Printlovers, n. 86, 2021

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I N T E R V I S T A

passeggiando per New York a tarda notte, chiedendoci cosa indosserà la nostra cliente in vacanza a Capri, o di quale collana, o orecchini ha bisogno per il prossimo charity event. Le collezioni partono da sogni, i nostri e quelli delle nostre Muse. Ogni pezzo in produzione sul banco ha sempre un nome ad esso legato, ce lo immaginiamo per una nostra Musa, anche se lei ancora non lo sa e anche se non sarà lei l’acquirente finale. L’importante è sempre immaginare chi indosserà quel nuovo anello, come in un lussuoso viaggio onirico. I segni grafici distintivi del logo che linea di pensiero hanno seguito? La semplicità. Roberto, laureato in Design Marketing alla Parsons School di NYC, era molto attento alla comunicazione visiva del brand e il logo doveva rappresentare la massima espressione della semplicità delle linee e dei colori, il suo amato grigio chiaro. L’idea era di non oberare il logo, già abbastanza lungo e ‘’pesante’’ nella sua dualità e, soprattutto considerando la naturale esplosione di colori e forme dei nostri gioielli, il logo deve solo essere l’eco discreta dei designer. Il packaging è ad un tempo messaggero del brand e custodia del contenuto. Come è stato progettato quello per le vostre collezioni? Per il packaging sin dall’inizio abbiamo seguito un’idea di lusso tradizionale; i nostri gioielli sono opere d’arte di grande valore, quindi il packaging doveva essere ricco, lussuoso, old school. Ci siamo affidati ad un’azienda “Made in Italy”. Che ha immediatamente compreso l’ethos del brand, riuscendo a creare per noi astucci per gioielli che fossero allo stesso tempo ‘’classici’’ nelle forme, come gioielli della corona, ma freschi e contemporanei nei nostri colori (in differenti toni del grigio), alternando materiali tradizionali come la pelle al lino, meno consueto. I vostri clienti cosa si aspettano dal packaging? In genere la cliente luxury americana è più ‘’pratica”, ama molto di più una pouch chic di velluto, che uno scatolino ben costruito, in legno e stoffe pregiate. Mentre il contrario vale per la clientela di lingua russa e quella mediorientale, per cui spesso la scatola è anche più importante del gioiello stesso. Per il packaging la scelta è stata local, o global? Noi siamo da sempre ambasciatori naturali del “Made in Italy”, quindi le nostre fonti sono sempre e solo italiane, per un sentire personale, per campanilismo e per qualità massima che solo in Italia troviamo. Ma è anche importante per lo storytelling del brand, comunicare l’italianità del prodotto che parte dal gioiello fino al packaging stesso.

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Un brand famoso suscita spesso tentativi di imitazione illegale. Il packaging può offrire soluzioni anti-contraffazioni. Che sistemi avete adottato? La nostra produzione è molto limitata ed esclusiva, così come sono molto limitati ed esclusivi i clienti dell’alta gioielleria. Quindi per adesso non sentiamo questa esigenza di proteggerci in maniera così avanzata da quel punto di vista. Restiamo artigiani. Che ruolo ha l’heritage nell’affermazione di un brand, come viene raccontato e trasmesso? Per tradizione familiare, sono sempre stato io quello dei due il più attento all’heritage e allo storytelling delle generazioni di

esperienza dietro le spalle. Perché avendolo vissuto sin da piccolo ho sempre protetto quel tesoro di informazioni e storia racchiuso in duecento anni di artigianato nella stessa famiglia. Ma, adesso che Faraone Mennella si appresta a festeggiare i 20 anni dalla sua nascita, mi preme raccontare la sua storia e quella mia e di Roberto, come inizio di una legacy destinata a continuare nei prossimi decenni con e senza di me; ed anche come tributo alla vita e al talento di Roberto, che continua a guidarmi da lassù. Infatti sto lavorando ad un libro sulla nostra storia personale e professionale, perché forse c’è molto più di significativo nel nostro viaggio che non nei gioielli stessi.


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