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strazio

Fatti duri e puri // Emidio Bernardone

// Emidio Bernardone

STRAFATTI

Fatti duri e puri senza metafora Leggere i quotidiani è frustrante come una partita a tresette col morto, in cui il morto è Andreotti e il tuo compare è Giuliano Ferrara che canta canzoni dei Negroamaro riuscendo nell’arduo compito di peggiorarle. Ma non divaghiamo. Leggere i quotidiani può essere frustrante dicevo, ecco perché nasce questa rubrica di Stra, in cui i fatti vengono raccontati in modo da meritarsi l’agognato prefisso. Così mentre un genio della comunicazione si suicida a Notre Dame perché preoccupato dai matrimoni gay, io osservo una cacca di cane sul marciapiede e mi dico, certo che voler allearsi con il PDL è

come passare per una strada lastricata di fumanti escrementi e pretendere di non sporcarsi le scarpe, è ovvio che ne pesterai una, lo capirebbe anche un genio della comunicazione sucida. Il problema vero comunque è il lavoro, e dire che c’è gente disposta anche a gestire servizi igienici per piccioni, se qualcuno pagasse per farlo. Tutti ne parlano ma soluzioni nessuna. Io un’idea l’avrei, licenziamoci tutti e dedichiamo la nostra vita a riti orgiastici in onore del Dio Pan. Stando agli ultimi sondaggi sembra però che nessuno voglia raccogliere questa ipotesi e preferisca raccogliere pomodori. Gli stessi sondaggi ci

rivelano che un italiano su tre alle parole “lavorare meno, lavorare tutti” reagisce lanciando gas lacrimogeni contro l’intervistatore. Dei restanti due, uno opta per il manganello, l’altro è fuggito all’estero. In realtà il fatto, anzi lo strafatto, è che il problema del lavoro è legato a quello delle tasse, il problema delle tasse a quello del debito e quello del debito a quello di mia nonna che dopo essersi scialacquata i suoi 400 euro di pensione in medicine fa debiti per comprarsi i materassi delle televendite di Giorgio Mastrota, che le piace tanto. In ogni caso, come disse Heidegger: “Vado a farmi una birra”. // D puntata


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Strazio+Strafatti 3 Straoccupato del mese 7 Straportfolio 8.9 Stramusica 10.11 Strarte 12 Stralibri 13 Strafilm 14 Straintervista 15.18.19

Tema del mese

Troppo non è Abbastanza (William Blake)

E' tempo di crisi. non c'è lavoro, non c'è futuro, non c'è gioia. Rimembriamo allora l'eccesso, l'ingigantimento, il pantagruelico. Il troppo non stroppia, anzi. Diventiamo amici dei fiumi che tracimano, dei carnevali lunghi un mese, dei ripostigli stracolmi. Scegliamo il troppo pensare, il troppo parlare, il troppo sudare. La lamentazione è dimagrimento, il pentimento anoressia.

Strafumetto 21 Neftali e figli 23 Stravizio 26 Straweb 27 Stralife 28 Stralunario 31 Abat-jour 32.33 Defenestrazioni 34

Pubblicazione gratuita dell'Associazione Straoccupati - Vasto (CH) Direttore Responsabile Tania Tardiola Autorizzazione n. 137 del Tribunale di Vasto del 11/6/2013

Padre Fondatore del Mese William Blake (1757-1827) È stato pittore, incisore, tipografo e visionario, mistico, poeta. Fu prima peccatore e poi sant'uomo. Trapassò di pomeriggio tra raggi di luce come un angelo. La moglie, che gli sopravvisse a lungo, quando vendeva una sua opera, una miniatura preziosissima o una semplice incisione, consultava sempre lo spirito del Signor Blake prima di sancire l'affare. Il tema del mese è tratto dai suoi Proverbi Infernali .

In questo numero doppio zero: Marco Taddei, Luigi Fiore, Marco Keno Del Negro, Tania Tardiola, Emidio Bernardone, Davide Pasquale, Alessandro Pace, Umberto Palazzo, Michele Montagano, Vanni Fabbri, Marco Bassi, Alessio Marianacci, Emanuela De Notariis, Virginia Capoluongo, Giovanna Eliantonio, Lino e Miriam Fedeli Lupinetti , Mascia Di Marco, Francesca Bonafini, Alessio Romano, Giovanni Di Iacovo, Francesco Chiatante, Luigi De Felice, Daniele Lucinato, Alessandro Di Pasquale, Fabio di Campli, Nicola Alessandrini e Lisa Gelli, Orlando Furioso, Barbara Giuliani, Francesco Bevilaqua, Riccardo Ferrante, Fabio Riccio, Stefano Sasso, Nicola Murri, Alessandra De Santis, Annagina Totaro, Paolo Diazzi, Federica Madonna, Gaetano De Crecchio, Francesca Caraceni, Enrico Pantani. Cercateli e distruggeteli chiuso il 12 Giugno alle ore 20.01 - New Orleans

Per molto ma non per tutto: straoccupati@gmail.com


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Straoccupato del mese

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rudy de amicis Padre / Figlio / Spirito Santo

Chi è Rudy De Amicis? Un ragazzino che vuole invecchiare continuando ad essere un ragazzino. Dell’arte ho scoperto prima il tatuaggio e poi il disegno. Solitamente accade il contrario? Ja. Ma io sono vecchio! Adesso chi sa disegnare si mette a fare i tatuaggi. 20, 30, 40 anni fa si metteva a tatuare chi non voleva più spacciare e cercava un’alternativa di vita, gente che veniva dalla periferia umana. Principi, artisti, prostitute o delinquenti erano outsider, persone che vivevano hardcore, non inquadrate nel meccanismo sociale. L’incontro con la pittura? Per migliorarmi nel tatuaggio ho cominciato a disegnare e scoperto la pittura che è diventata la mia passione principale perché posso spaziare con la mente. Tatuare è un buon artigianato in cui però la tecnica prevale sull’idea. Qual è il filo rosso tra i tuoi diversi ruoli espressivi? Un caro amico diceva che la specialità è roba da insetti! Carne e spirito, sacro e profano, il sangue, sembrano elementi predominanti nelle tue varie espressioni artistiche Non saprei. Disegno persone che vedo dentro di me e non fuori. E io sono fatto di carne e pensieri. Creo immagini dalle storie dei miei pensieri. I tuoi soggetti sono spesso senza arti… Lavoro molto sulle mie e umane fobie. Tra le paure più intime dell’uomo c’è quella di perdere un arto e quindi un pezzo della propria integrità. Blood&milk è un tuo progetto legato al tatuaggio, come mai questo nome? In realtà è una roba contadina. In Abruzzo si dice “sang e latt” quando un bambino o un animale da cortile è cresciuto forte, ha così carattere che poppando il latte fa uscire il sangue alla madre. Perché un giorno hai deciso di infil-

zarti dei ganci nella pelle e appenderti a mezz’aria? Abbiamo creato un gruppo parecchio attivo, con un sacco di performance in giro per l’Europa. Non è facile da raccontare, perché sono state tante situazioni diverse…Sono rimasto sospeso solo in un bosco; con gli altri, nudi, in un gelido inverno di Boston; nei vascelli in Germania; o nei teatri dal pubblico in tripudio. Ho provato moltissime emozioni. E sempre paura. In realtà, lo potrebbe fare chiunque perché non è nient’altro che riattaccare la propria persona al proprio corpo. È come quando sbatti il gomito e ricordi di avere un braccio attaccato. Oggi tutti sanno di avere un’immagine ma dimenticano di avere un corpo. E penso che la body sospension si stia diffondendo molto perché c’è un forte bisogno di concretezza. Stesso probabile motivo per cui tanta gente si massacra di tatuaggi. Ti sei mai spiaccicato al suolo all’improvviso? Al nostro evento più importante: tutto organizzatissimo, in una galleria figa di Bolzano. Ad un certo punto i ganci non ressero, saltarono in mezzo alla gente ed io al suolo, sanguinante. “Bona, che faccio? Resto lì!”. Critici e giornalisti rimasero entusiasti di questa Caduta. Da lì capii che il viaggio era finito. Nonostante tutto il nostro impegno nel fare quell’esibizione scenografica, ciò che colpì a livello umano e artistico fu solo quel gesto. Il mezzo era troppo forte: qualsiasi cosa facevamo, la cosa sensazionalista rimaneva il gancio attaccato alla carne e non il resto. E a quel punto non è più arte. Cosa senti di dire agli straoccupati che ti stanno leggendo? Uno scrittore professionista è un dilettante che non si è mai arreso. a cura di Tania Tardiola foto di Antonio Ragni

MINI BIO Originato a Pescara il 24 aprile 1973. Comincia a tatuare a 22 anni. Partecipa alle più importanti Tatoo Convention del pianeta. Pittore e illustratore, espone in gallerie italiane ed europee. Pubblica i due volumi Charles Manson e Brain Storming Lo trovate al Mario’s Tatoo Parlor è in via. Vittorio Emanuele III, Termoli. Ed anche al Queequeg Tatoo, via Mercato n.16, Milano, nello studio dello storico tatuatore italiano Gianmaurizio Fercioni.


Straportfolio

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Portfolio del mese è una rubrica che raccoglie progetti fotografici. Ci farà immergere nelle storie e nelle emozioni di chi ha scelto il linguaggio delle immagini per raccontare il mondo che lo circonda. È una rubrica pronta a lanciare stimoli attraverso temi differenti proposti ogni mese. Portfolio del mese si propone di essere un veicolo con il quale far conoscere i giovani fotografi in un panorama in cui l’eccesso di immagini prodotte rende sempre più difficile una loro chiara identificazione.

matteo cesari Via Carlo Marx

Il 21 Gennaio 1921 nasce a Livorno il Partito Comunista D’Italia, storicamente il più grande partito comunista d’Occidente. Dopo 70 anni di impegno politico il 3 Febbraio 1991 viene sciolto dopo che nel 1989 numerosi regimi comunisti dell’Est Europa sono rovesciati in pochi mesi. Il progetto fotografico Via Carlo Marx di Matteo Cesari prende spunto dalla tradizione toponomastica diffusa dalla Toscana all’Emilia Romagna di intitolare strade, piazze, viali e giardini ai grandi personaggi del comunismo. Le nuove generazioni recuperano con forza idee, simboli e iconografie di un’epoca che sembrerebbe ormai conclusa, ma che ha lasciato sul territorio un’impronta che costeggia quasi la tradizione. Giovani che di fronte allo smembramento della sinistra italiana e più in generale dell’immobilismo politico attuale, seguono un filo comune e trovano un appiglio nell’ideologia rossa delle origini che guardava a tutto quello che avveniva nella grande madre patria sovietica con sconfinata e cieca ammirazione. Il racconto di Matteo Cesari documenta con un piglio fermo e chirurgico questo fenomeno sempre più diffuso che nasce come diretta conseguenza del vuoto di fiducia nell’attività della politica nazionale la cui conseguenza più crudele è di abbandonare a sé stesse le nuove generazioni, che crescono sempre più deluse e amareggiate. La lacuna ideologica diventa lacuna spirituale, la depressione politica si tramuta in depressione emotiva.

mini bio

Nato a Firenze nel 1979 studia e si laurea in Storia dell’Arte presso l’Università di Pisa. Si diploma in fotografia presso la Fondazione Studio Marangoni di Firenze. Con i suoi lavori centrati essenzialmente sulla fotografia documentaria partecipa ad alcune mostre collettive come il SocialPhoto Festival di Piombino e di Perugia. Nel 2011 viene selezionato come finalista del Leica Talent Italia. Ha pubblicato su riviste quali Sipario e Sette del Corriere della Sera.

a cura di Alessandro Pace



Stramusica

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Il loft

Mettetevi comodi e godetevi il panorama Teho Teardo & Blixa Bargeld Still Smiling (Specula, 2013) Blixa Bargeld appartiene a quella razza di musicisti che non esiste più: quei musicisti pre-internet che ti affascinavano e ti spaventavano allo stesso tempo per un senso di minaccia fisica e per la loro proposta musicale ostile in un’epoca in cui fare un disco era un’avventura rischiosa e costosa. I suoi esordi sono pura aggressione sonora generata dagli oggetti più disparati. Col tempo il suono si è strutturato in forme più accessibili ma senza mai diventare qualcosa che somigliasse ad altro, anche grazie proprio alla voce di Blixa Bargeld, uno dei più grandi cantanti di tutti i tempi, se per cantante s’intende colui che sa usare la voce e la parola in modo musicale. Blixa è stato anche chitarrista e deuteragonista nei Bad Seeds di Nick Cave dal 1983 al 2003. Si è installato in un Olimpo a parte in cui ci sono lui, lo stesso Cave e Michael Gira, archetipi sia per il post punk che per il rock d’avanguardia degli anni novanta. Teho Teardo è il più importante compositore italiano di colonne sonore della nuova generazione. Fra i suoi lavori Il Divo di Sorrentino e Diaz di Vicari, ma il suo percorso artistico è stato lungo e vario. Inizia nella Pordenone del Great Complotto alla metà degli eighties, negli anni 90 è il leader della band di industrial rock Meathead. Il suo progetto Here in collaborazione con Jim Coleman dei Cop Shoot Cop vede la partecipazione di Lydia Lunch e di membri di Swans, Ministry, Killing Joke, Girls Against Boys. Alle sue colonne sonore collaborano fra gli altri il Balanescu Quartet e appunto Blixa Bargeld. Da questa collaborazione nasce l’idea per un disco intero che si concretizza nel corso degli ultimi due anni, in contemporanea con altri progetti importantissimi (ad esempio il molto apprezzato Music For Wilder Mann). Still Smiling è un fantastico punto d’incontro tra i due grandi artisti ed è uno dei dischi in assoluto più belli di quest’anno. Il suono è purissimo Teardo ai suoi livelli più alti e Bargeld è affascinante come non mai col suo cantare in tre lingue. I brillanti testi in italiano sono opera dello stesso Bargeld, che firma uno dei lavori migliori della sua nobilissima produzione. Se potete procuratevi la raffinatissima edizione in doppio vinile con due pezzi in più rispetto al cd. Pezzi chiave: Mi scusi, Come Up And See Me, Still Smiling, Defenestrazioni // Umberto Palazzo

lo scantinato

Microchiacchiere in una stanza senza finestre / Luminal In Amatoriale Italia parlate del nostro paese. È stato facile trovare gli spunti? Viviamo in Italia, eppure nessuno di noi si sente italiano, nessuno di noi si comporta male, tutti santi, bellissime persone, grandi lavoratori, amici sinceri e leali, e tutti che si lamentano del fatto che in Italia non funziona niente per colpa di un popolo di teste di cazzo frustrate. GOMBLOTTO! Abbiamo la sensazione che il prossimo disco sarà peggio. Avete già parlato dell’Italia in modo del tutto differente nel vostro precedente lavoro, Io Non Credo. Cosa è cambiato da allora? Volevamo semplicemente comunicare con più chiarezza il nostro amore per questo paese. Siete più satirici o critici? Siamo satirici e critici nella misura in cui ce lo permette la vita. In alcuni giorni buoni cerchiamo di guardare a quello che ci circonda con più distacco, in altri non possiamo fare a meno di essere critici, quasi fino alla condanna, perché

non conosciamo l’autoindulgenza. Si combatte quando si sa di avere l’aiuto di qualcuno. Noi resistiamo. Che contributo pensate di dare alla musica? Non suoneremmo se non pensassimo di star facendo la cosa migliore della storia. Non siamo noi a dover dire se stiamo contribuendo o in che modo. Però di dischi costruiti come il nostro (scrittura pop reazionaria/arrangiamenti punk minimal e sperimentali) molto immodestamente possiamo dire di non averne sentiti tanti. Alla fine della giostra credete vi sia qualcosa da preservare in Pizzalandia? Il Paese è reale? C’ è una minoranza di persone veramente perbene che fa andare avanti il paese. Noi non siamo tra queste, siamo troppo pigri. Cerchiamo di preservare noi stessi e la purezza che avevamo quando abbiamo iniziato, nonostante le apocalissi che si incontrano quotidianamente nel nostro ambiente. a cura di Michele Montagano foto Andrea Labate


Stramusica

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IL GRASSO CHE COLA

shorts

Menace Ruine Alight in ashes (Profound Lore Records, 2012) Dio (o chi per lui) ha voluto che negli ultimi mesi mi capitasse per le mani l’ultimo album dei canadesi Menace Ruine, che è "troppo" molte cose. Geneviève Beaulieu e S. De La Moth formano una band unica che ad un ascolto superficiale potrebbe sembrare black metal sepolto sotto un mare di noise. Ma no: sebbene possiate udire quello che vi sembrerà essere un muro di chitarre distorte in realtà state ascoltando solo due tastiere, troppo distorte e collegate una (lei) ad un ampli per chitarra e una (lui) ad uno per basso. Su tale maelstrom, che sovente si perde in spaventosi e incontrollati drone, si staglia la voce di lei: primitiva, solenne, cerimoniale, sacerdotessa di non sappiamo bene quale culto misantropico. Sappiamo solo che per quest’ultimo lavoro si è ispirata agli scritti alchemici di Paracelso per i testi e agli acquarelli mostruosi di Aldrovandi per i suoni. 6 brani troppo lunghi, mediamente intorno ai 10 minuti se si escludono i 6 minuti di Salamandra, quasi una canzonetta. Troppo per noi poveri mortali abituati ad ascolti convulsi e frettolosi. Alight in ashes o ti avvolge (e ti uccide) o lo lanci dalla finestra. Più melodia e zero sfuriate ritmiche rispetto al passato, ma non prendetela come una concessione. Tutt’altro. Musica troppo intensa, troppo nera, per un rituale che sembra non portare altrove che al suicidio, per me che sono misera carne. Non per Geneviève, che intona un canto di preghiera rivolto a un dio misterioso, probabilmente la natura stessa (i Menace Ruine sono entrambi attivisti vegan), implorante un’Ascensione, un librarsi dalla materia per sublimarsi in forma eterea. Tanto, troppo pesano alla Beaulieu le sue scomode spoglie. // Vanni Fabbri

Luminal / Amatoriale Italia (Le Narcisse, 2013) L’Italia, l’Italietta e l’Italiona pronta alla morte oggigiorno è agonizzante tra le cosce di showgirls, scandali, cronaca nera e reality. Un affresco allucinato e satirico il laovro del trio capitolino che azzanna la scena indiepeRdente spastica e autoreferenziale di cui sono parte integrante. Risultato minimale ed esplosivo: basso, batteria, e armoniche sotto liriche caustiche e, ahimè, veritiere.

La recensione che non ti aspetti

affondo

BIG ONE

Pat Metheny Tap. John Zorn’s Book of Angels vol.20 (Nonesuch Records 2013) Il diavolo e l’acqua santa. Metheny e Zorn. Un crocicchio azzardato ai confini del mondo. L’ebanista del suono e della pulizia melodica con il blasfemo del jazz, alchimista capace di mescolare free, noise e tradizione klezmer. L’establishment della sei corde (20 Grammy all’attivo) e l’underground newyorchese per eccellenza, incurabile flagello di ogni pratica mainstream. Zorn chiama, Metheny risponde. Un disco dove si ascoltano una dozzina di strumenti a fronte di sole 4 mani, quelle del chitarrista e del fido Antonio Sanchez ai tamburi. Mastema, Albim, Tharsis, Sariel, Phanuel, Hurmiz: una sestina dal calderone dello Zorn più ambiguo e mesopotamico. Cascate di angeli, palpiti notturni. Se volete ancora scommettere sul vostro gusto salottiero. Eyes wide shut. // Marco Bassi

Sono la più importante surf band australiana nota per lo standard Bombora del ‘63, un classico intramontabile del surf strumentale, l’unico scritto da una band non americana. The Atlantics ha anche il primato di essere stata la prima rock band australiana ad avere firmato le proprie canzoni. La loro peculiarità musicale, che li accomuna solo al re del genere, l’inarrivabile Dick Dale, è stata quella di inserire elementi esotici provenienti dalla musica tradizionale greca nelle strutture del rock’ n’ roll delle origini. Due storie parallele di rock' n’ roll e immigrazione. Nel corso degli anni sono sempre rimasti attivi e dagli anni ’90 il fenomenale chitarrista Martin Cilia ha rinvigorito la band. Tour con i Beach Boys e Chris Isaac. Il 22 giugno saranno headliner nel più importante festival surf europeo e il 6 luglio suoneranno a Marina di San Salvo. // Alessio Marianacci

Alternative di profondità

Aspettando quello grosso

a cura di Michele Montagano

Montauk / ST (Autoprodotto, 2013) Si parte dai Fugazi quando si parla di estetica DIY. I Montauk di Bologna mettono in atto la lezione post-hardcore con un suono acerbo ma intriso di sadica genuinità. Basta solo tenere in mano la confezione artigianale del disco con le sue grottesche illustrazioni per emo-zionarsi. Validi e sulla strada giusta. Marnero / Il Sopravvissuto (Cordata indipendente, 2013) Io sono il Sopravvissuto, son trino e non uno. Ho imparato che è dal fallimento che nasce l’azione. Avrei voluto suicidarmi, ma non ho avuto mica tempo. E quindi tutto bene, dai, a parte la vita. Tutto è da rifare: mi sembra sempre di arare il mare. Da bimbetto sognavo di fare il pirata. Riuscirò a sentire il rumore della corda spezzata. Sono qui, fermo seduto, sopravvissuto ma stanco morto. Da avere. Tucano / Homeless Mandingo (Bloody Sound Fucktory, 2012) Tucano, al secolo David Starr, già esteta industriale nei One Fuck One, è il pennuto che starnazza dalla foresta marchigiana. Mostriciattoli elettronici, freak sonori tra allucinazione collettiva e sottomissione avanguardista. Onnivoro e multiforme, il pennuto inneggia come pochi altri ad una follia domata e raffinata che fonde stilemi dei più vari. Ciro fanelli ne cura l’artwork e noi ne ascoltiamo il verso. Weirdo, lisergico e stralunato.


Strarte

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DEGNO DI (de)nota

crampi

Le ossessioni sono come larve annidate negli angoletti bui delle case dei bambini, silenziose, invisibili, crescono lentamente e sgambettano pimpanti nelle menti diventate adulte. C’è chi rosicchia le proprie ossessioni senza mai consumarle, le divora trasformandole nel flusso vitale della propria creatività debordante, che garantisce sanità. È il caso di artiste come Louise Bourgeois e Yayoi Kusama, che dei propri fantasmi hanno fatto opere d’arte. L’84enne giapponese Kusama lavora dagli anni ’60 sull’arte come obliterazione, con pittura, performance, environments votati alla ripetitività. Ha disegnato pois su ogni superficie. Dalle tele i pallini colorati si sono estesi ad interi ambienti, hanno coperto corpi, sono sui vestiti dell’artista, che oggi presenzia le sue mostre nei maggiori musei del mondo con una parrucca rosso fuoco, mentre i pois mutano geneticamente in sculture di zucche e fiori giganti. I pallini, una magnifica ossessione che moltiplica all’infinito, perché si appropri di ogni cosa che lei guarda e che noi guardiamo. Così il mondo diventa parte e parto delle sue visioni. Yayoi Kusama fa di sé stessa un’opera d’arte, performer anche nel quotidiano perché la sua arte è autentica, compulsiva ed esplosiva. Trasforma i suoi traumi in tripudio di pallini, li sublima in opere allucinate e allucinanti, creando un mondo a parte in cui è bello fare un giro. Fa dell’eccesso e della sovrabbondanza, il suo credo, il suo ballo d’amore a pois. Irrefrenabile, strabordante, infinito come una rete che ha maglie larghe da cui fuggire, per poi tornarvi. // Emanuela De Notariis

Opera: Hase / Rabbit / Coniglio. Autore: Gelitin Anno: 2005 Dove vederlo: facendo un’escursione sulla cima del monte Colletto Fava, 1600 metri di altitudine ad Artesina (Cuneo) oppure su Google Maps (44.244265,7.769673) “Per dipingere una parete grande ci vuole un pennello grande”, recitava un noto spot degli anni ottanta. E per fare il coniglio rosa più grande del mondo? Per i quattro austriaci del collettivo Gelitin, abituati a stupire con stravaganti performance (li abbiamo infatti visti in Italia all’ultimo Miart, dipingere letteralmente con il culo), ci sono voluti più di 5 anni e la dedizione di 50 signore che hanno lavorato a maglia la lana rosa. Lunga 55 metri, visibile anche dal satellite Google, la scultura sdraiata al suolo sulla quale i visitatori possono arrampicarsi, è un enorme, morbido, dolce, coniglio morto dalle colorate interiora. Dovrebbe resistere fino al 2025, salvo imprevisti. Il collettivo dichiara che il solitario Hase, con il suo ripieno di paglia, sarà inghiottito dal tempo, mangiato dal bestiame, cancellato dalla natura. Visto dal satellite ci sembra ancora in forma. // Virginia Jukuki

Arte, defibrillatori e contraerea

AUTOPSIE

La collezionista e l’anatomopatologo

foto Jesse Murch \muffa\paura\gambe\urina\vuoto\lacrime\ rabbia\bruciore\freddo\abbandono\sottopelle\sulfondo\sullo sfondo\apnea\pugni\dentiserrati\defecare\gengive\unghie\ piaghe\urla\illusione\fuga\statico\fermo\solo\vomito\ancora\ senza\graffi\sogni\immagini\sputo\fischio\grugnito\stretto\ angusto\maleodorante\nascosto\impotenza\stanco\scosso\affanno\tremore\spinta\caduta\tonfo\umido\LinoeMiriam

Itinerari d’arte per sociopatici

lapislazzuli

Fotografia ed altre gemme preziose Troppi anelli infilati nelle dita, troppe rughe e troppo sole. Troppo cibo divorato con la bocca sporca e le unghia nere. Troppo bacon, troppi denti, troppa carne, troppi soldi. Troppe tette, Jane. Martin Parr è inglese, si definisce fotografo documentarista: le sue sono foto serie mascherate da intrattenimento. La casa in cui vive è un accumulo di piume, nidi d’uccello e posacenere kitsch (lui detesta questa parola). Si autoritrae tra le mani di Gesù o come Il Signor Qualunque che visita i luoghi del turismo di massa (Autoportraits). “Le immagini di MP ci fanno sentire davvero a disagio. Egli ha costruito una commedia sul cibo che mangiamo, i vestiti che indossiamo, i luoghi che visitiamo” (V. Williams). Parr lavora dagli anni ’80 sui cliché europei (Common sense), le ossessioni (Bad Weather), le contraddizioni (Cruel and Tender), le ipocrisie (Luxury), l’americanizzazione del mondo (Small World). Fa tutto quello che non si dovrebbe fare: usa il macro per i paesaggi ed il flash nelle ore centrali del giorno. A fatica è entrato nella Magnum - Cartier-Bresson non era d’accordo - ma oggi è riconosciuto come uno dei massimi esponenti della fotografia contemporanea. Ci sono cose che la gente non fotografa e sono proprio quelle che fotografa Martin Parr. Beckett diceva: Il peggio di fronte, fino a che non faccia ridere. // Giovanna Eliantonio


Stralibri

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sidecÀr

mandibola

bad boys

2666, Roberto Bolaño (Adelphi, 2009) Cosa ne sarà di noi poveri umani nel 2666? Gli alieni conquisteranno finalmente la Terra? Ci saremo liberati di Berlusconi e la Minetti? Chissà se se l’è chiesto anche Roberto Bolaño, prima di cominciare il suo travolgente, incompiuto e postumo romanzo. Bolaño diceva che 2666 avrebbe finito per rovinargli definitivamente la salute, e la sua a quanto pare non era una battuta. Quanta vita, però, in questo romanzo labirintico e misterioso, fatto di simboli e segni e storie che si intrecciano in un gomitolo di personaggi e luoghi e fatti senza fine. Fuori dagli schemi. Fuori dai generi (poliziesco? romanzo di fantascienza? storia d’amore e di amicizia?). Una sfida, come la definiva lui stesso, per uno scrittore anticonvenzionale e pure un po’ hippy che credeva al potere delle storie più che a quello dell’affabulazione. E chissà se Bolaño, invece di essere morto e (dopo morto) famoso, l’avrebbe pubblicata senza fatica, la sua avventura, in un’epoca in cui il lavoro culturale è nelle mani di chi preferisce accontentare il gusto medio del lettore medio, nel tentativo di assicurarsi lauti guadagni. Ma la notte, si sa, porta consiglio // Mascia di Marco

Il fabbricone, Giovanni Testori (Feltrinelli, 1961) Prima di tutto bisogna dire gli attributi cicciobombi dell’amore, che sono: pieno e strapieno, colmo e ricolmo, carico e stracarico, eccedente nonché grondante, perché l’amore non si tiene non si contiene, fa quel che vuole e non teme. A riprova degli attributi cicciobombi dell’amore, Giovanni Testori racconta. Agosto 1959, periferia milanese, una famiglia cattolica e una comunista si odiano con furore. Ma Rina, figlia dei cattolici, ama Carlo, figlio dei comunisti. Carlo acconsente a un incontro vicino al ponte dell’autostrada per ingiuriarla e abusare di lei, però Rina, a tanto malanimo, contrappone ostinatamente il suo amore, e Carlo finirà per cadere innamorato. Dalle rispettive famiglie cala sugli amanti rifiuto e disprezzo, ma Rina «per realizzare quell’amore, sarebbe stata disposta ad andar contro tutti e contro tutto, certa che facendolo non avrebbe tradito, neppur di un’ombra, le idee in cui credeva. Così come, da parte sua, non le avrebbe tradite lui. “In fondo” si disse e si ripeté la Rina, “le idee, se son vere, e se uno ci crede, non possono essere mai da nessun’altra parte che da quella della vita.” // Francesca Bonafini

La versione di Barney, Mordecai Richler (Adelphi, 1997) Pochi autori fanno centro con un personaggio (penso a John Fante con Arturo Bandini o Charles Bukowski con Henry Chinaski) come Morderai Richler, ebreo canadese fatto e finito, con Barney Panofsky. Se non avete mai avuto la fortuna di imbattervi in questo brillante produttore televisivo (sua la Totally Unnecessary Productions) non esitate a procurarvi le sue memorie (scritte, dice, per togliesi un sassolino dalla scarpa: che poi è l’unico motivo per cui tutti scrivono): la vera storia della sua vita dissipata e delle sue tre mogli (la troika Panofsky). Ma state attenti; si dice abbia un pessimo carattere e che quando alza troppo il gomito comincia a cercare rogna. Tra digressioni erudite e ricordi sportivi, vivrete la Parigi dei primi anni cinquanta e assisterete a una delle più belle storia d’amore letterarie: quella con la dolce Miriam, terza e ultima signora Panofsky. Ma soprattutto scoprite come costruire una voce narrante perfetta, come scrivere dialoghi perfetti e come incastrare tra loro tanti piani temporali alla perfezione. In sintesi come distillare un romanzo perfetto. // Alessio Romano

Guida tu, io sto leggendo

I nutrimenti di Bonnie

I cattivi maestri all’opera

BOOKAKE

Tutto quello che Pornotube non è ancora riuscito a spiegarvi BDSM di Ayzad (Castelvecchi, 2004) Se il sesso avesse a che fare con la perfezione, scoperebbero solo Barbie e Ken. Eppure, mandrie di casalinghe hanno reso best-seller quella boiata di 50 sfumature di grigio dove tutte corrono per diventare sottomesse di un uomo giovane, bellissimo, affascinante e così pieno di quattrini che pur di darvi due frustate storte vi regala una porsche. Questo naturalmente non per criticare gusti e orientamenti sessuali profondi e appaganti, ma per criticarne la banalizzazione che questo fesso libretto ne fa per conquistarsi il barbaradursesco titolo di trasgressivo. Se però questo libretto buono manco per fermare le porte delle sale d’attesa di dentisti alcolizzati senza licenza avesse avuto il buon esito quantomeno di avervi fatto conoscere ed avvicinare alle sessualità che ispirò nei Depeche

Mode il brano Master and Servant, potreste comprare un volume che tratta l’argomento in modo parecchio più interessante, cerebrale e, perché no, utile e pratico. Si tratta di BDSM scritto dall’autore sotto preudonimo Ayzad ed edito dalla Castelvecchi. Non è un romanzo, ma una esplorazione di tutti i caleidoscopici giardini delle sessualità, in particolare quellao del consensuale gioco di ruolo dominante-sottomesso che è trattato (grossolanamente) in 50 Sfumature. Se prima di approdare ad un saggio/manuale, volete però un romanzo sull’argomento allora, in attesa del film omonimo appena realizzato da Polansky, potete leggervi Venere in Pelliccia di Leopold Von Sacher-Masoch, edizione Mondadori, ben tradotta, prezzo economico e, nel caso, regge le porte alla perfezione. // Giovanni Di Iacovo


Strafilm

14

L´anticipo

SERIE Z

Far East

Only god forgives (Nicolas W. Refn, Fr/Dan 2013) Bangkok. Julian (Ryan Gosling) gestisce una palestra di boxe thailandese, copertura per un traffico di droga. Una notte suo fratello Billy uccide con inaudita violenza una prostituta minorenne. Quando Billy viene ucciso dall’ex-poliziotto Chang, famoso per i suoi metodi nient’affatto benevoli, dagli Stati Uniti giunge Crystal (K.Scott Thomas), madre di Julian e Billy e boss di una potentissima organizzazione criminale, che pretende vendetta. Nicolas Winding Refn opera in una messa in scena anomala basata sulla dilatazione del tempo. La bellissima fotografia ora crea pathos con l’alternanza di buio e colori orientaleggianti, ora logora con rallenty esasperanti. La minuziosa ricerca sonora tra musica, rumori e continui silenzi finisce per distrarre dalla storia. Raramente un film contiene sequenze da manuale di sperimentazione visiva e noia allo stesso tempo; e quando, all’entrata in scena di Crystal e del perverso rapporto madre-figlio, pare che il racconto debba decollare, in realtà tutto ciò non avviene. Chi aveva apprezzato Drive difficilmente potrà essere soddisfatto da questo nuovo film; e dire che il trailer è un gioiello di rara bellezza come non se ne vedevano da tempo! // Francesco Chiatante

Zombi Horror (Andrew White, Italia 1980) Parlasi di Zombi Horror (alias Le notti del terrore alias Burial Ground), la Divina Commedia dei film brutti. Vedràssi in qual modo la visione del ZH induca la catarsi. Parte I, Analisi del ZH: 1) Qui basti la frase: “Sono dei mostri viventi!” 2) Diretto da Andrea Bianchi alias Andrew White che: a) non esiste, b) è Terence Malick, c) è lo pseudonimo di un collettivo che riciclava pellicole e locations per ammortizzare i costi di altre produzioni. Suo è anche Malabimba. 3) Nel ruolo del bambino c’è un nano, Peter Bark (Pietro Barcella?), transfugo della Roma terminina-pasoliniana, mostro della Cinecittà-Caritas, spesso confuso con D. Semeraro. 4)Gli Zombi! Il loro passaggio in fila indiana è un’eidetica progressione: si va dal primo con maschera intera, all’ultimo, semplice uomo brizzolato con la faccia tinta di verde. Uno esce da un vaso. Parte II, Modi d’Uso: più volte al giorno a stimolare il riso. A suo tramite stuzzicare la ragione (è Bergson che parla). Eccedere per vomitare la ragione. A tramite del vomito svenire. CATARSI. Da accompagnare con lettura della Parte I. // Luigi di Felice

Paprika (Satoshi Kon, Giappone 2008) Quando ci si sveglia dopo un sogno c'è l'impellenza di fissare le cose più belle che si sono vissute, musiche, profumi appena avvertiti, come se avessimo ancora qualcosa in mano. Restiamo avvolti in un mondo che non esiste, ma che sentiamo così vero e tangibile. Paprika di Satoshi Kon, l'incredibile film d'animazione del 2006 in concorso alla 63esima Biennale di Venezia, è tutto quello che potrebbe desiderare una persona che ama i sogni. Se Tarsem Singh manda una psicologa nella mente di uno psicopatico in The Cell, oppure Micheal Gondry ci culla in una pozza densa di immaginazione e oggetti quotidiani ne L'Arte del Sogno, mentre Christopher Nolan utilizza macchine meravigliose per violare i sogni altrui in Inception, Kon ci trasporta in un mondo dove non esistono i confini. Dove mentre cammini e ti guardi le mani in un momento sei un uomo e dopo alzi lo sguardo e sei una donna con un paio d'ali di farfalla. Basato sull'omonimo romanzo del 1991 dello scrittore Yasutaka Tsutsui e accompagnata dal musicista Susumu Hirasawa, Paprika è un thriller psicologico che descrive la paura del sogno, l'inquietudine che si avverte appena svegli. //Daniele Manga-Man Lucinato

Streming or not streaming?

Il fondo del barile

C'era una volta l'Oriente

Terra Incognita Là dove si spingono solo i veri cinesploratori

The Fifth Gospel of Kaspar Hauser (O Quinto Evanxeo de Gaspar Hauser) di Alberto Garcia, 2013 (61 minuti) Girato in 16mm e diviso in 7 capitoli, questo film ci trasporta nel mondo di Kaspar Hauser, il Fanciullo d’Europa, rinchiuso fin dalla giovane età in una cella buia con la sola compagnia del suo cavallo di legno. Il regista non ci mostra direttamente Kaspar ma ci mostra ben 5 sue differenti personalità rappresentate da altrettanti personaggi che si trovano a vivere tutti insieme nella stessa prigione. Questi 5 personaggi, rappresentazioni del molteplice io di Kaspar, sono un nano sadomasochista, una fanciulla attraente, un ragazzo dalla risata facile, un marinaio romantico e un Batman fumatore, interpretato dal regista. Così come sono molteplici le personalità di Kaspar molteplici sono anche le

differenti visioni che ha del mondo, rappresentate dal regista mediante l’utilizzo di tecniche differenti in ogni fase del film. Nel mondo che ci viene mostrato non sono presenti dialoghi e così lo percepiamo proprio come Kaspar che nei suoi anni di prigionia ha scoperto il mondo solo attraverso le immagini, senza poter parlare con nessuno. Le poche e brevi conversazioni avvengono solo fra le varie personalità di Kaspar e ci vengono però mostrate attraverso delle didascalie. Un viaggio audace e misterioso, all’insegna della sperimentazione, che fra danze di pipistrelli e macellazioni al suono di Chopin riesce nell’impresa di essere ancora più bizzarro del recente film di Davide Manuli, ulteriore rivisitazione del mito di Kaspar Hauser. Premio Fipresci al Festival di Rotterdam 2013. // Alessandro Di Pasquale


Straintervista

GIO PISTONE

Cinghiale / Metereopatica / Fantasmagorica Ti sei mai perduta da piccola? E se sì dove? Mi sono persa in un campeggio a Villa Simius in Sardegna, quando avevo 5 anni. Era uno di quei posti orrendi, immensi con i nomi delle strade, in cui arriva una media di 30 persone al secondo. Succede che se vai al bagno e ti trattieni un po’, già sono state piantate altre 37 tende e non riconosci più la strada. Quel giorno mi sono sentita tranquilla nel perdermi ho conosciuto tanta gente tanto che mi hanno ritrovata in spiaggia più tardi alle prese con un castello di sabbia gigante con altri bambini. Che rapporto hai con il campari? Buono, lo stimo assai di più del suo amico arancione. Che differenza c’è tra un muro di mattoni ed un foglio di carta? Il muro di mattoni è un’incubo soprattutto se non intonacato, il foglio di carta un soffio. Cosa pensi dell’idea di contenere un’opera d’arte in un museo? La cosa fondamentale da dire è che i Musei sono estranianti, l’attenzione svanisce dopo il terzo quadro, il resto è un viaggio dentro di se’ in assetto zombato. Se i Musei fossero meno pieni di cose e con tanti divani per sedersi a guardare...li amerei di più. Poi il Campari è carissimo! Cosa pensi quando torni a casa la sera? Torno sempre in bicicletta e devo dire che è il giusto modo per volgere i pensieri al positivo. Un po’ di movimento e venticello distaccano da quello che hai fatto per passare a fare altro. Che ruolo ha il sogno ed il sonno nel tuo modus operandi? La mia attività onirica va un sacco forte! Dormo molto e sogno assai. Anzi sogno sempre e sogno molto strano. Sì, qualche idea me la stuzzica ancora, ma in passato diciamo che forse ho cominciato a disegnare grazie ai mostri protagonisti dei miei incubi. Verso i 6 anni presi a fare molti sogni horror e mia madre, per aiutarmi a superare il terrore che provavo la mattina, mi faceva descrivere i mostri che sognavo e me li faceva disegnare. Dopo aver disegnato per bene uno dei mostri ricorrenti che più mi terrorizzava (lo trovavo sempre aprendo la porta del bagno ad un certo punto del sogno: un essere con la faccia a forma di cocco, flaccido polipo, seduto sulla tazza con i calzoni calati che suonava la chitarra) gli incubi passarono. Il metodo è infallibile. Ve lo consiglio. Raccontami una storia che è successa nel tuo quartiere... Con la casa dove vivo valico i monti. Sto al sesto piano senza ascensore e da vedere di sotto c’è tanto, c’è un micro mondo di teste con i piedi. Davanti ho un palazzo che sembra un traghetto abitato da qualsiasi tipo di genere umano e animale. Al 4° piano infondo c’è una vecchia che si muove poco. Ogni movimento le costa caro. Ma quando è uscita quella volta era un’amazzone! Le sue prede...i piccioni. Veloce come non l’ho mai vista, con un ghigno satanico, brandiva le braccia, digrignava i denti e si ergeva almeno di 20 cm più del normale! Assurdo. Ora quando la vedo passare la guardo con altri occhi. Lei continua a fare la vecchia ma tanto ormai io so di che cosa è capace! Se avessi un armamento atomico contro chi o cosa sarebbe puntato? La Santa Sede.

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Gio Pistone per STRA / 00 / Giugno 2013


Straintervista

18 Che rapporti hai con l’oceano? Ho il terrore dell’oceano è troppo violento, le poche volte che mi ci sono fatta il bagno ho avuto paura che mi portasse via con se. Allo stesso tempo è meraviglioso, ma non fa per me. Io adoro il Mar Mediterraneo. Sono una tipa da gambero e mazzancolla piuttosto che da aragosta oppure da tellina piuttosto che vongolone linguato. Chi abita sulla luna? Nessuno che ci assomigli. Che cosa ha estinto i dinosauri? Erano freddi. Il posto più bello dove hai potuto fare un tuo lavoro? Per ora è sicuramente Ancona. Durante il festival Pop-up ho disegnato muri ed un peschereccio. È stata un’esperienza indimenticabile! Sarà il posto splendido, il Conero, la gente, i pescatori e l’irripetibile sensazione di essere su una barca piccola in mare disegnando una barca enorme. Le tue creature sono generose, abbondanti, pantagrueliche, ma nascondono a mala pena un velo di acuta inquietudine, come spieghi questa contraddizione? È nella loro natura. Non è possibile spiegarlo e poi è soggettivo ad alcuni sembrano molto buone. Cosa pensi del Carnevale? È un momento in cui tutto e possibile. Dimenticare la propria realtà per essere ciò che la fantasia suggerisce. Basta crederci. Chi è il più grande pagliaccio che tu abbia conosciuto? Leo Bassi! È un clown vero gli altri tipi di pagliacci non mi interessano. Cosa pensi dei bestiari medioevali? Li adoro. Diciamo che non ci sono state grandi invenzioni successive riguardo ai mostri. Sono stati già tutti catalogati. Possiamo caratterizzarli con il tratto, con i colori ma mi rendo conto che quando ne faccio uno che mi piace veramente poi già esiste, non proprio così come l’ho fatto, ma esite. Sono misti di animali, ingrandimenti di parti del corpo... insomma siamo lì. Il bello come in tutti i giochi di fantasia è riuscire a farli nostri il più possibile. Se fossi una pittrice fiamminga del cinquecento cosa succederebbe alla tua vita? Oddio non credo che sarei potuta essere una pittrice alla Van Eyck, per quanto mi piaccia. Forse sarei stata più come Bosh ed avrei vissuto nascondendomi, perchè una donna che disegna quelle cose è sicuramente una strega e va bruciata! C’è ispirazione per le tue creature bizzarre sul tram o sul bus o per strada? Credo che tutto ciò che guardo in qualche modo sia nei miei disegni ma non so come. Qual è il primo colore di cui hai ricordo? Il Rosso. Una questione per imbarazzarti: che rapporto hai con Walt Disney? A me piace, dai fumetti vecchi di Topolino ad alcuni cartoni animati sempre vecchi. Bianca e Bernie, La carica dei 101 mi piace quando fa paura insomma. Poi come personaggio è uno yankee, fa propaganda americana, alcune opere sono tremendamente maschiliste ma io guardo sempre il meglio delle persone.

Mini bio Il mio amico O. dice che alle origini di me c’è un campionario completo di varie umanità. Mia Nonna M. (austriaco-friulana in profumo nazi) era sposata con il Nonno T. calabrese e libertario seguace di Campanella. Non credo che si siano mai capiti realmente ma hanno fatto parecchi figli tra cui mia madre ed altri 4 di cui uno con sindrome Down e la passione per Gianni Morandi. Quando nacqui mi chiamarono Giovanna perchè la mia bisnonna zingara di Pescara era morta 2 giorni prima della mia nascita e tanto mi spettava, perchè la sua vicina di palazzina era diventata bisnonna prima di lei! Poi ci sono molti zii: uno si buttò dal secondo piano con un ombrello come paracadute, un’altra viveva con un’amica immaginaria di nome Gelsomina, un altro ancora era colonnello dei carabinieri e tolse il saluto per 15 anni a suo fratello (mio nonno Aristide Temistocle), perchè raccontò una barzelletta sui carabinieri. Mio zio, un altro, ha sposato un donna africana eritrea e dal loro amore sono nati due figli biondi, alti con gli occhi azzurri. Io invece nacqui CORTA e NERA. Così è la vita, avessi avuto un paio d’occhi azzurri adesso non sarei qui!


Straintervista Tra Sancho Panza e Don Chisciotte da che parte staresti? Secondo me i due sono indivisibili. Sono la classica coppia di figuri uno più visionario e l’altro più terreno che hanno bisogno l’uno dell’altro per sentirsi importanti. Se ne vedono tanti in giro ma nel mio caso me li sento dentro entrambi. Sono tipicamente bipolare. Cosa pensi dei punkabbestia? Penso che si siano estinti nel primo decennio del 2000. Quelli che si vedono adesso in giro sono finti. Era un fenomeno interessante perchè quelli che ho conosciuto io, che ero una classica punk, erano tutti figli di nobili o rampolli di famiglie ricche... dei momentanei francescani insomma. Sposeresti un tassidermista? Premettendo che non mi sposo, il tassidermista perchè no! Un mestiere insolito ed antico tutto sommato preferirei quello che opera sugli animali. Sugli uomini mi da un certo senso! Qual è la differenza tra un bidone di vernice ed il pennello che usi per gli acquerelli? La mia passione per gli acquarelli deriva dalla loro infinita casualità. Li uso a modo mio creando macchie e vedendone forme del tutto libere tra miscele di colore ed acqua. Dopo aver trovato la forma allora vado sul particolare ma il lavoro è un tirare fuori figure che vedo sul momento. È molto divertente. Il bidone di vernice forse perchè non ho ancora trovato un modo divertente di usarlo, è più faticoso. Lavoro ancora come un’ imbianchina certo è che poi quando vedo il disegno finito è sempre uno spettacolo. Se fossi un tuono su cui ti scaricheresti? La Santa Sede... se non sono riuscita prima con l’atomica. Abitando a Roma sono un po’ fissata. Ti regalo un carro armato, cosa ne fai? Lo posiziono in una parte di scogliera in Sardegna e ci costruisco una casa allargando finestre, facendo altri piani, mettendo piante rampicanti, come un camper sul belvedere. Chi è il tuo eroe? Eroi non ne ho. Ma nei momenti difficili non so perchè penso sempre a Picasso. Fa ridere ma forse lo associo alla forza che non si arrende mai. All’irruenza. Come quando sono triste guardo film con Totò, Peppino o Alberto Sordi su di me hanno un effetto infallibile se non rido vuol dire che sto veramente grave e mi tocca riprovare con Picasso. Li alterno e prima o poi rinasco. Per finire, la domanda simpatica: dammi una dritta su di un illustratore, un pittore, un visionario... Le ultime cose di Mattotti mi fanno impazzire quelle nere al tratto veloce, il libro Oltermai per intenderci, una pittrice che amo ultimamente è Shiri Mordechai, il visionario è sempre e comunque Calvino, il migliore, non riesco a trovarne di pari.

a cura di Marco Taddei

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Strafumetto

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CHINA & MARTIRI

BENEDIZIONI

Weathercraft, Jim Woodring (Coconino Press, 2012) Se qualcuno mi chiedesse a chi affidare la salvezza della mia anima, la mia scelta cadrebbe senza remore su quelle di un uomo-porco. Questa affermazione deve essere presa in senso letterale. Perché un uomo-porco, ovvero Manhog, avrebbe tutti gli attributi che lo fanno appartenere all’ordine del sus scrofa domesticus, ed in più nel suo cuore albergherebbe il coraggio e lo spirito di sacrificio tipica (?) dell’homo sapiens. Dicono di Jim Woodring, autore di Weathercraft edito da Coconino, che fin da bambino vivesse esperienze allucinatorie. Dicono che tenesse un diario dei suoi sogni e che da sveglio ne spremesse la polpa per arricchire le sue storie. Si dicono tante cose più o meno vere di questo e quell’autore, ma a queste io ci credo. Leggere un fumetto di Jim Woodring, tra i massimi esponenti della controcultura americana, è in effetti un viaggio nelle lande inesplorate della psiche umana più deviata, divertita e visionaria. In Weathercraft il protagonista è un uomo-porco. Attorno a lui si susseguono eventi incastonati in vignette mute, in una scansione che ricorda lo storyboard di un cartone anni ‘30. I panorami e personaggi sono il perfetto connubio tra l’acredine di Robert Crumb e il surrealismo di Salvador Dalì. All’ultima pagina si arriva frastornati e il finale, gradevole quanto un coito interrotto, ci lascia di sasso, ma fiduciosi che ci sarà sempre un uomo-porco a guardarci le spalle. // Fabio Di Campli

Shadow Atlas, Nora Krug (Strane Dizioni, 2012) Un abbecedario serigrafato a cinque colori di spiriti e fantasmi di tutto il mondo, ventisei tavole trentadue per quarantasette centimetri tra il grottesco e il sublime, tra l’immortale e il paranormale, un compendio di paure intimamente umane che diventano mitologie universali. Nelle cinquantaquattro pagine di questo Atlante delle Ombre si susseguono cavalli d’argento vischioso che annegano gli incauti, fantasmi dai lunghi seni appassiti che attirano i non cristiani all’amo della morte, uno spirito rosso tra alberi azzurri dagli occhi verdi che invidia la vita dei nascituri, contrastati spiriti domestici poco spiritosi dietro improbabili stoviglie in fiamme; mostri marini musicali golosi di capretti, eschimesi in convulsioni e cani bicefali dalle orecchie pelose; un demone dalla faccia d’uovo cerca il giallo amore familiare, un gatto enorme incendia aerei con sguardo metallico, giganti teste di orsi in agguato tra le montagne gelano con il respiro corpi, pensieri, tir e pipe. Impasti d’inchiostro si stratificano sul foglio, accostamenti vibranti, colori primari, puri costruiscono immagini con sintesi fortemente ironica, quasi arcaica, visioni popolari senza tempo, architetture e credenze sghembe, anatomie esasperate dalla narrazione. I testi scarni descrivono le feroci sciagure di popoli antichi, specchio delle debolezze contemporanee: un manuale di sopravvivenza per tenere a bada i mostri nei viaggi di tutti i giorni. Un igloo che brucia chiude iperbolicamente questa collezione di strabordante mostruosità. // Lisa Gelli e Nicola Alessandrini

Indagini su quel sommo sacrificio che è fare il graphic novelist

RONCISVALLE

In fumetteria con Durlindana in mano Seraphim-266613336 Wings, Satoshi Kon/Mamoru Oshii (Planet Manga, 2013) Inaugurare questa rubrica presentando un manga che ha la caratteristica meno accattivante che una storia possa avere? Perchè no? Seraphim-266613336 Wings dallo scorso aprile è in tutte le fumetterie ed è incompleto. E tale resterà. Per sempre. Ai disegni Satoshi Kon, indimenticato, sublime, regista di film d’animazione come Paprika e Perfect Blue: ha abbandonato questo pianeta nel 2010. Ai testi Mamoru Oshii, anch’egli regista di anime quali l’acclamato Ghost in the Shell, è invece ancora tra noi viventi, ma non completerà Seraphim da solo. I due grandi registi serializzarono dal maggio ’94 al novembre ‘95 una storia potente, drammatica, magnifica. Sera, misteriosa bambina muta, grandi occhi tristi; Gaspar, grosso cane saggio, Melchior ex Commissario ONU per i rifugiati e il vecchio Balthasar, biologo, sono i Wise Men dell’Inquisizione dell’OMS, che in questo distopico futuro governa una parte del pianeta, mentre al di là del cordone sanitario troviamo solo nazioni ribelli, morenti ma dannatamente combattive. Devono cercare una cura per la Malattia degli Angeli che ha eliminato miliardi di umani trasformandone i corpi, rendendoli simili ad angeli orrendi, dotati di inutili ali mostruose. Nella piccola Sera c’è il segreto per la cura? Tra fughe, sparatorie, sangue e orrori disegnati splendidamente si dipana una storia della quale non conosceremo mai la fine. Potremo però immaginarla in uno dei nostri incubi. // Orlando Furioso

Illustratori in odore di santità



Neftali e Figli

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NEFTALì

dall´Inferno

I bersaglieri nell’armadio. I carri armati nel caffè. Un uovo in camicia. Una camicia in un uovo. Lo specchio d’acqua e lo specchio nell’acqua. Allenarsi a lanciare filare di salsicce in un corridoio. Lavare i denti a tutti i parenti. Una sardina come presidente. Un polipo come papa. I diritti umani usati come cartamoneta. Il petrolio come acqua minerale. Se il tuo nemico ti schiaffeggia tu porgi l’altra guancia. Se il tuo nemico ti costringe a camminare per un miglio tu sfidalo a camminare per dieci. Il diavolo compera un panino al prosciutto al mercato di Praga e qui io rimango a bocca asciutta, affamato come i morti, con la sola possibilità di bere un bicchiere di Marsala per far tacere lo stomaco. Eppure siamo sempre stati abituati a mangiare a dovere in famiglia. Inventammo noi una tradizione che poi divenne regionale: la Panarda per noi era ovvia. Se dovevamo metterci a tavola bisognava mangiare ogni santo giorno in maniera indimenticabile, come se non ci fosse un domani. E così allora in faccia alla carestia brindavamo con certi vini che i contadini facevano rotolare in tini rotondi dai colli vicini. C’abbuffavamo con lessi: senza nessun compromesso, mangiavamo le zampe, i ventri, le cocce. Ai bambini che razzolavano assieme alle galline sotto i tavoli facevamo ciucciare le biglie bollite degli occhi degli agnelli. Non avevamo uscio alla porta, la nostra casa era sempre aperta. Viandanti, orfani, penitenti, tutti accoglievamo alla nostra tavola. Armati e non armati, cavalieri e briganti, le pentole ribollenti erano sulfamidici per gli spiriti di tutti gli avventori. Mia nonna cucinava di tutto. A volte ai servi mancavano le dita. Mia nonna rideva e diceva: “Le ho usate per assoporire il sugo!” Mio padre, sotto braccio a suo padre e al padre di suo padre, ballava una danza che aveva inventato lui per l’occasione. Ed inventavano anche le parole nella mia famiglia. S’inventavano le leggi. S’inventavano anche le Sacre Scritture. I preti venivano per farsi confessare da mio zio, un santo che levitava se ne aveva voglia. La mia bisnonna era un angelo. Mia madre una voce che si sentiva in un angolo. Consiglio del mese: va per mercatini dell’usato e distruggi tutto // Marco Taddei

È caldo da piovere, da essere acqua, da credere al Paradiso, da camminare nel deserto. Troppo caldo e non pagare. Gratis

Confondersi tutto d’un pezzo

L’ovvio di petto in 160 caratteri

prendiamo tutto. Almeno; all’Inferno.

Barbara Giuliani, scrittrice e bombarola

Lo spigolo della scienza Il mal di testa della sapienza

“Non ci sono più le mezze stagioni!”. Mai frase è stata più traboccante di umida fandonia. Il periodo tra marzo e maggio è stato il più piovoso degli ultimi 200 anni in Italia ma pare che l’anomalia non sia destinata a placarsi almeno fino a giugno inoltrato. Analizziamo la situazione dal punto di vista satellitare: “Immensi banchi di nubi si addensano fin sull’Europa occidentale è anno come epicentro massimo il nord e il centro penisola,” spiega con sapienza il professor Fabrizio del servizio meteorologico aeronautica militare di Viterbo che continua: “Queste nubi son veri e propri addensamenti di egosteria gassosa emessa dagli esseri umani, ego isterico!”. Ma come è possibile una cosa del genere? Ce lo spiega con audacia lo scrittore e sociologo sociopatico Giuseppe P : “Come scrivo nei libri:Il flauto nell’anima e Lo sfintere ad una dimensione noi umani liberiamo quotidianamente ego dalla bocca dal naso e dalle orecchie. Negli ultimi cinque anni il quantitativo è aumentato in maniera esponenziale per via di network, telefonini e auto referenzialità visionaria generando nubi dense di ego. Senza dimenticare,” continua P, “che l’atteggiamento politicamente corretto che si usa nelle conversazioni e negli status sui vari social-network è deleterio per l’equilibrio gassoso del pianeta!”. Ma come si può scongiurare questo acquitrino colmo d’autunno sempiterno? Il flauto nell’anima al capitolo 3 recita: “Grave per l’equilibrio dei cieli sarebbe: trattenere il peto, vezzeggiare un radical chic e compiacersi troppo dei propri residui organici.” // Frankie Berardi



graficastra


Stravizio

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abraCantabria

L´antipasto

“La conoscenza comincia con una rivelazione” Aristotele All’origine di tutto c’è il vino.E c’è anche l’uomo. Perché agricoltura, vite e uomo si intrecciano da sempre. Questo mi sovviene davanti ad un bicchiere di vino georgiano. Un bianco dal colore arancione, di fermentazione del mosto a contatto con le bucce. Un vino interessante, dai sentori di radice, erbe officinali e dattero. Esotico. Che ti fa viaggiare sorso dopo sorso. Un modo di fare vino che si perde nella storia. Possiamo posizionare con archeologica certezza la nascita del vino proprio in terra di Georgia, nel Caucaso, dove la Vite vide la sua originaria comparsa. Ancora oggi lì si fa vino come nel 6.000 a.C. Anfore di terra cotta chiamate kvevri vengono sigillate nelle cantine di pietra. Le anfore prodotte nel Caucaso meridionale nel III-IV secolo a.C. non differiscono dalle kvevri usate al giorno d’oggi. Ed è questo un fatto sorprendente: possiamo bere vini realizzati esattamente come secoli e secoli fa, giunti fino a noi a cavallo di una tradizione ancestrale. Anche in Europa si sta diffondendo l’uso delle macerazioni sui bianchi e l’uso delle anfore come contenitore per la fermentazione e la maturazione del vino. In questo modo si possono abbassare drasticamente tutte le sostanze chimiche utilizzate nella produzione come l’uso di anidride solforosa e altri conservanti perché le bucce rendono il succo forte e capace di durare nel tempo. Anche in Italia numerose cantine iniziano a seguire questa filosofia produttiva interpretandola a uso e consumo della tradizione del luogo di appartenenza. Andatele a cercare! // Riccardo Ferrante

“Commestibile: buono da mangiare, sano e digeribile come un verme per un rospo, un rospo per un serpente, un serpente per un maiale, un maiale per un uomo e un uomo per un verme.” Ambrose Bierce, Dizionario del diavolo, 1911. Qualche sera fa, Luigino, un amico (-ino si fa per dire... un quintale e mezzo di omone, alto 170 cm), ospite a cena, complice la quantità di vino trangugiato ha fatto outing. Un outing del tutto particolare però: ha confessato perché è ancora celibe! Premessa: Luigino ha passato il mezzo secolo, e si definisce celibe per scelta vista (dice lui) la carenza di donne che rispondano alle sue discriminanti. La principale dote richiesta da Luigino in una donna è saper fare i cavatelli. Luigino spacca il mondo femminile in due emisferi non comunicanti: quelle che li sanno fare, e quelle che non li sanno fare. Per lui la sola parola cavatello è la felicità. Luigino vive di cavatelli (quelli della mamma ottantenne), ma non disdegna la variante di certe osterie, ovviamente del suo paese, non sia mai un cavatello fuori zona, sarebbe un’eresia! Stranamente, a fronte del (suo) tipico piatto di cavatelli quotidiano da 3-4 etti più condimento, su altre cose Luigino è molto parco. La pizza? Mezza, di più gonfia lo stomaco. Il pane? Fa’ ingrassare! La carne? Per carità di dio, un poco va bene, ma altrimenti fa male! Contento lui: forse ha trovato la ricetta della felicità. // Fabio Riccio

Di vizi, vini, crapule e bordelli

GASTROPEDIA

Filetto di baccalà su crema di ceci alla salvia Ingredienti (per un solo piatto, moltiplicate le dosi per gli ospiti). Un filetto di baccalà (parte alta della baffa) 150 gr / 100 gr di ceci / mezza cipolla bianca / 1 rametto di rosmarino / 2 foglie di salvia / 6 cucchiai di olio extravergine / sale e pepe. Preparazione Tritate la cipolla e insieme al rosmarino e ai 4 cucchiai di olio fatela stufare in una casseruola dai bordi alti. Una volta appassita aggiungete i ceci e dopo 1 minuto acqua calda a coprire per 10 minuti. Dopodiché con un frullatore a immersione frullate tutto dopo aver rimosso il rametto di rosmarino. In altra padella con 2 cucchiai di olio fate friggere due foglie di salvia e mettete da parte. Nell’olio caldo fate scottare il trancio di baccalà prima dalla parte della pelle per 4 minuti poi giratelo per altri 4 minuti.(regolatevi in base all’altezza del trancio). Prendete un piatto fondo, adagiate la crema di ceci e sopra ponete il trancio con la pelle in vista. Guarnite con le due foglie di salvia fritte e completate con un giro di olio e uno di pepe. Enjoy // RF

Gradisce un assaggino?

PSICOCUCINA Mens sana in corpore sazio

Eminenza ho scoperto di avere una strana attenzione nei confronti delle mandibole dei miei simili. Il moto fagocitatorio mi attrae. Ed ora ogni giorno non mi rimane che andare alla caritas a fissare i senzatetto che masticano maccheroni scotti. Che cosa posso fare? Nepomuceno'79 Carissimo Nepomuceno'79, il tuo è un problema abbastanza comune tra i membri dell'ordine sacerdotale al quale chiaramente appartieni. La ricetta che ti propongo è il prelibato Timballo di Troia. Riponi in un fazzoletto pistacchi, mandorle, arachidi, noci e pesta tutto a dovere con il martelletto di Atanasius Kircher. Passa l'intruglio nell'uovo e forgia un polpettone intorno ad una chewing gum panna e fragola. Cuoci in forno per molto tempo. Consumalo all'interno del prototipo dell'Homeless Vehicle (Pojazd dla bezdomnych) del sommo Krzysztof Wodiczko che sarà da te opportunamente perfezionato rivestendone l'interno di specchi, e che per contrappasso sarà tuo centro d'accoglienza permanente. Potrai così godere del tuo medesimo moto fagocitatorio e non temerai più nulla // L'Eminente


Straweb

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bloggario

sargasso

C’era una volta un sacco di gente scema che si dilettava in azioni random nel buio del proprio tempo libero, poi arrivò il web e luce fu. Ora tutta la gente scema può gioire dei propri 15mb di celebrità mentre esegue attività deprecabili e virali quali il planking (plank-it-out.tumblr.com), ma anche il vadering, il teapotting, l’owling. E sono in aumento, quindi provate termini a caso su google immagini, aggiungendo il suffisso –ing. Funziona anche con fuck, ma è meno innovativo.

Vi siete mai chiesti qual è, per voi, il limite all’eccesso? A me viene in mente un tacchino. Sì, un povero tacchino. Che la mattina del Thanksgiving day viene rimpinzato di ogni ben di Dio. Nel mondo degli uomini è la stessa cosa: la natura è il tacchino, noi il ripieno. Guardiamoci in giro: quanta massa inutile ci circonda! Troppi mobili, troppo cemento, troppe case, troppo rumore, perfino troppi nei. Non ce ne rendiamo neanche conto che c’è davvero troppo “troppo”. Non possiamo farcene una colpa, è nella nostra natura riempire il vuoto. Dovremmo capire ciò che davvero conta e dare più spazio alla natura. Facile, no? Bruciamo tutto e andiamocene in un bosco - mica male! C’è invece chi, nella terra dove gli occhi sono a mandorla ed alto è il numero di geni incompresi, cattura i fantasmi degli oggetti per dare rilievo al vuoto e dimostrare quanto sia più facile respirare, tenendo solo il necessario. È l’artista Onishi Yasuaki che nelle sue installazioni svuota le cose della loro massa, lasciando solo la percezione, l’impressione visiva di ciò che manca. La sua opera più significativa è Reverse of volume: una pioggia di colla nera che dal soffitto scende su montagne di scatoloni poste a diverse altezze e accarezzate da fibre sintetiche riscaldate. Tolte le scatole, non rimane che una sagoma affascinante di forme spaziali, un alone di oggetti rimossi o solo invisibili nella loro interezza, l’antitesi delle costruzioni e degli assembramenti creati dall’uomo. Ora vi è più chiaro cos’è l’esagerazione? No? Seguite il QR qui accanto: svuoterà la vostra mente e vi riempirà i quori! // Annagina Totaro

a cura di Nova Nanà

Per la serie l’olimpo telematico consacra gente a caso, canteremo le lodi dell’inarrestabile ascesa di Nicolas Cage. Tutti lo odiano, tutti lo amano. Recita in un range illimitato di film, senza alcuna distinzione di generi. Il che ha del divino, visto che la sua parte più espressiva è il parrucchino. Gli rendono onore meme, pagine FB, forum interi e cose tipo niccageaseveryone.blogspot. it. Perché dio è in ognuno di noi & dappertutto, e se non riuscite a vederlo c’è l’estensione di Chrome nCage. Era chiaro a tutti dai tempi di Paperissima che la gente si uccide di risate guardando i gatti fare cose gattose. Su youtube ci sono video di gatti con ottanta milioni di visualizzazioni. I gatti sono fighissimi, sono più fighi dei cani, e soprattutto non li devi portare fuori a pisciare, quindi hai più tempo per guardare video di gatti su youtube. Non ha senso, ma è molto bello. Un po’ tipo fuckyeahpsychedeliccats.tumblr.com Ok, questa è la classica cosa che fa incazzare perché esiste da trentanni e nessuno l’ha mai cagata troppo. Fino al momento in cui viene deciso che c’è bisogno di una bella svecchiata al character design, un po’ di animazioni in flash senza outline che fa subito pop, merchandising come se piovesse e una spunta arcobaleno vicino alla Regola 34. smutpony.tumblr.com. L’amicizia è magica, l’ossessione è pro.

Ogni mese dreniamo per voi il meglio dalla poltiglia del web

Ascolta un creativo Consigli di bricolage da un artigiano elettronico La grafica è una lingua. Compresa e “parlata” ovunque, più dell’inglese, più del cinese. Universale, almeno quanto la musica. Un codice nato per unire. Aldilà di razze, culture, religioni. Rispetto alla musica ha un pregio: si propaga nel vuoto. Quello là fuori, nello spazio, e quello metaforico. Come la musica, ha regole precise, una sua grammatica, ritmo, armonia, forma, pausa, ripetizione, stili, generi. Ambient, pop, rock, classica, jazz, neo-melodica, cafona. Strumenti per produrla, riprodurla, luoghi in cui ci si incontra per viverla, La grafica usa gabbie e griglie per essere libera, ha paura del disordine, ha bisogno di limiti e confini. La buona grafica è oggettiva. Deve comunicare, non piacere. La grafica ama contaminarsi, spesso la vedi in giro con l’illustrazione, la fotografia, la tipografia, ma in fondo vive meglio da sola. La grafica vive

di figure retoriche: iperboli, analogie, sono centinaia, le usa tutte. La grafica è ovunque, a chi proprio non vuole vederla si spiega con le metafore. A me per esempio, piace quella del cuoco: entrambi abbiamo a disposizione ingredienti, mescolandoli otteniamo sfumature e sapori diversi. Il profumo dell’inchiostro, la consistenza della carta, la forza di un carattere tipografico. questi ingredienti non devono essere troppi, non troppo pochi, sempre comprensibili e riconoscibili. Un buon insieme di elementi, non un insieme di buoni elementi. Sfogliare questa bella rivista non è forse come gustare un buon piatto? Insomma, alla grafica si arriva attraverso la grafica, è un luogo dove fare sfoggio di sintesi. Continuate a gustare, mai troppo poco, mai abbastanza, contemporaneamente. // Paolo Diazzi


Stralife

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SUrviving life

SENZA BENZA

Quanta fame! Ho sempre preferito il chaos al silenzio, le moltitudini al deserto. Eppure c’è del vuoto. Il tempo divora le possibilità di prendere ogni cosa tra le mani ed arricchirsene ogni giorno. Ascolto L7. Bevo e rifletto sulla bellezza della vita. Vorrei un kaiten dove scorrono piatti in continuazione per poterli afferrare e ingoiare. Gli istanti andrebbero scanditi secondo delle regole prestabilite per non perdersi, ma sono pochi, cadono dentro una voragine. La vita è una sovrapposizione di immagini, sensazioni e pensieri raccolti sapientemente dal nostro cuore. Rumore. Visioni illuminate dal riflesso di qualche lacrima, spessore definito. O indefinito nelle sue scritte cancellate e nei suoi segni sovrastati da strati di colore. SUB POP. Come Andy sta al pop Jean Michel Basquiat sta al sub pop. Da definirsi probabilmente DIRTY. Come il grunge che arriva con la celebrazione della sua morte. Movimento di detriti umani emozionale. Il mio tanto amato SAMO. Re indiscusso, veloce produttore di opere incantevoli. Visioni: THE RADIANT CHILD by Tamara Davis // DOWNTOWN 81 by Glenn O’Brien// BASQUIAT by Julian Schnabel. //PerlaMadonna

Esplorare [dal lat. explorare, voce di origine incerta]1# Ridiventa bambino. Tutto ti sembrerà nuovo, sempre diverso, mai uguale. 2# Inizia ad esplorare già prima di partire. L’esplorazione è un modus vivendi. 3# Apri occhi e orecchie, poi, muovi il culo. L’ignoto è ovunque e aspetta solo di essere scovato. 4# Tutto è già visto, tutto è già ascoltato, ma nulla è come lo vedi tu. 5# Guarda dove gli altri non guarderebbero ma soprattutto dove tu stesso non andresti mai a guardare. 6# L’esplorazione è catartica, quindi, preparati al mutamento. 7# Esamina, perlustra, ispeziona e metabolizza. Senza sforzo non c’è scoperta. 8#La conoscenza presuppone approfondimento. Il tempo è relativo. Il tempo non esiste. 9# Niente è come sembra. Avvicinati o allontanati e te ne accorgerai. L’importante è non restare fermi. 10# Chiudi gli occhi. Torna al punto di partenza. Aprili. Ripercorri il sentiero che hai battuto La ricerca, la scoperta non hanno mai fine e, se mai dovessi sentirti appagato, beh, inizia a preoccuparti. L’immobile sta avanzando verso di te come il nulla de La Storia Infinita. // Gaetano De Crecchio

Teoria e prassi della sopravvivenza

Dentro e fuori dai paraggi

Very Superstitious Esoterismo for dummies

Il 10/5/2013 gli Elio e le Storie tese pubblicano su Facebook una foto: il gruppo è ritratto presso Palazzo Giustiniani in Roma, sede del Supremo Consiglio della Massoneria. Inquietante la didascalia: “Se qualcuno avesse ancora dei dubb”. Gli Elii ci sbeffeggiano, come sempre, sbattendoci in faccia la Verità. Il faceto gruppo milanese appartiene al Male della moderna società: quelli che controllano terremoti, programmano le menti dei giovani mediante messaggi satanici, uccidono McCartney e lo sostituiscono con un sosia. Del resto il legame fra gli Elii e l’occulto è vecchia storia. Basta soffermarsi sul sacro terrore del musicista dedito alla ritmica: Pagàno, brano dalla superficie tematica incentrata sul paganesimo che cela messaggi massonici. Pagano è un quartiere milanese, che prende il nome dalla via intitolata a Mario Pagano (1748-1799), repubblicano napoletano e conclamato Massone. Il testo è pieno di metafore architettoniche neanche troppo nascoste, come la citazione da Giulio Cesare sulla costruzione dei ponti che, con un salto pindarico, è legata al malaffare intorno a Fonopoli. Se qualcuno avesse ancora dei dubbi… // Giulietto Andrio

BOROTALCO

Per scivolare sulle cose a passo di danza Se troppo per voi non è abbastanza e non vi accontentate affatto in tema di musica, bene allora bisogna partire per Londra o meglio ancora puntare il dito su due quartieri quanto mai vivaci e creativi, Camden Town ed Hackney. Il primo è da sempre sinonimo di cultura underground, ribellione, ricerca eversiva e trasversale, abbigliamento vintage e vinile usato. Il secondo, il quartiere di Hackney in East London, è salito alla ribalta nel giro di una decade grazie ad uno sparuto gruppo di artisti - perché è sempre così che succede - in quanto ennesimo quartiere creativo, hipster, alla moda o trendy che dir si voglia, un po’ come Williamsburg nel distretto di Brooklyn a New York o Kreuzberg in quel di Berlino. Se vi considerate dei melomani incalliti

e non potete fare a meno neppure un giorno alla settimana del vostro shake quotidiano, bene allora il vostro indirizzo è Chalk Farm Road, 78 a Camden Town, da Joe’s Bar. Sette giorni su sette, il meglio della scena londinese propone succosi e ricercati dj-set, policy anni ‘50 e ‘60, tutto su vinile, dal rock’n’roll al rhythm’n’blues, passando per gospel, cumbia, popcorn, rockabilly, mod jazz, titty shaker, insomma una volta saliti sulla giostra sarà difficile scendere. Siete ancora vivi e avete voglia di un Sunday Market? Il Broadway Market ad Hackney fa al caso vostro: soul food, hot dog, musica dal vivo ed un po’ di aria fresca vi rimetteranno le ossa apposto, sempre che una pinta di pale ale locale non venga lì a stuzzicarvi il gargarozzo! // Slim-Imangiadischi




STRALUNARIO L'agenda del perdigiorno GENESI Mostra fotografica di Sebastian Salgado fino al 15 settembre Museo Ara Pacis - Roma

live il teatro degli orrori Se vi piace la buona musica rock ma non disdegnate la cultura, la suggestione, l'headbanging ragionato, allora vi piace Il Teatro degli Orrori. Verranno Sabato 29 Giugno alle Naiadi a Pescara per suonare tutto, ma proprio tutto, il loro secondo album “A Sangue Freddo” comprese le outtakes aggiunte alla nuova versione rimasterizzata. Ci vediamo là.

L´allegra fattoria mostra di Maicol & Mirco fino al 30 giugno Exit Fumetti - Macerata OBLIVION mostra d'arte dal 18 al 23 giugno Alviani ArtSpace presso Ex Aurum - Pescara Io spettacolo teatrale di Antonio Rezza venerdì 21 giugno Scalinata del folklore - Termoli Rouge mostra d'arte del collettivo Opificio Alter Arts dal 23 al 29 giugno Castello Svevo - Termoli

mostra Luigi ghirri Pensare per immagini L'obbiettivo fotografico di Luigi Ghirri è un obbiettivo “poliedrico”. I suoi sono scatti dotati di una profondità che supera la semplice immagine, che approda sulle rive del pensiero tramite la suggestione visiva, realizzando l'intento da cui prende il nome la mostra e che ha permeato l'intera attività di uno dei più importanti fotografi italiani nonché pensatore della fotografia. Al MAXXI di Roma si penserà per immagini fino al 27 Settembre A. D. Andate e vedetene tutti.

Forest Summer Fest music festival dal 26 al 30 giugno Foresto Sparso (BG) Maicol e Mirco presentazione del libro Blorch giovedì 27 giugno ore 21.00 Libreria K - Pescara Majella Sound camp live e dj-set 28-29-30 giugno San Valentino (PE) SCHIAVI DELLA musica music festival 28-29-30 giugno Schiavi d'Abruzzo (CH)

Festival MILANO MANGA FESTIVAL Giappone. Patria natia dei nostri eroi d'infanzia. Splendido conglomerato di isole, antiche tradizioni, hi tech, pesce crudo e fortissimi robot ha dato alla luce una peculiare forma d'espressione dallo stile inconfondibile, spesso sfogliata al contrario. Avete capito di cosa si tratta e vi interessa conoscere di tutto e di più? Allora non perdetevi il Milano Manga Festival. Fino al 21 Luglio in mostra più di 500 tavole in una macchina del tempo che parte da Hokusai e approda ai nostri giorni.

Vastock music festival venerdì 5 Luglio Vasto Marina Nick Cave live giovedì 11 luglio Piazza Napoleone - Lucca


ABAT-JOUR Piccole illuminazioni

Marco Smacchia / marcosmacchia.tumblr.com


Silvia Argiolas / www.argiolas.com

Luigi Lo Quarto luigiloquarto.carbonmade.com


DEFENESTRAZIONI Galateo dell'Exit Strategy

// Enrico Pantani




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