della scienza e della tecnologia – anche io ne faccio uso - ma quando prevale l’assillo della novità da rincorrere con ogni mezzo, a fronte di valori personali e sociali in disfacimento, l’uomo tende a disumanizzarsi e smarrirsi, se non riesce a porsi dei limiti. L’immagine sottostante con la figura in via di ricomposizione nella sua integrità riportando la forma e l’equilibrio dei colori e della stessa composizione, è un messaggio di speranza nel ritorno all’Umano e ai suoi valori fondamentali, attraverso un tempo di riflessione. Il quadro è stato realizzato grazie ad un procedimento con iniziale disegno dipinto, poi elaborato a computer, infine riportato sulla tela con pittura acrilica. Antonio Mancini

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L'evoluzione di Adamo, 2017, tecnica mista su tela, cm 100x100

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Armonia, libro d'artista, 2012, acrilico su tavola, cm 50x50

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L'aliante, 2013, acrilico su tela, cm 100x90

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Vita=Energia pulita, 2013, acrilico su tela, cm 40x40

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Attesa con bollicine, 2014, acrilico su mediudens, cm 70x 60

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Trittico di Venere Ho voluto proporre la Nascita di Venere di Botticelli come simbolo dell’Italia, perché nel Rinascimento e con il nuovo Umanesimo di Marsilio Ficino, Botticelli interpreta la bellezza fisica come esempio di armonia ed equilibrio. Tutto questo nella società di oggi è invece in frantumazione fisica e spirituale. Ripropongo la sua simbologia, nella realtà odierna, omologandola a trittico e spezzettandola con segmenti sia a destra sia a sinistra, quali “metafore di frantumazione”, ma sublimando la figura centrale della Venere come valore assoluto. Il nastro tricolore che annoda la chioma fluida è simbolo dell’Unità d’Italia, intesa dunque anche come unità spirituale. Antonio Mancini

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Trittico di Venere, 2011, tecnica mista su tela, cm100x120

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Finestra sul mare, 2013, tecnica mista, cm 70x70

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Le mani di Matilde, 2014, foto pittura, cm 70x70

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La Venere frantumata Il filo rosso che unisce la pittura di Mancini, è l’uomo calato nella realtà del tempo in continua trasformazione. Questo pittore, dalla vasta e lunga esperienza artistica in questi ultimi quadri sta trattando il tema dell’arte allusiva. La sua attenzione è rivolta al Rinascimento Italiano, il pittore scelto è Botticelli, il quadro “La Nascita di Venere”, non si tratta di una semplice riproduzione, ma di una interpretazione tutta personale di un soggetto famoso. La Venere di Botticelli rimanda al neo Platonismo di Marsilio Ficino, il filosofo del Rinascimento: la fisicità della bellezza è sintesi di armonia e di equilibrio, è bellezza divina che per emanazione, si identifica in quella umana. Invece la Venere di Mancini è frantumata: questa, simbolicamente, significa che sull’armonia classica prevale la disarmonia della realtà di oggi. La ricomposizione armonica, il leggero movimento, la sinuosità della linea, la delicata espressione del volto, la raffinatezza dei colori, azzurro e giallo pallido del corpo, ripropone il recupero dei valori che stanno alla base del vivere civile, che sembrano essere smarriti. Ancora una volta al significato estetico del quadro si unisce quello etico. Felice Monolo Giugno 2011

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La Venere frantumata, 2011, tecnica foto-pittura elaborata, cm 100x100

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In the future everyone will be world-famous for 15 minutes Andy Warhol, Stoccolma 1968 La celebre citazione, parafrasi di una riga del catalogo di una mostra di Andy Warhol al Moderna Museet di Stoccolma, è utilizzata come punto di partenza per presentare il lavoro dell’artista Antonio Mancini. Una frase, quella del fondatore della Pop Art americana, che torna spesso ad animare il dibattito culturale e che trova in molti artisti contemporanei diverse “riletture” estetiche. Il valore assegnato alla fama, il desiderio di notorietà, la comunicazione di massa, gli effetti pervasivi del mezzo tecnologico e il medium inteso come messaggio sono infatti i temi che caratterizzano il lavoro di Mancini, il quale si pone come testimone davanti all’Arte/Giudice e s’impegna con il suo linguaggio creativo nel rappresentare tutta la verità. Una verità scomoda che gira il dito nella piaga verminosa dell’omologazione e dell’esasperata necessità di appartenere ad un disegno preciso, inequivocabile e senza sfumature. La serialità di Warhol diventa in Mancini l’esaltazione del modello unico ripetuto all’infinito secondo un’accezione negativa totalmente lontano da quell’ideale di bellezza proposto e analizzato scientificamente dalla cultura umanistica. Mancini denuncia uno stato d’essere costruito in base ai canoni estetici dettati dalla comunicazione mediatica: pone sotto la luce dell’arte fenomeni come il velinismo che brucia volti e corpi in una rapida sequenza di ‘usa e getta’, e il tronismo evoluzione artificiale del dandyismo che detta agli uomini i parametri per essere il moderno conquistatore ‘Costantino’ tutto muscoli e niente cervello. Antonio Mancini, abruzzese di nascita e lombardo di adozione, racconta attraverso gli occhi spauriti e increduli dei suoi personaggi le debolezze della società e il delitto della dignità umana che tenta di recuperare attraverso la nobile arte della pittura. Ivan D’Alberto, giornalista e storico dell’arte Settembre 2011

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Bambole Barbie, 2009, foto-pittura, su tela, cm 100x2 da 50

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Primo Premio Internazionale Arte Palermo 2018 Teatro Biondo Philippe Daverio, Sandro Serradifalco e Paolo Levi.

Nota di Paolo Levi: “Disegno lineare e colori tenui e rilassanti per alludere al reale, queste le caratteristiche estetiche dell’arte di Antonio Mancini. Lavori che vanno letti in chiave etica e didascalica e che, con un linguaggio apparentemente semplice, si contrappongono al caos del mondo contemporaneo che produce come conseguenza nell’uomo alienazione e disorientamento. Le composizioni sono dotate di grazia e armonia che evidenziano la valenza lirica della sua produzione.” Paolo Levi Teatro Biondo 26/07/ 2018

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L'uomo frantumato 2011, acrilico su tela, cm 100x50

Integrazione 2009, acrilico su tela, cm 100x50

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Nel fluente teatrino della società contemporanea Antonio Mancini muove i fili delle sue figure umane spersonalizzate nel fluente teatrino della società contemporanea. I fondali cambiano e con essi cambiano i contenuti della rappresentazione. Ma il simulacro umano, nella sua peculiare cifra stilistica, rimane immutato, come a dirci che quell’essere pensante poi tanto pensante non è. Ha però in sé una formidabile capacità di adattamento al modello comune, ovvero di omologazione al contesto dominante. Situazione che spesso in filigrana, se non addirittura in modo dichiarato, evidenzia una volontà di dominio del vertice sulla base di quella piramide sociale di arcaica origine. La poetica di Mancini, dunque, si situa nel vasto alveo della denuncia di un disagio socio-culturale comune a molti artisti del nostro tempo. Una denuncia che tuttavia non fa sanguinare la ferita, ma suggerisce, segnala e tenta di aprire brecce nelle coscienze più attente. Come critico e sodale all’Artistica legnanese, ho seguito l’evolversi del suo percorso creativo a partire dalle figure formalmente semplificate ed iterate nelle posture da strutture architettoniche, metafora dei “labirinti” sociali entro cui è costretta l’esistenza dell’uomo contemporaneo. La solitudine di una condizione massificante, la ricerca di equilibri all’interno dei rapporti umani, l’invasività della comunicazione e delle tecnologie informatiche sono altrettanti temi della poetica simbolica-metafisica “raffreddata” di Mancini, che in lavori successivi si apre a un riscatto etico ed estetico con la presenza di visi d’impronta realista. E ancora, all’accurata figurazione pittorica impostata sui toni dell’azzurro e del rosso degradanti in sfumati, affianca forme di frutti della terra definiti da freschi cromatismi visibilmente industriali, introducendo in tal modo la problematica delle modificazioni genetiche. Con un nuovo scatto Antonio Mancini sembra spostare la riflessione sul possibile recupero dell’identità dell’uomo proponendo soluzioni formali che suggeriscono potenziali vie di avvicinamento a una nuova etica. La sintassi figurativa dell’opera si arricchisce con le valenze del ritmo, della ripetizione, del rispecchiamento, della simmetria seguendo un pensiero di segno positivo. Fabrizio Rovesti Luglio 2009

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Modello unico 2, 2008, acrilico su tela, cm 50x50

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Modello unico 9, 2009, acrilico su tela cm 70x70

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Senza titolo, con manichino, 2008, tecnica mista, cm 70x70

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Armonie interrotte La mostra che il Museo delle Arti di Nocciano dedica ad Antonio Mancini, abruzzese trapiantato in Lombardia, nasce nella prospettiva di portare avanti quell’importante processo di acquisizione dei legami esistenti tra il territorio abruzzese e quello lombardo, attraverso una tematica sociale che, questa volta, lega la pittura al corpo, attraverso un rapporto, interrotto, di “armonie”. In questa logica, il contatto tra le assonanze e le dissonanze può apparire a tratti conflittuale e a tratti meno, ma sinceramente rivolto alla consapevolezza dell’acquisizione di un rapporto tra l’ “io” e la dimensione esistenziale del proprio micro-cosmo. Ed è in questa dialettica che il prodotto pittorico di Mancini acquisisce un aspetto particolare, la cui intimità, velata da un anelito di mistero, sembra quasi fermarsi e cristallizzarsi per alcuni istanti, come una serie di micro-sequenze di un film, delle piccole messe in posa che restano lì, impresse in una soluzione spazio-temporale, a tratti, sospese. In questo modo, il risultato che ne emerge sembra quasi voler immortalare delle situazioni in corso d’evoluzione; esse sono solo apparentemente statiche, per portare alla luce quella dimensione singolarmente intima della propria percezione. La sua messa in scena si vuol presentare non con una visione prospettica, ma come un punto tra i tanti ai margini, che offre una particolarissima visione d’insieme; l’artista farà così proprio del margine la chiave di lettura privilegiata, la visione particolare di quell’insieme del centro narrativo, fornendo un messaggio specifico da decodificare con una certa sensibilità, nell’ambito di una visione generale, che ha l’obiettivo di registrare e segnalare come tutta la realtà non sia altro che costituita da una serie di modelli superficiali, la cui imitazione rischia d’esser portatrice di morte; è in questa illusione teatrale che si inizia ad acquisire quel processo di verità, per cui l’immagine pittorica diventerà quella di se stessi che si stabilisce grazie alle strutture interne che essa intrattiene, con le riflessioni simboliche, metapittoriche-metateatrali, della percezione del proprio io piu intimo. Il testo pittorico funzionerà, sì, a seconda delle sue regole interne e dei propri linguaggi, ma sarà pur sempre da verificare rispetto a quanto alluso e richiamato per opposizione e negazione dei suoi stessi contorni culturali. Così, la dinamica del “represso-accettato”, per così dire, verrà mostrata in atto come prodotto pittorico istituzionale; poi, quasi come un dramma, attraverso l’analisi di quei suoi personaggi, fisicamente e socialmente inferiori, opposti ai personaggi dei modelli, per così dire, “centrali”, la cui dignità è più che mai rispettata dalla società contemporanea. Questi due livelli vanno così considerati in connessione ai fenomeni culturali tipici della nostra contemporaneità, contro la censura operata dalle autorità vigenti nella comunicazione di massa. Si tratta, in conclusione, di restituire le linee di una dinamica culturale di cui l’elemento artistico o la denuncia artistica possano diventare una componente di scambio tra realta dicotomiche e, insieme, interconnesse. Giovanni Paolo Maria De Cerchio

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Esercizi per il potere, 2013, acrilico su tela, cm 100x90

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Riflessione sull’artista Come ogni cosa terrena anche l’uomo cambia nel tempo non solo fisicamente ma anche nel suo intimo attraverso l’esperienza della vita e il procedere della realtà storica in cui è inserito, pur restando sempre caratterialmente se stesso. La stessa cosa quindi avviene anche per l’artista che partecipa allo spirito del tempo che cambia, permanendo comunque la sua “cifra” poetica. Del resto al di là degli interessi pratici connessi all’attività artistica è pur vero che ogni artista “serio” alza verso l’ideale il mondo reale e quindi dà attraverso le sue creazioni una lezione etica se non altro perché invita lo spettatore sensibile a riflettere. I temi trattati dal pittore Mancini nella lunga carriera artistica riguardano sempre l’uomo calato nella realtà del momento. Per limitare l’osservazione agli ultimi anni l’interesse è rivolto alla manipolazione e all’omologazione, le figure diventano il simbolo della serialità artefatta. La manipolazione e l’omologazione rompono l’equilibrio della natura e la violentano: la manipolazione ne altera la struttura, l’omologazione cerca di rendere uguale e identico ciò che non lo è, perché ogni essere vivente o cosa è diverso l’uno dall’altra e in continua trasformazione. Le figure che Mancini rappresenta non sono allegoriche, non fanno parte di un discorso narrato ma sono simboli “assolutizzati”, sono “un corto circuito dello spirito” simmetricamente disposte, fredde, virtuali, asettiche. La loro valenza tragica è sottesa dalla precisa cura formale delle linee geometriche e dei colori artificiali mediante i quali il pittore fa una denuncia implicita dell’arroganza dell’uomo che vuole sostituirsi alla natura. È appunto la criptica denuncia che dà valore all’opera e la sublima perché la depura dalla passionalità soggettiva; così gli elementi compositivi perdono la dimensione fisica e nominale per diventare simboli di qualche cosa che supera i sensi e va oltre lo spazio e il tempo. Felice Monolo Ottobre 2009

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Veline, 2008, acrilico su tela, cm 100x90

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Armonie 3, 2013, acrilico su mediudens, cm 80x60

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“La selezione del suo operato in occasione del progetto editoriale <Italiani> Attesta la validitĂ del suo impegno stilistico. La sua presenza conferma la grandezza del panorama artistico contemporaneo Gennaio, 2018 - Vittorio Sgarbi

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L'idolo di carta, 2005, acrilico su tela, cm 100x100

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Riflessione metropoli, 2007, acrilico su tela, cm 80x80

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Il Volo, 2005, acrilico su cartone incollato su legno, cm 64x80

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Intreccio caldo, 2005, acrilico su tela, cm 120x100

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Le sfingi-noi del domani di Antonio Mancini Una delle proprietà che più colpiscono delle figurazioni di Antonio Mancini é l’assoluta cristallizzazione del loro spazio gestuale e sonoro. All’interno di un immaginario situato tra la coscienza traslucida del presente e la pre-visione di un’antropologia del domani, incarnazioni di una matrice umana ancora familiare stanno immobili e silenti, agendo un perenne anelare ad un gesto o ad una sentenza mai emessi, ad una risposta ancora a venire. Continuamente al limite di un’epifania possibile, le figure assumono il senso di un’odierna sfinge al crocevia dei labirinti simbolici e degli scenari della nostra civiltà. Come l’entità mitologica di Tebe proponeva ai viandanti un difficile enigma e uccideva chi non sapeva risolverlo, anche le enigmatiche maquettes di Mancini impegnano in un’interrogazione vitale ed urgente circa le nostre modalità di sopravvivenza nell’oggi e ancor più nell’immediato domani. Alla prospettiva di un imminente spazio dell’esserci ove le neotecnologie e la rete telematica provochino il declino dell’individualità fisica e mentale dell’uomo, ove il biologico sia mera protesi del tecnologico, si alzano a sbarrare la strada questi volti impenetrabili, queste nostre proiezioni future che ci incitano sin d’ora ad un confronto e ad un equilibrio collettivo ed individuale. Spesso prive di bocca poiché ancora senza risposta, ma capaci di vedere e quindi pensare, le sfingi-noi del domani pongono l’arcano di una complicità progettuale sempre e comunque nelle mani dell’uomo, di una fattiva tangenza del suo contenuto più intimo e vitale con il mondo tecnotronico. Seppur congelati, abbracci, gesti e sguardi rilanciano con forza la scommessa su di una comunicabilità ancora possibile tra singola persona, valori e progresso, tra noi e computers, tra (post)uomo e (post) donna, tra sensus e techné, in quel mondo del domani che è già davanti ai nostri occhi In tal senso, nelle sue olografie antropologiche, Mancini sigla come ipotesi di percorrenza la continuazione consapevole e responsabile di tutto ciò che di più peculiare e significativo l’umanità nella sua storia ha dato in risposta all’enigma del vivere, quel bagaglio di ragione ed affetti che solo pare in grado di ritornare una voce alle sfingi. Giorgio Fedeli 2001

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L'ultima indifferenza, 2006, acrilico su tela, cm 100x100

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Elevazione, 2006, acrilico su tela, cm 70x70

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Il mito dei media, 2003, acrilico su tela, cm 120x100

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Presentazione Ogni volta che osservo le opere del pittore Antonio Mancini ricavo l’impressione di un mondo che sta dentro e fuori dalla realtà: dentro perché al centro della sua ispirazione c’è l’uomo calato nella società moderna in rapida trasformazione, fuori perché quello che avviene è rappresentato con distacco e visto come dietro i vetri di una finestra. Nello stesso tempo la semplicità della linea, la sobrietà del colore, l’equilibrio della composizione trasmettono un invito al recupero della dignità soprattutto quando i soggetti trattati riflettono maggiormente la conturbante attualità; infatti questo pittore possiede una spiccata personalità artistica che gli permette di tradurre in immagini, senza compiacimenti estetici, i moti dell’animo. La sua pittura è, si può dire, poesia di un sogno fatto ad occhi aperti. Essa è pittura del silenzio per la costante presenza di figure scarne e ridotte all’essenza, dai volti uguali e stravolti, dagli sguardi tesi verso chissà dove, misteriose e sfuggenti nella loro staticità, dai nasi allungati dai capelli strisciati, dall’assenza della bocca, tutti elementi questi che costituiscono i segni caratterizzanti dell’artista tanto che i suoi quadri si possono considerare un unico grande quadro in cui trascorre la vita dell’uomo. I volti tutti uguali ricordano anche i dipinti soprattutto del primo Medio-Evo in cui alla persona singola prevaleva il tipo corrispondente alla categoria sociale alla quale apparteneva (sacerdote, nobile, guerriero). L’assenza di individualità nella pittura di Mancini significa la perdita di identità dell’uomo di oggi assorbito dalla massa anonima che produce e consuma. Leonardo dice: “L’Arte è pensiero”. La pittura di Mancini è pittura di pensiero. Il suo pensiero è di grande attualità: parte dalla frantumazione degli ideali, dal relativismo e dalla provvisorietà di ogni cosa espressa dai filosofi del postmoderno (Habermas, Gadamer e da altri) per aprirsi al recupero della speranza, nella solidarietà e nell’amore che sono il lievito della convivenza umana. La sua pittura ha anche una connotazione sociale non nel senso politico del termine ma in quello umano perché i soggetti che trattano questo tema non sono manifesti di partito ma hanno una valenza universale per la fiera difesa della libertà contro ogni tipo di violenza, come è bene espresso nel quadro che porta il titolo “Uomo contro vento”. La lezione che si ricava da una rivisitazione delle opere di Mancini è che egli, come ogni artista sincero, dipinge sulla tela i risvolti della sua coscienza servendosi della metafora delle immagini e intanto fa riflettere sulla distanza che separa l’individuo sensibile da una società sempre più spersonalizzata. Antonio Mancini con sapienza pittorica e scrupolosa diligenza manda avanti la sua poesia della vita, oltre le mode del momento, nella continua ricerca della verità che salva all’arte ciò che il tempo distrugge. Felice Monolo

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Amore virtuale, 2004, acrilico su tela, cm 70x70

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Un uomo che non ha pensieri individuali è un uomo che non pensa. Oscar Wilde EQUILIBRATA...MENTE. (…) Le nuove tecnologie - non di rado improntate al consumismo ed all’effimero dei nostri giorni presentano infatti mondi virtuali invadenti e difficili da governare poiché pericolosamente disgiunti dalla realtà e soprattutto tendenzialmente portati a cancellare la memoria collettiva. Di questo pericolo incombente se ne sono accorti per primi soprattutto gli artisti, che si sono trovati di fronte ad una scelta netta e dirimente: rincorrere una modernità completamente avulsa dal passato o rinnovare l’espressione artistica senza dimenticare le radici ed il lungo cammino percorso dagli albori dell’arte sino ad oggi, che è poi anche storia dell’uomo. Antonio Mancini è da annoverare fra coloro che per primi hanno avvertito la necessità di questa scelta, trasformandola in contenuto pittorico secondo una propria particolare poetica che, nelle sue visionarie divagazioni, non manca di momenti di intensa liricità. La sua è da tempo una pittura che, pur conscia ed aggiornata sulle problematiche della nostra epoca, ha saputo svincolarsi dalle contingenze della quotidianità e dalle strettoie del tempo, per proiettarsi in una dimensione immaginaria in cui l’uomo, pur mantenendo alcune costanti fisiognomiche (ma non tutte e comunque non tutte veristiche), ha perso la consistenza dei volumi ed il vigore della corporeità, acquistando una trasparenza misteriosa e trascendente, anche se i suoi comportamenti continuano a rimanere umani. E’ un uomo che assume le connotazioni eteree ed immaginifiche di un essere futuribile, intuito più che rappresentato, sul cui volto risuonano però l’ombra del dubbio ed una riflessiva nota di malinconia. Questo uomo si muove in un contesto dalla struttura razionale ed asettica, che non riporta il dato reale ma trasforma in segni lievi e colori trasognati le elucubrazioni del pensiero ed in simboli (labirinti, circuiti elettronici, schermi di computer) i concetti e le speculazioni che ne derivano. Oltre le apparenze di una calma illusoria, si sente in tale raffigurazione tutto il peso delle difficoltà di approccio ad un mondo che si fa assillante ed il bisogno di ritrovare un equilibrio che è innanzitutto mentale. Quello al centro della pittura di Mancini è un mondo contrassegnato da atmosfere diradate ed essenziali nei loro elementi costitutivi, quasi al limite dell’inconsistenza materica, in cui risuona una nota di purezza. I movimenti dei personaggi appaiono liberi e sincronizzati, ma traspare il tentativo di mantenere una propria identità, sovrapponendosi al computer od al suo mondo virtuale per conservare una propria dignità, i propri valori, le proprie passioni. E’ una visione quella di Mancini che si sviluppa fra colori tersi e trasparenti, pronti a svanire nel nulla come un sogno. Nelle sue opere l’uomo tende a recuperare una comunione con la natura (anche il computer è portato a diventare elemento di quest’ultima) e risuona spesso la parola ‘progetto’ quasi a voler indicare una sincera volontà di ricerca di una nuova condizione umana. E’ una condizione che implica consapevolezza della storia, rispetto per i propri simili, capacità di leggere la vicenda umana con una punta di utopia. Mancini la ripropone nei suoi lavori con tanta pazienza ed infinito amore, trasformandola in preziosa testimonianza. Ettore Ceriani Gennaio 2000

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Progetto NativitĂ , 2002, acrilico su tela, cm 80x90

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Antonio Mancini: pittura come ascesi di Leo Strozzieri La ricerca pittorica di Antonio Mancini, che già vanta oltre un trentennio di autorevoli riscontri da parte della critica e dl pubblico, è frutto di un bisogno interiore dell’artista, quello cioè di esternare un messaggio umanistico di cui è fortemente convinto. Pertanto il suo iconismo si presenta in tutta la sua potenzia dialogica, avendo egli per partito preso messo fuori campo ogni sterile concettualismo a la page, di cui molti suoi giovani colleghi restano irretiti, pesando di realizzarsi in un gioco mentale senza un contenuto da trasmettere al fruitore. Avendo Mancini privilegiato questo perimetro “etico” dell’arte, è d’obbligo evidenziare la sua coerenza negli anni a una rappresentazione interiormente sentita del reale fondata innanzitutto su un grafismo sintetico ed una cromia accolito dell’ascesi, in grado di prefigurare quella serena Bisanzio ove la rarefazione della materia diventa matrice della presenza visiva dello spirito. Si vuol dire che la pittura dell’artista abruzzese, naturalizzato lombardo, si lascia apprezzare per un processo di scarnificazione di ogni componente barocca, vuoi nell’assente gestualità dei personaggi raffigurati, come anche nell’atmosfera surreale della bicromia rosa-celeste. Ed ancora che l’immagine, frutto di una insuperabile sintesi compositiva, è gremita di riferimenti ad un periodo mitico genesiaco puro e purificatore, allorché lo spirito non correva ancora il rischio di compromissione con la materia uscita da poco dal caos. I personaggi di Mancini sono reali o fantastici? Esercizio di inventiva o aspirazione utopistica? Rinunziando alla trama compositiva direi si tratti di un’astrazione modernista che evoca gli assorti personaggi dei mosaici bizantini con l’identica matrice di platonismo. In ultima analisi questi parametri operativi essenziali di una pittura davvero singolare e qualificante in modo evidentissimo il suo stile personale: scrupolosa fedeltà nell’ambito di un contesto iconico alla sintesi propria di certe esperienze neoavanguardistiche; attitudine quasi maniacale al finalismo dialogico dell’opera con il fruitore; rapporto dinamico fra figura ed ambiente architettonico razionale (spesso è il labirinto che lascia presupporre il concetto di modernità) orchestrato sempre con sintesi immaginativa ed eccellente equilibrio formale; considerazione assai ragguardevole anche del valore seriale delle figure secondo esperienze pittoriche moderniste; gioco analogico spinto con posizioni oniriche, surreali, metafisiche persino, come si evince dal colore molto diluito, quasi a rinunciare al primo piano proprio dello stato di veglia. Sarebbero interessanti alcune riflessioni sul formalismo del suo colore che ridefinisce in modo appunto metafisico la realtà contemplata in trasparenza come se fosse protetta da fogli di carta velina in grado di proiettarla verso la trascendenza. E dietro la trasparenza si sfrangia il peso dei corpi sottoposti ad una ascesi quaresimale: i suoi manichini (così potremo chiamarli). O meglio i suoi iperspaziali personaggi che blandamente posano il loro piede sul nostro pianeta sono gravitazionali, ovvero hanno il peso di un ideale, di un impianto puramente logico come nella migliore tradizione idealista hegeliana. Su quest’impianto Mancini modula una sinfonia sommessa, astrale ed intimistica, del tutto antiretorica e davvero diametralmente opposta all’effervescenza verbale del conterraneo D’Annunzio nel cui monumentale teatro pescarese è ospitata questa singolare esposizione personale.

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Progetto futuro, 2000, olio su tela, cm 80x90

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Uova nel computer, 1997,olio su tela, cm 70x70

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Progetto per una meta, 2000, olio su tela, cm 70x70

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Presentazione Le scelte di linguaggio che Antonio Mancini ebbe a fare verso la fine degli anni sessanta e che perfezionò nei decenni successivi, gli permisero l’acquisizione di una tecnica e di un mestiere che gli consentivano di essere un pittore dell’area astratta che le sue opere non furono mai. La sua personalità è dunque ricca e complessa, comprende l’urgenza di trasmettere messaggi che non siano soltanto estetici, lirici e poetici, ma anche umani, sociali e politici. Considerando la sua forma e la sua tecnica pittorica non può sfuggire a nessuno come egli preceda sulle strade solitamente frequentate dagli artisti motivati da forti spinte spirituali e contenutistiche, quali ad esempio i simbolisti, i nabis, i metafisici, dai quali peraltro nettamente si differenzia, e generalmente i pittori sognatori totalmente disinteressati ai problemi del verismo e del naturalismo. I suoi occhi non guardano ciò che circonda e i suoi sensi non cercano la conoscenza della qualità e della quantità delle cose materiali, ma guardano invece interiormente, nella sua mente e nel suo spirito, per identificare pensieri, sogni, ideali, sentimenti che sostanziano e motivano la sua pittura. Risulta dalle opere di mancini che tali contenuti si materializzano pittoricamente rimanendo pensieri, cioè assumendo una forma immateriale tra il metafisico e il surreale, simbolica, pulita ed essenziale, che rifiuta ogni accidente che possa distrarre il fruitore dal messaggio che egli intende comunicare. Già nelle scelte dei colori egli fa un’operazione di discriminazione, ne scarta alcuni e usa soltanto la gamma dei rosa e degli azzurri. Questi vengono poi sottoposti a un processo pittorico di affinamento che li rende vibrati e arieggiati, quasi immateriali come se fossero pura luce colorata. Il valore di questa particolare condizione astratta si addiziona a quelli razionali e concettuali della composizione, delle partiture architettoniche e figurative delle sue opere. Già i personaggi raffigurati nei dipinti sono architetture, sono volumi che hanno la convenzionale sembianza della figura umana e sono ambientati in essenziali e geometriche scenografie: tali personaggi, uomini e donne, hanno tutti un’unica e comune impronta robotica della produzione di serie, tipica dei nostri tempi, ma con l’esclusiva sigla di Mancini. Con ciò, l’artista intende subito informarci di quale sia il suo pensiero in merito alla condizione dell’uomo e della società contemporanea. Pensiero che si allarga e si estende nei decenni presentandoci situazioni esistenziali che tutti noi viviamo: i drammi, le ansie e angosce, le speranze, le gioie, e che testimoniano le vicissitudini sociopolitiche che ci portano nel labirinto della vita. Silvio Zanella Direttore Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate 1997.

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Ricerca dell'immagine, 1998, olio su tela, cm 70x70

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Natività In questo dipinto ho inteso esprimere il clima del Natale oggi, mettendo in evidenza la frenesia dei consumi a discapito del momento religioso della Natività. Il quadro presenta, in primo piano, una cascata di frutta virtuale con un panettone dorato e una bottiglia di spumante. Dietro stanno Maria, che guarda in basso sorpresa, poichè non vede più il Bambino, mentre Giuseppe, pensoso, guarda lontano. La capanna è simboleggiata da un arco che avvolge la scena. La luce è il Bambino Gesù che, ascendendo verso l’Alto, fugge dalla Terra ma al contempo, la scia, come un ponte verso il Cielo, è il messaggio stesso di speranza che Egli vuole dare agli uomini. Antonio Mancini

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NativitĂ , 2002, acrilico su tela, cm 100x110

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Comunicazione mediata, 1998, olio su tela, cm 70x70

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Antonio Mancini - Pi!ore di Pensiero

L'uomo che guarda lontano, 1994, olio su tela, cm110x100

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Uomini, tre teste rosse, 1991, olio su tela, cm 80x90

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Antonio Mancini - Pi!ore di Pensiero

L'uomo che pensa, 1990, olio su tela, cm 60x70

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Spazio temporale, 1989, olio su tela, cm 70x60

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La continuazione possibile, 1993, olio su mediudens, cm 90x80

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Arianna, 1991, olio su tela, cm 70 70

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Essere, 1986, olio su tela, cm 90x80

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Estasi, 1987, olio su tela, cm 80x60

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Controvento, 1985, olio su tela, cm 145x90

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Per Aspera ad Astra, 1984, olio su tela, cm 80x70

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L'acrobata, 1984, olio su tela, cm 90x70

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L'autoritratto, 1984, olio su tela, cm 60x70

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Il gioco dei fiammiferi, 1981, olio su tela, cm 80x70

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Dal catalogo della mostra alla Galleria San Michele, Brescia, 1973 Sigillate nella durezza dei loro precisi contorni, queste tele di Mancini evocano una condizione della pittura decisa a muoversi per metafore, per emblemi iconici, per metafisiche significazioni generali. […] Ciò significa che la recisa determinazione poetica di Mancini a cogliere il segno e il senso emozionali delle contraddizioni attuali degli uomini e dei laceranti conflitti esistenziali cui la storia li sottopone, si è innervata a tal punto nella sua vicenda espressiva da sconvolgerne le fonti e i canoni formali, piegandoli a una maggiore aderenza di comunicazione. Queste stanze, perciò, chiuse da sbarre e da pareti soffocanti o abitate da situazioni d’angoscia silenziosa, da inaudite prevaricazioni cui reagisce il disperato abbandono all’eros o al delirio della droga, ci sembrano essere le cose migliori, al di là di preoccupazioni più formali o soltanto pittoriche, si manifesta efficacemente la volontà di coinvolgere la sensibilità e l’attenzione dello spettatore in un giudizio critico relativo alla nostra realtà quotidiana. Giorgio Seveso

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La classe operaia, 1977, olio su tela, cm 80x70

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Comunicativa n°2, 1975, olio su tela, 70x60

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La ribellione delle donne, 1975, olio su tela, cm 60x70

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Emancipazione, 1974, olio su tela, cm 70x60

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LibertĂ , 1975, olio su legno, cm 70x92

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Comunicazione n 6, 1975 coniugi, olio su tela, cm 60x60

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Foto dell’autore con opera “Droga” 1971, cm 80x80

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Dal catalogo della mostra alla fondazione Europa Milano, 1973 Nello svolgimento del suo cammino artistico Mancini ha dapprima chiarito la propria posizione davanti alla tematica dell’uomo contemporaneo, preso nella rete di una circostanza immanente, parte di una civiltà meccanica difficile e ostile per quanto di amaro, violento, a poetico, è stata in grado di produrre. Simbolizzando sinteticamente il mondo della droga, e quelle funzioni che ne hanno ingenerato l’affermarsi, il pittore si creò un bagaglio di simboli, scaltrendo il pennello in modo da poter giungere, ora,ad una dichiarazione scenica di più ampia portata: l’uomo nella ricerca della verità, nel tormento di questa consapevolezza per cui intende, o intuisce, la sussistenza di una vita superiore, che gli è negata, o cui non può giungere attraverso le vie del vivere contemporaneo. Così vediamo nelle tele di Mancini l’apparire e lo scomparire continuo dell’entità fisica, quand’essa insegue la verità, questa che gli sfugge. … Tutto questo sensibile del subconscio, questa intuizione specifica, esplodono in quadri simboloculturali che dovrebbero far meditare con una forma scelta, poiché costituiscono un dipinto-idea, La forma pittorica, tenendo ad una suggestione intimistica, supera le contingenze figurative e la rappresentazione dell’umano – come individuo e come ambiente- raggiunge un valore annotativo in funzione emblematica. Il mondo di Antonio Mancini molti lo porta dentro di sé; e molti in questo si agitano, gridando a gran voce, chiamando, nell’invocazione di una libertà che è vita. Gabriele Mandel

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Percorso blu, 1972, olio su tela, cm 100x120

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Luce e ombre in secondo piano, 1972, olio su tela, cm 120x100

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L'entrata nel buio, 1973, olio su tela, cm 100x100

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Uomo che compare uomo che scompare, 1972, olio su tela cm 100x100

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Biografia

Antonio Mancini nasce a Manoppello (Pescara) nel 1939. Da molti anni vive a Legnano (Milano). La sua ricerca artistica comincia negli anni ‘60 con una pittura d’impronta realista. Sviluppa poi un linguaggio peculiare caratterizzato da figure stilizzate ed essenziali, nella forma e nel colore. Armando Torno, che firma il testo “Alla ricerca di un’etica”, definisce Mancini “un pittore di idee di vita vissuta, che nascono da denunce, dalla sofferenza di una civiltà invasa dalla comunicazione, […] dal tentativo di trovare un’etica tra le mille che la società propone […]”. Nel 1973 partecipa a un intervento di gruppo a Sesto San Giovanni (“Artisti nei quartieri - 13a Piazzetta”), con l’installazione di un tunnel-labirinto questo intervento, foto/documentato, viene ripresentato da E. Crispolti nel 1976 alla Biennale di Venezia. Nel 1983 Al “Premio Internazionale Porta dei Leoni” di Reggio Calabria, riceve il 1° premio per la pittura. Nel 1988 con Marco Senaldi, Fabrizio Rovesti e altri, forma il gruppo “Vitriol” presso l’Associazione Artistica Legnanese, realizzando la serie “Labirinti”, con l’installazione nella stessa sede “Centro Cantoni” Legnano. Nel 1998 il Comune di Legnano gli commissiona la scultura d’argento Il peso per la “Sagra del Carroccio”, manifestazione storico-culturale del Palio di Legnano. Espone nel 2000 alla “Galerie Bertrand Kass”, in collaborazione con l’Istituto di cultura italiana a Innsbruck (Austria), e la Galleria d’Arte Antonio Battaglia di Milano.

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Nel 2001 viene invitato alla rassegna “Il Colore delle Ciminiere: trasformazione della società altomilanese nell’arte”, Palazzo Leone da Perego, Legnano. Nello stesso anno Il Teatro Monumento “Gabriele D’Annunzio” di Pescara ospita una sua mostra personale: “Pittura come ascesi”, a cura di Leo Strozzieri, con il Patrocinio della Regione Abruzzo Nel 2003 partecipa a “Percorsi nella memoria” omaggio a Enzo Pagani, a cura di Giorgio Fedeli, Museo Pagani, Castellanza (Varese). Nel 2005, la casa editrice G. Mazzotta di Milano pubblica, Viaggio dentro la pittura di Antonio Mancini 1984 – 2004. Il volume viene presentato al Museo d’Arte Moderna Vittoria Colonna di Pescara in occasione della mostra personale del pittore. Successivamente, sempre nel 2005, il libro viene presentato insieme alle opere con la mostra personale al Museo Pagani di Castellanza da Armando Torno, editorialista del Corriere della Sera e da Felice Monolo curatore del libro stesso, che introducono l’artista anche nella successiva esposizione alla Galleria d’Arte Moderna “La Torre” di Milano nel 2007.

Nel 2006 dipinge un’opera pittorica “La venuta del Volto Santo a Manoppello”ovvero la reinterpretazione visiva dell’icona della Veronica e la storia di come arrivò nel 1506 a Manoppello, donata poi al Santuario in occasione dell’anniversario del suo Cinquecentenario e della visita di Papa Ratzinger in visita alla Sacra Sindone.

Nel 2008 viene invitato a eseguire un ritratto per la mostra “Jean Cocteau Le Joli Couer” presso il Centro Culturale Francese al Palazzo delle Stelline di Milano. Nello stesso anno, espone alla rassegna d’Arte “La Ragione dell’Utopia” presso la Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate (VA). Nel 2010 in occasione della mostra personale “Dalle manipolazioni all’omologazione” alla Villa Pomini di Castellanza, presentato da Fabrizio Rovesti, viene presentata anche la monografia - Antonio Mancini ”Percorsi di Arte e Vita” - dal critico Giorgio Fedeli, curatore della stessa. Nel 2011 Il Museo delle Arti di Nocciano (PE) aderisce alla 7° Giornata del Contemporaneo AMACI, con una personale di Antonio Mancini dal titolo “Armonie Interrotte” curata da Ivan D’Alberto, Direttore dello stesso Museo, con quattro conferenze sull’interpretazione del corpo nella letteratura moderna e i nuovi disagi della contemporaneità.

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Partecipa su mostre a tema per i 150 anni dell’ Unità d’Italia nel 2011 alla Fondazione Bandera di Busto Arsizio per L’arte e nel 2012 e al Civico Museo di Villa Mirabello, Varese. Sul tema dell’acqua nella Pinacoteca, Castello di Legnano (Mi) e su l’energia rinnovabile, Palazzo EX APT- Varese, 2013 e 2014. Partecipa al 40° Premio Sulmona 2013, invitato dal critico Giorgio Seveso. Trilogia, libro d’Artista, Castello di Masnago Varese, 2013.

Partecipa con Art & Co Gallerie a Link Artfair-Hong kong, 2013. Ed è invitato dalla stessa Galleria Art & Co ad esporre in una personale a Caserta nel 2014, intitolata “L’essenza dell’essere” e curata da Gerardo Giurin. È successivamente ad Alghero stARTup, Fiera d’Arte contemporanea, 2015. “Pagine di pane” Libro d’Artista, Biblioteca di Brera Milano,2015; “Traces Of Art” - Rag Factory Gallery Londra 2015; “Oltre l’armonia “ - mostra personale a cura di Giorgio fedeli, Villa Pomini di Castellanza, 2016; “Spoleto Arte “ a cura di Vittorio Sgarbi - Spoleto 2017; “70 anni nei Sentieri dell’Arte” - Pinacoteca del Castello,Legnano 2017; “Accorsi Arte” - Venezia, 2017 – 2019; “Leonardo Forever” Museo Miit Torino, 2019; “Premio Parigi” Galleria Thuillier – Paris, 2018; “Artbox.Project” - Zuerich Switzerland, 2019; “Artbox.Project” - Galleria Valid World Hall - Carrer de Buenaventura Muñoz Barcellona - Spagna 2020; ARTBOXPROJECT- Zurich 2.0 swissartexpo 2020.

Antonio Mancini, nel corso della sua attività artistica, ha realizzato, più di cento esposizioni in Italia e all’estero. Le sue opere sono state finora pubblicate su oltre cinquanta riviste e libri d’arte, tra cui: “Viaggio dentro La pittura di Antonio Mancini 1984 – 2004” a cura di Felice Monolo, con testimonianza di Armando Torno, Edizione Mazzotta, Milano 2005 ; Flash Art 2011; stARTup Art & Co, 2015; Effetto Arte, diretto da Paolo Levi 2016; “Italiani” - Selezione d’Arte Contemporanea a cura di Vittorio Sgarbi EA Editore 2016; “Antonio Mancini Percorsi di Arte e Vita dal 1964 al 2016” (monografia) a cura di Giorgio Fedeli. “Catalogo Spoleto Arte” a cura di Vittorio Sgarbi, editoriale Mondadori 2017; Arte del nuovo millennio “Archivio delle grafiche” di Vittorio Sgarbi, 2018; “Leonardo Forever” Museo Miit Torino, 2019; “Biancoscuro”, Rivista d’Arte Ed. Biancoscuro - 2019.; “ARTnow” Periodico d’Arte diretto da Sandro Serradifalco, 2019; “Art Value” in Francoforte - Germania, 2020; Catalogo GIGARTE Casa D’Aste Moderna e Contemporanea, 2020.

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Hanno scritto di lui: Alessandra Alagna, Paolo Levi, Salvo Nugnes, Vittorio Sgarbi, Sandro Serradifalco, Mauro Bianchini, Cristina Mosca, Armando Torno, Giovanni Paolo Maria De Cerchio, Gerardo Giurin, Fabrizio Rovesti, Felice Monolo, Roberta Rapelli, Ivan D’Alberto, Giorgio Fedeli, Iolanda Ferrara, Patrizia Iezzi, Tonino Piccone, Cristina Casero, Alessandra Blasioli, Ettore Ceriani, Giorgio Fedeli, Leo Strozzieri, Tonino Piccone, Felice Monolo, Massimo Camplone, Fabrizia Buzio Negri, Antonietta Dell'Arte, Antonio Oberti, Andrea Nania, Giorgio d’Ilario, Ettore Falchi, Mario Monteverdi, Nino Maiellaro, Teresio Zaninetti, Luciano Bertacchini, Giorgio Seveso, Domenico Cara, Chantal Maronnat, Gabriele Mandel.

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Bibliografia

Catalogo GIGARTE Casa d’aste Moderna e Contemporanea, 2020 ARTnow Periodico d’Arte diretto da Sandro Serradifaco, 2019 Leonardo for Ever Museo Miit Torino, 2019 Biancoscuro bimestrale d’Arte direttore Vincenzo Chetti, 2019 Accorsi Arte Biennale di Venezia Galleria Aresenale, 2018 Arte del nuovo millennio “Archivio delle grafiche” di Vittorio Sgarbi, 2018 Spoleto Arte a cura di Vittorio Sgarbi, Editoriale Giorgio Mondadori, 2017 Arte Genova Mostra mercato di Arte Moderna e Contemporanea 2017 Italiani, a cura di Vittorio Sgarbi, E A Editore, 2016 Antonio Mancini, Percorsi di Arte e Vita, Monografia, a cura di GIORGIO fedeli, 2016 Maestri, Selezione D’Arte Contemporanea E A Editore, 2016 stARTup, Art & Co Gallery, Spirale Milano, 2015 Catalogo stARTup Fair, Alghero, 2015 Corpo- Estraneo /straniero, storia delle Arti performative in Abruzzo, Verdone Editore Pagine di pane, Libri d’Artisti e divagazioni, Edizioni Esseblu, Milano Artexposition, 2015, 12° biennale artisti Varesini, Arsago Seprio. Varese Traces of Arte Rag Factory, London, 2015 Rinnovarte, Fuoco e Acqua, Elmec Solar 2014 D’Arte Artisti Contemporanei, Ed. Artenova, 2013 Trilogia, Associazione Liberi Artisti della Provincia di Varese, Cromoflash, Castronno (Va). 2013 Il Quadrivio, Circolo D’Arte e Cultura Premio Sulmona, 2013 Art Diary, Editore Giancarlo Politi, Milano, dal 1983 al 2010 Flash Art, Politi Editori, 2011 Enciclopedia Artisti Contemporanei “D’Arte” Ed. S.T.M Italia, 2009 Living IS LIFE, Grafiche Quirici, Barasso (VA) mensile di settembre, 2009 La Ragione Dell’Utopia, 1977 – 2007, Associazione Liberi Artisti - Civica Galleria d’Arte Moderna di Gallarate, Edizioni Quirici, Barasso – Varese, 2008 Dal Sogno Al Segno1947 – 2007, 60° Dell’ Associazione Artistica Legnanese, 2007

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Arte Parma, 4° Mostra mercato d’Arte moderna e contemporanea, Fiera di Parma, 2007 Varese in_comune, Musei Civici Di Villa Mirabella Varese, 2006 In nome Di Francesco, a cura di fra Giancarlo Mandolini La Pinacoteca Internazionale Francescana delle Marche, 2005 Viaggio dentro la pittura di Antonio Mancini, 1984 – 2004 .Ediz. Mazzotta, 2005 Italia Turistica, Bimestrale di cultura turismo, Padova, Maggio-Giugno 2004 Arte & Collezionismo, Nicolini Editore, Gavirate, (VA), 2004 Arte di Giorgio Mondadori Giugno 2004 Museo Internazionale Di Mail Art, L’Aquila, catalogo 2002 Il patrimonio mobile d’Arte del Comunne di Castellanza, catalogo 2002 Artisti del Novecento – Edizioni, Artechiara, Pescara, 2002 Arte, Mensile di Giorgio Mondadori, Ottobre, 2002 Italia Turistica, Bimestrale di cultura e turismo, Padova, Novembre, 2002 Il Colore delle ciminiere, trasformazione della società alto milanese nell’Arte, Comune di Legnano, 2001 Museo Abruzzese Arti Grafiche Castel di Ieri, catalogo generale, 2001 Flash Art, Bimestrale, Giancarlo Politi Editore, ottobre novembre, 2001 D'Abruzzo, Trimestrale, Turismo, Cultura e Ambiente, Dicembre, 2001 Artisti Contemporanei, profili & quotazioni, Arte della Stampa, Ed. 1999 Il Palio di Legnano, Sagra del Carroccio, città di Legnano, 1998 Personaggi Oggi, Il Quadrato, Milano, 1977 Catalogo, 2° Premio Trevi Flash Art Museum, Giancarlo Politi Editore, 1977 Enciclopedia dell'Arte Italiana per il Mondo, CELIT, Torino, 1985 Grande Antologia "Porta dei Leoni", Pittura, Grafica, Poesia, Reggio Calabria, 1983 Praxis Artistica, Mensile d’Arte e cultura, Aprile-Maggio-Giugno, Rimini, 1980 Arte Oggi, E.R.A. Vers Ars, 1976-77 Leonardo, Enciclopedia dell'Arte Contemporanea, EDAC Pavia, 1976 La Biennale di Venezia B76, catalogo generale, Venezia 1976 Il Centauro, Pittori e Scultori Italiani Contemporanei, Panepinto editore, Genova, 1975 L'élite, selezione arte italiana, Editrice l’elite, Varese, 1976 Comanducci, catalogo Generale, Torino, 1975-76 Catalogo Monteverdi, Milano, 1974 Catalogo degli Autori, Casa Editrice Alba, Ferrara, 1972 Fine Art In Italy Painting, Sculpture – Italy: Fondazione Europa, Milano, 1972 Catalogo Nazionale Bolaffi, 1972.

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Finito di stampare per conto dello Studio Byblos - Palermo Studio Byblos Publishing House www.studiobyblos.com

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