Gli artefatti 1/2
tipografia espressiva 9
Spezza i bianchi col cuneo rosso El Lisickij 1919 Napoleon Jan Tschichold 1927 Numeri Giovanni Pintori 1949 Semantic Sonata no.2 Anthony Froshaug 1950
La presente mappa temporale pone ogni immagine utilizzata per l'analisi degli artefatti nel Paese e decennio corrispondente. Per la legenda si rimanda alla codifica dell'indice delle immagini, consultabile a pag.84. Sono state usate delle abbreviazioni.
10 artefatti
1900 fra ita deu che gbr rus
Mappa dei contenuti
1. Spezza i bianchi col cuneo rosso
3.5 Olivetti M1
6.3 X Biennale
1.3 Sintesi futurista della guerra
3.3 Carattere etrusco
3.2 logotipo Olivetti
3.4 Olivetti Studio 44
5.1 Atrosil B Dompè
3. Numeri
1.4 Per la voce
1.2 Vchutemas
1.1 Il Costruttore
2.1 Mostra di Weimar
2.2 Elementare Typographie
2. Napoleon
usa 1910 1920 1930 1940
2.3 Die Frau ohne Name
6.8
7.1
7.3
6.2
tipografia espressiva 11
5. Alfieri & Lacroix, 27 serie
7. Oui a la Révolution
8. The conversion of St. Paul
6. 33a Biennale
32a Biennale
6.5 39a Biennale
logotipo Feltrinelli
8.1 Typographische Monatsblätter
8.2 Information/Texture
6.4 26a Biennale
6.1 Pirelli Velo
6.6 45a Biennale
5.2 marchio IWS
5.4 Alfieri & Lacroix, L'evoluzione della grafica
5.3 Alfieri & Lacroix, senza titolo
e 7.2 fotografie dell'Atelier
e 7.4 manifesti dell'Atelier
6.7 31a Biennale
4. Semantic Sonata no.2
4.1 Copertina per ulm
4.2 Composizione semantica
8.4 Fuse 1
1950 1960 1970 1980 1990 2000
8.3 Emigre
12 el lisickij 1
Spezza i Bianchi col cuneo rosso
Tipologia: Manifesto politico
Tecnica: Litografia
Data: 1919
Progettista: El Lisitskij
Committente: Autoprodotto, poi utilizzato per il gruppo UNOVIS
Stampatore: Autoprodotto, Scuola d’arte di Vitebsk
tipografia espressiva 13
L’esperienza di El Lisitiskij ci mostra come ad inizio Novecento la progettazione grafica fosse molto vicina all’arte — come lo è stato, con accezioni diverse, per i cartellonisti italiani —, e fosse quindi carica di ideali sociali e ideologie politiche.
La spinta rivoluzionaria che aveva scosso l’Europa occidentale di fine XiX secolo troverà il suo spazio in Russia qualche anno più tardi, sfociando prima nella rivoluzione sovietica del 1905, per culminare poi in quella d’Ottobre. Questo strappo con il realismo ottocentesco ha una tale carica da portare la neonata Unione al centro della scena dell’arte europea: è qui che l’astrattismo si manifesta non solo come corrente artistica, bensì anche politico-sociale, cambiando paradigmi di produzione e comunicazione, ripresi in seguito anche nel resto del continente.
Gli intellettuali e artisti russi erano a loro volta ben attenti alle avanguardie d’Occidente, e difatti le influenze cubiste e futuriste sono vitali per la nascita dell’astrazione assoluta di Malevič, fautore del Suprematismo — “ovvero il mondo della non-rappresentazione” — il quale cerca un’istanza pura e libera, slegata da impegni concreti. La situazione si ribalta con la rivoluzione bolscevica, la quale necessita di un’arte che integrasse le idee e i bisogni della società comunista, rifiutando gli atelier borghesi e avvicinandosi al proletariato. È in questo contesto che El Lisickij, inizialmente grande compagno di Malevič, fece del suo Costruttivismo un movimento pratico, diretto, che si relaziona al quotidiano attraverso pubblicità, composizione tipografica, produzione industriale e architettura.
Lisickij crea di fatto una sintesi tra Suprematismo e Costruttivismo, grazie alla quale opererà in diversi campi e Paesi. Sono infatti da ricordare i suoi viaggi in Germania, dove lavora come ambasciatore della cultura dell’URSS: qui incontra personalità come Schwitters e Moholy-Nagy, ed intraprende dialoghi anche con altri frequentatori della scuola Bauhaus — che aveva molte affinità con la scuola Vchutemas di Mosca, dove lo stesso Lisickij insegna per breve tempo. Il quadro Spezza i Bianchi col cuneo rosso, risalente al 1919, può essere considerato il primo manifesto costruttivista creato da Lisickij.
È un manifesto nella doppia accezione del termine: sia nel suo senso Novecentesco, indicando un artefatto che indica gli ideali di gruppi e movimenti artistico-culturali — in questo caso in forma non testuale —, sia come forma di comunicazione stampata figlia dell’affiche francese. Lisickij infatti usa la tecnica litografica per riprodurre l'opera, che diviene così manifesto. Tappezza poi le strade di Vitebsk, città madre del gruppo UNOVIS, di cui l’artista-tipografo faceva parte: così portava a compimento una delle frasi dell’amico poeta Majakovskij, “le strade siano
14 el lisickij
1.1 1.2
De Micheli (2017)
Majakovskij (1918)
i nostri pennelli, le piazze le nostre tele” — di chiara aspirazione socialista. La propaganda non poteva che essere così rappresentata: dietro le figure geometriche elementari di triangolo (il cuneo) e cerchio si celano significati di politica rivoluzionaria. La forme utilizzate inneggiano all’energia e vitalità dell’Armata Rossa — il triangolo rosso, appunto — che dilania e apre la figura morbida e molle del cerchio bianco, simbolo dei controrivoluzionari.
L’utilizzo di pochi colori è tipico di Lisickij e della sua corrente, che sfrutta appieno anche gli spazi vuoti della composizione. Quest’ultima sottolinea la novità e potenza del costruttivismo attraverso una diagonale, anch’essa elemento ricorrente. Si può notare la ripresa di un noto manifesto futurista, Sintesi futurista della Guerra creato pochi anni prima da Marinetti ed altri esponenti italiani. Linee e forme vogliono essere protesta contro il “passatismo”, ovvero la monotonia degli stampati fino ad allora presenti.
La frase che dà il titolo all’artefatto, posta per scuotere il lettore, è infatti scomposta: ogni parola segue un altro elemento, e la linearità cede ad una costruzione e dematerializzazione continua tra lettera e figura — qui dialoganti e intrinsecamente uniti.
Il testo che segue il dinamismo dell’intera composizione mostra il significato stesso che Lisickij attribuiva alle lettere: nel suo successivo scritto Topographie der Typographie del 1923 — non a caso pubblicata in Merz, la rivista di Kurt Schwitters —, il grafico russo espone i suoi principi teorici di composizione, strettamente legata al contenuto. Significato e significante operano insieme e si susseguono l’un l’altro: la configurazione dello spazio e dei suoi elementi devono “corrispondere alle tensioni di trazione e di pressione del contenuto”.
Il manifesto Lisickijano è il primo sintomo della sua intuizione ai temi e mezzi della modernità, quali la comunicazione di massa attraverso il manifesto, e la composizione tipografica “a freddo”, in quegli anni agli albori con la Uhertype. In questo modo Spezza i Bianchi col cuneo rosso si colloca tra i primi esempi di riflessione sull’uso della tipografia come espressione cardine del messaggio di un artefatto grafico; predecessore del noto lavoro sul libro Per la voce di Majakovskij, dove Lisickij forzerà i limiti tecnici del torchio tipografico.
tipografia espressiva 15
1.3 1.4
Polano, Vetta (2002)
Lisickij (1923)
1.1 1.3
1.2 1.4
18 jan tschichold 2
Napoleon
Tipologia: Manifesto per il cinema
Tecnica: Litografia
Data: 1927
Progettista: Jan Tschichold
Committente: Cinema Phoebus-Palast, Monaco
Stampatore: Gebrüder Obpacher AG, Munich
tipografia espressiva 19
Jan Tschichold è tra i più influenti personaggi della tipografia del secolo breve. La sua vita è da molti definita passare tra due estremi, quello modernista della scuola Bauhaus, e quello “neo-tradizionalista” inglese.
Il suo metodo progettuale rimane in realtà sempre coerente, avendo sia solide basi teoriche sia specifici fini pratici. Grazie alla sua sensibilità rispetto ai mezzi del suo tempo, ripensa la tipografia e la comunicazione toccando anche temi sociali e politici, influenzando le metodologie progettuali successive. Si forma a Lipsia, città centro della cultura editoriale tedesca di inizio Novecento, dove studia tipografia e calligrafia — con gli esempi di Delitzsch, Von Larisch e anche di Johnston, oltre che del suo stesso padre, calligrafo e scrittore d’insegne. Ha quindi una formazione diversa rispetto ad altri grafici a lui contemporanei, che avevano per lo più studiato architettura o belle arti.
Difatti, nel primo dopoguerra, la Germania della Repubblica di Weimar era terreno d’incontro di personaggi e idee nuove, dove ai suoi ferventi Kabarett e vivaci incroci d’avanguardie si mischiano inflazione, crisi economica e realtà distopiche come quelle di Metropolis: il clima è di rinnovamento e rifiuto del passato, accompagnato da una grande sensibilità del presente e delle sue complicazioni. È proprio a Weimar che si allestisce la prima mostra della scuola Bauhaus del 1923: le istanze razionaliste di Moholy-Nagy e costruttiviste di Lisickij delucidano il giovane visitatore Tschichold sul futuro stesso della tipografia. Questo prevedeva di lasciare gli aspetti degli stampati che fino a quel momento erano comuni, soprattutto nell’area tedesca: l’utilizzo di caratteri gotici, un’impaginazione fortemente statica, l’uso costante di illustrazioni e la poca accortezza verso una comunicazione pubblicitaria che fosse diretta. Avendo già esperienza lavorativa nel campo editoriale, Tschichold traduce le proposte Bauhausiane e avanguardiste in modo che fossero comprensibili dai tipografi, al fine di “declinare la teoria in termini pratici” e di conseguenza diffonderla. Gli impulsi per questo modo di comunicare derivano infatti da persone esterne al settore della grafica, soprattutto artisti che volevano scardinare le regole precedentemente imposte (un percorso tipico delle avanguardie, che partendo dall’arte applicano poi i loro principi alla società): si necessitava di un teorizzatore che fosse capace di porsi nel mezzo tra arte e tecnica, idea e pragmatismo; ed è in questo frangente che Tschichold distilla il suo pensiero.
Il primo testo che esprime la teoria essenziale del nuovo movimento è Elementare Typographie, pubblicato nel 1925 in Typographische Mitteilungen, la rivista tedesca degli stampatori. Qui Tschichold riprende concetti importanti già impartiti da Moholy-Nagy e Lisickij (soprattutto nel suo Topographie der Typographie di pochi anni prima), riportandoli con cura e precisione. Successivamente, con il saggio del 1928
20 jan tschichold
2.1 2.2
Kinross (2005)
Die Neue Typographie, si mettono a punto le ultime regole che consacrano il modernismo “eroico” — inteso come quello tra le due guerre, per distinguerlo dallo swiss style degli anni della ripresa — come unica possibile espressione dell’era moderna.
Tschichold infatti credeva che la tipografia e la comunicazione avessero uno scopo preciso, la cui base risiedesse nello Zeitgeist stesso dell’epoca di appartenenza. E gli anni di Tschichold mostrano diversi segni di cambiamento rispetto al secolo precedente: in primo luogo i nuovi mezzi di produzione di litografia e fotografia; l’utilizzo dei caratteri sans-serif — di origine più antica ma tornati in auge a fine Ottocento —; ed infine una tipografia che fosse “libera” dall’essere solo del libro, ma che entra nella vita quotidiana della nascente società di massa attraverso riviste, quotidiani, manifesti. La “vecchia tipografia” era ormai preistoria, e il Novecento richiedeva ordine, organizzazione e velocità, ovvero tutte le caratteristiche della neonata industria, da rispecchiare anche nella progettazione visiva — infatti afferma come “la comunicazione [debba] apparire nella forma più breve, semplice e immediata”.
Tra i primi e più famosi esempi di Nuova Tipografia da parte di Tschichold si ritrova il manifesto Napoleon per il cinema Phoebus Palast di Monaco, dove Tschichold insegnava nella Meisterschule für Deutschlands Buchdrücker (ovvero la Scuola tedesca di specializzazione per stampatori di libri). Progettato nel 1927, incarna tutti i principi elencati nei suoi scritti teorici.
La composizione è dinamica e asimmetrica, da destra verso sinistra, per sottolineare la velocità e il movimento del nuovo medium pubblicizzato, il cinema. Quest’ultimo è posto in enfasi anche dall’uso della fotografia, da utilizzare sempre al posto dell’illustrazione: la figura di Napoleone a cavallo, circondata da un grande cerchio rosso, spinge il lettore-visualizzatore verso il nuovo metodo di riproduzione delle immagini.
Il titolo della pellicola è qui posto sulla diagonale della composizione, utilizzando un carattere rigorosamente sans-serif, considerato essenza stessa del tempo moderno ed universale, lontano da “stilismi” locali come i gotici. Nell’intera serie dei manifesti per il Phoebus Palast, i testi scelti saranno composti tutti in sole maiuscole, nonostante Tschichold nei suoi scritti prediliga l’uso dei caratteri minuscoli — una scrittura con queste lettere è considerata più “veloce ed economica”.
Una grossa freccia rossa (colore derivato dall’influenza costruttivista) indica inoltre la tabella dove sono inserite le informazioni principali riguardanti orari e giorni della proiezione. L’uso di frecce e filetti oltre che di altri elementi geometrici semplici è fortemente consigliato, poiché “rinforzano la
tipografia espressiva 21
2.3
Mosley (2001)
Tschichold (1925) ibid.
struttura e aumentano la tensione e il dinamismo complessivo”. Difatti si nota come la composizione abbia punti focali ben precisi, anche grazie ad un’attenzione verso il bianco della pagina, e porti il lettore a concentrarsi sulle notizie più importanti. L’uso delle tabelle è un ulteriore nodo tecnico sciolto da Tschichold, il quale vi si sofferma sottolineando in esse la necessità di ordine e gerarchia.
L’idea portante è quella di perseguire uno scopo che pervada sia i dettagli dell’artefatto — le questioni formali — sia il contesto dello stesso nella società — le questioni sociali. Lo scopo della Nuova Tipografia è per Tschichold la funzionalità, intesa come una parola “ben composta” che fosse al di là di qualsivoglia “stile”. Negli anni seguenti e nel secondo dopoguerra, le teorie di Tschichold saranno interpretate in modi diversi — a suo dire, creando stilismi e decorazioni come feticcio dell’estetica industriale, l’esatto opposto da lui predicato — e lui stesso parlerà di Nuova Tipografia con toni più pacati (ad esempio, non condannerà più l’uso dei caratteri graziati o l’impaginato simmetrico).
Si può dire come Tschichold sia stato pietra miliare nella riflessione sulla tipografia: partendo dalle istanze artistiche d’avanguardia egli ha saputo interpretare in maniera tecnica e pratica il rapporto tra forma e contenuto nella composizione. Ha inteso quest'ultimo come espressione ultima della progettazione visuale, avendo comunque a mente ordine e organizzazione.
22 jan tschichold
Lussu (2010)
Tschichold (1925)
2.2
2.1
2.3
24 giovanni pintori 3
Numeri
Tipologia: Manifesto pubblicitario
Tecnica: Cromolitografia
Anno: 1950
Committente: Olivetti, Milano-Ivrea
Stampatore: Amilcare Pizzi S.A (MI)
tipografia espressiva 25
La "civiltà delle macchine" tanto desiderata dai futuristi di inizio Novecento, aveva ormai preso vita anche Italia già dal periodo tra le due guerre ed entra ufficialmente nella vita quotidiana negli anni della ricostruzione.
La nascente società di massa e i nuovi mezzi comunicativi di radio e, successivamente, televisione — oltre che la nascita di fiere nazionali e dei prodotti in scatola — investono la progettazione grafica di un ruolo cruciale nel nostro sistema socio-economico. Mentre negli anni Trenta ci si districava ancora tra pubblicità e propaganda, dopo la "svolta italiana" del secondo dopoguerra la comunicazione visiva è al centro di complesse strategie di mercato che hanno segnato il definitivo passaggio da una disciplina artigianale ad una tecnica. In questo contesto di vibrante ascesa capitalistica, le aziende stesse assumono il controllo dei prodotti e degli stili di vita dei consumatori — che inevitabilmente sono inclinati al conformismo. Fortunatamente, alcune delle imprese si rivelano attente non solo alla produzione, bensì anche alla ricostruzione etica ed intellettuale del Paese: un caso esemplare è l'Olivetti di Ivrea (e poi Milano).
L'utopia estetico-sociale e imprenditoriale di Adriano, figlio del fondatore, cerca di mediare tra cultura umanistica e scientifica. Il progetto di Adriano si basa su un sapiente rinnovamento d'azienda su tutti i fronti: lo studio della comunicazione olivettiana dagli spazi architettonici ed espositivi sino alla pubblicità e brochure — oltre che la riorganizzazione interna dell'impresa — creano la cosiddetta "via alla grafica coordinata italiana".
L'espansione di Olivetti attrae a sé importanti progettisti, e lo stesso Adriano crea un apposito Ufficio Tecnico di Pubblicità, punto d'incontro di rilievo per diverse personalità italiane e straniere. È peculiare qui l'esperienza di Giovanni Pintori, il quale entra in azienda nel 1936 e ne sposa la causa per i successivi trent'anni, creando una "comunicazione orientata verso un progresso sociale che invitava il progetto grafico a fare della forma stessa della comunicazione uno strumento pedagogico e culturale".
Si mette quindi a punto un linguaggio visivo che fosse espressione di una società evoluta e progressista, di cui Olivetti fu grande esponente e Pintori traduttore e interprete, mediante grandi investimenti in ambito culturale, visivo e tecnologico. La maggiore ricerca olivettiana sta proprio in quest'ultimo ambito: negli anni Cinquanta le macchine calcolatrici renderanno l'azienda pioniera dell'industria elettronica; difatti riesce a tenere testa, seppur per breve
26 giovanni pintori
Baroni, Vitta (2003) ibid.
tempo, ai colossi americani emergenti almeno fino alla gestione di Adriano del decennio successivo.
Il manifesto Numeri del 1949 è tra i principali a promuovere l'intero ambito dei calcolatori; in particolare sarà utilizzato anche per la brochure della Divisumma 14 con design di Nizzoli su progetto meccanico di Capellaro.
Nonostante l'apparente freddezza dei temi da affrontare, Pintori rappresenta le principali funzioni del prodotto senza mostrarlo didascalicamente, attraverso metafore visive allo stesso modo dirette e leggere, quasi “poetiche”. La grande mole di calcolo possibile dalla macchina e la ripetizione continua nel premere i suoi tasti sono rese mediante alternanze di colore ed un sapiente uso della tipografia. In questo caso, trattandosi della Divisumma, sono presenti le sole cifre in diverse tipologie di caratteri — si notano infatti graziati e bastoni, tondi, corsivi, chiari e neretti. Il tema dell’aritmetica si fonde con il dinamismo dell’azienda stessa, rappresentati entrambi dal pattern tipografico-numerico in egual modo regolare e diversificato.
Nella festosità di colore presente nel manifesto si nota il logotipo aziendale al centro: posto in bianco, risalta perfettamente dallo sfondo per contrasto. Il disegno, del 1949, è dello stesso Pintori. Richiama in parte quello precedente di Xanti Schawinsky del 1934, con il carattere Pica, di chiara rievocazione dattilografica. Nel corso degli anni l’uso del logotipo del designer svizzero coesiste con altri, così Pintori riporta l’ordine nell’immagine coordinata con un nuovo disegno, scegliendo di basarsi sul carattere Etrusco delle fonderie Nebiolo (circa 1920), già utilizzato in alcune pubblicazioni. Si marcano fortemente i singoli caratteri con un neretto abbondantemente spaziato, ottenendo un risultato geometrico che riserba sempre respiro umanistico e si adatta meglio ai nuovi prodotti aziendali, che non comprendono più solo macchine da scrivere. L’evoluzione del logotipo continuerà con altri attori, e proprio il cambio del marchio mostra la caratteristica dell’azienda di essere varia nella sua unità: si è lasciata libertà d’interpretazione, che confluisce comunque nell’immagine generale e riconoscibile di Olivetti — fissata definitivamente negli anni Settanta con i “Libri Rossi” di Walter Ballmer, i quali delineano un progetto storico di identità visiva aziendale.
Il connubio tra saperi tecnici e umanistici, la combinazione tra durezza matematica dei prodotti e facilità d’uso degli stessi, oltre che l’unione tra cultura e tradizione con la modernità, sono argomenti centrali dell’intera azienda. Difatti diversi altri manifesti sono portatori di questi ideali: tra
tipografia espressiva 27 Pasca (2016)
3.1 3.2 3.3
tutti, la pubblicità per la Olivetti Studio 44, nella quale Pintori affianca Sinisgalli e Nivola; e il famoso manifesto di Ferrari per la M1, nel quale è Dante stesso a invitare gli italiani a utilizzare le macchine da scrivere — quest'ultimo risulta di rilievo pur essendo appartenente all’era dei “cartellonisti” e quindi avente connotazioni visuali ancora legate ad un’illustrazione tardo-ottocentesca.
L’azienda di Ivrea diviene quindi simbolo di come il progetto possa diventare qualità intellettuale della società, e mostra come l’identità visiva possa essere portatrice di un’idea di civiltà industriale che sia anche comunità.
28 giovanni pintori
3.4 3.5
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
30 giovanni pintori 30 Progetto grafico 4/5, febbraio 2005 4
Semantic Sonata No.2
Tipologia: Manifesto*
Data: 1950
Progettista: Anthony Froshaug
Committente: Stefan Themerson
Stampatore: Gaberbocchus Press
*Non corrisponde alla definizione esatta di "manifesto". Froshaug è la figura che nell'analisi più si discosta dagli altri nella produzione di artefatti, poiché si concentra più sui libri. Sembrava in ogni caso doveroso includerlo, per il suo collegamento con Tschichold e le novità apportate grazie al suo rapporto con Stefan Themerson. Inoltre, la storia incompiuta dell'artefatto rende il suo formato peculiare: nonostante sia stato pensato per essere un libro, il quartino rimane ai nostri occhi quasi fosse un manifesto, avendo perso il suo contesto e suo oggetto di appartenenza.
tipografia espressiva 31
Nel corso del Novecento, il Regno Unito si è ben distinto dal resto del continente europeo. L’esperienza delle Arts&Craft di William Morris ad inizio secolo e successivamente il predominio della Monotype Corporation di Stanley Morison, hanno volutamente lasciato da parte le istanze della Nuova Tipografia. Paradossalmente, nonostante l’Inghilterra fosse la patria primigenia della rivoluzione industriale, non ha subito colto le teorie progettuali che si addicevano all’era moderna.
Lontano anche dai tumulti delle avanguardie, nuovi impulsi nacquero solamente dopo la guerra. Nel contesto post-bellico infatti, la tipografia era guidata da condizioni di necessità e di uso in tutta Europa. Anche in Inghilterra esse spingono verso nuove visioni e una nuova ricostruzione di un ordine sociale che ora abbraccia uno spirito di inclusione eclettica, includendo il Modernismo e la Nuova Tipografia; ponendo poi le basi per ciò che verrà chiamato New Wave negli anni Ottanta. Anthony Froshaug è tra i progettisti inglesi che più ha implementato i nuovi stimoli che hanno smosso il suo Paese nel dopoguerra. Egli infatti segue le teorie di Tschichold — dopo aver letto il suo Die Neue Typographie nel 1944 — e porta una visione radicale della nuova tipografia in Inghilterra. Opererà inizialmente al di fuori delle istituzioni consolidate, lavorando come freelance in Cornovaglia presso una stamperia privata di sua proprietà, e solo successivamente insegnerà alla HfG di Ulm (Höchschule für Gestaltung, considerata come continuità dell’era Bauhausiana) a partire da fine anni Cinquanta.
Durante la sua carriera, Froshaug scrive alcuni testi di critica e teoria tipografica, e anticipa in parte pensieri oggi ripresi da diversi semiologi e progettisti grafici — come Harris, Kinross, Lussu. Egli sostiene che “il trionfo di Gutenberg” — seppur non chiamandolo in questi termini — stia proprio nell’uso dei caratteri mobili rimasto pressoché identico nel corso di secoli. A causa di questo la composizione tipografica ha perso le possibilità di “interpretazione e collaborazione”, presenti invece nella scrittura amanuense e manuale. Froshaug accusa quindi le convenzioni occidentali di aver limitato la sperimentazione, favorendo solo una tipografia statica, e ricerca un cambiamento che sfrutti appieno le capacità d’espressione della lettera.
La sua analisi sui cambiamenti del mestiere del tipografo, non più artigiano ma ormai operaio industriale, mostra inoltre come gli standard imposti dalla società di massa avessero appiattito l’orizzonte creativo, chiedendo “modelli più rigidi, specializzati e centralizzati”. La profonda critica che muove alla società — “In the archetype of our society, no man is a responsible or creative individual; every man is trained from birth by environmental pressure not to wish to be responsible or creative” — chiarisce anche
32 anthony froshaug
4.1
Kinross (2005)
ibid.
Froshaug (1947)
la sua scelta di lavorare in modo indipendente in Cornovaglia. Come altri prima di lui — tra tutti Tschichold — Froshaug rivendica una tipografia che sia chiara, che esponga al meglio il contenuto del testo secondo i suoi significati, e non sia per questo rigida. L’incontro con il poeta polacco Stefan Themerson, avvenuto sempre nel 1944, sarà di vitale importanza per il progettista inglese: i due collaborano, anche se per breve tempo, nelle loro sperimentazioni tra letteratura e tipografia, logica e spensieratezza.
Themerson è una figura peculiare sia per la letteratura che per la progettazione visiva. Nel corso della sua esperienza nell’editoria con la sua Gaberbocchus (1948-1979), riflette sulle caratteristiche semiologiche e semantiche delle parole: è il caso della sua “traduzione semantica”. Utilizzando testi di altre lingue — lui stesso aveva scritto in polacco, francese, e infine inglese — traduce le singole parole con le definizioni del dizionario. Partendo da qui, Themerson stesso scriverà poesie — le “poesie semantiche”, appunto — introducendo il suo concetto di “giustificazione interna verticale”, che ad oggi potrebbe essere chiamato un esempio di sinsemia.
“Questo, ovviamente, crea un problema tipografico. Il metodo in sé è semplice: sostituire alcune delle parole chiave della poesia con le relative definizioni. Ma come farlo tipograficamente? Come rimpiazzare un elemento atomico con il lungo nastro del suo spettro? In breve: come stampare cinque, dieci, quindici parole al posto di una in modo che si tengano insieme in una sola entità? Sì, ma la topografia tipografica di una pagina stampata non è forse bidimensionale? Essa viene scandita non solo da sinistra a destra, ma anche dall’alto in basso. Quindi, se ho un certo numero di parole che formano una sola entità, un bouquet di nomi che definiscono una rosa, perché non posso scriverle come scriverei le note di un accordo musicale, una sotto l’altra invece che una accanto all’altra?”
Nel 1950, Themerson chiede a Froshaug di progettare lo stampato di una sua “sonata semantica”, nella quale la giustificazione interna verticale è propriamente usata come processo di composizione poetico e visivo, figurale e letterale. Tristemente, la collaborazione fu interrotta a causa della mancanza di fondi per l’autoproduzione, e della Semantic Sonata no.2 è rimasto solo il quartino di presentazione. Inizialmente è composta a due colori (rosso e nero, ancora una volta una citazione della Nuova Tipografia), poi lasciata solo in nero.
Si leggono i primi versi di tipografia semantica, i quali introducono la struttura del poema: la composizione a bandiera e gli accapo permettono di dividere i contenuti, ri-arrangiano lo spazio della pagina e conferiscono ritmo visuale e di lettura. Il carattere graziato è opportunamente e otticamente spaziato,
tipografia espressiva 33
4.2
Themerson (1965)
Lussu (2005)
il che riprende gli iniziali caratteri mono usati da Themerson, con la macchina da scrivere.
Le indentazioni creano il significato stesso della composizione: le frasi coordinate sono allineate tra loro, le subordinate sono fatte rientrare; ogni congiunzione e ogni avverbio sono isolati dal testo.
Il dialogo tra Froshaug e Themerson risulta significativo per ciò che concerne la disposizione tipografica dei significati, e declina un ulteriore riflessione e metodologia di come forma e contenuto possano pienamente esprimersi in maniera congiunta. Può essere considerato come un appiattimento delle divergenze creatosi negli anni antecedenti al secondo conflitto mondiale, nel quale da una parte i tradizionalisti si concentrano sui singoli segni, e dall’altra i modernisti — e qui ci si riferisce a coloro che esasperano le composizioni dinamiche, criticati anche da Tschichold — si focalizzano per lo più sulla disposizione di questi nello spazio, senza soffermarsi sul singolo disegno della lettera: con questo tentativo Froshaug si colloca nel loro mezzo.
34 anthony froshaug
Perondi (2012)
4.1 4.2
36