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La chiamata al sacerdozio di don Andrea Santoro

Il 2 dicembre 2022, il corpo di don Andrea Santoro (Priverno, 7 settembre 1945 – Trebisonda, 5 febbraio 2006), ucciso in Turchia mentre era in chiesa, è stato traslato nella parrocchia dei santi Fabiano e Venanzio, da lui guidata dal 1994 al 2000 Accogliamo di seguito la testimonianza della sorella

Prete diocesano

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Andrea manifesta una profonda religiosità fin da fanciullo, amava partecipare alla Celebrazione Eucaristica anche nei giorni feriali, e liberamente, dopo il gioco pomeridiano, si recava nella chiesa parrocchiale per fare il chierichetto nella Messa serale Ecco cosa scrive nell’ottobre del 1958, appena tredicenne al Parroco, don Paolo Rossi – di cui si ricorderà sempre –, il giorno prima di recarsi in seminario: «Come già sapete, domani mattina mi recherò in Seminario, quindi malgrado senta un dispiacere nel dovervi lasciare, provo però un’immensa gioia potendo dopo tanto raggiungere il mio ambiente e formare lì la mia cultura per il sacerdozio, incoraggio così quelli che avessero come me questa intenzione di rispondere senza indugio alla chiamata del Signore Non nascondo però che nell’andare via da questa parrocchia, nell’accomiatami da voi provo un senso di grande dispiacere, vi assicuro però che il mio cuore sarà sempre in mezzo a voi, come una volta e vorrei che anche voi faceste altresì ricordandovi di me soprattutto nella preghiera Concludo così queste brevi parole di commiato, scusandomi con quelli con i quali ho potuto mancare e porgendo un po ’ a tutti, in prima fila al Presidente e ai Capigruppo, dei ringraziamenti perché veramente oltre ad essere degli amici sono stati per me anche dei fratelli, ma soprattutto ringrazio lei don Paolo che con i suoi più fervidi consigli ha saputo instradarmi

di Maddalena Santoro

nella strada del Sacerdozio» (lettera di saluto al parroco e ai capi-gruppo della parrocchia, cf. l’epistolario L’anima di un pastore, Ed San Paolo 2019, n 65)

Così Andrea, dopo gli anni di studio e di formazione nel seminario romano lateranense, riceve l’Ordine Sacro il 18 ottobre 1970 a 25 anni

Nei suoi scritti (diari e lettere) ricorda spesso l’anniversario della sua ordinazione, quanto vissuto in quel momento e negli anni, che via via trascorrono, del suo sacerdozio Andrea sentiva fortemente la vocazione a prete diocesano, nel suo percorso di vita ha fatto molti pellegrinaggi (a Roma, in Italia, In Europa, in Medio Oriente) e conosciuto molti ‘santi’ apprezzandone la spiritualità legata al Vangelo per viverla anche lui nella vita quotidiana di sacerdote ovunque il Signore lo volesse, nella gioia e nel dolore.

Un Anno Speciale

Nel 1980 chiede al suo superiore, il cardinale Ugo Poletti vicario di Roma, un anno sabbatico da trascorrere nella Terra Santa e l’ottiene Di questo viaggio ci rimane un bellissimo diario (cf Diario di Terra Santa 1980-1981, Ed San Paolo 2010) Il 18 ottobre 1980, nel decimo anniversario del suo sacerdozio, ricordando quel giorno e rinnovando il suo impegno, scrive nel diario: «Decimo anniversario di messa. San Luca… Rito dell’ordinazione presbiterale. Esercitare la funzione di maestro, pastore, guida, capo, adunatore della famiglia di Dio. Dare gioia, con la mia condotta, al popolo di Dio. Credere in ciò che faccio, imitare ciò che faccio Insegnare ciò cui credo, praticare ciò che insegno Agire in comunione col vescovo, subordinatamente a lui Offrire il popolo nell’offerta eucaristica, santificarlo, facendolo partecipe dell’offerta santa di Cristo, annunciando il perdono, rigenerando col battesimo, pregando nella liturgia delle Ore, annunciando la Parola Accogliere i doni del popolo nel pane e nel vino» Riguardo all’azione pastorale rivolta verso ogni persona scrive: «Non solo il servizio della carità medica e sociale o psicologica o fraterna, non solo la solidarietà nella giustizia, ma il servizio della carità liturgica, l’ufficio sacerdotale di Cristo ... Chi andrà Signore? Se vuoi, manda me… se lo vuoi mostramelo dimmi dove, come, quando, con chi » Non dimenticherà mai quel viaggio è lui stesso a confi- darlo al suo superiore ancora nel 1989, narrandogli il suo vissuto dopo circa dieci anni dal viaggio e venti dalla sua ordinazione: «Il Signore in questi anni mi ha provato: mi ha fatto provare cose che non avrei mai immaginato, mi ha scavato come forse è giusto che accada per un pastore Non voglio abbandonare il gregge ma servirlo in un modo diverso: dal di dentro, in un modo nascosto, occupando il cuore delle persone, in un modo che io stesso ho scoperto in quel “viaggio” che non riesco a dimenticare e che è fresco come se fosse di ieri. È tirarsi indietro? È un’illusione? È un ’evasione?

Ma è giusto avvertire che trascuro sempre di più “l’essenziale”, non solo per me ma per il gregge A volte mi guardo dall’esterno e scuoto la testa: è come se stessi riducendo male il mio ministero, anzi il ministero del Signore»

Don Andrea era molto attento alla sua formazione e crescita spirituale, durante quell’anno prezioso della sua vita scrive ai suoi genitori: «Diciamo, anche noi preti, di credere in Dio, ma poi non gli diamo spazio e tempo. Alla fine ci accorgiamo di credere solo in noi stessi e che le nostre parole sono vuote, le nostre azioni e le nostre iniziative sbiadite, la nostra vita opaca, i nostri progetti senza grinta, ma molto terra terra Sto rileggendo la Bibbia, ma come una cosa che parla di me, come una strada mia. Sto seriamente pensando a quello che c’è scritto, seriamente cerco di mettermi davanti a Dio, seriamente prendo in considerazione come ci presenta la vita, cosa ci propone».

La sua particolare vocazione

Nel 2000, anno della sua partenza come Fidei Donum in Turchia, trent’anni dopo la sua ordinazione, così parla ai parrocchiani che lo interrogano sulla sua vocazione, riassumendo anche un po ’ la sua vita: «Da ragazzo il Signore mi ha concesso il desiderio di portare gli uomini a lui e di mettermi a loro servizio. Mi ha concesso di farlo in mille modi, servendosi della mia totale povertà e nonostante i miei ripetuti tradimenti Dopo dieci anni di sacerdozio mi ha portato in Medio Oriente per un periodo di sei mesi, per un desiderio impellente che sentivo di silenzio, di preghiera, di contatto con la parola di Dio nei luoghi dove Gesù era passato. Lì ho ritrovato la freschezza della fede e la chiarezza del mio sacerdozio Andando io vorrei (se Dio lo vorrà), attingere e consegnare anche a voi un po ’ di quella luce antica e darle nello stesso tempo un po ’ di ossigeno perché brilli di più Sento questo invio, che affronto a nome della Chiesa di Roma, come uno scambio: noi abbiamo bisogno di quella radice originaria della fede se non vogliamo morire di benessere, di materialismo, di un progresso vuoto e illusorio; loro hanno bisogno di noi e di questa nostra Chiesa di Roma per ritrovare slancio, coraggio, rinnovamento, apertura universale». Questa chiamata particolare don Andrea l’avvertiva da tanti anni e ne aveva fatto richiesta fin dal 1980, dopo il viaggio nella terra di Gesù e degli Apostoli, della Chiesa nascente Amava la Chiesa ‘popolo di Dio’, ma era rispettoso anche della sua istituzione, di cui a volte soffriva quando essa chiudeva le porte invece di aprirle, quando non era abbastanza ‘Chiesa in uscita’, come oggi papa Francesco ci esorta a fare, quando non è ‘attrattiva’ con la testimonianza

L’11 settembre 2000 parte per la Turchia, stabilendosi, su richiesta del vescovo del luogo, in Anatolia, prima a Urfa-Harran e poi a Trabzon Ogni tre mesi doveva uscire dalla Turchia per rinnovare il passaporto. In quei periodi si recava nelle parrocchie dove lo invitavano, in tutta l’Italia, per dare testimonianza

Il 15 settembre del 2004 scriveva ai parrocchiani di Roma: «Tre cose servono: l’amore per Cristo, l’amore fraterno, l’amore per gli altri prestando se stesso a Cristo perché Lui possa essere in mezzo a loro Un altro desiderio occorre: quello di fare da “finestra” cioè passaggio di luce per comunicare ciò che abbiamo di più prezioso e accogliere ciò che gli altri hanno di più prezioso abbiamo cercato di essere noi una Chiesa vivente, spargendoci in preghiera e col cuore aperto in mezzo nella città, abbiamo condiviso la parola di Dio e le domande che salgono dal cuore quando gli si concede un po ’ di riposo e un po ’ di silenzio Dio parla: è l’ascolto che permette di sentirlo Certo mette un po ’ in subbuglio ma poi la pace dilaga e lo spirito riprende vita» (i brani scritti dalla Turchia sono pubblicati in Lettere dalla Turchia, Ed Città nuova 20162)

Era cara a lui anche l’immagine della ‘porta aperta’ tra noi vicini e con i lontani perché scriveva: «Dialogo e convivenza non è quando si è d’accordo con le idee e le scelte altrui ma quando gli si lascia posto accanto alle proprie e quando ci si scambia come dono il proprio patrimonio spirituale, quando a ognuno è dato di poterlo esprimere, testimoniare e immettere nella vita pubblica oltre che privata. Il cammino da fare è lungo e non facile»

Nell’ultima lettera scritta a noi ex-parrocchiani di Roma il 22 gennaio 2006, pochi giorni prima di ricevere il martirio, così ci saluta:

«Vi lascio ringraziandovi dell’accoglienza nelle tre settimane trascorse a Roma Ringrazio Dio di quanti hanno aperto il loro cuore. Ma sia ancora più aperto e ancora più coraggioso La mente sia aperta a capire, l’anima ad amare, la volontà a dire “sì” alla chiamata Aperti anche quando il Signore ci guida su strade di dolore e ci fa assaporare più la steppa che i fili d’erba Il dolore vissuto con abbandono e la steppa attraversata con amore diventa cattedra di sapienza, fonte di ricchezza, grembo di fecondità Ci sentiremo ancora Uniti nella preghiera vi saluto con affetto Potete scrivere i vostri pensieri, fare le vostre domande, esprimere le vostre proposte Insieme si serve meglio il Signore don Andrea»

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