Canzoni dell'aurora

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Canzoni dell’aurora

Tommaso Cariati

Canzoni dell’aurora

Laborgonolico

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Tommaso Cariati

a Pino Caminiti,

maestro di scrittura innamorato del melos.

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Canzoni dell’aurora

Note in guisa di manifesto di Tommaso Cariati

Valle la Fontana, 4-13 agosto 2019

Il panorama della canzone italiana, a partire dagli anni Sessanta del Novecento, presenta grande varietà di proposte ed eccezionale vitalità, specialmente durante i primi decenni di questo arco di circa settanta anni. Vi hanno trovato spazio artisti come Mina, Battisti, Celentano, Dalla, Daniele, Mia Martini, Loredana Bertè, ma anche De Andrè, Paolo Conte, Guccini, ciascuno con le proprie peculiari caratteristiche, per citare solo alcuni nomi. Questo elenco è sufficiente a mettere in evidenza che ci sono tanti modi, stili, approcci alla “canzone popolare” e alla “musica leggera”. Negli ultimi decenni ci si chiede però chi siano i Battisti, i Dalla, i De Andrè, Mina, Mia Martini dei nostri tempi. A volte ci troviamo di fronte a voci belle, anche potenti (se non proprio di una Mina, di una Whitney Houston, di una Édith Piaf), a musicisti bravi e competenti, ma spesso le proposte sono banali, o brutte, o dozzinali, o demenziali. Certo, non dobbiamo dimenticare che una canzone altro non è che una canzone e che, come canta un Guccini pressoché esordiente, “a canzoni non si fa rivoluzione… non si fa poesia”. Eppure, la vicenda di Bob Dylan, e del suo premio Nobel per la letteratura, contraddice l’asserzione di Guccini. L’accademia di Stoccolma in questo caso sembra abbia voluto dire: “A canzoni si può fare poesia”. A nostro avviso, tra i due estremi c’è un’infinità di soluzioni possibili e valide, come dimostra appunto il ricco e variegato panorama italiano degli anni Sessanta e Settanta. Ciò a patto che non si dimentichi che una canzone è, sì, solo una canzone, ma deve pur sempre obbedire a dei canoni estetici, giacché chi fa musica, chi scrive testi, chi sale su un palco a cantare, lo sappia o non lo sappia, ha la pretesa di fare arte, pretende di essere considerato un artista e di vivere con i proventi di quest’attività. Si guardi, per esempio, il tema eterno della canzone popolare, l’amore: non viene trattato con modi puerili, troppo superficiali o con interpretazioni a volte banali? Si consideri, per esempio, la linea “rap”: non c’è un vero e proprio abuso di questo genere? I testi di molte canzoni degli ultimi decenni non sembrano elenchi di parole accostate l’una all’altra a caso, o per vaga e banale assonanza? Possibile che nel mondo post-moderno, all’alba dell’era postumana che forse mette in discussione tutti i parametri dell’umano, si debba 3


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rinunciare a fare arte nel senso forte, all’altezza della migliore tradizione italiana? Non vogliamo dire che si dovrebbe ritornare a Battisti, De Andrè, Mina, Dalla; vogliamo dire che si dovrebbero raccogliere le sfide del nostro tempo travagliato e complesso, frammentato e veloce, e affrontarle alla luce della lezione che i grandi maestri ci hanno lasciato in eredità. Non crediamo si possa obiettare che il rap e le liste casuali di parole siano precisamente l’unico modo di rappresentare la frammentazione del nostro tempo, che rappresentino cioè una postura artistica consapevole che metterebbe in mostra con crudezza l’idea di fine della storia, una specie di “Merda d’artista” della musica leggera – il riferimento ovviamente va a Piero Manzoni, autore nell’ambito delle arti figurative. A volte si ha l’impressione, guardando taluni testi di canzoni, che il “paroliere” oscilli tra il Futurismo e il Surrealismo, tra l’Ermetismo e la Neoavanguardia, tra le “Scritture materialistiche” e qualche forma di satanismo; oppure, tra minimalismo, intimismo, psicologismo, neoromanticismo, magari ignorando che in letteratura questi modelli sono vecchi a volte di quasi un secolo. Per esempio, Ossi di seppia di Montale è del 1925, e Montale stesso non era più ermetico nell’ultima fase della sua produzione. A proposito di Montale, il premio “Librex Montale”, nella sezione “Poetry for Music”, ha premiato vari autori, tra i quali Bob Dylan, Fabrizio De Andrè, Paolo Conte, ma non la coppia Battisti-Mogol. Bisogna evidentemente intendersi perfino quando si parla di “poesia”. Alfonso Berardinelli, critico letterario molto attento a quello che via via si comprende sotto questa nobile etichetta, sostiene che molta poesia sia oggi in realtà “non poesia”. Noi riteniamo che vi siano canzoni di Battisti-Mogol, Limiti-Mina, non solo di Dalla-Roversi, che sono vere opere d’arte, poesia nell’intreccio sapiente di testo, musica, interpretazione. Il Web e i social media hanno distrutto il mercato della musica e delle canzoni, d’accordo, ma hanno aperto anche enormi nuove possibilità. Per esempio, mettono in discussione i grandi monopoli della discografia e della tutela del diritto d’autore, e offrono ai giovani artisti di talento, che hanno veramente qualcosa da dire, possibilità un tempo inimmaginabili. Ma questo non vuol dire che le canzoni debbano essere proposte da adolescenti, o da finti adolescenti, a un pubblico formato esclusivamente da ragazzi e da adolescenti, giacché solo loro ascoltano qualcosa, magari pagando pochi centesimi in streaming. Certo, i ragazzi formano il mercato odierno della musica pop, ma loro sono anche i “consumatori” più sprovveduti e inconsapevoli, perciò gli si può rifilare qualsiasi “merda d’artista”, purché sia orecchiabile, semplice, banale, conosciuta da tutti i loro coetanei. L’opera, inoltre, giacché si rivolge ai cosiddetti “nativi digitali”, deve essere, e immancabilmente è, accompagnata da video musicale, magari appiccicato artificialmente al resto. In 4


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tal modo, autori ed editori inseguono i consumatori intercettandoli a un livello sempre più basso, e inchiodandoli a quel livello, giacché il sistema, purtroppo, funziona efficacemente come agenzia formativa, o deformativa, ma per questa china si giungerà presto al vuoto assoluto. Ebbene, crediamo che, per esempio, dopo decenni di lotte per la liberazione della donna, a cui corrisponde una reale messa in crisi dell’uomo, e dopo centinaia e centinaia di “femminicidi” e stupri perpetrati in pieno giorno, qualcosa di nuovo da dire in tema d’amore ci sia. Crediamo anche che in un mondo dominato dalle macchine, dai robot, dall’intelligenza artificiale, dalla tecno-scienza, qualcosa di nuovo da dire ci sia pure sui temi di come si entra nel mondo, del lavoro che manca o che uccide, del senso dello stare al mondo, di come si esce dal mondo. Crediamo altresì che Big data, sofisticati algoritmi, intelligenza artificiale, cambiamenti della stessa epistemologia, possibilità di produrre automaticamente musica, articoli, testi di legge, poesie qualcosa di nuovo dovrebbero permettere di dire con riferimento ai temi della libertà, della verità, della creatività, della democrazia, del nichilismo che avvolge i giovani e li strangola. Non stiamo dicendo che una canzone dovrebbe affrontare di petto, brutalmente, uno di questi argomenti e trattarlo come lo affronterebbe un saggio critico. No, stiamo dicendo che non si può sostenere che non c’è niente di nuovo da dire, né liquidare il problema dicendo ingenuamente “faccio, semplicemente, come sento” o, strumentalmente e spregiudicatamente, “suono la musica che piace al cliente”. In questo senso, dubitiamo che il successo enorme di opere recenti come Soldi di Mahmood e God Control di Madonna significhi che si tratta di due capolavori. Ecco, ci chiediamo: si possono scrivere canzoni popolari belle, in quanto sapiente intreccio tra testo, musica e interpretazione, che siano all’altezza delle sfide del nostro tempo, e in linea con la migliore tradizione italiana? Enunciamo di seguito alcune coordinate che potrebbero disegnare uno spazio all’interno del quale muoversi con sufficiente libertà, dando una risposta affermativa alla nostra domanda-provocazione. 1) Ci piacciono le canzoni che narrano una storia, non necessariamente tratta dalla vita reale, ma collegata con la corposità della vita vissuta. I dati della vita reale dovrebbero essere sempre rielaborati e portati su un piano di trasfigurazione della realtà. La leggerezza della musica popolare potrebbe essere intesa nel senso delle Lezioni americane di Italo Calvino o nel senso del lepton di Callimaco. 2) Una canzone non dovrebbe essere destinata al banale intrattenimento, né essere occasione di sfogo delle proprie frustrazioni senza alcuna mediazione, né il luogo della volgarità gratuita. 5


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3) Una canzone può presentare ambiguità, reticenze ed elementi di mistero, ma non dovrebbe essere opaca come una notte senza luna. Una canzone non è né un saggio critico, né un trattato di teologia o di sociologia. Perciò teorizzazioni, astrazioni, generalizzazioni dovrebbero essere usate con parsimonia. 4) La musica non può essere un semplice sottofondo indipendente che accompagna il testo, e il testo non può essere semplice lista di parole in libertà. Si dovrebbe tenere conto che il testo di una canzone è un prodotto della scrittura e deve seguire le regole codificate e usate in letteratura. 5) Anafora, asindeto, metafora, allitterazione, rima, anacoluto, enjambement, climax e altre figure retoriche non dovrebbero essere usate a caso ma consapevolmente, e dovrebbero essere funzionali all’economia della storia che il testo vuole narrare e delle emozioni che l’opera intende suscitare. 6) L’eventuale video musicale non dovrebbe essere semplice illustrazione del testo, come se l’ascoltatore fosse deficiente, né brutale e scandalosa esposizione di corpi, oggetti di lusso ecc., ma, in quanto quarta componente o dimensione artistica, dovrebbe sposarsi armonicamente con testo, musica e interpretazione – il video non semplifica il lavoro degli artisti, ma rende più complessa l’opera. 7) Ci piacciono le canzoni in cui si usano suoni, strumenti, motivi della tradizione mediterranea, come quelle di alcuni autori napoletani e quelle dell’ultimo De Andrè. 8) Infine, non si dovrebbe mai dimenticare che una canzone deve contemporaneamente commuovere, emozionare, indurre a pensare, appiccicandosi addosso all’ascoltatore.

Per passare dalla provocazione alla proposta, in questo opuscolo presentiamo dieci testi scritti espressamente per creare altrettante canzoni secondo le linee guida delineate sopra, su alcuni temi scottanti del nostro tempo: la difficoltà che ragazzi e adolescenti incontrano nel dare un senso alla vita e divenire adulti; la crisi del lavoro e il lavoro che uccide; la conflittualità che si registra nei rapporti uomo-donna e la guerra tra i sessi; la questione della libertà personale nel mondo digitale e virtuale. Agli artisti interessati a raccogliere la sfida proponiamo la seguente lettera di intenti, nell’ottica di formare un team polispecialistico di progetto capace di creare opere originali, possibilmente memorabili. 6


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Lettera di intenti Noi sottoscritti Tommaso Cariati, nato a Longobucco il 13/2/1959, residente a Castiglione Cosentino, via Serre 10, C.F. , E-mail tommasocariati@yahoo.it, telefono , di seguito denominato “autore del testo”; e , nato a il , residente a in via , C.F. , E-mail , telefono , di seguito denominato “compositore”; Concordiamo, nella presente “lettera di intenti”, quanto segue: 1. Ci impegniamo, ognuno per la propria competenza specifica, a creare una serie di canzoni secondo uno stile originale e inconfondibile da proporre a qualche interprete affinché le inserisca nel proprio repertorio*; 2. La serie di opere comincia con un primo esperimento per il quale l’autore del testo fornisce il componimento stampato di seguito in allegato alla presente della quale fa parte integrante; 3. Il testo messo a disposizione dall’autore del testo appartiene al suo autore e le parti si impegnano a mantenerlo assolutamente segreto fino a quando l’opera non sarà dichiarata riuscita, lo stesso vale per le parti di musica, accordi, arrangiamenti prodotti durante la lavorazione; 4. Il compositore inventerà la melodia più adatta possibile per creare un’opera d’arte originale e inconfondibile; 5. Eventuali cambiamenti, tagli o aggiunte al testo per esigenze artistiche dovranno essere concordati con l’autore del testo, il quale potrà acconsentire senza stravolgere il testo o rifiutare le modifiche; 6. Il testo non potrà essere usato per scopi diversi da quello di cui alla presente lettera, se non in seguito ad accordi scritti ad hoc con il relativo autore; 7. Fino a quando le parti interessate non si riterranno tutte pienamente soddisfatte dell’opera che si va realizzando, il lavoro si dovrà ritenere incompiuto e le singole parti sono libere di rinunciare al completamento, senza che nessuno possa reclamare o pretendere alcunché; 8. Quando l’opera sarà completa, approvata da tutte le parti e pronta per i lancio, verrà registrata su SOUNDREEF, piattaforma Web di protezione dei diritti d’autore, dichiarando contestualmente la quota di diritti del 50% (cinquanta percento) spettante all’autore del testo e la 7


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quota del 50% (cinquanta percento) spettante al compositore; in mancanza della registrazione dell’opera su SOUNDREEF nessuno sfruttamento commerciale dell’opera sarà possibile; 9. Ci impegniamo a comportarci, per quanto concordato nella presente “lettera”, “secondo buona fede”. Castiglione Cosentino, ………… Autore del testo: Tommaso Cariati Compositore:…………………… *Se all’avvio del progetto sono noti interprete e altri artisti, il “patto” sarà esteso a tutti i soggetti coinvolti e se ne terrà debito conto nei punti successivi, specialmente nel punto 8. Testo della canzone “………” di Tommaso Cariati ………. ……….

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Il sonno non ti prende Valle la Fontana, 25 maggio 2019

Le lenzuola che sanno di lavanda e le morbide coperte non ti bastano, le bambole, polverose, le ho riposte: ahi, mamma, che dolore muto! Desertifica i pensieri e sbarra i varchi. Ti rivolti, ti rigiri, e ti rivolti, ma il sonno non ti prende. In tre vi affaccendate intorno: una, l’egoismo la divora e non sa più dove approdare; l’altro sognava la libertà, ahi, libertà! il terzo, tra l’uno e l’altra, cerca l’amo che lo farà abboccare. Ti rivolti, ti rigiri, e ti rivolti, ma il sonno non ti prende; ma il giorno non ti alzi. La notte è lunga e spessa come un masso, che non arrivi a frantumare. I pensieri e i sogni franti sono il garbuglio che ti impiglia. Ti rivolti, ti rigiri, e ti rivolti, ma il sonno non ti prende; e quando il sole è su non t’alzi. Youtube, Twitter, Netflix non mi bastano, no, non bastano a colmare la voragine di brividi che mi disperde, fumo dei camini al vento, realtà virtuale. 9


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Ti giri, ti rivolti, e ti rigiri, ma il sonno non ti prende, perché la vita appare una promessa falsa. L’ultima cicala par che non s’è spenta, emette suoni che singhiozzano; i grilli ti stridono nell’anima rumori di fabbrica distante. Il sonno la notte non mi prende, il giorno non mi alzo; niente trucco, niente fard, né mascara, mi rivolto, mi rigiro, e mi rivolto, ma non m’alzo, no, non mi alzo. Le risa dei vicini ti trapassano come questi muri che non hanno corpo: ahi, mamma, il calice quanto è amaro! Mi volto, e mi rigiro, e il sonno poi mi prende; e verrà l’aurora, e l’alba, e il giorno; giorno radioso splende, e inonda prati, e città, e feconda, dissipando i pensieri parassiti; il giorno che dilaga a dismisura, e pare che le promesse siano esaudite, sììì, esaudite, esaudite.

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Che cos’è codesto amore? Valle la Fontana, 9 giugno 2019, domenica di Pentecoste

Onde minime si infrangono alla deriva, il sole gioca con l’acqua inerte sulla superficie blu striata di chiaro e produce un brillio abbagliante; la terrazza è un’altana immensa nell’aria immota, sulla città del ponente: un piazzale corsaro accoglie la brigata festante. Che cos’è codesto amore? Una forza, una potenza, un fuoco che mi brucia; una fiamma iridescente che brilla e ti divora, ma non ti annichilisce. Lontano, lontano, ma prossime, le isole, un cono, una sella, una voragine, emergono fiere, a portata di mano. Il ruscello canta la sua melodia eterna, un colpo di sciabola secco, preciso: il ramo dell’acero, ontano o frassino è reciso, e in quattro e quattr’otto l’opera è fatta; uno sguardo, un sorriso, e mi invade un languore confuso. Una forza, una potenza, un fuoco che mi brucia; una fiamma iridescente che brilla e ti divora, ma non ti annichilisce, un incendio che sfavilla in mille lingue. I camini ora fumano a tutto gas, c’è nell’aria il profumo di caldarroste. Insinuo le mie mani nelle tasche del tuo giaccone fucsia imbottito di piume, guarnito di pelliccia, caldo, caldo. 11


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Volentieri entrerei, oh quanto volentieri, nel tuo giaccone enorme, mentre mi appendo al tuo braccio saldo. Mi prende nell’intimo, dalla carotide all’alluce, un’onda magnetica, un tremito inaudito, le cellule, le molecole mie ti han riconosciuto. Una forza, una potenza, un fuoco che mi brucia e mi rigenera; una fiamma iridescente che brilla e ti divora, ma non ti annichilisce, senza cenere, un incendio che sfavilla in mille lingue, arde, ti avvolge, e ti rigenera. Ho scalato monti impervi, ho abbattuto barriere insormontabili, ho dormito anche all’addiaccio; ho vegliato e digiunato, ho attraversato il mio deserto per arrivare a te, amore mio, per arrivare a te, per essere due con te. Che cos’è codesto amore? Una forza, una potenza, un fuoco che mi brucia; una fiamma iridescente che brilla e ti divora, e par che ti annichilisce, un incendio che sfavilla in mille lingue. Ho scoperto realtà impensabili nell’impatto mio con te. Uno specchio io per te, ahi, la vita che cos’è? Prima riunisce e poi divide, la volontà vacilla, ahi, la vita che cos’è? Dove sei, via da me? sono una scheggia di te, lacerata, strappata da me. Embrione d’una sola carne, amputato da me, ma la vita che cos’è?

Una forza, una potenza, un fuoco che mi brucia; una fiamma iridescente che brilla e ti divora, e par che ti annichilisce, ti riduce in cenere, 12


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un incendio che sfavilla in mille lingue, arde, ti avvolge, e par che ti frantuma. L’amore che cos’è? E l’uomo, dimmi, chi è? Una vibrazione: éros, agàpe, philìa, storghè, maschio e femmina li creò. Una sola carne, uno più uno tre. Tu sei in me, io in te, noi in un fuoco ultralucente, una sola fiamma, in me come in te. Una forza, una potenza, un fuoco che mi brucia e mi rigenera; una fiamma iridescente che brilla e ti divora, ma non ti annichilisce, non fa cenere, un incendio che sfavilla in mille lingue, arde, ti avvolge, e ti rigenera; un incendio che sfavilla in miriadi di lingue, arde, avvolge, genera e rigenera; sì, ci penetra, avvolge, vivifica e rigenera.

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Conifere e thuje Rende, 10 giugno 2019

Giambenigno ha costruito sul colle la casa. Vendette l’auto perché la strada era stretta, viaggiò vent’anni con l’asino, in groppa; la gente diceva: «Vergogna, nel XXI secolo, crollano i muri, ma si erigono barriere di loppa, con gli arroganti, il comune è impotente». Potate il filare di conifere e thuje; troppo alte, troppo vasta è la chioma, oscillano al vento come nel mare grosso un natante, c’è pericolo crolli e rischio d’incendi. Strada stretta, limite storto, Giambenigno tutto sopporta, ma quando gli dicono: «Prendiamo la terra, faremo una piazza»; e gli scrivono raccomandate: «contestiamo, ingiungiamo, imponiamo …». Giambenigno affila le lame, tira fuori zappe e picconi, dà la tempra alle asce, dissotterra i cannoni, cerca alleanze, dispone le truppe, taglia, brucia, incendia e il nemico affuma. Potate il filare di conifere e thuje; troppo alte, troppo vasta è la chioma, oscillano al vento come nel mare grosso un natante, c’è pericolo crolli e rischio d’incendi.

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Il rogo deflagra, guizzando da un albero all’altro, avvolge le chiome e le ingoia a catena, in un solo boccone, sopraffatti gli idranti. Le fiamme arrivano al cielo, il crepitio ai colli lontani, nel fumo e nel fuoco l’uomo è impotente, la nube sale densa più alta del cielo. Fuliggine e cenere sulle auto, sui tetti, odore acre di pece e di legno combusto, si squarcia la notte con le lingue fiammanti. Potate il filare di thuje e conifere; troppo alte, troppo vasta è la chioma, oscillano al vento come nel mare grosso un natante, c’è pericolo crolli e rischio d’incendi. Alla fine, monconi infissi nel suolo di fusti, e cenere, tizzoni fumanti come povere croci; Giambattista fu tratto in arresto. Ammanettato e processato, ogni ruga gridava vendetta: bruciando sterpaglia, il fuoco è partito e una vampa veemente si è levata più alta nel cielo, maestosa, inaudita, imponente. Potate il filare di thuje e conifere; troppo alte, troppo vasta è la chioma, oscillano al vento come nel mare grosso un natante, c’è pericolo crolli e rischio d’incendi. Il fuoco cammina, sospinto dal vento, se elude il controllo, salta gli ostacoli, brucia ogni cosa, erbacce, rovi, sterpaglia, perfino le pietre; aggredì i cipressi e le thuje, e fu spettacolo grande. Il muro verde era enorme, a ridosso del limes. Non c’è legge che tenga per chi è fonte di legge, ma c’è una legge più grande: fuoco vivo, rosso, argento, arancio, ferro e fiamme hanno fatto giustizia. Giambenigno fu tratto in arresto, processato e prosciolto perché troppo lesto. 15


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Potate il filare di conifere e thuje; troppo alte, troppo vasta è la chioma, oscillano al vento come nel mare grosso un natante, c’è pericolo crolli e rischio d’incendi. Giambenigno fu tratto in arresto, processato e prosciolto perché troppo giusto, prosciolto perché troppo, troppo onesto, arrestato e prosciolto perché il fatto non sussiste.

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Diritto al diploma Villapiana Lido, 15 giugno 2019

Tu, prof, «Studia, vieni in orario» lo dici a tua figlia. Noi clicchiamo qualche sito Web, noi veniamo se ne abbiamo voglia. Se mi gira, vengo, se no, sparisco e vi sommergo di certificati. Voi il tre non lo date a nessuno, se no il Tar alla fine vi chiede: «Col vostro Ptof ci andate al cesso? Che cosa avete fatto per motivare la classe?». Diritto allo studio, o diritto al diploma? È lana canina, o carina, per me pari sono. Non vedete, prof, la faccia che fate? Un tatuaggio sull’òmero destro, un tatoo sulla natica opposta: cobra, scorpione, frattale o drago. Una farfalla: tatuatevi la farfalla. Usate di più il corpo, fatelo più spesso. Diritto allo studio, o diritto al diploma? È lana canina, o caprina, per me pari sono. Lascia perdere, prof, libri e cultura, c’è la classe aumentata. L’intelligenza artificiale vi rende inutili, noi siamo la cultura 4.0; 17


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noi siamo quelli che vanno coi jeans stracciati; oggi ci sono altri linguaggi e saperi. Non vedete che siete obsoleti, arretrati? Non vedete che siete sordi e guerci? Diritto allo studio, o diritto al diploma? Ăˆ lana carina, o caprina, per me pari sono. Hanno ucciso il padre, la madre, anche il maestro; prof, sono trapassati Marx, Freud, Croce, zio Socrate con Talete; la comandiamo noi, al circo equestre. Hanno messo al centro una potenza di I con esponente tre, e al posto di Dio la Rete. La fantasia veramente impera: hanno ucciso il maestro e il tempio è diventato fiera. Diritto allo studio, o diritto al diploma? Ăˆ lana canina, o caprina, per me pari sono. Ci sono giostre, domatori di elefanti e incantatori di serpenti; danze, canti e gare di galli; tutto gratis; venite; vedete; fate un giro; non costa nulla; spettacolo garantito; danze, canti e gare di galli; spettacolo infinito, inaudito; canti, danze e gare di galli; danze, canti e gare di galli.

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Vengo, sì, vengo Valle la Fontana, 25 giugno 2019

Alle nozze i boschi erano verdi, le montagne indossavano il manto giallo delle ginestre. Disse l’onorevole Titomaliò: «Compagne dell’uomo sono triboli e gioie; e maestre di vita: attività, lavoro, opere magne. C’è il concorso da bidello; qualche trimestre da operaio con umiltà nei cantieri edìli, prima che nasca Geppino ti fornirò i miei ausili». Vieni, è grave, subito, vieni! Vengo? Come, dove vengo, misera me?

Colmi di speranza, eravamo giovani, belli, pieni di vita, danzando e cantando lievi, due giunchi, due cigni, due fringuelli, eravamo l’allegria del contado e delle pievi, con gli amici, ci saziavano gli stornelli: ignoravamo l’arrivo dei ghiacci e delle nevi. Che dirò un giorno a tuo figlio Geppino quando chiederà e sarà arduo il suo cammino? Vieni, è grave, subito, vieni! Vengo? Come, dove vengo, misera me? Dormo o son sveglia, sempre ti aspetto. Il lavoro, l’abbiamo, non c’è di che! Gli studi inutili, la laurea è riposta nel cassetto, fare il muratore non era certo granché, ma eravamo felici, lo spirito era corretto. Che farò ora? Sconsolata e afflitta, ohimè! Il caldo africano, ohi, mi cuoce il cervello, quale abito ti offro per essere sempre bello?

Vieni, è grave, subito, vieni! Vengo? Dove vengo, misera me? 19


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Mi straccio le vesti, mi graffio e dispero; sanguino, piango, urlo: aiutooo, aiutoooo!; mi accascio al suolo; non può essere vero! Telefono, sbaglio; ritento, ma è muto; il mondo, chi se ne infischia, corre, fiero. Ora squilla; mi aggrappo: l’han saputo; consòlano: «Ti diciamo noi qual è il sentiero». Le gambe son molli, vuote, prive di forza, la morsa, ahi, stringe, il delirio si rafforza. Vieni, è grave, subito, vieni! Vengo? Come, dove vengo, misera me? Tuo padre te lo diceva: «Se va stretta, la camicia, la prendo e la straccio». Ma tu, più docile, non gli hai dato retta, amor mio, ti sei piegato a un mestieraccio. La nostra vita era bella, se non perfetta, andavi dritto, non temevi il legaccio. Tua madre, per forza, voleva farti avvocato darà sempre a me la colpa di averti rovinato. Vieni, è grave, subito, vieni! Vengo? Come vengo, misera me? Coltivare e custodire, creare e divenire, o sopportare, impazzire e poi morire? Libertà, energheia, umanità è il lavoro, ma per vivere o per morire, ohi, morire morire, morire, soffrire e poi morire schiacciato da un carrello elevatore? Per vivere, dimmi, o per moriiireee? Vieni, è grave, subito, vieni! Vengo? Come vengo, misera me? Vengo, sì, vengo, amore mio: vengo da te. Dormo o son sveglia, sempre ti aspetto. Mi straccio le vesti, mi graffio e dispero. Vengo, sì, vengo sempre, amore mio: vengo da te.

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Coccinella, vieni con me Valle la Fontana, 3 luglio 2019, san Tommaso Apostolo

Tutti mi chiamavano Coccinella; il pelo era fulvo, la pelle rosata, di lentiggini ne avevo una selva; quando uno mi guardava divenivo rossa come il sole al tramonto. Eravamo spensierati e pacifici, la vita era reale come le pietre, tra le capanne d’intreccio di assi e ginestre. Tra Piatto Mordillo, Brolio e Timpone c’erano sempre segnali di fumo. Si raccoglieva la legna, si pasceva la capra e l’agnello, si curava l’orto, il seminato e la vigna; si andava al fiume a lavare il vestiario di ginestre, canapa e lino, al Cosciale silente, al Ragano oscuro, pieno di pozze, massi e gorghi, catturando rane, anguille e granchi, a bagnarsi d’estate dove l’acqua s’ingorga. «Coccinella, vieni con me». Con la bocca dissi di no, ma con gli occhi gli dissi di sì, lui comprese e mi prese con sé. Lasciai l’órcio sotto il getto guizzante, quel giorno il vaso non fece ritorno. Saltai, felice, in groppa al cavallo catturato brado, dal branco, al piano, afferrata stretta per il polso sinistro: partì svelto su per l’erta del Grande Masso, e presto sparimmo al di là della Sella. Mi serravo, muta: non potevo pensare; sentivo nel corpo il calore di lui e le vibrazioni, nelle asperità, dell’animale: 21


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il languore saliva nel mio corpo sodo. Dai tornanti sbirciavo l’Ingorgo Grande diventare più vasto e più bello, un tappeto immenso di fior di cicoria, turchino. «Coccinella, vieni con me». Con la bocca dissi di no, ma con gli occhi gli dissi di sì, lui comprese e mi prese con sé. Restammo sui monti, Coccinella e Scoiattolo Senza Paura, e non vedemmo più i segnali di fumo. Ci nutrimmo di erbe, tuberi e bacche, vitalbe e fittoni di barba di becco violetta, corbezzoli, pomi agresti e tarassaco. Catturammo il ghiro con due pietre piatte, pezzetti di legno e anello di jina; pernice con archetto, legnetto, filo di juta e alberello piegato ad arco. Usavo e affilavo gli arnesi, imparavo tutto, fronteggiare serpenti e bestie feroci. Trenta giorni restammo sul Monte, poi giù, e fu festa grande al Timpone. In tre anni feci tre figli, il nostro era il fuoco più bello del campo. «Coccinella, vieni con me». Con la bocca dissi di no, ma con gli occhi gli dissi di sì, lui comprese e mi prese con sé. Un giorno sullo specchio piatto turchino, dall’Ingorgo Grande apparvero genti, su tavole intrecciate con tronchi, come le nostre capanne, ma capovolte.

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Non temevano quell’immensità fluttuante che noi evitavamo accuratamente. Disboscano, abbattono: costruirono la città scacciando cavalli, aquile e fringuelli. Scoiattolo Senza Paura lasciò le capanne, corse a vedere e servire laggiù. Le salite al cozzo si fecero rare, sempre più rare. Tutti dicevano: «Coccinella, fatti coraggio. Sei giovane, sei ancora bella, armati, parti e lava l’oltraggio». Ne uccisi tre, con la mia lama affilata, ne ferii quattro e fuggii come lepre dei monti, ma ho perduto la pace tra le capanne, al Timpone, al Brolio e al Piatto Mordillo, hanno distrutto la pace tra le capanne.

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Che abbiamo combinato Valle la Fontana, 1 agosto 2019

Da quando ho avuto l’età volevo un figlio; non so perché. Come il cioccolato: è la voglia, volevo il baby, il pupo, il mio bebè. Nuotavo in un campo di forze, in un brodo sinergico e denso: “gioia mia, mio tesoro, estensione di me”. Tutto il mio essere voleva così: con veemenza anche Eva volle, quando ebbe l’età, per forza, alla natura, volentieri, disse di sì.

Mamma mia, che abbiamo fatto! Dio mio, che ho combinato! Madre di Dio, che abbiamo fatto! Gesù, Gesù, che ho combinato! Quando incontrai Rocco: “Ecco l’uomo”. Premuroso e dolce, bello e guasco: fu amore a prima vista; poi le nozze: «Auguri, auguri, auguri, e figli maschi!». “Dio, come era bello il mio bebè!”. Dopo un anno, e dopo due: niente. Il luminare disse: «Non c’è speranza. A meno che…». Mi fissò, sorrise, intelligente. Non pensai ad altro, solo a quell’appiglio: “Io nulla, zero, meno di niente?”. “A ogni costo avrei avuto un figlio”. Mamma mia, che ho combinato! Dio mio, che abbiamo fatto! Madre di Dio, che hai combinato! Gesù, Gesù, che abbiamo fatto! 24


Canzoni dell’aurora

«Rocco, che c’è? Hai l’aria strana. Taci, pensi, non parli dall’altro ieri. Un pupo non si fabbrica in una settimana! Sei freddo, un illuso; aspetti e speri? Aspettare, aspettare: sempre aspettiamo: il tempo vola, io voglio darti un figlio. Niente è impossibile, se lo vogliamo. Che c’è? Tu non vuoi avere un figlio! Pensa alla storia di Sara ed Abramo. Tu non vuoi che io abbia un figlio!». Mamma mia, che hai fatto! Dio mio, che ho combinato! Madre di Dio, che abbiamo fatto! Gesù, Gesù, che hai combinato! #Delirium, #Power trip #Escalation of legalization, #Figli e soldi #Femminicidio, #Maschicidio, #Codice rosso #Tecno-scienza, #Onnipotenza #Revenge porn, #Porn retaliation #Sex war, #Sex war, #Sex war, #Sex war #Morti e feriti, #Feriti e morti #Betrayal of love, #Treachery, #Treachery #Don’t touch woman, #Please, touch women #Data bank, #Sperm bank, #Ovum bank #Embryo bank, #Bank, #Bank

Mamma mia, che abbiamo fatto! Dio mio, che ho combinato! Madre di Dio, che abbiamo fatto! Gesù, Gesù, che ho combinato! Io ebbi il figlio, obtorto collo! Ma Rocco era perso, sempre più perso. «Dove vai la sera?». «Non sono affari tuoi!». «Tanto so tutto!». «Non t’azzardare a spiare». «Vai da mammina? o dalla sgualdrina?». «Tu sei pazza, pazza, pazza!». «Pazza, io? Pagherai con pepe e sale». «Io ti sgozzo, come un capretto». 25


Tommaso Cariati

«Vattene, vattene…Ti denuncio». «Sei una serpe!». «Pagherai tutto. Cornuto e mazziato!». «Sgualdrina! Di chi è il figlio?». «Non toccarmi, vattene!». Lui sbatte la porta, e via, via di corsa. «Pronto, Rita? Se n’è andato». «Ahahahaahh». «Ahahahaahh…». Mamma mia, che ho combinato! Dio mio, che abbiamo fatto! Madre di Dio, che hai combinato! Gesù, Gesù, che abbiamo fatto! Ritorna, rovista: rasoio, Proraso, Mennen. Sente… ridere, forse deridere. Chi è? Chi non è? Si piazza davanti. È furente. «Cornuto e mazziato?». “Il coltello del pane!?”. L’afferra. «No, mio Dio, nooo!». «Pronto? pronto?». Due colpi veementi e sono in un lago di sangue. Due mesi di cure, eccomi qua… sola e incurabile. Lui, fuori di sé, con Kevin, si gettò sotto il tram.

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Canzoni dell’aurora

La notte era il giorno Valle la Fontana, 2017-3 agosto 2019

Il treno lumaca solcava la notte, le montagne ai lati sfilavano lente, le persone erano stanche, stracotte: Tra noi la scintilla scoccò come niente, era agosto e le stoppie roventi. La notte era il giorno, il giorno, la notte. L’alba e il tramonto facevano a botte.

La città era antica, splendida e vasta, subito ci lanciammo alla conquista. Ah, che stagione! Che traccia è rimasta? Calcammo ogni via, percorremmo ogni pista. Il sodalizio fu tacito, allegro, corrisposto. La notte era il giorno, il giorno, la notte. L’alba e il tramonto facevano a botte. Tu presente, io leggera, sospesa per aria, lieve come piuma, cirro, nuvola d’estate. Tu presente, io spiazzata, deficitaria, Dimentica di me, le ore passavano beate. Gli amici ci guardavano meravigliati. La notte era il giorno, il giorno, la notte. L’alba e il tramonto facevano a botte. 27


Tommaso Cariati

La passione mi prese, in crescendo, e fu cieca; se eri via, un tormento: mi afferrava la smania, un istante: sprofondavo in una tragedia greca. Dove ho sbagliato, dimmi? Il dubbio mi dilania. Il tempo è passato ma dentro c’è zizzania. La notte era il giorno, il giorno, la notte. L’alba e il tramonto facevano a botte. Ah, che stagione! Che traccia è rimasta? Sei sparito come un fulmine che passa, io son rimasta, come saltatore a mezz’asta, abbandonata, con l’imbrogliata matassa. Ah, che stagione! Che traccia è rimasta? La notte era il giorno, il giorno, la notte. L’alba e il tramonto facevano a botte. Lecco le ferite, ma non vengo fuori dalla melassa. Spalmo unguenti, ma non si sbroglia la matassa. Curo le piaghe, ma resto invischiata in questa melassa. Spalmo unguenti, ma ho perso il bandolo della matassa.

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Canzoni dell’aurora

I sentieri dell’agnello Valle la Fontana, 28 febbraio 2016-3 agosto 2019

Giovanni è un guerriero e un eroe, è stato arruolato con l’inganno, e combatte, senza tregua, il nemico geniale, maestro dell’invisibile, in un territorio sconosciuto e ostile. Non pensa neppure di disertare, perché la guerra avvolge la Terra, e coincide perfettamente con la vita. Ogni tanto gli concedono l’ora d’aria. Con la scusa dell’asparago o del fungo segui, lento, i sentieri dell’agnello. Il vento fa che gli alberi su e giù si sbracciano, e paiono amici che salutano. Giovanni, giorno e notte sei aggiogato. Onde elettromagnetiche e flussi di bit ti inseguono dovunque: scrutano, auscultano: in bagno, in camera da letto, perfino nei sogni. Il nemico è davvero geniale: ha scavato gallerie come talpa, si è insinuato nelle case, ha conquistato il cuore dei fanciulli, delle donne, e si rimpinza alle tavole, come i Proci. Con la scusa dell’asparago o del fungo segui, lento, i sentieri dell’agnello. Il vento fa che gli alberi su e giù si sbracciano, e paiono amici che salutano. Giovanni, ti raccoglievi a casa un tempo; non c’è pace nei confini, ora: troppi parassiti, e si combattono anche guerre intestine. Ti stracci le vesti, o strappi i capelli: arrivano milioni e milioni di messaggi, 29


Tommaso Cariati

devi trovare la notizia, ma non c’è: i messaggi, le leggi, la notizia, la poesia sono generati dalle macchine, dai bot. Con la scusa dell’asparago o del fungo segui, lento, i sentieri dell’agnello. Il vento fa che gli alberi su e giù si sbracciano, e paiono amici che salutano. Giovanni, hai fame e sete di giustizia, ma rischi di morire d’inedia: il fornaio non sfama più la fame giusta, insegue i desideri stravaganti. Il contadino non lavora più la terra: commercializza il pomodoro nero, produce insalata idroponica, spia il campo con gps, robot, drone e Rete.

Con la scusa dell’asparago o del fungo segui, lento, i sentieri dell’agnello. Il vento fa che gli alberi su e giù si sbracciano, e paiono amici che salutano. Giovanni, la pace ormai è dell’uomo inferiore: l’essere superiore sempre lotta, e vince. Non cercare per queste vie il pastore che porta addosso l’odore del gregge. Le pecore conoscono la sua voce ed egli le conosce una ad una? No, spia il gregge in giacca e cravatta, con mouse, tastiera, gps e chip in capsula, sparato sotto il vello con la siringa. Con la scusa dell’asparago o del fungo segui, lento, i sentieri dell’agnello. Il vento fa che gli alberi su e giù si sbracciano, e paiono amici che salutano. Non cercare per queste vie il pastore che porta addosso l’odore del gregge. Il vento fa che gli alberi su e giù si sbracciano, e paiono amici che salutano, salutano, salutano. 30


Canzoni dell’aurora

Sei magnetica Valle la Fontana, 2017-3 agosto 2019

Tu mi guardi, sorrido … io ti guardo; due, tre volte, poi fermi e fissi. La corriera, zeppa, arranca verso il terminus. Ti avvicini, mi soffi: «Sei magnetica». La testa ronza: “Magnetica!?, magnetica!?”. Ti avvicini, mi soffi: «Sei magnetica». Sento un flusso: son dilacerate le paratie. Un oceano mi travolge nei recessi. Mi prendi presto col cavallo meccanico, sfrecciando all’alba nei viali deserti, lungo i filari di platani, verso mete sconosciute. La velocità mi da’ un po’ il panico, ma avvinghiata a te nel vento inalo l’assoluto. Ti avvicini, mi soffi: «Sei magnetica». Sento un flusso: son dilacerate le paratie. Un oceano mi travolge nei recessi. Sveglia all’aurora, alla sera piantiamo il campo, in riva al lago, o lungo il ruscello gorgogliante. Lungi da noi le mode, le cure del mondo. Il tramonto toglie il fiato, come il lampo, mentre il fuoco cuoce la cena sfrigolante. Ti avvicini, mi soffi: «Sei magnetica». Sento un flusso: son dilacerate le paratie. Un oceano mi travolge nei recessi. La vita ha brama di sé, e vita crea, non chiede il permesso, entra e basta. Io l’accolgo abbandonata alla marea,

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Tommaso Cariati

in sintonia con il cosmo e l’assoluto, ogni cellula di me grida, grida entusiasta. Ti avvicini, mi soffi: «Sei magnetica». Sento un flusso: son dilacerate le paratie. Un oceano mi travolge nei recessi.

Mi dici: «Cara, io sono come il vento, pur se, da lontano, il profumo morde i sensi, quando le foglie secche vorticano senza sosta, continuerò a cercare, non mi faccio strumento: io amo la libertà degli spazi immensi». Ti avvicini, mi soffi: «Sei magnetica». Sento un flusso: son dilacerate le paratie. Un oceano mi travolge nei recessi.

Fulmine a ciel sereno, te ne vai, sbattendo la mia porta, dici: «Basta». In preda all’angoscia, nel cuore della notte, attraverso a piedi la città infìda, immensa, di mille trasalimenti e brividi faccio una catasta. Mi sbuccio le nocche e busso, ma la tua porta resiste, c’è silenzio compatto e solitudine densa. Ti avvicini, mi soffi: «Sei magnetica». Sento un flusso: son dilacerate le paratie. Un oceano mi travolge nei recessi. Tu vivi nel vento e negli spazi vasti; io sogno e spero, perdo sonno e appetito. Tu pensi per te, battendo sempre sugli stessi tasti, io lavo abiti sdruciti, cucio, scucio, forse ho scolpito. Percorro infinite volte e abito spazi modesti, ora che sei canuto, dimmi, il vento ti basta? Ti avvicini, mi soffi: «Sei magnetica». Sento un flusso: son dilacerate le paratie. Un oceano mi travolge nei recessi. 32


Canzoni dell’aurora

Tu mi guardi, sorrido … io ti guardo; due, tre volte, poi fermi e fissi. La corriera zeppa arranca verso il terminus. Ti avvicini, mi soffi: «Sei magnetica». Tu hai vissuto nel vento e negli spazi vasti; ora che sei canuto, dimmi, il vento ti basta? Ora che sei canuto, dimmi se il vento ti basta.

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Tommaso Cariati

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Indice

Note in guisa di manifesto

p.

3

Lettera di intenti

7

Il sonno non ti prende

9

Che cos’è codesto amore?

11

Conifere e thuje

14

Diritto al diploma

17

Vengo, sì, vengo

19

Coccinella, vieni con me

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Che abbiamo combinato

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La notte era il giorno

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I sentieri dell’agnello

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Sei magnetica

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Pubblicazioni Laborgonolico 1. Interpolazione, T. Cariati, 1992 2. LeptalĂŠe, P. Caminiti, 1997 3. Minimi termini, T. Cariati, 1997 4. Auscultazione, A. Cariati, 1997 5. Trasparenze, T. Cariati, 1999 6. (poche, piccole) Prose, P. Caminiti, 2000 7. Classici, qualche traduzione, P. Caminiti, 2001 8. Nevica, Joe, T. Cariati, 2002 9. Nevica, Joe, (II ed.), T. Cariati, 2004 10. Patru e figghiu, T. Cariati, 2006 11. LeptalĂŠe (poesie e traduzioni), P. Caminiti, 2014


Edizioni Laborgonolico. Tiratura limitatissima. Fuori commercio. Castiglione Cosentino, agosto 2019. Tutti i diritti sono riservati: riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo, e uso, per qualsiasi scopo, se non espressamente autorizzati dall’autore, sono vietati.


In questo opuscolo sono stati raccolti dieci testi espressamente concepiti per realizzare altrettante canzoni su alcuni temi scottanti del nostro tempo postmoderno o post-umano. I componimenti sono preceduti da due note, una “in guisa di manifesto”, la seconda in forma di “lettera di intenti”: due “provocazioni” rivolte a quanti, musicisti, compositori, cantanti, potrebbero collaborare al progetto di far diventare i dieci testi opere originali, possibilmente memorabili. Alcuni temi affrontati sono: la difficoltà che ragazzi e adolescenti incontrano nel dare un senso alla vita e divenire adulti; la crisi del lavoro e il lavoro che uccide; la conflittualità che si registra nei rapporti uomo-donna e la guerra tra i sessi; la questione della libertà personale nel mondo digitale virtuale.

Tommaso Cariati (Longobucco 1959) è autore di diverse opere di poesia, narrativa, saggistica. Ricordiamo i libri La scuola fuori registro e Viaggio nelle regioni d’Italia, entrambi pubblicati da Rubbettino, e il saggio Scuola, macchine e persone, ovvero il grano e la zizzania, pubblicato dalla rivista internazionale «Persona», 2018.


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