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www.societadeborg.it societadeborg@gmail.com Nuova edizione - Dicembre 2015 - Periodico edito dalla Società de Borg - Borgo SaN giuliaNo - riMiNi

AMARCORD DIETRO L’ANGOLO

Festeggiare i 40 anni del Premio Oscar è un po’ celebrare anche la nostra storia � A m’arcord - «io mi ricordo» - è diventato un

neologismo della lingua italiana, con il significato di rievocazione in chiave nostalgica (cit. Wikipedia). Grazie alla notorietà del film, la parola “amarcord” ha superato i confini nazionali per diventare un termine mondiale. Fa un certo “non so ché” apprendere che uno dei titoli provvisori del film era “Il borgo”. Nell’immaginario di Fellini, il riferimento al borgo era ovviamente rivolto a tutta la città (nella sua provincialità, soprattutto dopo il trasferimento a Roma) ma nell’immaginario comune il Borgo San Giuliano è divenuto un naturale set cinematografico a cielo aperto, da scoprire e fotografare. La presenza dei murales, i pittoreschi nomi dei nostri vicoli (es. forzieri, padella, ortaggi, chiavica..) e quell’aria da borgo antico, rende facile associare il nostro dedalo di strade alle suggestioni offerte dal film. Ma c’è di più. Chi si addentra nella storia di questo borgo, non può che rimanere affascinato dai personaggi che l’hanno vissuto. Già i nomi o meglio i “suranom” rendono l’idea del personaggio a cui era

associato e delle avventure di cui era stato protagonista: Gambela, Scureza, Canaia, Biscot, Martel, Tosatopi, Hombre… giusto per citarne alcuni; sembrano personaggi usciti dal film di Fellini… ma il bello è che non si tratta di finzioni. Sono storie vere, borghigiani in carne ed ossa. Ci sarebbe materia per ricavarne un altro film… o come va di moda di questi tempi, una serie tv. E’ solo un ricordo nostalgico? Se ci si sofferma ai personaggi, così spiccatamente originali, probabilmente sì, dato che erano il frutto di un contesto socio-economico oramai passato. Ma Amarcord ancora è attuale perché coglie, come dice l’avvocato all’inizio del film, il carattere beffardo (ndr dei riminesi), nelle cui vene scorre sangue romano e celtico ed un carattere esuberante, generoso, leale e tenace. Questi caratteri si riscontrano ancora oggi e rendono possibile la dinamicità di questo fazzoletto di Rimini. Passeggiare tra le vie del borgo è quindi come addentarsi dentro Amarcord, con la possibilità di imbattersi in uno dei suoi personaggi, passati o presenti, appena dietro l’angolo.

GNOLI E MARIO FELLINIANI A conferma del binomio Fellini – Borgo, il nostro Gnoli (clown) e Mario Pasquinelli (albero) assieme ad altri borghigiani, furono ingaggiati nel 1980 dal regista Frédéric Rossif per girare alcune scene ispirate a Fellini, per il documentario “L’invenzione dell’Emilia-Romagna”.

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uN PALILLO DI DIRETTORE

É con piacere che diamo il benvenuto a Paolo Pagliarani quale nuovo direttore del nostro giornale. Paolo succede a Giuliano Ghirardelli che ha svolto questo incarico per tantissimi anni collaborando con la Società de Borg in numerose edizioni della Festa nonché negli approfondimenti con libri dedicati alla nostra storia. A lui va la nostra riconoscenza. Paolo detto anche “palillo” dagli amici è santarcangiolese d’origine ma borghigiano d’adozione. Molti di noi lo conosceranno per la sua passione (che è anche lavoro) per la settima arte ovvero il cinema. Da molti anni collabora con il Cinema Tiberio e dal 2014 segue la rassegna stampa per la Società de Borg.

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LA sTRADA PER “AMARCORD” Di Gianfranco Miro Gori

� Il cinema di Fellini converge, dall’esordio alla regia con Luci del varietà (1950) ad Amarcord (1973), verso Rimini. Un presagio in tal senso s’intravedeva già in Paisa di Rossellini, per l’esattezza nell’episodio ambientato in un convento di frati a Savignano di Romagna (ma già dall’inizio degli anni Trenta “sul Rubicone”), dove risuona anche il dialetto; e nel Passatore di Duilio Coletti, dedicato al famoso brigante romagnolo Stefano Pelloni. Due film del ’46 nei quali Fellini ha il ruolo di cosceneggiatore. Un ritorno indiretto, allusivo alla piccola patria costituiscono la provincia e i luoghi di campagna mostrati da Fellini in Luci del varietà, La strada (1954) e Il bidone (1955). Lo stesso cosmopolitismo felliniano come ha notato Renzo Renzi rimanda alle estati riminesi. D’altra parte già nel 1953, nei Vitelloni, col quale vince il Leone d’argento a Venezia e ottiene per la prima volta un cospicuo successo commerciale, Fellini era tornato a Rimini - anche se la città non viene mai nominata. Sprofonderà esattamente dieci anni dopo, in 8½, nelle proprie radici rustiche e dialettali: si tratta dell’episodio memoriale ambientato nel casolare di campagna della nonna. Non basta. I copioni di due film non realizzati, che molto lo

impegnarono tra gli anni Cinquanta e Sessanta, Viaggio con Anita e Il viaggio di G. Mastorna, esibivano parti riminesi e personaggi che ritorneranno in Amarcord, tra cui la famosa Gradisca. Si tratta, in questo caso, di prove di ritorno che trovano un punto di stabilità nel racconto Il mio paese, pubblicato nel 1967 in La mia Rimini, a cura di Renzi. È un testo assai bello. In esso Fellini rievoca personaggi e atmosfere dell’infanzia e della giovinezza, pullulante di figure strambe, che s’esprimono soprattutto in dialetto; il dopoguerra della ricostruzione che lo vede già risiedere nella capitale; infine la città coeva: capitale del turismo simile a Las Vegas. Il mio paese comincia a tramutarsi in immagini nell’incipit dei Clowns (1970) e nel successivo Roma (1972). La prima parte di entrambi infatti è ambientata a Rimini. L’uno comincia con l’arrivo in città del circo; l’altro con due contadine che parlano tra loro in vernacolo. Un anno dopo, esattamente nel dicembre del 1973, esce Amarcord (Mi ricordo) che costituisce il culmine del ritorno memoriale nella città natale. Preceduto dal libro omonimo scritto da Fellini con Tonino Guerra che firma, assieme al regista, anche la sceneggiatura (il contributo di Guerra,

La Società de Borg e la redazione de Foi de Borg, augurano a tutti

Buon Natale e Felice Anno Nuovo

poeta nel dialetto di Santarcangelo, risulta fondamentale in un film intriso di vernacolo a partire dal titolo; citerò, a esempio, almeno la celebre poesia del manovale Calcinaccio detta in italiano vernacolare: “Mio nonno fava i matoni, mio babbo fava i matoni ecc.” ispirata a I madéun (I mattoni) pubblicata da Guerra in Lunèri del ’54), Amarcord racconta la vita quotidiana di un borgo, che è Rimini come sempre non esattamente nominata, da primavera a primavera. Il protagonista Titta e la sua famiglia sono ispirati all’amico d’infanzia e di vita di Federico, Luigi “Titta” Benzi. Compaiono anche riferimenti a episodi storici liberamente fusi assieme: la grande nevicata del ’29 (l’anno del “nevone”), il passaggio della VII Mille Miglia e quello del transatlantico Rex del ’33... Insomma siamo in un anno imprecisato tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta. (Kezich, nella sua biografia del regista, elencando gli indizi storici citati testé, arriva fino al ’37: quando esce Voglio danzare con te di cui si vede un manifesto). Il fascismo che permeava la vita degli italiani appare in vari modi, a partire dalle forme celebrative e propagandistiche, per esempio una parata a passo di corsa e l’immagine e l’evocazione ammirata del duce. Dal punto di vista delle radici

romagnole, ma anche dell’economia del racconto, è centrale la figura del nonno. Custode del sapere e della sua trasmissione che dispensa bonariamente in dialetto e insieme in un italiano fortemente dialettalizzato. Le sue sentenze, volte ad ammaestrare a una vita sana e ispirate all’antico sapere dei padri, cominciano con “E’ ba de mi ba u m’à imparè...”, subito tradotto: “Il babbo del mio babbo mi ha imparato...”, per poi proseguire con l’insegnamento. Amarcord vince l’Oscar per il miglior film straniero e ottiene un successo mondiale, mostrando come nel mondo “glocale”, il locale possa potentemente influire sul globale.

Periodico edito dalla Società de’ Borg

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Reg. Tribunale di Rimini n° 9/2004 del 25/10/2004 Redazione e pubblicità: Via Ortaggi 2 - 47921 Rimini - societadeborg@gmail.com Direttore resp. Paolo Pagliarani A cura di Mario Pasquinelli e Marianna Balducci Testi di Marianna Balducci, Stefano Tonini, Sergio Serafini, Mario Pasquinelli Foto di Stefano Tonini Impianti e fotolito Linotipia Riminese info@linotipia.net - Tel. 0541.778205 Stampa Tip. Valmarecchia S. Ermete di Santarcangelo - Tel. 0541.758814


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bORGONATALE 2015 Gli appuntamenti natalizi proposti da La Società de Borg per il 2015: martedì 8 dicembre 2015 dalle ore 15:00 alle 19:00 BORGOSOLIDALE – IV° edizione La mostra mercato del volontariato con oltre 30 associazioni del riminese che si danno appuntamento per un natale speciale, che parte dalla condivisione, dalle buone pratiche e le buone azioni. La novità 2015 è l’Albero “mandala” realizzato sul dorso di viale Tiberio con oltre una tonnellata di segatura colorata. Calendario LE STAGIONI DEL BORGO Collaborazione con la pagina Facebook “ Rimini Sparita” e Conad Tiberio per la realizzazione del calendario 2016. Per la realizzazione del calendario è stato indetto un concorso fotografico riservato a fotografi amatoriali con soggetto il borgo San Giuliano. Con i fondi recuperati dalla vendita del calendario verrà acquistato un nuovo scanner per digitalizzare filmati d’archivio in formato Super8 raccolti da Rimini Sparita e Cineteca Comunale. domenica 20 dicembre 2015 dalle ore 19:00 AUGURI in AMARCORD Scambio di auguri natalizi ed aperitivo offerto da La Società de Borg tra borghigiani e simpatizzanti con aperitivo in Piazzetta Santa Caterina (nei pressi dell’Osteria Angolo di vino). Sorseggiando un buon vin brulè, al tepore del bracere, annunceremo il nuovo murales - in tema felliniano – che sarà realizzato dal Kiril Cholakov nella Piazzetta Santa Caterina; l’opera è ispirata ad una celebre scena tratta dal film “Amarcord” in occasione del 40° anniversario del Premio Oscar. A seguire, ore 21:00, proiezione del film “AMARCORD” di Federico Fellini nella nuova versione restaurata in 4K presso il Cinema Tiberio (ingresso a pagamento: interi € 5,00 – ridotti riservati ai Soci SDB € 3,00). mercoledì 6 gennaio 2016 dalle ore 10:00 alle 13:00 BEFANARUN – II° edizione Torna la simpatica “gara” non competitiva, per tutte le età, tra le vie del borgo ed il parco Marecchia, alla ricerca delle befane (vere, posticce, presunte o create ad hoc). Evento in collaborazione con Grip Dimension e Amici di Tiberio. Ritrovo/Partenza ed iscrizione: ponte di Tiberio (chiuso per l’occasione al traffico veicolare). Tutti gli eventi di BorgoNatale 2015 sono inclusi nel programma ufficiale “Il Capodanno più lungo del mondo“ promosso dal Comune di Rimini.


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IL NAuFRAGIO DEL PEsChERECCIO ROMEO Una triste storia, che grazie al Cavalier Moroni, finalmente verrà ricordata. � Il giorno 3 ottobre 2015 è stata scoperta una targa, fortemente voluta dal Cav. Valeriano Moroni, segr. Comp. marittimo di Rimini sez. Capitan Giulietti dell’ U.N.Med. d’O. L.Nav. d. Marina Merc. e finanziata dalla “Società de’ Borg”, che ricorda un luttuoso avvenimento: un disastroso naufragio avvenuto il 28 febbraio 1895 nel tratto finale del porto canale della nostra città. La targa metallica è stata fissata al basamento roccioso che sostiene la grande ancora del monumento in onore di tutti i caduti del mare, civili e militari, nel Piazzale Boscovich. La cerimonia, cui hanno partecipato autorità militari, politiche e religiose, il presidente della “Società de’ Borg” Stefano Tonini, è stata da me particolarmente sentita perché, sia la mia famiglia d’origine, sia quella di mia moglie, erano formate da gente di mare e di armatori marittimi. La mattina di quel 28 febbraio alle ore 10 si abbatteva su Rimini una abbondante nevicata accompagnata da vento violento da greco-levante. Sulla costa si infrangevano onde altissime che ostacolavano il normale flusso del fiume Marecchia, entrato in piena (le famose periodiche fiumane) per le precedenti piogge, determinando uno spaventoso ribollire di acque nell’ imboccatura del porto. Due pescherecci a vela, il Catterina e il Romeo dell’ armatore Pietro Mancini, di ritorno da una battuta di pesca durata più giorni, in quei momenti stavano tentando di raggiungere un ormeggio sicuro nel porto. Mentre il Catterina, avvantaggiato dalla sua stazza maggiore, riusciva a vincere la resistenza dell’onda

di piena del Marecchia, il Romeo, colpito da una ondata a poppa che gli strappava la velatura, veniva scaraventato sulla scogliera di levante dove si andava a fracassare e i 5 uomini dell’ equipaggio, finiti nei gorghi provocati dalla tempesta miseramente morivano annegati. Morivano 4 uomini nel pieno delle forze: Giovanni Ballerini (detto Messelini) di 58 anni, capitano, Giovanni Belemmi (Cicada) di 54 anni, Giovanni Crosara di 47 anni, Nicola Calcinelli (Bersaglier) Di 36 anni. Moriva, diremmo oggi, un ragazzino di soli 15 anni, Antonio Vergoni (detto Niga o Radisèn), orfano di padre, il mozzo (murè) del peschereccio. Nel supplemento del giornale “Italia” del 7 marzo 1985 si legge che il corteo del funerale si apriva con i 5 feretri, trainati ognuno da due cavalli bordati di nero i cui cordoni erano tenuti dalle massime autorità cittadine, sindaco Masi in testa e si snodava per oltre mezzo chilometro. La commozione era tanta ma, come riportava il cronista dell’“Italia”, “…. commuoveva soprattutto la sorte del povero ragazzo Vergoni e tutti ne additavano il feretro, commiserando l’ infelice sorpreso dalla morte in mezzo alle più blande lusinghe dell’età, lungi dal bacio dei diletti parenti. Poveretto! Esclamavano. E per lui le labbra delle donne, specie nel Sobborgo di San Giuliano, dove vive una popolazione marinaresca, iteravano le preci più ferventi, e gli occhi mandavano lacrime più copiose e i petti vinti dalla piena del dolore, erompevano in singhiozzi….” Mi piace ricordare, citando il Dizionario di G. Quondamatteo, che “la vita del murè

era pesantissima, ingiusta, financo crudele. A sette, otto anni, il primo imbarco significava la rottura violenta con la famiglia, con i compagni di scuola: nel nuovo stemma che assume a bordo le sue armi sono “la sesula”, la sessola e “la scuèta”, la scopetta, con le quali deve sempre tenere pulito lo scafo. Mangia per ultimo, dorme su un pagliericcio gettato di traverso su un pagliolato, fra cavi, vele, attrezzi. In questo ambiente viene spontaneo che il “murè” stabilisca un rapporto di mutua amicizia ed aiuto con l’altra creatura di bordo che vive in stato di sudditanza: il cane.” Una grande gara di solidarietà si era

di SerSer

fruttato, a sorpresa, la bella cifra di L. 338. Il conte Giuseppe Severoli di Faenza aveva vinto questo premio e a titolo di “riconoscenza alla fortuna” aveva versato L. 25. Sarebbe una cosa bellissima poter oggi mettere in mostra questo quadro, cercando un contatto con gli eredi Severoli. Se qualcuno mi può aiutare, attraverso il WEB o altri media, avrà la riconoscenza della “Società dè Borg” e di tutta la comunità borghigiana! Dedotte le spese per i funerali e varie, pari a L. 91, restavano in cassa L. 6779,19. I rappresentanti della Società di mutuo e soccorso fra la marineria, della Congregazione di carità e della Cassa di Ri-

Momenti della cerimonia del 3 ottobre.

aperta verso le famiglie delle vittime. La Società di mutuo soccorso fra la marineria, fondata nel 1884 (una delle prime nel Regno d’Italia) dal “paroun” (comandante) Giovanni Monaldi, bisnonno di mia moglie, coordinava la raccolta delle oblazioni dopo aver versato L. 400. La raccolta aveva fruttato in poco tempo L. 6980,72, cifra notevole per quei tempi, che andavano da L. 2993,20 della Congregazione di carità alle L. 300 del municipio, L. 300 del Re e della Regina, L. 50 del vescovo Fegatelli, L. 20 della marchesa Des Verges, L. 4,50 del Casino Civico, L. 4,25 degli addetti alle pulizie della via Emilia(?). Fra le donazioni vi era un quadro nel quale era rappresentato il drammatico naufragio, dipinto dal pittore riminese Mariano Mancini che, per sua volontà, veniva posto a premio di una lotteria. I biglietti, venduti da Faenza e Ravenna a nord fino ad Ancona a sud, avevano

sparmio di Rimini, riuniti in adunanza il 7 aprile 1895 in una sala del municipio deliberavano di “…dare 4 parti alle famiglie Ballerini e Calcinelli, 3 parti alle famiglie Belemmi, Crosara e Vergoni e il sussidio di L. 50 ad Angelo Belemmi, fratello del naufrago, il quale “aveva tutti i panni nel baragozzo perito”. La delibera continuava “….ma perché il frutto della carità non si sciupi presto da famiglie povere non avezze a possedere denaro, le somme raccolte si depositeranno in libretti vincolati alla Cassa di Risparmio , e da questi libretti i beneficati ritireranno L. 5 alla settimana, quanta è appunto la paga di un marinaio. I beneficati potranno poi svincolare in tutto o in parte le loro quote, quando provino in modo non dubbio di investirle proficuamente….” Le notizie in questo scritto riportate sono tratte dai 2 volumi “Rimini negli ultimi due secoli” dello storico Nevio Matteini – Maggioli Editore.

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KIRIL ChOLAKOv: MEssAGGI IN CODICE TRA LE NEbbIE DIsEGNATE

di Marianna Balducci

Tra breve lo vedremo al lavoro sul nuovo murales, ma lui il borgo lo conosce bene già da vicino... Kiril Cholakov, artista bulgaro borghigiano d’adozione, ci racconta il suo lavoro tra storie avvolte nella nebbia, animali un po’ magici, strati di memoria personale e condivisa. 1. A breve sarai impegnato nella realizzazione di un nuovo murales qui nel borgo, per la galleria a cielo aperto che stiamo dedicando al mondo felliniano. Quali sono gli elementi dell’immaginario di Fellini che più senti vicini al tuo mondo artistico? Sin da studente sono sempre stato attratto dallo spettacolare mondo di Fellini. Quando penso a Rimini e al suo “Amarcord” davanti ai miei occhi appare la nebbia, così come quando penso a Tarkovskji vedo l’acqua. La magia della nebbia, gli incontri nella nebbia, sono le cose che sento più affini al mio mondo artistico: sono questi non-luoghi di realtà sospesa. Infatti, per il murales del borgo (un’opera site-specific) ho scelto la scena del “vecchio perso nella nebbia” e le sue parole: “Ma dov’è che sono? Mi sembra di non stare in nessun posto. Mo se la morte è così... non è mica un bel lavoro. Sparito tutto:

Il bozzetto del murales che Kiril in primavera realizzerà in piazzetta Santa Caterina nel borgo San Giuliano, raffigurante “il nonno nella nebbia”.

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la gente, gli alberi, gli uccellini per aria, il vino. Tè cul!” (dal film “Amarcord”, F.Fellini, 1973). Posizionare quest’opera, che porta con sé una visione profana della morte, accanto alla chiesa di San Giuliano dove si svolgono, solenni, le funzioni sacre, rappresenta la dialettica tra sacro e profano che il borgo ha da sempre nelle sue radici. 2. Nel tuo ciclo di opere “Casa al di là del mondo” (2014) parli di una cicogna che ha perduto l’orientamento e trovato un amico (il Boemo), pur nel destino crudele che le è riservato in un mondo in cui la tolleranza e l’accoglienza sono valori tutt’altro che scontati. Oltre alla forte carica simbolica dei personaggi, sullo sfondo sta il paese di Izvòr e il concetto di “casa”. Cos’è, in generale, “casa” per te? “Casa al di là del mondo” nasce da un racconto che ha suscitato in me immagini fortissime. Un mio cugino mi disse che, tempo fa, una cicogna non era riuscita a partire insieme alle altre (Izvòr, dove è ambientata la storia, è un piccolo paese bulgaro che si trova lungo uno degli itinerari della migrazione di questi animali). Uno dei personaggi del paese, soprannominato “Il Boemo”, aveva cominciato a portarle qualcosa da mangiare e così, con il passare del tempo, i due avevano fatto amicizia. La cicogna non aveva più paura di lui e aveva preso a seguirlo. Quando era arrivata la prima neve, il Boemo, l’aveva accolta in casa. Lei, dal canto suo, lo accompagnava ovunque: i due scendevano in “centro” per comprare il pane, si fermavano all’osteria a bere qualche grappa in compagnia, davanti alla stufa. Lì però, i contadini (convinti che ognuno debba sapere dov’è il proprio posto) non facevano entrare la cicogna, e lei stava fuori, accanto alla porta ad aspettare l’amico Boemo per ore e ore. Quando lui usciva, tornavano a casa, passi lenti,... un uomo e una cicogna insieme nel buio e nel silenzio, sotto la neve fitta. All’arrivo della primavera, quando le altre cicogne erano ritornate al paese, la “nostra” volò loro incontro per raggiungerle, ma queste, non riconoscendola, finirono per ucciderla a colpi di becco. Quel racconto mi ha affascinato: è balcanico, parla di una realtà crudele ma allo stesso tempo favolosa. Un luogo dove passano le cicogne quando migrano è solo qui che lo puoi trovare e sono pochi i posti nei quali un uomo e una cicogna possono incontrarsi e diventare amici. Guardo attraverso gli occhi della cicogna accanto alla porta e vedo presenze misteriose, uomini-animali e animali-uomini, le riporto nei disegni; gli effetti del passato rivivono in noi, le cause si disperdono nel tempo. Vedo tutto come se fosse immerso nella nebbia. Ancora la cicogna, il suo amico, il suo nido. Le memorie collettive vanno più indietro nel tempo dei ricordi individuali. Andando a vivere altrove la percezione di fare parte di una storia diventa una necessità interiore che aiuta a mantenere un filo, le ombre prendono vita.

Fotografo un mucchio di piume di cicogna. Il bianco e nero della cronaca documenta la scena di un delitto in seguito a un tradimento. L’amicizia tra soggetti di specie diversa è pericolosa, dicono. Nel mio lavoro (come nella mia vita), nella mia identità culturale, il concetto di ”spaesamento” e di “casa” persistono da tanti anni. Le identità culturali non sono solo nazionali, ne esistono anche altre, legate al gruppo d’età, al sesso, alla professione, all’ambiente sociale. Oggi dunque ognuno di noi ha già vissuto dentro di sé, se pure in misura diversa, questo incontro di culture: siamo tutti meticci. L’appartenenza culturale nazionale è soltanto la più forte di tutte, perché vi si mescolano le tracce lasciate – nel corpo e nella mente – dalla famiglia e dalla comunità, dalla lingua e dalla religione. Il mio stato attuale non corrisponde dunque alla deculturazione, né all’acculturazione, ma piuttosto a qualcosa che si potrebbe chiamare transculturazione, l’acquisizione di un nuovo codice senza la perdita del precedente. Vivo ormai in un spazio singolare, al tempo stesso dentro e fuori: straniero ”a casa” (a Sofia), e ugualmente a casa in quella che ormai non è più tanto “straniera” Rimini. La sola cosa che questi luoghi così diversi hanno in comune per me (ma cosi è anche per altri), è che ci ho trovato degli amici stupendi con i quali continuo a vivere oggi, in presenza o in assenza. 3. In molti dei tuoi lavori, così come in quello che porterai al borgo, ci sono parole scritte che diventano immagine: una trama fittissima di vocaboli che si aggrovigliano e si trasformano in continua a pagina 8

Kiril Cholakov (1964, Sofia, Bulgaria, vive e lavora a Rimini, Italia),si è laureato al Dipartimento di Pittura monumentale dell’Accademia Nazionale dell’ Arte, Sofia, Bulgaria. Ha vinto due concorsi di UNESCO Artist Residency Programme International nel 1996 in Georgia, e nel 1997 a Ravenna per la realizzazione di una scultura musiva presso Albe Steiner Center. Le sue opere coprono diversi ambiti artistici, dalla realizzazione di murales, alle sculture in terracotta, installazioni e mostre di pittura e hanno vinto numerosi premi internazionali. Tra le numerose mostre alle quali Cholakov ha partecipato, ricordiamo: Biennale Disegno, Rimini 2014/, Aktuelle szene bulgarien a Ludwig Museum Koblenz, Germania 2008, International Biennial of Contemporary Art, Shumen, Bulgaria 2006, Donumenta, Regensburg, Germania 2005, Conflict/Conflicti, Sinapsher. Dal 1991 ha realizzato 21 mostre personali e e le sue opere si trovano in diverse collezioni pubbliche e private in: Grecia, Bulgaria, Italia, Belgio, Germania, Olanda, Svizzera, Giappone, Georgia e USA.

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sOLIDARIETà E buRLE

di Mario Pasquinelli

Ho ritrovato alcuni vecchi appunti, che aveva conservato mio padre, sull’iniziativa del cherosene. Fogli sparsi con annotazioni, conteggi, elenchi, redatti a più mani e che definire informali e disordinati è un puro eufemismo. Nei giorni 1 e 2 settembre 1979 avevamo organizzato la prima festa del borgo, a completamento di tutta una serie di iniziative i cui obiettivi erano, e sono, gli stessi che oggi si pone, in forme diverse, l’attuale consiglio della Società del Borgo: il valore sociale e culturale del volontariato, il miglioramento del benessere individuale e collettivo della nostra comunità dal forte spirito identitario, la resistenza culturale per l’integrazione... Riassumo brevemente alcune delle tante iniziative messe in campo per raggiungere gli scopi prefissi. Allora, attraverso il risanamento delle case, la costruzione autogestita di un campo di calcio, l’acquisto

collettivo di beni... Oggi, con “Farmborg” nell’ambito di Ci.Vi.Vo., per prendersi cura del proprio ambiente, poi la rassegna Cinepicnic nell’invaso del ponte di Tiberio, un evento permeato da forti suggestioni culturali e sociali, e Natale solidale, che ha riunito per la prima volta tutte le associazioni di volontariato del riminese... In forme diverse dicevo; era necessario imprimere una svolta che rinnovasse lo stile, il linguaggio e le finalità della festa; c’era il rischio di avviarsi su un percorso ripetitivo e scontato, e senza innovazione non esiste creatività. Diventa sempre più difficile creare emozioni, coinvolgimento, stupore e incanto, se si rappresenta sempre e solo un passato ormai ampiamente rivisitato e raccontato. I giovani del nuovo consiglio questa svolta l’hanno egregiamente compiuta. A noi anziani rimane il compito della memoria e del ricordo, elementi propedeutici alla realizzazione del futuro. Ed è per questo che metto in ordine quegli appunti per raccontare una iniziativa estremamente solidale e partita dal presupposto che la soluzione dei problemi non può essere sempre delegata ad altri. Fu un’esperienza gratificante

e, per certi versi, ancora attuale, che potrebbe essere ripetuta su altre possibilità di acquisti collettivi. Quella volta ci siamo rimboccati le maniche e insieme abbiamo risolto una difficoltà che sembrava insormontabile. Un numero rilevante di abitazioni del nostro quartiere, per il riscaldamento, utilizzava ancora la stufa a cherosene, una tipologia che stava ormai scomparendo; negli anni precedenti, per comprare quel combustibile, quasi introvabile, incominciavano a formarsi delle file già dalle prime ore del mattino davanti ai pochi rivenditori ancora esistenti. Si sapeva già che da quell’anno anche l’esercente dal quale abitualmente si rifornivano i borghigiani non avrebbe avuto più alcuna disponibilità di cherosene, così come altri commercianti del settore. Sollecitati da molte famiglie, composte per la maggior parte da anziani, decidemmo di affrontare il problema con l’acquisto collettivo del combustibile. Contattammo telefonicamente l’Api di Falconara e la Total di Bologna, che non dimostrarono alcun interesse per la nostra proposta. Fu invece il dott. Leonardi, che aveva un deposito di combustibili a Rimini, in via Circonvallazione Meridionale, ad ottenere dalla Fox di Pesaro la fornitura di 200/250 taniche settimanali. Sarebbero arrivate con un camion e noi avremmo dovuto preoccuparci di scaricarle e di distribuirle; il pagamento sarebbe avvenuto all’arrivo del carico successivo. L’undici settembre del 1979, a ridosso della festa, raccogliemmo l’adesione di 72 famiglie, quasi tutte residenti nel vecchio borgo. Alle operazioni di scarico, di consegna e di ritiro delle latte vuote, si impegnarono non solo gli acquirenti e gli organizzatori, ma anche gente del borgo che di solito restava in disparte, facendo così emergere una ritrovata socialità. Sembrava che la festa non dovesse mai finire, che non volessimo ancora crederla finita. Occupammo una casa disabitata di via Padella, una prassi, per noi, in quei tempi abbastanza usuale, per immagazzinare temporaneamente le taniche. La distribuzione avveniva con due motocarri Ape, messi a disposizione da Dino e da Gilberto. Avevamo anche ottenuto una riduzione del costo per singola latta da 6200 a 4800 lire. Nel giro di un paio di settimane arrivarono altre adesioni e complessivamente furono 128 le famiglie associatesi. Molti dei nuovi iscritti non abitavano nel borgo, ma avevamo deciso di non discriminarli, anche se questi nuovi inserimenti comportavano necessariamente un razionamento della fornitura anche agli

iscritti iniziali. Su questa nostra decisione qualcuno, al bar Alba, incominciò a lamentarsi. Nel clima euforico che aleggiava dopo la festa, ci fu qualche burlone che pensò di alimentare il fuoco della polemica, fino ad allora, in verità, alquanto contenuto. Mentre transitava l’Ape, per andare a consegnare alcune taniche, qualcuno disse a uno dei contestatori, il Cavaliere Mario Lucchi, arzillo e affabile tombeur de femmes: “Vedi quelle latte? Invece di darle a te, le portano a una giovane bella signora bionda che abita in via dei Mille!” Quel giorno al bar non si parlava d’altro e in quel andirivieni di Api per la consegna delle taniche, nessuna delle quali toccava a lui, l’anziano contestatore, che aveva, come si usa dire, “beccato”, in un crescendo rossiniano incominciò ad imprecare contro Mario e Gnoli, che gli erano stati indicati come gli autori del sopruso. I suoi commenti, sempre più accesi, spaziavano dall’autocommiserazione sul povero vecchio lasciato al freddo, alla scarsa moralità di quei due, disposti a tutto pur di correre dietro ad una sottana. “E sarà tota invidia, du vot chi vaga a spighé, che i na mai colt un stec.” In parole povere, quei due, l’hanno vista solo in fotografia, aveva sentenziato il Cavaliere. Gli accusati, venuti a conoscenza di quanto successo, decisero di stare al gioco e inviarono una lettera, su carta intestata di un fantomatico legale (stampata, come al solito, nella premiata tipografia Gnoli) al contestatore, e per conoscenza, al bar Alba. Dapprima proclamarono la loro innocenza, come potevano ben testimoniare il Gobbo e Cilin, che avevano effettuato le consegne in quella occasione. Poi Mario e Gnoli annunciarono l’intenzione di querelarlo per diffamazione, a meno che il “contestatore” non procedesse ad immediate e pubbliche scuse per le ingiuste offese loro rivolte, comprese quelle sulla loro presunta scarsa abilità nella conquista delle donne. Il Cavalier Lucchi, preoccupato, si recò da Veniero, suo genero, e gli mostrò la lettera. Questi, letti i nomi dei “querelanti” e dei “testimoni” e resosi conto del carattere burlesco di tutto l’impianto, gli disse: “Guarda, con dei testimoni così, potresti anche beccarti due o tre anni; però in fondo Mario e Gnoli sono persone ragionevoli. Con loro ci parlo anch’io, ma tu intanto scusati e offri loro un caffé e vedrai che la faccenda si risolverà.” E così avvenne, con reciproche scuse, visto che ormai la burla era venuta alla luce del sole, anzi del bar. Però i due bontemponi, per un paio di giorni, non si erano presentati nel locale, lasciando sui carboni accesi il povero malcapitato.

FEsTA 2016 LAvORI IN CORsO: RICERCA MATERIALE PER NuOvA MOsTRA Tra le mostre che stiamo allestendo per la prossima Festa de Borg ve ne sarà una tutta dedicata al Viale Tiberio e Piazzale Vannoni e tutte le possibili connessioni quale porta d’accesso alla città. Siamo alla ricerca di materiale fotografico e aneddoti che possano raccontare lo sviluppo di questa nuova via creata negli anni ‘30 e il suo storico collegamento con la parte nord della città (non solo via Emilia ma anche via Sacramora). Vi invitiamo quindi a controllare foto di famiglia o filmati Super8 - VHS da cui estrarre sia panoramiche sia scene di vita che abbiano come sfondo questa area del borgo. Attendiamo le vostre segnalazioni a societadeborg@gmail.com.

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7 Un suggerimento poetico, una brezza artistica, un tocco in rima: “E Foi de Borg” rende omaggio ai grandi poeti della Romagna con le loro creazioni da conservare in maniera indelebile nella memoria collettiva.

RAFFAELLO bALDINI La poesia corre leggera nell’aria sospinta da refoli di vento. Corre tra le silenziose vie dei paesi, tra le case nei borghi, si ferma sulle labbra di chi preferisce le rime alle chiacchere chiassose e rumorose, diventa segno indelebile dell’identità di coloro che non hanno smarrito il gusto per le lingue “antiche” ed autentiche: il dialetto c’è, resta, sopravvive, sembra scomparire da un giorno all’altro ma poi ritorna prepotente grazie alla voce dei grandi poeti di Romagna. Come Raffello Baldini, “Lello” per gli amici, santarcangiolese doc, milanese d’adozione (nacque nella città clementina il 24 novembre 1924 ed è morto nel capoluogo lombardo, dove si era trasferito nel 1955, il 28 marzo

2005), esponente di spicco della cultura poetica del Novecento, fondatore assieme a Tonino Guerra, Nino Pedretti, Gianni Fucci, Flavio Nicolini e Rina Macrelli di quel “E’ circal de giudéizi” (letteralmente “Il circolo del giudizio”, nome che in realtà indicava una connotazione più ironica visto che ci si riferiva più ad una sorta di “circolo degli strambi”) che animò una delle più appassionanti stagioni culturali di Santarcangelo di Romagna, nel dopoguerra, con il paese attraversato dall’euforia creata dalle interminabili discussioni su arte e letteratura imbastite del “circolo” nel centrale “Caffè Trieste”, gestito dalla famiglia dello stesso Baldini.

I cavéll Mat, l’è sémpra sté mat. Mo da quant ch’u i à ravié a casché i cavéll e’ pasa drétt e u n saléuta niséun I capelli Matto, è sempre stato matto / Ma da quando gli sono cominciati a cadere i capelli / passa dritto / e non saluta nessuno

1938 La mèstra ad Sant’Armàid dal vólti, e’ dopmezdè, la s céud tla cambra e la zènd una Giubek. La n fómma. Stuglè da sòura e’ lèt la guèrda ch’la s cumsómma. U i pis l’udòur. Dal vólti u i vén da pianz. 1938 La maestra di Sant’Ermete / delle volte, il pomeriggio, / si chiude in camera e accende una Giubek. / Non fuma. / Sdraiata sul letto / la guarda consumarsi. / Le piace l’odore. / Delle volte le viene da piangere.

di Paolo Pagliarani

A dieci anni dalla sua scomparsa la sua poesia resta saldamente impressa nelle pagine dei libri, nelle registrazioni audio e video (ricordo con emozione personale le letture di Baldini al Teatro del Mare di Riccione nel 202 e nel 2004, con il pubblico rapito ed emozionato ad ascoltare la sua voce intenta a scandire il “soffio poetico” delle sue composizioni) e negli omaggi continui ad una delle espressioni più autentiche e nobili della poesia, quella poesia assolutamente necessaria in questi tempi grigi e bui, appiglio fondamentale per restare vivi, anche se ci sembra che, ogni giorno, “Vènga la féin de mond”…

E’ su bà Parchè a stagh zétt? t vu ch’a n’e’ vègga che e’ mi Driano u s’asarméa mi Panartéun? ch’l’è Feruccio spudèd, zò, ch’lè e’ su fiùl? e alòura cs’òi da fè? amazé la su mà ch’la à quarentòt an E ch’i i è ndè tla testa, e la nòta l n dorma, e’ dè u i vén i caldéun, la s zcórda al robi, la piànz par gnénet, cs’ éll, a la ciap pr’e’ còl, a rógg, a i déggh ch’la è stèda una putèna? e mè? Cs’éll ch’a so sté? E dop a i e’ dégg énca ma Driano? e cmé ch’a i déggh? che l’è e mi fiùl, però mè a n soe’ su bà? mo léu csa i éintral? Ch’u m vó un bén che mai, u s cunféida, u m dí tótt, pu l’è ligar, l’à vóia ‘d lavuré, l’è piò ligar ch’né mè, e mènch zucòun, mènch parmalòus, l’è par quèll che i su améigh i i vó bén tótt, e ènca se lavòur, mo cum s fal no vlì bén mi Driano, sa chi ócc ch’u n m’à nmai détt una buséa, però mégga indurmént, al robi u li capéss, e’ fa di zchéurs ch’an’i faz gnénca mé ch’a so e’ su bà. Suo padre Perché sto zitto? Vuoi che non veda che il mio Adriano / somiglia al Panartéun? / che è Ferruccio sputato, dai che è suo figlio? / e allora cosa devo fare? / ammazzare sua madre, / che ha quarantotto anni / e la sono andati in testa / e la notte non dorme, / il giorno le vengono le caldane, si dimentica le cose, / piange per niente, cosa faccio, la prendo per il collo / urlo, le dico che è stata una puttana? / e io? cosa sono stato? / E dopo lo dico anche ad Adriano? / e come gli dico? / che è mio figlio, però io non sono suo padre? / ma lui cosa c’entra? che mi vuole un bene, / si confida, mi dice tutto / poi è allegro, ha voglia di lavorare / è più allegro di me, e meno testone ,/ meno permaloso, / è per questo che i suoi amici gli vogliono bene tutti, / e anche sul lavoro, / ma come si fa a non voler bene al mio Adriano, / con quegli occhi che non m’ha mai detto una bugia, / però mica addormentato, / le cose le capisce, fa dei discorsi / che non li faccio nemmeno io che sono suo padre.

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“LA [SUP]POsTA DEL CuORE” Egregio Dottor Gnoli, anche a Bologna, dove abito,

viene apprezzata la sua rubrica, per il suo profondo buon senso negli affari di cuore. Le espongo quello che dal mese scorso è diventato il mio problema. Sposati da dieci anni, io e mia moglie abbiamo improntato il matrimonio ad una visione moderna e leale del nostro rapporto, concedendoci reciproca libertà a condizione che niente venga tenuto nascosto. Siamo di larghe e aperte vedute e consideriamo tradimento solo quello che viene sottaciuto e che impegna il cuore, la passione e i sentimenti. Altra cosa dalle innocenti ed occasionali scappatelle che consentono di evadere dalla monotonia del vivere quotidiano. La prima volta di mia moglie è stata quella consumata con Aldo, il mio migliore amico. Si era appena separato, il lavoro gli andava male e confidava i suoi tormenti alle amiche della nostra compagnia. “Mi ha fatto pena – ha detto mia moglie – era depresso e ho cercato di tirarlo su”. Con Beppe, un altro amico, è successo quella volta che era venuto a casa per riparare la doccia; sapeva fare di tutto, aveva le mani d’oro e non voleva assolutamente essere pagato. Le ha chiesto di provare insieme se l’acqua calda funzionava. “Potevo dirgli di no? – mi ha raccontato – e mica potevamo fare la doccia con gli abiti addosso!”. Carlo, invece, era il figlio dei nostri vicini. Un ragazzo malinconico, introverso, complessato. “Poverino, a 24 anni era

KIRIL ChOLAKOv ...

segue da pagina 5

una nebbia che non dà più il senso di vuoto, ma è anzi piena, pienissima di voci. Da dove vengono queste parole e come hanno iniziato a trovare spazio dentro alle tue opere? Mi piace chiamare questi lavori “manoscritti”. Visti a distanza recano solo indistinte tracce di linee. Se però ci si avvicina, le parole cominciano a rivelare un’enormità di storie: il bianco, il nero e, nell’intervallo, i grigi a dare continuità agli opposti. Sono disegni, comunque tracce che diventano scrittura, grovigli di parole, pezzi di vita e di racconti immaginari, vicini e lontani, tempi e spazi dove l’estraneità appare, colta nella quotidianità di gesti e azioni semplici. Sono “frammenti di senso”. Le storie (a partire da quelle che ci raccontano quando siamo bambini), la loro struttura “composta”, danno la sensazione che dietro all’incredibile groviglio degli eventi ci sia un ordine, una logica, un senso. E forse quella è l’illusione rassicurante che ci fa sentire meno piccoli e meno soli. Nella trama dei miei disegni però le storie si ritraggono dall’obbligo di ordinare: è impossibile ricondurre le parole entro un filo narrativo coerente. Le storie, le lingue, si mescolano, si sovrappongono ed evocano la sgranatura di una vecchia fotografia in bianco e nero a lunga esposizione. 4. La memoria ricopre un ruolo importante nella tua ricerca artistica tanto quanto la narrazione. Dietro a molti dei tuoi lavori ci sono racconti, omaggi a una tradizione preziosa di cui l’arte si fa portavoce e custode. In un tempo come il nostro, in cui l’arte contemporanea spesso è diventata illeggibile ai più, chiusa nel suo vocabolario per “addetti ai lavori”, che senso ha invece mettersi a raccontare una storia? Le opere dalla serie “Casa al di là del Mondo” sono un omaggio alla generazione dei miei genitori, le persone che dopo una vita di lavoro e sacrifici se ne vanno silenziose portando con sé un mondo di mestieri, di sapori, di morale. Sento sempre di più un S.O.S. lanciato per preservare la dignità della memoria. Nella mia ricerca artistica da tempo sono attratto da questa capacità della mente umana di memorizzare e nello stesso tempo di dimenticare, come fosse un sistema immunitario anche nella vita privata: più veloce, più smart sei nella capacità di dimenticare quella sberla

Tu chiamale, se vuoi, evasioni…

ancora vergine…” ha confessato la mia consorte. Il mese scorso mia moglie mi ha candidamente rivelato di aver fatto l’amore, in più occasioni, con Mustafà, il venditore ambulante di tappeti che ogni tanto passa per il nostro quartiere. E non mi ha dato alcuna plausibile motivazione, visto che Mustafà si è perfino portato via il tappeto che lei gli aveva profumatamente pagato. Se in quelle altre occasioni aveva agito, potremmo dire, a fin di bene, questa volta non riesco a farmene una ragione. Cosa ci avrà trovato in quel marocchino così poco attraente? D’altra parte tu vorresti che tua figlia sposasse un nero? Un marito in pena

Caro, (si fa per dire) marito in pena,

dici di essere di “larghe e aperte vedute”; a me sembra, invece, che tu sia un po’ pataca e alquanto razzista. E vorresti arrogarti il diritto, secondo una mentalità retrograda, da medioevo, di decidere non solo quali amanti tua moglie possa avere, ma anche di imporre la tua volontà sul matrimonio dei figli. Scendendo al tuo livello, vorrei dirti che le innocenti scappatelle (che Lucio Battisti avrebbe definito “tu chiamale se vuoi evasioni…”), qui dalle nostre parti hanno un ben preciso nome: corna! Ci stanno le parole, e usiamole, diceva un esasperato Edoardo De Filippo in una sua commedia. E siccome

nel cortile della scuola, prima verrà la possibilità di innamorarti di nuovo. Dimenticare è una dose di memoria, una parte necessaria che come una nuvola avvolge i grandi dolori, ma anche la grande felicità, che altrimenti ci farebbe impazzire. Cos’è la memoria collettiva? Com’è non avere una memoria collettiva? Perché la massa segue incondizionatamente certi modelli e si ricorda solo cosa e successo tra un pasto e l’altro? Le guerre, la crisi… non ricordare con il passare del tempo diventa una consolazione. Come altrimenti si può abituare l’uomo ad alcune delle idee perverse del nostro mondo contemporaneo, se non aveva accettato “il dimenticare”. Come per esempio si può accettare una guerra in nome della democrazia o ammazzare persone innocenti nel nome di Dio? Come artista il mio scopo e sempre lo stesso da tempo: cercare di evidenziare i temi di oggi e renderli visibili. L’arte contemporanea ha una forza enorme quando i lavori “funzionano” e riempiono con emozione, e al contrario, può diventare illeggibile ai più, chiusa nel suo vocabolario per “addetti ai lavori”, se le manca uno spessore di vitalità e talento. E poi l’arte è per chi ha la passione e la necessità e la cultura per seguirla. 5. Nel documentario “E’borg, che patachedi” c’è anche una tua piccola intervista: lì parli, per esempio, del suono delle campane che ti accompagna vivendo così vicino alla Chiesa di San Giuliano. Cosa ti ha portato nel borgo e qual è stato l’impatto con la comunità, una volta trasferito qui? Era l’8 dicembre 1999, ore 14.30, la prima volta che ho visto il borgo, per caso. Mia moglie aveva casa lì, solo che io ancora non sapevo che lei sarebbe stata mia moglie ma, a quanto pare, il disegno del destino era già compiuto. È l’amore che mi ha portato nel borgo e che mi ha dato un buon motivo per vederlo con occhi speciali: l’atmosfera, gli odori, le case “a misura d’uomo”, la spiccata dose di simpatica pazzia che avevano alcuni borghigiani. Nel 2000 mi ci sono trasferito e già non lo guardavo più come turista: io osservavo il borgo e il borgo osservava me, spesso ci mettevamo a ridere entrambi. Nel 2006 ho fatto la mia prima mostra “Storie de’ borg”, sempre in quel periodo ho disegnato il presepe della chiesa ed abbiamo vinto come miglior presepe di Rimini. Prima di sentirmi accolto sono dovuti passare alcuni anni, ma io non ho mai creduto nelle amicizie veloci e facili, come non credo alle virtù del nomadismo sistematico, all’accumulazione illimitata dei prestiti culturali. Per sentirsi a proprio agio dentro a una

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sono in vena di citazioni a me pare che tua moglie non abbia niente da invidiare in quanto a scuse e giustificazioni al John Belushi del film “The Blues Brothers”. Per chiarirti quale potrebbe essere la virtù di Mustafà, te lo dico con una canzone di Vasco Rossi: “Colpa di Alfredo”. Questo Alfredo era un ragazzo di colore ai cui piedi cadevano tutte le ragazze della compagnia e così canta Vasco: “per me è la macchina che ha che conta…” e di certo e non si riferiva ad una automobile. Chiudo con questa vecchia storiella che ben si addice al tuo caso: “un marinaio rientra anticipatamente a casa e scopre che sua moglie si è chiusa in camera con un suo amico; guarda dal buco della serratura e vede che lei si toglie la camicetta e lui le da un pizzico su un braccio. Poi le da un bacio sulla guancia, infine lui incomincia a togliersi i pantaloni. A quel punto il marito sfonda la porta e urla: le hai tolto una pulce dal braccio e sono stato buono; le hai dato un bacio e va bene, è un segno di pace. Ma che tu, caro compare, voglia cagare sul pavimento di casa mia, questo proprio non lo accetto”. Salutami Bologna, P.S. Aldo, Beppe, Carlo e poi Mustafà; sei sicuro che tua moglie non ti abbia cornificato anche con, per esempio, Dino, Ercole, Federico… e così via?

cultura ci vogliono anni di apprendistato: la durata limitata della vita umana ci impedisce di andare al di là di due o tre esperienze del genere. Anche adesso, 15 anni dopo, non riesco a pensare al borgo come a una comunità omogenea, ci sono molte realtà ed io mi sento fortunato ad aver conosciuto e lavorato con diversi personaggi che hanno dato colore ed identità a questo posto. Nel documentario “E’ borg, che patachedi” parlo di una sensazione di eternità che mi trasmette ancora oggi questo luogo e il Ponte… Strati su strati di tempo, di storie, di visi… il suono delle campane che accompagna qualche vecchio borghigiano che se n’è andato, pare, quasi per scherzo… un ultimo scherzo, “che patachedi”. 6. Su quali progetti stai lavorando al momento? Quest’anno ho partecipato a quattro mostre: una al museo di Rimini, una personale a Plovdiv (la città che ha vinto il concorso per capitale europea della cultura insieme a Matera nel 2019), un’altra nella galleria Nazionale di Sofia, l’ultima a Venezia presso la Fondazione Giorgio Cini, “Map of the New Art - Imago Mundi Exhibition” (Luciano Benetton Collection). In questo momento sto lavorando a una serie di sculture per un progetto a Istanbul e successivamente una serie di disegni che porterò a Regensburg, Germania.

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