Annuario 2014

POSTE ITALIANE S.P.A. - TARIFFA RIDOTTA EDITORIALE TASSA PAGATA - AUTORIZZAZIONE N. DCB/ACBNE/35/05/TN DEL 02/03/05

C.A.I. S.A.T.

SEZIONE RIVA DEL GARDA

A N N U A R I O

2014

ph E. Raggi, G.P. CalzĂ , R. Vuilleumier, C. Baroni

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In copertina: Rifugio Agostini dopo la gran nevicata 2014. I volontari all’opera per salvare il salvabile (foto R. Carli) Fotocomposizione e stampa: Grafica 5 - Arco (TN) - Maggio 2014

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Annuario 2014

CAI-SAT - SEZIONE DI RIVA Porta San Marco

ANNO 2014 CONSIGLIO DIRETTIVO

Presidente Vice Presidente

Giorgio Galas Rosanna Giacomolli

Cassieri

Carlo Zanoni Nicola Campisi

Adriano Boccagni

Segretario

Consiglieri

Sergio Amistadi Stefano Benini Claudio Fedrizzi Paolo Liserre Marco Matteotti Gilberto Mora Silvano Moro Rudy Simonetti Maurizio Torboli Luisa Vidi

Revisori dei Conti

Claudio Martinelli Nello Santorum Celestino Tamburini

STAZIONE C.N.S.A.S. Capo Stazione

Vice capostazione

Chiamate di soccorso

Gianluca Tognoni Danilo Morandi 118 0464 550550

SITO INTERNET

www.satrivadelgarda.it

BOLLETTINO METEO

tel. 0461 238939 - www.provincia.tn.it/meteo

Annuario 2014

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CAI-SAT - SEZIONE DI RIVA Porta San Marco

REDAZIONE ANNUARIO

Annuario 2014

Responsabile

Valentina Leonardi

Sponsor

Il direttivo

Ricerca, rubriche e articolisti

Flavio Moro

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info@supermarketcalzaturadro.it

www.supermarketcalzaturadro.it

Il saluto del Presidente Gentili socie, cari soci e lettori tutti, anche quest’anno ho l’onore e il grande piacere di presentare a tutti voi questo volume, la cui uscita nel corso degli anni è diventata un appuntamento atteso e gradito.

Grazie alla ricchezza di contributi originali proposti da validi e volenterosi Autori e grazie a tutti coloro che si sono spesi con sacrificio del loro tempo libero per gestire la complessità di questo evento siamo riusciti ad avere un’edizione molto varia ed interessante con articoli che spaziano dall’alpinismo alla natura, dai viaggi ai vecchi ricordi, dalla poesia dialettale alla storia locale senza dimenticare i giovani e le loro espressioni di conoscenza dell’ambiente e della sezione.

Voglio ora esprimere un sincero grazie a tutti i collaboratori ed ai Redattori di questo annuario, a tutte le persone che con il loro apporto economico ci permettono di far pervenire a voi tutti questo stampato.

Passeggiando per il parco della Sigurtà a Mantova ho avuto occasione di leggere un testo impresso su di una lastra di pietra da anonimo: “La giovinezza non è un periodo della vita, è uno stato d’animo che consiste in una certa forma della volontà, in una disposizione dell’ immaginazione, in una forza emotiva nel prevalere dell’audacia sulla timidezza, della sete dell’avventura sull’amore per la comodità.

Non si invecchia per il semplice fatto di aver vissuto un certo numero di anni, ma solo quando si abbandona il proprio ideale.

Se gli anni tracciano i loro solchi sul corpo, la rinuncia all’entusiasmo li traccia sull’anima.

Essere giovani significa conservare a sessanta o settant’anni l’amore del meraviglioso, lo stupore per le cose sfavillanti e per i pensieri luminosi, la sfida intrepida lanciata agli avvenimenti, il desiderio insaziabile del fanciullo per tutto ciò che è nuovo, il senso del lato piacevole e lieto dell’esistenza.

Resterete giovani finché il vostro cuore saprà ricevere i messaggi di bellezza, di audacia, di coraggio, di grandezza, di forza che vi giungono dalla terra, da un uomo o dall’ infinito.

Quando tutte le fibre del vostro cuore saranno spezzate e su di esso si saranno accumulati le nevi del pessimismo ed il ghiaccio del cinismo è solo allora che diverrete vecchi e possa Iddio aver pietà della vostra anima”.

Buona lettura.

Excelsior!

Annuario 2014

Il presidente Giorgio Galas

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ARTICOLI DA PUBBLICARE NELL’ANNUARIO SAT RIVA DEL GARDA

Modalità per la pubblicazione dei vostri articoli Il testo Deve essere fornito alla redazione tassativamente su supporto informatico e insieme all’allegato cartaceo.

Il file con il testo NON deve contenere fotografie!

Le fotografie Devono essere in un numero minimo di tre, e possono essere consegnate in diapositiva, stampate su carta o meglio ancora in digitale. Se in digitale, dovranno essere salvate in buona risoluzione per consentire la stampa (formato JPG o TIF).

La scheda Inserire una scheda dati per accompagnare il vostro articolo scrivendo: nominativo, telefono, titolo dell’articolo, didascalie e foto.

La consegna Consegnare il materiale sopraelencato alla sede SAT di Riva del Garda a porta San Marco, di persona o inviandolo per posta all’indirizzo: Redazione Annuario SAT Sede SAT di Riva del Garda Porta San Marco 38066 Riva del Garda (TN) o via posta elettronica all’indirizzo: annuariosat@hotmail.it NB: Gli articoli devono pervenire assolutamente completi del materiale richiesto qui sopra.

L’Annuario è consultabile anche sul nostro sito: www.satrivadelgarda.it 10

Annuario 2014

Prefazione Ben ritrovati a tutti i soci, amici e simpatizzanti della S.A.T. per una nuova edizione dell’Annuario della nostra sezione di Riva del Garda. I molti autori e argomenti che troverete al suo interno ci hanno dato conferma che il nostro Annuario è una pubblicazione molto gradita, e considerata una forma di comunicazione sempre valida e attuale, malgrado il diffondersi di metodi interattivi e sempre meno cartacei. Certo l’ecologia ha la sua importanza in questo senso, ma conservare in casa un libro e poterlo sfogliare in ogni momento è come avere uno speciale rapporto con l’autore, che nel suo desiderio di scrivere vuole anche farsi conoscere. Può nascere un contatto che ci avvicina o ci allontana, ma ci lascia un libero arbitrio in questo rapporto poco social ma molto personale. L’Annuario è un’importante pubblicazione per tutti noi, perché trasmette ad ogni nuova edizione la testimonianza delle tante persone che hanno dato vita concretamente ad un sogno, un progetto, un esperienza e con emozione e sentimento ci fanno compartecipi della loro vita come accade fra amici. E queste testimonianze, tutte con il medesimo valore umano, acquisiscono negli anni a venire quella memoria storica a cui tutti abbiamo guardato e dato ascolto per capire e scoprire parte di noi stessi, o per conoscere nuove strade o per sviluppare nuove idee. Dunque nelle nostre tante edizioni degli Annuari ritroviamo la storia della nostra sezione e dei suoi soci, dell’evolversi della società e dell’approccio alla montagna, fino a sviluppare sempre più attività diverse in seno al sodalizio, con un continuo incremento partecipativo.

E tutto ciò rimarrà un indelebile ricordo di quanti sono passati dentro la storia della nostra sezione a dispetto di qualsiasi black out o perdita di dati…

Bene, vi lascio scoprire questo nuovo Annuario che si conferma molto ricco di argomenti, attività e nuove rubriche, indicazioni e aggiornamenti, con autori vecchi e nuovi, i quali con entusiasmo hanno reso questa edizione degna delle precedenti, a conferma della stima che l’Annuario riscontra in tutti voi.

Excelsior!

Il responsabile dell’Annuario Valentina Leonardi

Annuario 2014

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BRESCIANI dal 1919 RIVA DEL GARDA

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Indice Attività della sezione L’Annuario dei ragazzi .................................................................................................................................................................................................................

Una bella vittoria! ............................................................................................................................. di Erre .............................................................................

Le gite del 2014 ................................................................................................................................................................................................................................

Assemblea generale ordinaria ................................................................................................. di Giorgio Galas ........................................................

Acropark e Tagliata del Ponale, una giornata di festa ...................................... di Paolo Liserre ..........................................................

Sopraimille, dieci anni di solidarietà .............................................................................. Il Gruppo .......................................................................

Biblioteca SAT Riva del Garda ............................................................................................ di Stefano Reversi ......................................................

L’annuario della S.A.T. - Un’enciclopedia culturale ......................................... di Paolo Liserre ..........................................................

Relazione attività 2013 dell’Alpinismo Giovanile .............................................. di Gilberto Mora ......................................................

Trekking del Bernina - Passo allo Stelvio .................................................................... S. e D. Zampiccoli - L. Poli ...............................

Gruppo Rocciatori e d’Alta Montagna ......................................................................... di MoRe .........................................................................

La stagione del Gruppo Sciatori Riva ............................................................................ di Alberto Zampiccoli ............................................

Capanna S. Barbara e... la legna ......................................................................................... di Claudio Fedrizzi (uno dei pensionati) ...

Sentiero Defensionmauer n. 473 ....................................................................................... di Flavio Moro ...........................................................

Sat & Bike ............................................................................................................................................... Il Gruppo .......................................................................

Attività Gruppo V.I.P. 2013 ................................................................................................... di Adriano ....................................................................

Bensheim e la carne “salada” .................................................................................................. di Claudio Fedrizzi .................................................

Marco Tamiozzo passa il testimone ................................................................................. Direttivo sez. S.A.T. Riva Del Garda ...........

Arturo Giovanelli ............................................................................................................................. di Paolo Liserre ..........................................................

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Racconti Anselmo e l’acqua ............................................................................................................................ di Alberto Maria Betta ....................................... 107 Marinai Alpini o Alpini Marinai? ...................................................................................... di Giuseppe Cattoi ................................................ 111 60 anni dopo: due pionieri del soccorso alpino raccontano... ................ di B. Floriani e C. Tamburini ....................... 113 La lunga valle ....................................................................................................................................... di Silvio Santoni (Bacon) ................................. 117 Montagna e ambiente L’uomo e la natura, il caso Vajont ..................................................................................... di Giorgio Quaranta ........................................... 121 Campanil Bass ..................................................................................................................................... di Mario Corradini .............................................. 123 Fine anno travagliato ..................................................................................................................... di Dario Antolini .................................................. 125 I miracolati della “Punta Thurwiser” - 3.658 m .................................................. di Luigi Vettorato ................................................... 129 Un sabato alternativo .................................................................................................................... di Matteo Prandi ................................................... 135 Ricordando Walter Bonatti ..................................................................................................... di prof. Luigi Zanzi ............................................. 139 Pizzo Gallino: una piramide solitaria ............................................................................. di Sandro .................................................................... 143 Record di tutte le bocchette di Brenta .......................................................................... di Omar Oprandi ................................................. 145 Annuario 2014

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Palestra di Roccia “Arturo Tamanini” ............................................................................ di Ruggero Carli ..................................................... 149 Loppio: è la volta buona? .......................................................................................................... di Fabio Dal Rì e Paolo Ferrari .................... 153 Biosfera Unesco “Alpi Ledrensi e Judicaria” ............................................................. di Roberto Bombarda .......................................... 157 Fermare le emozioni Fermare le emozioni .................................................................................................................................................................................................................. 161 Cultura Emozioni sotto vetro ..................................................................................................................... di Claudio Quinzani .......................................... 165 Funzione dell’uomo sulla terra: ricerca di elevazione ...................................... di Alessandro Gogna ............................................ 171 E il pittore scoprì la montagna ............................................................................................ di G. Di Vecchia .................................................... 173 Mauro Berlanda ................................................................................................................................. di Flavio Moro ........................................................ 179 Storia Divertimenti e buoncostume nella Riva dell’Ottocento .............................. di Ferdinando Martinelli ................................. 183 Dal mondo I saggi del villaggio .......................................................................................................................... di Mario Corradini .............................................. 189 Un’ascesa sui wadi del Mar Morto ................................................................................... di Alberto Maganzini ......................................... 193 Con grandi occhi .............................................................................................................................. di Ferdinando Bassetti ........................................ 197 Ecuador vulcani y Galapagos ................................................................................................. di Carlo Zanoni ..................................................... 201 Ciao Nicky ............................................................................................................................................. di M. Tamiozzo, L. Reale e F. Dallara ...... 211 Sulle tracce di Sergio Giuliani .......................................................................................................................................................................................... 213 Ringraziamenti ed elenco inserzionisti ..................................................................................................................................................................... 215

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Annuario 2014

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

L’Annuario dei ragazzi Com’è ormai tradizione, anche quest’anno l’Annuario apre con la rassegna dei lavori degli alunni delle scuole locali, frutto dei contatti dei nostri esperti e degli accompagnatori negli incontri in classe o nelle uscite all’aperto. A tutti i quaranta collaboratori va il caldo grazie della Sezione. I disegni e le note aggiunte rappresentano una selezione su oltre 350 piccole opere, che, pur nella loro ingenuità, sono estremamente esemplificative dell’interesse suscitato negli alunni dagli interventi della S.A.T. rivana, intesi a valorizzare la conoscenza dell’ambiente naturale in genere, e montano in particolare, nei loro vari aspetti, fisico, geologico, faunistico o forestale. Con la loro adesione e la costante collaborazione, le Dirigenze scolastiche ed il Corpo insegnante offrono una decennale chiara dimostrazione della validità dei nostri interventi. A loro il nostro saluto, con un arrivederci al prossimo anno.

Gli organizzatori: Giorgio Galas, presidente Sezione S.A.T. Riva del Garda Adriano Boccagni Segretario Roberto Angiolini

I collaboratori…e non ci sono tutti!

Annuario 2014

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Una bella vittoria!

La S.A.T. incontra la scuola di Erre

La mèta era Santa Barbara, una classica fra le escursioni scolastiche proposte e supportate dalla Sezione S.A.T. di Riva nell’ambito del programma “La S.A.T. incontra la Scuola”. Le due classi, dopo un approccio illustrativo iniziale, si erano avviate, separate lungo la stradina, al seguito degli esperti. Chiudevano i gruppi due gentili accompagnatrici. Dopo alcuni minuti, l’Agente forestale arrestò la sua squadra per illustrare il bosco di pino nero, messo a dimora oltre un secolo addietro, barriera naturale per impedire la caduta di massi dalla Rocchetta sulla città, 16

macchia di verde, estetica ed ecologica. Indicò i batuffoli bianchi dei nidi della Processionaria, appese ai rami, nemica mortale del pino, proseguì illustrando le altre specie di piante ed arbusti, caratteristici della nostra flora mediterranea.

L’altra classe salì dritta fino al Bastione, per una elementare spiegazione della sua storia e per una visita all’interno della struttura. I ragazzini approfittarono della sosta per la consueta merendina. Solo uno se ne stava in disparte.

L’accompagnatrice segnalò che anche lungo il percorso, seppur breve, si era lamentato per la Annuario 2014

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

salita, chiedendo più volte quando ci sarebbe stata una sosta e quanti minuti mancavano alla mèta. Non era mai salito in montagna prima di allora ed era di stazza piuttosto massiccia per la sua età. Forse aveva qualche difficoltà respiratoria. Sopraggiunse la squadra dell’Agente forestale e si fece uno scambio di accompagnatori. Dopo la sosta, le due classi proseguirono ancora separate, in fila indiana, sul sentiero ora piuttosto impegnativo. Il ragazzino che aveva denunciato difficoltà si trovò subito in coda. Le due accompagnatrici, ora assieme, lo seguirono per consigliarlo, sollecitarlo ed incoraggiarlo, tenendolo per mano dove il sentiero era sufficientemente largo: niente da fare! Inciampava in ogni sasso. Era inoltre impacciato dall’ impugnare una bottiglia da litro di acqua minerale, alla quale attingeva ogni due minuti, un’altra di dimensioni più ridotte, spuntava dallo zainetto.

Gli era stata descritta l’importanza dell’acqua in montagna e lui aveva seguito alla lettera l’indicazione! La sosta ad ogni tornante diventava un rituale; la stessa cosa accadeva sui numerosi gradini, che si presentavano sul percorso. Sprizzava sudore come una fontana e continuava a lamentarsi. Arrivò alla strada tagliafuoco, punto di riunione dei due gruppi, in condizioni davvero Annuario 2014

pietose. Si buttò letteralmente a terra. Esaurì in un attimo il contenuto delle due bottiglie.

Estrasse un enorme pane imbottito, che però gli sfuggì di mano, cadendo al suolo e sporcandosi irrimediabilmente: immangiabile. Lo gettò dalla scarpata, pasto per le volpi. I compagni, piuttosto crudeli, cominciarono a deriderlo. Lui scoppiò in un pianto sconsolato. Le due classi ripartirono ora riunite. Lui, pur insistendo per rientrare a Riva, fu convinto a proseguire. Impiegò più di un’ora per giungere alla capanna, dove i cuochi avevano preparato un ottimo tè ed aspettavano l’arrivo dell’ultimo per buttare la pasta nella pentola. Nell’attesa, si decise di proseguire fino alla chiesetta, nella supposizione che lui si sarebbe fermato alla capanna. Ma, ecco il miracolo: il ragazzino decise di completare la salita, come tutti gli altri. Sarà stato l’effetto della premura amorevole delle due accompagnatrici, o l’emergere dell’orgoglio personale. Chissà?

Non lo umiliava più essere l’ultimo della fila.

L’importante era diventato non mollare e giungere alla mèta finale. Davanti alla chiesetta di Santa Barbara, si aprì in uno smagliante sorriso.

I suoi occhi rilucevano di gioia. Per lui ed anche per le persone che lo accompagnavano questa era una importante vittoria. Ce l’aveva fatta! E certo, anche la montagna aveva acquistato un nuovo amico!

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Scuola Materna Rione Degasperi: dalla fiaba:” La nuvola bianca e la nuvola nera”…

La buona nuvola bianca fece piovere sull’orto e i pomodori diventarono belli rossi; la nuvola nera, cattiva, andò a finire contro la montagna e si frantumò…

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Classe I Scuola primaria-Nago: Andiamo sui monti

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Classe I A-B Scuola primaria A. Zadra Rione Degasperi

“Ho imparato che la S.A.T. mette a posto i sentieri…”

“La montagna mi piace perché posso guardare la natura”

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Classe II - Scuola primaria Nago

”Questo è un contadino che raccoglie il fieno e poi lo mette nella stalla”

“…ci hanno raccontato belle leggende delle nostre montagne” Annuario 2014

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Classe III Scuola primaria “G.F. Fedrigoni” Varone: “Il ciclo dell’acqua dal mare al mare”

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Classi III Scuola primaria Nago

Gita alle scale di Tempesta

Alla cascata del Varone Annuario 2014

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Classe III A-B Scuola primaria “G.F. Fedrigoni” Varone: “Vita nel lago e nei fiumi”

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Classe III Scuola primaria “O. Lucchi” Tenno: “L’orso”

“Per l’inverno l’orso si trova una tana, dove rimane da novembre a marzo”

“I cuccioli restano due anni con la mamma. Il nemico dei cuccioli è l’aquila” Annuario 2014

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

“L’orso in primavera quando esce dal letargo è magro e affamato, per questo mangia tutto quello che trova”

“I forestali mettono una trappola per catturare l’orso, poi gli mettono un radio collare, così controllano dove va”

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

“L’orso io l’ho visto dal vero sui “prai de Vender” sopra il lago di Tenno. Stava cercando cibo e stava grattandosi la schiena”

Classe III^ Scuola primaria Nago: Alle Marmitte dei Giganti

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Classe III Scuola primaria “O.Lucchi” Tenno: ”L’Aquila”

“L’aquila è un uccello rapace: prende le marmotte, i ghiri, le lepri, i serpenti”

“…costruisce il nido, poi depone 1 o 2 uova e le cova per 30 giorni”

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

“depongono le uova in marzo, in aprile nascono i piccoli, ad agosto imparano a volare…”

“Il cucciolo non ha piume, sembra un battufolo bianco Annuario 2014

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

“L’aquila ha una vista acutissima e può vedere anche da lontano un topolino”

“È un grande uccello, le sue ali sono larghe fino a 2 metri”

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

“Quando le aquile reali si accoppiano, si prendono per le zampe e girano nel cielo”

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Classe IV A-B-C Scuola primaria G.F. Fedrigoni Varone - Metereologia

“La cosa che più mi ha stupito è stato il satellite. Così possiamo sapere le previsioni del tempo, ad esempio se sarà soleggiato, nuvoloso, pioggia debole, freddo e magari anche neve”

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

“La nuvola in bottiglia: con l’esperimento la metereologa ha messo un pezzo di carta a bruciare in una bottiglia, ha chiuso il tappo, ha pompato dentro aria. Poi ha aperto il tappo, il freddo che si era formato dentro la bottiglia ha creato una nuvola.”

“…ho imparato che le gocce sono trasparenti e non sono della forma degli stecchini, come ho disegnato nelle figure 1 o 2, ma sono fatte come nella figura 3.”

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Classe IV A-B Scuola primaria G.F. Fedrigoni Varone - I monti del Trentino

“Con la S.A.T. ho imparato i vari tipi di roccia dei nostri monti: metamorfiche, sedimentarie e vulcaniche”

“…ho imparato come si sono formate le montagne…”

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Classe IV-V Scuola primaria G.F. Fedrigoni Varone - La Valle del Sarca

“La valle dai ghiacciai a Torbole, col percorso in galleria che porta l’acqua alle centrali elettriche”

“La cascata di Nardis” Annuario 2014

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

“La valle di Rendena”

“Ci sono molti castelli nella valle. Questo è quello di Toblino”

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

“Gli antichi mestieri della valle Rendena: el moleta”

“Alla centrale di Torbole” Annuario 2014

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

“Vicino alla foce c’è un posto per i nidi degli animali, recintato dalle guardie forestali: nella foto c’erano moltissime paperelle, mi è piaciuta più di tutte…”

Scuola primaria A. Zadra Rione Degasperi: “Ciao! Ci vediamo l’anno prossimo!”

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

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Annuario 2014

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Le gite del 2014 GITE SOCIALI 9 febbraio 9 marzo 13 aprile 24/28 aprile 18 maggio 22 giugno 5/6 luglio 19/20 luglio 2/3 agosto 10 agosto 17 agosto 31 agosto 7 settembre 20/21 settembre 19 ottobre

Gita con ciaspole e scialpinismo a Cima Sambock Gita con ciaspole e scialpinismo a Punta Montecroce Limone - Monte Bestone - Voltino Gita turistica in Puglia Trodena - Monte Corno - Capriana Viote del Bondone - Monte Stivo - Passo S. Barbara Cima Presanella Dome de Neige des Ecrins (Francia) Uscita componenti g.r.a.m. nel Gruppo del Brenta Passo Pennes - Corno Bianco di Sarentino - Riobianco Passo Tonale - Rifugio Bozzi - Val di Pejo Gita alpinistico-lacustre Gruppo Odle - Sass Rigais Sul ponte tibetano più lungo del mondo 120° Congresso S.A.T. a Mezzolombardo

GITE VIP (VECCHIETTI IN PENSIONE) 9 febbraio Gruppo Pasubio - Malga Valli 23 febbraio Pinè - Malga Cambroncoi e Doss di Costalta 9 marzo Quattro passi in attesa di polenta e mortadella 23 marzo Val di Braies - Prato Piazza 6 aprile Monticolo - il sentiero del Patersteig 27 aprile Altopiano del Renon 8/9/10 maggio Isola d’Elba 11 maggio In bicicletta in Val Passiria 19/20/21/22 maggio Croazia 25 maggio Val Venosta - Castel Juval 8 giugno Val di Fassa - traversata Bellamonte/Moena 19 giugno Val di Breguzzo - rifugio Trivena 3 luglio Gruppo Puez-Odle - rifugio Puez 12/13 luglio Austria - grotta di ghiaccio più grande del mondo 24 luglio Passo Falzarego - Rifugio Averau 7 agosto Val Canali - Sentiero del Cimerlo 21 agosto Lagundo - alta via di Merano 31 agosto Merano 2000 - rifugio Kuhleiten 11 agosto Altopiano di Folgaria - sentiero dei giganti 20/21 settembre Due giorni nelle Langhe 5 ottobre Prissiano e l’altopiano della destra Adige 19 ottobre Emilia - Grazzano Visconti e Castell’Arquato 9 novembre Pranzo sociale ALPINISMO GIOVANILE 12 gennaio Ciaspolata con Arco 9 febbraio Ciaspolata con Arco 30 marzo Ciaspolata o gita con Arco 4 aprile Acropark Miralago Annuario 2014

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

27 aprile Escursione speleologica con Arco maggio Giocalp 1 giugno Cima Geometra con Arco (escursione in Val di Ledro) 22 giugno Ferrata Bepi Zac con Arco 6 luglio Lago Erdemolo 10 agosto Val di Fumo con Arco agosto Uscita con le canoe 24-26 agosto Trekking in Val d’Ambiez (rif. Agostini) 6-7 settembre Raduno regionale a Fiavè 21 settembre 52 gallerie sul Pasubio con Arco 12 ottobre Monte Misone con Arco 26 ottobre Burrone Giovanelli (ferrata) con Arco 09 novembre Sentiero della Regina con Arco 06 dicembre Conclusione di fine anno IN MONTAGNA CON LE FAMIGLIE 2 febbraio Val Di Gresta - Nagia Grom 23 marzo Brenzone - Borgo di Campo 6 aprile Acropark Miralago - Tagliata del Ponale 27 aprile Sentiero della Maestra - Braila 11 maggio Prada - Rifugio Fiori del Baldo 25 maggio Luserna - Sentiero dell’immaginario 22 giugno Labirinto del Latemar 6 luglio Lago Ritorto - Malga Valchestria 26-27 luglio Giro del Sassolungo 14 agosto Monte Altissimo - notturna 30-31 agosto Santa Croce di Latzfons 14 settembre Val di Fumo 28 settembre Ometti di pietra 12 ottobre Laghi di San Giuliano 26 ottobre Malga Zures GITE PROGETTO “SOPRAIMILLE” 18 gennaio Tagliata del Ponale 8 febbraio Malga Grassi con ciaspole 8 marzo Falesia - arrampicata 12 aprile Rio Sallagoni al castello di Drena - ferrata 10 maggio Riva del Garda, Pinza, Gamela - camminata 21/22 giugno Gita di due giorni da individuare GITE PROGETTO “SAT & BIKE” 13 aprile Tour di primavera in Busa 1 maggio Pisoni Grill Bike 1 giugno Family Bike 22 giugno Dalla forra al Bruno 12/13 luglio Sasso Piatto e Alpe di Siusi 10 agosto Pietralba (BZ) 7 settembre Baldobike 5 ottobre Jurassic Lessini Bike

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Annuario 2014

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Assemblea generale ordinaria 22 FEBBRAIO 2014 - Relazione del Presidente della Sezione SAT di Riva di Giorgio Galas Signore e Signori, Autorità, Socie e Soci della S.A.T., buon pomeriggio, a Voi tutti il più cordiale benvenuto ed un grazie per essere intervenuti a questa Assemblea Annuale, momento centrale della vita della Sezione.

L’appuntamento di oggi è tra quelli più importanti della vita sociale.

Negli anni trascorsi nel Direttivo ho conosciuto delle persone che mi hanno mostrato la sezione nella sua anima, con l’entusiasmo di tutti i volontari che portano avanti nei Gruppi la miriade di attività a capo della Sezione.

A tutti loro va il mio ringraziamento e la speranza di continuare in questo lavoro di squadra che dovrà sostenere la nostra sezione, specialmente ora in questo momento di difficoltà della società in cui viviamo. Lavorare assieme per dare la possibilità a tutti i Soci di esprimersi al meglio nelle attività proposte e formare ed informare i nostri giovani di quanto è bella la realtà e l’ambiente che ci circonda.

Il cammino intrapreso alcuni anni fa non è terminato, però è giusto prendersi un momento di sosta per riprendere fiato, come normalmente avviene in montagna, e che ci permette di godere appieno del nostro percorso.

Il nostro cammino può, anzi deve continuare con lo stesso passo e determinazione che ci hanno permesso di raggiungere significativi traguardi, Annuario 2014

rivolgendo uno sguardo ad un passato importante che deve essere ricordato con orgoglio e giustificata soddisfazione, ma con la certezza che il presente sia il “segnavia” per un futuro ancora ricco di fatti, di idee e di storia.

Veniamo dunque ad esaminare lo stato della Sezione a lla luce dell’anno concluso che mi ha visto diventare Presidente con il marzo dell’anno scorso. Meravigliosa sezione guidata prima di me da Arturo Giovanelli, al quale vanno i miei più sentiti ringraziamenti per tutto quello che mi ha insegnato con la sua esperienza di lunga militanza, sempre attivo e propositivo, a volte esuberante.

GITE SOCIALI ESCURSIONISMO Il risultato di partecipazione anche quest’anno è stato lusinghiero. I miei complimenti a Maurizio Torboli e agli altri capigita che assolvono con onore questo compito e che hanno portato la Sezione alla positiva situazione odierna.

A conclusione di un anno di attività credo che possa essere condivisa la soddisfazione mia, del Consiglio Direttivo e dei vari capigita per aver trascorso assieme ai partecipanti delle splendi45

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

de giornate godendo le bellezze che l’ambiente montano ci ha offerto.

Nel corso del 2013 sono state annullate 3 uscite (una per maltempo e due per motivi organizzativi).

Senza voler fare graduatorie, poiché tutte sono state molto apprezzate, vi segnalo le più significative: Escursioni alpinistiche: la cima Tosa in Brenta, le Ferrate sul Paterno alla Lavaredo e la Cima del Vallon Bianco in Fanis.

Gite escursionistiche: spicca il CAY DAY con oltre 500 partecipanti, l’uscita trek in primavera di due giorni sull’Appennino Tosco Emiliano associata al Parco Cinque Terre e la Vetta d’Italia in Alto Adige.

Come avviene da parecchi anni, si sono coordinate con la S.A.T. di Arco le date per le varie gite.

Per l’anno 2014 il calendario delle escursioni proposte nel libretto gite, dovrebbe soddisfare le diverse aspettative dei soci.

Per i ciaspolatori avremo due gite in Alto Adige tra febbraio e marzo, per gli alpinisti ricordo la salita alla Presanella dal versante Sud, un 4000 il Dome de Neige de Ecrins, in Francia e la salita in via ferrata al Sass Rigais nel gruppo delle Odle in Alto Adige, per gli escursionisti interessante la traversata da passo Tonale-Cima Cavallo-Pian Palù, la classica Viote-Stivo-passo S.Barbara ed il corno Bianco di Sarentino. Non dimentichiamo l’alpinistica-lacustre con il Gruppo Canottieri di Riva del Garda a fine estate. Infine è prevista una gita turistica in Puglia.

Un particolare ringraziamento pertanto va a tutti coloro che hanno dato il loro contributo all’effettuazioni delle escursioni 2013 e partecipato al programma anno 2014. Senza di loro sarebbe estinta l’attività escursionistica sezionale.

V.I.P., i Vecchietti In Pensione Come già fatto per gli anni precedenti, anche per il 2013 dobbiamo dire che l’attività del Gruppo V.I.P. (Vecchietti In Pensione) è stata 46

più che soddisfacente e possiamo dire anche impegnativa. Le escursioni sono iniziate già a partire dal 27 gennaio 2013 per terminare con l’ultima gita di due giorni in Germania verso metà dicembre. Come si può notare, un calendario di gite che copre tutto l’anno.

La partecipazione è stata sempre numerosa. Per n° 12 gite infatti si sono dovuti prenotare n° 2 pullman, mentre per le altre gite il pullman da 60 persone era quasi sempre pieno. Possiamo affermare, senza retorica, di aver portato in giro per i monti della nostra Regione più di 1.500 persone, e questo è per noi motivo di grande soddisfazione. Nel periodo di maggior afflusso di turisti sulle nostre montagne, le nostre gite si sono svolte nella giornata di giovedì, anche perché alle volte arrivare in 100 persone ad un rifugio può creare non poche difficoltà al gestore. Pertanto, vista anche la disponibilità dei pensionati, si è optato per il giovedì e dobbiamo dire che è stata più di una volta una scelta molto azzeccata. Nel mese di agosto, dal 29 al 31, si sono oltrepassati i confini di stato e siamo andati in Svizzera e precisamente a Zermatt, dove abbiamo effettuato n° 2 escursioni nelle grandiose montagne di questa bella località. Il tempo ci ha dato una grossa mano e la vista del Cervino e le altre cime ha appagato la nostra scelta.

Per tutte le nostre gite ci siamo sempre posto il vincolo di non superare i 600 metri di dislivello, in modo da dare la possibilità a tutti di poter effettuare la gita senza troppe difficoltà.

Chiaramente poi cerchiamo di evitare sentieri con tratti esposti o con cordini, ferrate e tutto quanto può mettere in difficoltà o apprensione qualsiasi partecipante. Si cerca poi sempre di trovare sulla strada dell’escursione un punto di ristoro, per trascorre un paio d’ore in allegra compagnia, allietati dai gustosi piatti che la cucina propone.

Pensiamo che tutto questo possa essere il punto di forza che ha permesso a questo nostro Gruppo di crescere sempre di più e raggiungere quel successo di partecipazione che si è riscontrato.

Annuario 2014

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Per il 2014 abbiamo in programma 23 gite, di cui un trekking di 3 giorni nell’isola d’Elba ed una escursione di 2 giorni nelle Langhe. N° 6 gite, come ormai consolidato, si svolgeranno nella giornata di giovedì.

Ricordo che alle escursioni dei V.I.P. partecipano satini di parecchie sezioni vicine e non.

Un grandissimo ringraziamento a tutti i V.I.P. che si impegnano per la migliore riuscita del programma.

S.A.T. & BIKE Progetto oramai più che consolidato della nostra sezione, con una media di 15/20 partecipanti per ogni escursione in MTB. Nel 2013 purtroppo sono state fatte solamente 3 gite causa il maltempo, ma già quest’anno ci sono in calendario altre 8 bellissime escursioni in mtb nel nostro territorio, confidando sempre nel tempo.

Vi aspettiamo sempre numerosi con tanta voglia di pedalare in compagnia nel rispetto della natura.

G.R.A.M. Punto di riferimento, di supporto e d’aggregazione per lo svariato mondo dell’alpinismo.

Il 25 febbraio 2013 si è tenuta l’assemblea elettiva del gruppo (G.R.A.M.).

Nuovo direttivo del gruppo è composto da: Reversi Stefano, Moro Flavio, Zanoni Carlo, Benini Stefano, Omezzolli Pietro.

Di particolare importanza è l’attività di promozione di serate ed uscite propedeutiche alla conoscenza per la sicurezza in montagna. È stata organizzata una serata e uscita informativa per vivere la montagna d’inverno in sicurezza, con la collaborazione dell’Arcomountainguide, Gino Malfer e Paolo Calzà “Trota”.

Il G.R.A.M. ha fornito sostegno e supporto tecnico per le varie attività sezionali: allestimento di teleferiche e percorsi sospesi alla festa S.A.T. alla Miralago e alla notte sport Annuario 2014

outdoor di Riva del Garda. uscita del gruppo il 07/07/2013 sulle piccole dolomiti al monte Baffelan, salito lungo le vie Carlesso e Soldà. da aprile a settembre uscita serale ogni giovedì nelle falesie dell’Alto Garda. nel periodo invernale l’attività d’arrampicata si svolge nella palestra Cianci Amistadi della scuola elementare Nino Pernici. l’ultimo lunedi di ogni mese appuntamento fisso d’incontro del gruppo, aperto a tutti.

Interessante ed auspicabile il progetto che vedrà impegnato il G.R.A.M. nell’accoglimento dei giovani che provengono dall’Alpinismo Giovanile proponendo attività integrate ed uscite alpinistiche formative.

IN MONTAGNA CON LE FAMIGLIE Questo progetto è stato tra le principali innovazioni nel lavoro di questi anni della sezione S.A.T. di Riva del Garda ed è partito in primavera del 2003 ed è rivolto alle famiglie con bambini e ragazzi di età compresa tra i 5 ed i 13 anni.

I bambini e i genitori con cui sono state portate a termine, nel decimo anno del progetto parecchie uscite sono stati molto soddisfatti ed aspettano la programmazione del prossimo anno per iscriversi numerosi. Con l’impegno di papà membri della locale stazione del Soccorso Alpino e con amici accompagnatori sempre diversi, cerchiamo di lasciare un piccolo seme di interesse, foriero di satini sempre più appassionati. Ricordo che siamo soggetti attivi, con il Comune di Riva del Garda, della formazione del Distretto Family.

ALPINISMO GIOVANILE Un grandissimo e caloroso ringraziamento va ai ragazzi e agli accompagnatori del gruppo di Alpinismo giovanile che nel 2013 hanno lavorato per la riuscita delle varie escursioni.

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Questo gruppo è particolarmente importante perché prosegue l’attività di “In montagna con le famiglie”.

Il 2013 segna per il gruppo il sesto anno di gite in montagna con i ragazzi dagli 8 ai 17 anni. Varie sono state le escursioni: due con le ciaspole, due escursioni generiche, uscite con gli amici canottieri di Riva, oramai punto fisso per il gruppo, la ferrata Santner e arrampicata alla palestra Salewa di Bolzano.

Inoltre ricordiamo il trekking di tre giorni svolto sul Bernina Stelvio e il trekking regionale sulle Pale di S. Martino nonché il raduno regionale svolto a Bressanone.

Queste attività hanno visto la partecipazione, a seconda della gita e delle disponibilità dei ragazzi, di circa 50 ragazzi.

Il 2013 il tema era Castelli e Fortezze, mentre per il 2014 il filo conduttore sarà “Dolomiti patrimonio dell’Unesco”.

Un plauso particolare va a tutti coloro che collaborano al gruppo di turno a S.Barbara e al bellissimo fascicolo che riporta le impressioni e le foto dei grandi e dei ragazzi nell’attività di A.G. LA S.A.T. INCONTRA LA SCUOLA L’anno scolastico 2013/2014 rappresenta il decimo da quando è iniziata la collaborazione della Sezione S.A.T. di Riva del Garda con le scuole primarie locali, che ha messo a disposizione persone esperte, strumenti, mezzi di cui dispone, da utilizzarsi per la realizzazione di percorsi didattici, finalizzati al raggiungimento di obiettivi educativi definiti.

L’anno scolastico trascorso ha visto l’effettuazione di n.45 uscite che ha coinvolto 1439 alunni dei due circoli scolastici. L’uscita più gettonata è stato il Monte Brione, percorso ben 8 volte, a seguire Cascata Varone e S. Barbara con 4 volte.

Poi altre uscite che ci hanno portato in ben 21 luoghi differenti, dal bosco Caproni, al Monte Baldo, al rifugio S.Pietro fino a Pregasina.

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Non sono mancati gli interventi in classe che sono stati 49, dove si sono trattati 20 argomenti differenti coinvolgendo 1224 alunni. L’argomento preferito, ben 7 volte, è stato quello delle Fiabe di montagna e Zaino, a seguire Catene Alimentari ed orso con 5 lezioni e poi i monti in tutti i loro aspetti.

All’attività collaborano Soci S.A.T., anche di altre Sezioni, in qualità di esperti, il Museo civico, il Comitato storico S.A.T., le Guide Alpine Arco, G.A.M. di Malcesine, Associazione “la Bacionela” e i gruppi A.N.A. del comprensorio, la Forestale, i Vigili del Fuoco, il Soccorso Alpino, il Comitato glaciologico trentino, Museo Tridentino di Scienze Naturali, Gruppo cani da ricerca: amici che ringraziamo per l’aiuto prestato e la loro disponibilità e simpatia.

PROGETTO SOPRAIMILLE Il progetto ha festeggiato il X° anno di attività.

Nato da un gruppo congiunto di operatori sanitari del Centro Salute Mentale e di soci della S.A.T. di Riva e Guide Alpine, dopo una fase di attenta progettazione, ha avviato la vera e propria attuazione basata su un gruppo di persone che frequentano, per i propri disagi o problemi, il CSM, allo scopo di sperimentarsi e raggiungere, attraverso l’esperienza dell’ “andare in montagna” una serie di obiettivi di primaria importanza per la propria personalità.

Ricordo che, con il costante appoggio dell’assessorato alle politiche sociale del Comune, è stato firmato un protocollo d’intesa con l’Azienda sanitaria in cui sono stati presi dalle due parti precisi impegni per la prosecuzione e le modalità del progetto. Nel corso del 2013 per un rinnovo delle politiche sanitarie provinciali ci è stato chiesto di rivedere e modificare il progetto.

Allo stato attuale siamo ad un momento di verifica per trovare un accordo che soddisfi sia gli obiettivi dell’azienda sanitaria che consolidi le motivazioni della S.A.T. che hanno fatto nascere e prosperare il progetto.

Annuario 2014

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

SENTIERISTICA Silvano Moro e i suoi Volontari anche quest’anno hanno assolto in modo esemplare il compito del controllo e della manutenzione dei sentieri, garantendo l’ottima accessibilità ai 110 Km di sentieri che ci sono affidati. Questo impegno è uno dei più importanti che la S.A.T. assolve: garantire la frequentazione del territorio montano in modo agevole e sicuro è la condizione necessaria per portare la nostra gente a rituffarsi nell’ambiente montano che è la culla di quella cultura alpina che rappresenta le nostre radici.

Ben 21 interventi con la presenza di 79 volontari hanno caratterizzato l’intensa attività del nostro gruppo. Ad essi va un grande ringraziamento da parte di tutti i soci ed un riconoscimento per la maestria e la professionalità con cui sono interpreti.

ATTREZZATURA È continuato il rinnovo e l’implementazione dell’attrezzatura in dote alla Sezione. Analogo discorso è stato portato avanti per rendere la Sede sociale aggiornata tecnologicamente, per consentire di tenere serate, corsi, riunioni con tutti i sistemi informatici in uso. Il tutto è stato inventariato, secondo le indicazioni del Tesoriere e dei Revisori dei conti.

Lo sforzo finanziario in questo settore è stato particolarmente importante per adeguare il materiale alpinistico alle normative sempre in evoluzione: quando ci si muove in gita sociale, con i bambini o i ragazzi (ricordo ad esempio la Festa di Primavera) o come in occasione delle prove pratiche di conoscenza ed uso dell’artva, la Sezione deve avere tutto “burocraticamente” a posto.

Tutto il materiale è a disposizione per supportare i Soci nelle Gite sociali, oppure viene prestato, dietro cauzione, a Soci e cittadini per singole uscite.

Annuario 2014

Il tutto è gestito con apposito regolamento, consultabile anche sul sito.

BIBLIOTECA Dal febbraio 2004, la biblioteca è aperta e a disposizione di Soci e cittadini. L’apertura avviene tutti i venerdì dalle 14.00 alle 17.00 ed inoltre una serata ogni 15 gg. dalle 20.30 alle 22.00.

Ricordo che abbiamo l’intera serie di cartine Tabacco ad 1:25.000 riguardanti la nostra regione ed altre numerose cartine Kompass.

Il catalogo può essere consultato sul sito sezionale www.satrivadelgarda.it.

Un grazie a Stefano, Flavio, Albano, Giovanni, Maurizio e agli altri amici che hanno dato lustro alla biblioteca con la loro disponibilità. Un grazie particolare poi ad Anna e compagne che collaborano a tenere in ordine scaffali ed armadi.

Per finire sottolineo che donazioni di libri da parte di Soci e cittadini sono (sarebbero), graditissimi.

RIFUGIO NINO PERNICI Sono contento perché abbiamo un rifugio veramente efficiente e rinnovato ed il gestore Marco Deguelmi ha soddisfatto le aspettative dei numerosi escursionisti, bikers e soci che lo frequentano anche con le aperture nei weekend invernali. È stato progettato ed approvato il lavoro per coibentare tutto il piano superiore (per i pernottamenti invernali) ed aumentare il numero delle camere per consentire un più continuo “turismo scolastico”. Gli importi dei preventivi sono sicuramente molto impegnativi, ma la politica sezionale continua ad essere quella di investire per rendere più forte e sicuro il futuro di chi lavora e vive con e in montagna. Particolarmente importante è stato l’aiuto come sempre puntuale della Sede Centrale di Trento e della Commissione Rifugi che ha permesso di ottenere il finanziamento dei lavori.

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

RIFUGIO S. PIETRO E BAITA FLORIANI Ringrazio il gestore Enzo Santoni, veramente un fedelissimo per la buona gestione del rifugio che garantisce l’apertura completa da giugno a settembre e, per tutto l’anno, nelle giornate festive e prefestive.

Finalmente il rifugio è stato dotato dalla rete idrica e della rete elettrica con rinnovo parziale dell’impianto di riscaldamento ed elettrico.

L’impegno congiunto della Sezione e del Gestore ci ha dato la possibilità di raggiungere la concessione del marchio Family a questo Rifugio della S.A.T. Ringrazio il Comune di Tenno per l’aiuto che ci ha offerto per risolvere i problemi riguardanti le reti elettriche ed idriche e grazie all’impegno prezioso e continuo del socio Claudio Fedrizzi abbiamo potuto recuperare preziosi contributi finanziari che hanno ridotto non di poco l’onere a carico della sezione.

La Baita è bella ed accogliente Quest’anno scolastico ha visto varie classi frequentare questo sito, all’interno della programmazione del progetto “la SA.T. incontra la scuola”.

Ringrazio ancora una volta il nostro “Bacon”, per l’amorevole cura con cui ha arredato l’interno e custodisce l’intera struttura.

CAPANNA S. BARBARA Viene garantita l’apertura della Capanna nei giorni festivi da ottobre a giugno, compatibilmente ai problemi dati dal gelo, e nei giorni feriali per l’attività del Progetto giovani - scuola e per occasionali appuntamenti con altri gruppi; a questo lavoro di volontariato partecipano, con una rotazione di otto gruppi, più di 50 Soci: per tutti ringrazio Marco Tamiozzo, per quella che è una delle più belle realtà del nostro volontariato.

Il lavoro più importante effettuato negli anni scorsi e terminato quest’anno è senza dubbio il 50

rinnovo completo della cucina e la realizzazione della postazione per il generatore di corrente e relativo collegamento elettrico. Per tutti i volontari che hanno impegnato forze e ferie per affrontare quest’impegno, penso di interpretare il pensiero di tutti i soci chiedendo un fortissimo applauso di ringraziamento.

Domenica 1 dicembre, è stata riproposta la tradizionale Festa di S.Barbara. Grande piacere ci ha fatto avere con noi il rappresentante della parrocchia don Michele Vulcan che ci vede uniti alla S.A.T. di Riva per rispettare l’impegno di far celebrare ogni anno una S.Messa, quest’anno allietata dai canti del coro Castel Penede di Nago e dal gruppo Scout di Riva, in occasione della festa della Patrona, assunto nel 1928 alla consegna in custodia della Cappella.

Penso non ci siano parole per ringraziare tutti i volontari che, domenica dopo domenica, tengono viva una delle più belle tradizioni rivane: quando da piazza vedete la bandiera, pensateci e sorridete: noi siamo lì!

APPUNTAMENTI CULTURALI L’impegno della Sezione in questo campo continua, passando dagli appuntamenti di La S.A.T. incontra la scuola con momenti dedicati agli scrittori e a i poeti, alla coralità e la redazione del nostro annuario.

Un altro campo d’impegno è quello di far conoscere a Riva Alpinisti di alto livello con serate apposite.

Colgo l’occasione per annunciare che con martedì 11 marzo, inizierà un ciclo di proiezioni di film presso la sala del conservatorio in collaborazione con Trento Film Festival.

La Sede sociale di Porta S.Marco è inoltre a disposizione per le riunioni delle Associazioni culturali: Associazione Amici di Bensheim Associazione Riccardo Pinter Annuario 2014

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

PUBBLICAZIONI

ATTIVITÀ DI GESTIONE DELLA SEZIONE

Ricordo brevemente le pubblicazioni della nostra sezione: ”libretto gite sociali 2013” copie distribuite gratuitamente e spedite ai Soci e a 88 Sezioni S.A.T. 43^ edizione del nostro “Annuario 2013”, offerto gratuitamente e spedito ai Soci, alle Biblioteche, alle 88 Sezioni S.A.T. e portato nei Rifugi alpini della Regione. La collaborazione di Valentina e Flavio Moro, ci consente di proseguire ad editare con successo questa prestigiosa pubblicazione.

BOLLETTINO S.A.T.: partecipazione attiva alla pubblicazione bimensile edita dall’Organizzazione Centrale.

MANIFESTI - LOCANDINE - VOLANTINI per la divulgazione dell’attività sezionale.

STAMPA LOCALE E CAI : presenza costante per la divulgazione dell’attività sezionale.

Libretto edito da Alpinismo giovanile, sull’attività annuale.

L’evento dell’anno 2013 comunque è rappresentato dal nostro libro “Emozioni in cammino 2” curato da Marco Matteotti e Paolo Liserre, che completa la prima edizione ed inizio di una lunga serie.

SITO INTERNET: (www.satrivadelgarda.it) :fa piacere vedere quante numerose siano le visite che il contatore memorizza: dal luglio 2008 a tutt’oggi sono già più di 415.000 e solo nell’ultimo anno più di 126.000. Vorrei ricordare ai Soci che il sito, oltre alle informazioni d’uso sulla nostra attività, la completa rassegna stampa, le gite sui nostri sentieri, foto di gite sociali, l’aggiornamento dei titoli della biblioteca sezionale, il meteo, viene aggiornato almeno settimanalmente, con gli appuntamenti dei sette giorni.

In questi giorni è stata avviata una completa revisione del nostro sito che dopo otto anni di onorato servizio ha bisogno di un bel restyling.

Appuntamento fra un mese. È stata aperta una pagina anche su Facebook, molto seguita da una numerosa schiera di amici e followers.

Il Consiglio direttivo si è riunito per circa 40 sedute, di consuetudine il martedì.

Sono state tenute varie riunioni in Sede centrale a Trento, da parte del Presidente, dei Responsabili dei vari settori d’intervento. Vorrei rimarcare in questa sede, la gratitudine e l’amicizia verso tutto il personale di S.A.T. Organizzazione Centrale, a cominciare dal Presidente Claudio Bassetti.

Sempre come attività di gestione, sono stati tenuti più incontri con l’Amministrazione comunale, sia per ragguagliare sui nostri progetti, sia per concordare attività condivise.

Un grazie dunque a tutti coloro che si adoperano per il governo della Sezione, a Rosanna Giacomolli che mi ha aiutato come Vicepresidente in questo primo anno, al cassiere Zanoni Carlo ed al segretario Boccagni Adriano mettendo a disposizione la loro preziosa esperienza e ai Soci che hanno voluto impegnarsi di persona, a qualsiasi titolo, nel lavoro in Sezione.

Un particolare plauso e ringraziamento a Marco Matteotti, ora segretario generale della S.A.T. centrale che continua la sua preziosa collaborazione per il bene e lo sviluppo della sezione.

Per quanto riguarda la situazione finanziaria, lasciandone l’analisi all’apposita relazione del dott.

Nello Santorum, voglio sottolineare la sana situazione economica della Sezione. L’andamento di cassa, sta a dimostrare la vitalità della Sezione, e come i “soldi” girino, linfa vitale per le tante attività in cui siamo impegnati. L’esperimento di dotare ogni responsabile di settore di un proprio budget continua a funzionare creando momenti di condivisione delle responsabilità, con piena soddisfazione mia e del Consiglio direttivo; meno del Tesoriere che deve “riordinare” e riassemblare sempre più materiale.

Anche quest’anno il Comune è stato generoso: i finanziamenti che sotto diversi capitoli ci sono giunti dall’Amministrazione sono cifra che sta a testimoniare quanto la nostra presenza nel tessuto sociale della città sia apprezzata.

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Ma anche la Cassa Rurale Alto Garda continua a sostenerci, supportando in particolar modo la nostra attività nel mondo giovanile, mantenendo il suo cospicuo incentivo finanziario. Di questo siamo particolarmente grati al Presidente dott.

Enzo Zampiccoli.

Vi sono poi i numeri delle centinaia e centinaia di persone coinvolte nelle serate culturali, o nelle serate presso l’ Hotel Liberty.

TESSERAMENTO Iniziato in gennaio, si è protratto fino al 30 settembre, come da Statuto: la Sezione al 31.12.2013 raccoglie 1562 soci confermandosi sui numeri dell’anno precedente. In particolare abbiamo 792 soci ordinari, 481 familiari

e ben 288 soci giovani che ci colloca come prima sezione provinciale per il tesseramento giovanile.

Ringrazio Arturo Giovanelli che con Adriano Boccagni e Rosanna Giacomolli si sono accollati l’onere della gestione del tesseramento, questo importante momento burocratico della vita di Sezione e non dimentichiamo Sergio per la disponibilità, ricordando il riferimento per chi vuole rinnovare l’iscrizione ed avere materiale informativo per le Gite: presso il negozio di Sergio Amistadi, ai Giardini Verdi e presso la Sede aperta dal martedì al giovedì dalle 09 alle 12 ed il venerdì dalle ore 14.00 alle ore 17.00.

EXCELSIOR!

Le magie dei me monti di Alberto Maria Betta (Albertino) Ho sudà e rampegà sui monti pù alti, pestolà per mile senteri per tocar le zime pù bele.

Ho, nele ore pù calde, respirà la frescura nel’ombra dei boschi a ‘n pass dale zime.

Ho polsà en mezz ai fiori sui prai dele malghe tra pascoi de vache soto ‘l sol del mesdì.

Ho serà nel me cor profumi de fiori melodìe de colori panorami ‘ncantai.

Ho serà nel me cor le magie dei me monti.

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Annuario 2014

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Acropark e Tagliata del Ponale, una giornata di festa di Paolo Liserre Parete di arrampicata, ponti tibetani, teleferica, giochi a tema, ma anche percorsi di slalom per biciclette, mountain-bike e l’opportunità (che non è di tutti i giorni) di visitare con tanto di guide ed esperti l’affascinante (e purtroppo ancor oggi poco valorizzata) Tagliata del Ponale. In base ai piatti di pasta distribuiti con la solita celerità, che deriva da un’organizzazione perfettamente rodata, dal Gruppo Nuvola dell’Alto Garda e Ledro, l’affluenza alla giornata della S.A.T. organizzata il 6 aprile scorso al Parco della Colonia Miralago ha sfiorato le 500 presenze tra genitori e bambini. Ma sono stati tantissimi anche coloro che hanno deciso di prendersela con comodo, arrivando al parco

Annuario 2014

solo nel pomeriggio. E la festa è andata avanti per tutta la giornata, per la gioia di grandi e soprattutto piccini, tra le due visite (una per gruppo, mattina e pomeriggio) alla Tagliata del Ponale con l’aiuto dei volontari del Comitato Giacomo Cis, e i percorsi di abilità all’aria aperta nella fantastica cornice naturale del compendio Miralago.

Trasformato per un giorno in un parco attrezzato ad impatto zero, oggi come oggi chiamato più comunemente Acropark.

La tradizionale iniziativa della S.A.T. rivana ha coinvolto anche questa volta tutti i gruppi della sezione, in primis i volontari del Gram (il Gruppo Rocciatori d’Alta Montagna) che hanno lavorato anche tutta la giornata di sabato per

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

approntare i percorsi attrezzati, la parete di arrampicata gentilmente offerta dalla ditta Sintroc & Ecogrips di Arco e preparare tutta l’attrezzatura necessaria per consentire ai piccoli ospiti di provare in assoluta sicurezza le proposte offerte.

Ma altrettanto importante è stato il contributo offerto dai volontari della sezione Sat&Bike, dai responsabili e dai ragazzi dell’Alpinismo Giovanile, così come dai responsabili del progetto “In montagna con le famiglie” (a cominciare dall’ex presidente ed oggi segretario della S.A.T. centrale Marco Matteotti e da Claudio Martinelli) che hanno guidato bambini e genitori nell’affascinante doppia visita alla Tagliata del Ponale. Ma tutta la macchina organizzativa satina ha lavorato con impegno e dedizione affinché l’iniziativa si svolgesse senza intoppi e offrendo un’opportunità di svago, divertimento ma anche conoscenza della montagna e del

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mondo dell’arrampicata ai tanti ospiti non solo rivani. Una proposta che ha riscosso il consenso e l’apprezzamento di centinaia di ospiti, compresi esponenti dell’amministrazione comunale rivana quali il sindaco Adalberto Mosaner e l’assessore ai lavori pubblici Alessio Zanoni che hanno fatto visita al Parco della Miralago durante lo svolgimento della manifestazione e espresso il loro plauso per l’iniziativa.

Che quest’anno, a differenza di dodici mesi or sono, anche le condizioni meteo hanno dato una mano ai volontari satini, con una giornata baciata dal sole e da una temperatura gradevole che nulla aveva a che fare con la giornata dell’anno scorso quando il maltempo non fermò comunque lo svolgimento della manifestazione.

La giornata Acropark alla Miralago rientra ormai da tempo nel programma annuale di proposte del calendario di “In montagna con le famiglie”

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

che anche nel 2013, nonostante molti ostacoli operativi dovuti al maltempo, ha fatto registrare la partecipazione di centinaia e centinaia di persone tra bambini e genitori, sempre entusiasti delle offerte proposte. Per quest’anno il programma è altrettanto affascinante con 15 uscite in programma di cui alcune, al momento di andare in stampa con l’Annuario, già effettuate con successo. Dalle trincee di Nagià Grom al Sentiero della Maestra, dalla giornata Acropark alla Miralago alle gite di due giorni che si svolgeranno a luglio ed agosto, la prima con il Giro del Gruppo del Sassolungo, la seconda a fine agosto a Santa Croce di Latzfons.

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Punti vendita: RIVA DEL GARDA - Rione 2 giugno - Piazzale Mimosa, 8/10 Tel. 0464.520768 - Fax 0464.520851 - Viale Giovanni Prati, 21 Tel. 0464.554537 - Fax 0464.522065 - Viale Rovereto, 39 Tel. 0464.552407 - Fax 0464.552510 ARCO - Via Bruno Galas, 33 Tel. 0464.516701 - Fax 0464.518434 - Via Stazione, 3 - BOLOGNANO Tel. 0464.512861 - Fax 0464.513598 - Via Negrelli, 22 - VIGNE Tel. 0464.512982 - Fax 0464.510885 Sede: Piazzale Mimosa, 8/10 38066 RIVA DEL GARDA (TN) Tel. +39 0464 520768 Fax +39 0464.520851 consumatori@altogarda.coop.it

DRO - Strada Gardesana Occ.le 23/C Tel. 0464.504300 - Fax 0464.544570 TORBOLE SUL GARDA - Strada Piccola, 4 Tel. 0464.505118 - Fax 0464.548948

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Sopraimille, dieci anni di solidarietà Il Gruppo «Un’idea geniale, un esempio che ha avuto in Riva del Garda e nella S.A.T. di Riva del Garda un laboratorio nazionale seguito e da seguire, ancor più oggi in una società spersonalizzata e povera di rapporti umani» sottolinea Annibale Salsa, antropologo e già presidente del Cai, il Club Alpino Italiano.

Quell’«idea geniale» nacque esattamente dieci anni fa, protagonisti un gruppo di volontari della S.A.T. di Riva e il personale medico e infermieristico del Centro di Salute Mentale di Arco che pensò bene di inserire nel percorso di riabilitazione psichiatrica lo scenario unico della montagna. La montagna come terapia della mente e dell’anima, l’alpinismo che «sposa» la solidarietà, la fatica e lo spirito di gruppo come aiuto a superare i problemi che ti porti dentro e che insieme, anche solo per qualche giorno, svaniscono. E

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aiutano a crescere interiormente tutti, paziente, medico, infermiere, volontario.

Quell’«idea geniale» si chiamava e si chiama «Sopraimille», sancita ufficialmente in un’intesa programmatica sottoscritta dalla S.A.T. di Riva e dall’Azienda sanitaria provinciale un anno dopo, nel dicembre 2004. È divenuta nel tempo un esempio seguito in tutta Italia. La ricorrenza dei dieci anni è stata festeggiata a dicembre presso la sede della S.A.T. di Riva, presenti in primo luogo i ragazzi ospiti del Centro di Salute Mentale e i tanti volontari della S.A.T. senza i quali il sogno sarebbe rimasto tale, oltre ovviamente alle autorità (il vicesindaco di Riva Bertolini e il presidente della Comunità di Valle Valandro che hanno rimarcato l’importanza dell’iniziativa e confermato il sostegno delle rispettive amministrazioni).

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I numeri di questi dieci anni tratteggiano solo la cornice di un quadro che ha sostanza nei rapporti umani costruiti nel tempo. 87 uscite tra escursioni, falesia, sci, alpinismo, ciaspole, ghiacciaio, ferrate, rifugi e via dicendo; quasi 700 giorni di presenza/utente nel progetto, circa 25 tra accompagnatori S.A.T. e volontari coinvolti, con la presenza nelle uscite più tecniche della guida alpina Paolo “Trota” Calzà. E un sentiero S.A.T., alla Volta di Nò, ufficialmente adottato da Sopraimille la cui bandiera, proprio grazie alla guida alpina Paolo Calzà, è arrivata anche in cima al Cerro Torre. E ancora corsi di formazione con la partecipazione di operatori provenienti da tutta Italia, il primo convegno nazionale di montagnaterapia al Centro di formazione del CAI al passo Pordoi nel 2006, il primo convegno internazionale «Sentieri di Salute» con 240 partecipanti a Riva nel 2008, oltre alla presentazione di questa esperienza a circa 25 convegni in tutt’Italia. «Riva in questo senso è stata una fucina, un laboratorio - ha sottolineato ancora Annibale Salsa - Sarebbe un peccato che questa esperienza non avesse continuità». «S’innesca un circuito virtuoso osserva il dottor Sandro Carpineta, psichiatra, nonché fautore dell’iniziativa - Dove ognuno dà qualcosa e ognuno si arricchisce interiormen-

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te». Lassù, lungo un sentiero, sul ghiacciaio, verso un rifugio, si è tutti uguali. Il paziente, il medico, l’infermiere, la guida alpina e il volontario S.A.T. Accomunati dalla fatica e dalla bellezza della natura. Mentre cresce l’autostima e la capacità e il desiderio di aspettare l’ultimo.

«Perché - come scrivono gli stessi ragazzi - per chi è spesso preso da pensieri negativi, è bello vedere la semplicità delle cose che la natura ci dà, come un paesaggio, un albero, gli stessi insetti che unendo le forze fanno gruppo e riescono a vivere. Come noi con il nostro gruppo, la stessa cosa che ci accade quando ci leghiamo assieme ad una corda».

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Biblioteca SAT Riva del Garda di Stefano Reversi La biblioteca della sezione S.A.T. di Riva del Garda è un importante patrimonio il cui valore aumenta di anno in anno. È un servizio cui tutti i soci della sezione possono accedere con il classico modo del prestito libro per la durata di un mese.

Vari sono gli argomenti presenti collegati per la maggior parte “all’elemento” montagna: narrativa, guide, cultura generale, manuali tecnici, dvd, pubblicazioni CAI-SAT. L’orario d’apertura è dalle 14,00 alle 17,00 tutti i venerdì pomeriggio, mentre la sera (sempre di venerdì) dalle 20,30 alle 22,00 con cadenza quindicennale (un venerdì SI, un venerdì NO). Le date dell’apertura serale sono riportate sul sito della sezione www. Satrivadelgarda.it. Ricordiamo che tutti i soci della sezione di Riva hanno diritto a uno sconto presso la libreria

Cazzaniga di Arco, ottenibile tramite una tessera disponibile nei punti di distribuzione dei bollini e nella sede S.A.T. di porta S. Marco. Un grazie a tutti i collaboratori che dedicano parte del loro tempo libero al progetto biblioteca. Un grazie anche a tutti quelli che donano volumi alla sezione. Di seguito proponiamo un passaggio tratto da due libri. Il primo estrapolato da: “DI ROCCIA E DI GHIACCIO” di Enrico Camanni - storia dell’alpinismo in 12 gradi, editori Laterza. Il secondo è un omaggio a Rolly Marchi, scrittore e giornalista trentino, oltre che scalatore sciatore e alpinista, morto all’eta di 92 anni nel 2013. Qui riportiamo un passaggio da un suo libro, “ LE MANI DURE” della collana I LICHENI, edizione Vivalda editori Torino. Buona lettura da parte del team biblioteca!

Ottavo grado, per (non) volare 1981: la via Attraverso il Pesce sulla Marmolada, un lungo passo verso il futuro.

Cerco di uscire da «pesce» attraverso la sua coda, poi provo attraverso la bocca, ma alla fine è attraverso la testa che riesco a passare.

Igor Koller

dolomitica, dai pionieri Bettega e Zagonel con Beatrice Tomasson, a Luigi Micheluzzi, Gino Soldà, Bruno Detassis, Giovan Battista Vinazer, Ettore Castiglioni, Armando Aste, Reinhold Messner, Alessandro Gogna, Graziano Maffei, Paolo Leoni, Igor Koller, Heinz Mariacher, Manolo, Bruno Pederiva e Maurizio Giordani.

Il più devoto di tutti, il roveretano Giordani, ha collezionato giorni e settimane in parete, arrampicandola d’estate e d’inverno in cordata e in solitaria, disegnando itinerari ricercati e futuristici. Nel 1986 ha dedicato un libro alla sua musa e l’ha intitolato Marmolada sogno di pietra. Sulle tavole levigate di punta Rocca (3309 m) e della Marmolada d’Ombretta (3247 m) l’arrampicata è speciale perché si svolge perlopiù su placche compattissime e di difficile chiodatura.

Non conta tanto la forza, quanto il controllo e l’istinto. Sugli specchi chiari l’acqua ha lavorato la roccia come una scultura gotica, scavando buchi e cesellando le increspature di dolomia.

La parete sud della Marmolada è il contrario del muro tenebroso del Civetta: una sfilata di roccia franca e solare. Se la muraglia cara a Domenico Rudatis incarnava anche esteticamente la sfida eroica del ventennio, la Marmolada è sempre stata la parete moderna per eccellenza, nuda e disincantata, una falesia chilometrica in altezza e larghezza su cui si può spingere l’arrampicata libera fino al limite, senza preoccuparsi troppo del gelo e delle scariche di pietra. Montagna a misura d’uomo, anzi di scalatore. Nel corso del Novecento la Sud della Marmolada ha visto innamorarsi e salire i maggiori talenti della scalata Annuario 2014

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Bisogna usare i piedi e la testa con giochi di equilibrio che sembrano numeri da illusionista.

La grande parete calamita da sempre gli occhi degli apritori, è ovvio che sia così, ma l’inizio degli anni Ottanta diventa ancor più attuale, irresistibile. Siamo al debutto dell’arrampicata sportiva, ai primi allenamenti «scientifici» e sistematici, alla metodica chiodatura delle pareti di bassa quota che permette il balzo atletico dal settimo all’ottavo grado e oltre. È come se una disciplina da sempre compressa in un vestito austero - l’abito degli alpinisti - trovi improvviso slancio e libertà d’azione, schiudendo possibilità inimmaginabili. La Marmolada offre il terreno ideale per provare ad applicare in montagna i progressi della falesia, ma l’etica dolomitica dei

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primi anni Ottanta, quando non vieta il trapano, impone comunque un uso ridottissimo di tasselli ad espansione: i così detti spit. In tal caso le difficoltà della scalata, sopratutto in apertura, è molto condizionata dall’impegno psicologico, dalla paura di «volare» e dal rischio della caduta. Con una definizione sintetica si può affermare che sulla Sud della Marmolada «il rischio fa grado», perché c’è una bella differenza tra l’affrontare un passaggio di ottavo grado con lo spit sotto la pancia - come avviene di norma sulle falesie e nelle palestre di allenamento - oppure salire un settimo superiore con il primo chiodo, magari ballerino e insicuro, che luccica otto metri sotto i piedi. Otto più otto fanno sedici metri, e quella sarebbe l’entità di un eventuale caduta. C’è solo un posto, in Europa, che storicamente vanta un etica ancor più irreprensibile.

Lo slovacco Igor Koller lo descrive così: le regioni di arenaria dell’Europa centrale, per la precisazione la zona che noi chiamiamo «Svizzera Boemo-Sassone», presso il fiume Elba, tra i confini dell’attuale Germania e della Boemia settentrionale, sono la culla dell’arrampicata libera. Lì vige il principio che la scalata sia esclusivo frutto delle proprie forze e capacità; per la sicurezza si possono usare solo le naturali protezioni della pietra. È assolutamente vietato qualsiasi intervento sulla roccia… La purezza dell’arrampicata libera garantisce anche la protezione della morbida arenaria, ed è proprio la delicatezza della roccia sedimentaria ad aver generato una scalata dall’etica rigorosamente sportiva, in accordo con la tutela della natura. Il risultato è che gli scalatori che crescono sulle torri di arenaria si abituano per tradizione a rischiare molto e a non darsi mai per vinti. Spesso arrampicano con le babbucce della nonna risuolate alla meglio, oppure con scarpette da calcio senza tacchetti e con suola di gomma di copertone. Sono speciali guerrieri che antepongono il coraggio alla tecnologia.

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Le mani dure Le nostre scalate, pur prediligendo il Brenta, spaziavano anche altrove, al Sella e persino in Lavaredo. Con Aldo e Remo ci scambiavamo delle cartoline. Loro dicevano: «fatto questo, sei ore e mezza, sette chiodi, ciao». «Fatta questa, tredici ore, un bivacco, freddo cane!» . Dopo metà agosto Giovanna era tornata dal mare, snella e molto abbronzata, l’abbiamo vista un giorno in città, poi era salita a Pinè e non ci siamo più incontrati fino ad autunno. La mia intesa con Milziade si rafforzava, il sesto grado era ormai prossimo e poi pensavo alla via nuova, il mio chiodo supremo. Essere secondo di cordata e non primo non mi importava granché, con lui. Perché Milziade era primo di nascita, ce l’aveva scritto sulla fronte che era Primo. Però durante certe ascensioni di quell’estate stravagante e felice avevo vagheggiato e idealizzato l’occasione nella quale anch’io, dopo un anno o due, avrei potuto offrire la mia corda a qualcuno, diventare capo. Invece sul finire di settembre, proprio quando Castelli stava per chiudere, io e Milziade ci imbattemmo in un nucleo di studentesse Padovane, gitanti più che altro, ma interessate a noi. Dopo le solite domande sui gradi e i chiodi, i pericoli e la paura, una di nome Serenella, disse: «cos’è che si prova quando si arriva in cima?» «domani lo saprete» stabilii Milziade. «Ma come? Noi siamo appena…»

«Due con lui, due con me» continuò categorico.

«Ma dove?» domandò Serenella dimenandosi sulla sedia. «Videsott alla Margherita», e chiuse.

Provai emozioni remote, sentivo già la corda scendere sotto il mio corpo, vedevo la roccia nuda davanti a me e le mie mani che si alzavano a sfiorarla verso l’appiglio. Fu un arrampicata divertente e insolita, con donne dappertutto, sopra, sotto, di fianco, rannicchiate, distese, schiacciate, proterve, timide e felici e se una gridava, Milziade la canzonava parlandole di voglie e di sesso. Arrivai in vetta per primo e fui vinto da un fremito. Era la prima volta, ero solo, ero primo. Ma soppesando la realtà non mi Annuario 2014

sentivo interamente pago, c’era Milziade, troppa gente, avrei voluto cimentarmi su una via più dura e questo piccolo tarlo. Alla sera ci sedemmo allo stesso tavolo per cenare e mentre si aspettava, Milziade aveva sedotto l’uditorio parlando di Preuss e di Graffer, sentii il ginocchio di Serenella premere contro il mio, ma non so bene se fosse stata proprio lei a cominciare. Anzi, forse ero stato io che da quel giorno ero primo.

Fatto è che la sua gamba faceva dolce resistenza per cedere poi, vuoi di scatto vuoi morbidamente, in una specie di schermaglia. Lei, che studiava lingue, mi sorrideva lungamente con gli occhi.

Il gioco riprendeva, lei premeva, io cedevo - sempre un po’ rudemente - aspettavo, premevo, ambedue precisi e ricchi d’intese. In una pausa del racconto di Milziade al quale badavo realmente poco, mentre lui si dissestava e forse cercava nuove idee, dissi fulmineamente: “ domani vado con Serenella”. “ Dove?” chiesero le amiche in un coretto di simultanea invidia. “ Sul Basso” e nessuno fiatò. Serenella trasalii e si aggrappò al mio braccio pieno di vibrazioni e sospiri, con il volto rubino e la bocca in cerca di saliva. Più tardi, mentre ci alzavamo dai tavoli, Milziade si avvicinò al mio orecchio sussurrandomi “ ciavàdo” che in italiano vuol dire beato te! Serenella la svegliai all’alba entrando nella stanza con una candela che avvicinai al suo volto purissimo. Fu lesta a prepararsi, in cucina bevemmo un caffè, poi riempii la solita boraccia il resto era già pronto. Sullo zaino trovai un biglietto scritto da Milziade, diceva “ beato te!”, mi feci una risatina e lo lascia nel sacco come talismano. L’aria era quieta, il giorno limpido, perfetto. Camminavamo quasi senza parlare in un Brenta deserto e immenso, io mi stavo concentrando sull’ascesa. «Ciao Serenella» le dissi a tu per tu col Basso. «Ciao Angelo» rispose lei gonfiando il petto. «Vero che non hai paura?»

«Un poco…» ammise con sincerità. «Tieni eh» raccomandai prima di attaccare. «Si si» disse stringendo le corde per farmi vedere che sapeva.

Indossava un maglione rosso e calzoni jeans. Dal 61

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primo terrazzino la vidi salire agile e lieve come mi aspettavo. «Ti piace?» «Moltissimo» sospirò tremando un poco. Rimanemmo seduti a rilassarci con le gambe nel vuoto, lei pallida per la tensione dello sforzo, anche «per il senso del vuoto» disse, ma disinvolta nel dire, nel chiedere. Non c’era nessuno, non si sentiva voci ne colpi di martello attorno a noi. «Oh il sole!» disse al primo tocco abbagliante oltre lo sperone «allora gli andiamo incontro» dissi alzandomi.

La scalata proseguiva allegramente, senza intoppi. Sullo Stradone Provinciale spiegai le solite cose che si dicono ai novizi, Preuss, Fox, Graffer e lei guardava in alto con stupore. Le offrii del te e mentre lo beveva il suo sguardo fu sedotto da una lapide inchiodata alla roccia. Mutò espressione ma la esortai a non aver tormenti.

«Si chiamavano Bianchi e Prati» le spiegai anticipando la domanda, «volevano ripetere per primi la Preuss e sono piombati qui». Piombare è più di cadere, e quando succede viene la lapide.

Serenella ascoltò corrucciata e osservò la parete che sconfinava nel cielo. Ci mettemmo seduti.

«Contenta così non sono stata mai»disse come una bambina rannicchiata al mio corpo.

Anch’io, pensai, ma non le rivelai il motivo.

«Non credevo che su una parete ci fossero dei sentieri come questi» «succede a tutti la prima volta anche le rocce sono meno levigate di quanto non sembri da lontano». Si disse lei pronta a ripartire. Riprendemmo, con la sua gioia che saliva ancor più dell’ascesa. Il silenzio era arcano, diverso da tutti gli altri che avevo ascoltato in vita mia, soltanto il respiro e il suono spento del piede contro la roccia erano segni di vita. All’ultimo terrazzino mi avvicinai a lei e la baciai sulla fronte: «devi stare un po’ attenta» dissi. «A che cosa?» domandò lei senza turbarsi. «Ecco spiegai, vai oltre lo spigolo e guardi, vai tranquilla, io tengo…». «Mamma mia!» esclamò voltandosi di scatto. «Hai visto?» «Che alti siamo?» disse ancora con stupore. «È l’ultimo passaggio, ancora venti metri e siamo in cima, sembra un attraversata difficile, invece troverai tutto, per i 62

piedi e per le mani. È molto esposta… ma è lì il suo bello». Sulla cima quando vide la montagna appiattirsi, allargò le braccia e si slanciò sul mio corpo: «un giorno così non l’ho avuto mai» si avvinghiò sussultando. Felice ero anch’io per lei e per il segreto che mi ero portato addosso e che nemmeno ora le avrei rivelato: avevo fatto il Basso da primo e in tutto il mondo non c’era nulla che mi importasse di più. Lo avvertivo più che pensarlo e Serenella continuava a stringermi e guardarmi. Mi staccai, posai il sacco, sciolsi i nodi dalla corda, aprii il sacco e disposi su un masso i panini, le uova, la frutta e la borraccia del tè. «Non ho niente fame» disse lei «bevi un po’ almeno» . «Quello si, grazie». Mentre beveva mi avvicinai all’ometto e sfilai il libro per metterci le firme: «ecco - dissi - scrivi qui di fianco a me». Lei scrisse il nome soltanto. «Adesso rimarcai, la scalata è completa». Ci sedemmo lasciando il sole alle spalle, lei sfilò il maglione, aveva caldo, le presi il viso fra le mani e la baciai, aveva gli occhi aperti e mi guardava, sembrava che ridesse. Invece era soltanto felice, la ribaciai lentamente, ci abbandonammo sul terreno. «Non arriva nessuno? Non ci vedrà nessuno?» Domandò per sentirsi più libera. «Beh non siamo mica ai giardini». Rise, poi sorrise appena guardando le poche nubi e io le slacciai la camicetta color turchese, con l’indice sinistro le toccai un seno e lei chiuse subito gli occhi remissiva. Passai ai pantaloni e le sganciai il bottone, lei mormorò qualcosa cingendomi le braccia al collo, il suo corpo sapeva di sale come al mare. L’accarezzai, si inarcò lasciando che le cose andassero per conto loro, con gli occhi velati, languidi e sgomenti. Lei guardava proprio come può accadere soltanto in quella sorta di attimi nei quali il cielo, un sasso, un fiore, il silenzio e il rumore sono la stessa cosa, il mio sguardo al contrario scivolò oltre la sua testa su un masso che al centro aveva una targa: «a santa Rita che nei fulmini salvò la mia vita. Con fede imperitura per grazia ricevuta Evelina Tombolon, addi 28 luglio 1945». Il candore di santa Rita mi turbò, il diAnnuario 2014

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sagio fu improvviso, fisico e spirituale, e Serenella lo avvertì. «No, qui no, Serenella» dissi affettuosamente. «Perché?» mi guardò stupita.

«Guarda» dissi. «Come vuoi caro». Ci ricomponemmo alla meglio e ginocchioni ci spostammo di un paio di metri, si riabbandonò subito. Ma anche lì vidi un altarino, con una piccola statua della Madonna, come al solito innocente, vestita di bianco e celeste:«Il CAI di Gallarate alla Vergine santa e protettrice». «Serenella, nemmeno, qui, ci vede lei» dissi girandole il viso. Sor-

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rise. Ci risollevammo a guardare, di qui e di là.

Sulla destra c’era una croce con una fotografia di un giovane di Vercelli, purtroppo privo di grazia ricevuta. «Sembra di essere in una chiesa» dissi. «O in un cimitero…» «Va là, aspettiamo stasera». «Come vuoi» accettò ricomponendosi, «sei tu il mio capo». «Se vuoi, possiamo mangiare qualcosa…» «Grazie, adesso volentieri». Dopo si e no un minuto un giovane massiccio, con un maglione blu e i capelli al vento, comparve dal versante est, solo, con la corda ordinata attorno al petto. Si arrestò sul ciglio guardandosi attorno come uno che vuole assaporare il cuore di una sublime avventura. Cristo! Mi venne voglia di urlargli, invece mi limitai a chiedergli: «perdinci!Come ti chiami?» «Cesare» disse chiaramente. «E poi?» «Maestri» «Ma sei solo?»«…Si…» «Ma hai fatto la Preuss!» «Si» disse con fierezza. «Per Dio! Sei bravo». «Grazie» disse avanzando. Si sbrigò in fretta, si avvicinò all’ometto, sfilò il libretto, lo aprì e vi scrisse il nome, «buon giorno»disse, e molto educatamente ci lasciò soli, tornando per la stessa via. Serenella non capì bene l’essenza di quell’apparizione, ma io sbalordii.«Quando ti senti, ci prepariamo a scendere» dissi. Ebbe negli occhi un fremito e poi la solita inquietudine di affrontare il vuoto, ma si alzò subito per dimostrarmi che era pronta. E fu bravissima. Alla base della parete, seduti davanti agli Sfulmini, trovammo le sue amiche, con Milziade, venute a festeggiarla. C’erano anche Remo e Aldo, giunti di sorpresa. Le ragazze si abbracciarono scambiandosi effusioni, Milziade mi strinse la mano e fissandomi mormorò: «drago». Fu tutto. Adesso ero primo anch’io.

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L’annuario della S.A.T. Un’enciclopedia culturale “I ricordi montanari” dell’avvocato Renato Ballardini di Paolo Liserre Quasi 300 pagine che da sempre condensano in un prodotto imperdibile uno spaccato essenziale della storia di Riva, dell’amore di molti suoi “figli” per la montagna, dell’impegno di centinaia e centinaia di volontari che lavorano quasi quotidianamente per conservarla nella sua bellezza e renderla fruibile a tutti, della passione di chi negli anni e da anni cerca di trasmettere, con l’esempio concreto e non solo a parole, questo amore alle nuove generazioni. E poi aneddoti, racconti da mondi lontani, curiosità, storie di vita che altrimenti rimarrebbero sconosciute ai più. Oltre ovviamente ai resoconti dei tanti gruppi che animano con entusiasmo la vita della nostra sezione.

Tutto questo è l’Annuario della S.A.T. di Riva del Garda (curato come sempre nei minimi dettagli da Valentina Leonardi e Flavio Moro) che nell’edizione precedente a quella che oggi potete toccare e sfogliare personalmente con le vostre mani, ha avuto il piacere e l’onore di ospitare i ricordi

“montanari” dell’avvocato Renato Ballardini, già parlamentare e ancora oggi figura di spicco e di riferimento della storia politica e civile cittadina.

L’avvocato Ballardini è stato ospite d’onore della presentazione dell’Annuario 2013, alla pari del presidente della S.A.T. centrale Claudio Bassetti che ha voluto rimarcare con la sua presenza e le sue parole il valore fondamentale che il sodalizio rivano riveste, anche con questo contributo, nell’intero mondo satino. Un’importanza e una valenza storica, sociale e ambientale ribadita anche dagli assessori Renza Bollettin (in rappresentanza del Comune di Riva) e Massimiliano Floriani (a nome dell’amministrazione di Arco).

L’avvocato Renato Ballardini, di cui l’edizione 2013 dell’Annuario riporta un’ampia sintesi del suo volume “Guizzi di un pesciolino... rosso” (custodito anch’esso, assieme a migliaia di altri volumi, dalla Biblioteca della S.A.T. di Riva), ha voluto ricordare così il suo amore e il suo rapporto con la montagna:

Da sinistra, Marco Matteotti, Renato Ballardini, Claudio Bassetti e Giorgio Galas Annuario 2014

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Renato Ballardini Valentina Leonardi e Flavio Moro

“Ho sempre amato la montagna. Non credo che sia dovuto al fatto che mio padre era nato a Montagne, un piccolo comune sopra Ragoli. Fin da ragazzino andavo a S. Pietro con mio padre ed il maestro Bragozzi, ma partivamo a piedi da Riva fino a Varone e poi salivamo lungo il sentiero ripido e pietroso che si inerpicava sotto il castello di Tenno. E poi da lì fino a S. Pietro. Ricordo che il ritorno si concludeva sempre con una sosta in un’osteria di Gavazzo che si chiamava “la Carlotta”. “Ma la passione per la montagna - ricorda ancora Ballardini - è cresciuta con il trascorrere degli anni. Il Brenta, l’Adamello e la Presanella, l’Ortles ed il Gran Zebrù, le Dolomiti fassane, erano le mete dei nostri progetti. Ricordo la data storica, il 25 luglio 1943, giorno in cui il Gran Consiglio del Fascismo negò la fiducia a Mussolini, io mi trovavo al passo Sella in un campeggio di prealpini della G.I.L. Festeggiammo l’evento con gli istruttori della Scuola d’Aosta, gli alpini che ci avevano portati ad arrampicare sul Sasso Lungo, le Cinque Dita, Punta Grohmann e le torri di Sella.

Poi, maturando in noi un atteggiamento critico verso il regime, fondammo una associazione e la chiamammo non a caso “Figli della Montagna”.

Vedevamo nella montagna un ideale di purezza, il simbolo di un impegno di conquista, il luogo in cui tutti ci sentivamo fratelli. E scoprimmo 66

che la montagna è cultura, scuola di formazione.

Da tutto ciò è derivata la mia presenza nella S.A.T. che con la sua storia ha confermato esattamente questo alto significato della montagna.

“Ne è una prova ulteriore anche questo Annuario. È un monumento, una vera e propria enciclopedia culturale - ha rimarcato ancora l’avvocato Ballardini - Vi si raccontano i modi più diversi per conoscere la montagna: scalando la roccia, percorrendola con gli sci quando c’è la neve, in bicicletta su sentieri accidentati, persino con la carrozzella da persone disabili, da parte dei giovani ma anche dei VIP, intesi come Vecchietti in Pensione. Vi si tratta della montagna come terapia e come oggetto di cura nella manutenzione dei sentieri. Vi si leggono i resoconti di escursioni bellissime non solo sulle nostre montagne ma anche sulle montagne del mondo lontano, in Bosnia, in Cile, in Argentina, l’Annapurna ed il Nepal. Vi si racconta la storia della nostra Rocchetta con la via dell’Amicizia, del lago di Loppio con l’isola di S. Andrea, di Pregasina. È impossibile citare gli innumerevoli autori, tutti amanti della montagna ed eccellenti scrittori. I cui testi sono arricchiti da splendide fotografie e preceduti da commoventi disegni di ragazze e ragazzi delle nostre scuole elementari. E non mancano persino alcune aggraziate poesie.

Come ho detto un’autentica enciclopedia”.

I numerosi soci Annuario 2014

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Relazione attività 2013 dell’Alpinismo Giovanile di Gilberto Mora L’Alpinismo giovanile di Riva del Garda ha compiuto il settimo anno d’età e ciò rallegra tutti poiché l’amore e l’attrazione che la montagna e le sue meraviglie esercitano nei cuori di tutti noi permane e cresce nonostante gli anni che passano. I componenti del gruppo, accompagnatori e ragazzi, sono sempre più affiatati, ciò significa che anno dopo anno si sta sviluppando un rapporto che va oltre le sole gite, infatti nell’ultimo periodo il gruppo tende a incontrarsi in altre diverse occasioni. Come ogni anno, al gruppo degli accompagnatori

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approdano forze nuove per dare una mano durante le gite e nei turni di servizio a S. Barbara, garantendo così compattezza e aiuto reciproco all’interno del gruppo, grazie alla capacità di questi di coinvolgere giovani e accompagnatori. Nel gruppo degli “accompagnati” stanno crescendo futuri accompagnatori che, in un futuro non molto lontano, ci daranno una mano nel gestire ed organizzare le escursioni.

Anche quest’anno il gruppo si è visto impegnato nella gestione (per ben cinque volte!)

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della Capanna S.Barbara durante le domeniche dell’anno. Il programma 2013 delle gite è stato un po’ ridotto a causa del brutto tempo: cinque delle quattordici gite sono state annullate. Sono state fatte solo due gite sulla neve: ciaspolata a Madonna di Campiglio e Cima Vezzena, poi si è passati direttamente alle gite primaverili come il C.A.I. DAY, il raduno regionale dell’ Alpinismo Giovanile tenutosi a Bressanone. Come prima gita dell’estate 2013 abbiamo percorso la famosa, lunga e stupenda ciclabile di Resia. Il 7 luglio

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siamo andati sul Caré Alto e alla fine del mese, dal 26 al 28, siamo stati impegnati ad affrontare il trekking Bernina - Stelvio. In agosto abbiamo percorso la ferrata Satner nonostante il fatto che il tempo non era dei migliori. Solo pochi eletti hanno potuto esplorare le Pale di S. Martino partecipando al trekking. Ed infine, come l’anno scorso, abbiamo fatto l’uscita “biathlon” organizzata dai canottieri di Riva del Garda e dal G.R.A.M. della S.A.T. di Riva. La prima parte consisteva nell’attraversata del lago in canoa fino a Corno di Bò dove abbiamo potuto usufruire delle pareti attrezzate e permettere ai ragazzi di provare l’ebrezza dell’arrampicata. Dopo il ritorno, sul motoscafo dei Vigili del fuoco o con le canoe, è seguito il pranzo presso la spiaggia dei sabbioni.

Il primo dicembre ci siamo trovati per rivedere le foto scattate durante le escursioni e per scambiarci un saluto rinnovando l’invito a ritrovarci il prossimo anno, per passarlo ancora insieme in allegria.

Annuario 2014

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Trekking del Bernina Passo allo Stelvio Documentazione di Simone e Daniele Zampiccoli - Lorenzo Poli 1° GIORNO Il 26 luglio, abbiamo avuto un’alzataccia, dopo esserci alzati alle 5.00 o addirittura prima ci siamo diretti alla stazione di Riva alle ore 5:30, anche se per un ritardo siamo partiti alle 6:00. Il viaggio è stato lungo circa 3.30 ore, e visto l’orario molte persone hanno dormito. Il nostro treno partiva da Tirano alle 9.40, noi siamo arrivati alle 9.45. Fortunatamente ci hanno aspettato anche se ci hanno richiamato per aver fatto aspettare 150 persone per 5 minuti. Il percorso del treno iniziava passando per un breve tratto in città, per poi iniziare a salire affiancando e salutando le altre auto, fino al lago d’oro, da dove ci si inerpicava ulteriormente su per la montagna; in un paesaggio pieno di ponti, gallerie, flora alpina e laghetti armoniosi.

La nostra fermata era a Bernina Diavolezza, la dove abbiamo iniziato a percorrere una lunga vallata che ci avrebbe portati fino a Livigno, luogo di arrivo del primo giorno di trekking.

La vallata che abbiamo attraversato era verde, senza alberi, dove abbiamo visto molte marmotte e un’ aquila che cacciava. Dopo circa un’ora di

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camminata intravvediamo il luogo in cui avremmo pranzato, ma ci volle ancora una mezz’oretta perché ci potessimo gustare il nostro meritato e delizioso pranzo al sacco.

Dopo un’altra ora di cammino in mezzo a questo paesaggio siamo giunti al confine fra Italia e Svizzera. Dopo circa 10 minuti abbiamo incominciato la discesa, a metà della quale, Simone, uno dei tre scrittori, si è fatto male e arrivati in fondo abbiamo attraversato la strada per poi percorrere un sentiero sotto la strada; ad un certo punto, sul versante a noi rivolto della montagna alla nostra destra abbiamo visto due camosci che correvano. Alla fine di esso c’era un gruppo di cavalli che pascolavano beatamente a lato del

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

sentiero. Dopodiché abbiamo preso un sentiero a sinistra che ci ha portato a un parcheggio, mio fratello ed un suo amico, pensando che fosse il punto d’arrivo hanno fatto uno scatto, ma arrivati là hanno scoperto che all’ arrivo mancava ancora mezz’ora. Come detto, dopo mezz’ora siamo arrivati ad una decina di km da Livigno, da dove abbiamo preso un bus navetta, che ci ha portato nel centro del paese. Dopo una sosta ed un gelato o un bicchiere di birra abbiamo preso il nostro pullman che ci ha portati, con un’ora di estenuante viaggio per via della calura, al rifugio Montescale, un’ accogliente casetta situata sopra le dighe di Cancano e S.Giacomo, costruite nel 1956.

Dopo esserci fatti una rilassante doccia siamo scesi a cena e, mentre ci divertivamo a guardare Paperissima, ci hanno servito gustosi prodotti tipici: bresaola, mortadella, polenta, puntine, formaggio, spezzatino e per dessert una deliziosa torta ai frutti di bosco.

In stanza, dopo esserci cambiati e lavati i denti ci siamo messi sotto le coperte e ci siamo addormentati come sassi, visto la bella ma faticosa giornata appena trascorsa.

2° GIORNO La mattina, sveglia alle 7.00, io e mio fratello ci siamo svegliati in orario, invece Lorenzo abbiamo dovuto tirarlo giù dal letto.

Scesi a colazione ci siamo trovati davanti una tavola imbandita, con pane, marmellata con

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molti gusti, burro e cioccolata, con latte, caffè o succo d’arancia.

Verso le 8.30 siamo partiti, abbiamo attraversato la diga, per poi proseguire in leggera salita per un sentiero che si addentrava in una piccola valle, laddove all’ inizio della salita che ci avrebbe portato a Bocchetta di Forcola, era il luogo prescelto per pranzare.

Da li si vedeva molto bene il nostro punto d’arrivo della giornata: Passo dello Stelvio. A questo punto uno penserebbe: ”allora manca poco se si vede l’arrivo”, e invece… guardate un po’ la foto, mancavano ancora tre ore di cammino!

Dopo un sostanzioso pranzo abbiamo incominciato la discesa, prima abbastanza piana per poi diventare più ripida fino ad arrivare a fondovalle, dove c’era anche una vecchia dogana, per poi risalire con una ripida salita a zig-zag che conduceva al rifugio Garibaldi, cinque minuti sopra il nostro arrivo: Passo dello Stelvio.

Dopo esserci cambiati e fatti una doccia siamo scesi a fare un giro per il passo e a comprare qualche souvenir. Dopodiché siamo ritornati in stanza e più tardi siamo scesi a cenare. A tavola c’erano dei panini piccolissimi ma molto buoni, noi ne abbiamo fatte fuori sei ceste in venti minuti! Per il menù si poteva scegliere tra Annuario 2014

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due primi e due secondi. Dopo esserci salutati e augurati una buona notte qualcuno si è ritirato nelle proprie camere, altri sono andati a farsi un giro. Noi siamo saliti in camera e quando ci siamo sistemati per andare a dormire abbiamo acceso la tv e abbiamo guardato un film fino alle undici e venti, dopodiché ci siamo addormentati.

3° GIORNO La mattina seguente sveglia alle 7.00, colazione con un‘altra sbaffata di panini, caffè, cappuccini, brioches e robe simili. Sempre alle 8.30 siamo partiti, risalendo fino al rifugio Garibaldi, dal quale abbiamo preso uno stretto sentiero in leggera discesa, all’inizio siamo passati attraverso vecchi insediamenti militari risalenti alla prima guerra mondiale, per poi continuare a discendere fino ad arrivare alla seggiovia, per poi continuare la discesa in modo molto più ripido, in mezzo

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al bosco e ai sempreverdi. Alla fine di questa discesa con le gambe distrutte ci fermammo sotto un capanno per mangiare dei panini preparati dall’albergo, che erano davvero con pochi salumi al loro interno.

Dopo esserci rifocillati e riposati ci siamo rimessi in viaggio percorrendo una strada asfaltata fino al paese di Stelvio, da dove aggirando una valletta e percorrendo tutto il versante di una montagna molto ripida siamo arrivati a Prati dello Stelvio, dove c’era il nostro pullman ad aspettarci e vederlo è stata una cosa bellissima.

Mentre ci toglievamo gli scarponi ci scambiavamo opinioni su quest’ultima discesa. Durante il viaggio di ritorno ci siamo fermati alla Forst di Merano per dissetarci dopo un’ esperienza davvero bella, entusiasmante e molto stancante. Alla stazione stranamente fummo felici di rivedere i nostri parenti.

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La fiocada di Alberto Maria Betta (Albertino)

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Nadal: À fiocà tuta la not che sorpresa ‘sta matina, a vardar sto bel paesagio for dai vedri de cosina.

Nela strada el vecio Doro embotonà nel paletò el passeva 'n vanti e 'n dré co 'l spazanef tirà dal bò.

El spetacol l’èra 'l stess come quel de secoi fà, quando s'èro su 'n montagna e mi gh'évo n'altra età.

Sui cuerti tuti bianchi da camini dispenseri, se leveva vers el cel el calor dei fogoleri.

E anca alora come adess mi restevo lì 'ncantà a vardar dala finestra nel calor de la me cà

Se spegieva zà 'l prim sol dentro 'l giazz dele fontane e da lontam, ma stofegà, el sonar dele campane.

L’era tut de ‘n bianc si bel che ‘l cuertea tuti i colori, nele strade ‘nmacolade niente bestie, ne pastori.

Per noi boce 'na gran festa se coreva tuti 'n strada a svoltolarse nela nef a slinzegar su la gelada,

A ‘nviar via la pestolera l’era sempre la Bepina, che a bonora,’mbacucada per no pèrder messa prima...

a molarse zò 'n discesa senza 'n migol de paura coi slitini fati fora da cassete de verdura,

...a fadiga nela nef, tra le albere e la sesa la ciapeva la stradela che porteva drita ‘n cesa.

a far sù bale de nef, che batalie che se feva e de spess se le tireva ale pope che passeva.

El mireva 'l contadim quel spetacol da le scale, en po' prima de seràrse a guernar dentro ale stale

Sì, sta fiocada de Nadal col penser de nof me porta 'n quel paess lassù 'montagna, ne l'inverno de 'na volta.

Nel vialet davanti a casa i putei 'n po' pù grandèi i sbaileva a far la rota dal portom fim zò ai cancei.

E me vegn 'na nostalgia, de quel temp lontam e bel, quando ancora nevo a scola, quando ancora èro putèl.

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Gruppo Rocciatori e d’Alta Montagna di MoRe Quando il pensiero supera le attese. Sempre di più il gruppo prende forma, ormai sembra una consuetudine, ma non per noi.

Il 25 febbraio 2013 si è svolta l’assemblea elettiva del gruppo. Numerosa la partecipazione, interessante lo scambio d’opinioni. Sia sull’attività del gruppo, sia in generale sull’opportunità di sviluppare e valorizzare l’attività dell’arrampicata nel tessuto sociale locale, soprattutto nell’ambito giovanile (scuole, gruppi d’alpinismo giovanile ecc.). Nel corso dell’assemblea è stato eletto il nuovo direttivo composto da: Reversi Stefano, Moro Flavio, Zanoni Carlo, Omezzolli Pietro.

Ricordiamo che ogni ultimo lunedì del mese il GRAM s’incontra nella sede S.A.T. di Riva d/G, occasione per programmare, conoscersi e far nascere nuove idee. L’appuntamento è aperto a tutti. Ricordiamo anche che chi avesse bisogno di attrezzatura per la montagna, il responsabile del materiale della sezione è il socio Rudi Simonetti.

Un forte coinvolgimento del gruppo c’è stato in occasione della festa della sezione S.A.T. di Riva d/G alla Miralago. Due giorni di manifestazione, con un meteo pessimo, ma con una partecipazione lodevole di bambini e genitori. Abbiamo allestito una parete di arrampicata fornitaci gratuitamente da Sint Rock, dove abbiamo così

Il gruppo organizzativo alla Miralago Annuario 2014

potuto far arrampicare i bambini. Mentre sulle grosse piante in loco, abbiamo creato un percorso aereo, con ponti tibetani e discese con carrucole.

Gli amici della Sat&Bike hanno creato un percorso con birilli e salti per i più esperti.

Stesso impegno del gruppo per la serata “nottesportoutdoor “ di Riva d/G nel mese di giugno.

Anche in questa occasione è stata approntata una teleferica che sorvolava il canale della Rocca, per la felicità dei numerosissimi bambini in coda per il “volo”.

Inizia nel mese d’aprile il consueto calendario delle uscite del dopolavoro, ogni giovedì dalle 17.30 in poi, il gruppo si ritrova per arrampicare sulle numerose falesie della nostra zona. Anche quest’anno il meteo non è stato dalla nostra parte, comunque ci siamo trovati molte volte, con un gruppo veramente affiatato e numeroso. In una di queste occasioni abbiamo potuto persino avvicinarci per primi a una nuova falesia in quel di Padaro. Falesia allora priva di segnalazione delle vie e del loro grado, quindi dando un giudizio delle difficoltà.

Il coronamento avviene il 07/07/13 dopo che l’uscita prevista per le Pale di San Martino è saltata per motivi di meteo. Su segnalazione di un nostro socio la proposta di avvicinarci alle piccole dolomiti. Montagne per noi, anche se pur vicine, pressoché sconosciute. L’uscita con il gruppo ha previsto diverse cordate di tre alpinisti ciascuna e una da due, per un totale di quattordici soci impegnati in parete. Un gruppo si è dedicato a un trekking sui sentieri del Pasubio. Il gruppo degli scalatori dopo aver deciso le cordate, ha affrontato la scalata del Baffelan su due diverse vie. La Carlesso e la Soldà. Dopo parecchie ore 75

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Percorsi aerei

di arrampicata, visto anche il sovraffollamento delle pareti, il gruppo si è felicemente ritrovato al punto di partenza con l’entusiasmo della partenza, brindando alla bellissima e clemente giornata trascorsa.

Sul finire dell’estate abbiamo replicato con successo il binomio canoa/arrampicata. Assieme agli amici del Canoa Club Riva siamo approdati alla base delle pareti di Corno di Bò, ovviamente con canoe per proseguire con l’ arrampicata, poi a mezzogiorno ritorno alla sede della canoa club

In falesia a Nago

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alla spiaggia dei Sabbioni con un ottimo pranzo dei cuochi canoisti.

Da segnalare due importanti iniziative dei soci del GRAM. La prima riguarda una nuova falesia adiacente al rifugio Agostini in valle d’Ambiez nelle dolomiti di Brenta. Il socio Ruggero Carli con pregevole lavoro nel mese di agosto ha attrezzato la palestra di roccia composta da ventisei vie, dal 2 grado al 7b . La vicinanza al rifugio della falesia e il contenuto grado di difficoltà rendono la palestra un’ottima opportunità per corsi e per principianti sia grandi sia piccoli.

La seconda riguarda una nuova via nella zona di Pregasina. All’incirca nella zona di bocca di Lè il socio Moro Flavio e Muchetti Matteo dopo un lungo e impegnativo lavoro sul finire dell’estate hanno aperto una nuova via d’arrampicata sulla parete denominata Puntatina. La via è stata aperta dal basso, porta il nome di Ganesh, è formata da due tiri, il primo 6b/6b+ il secondo 6a/6a+. via impegnativa ma di grande soddisfazione, la prima ripetizione conferma pienamente questa sensazione.

Il 18 ottobre il gruppo è stato invitato alla birreria Pedavena ad un incontro/dibattito dal titolo “passione-sport-montagna”, i protagonisti della serata sono stati l’arrampicatore alpinista Manolo, lo sciatore Massimo Braconi e il fondista Pietro Piller Cotter. Serata interessante e location altrettanto.

Da Novembre, come da parecchi anni, abbiamo ha disposizione la palestra Cianci Amistadi della scuola elementare Nino Pernici di Riva d/G, che quest’anno cambia serata, non più di venerdì, ma il mercoledì dalle ore 20.30 alle 22.30, per arrampicare indoor, provare e ripassare manovre di assicurazione, recupero, oppure un’infarinatura dei nodi e attrezzi di arrampicata. L’entrata è libera, obbligatorio è essere tesserati al sodalizio CAI/S.A.T. Ormai come appuntamento fisso nel mese di dicembre il GR AM organizza una serata e un’uscita sulla sicurezza in montagna d’inverno, con prove di ricerca con l’ARVA. Il tutto Annuario 2014

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Il Gruppo al Baffelan

Come disse Angelo Dibona una delle più grandi guide alpine di ogni tempo “un vero arrampicatore deve sapere dove finisce il godimento di una salita e dove incomincia un insano eccitamento nervoso”.

NTAGNA

PPO RO GRU CC

MO

Patrocinio del COMUNE DI RIVA DEL GARDA

INGRESSO GRATUITO

RIVA DEL GARDA

INFO: 335.7719205

Prima di ogni serata verrà proiettato il cortometraggio DER FILMbRINGER - Martin Guggisberg, Svizzera 2011 (2 min)

MARTEDÌ

11.03

SEMUS FORTES

la conoscenza dell’ARVA

Alessandro Dardani e Mirko Giorgi, Italia - 2010 (48 min)

con la partecipazione del regista Alessandro Dardani e il dott. Sandro Carpineta medico psichiatra C.A.I. S.A.T.

LEZIONE TEORICA presso la sede SAT di Porta San Marco a Riva del Garda

MARTEDÌ

Nick Ryan, Irlanda/UK 2012 (98 min)

Sabato 14 DICEMBRE 2013

ASIA

25.03 AMERICA E POLO NORD

I COLORI DELLE EMOZIONI CHASING ICE

USCITA SUL CAMPO (prova pratica)

Elio Orlandi, Italia 2010 (19 min)

Jeff Orlowskil, USA 2011 (75 min)

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Mercoledì 11 DICEMBRE 2013 ore 20.30

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CAI

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con la determinante collaborazione dei soci guide alpine Paolo Calzà “Trota” e Gino Malfer dell’Arcomountainguide, e di Gabriele Bertoldi (anche lui socio GRAM) dottorato in scienze/ forestali all’Università di Padova.

Relatori: Guida Alpina Gino Malfer Guida Alpina Paolo Calzà “Trota” e Gabriele Bertoldi

Dottorando Scienze Forestali/Ambientali - Università Padova

PARTECIPAZIONE LIBERA (GRATUITA) Riva del Garda - Tel. 0464 521211

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è gradita l’iscrizione: info@arcomountainguide.com info@satrivadelgarda.it

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RIFUGIO XII APOSTOLI DOLOMITI - BRENTA

Punto di partenza per le classiche cime come: Cima XII, Agola, Ambiez, Prato Fiorito e la più ambita, la Tosa. Dal rifugio parte il sentiero dell’Ideale e il classico sentiero delle Bocchette. Si possono quindi effettuare escursioni ad anello di un giorno con rientro al rifugio o di più giorni con tappa in altri rifugi.

Presso il rifugio ci sono palestre adatte ai bambini, inoltre organizziamo programmi per l’alpinismo giovanile.

NOVITÀ ESTATE 2014 Durante l’estate chi soggiorna nel nostro rifugio su prenotazione avrà a disposizione gratuitamente la guida alpina per circa mezza giornata, che vi accompagnerà e vi insegnerà il modo corretto di legarsi, come muoversi, come affrontare con più tranquillità e sicurezza una via ferrata. O se preferite avvicinarvi all’arrampicata, provare le prime emozioni, le corde doppie, i nodi, le sicurezze e molto altro. L’attrezzatura è compresa.

Consultando il nostro sito www.dodiciapostoli.it o visitandoci su Facebook troverete gli eventi che realizzeremo, alcuni con date fisse, per esempio 21 e 28 giugno cima Prato Fiorito, 5 e 12 luglio cima Tosa. In aprile/maggio escursioni con ciaspole ai rifugi Mandrone e Caduti dell’Adamello con cima Cresta Croce.

Contattateci per qualsiasi escursione o arrampicata anche all’infuori del gruppo di Brenta

INFO: G.A. Aldo Turri 339 8075756 Rifugio: 0465 501309 - Abitazione: 0465 503218

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

La stagione del Gruppo Sciatori Riva di Alberto Zampiccoli Ed eccoci ancora qui, con un altro inverno alle spalle, a tracciare un bilancio delle attività del nostro Gruppo. Iniziamo da quella che è ormai una consolidata tradizione. La ginnastica presciistica, svoltasi da ottobre a dicembre. La risposta dei soci è stata, come al solito, molto buona ed ha visto cimentarsi in palestra un buon numero di affezionati e anche qualche, sempre gradito, volto nuovo. Buona anche la partecipazione alla seconda fase delle sedute in palestra, definita di mantenimento. Quest’ultima si è tenuta da gennaio a marzo. Purtroppo, per questa stagione, non c’è stata nemmeno un’iscrizione al corso di fondo per ragazzi. Speriamo vada meglio l’anno prossimo. Sempre per quanto riguarda il fondo, possiamo consolarci ricordando le belle prestazioni dei nostri atleti Master che si sono distinti

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in varie Gran fondo in Italia e all’estero. Questi “vecchietti” terribili vanno sempre fortissimo e ci regalano ogni anno nuove soddisfazioni.

Passiamo allo sci alpino.

Tutto bene per questi corsi dedicati ai ragazzi delle elementari e medie. Si sono tenuti, uno durante le vacanze natalizie con 40 partecipanti, ed uno nei sabati di gennaio e febbraio con 60 iscritti. Unica nota non proprio positiva le condizioni meteo di questo inverno piuttosto anomalo. Il sole si è visto veramente in poche occasioni e, un pomeriggio, abbiamo sciato anche sotto la pioggia. Continuando con lo sci alpino, il nostro sodalizio è stato impegnato, per conto del comune di Riva del Garda, nell’organizzazione della fase comunale dei Giochi della Gioventù. In una splendida giornata di sole i

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

giovani sciatori si sono sfidati sulle nevi della Polsa di Brentonico. Purtroppo, come negli anni scorsi, le gare hanno visto la partecipazione dei soli studenti delle scuole medie Scipio Sighele.

Anche quest’inverno si è proseguito con la preagonistica di discesa che ha visto impegnati 2 gruppi di ragazzi con due maestri. Nel 2014 il Gruppo Sciatori Riva compie 50 anni. Ricordo infatti che è nato nel 1964, all’interno della sezione S.A.T. di Riva del Garda. Per festeggiare degnamente questo importante traguardo, il Presidente Marco Carloni, sempre foriero di nuove idee, ha pensato di organizzare due gite sulla neve con il trasporto in pullman offerto ai soci. La prima gita si è svolta domenica 12 gennaio a Obereggen ed è stata sicuramente un successo. I partecipanti hanno goduto di una bellissima giornata di sole (una delle poche di quest’inverno) e si è potuto sciare su delle piste in condizioni ottimali. La seconda gita, programmata a Racines per il 16 febbraio, dopo esser stata rinviata per maltempo un paio

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di volte, è stata annullata. Si è così pensato di offrire il trasporto in pullman ai soci che hanno partecipato alla gita a Carezza del 16 marzo. In quell’occasione si è svolta anche la gara sociale di discesa. La bella giornata, ha visto rinnovata la collaborazione con il Gruppo Sciatori S.A.T. di Mori. Dopo la mattinata trascorsa sulle piste infatti, gli amici di Mori, con un’organizzazione impeccabile, hanno sfamato i partecipanti alla gita a suon di würstel, patatine, carne salada e altre leccornie. Nel pomeriggio premiazione della gara sociale e lotteria con premi per tutti i partecipanti. Per finire la giornata in bellezza una gustosa merenda con i dolci preparati da alcune volonterose mamme. Meglio di così…

Ed ora un grazie ai nostri sponsor istituzionali, Comune di Riva, Provincia e Cassa Rurale Altogarda, ma anche alle tante aziende private che, nonostante il momento sia ancora difficile, non ci hanno fatto mancare il loro generoso e prezioso sostegno.

Grazie a tutti e arrivederci al prossimo inverno.

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Birreria

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Capanna S. Barbara e... la legna di Claudio Fedrizzi (uno dei pensionati) Eh, la legna, questa sconosciuta... croce e delizia della Capanna S. Barbara. Già, croce perché bisogna farla, e a farla “se fa fadiga... e no ghè mai nesum che gà temp...” delizia perché se c’è si può fare la polenta (che sul foc la vei pù bona) e si possono scaldare i locali che sono tre. Appunto tre, uno la cucina che è la più usata, poi il Bait del Toni, dove si fa la polenta e la sala da pranzo che, tolta la porta arriva a scaldare anche il “bivacco”.

Si può quindi facilmente immaginare che con questi tre fuochi che ardono tutti i sabati e le domeniche, durante il periodo che va da ottobre a maggio, di legna ce ne vuole, e parecchia.

Quindi, come ogni anno, a partire da luglio, si trattava di organizzare il taglio e l’accatastamento sotto le tettoie del piazzale a sud della capanna. Il responsabile della Capanna

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ha quindi diramato l’avviso tra gli “UOMINI DI BUONA VOLONTÀ...” che il giorno tale, all’ora tale, (di sabato naturalmente, per permettere di partecipare anche a quelli che lavorano) ci saremmo ritrovati alla Capanna per il taglio della legna per la stagione 2013-2014. Ma quel giorno guarda che sf...ortuna, piove e quindi siamo costretti a rinviare. Si rinvia per qualche altra volta per vari motivi ma non si può andare oltre agosto, anche perché la “luna” non sarebbe favorevole al taglio. Allora, interpellata la nostra amica Lisa della forestale, siamo saliti assieme a lei per segnare i pini da eliminare, in maniera tale da poterli tagliare anche durante la settimana (chiaramente da parte dei volontari pensionati) per non andare fuori termine.

Per fortuna Lisa ci ha assegnato una quantità di pini, si perché di pino nero si tratta, in quanto pianta non autoctona da eliminare col tempo per far posto a carpini e faggi, nello spazio attorno alla piazzola dell’elicottero così da portare i tronchi verso il basso e non, come altre volte, sotto la Capanna, da dover trasportarli in salita (se fa molta pù fadiga, o no?) e ampliare e liberare la zona interessata all’atterraggio dell’elicottero.

Una volta segnati con una croce rossa i pini da tagliare, altro appuntamento sempre per gli uomini di buona volontà, che in pochi, veramente

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

in pochi purtroppo, ci siamo trovati a tagliare alberi d’alto fusto. Quindi, l’Ezio ed il Giancarlo, esperti di motosega, a segare pini alla base, pulire i tronchi dai rami, si dice “sramare”, tagliare i tronchi in tronchetti da circa 90 cm per essere più facilmente trasportabili (i pesa de men no?) e poterli poi tagliare in tre pezzi giusti giusti per entrare nelle “fornele”,e gli altri 3 o 4 del gruppo (per gruppo intendo quello, i soliti, della manutenzione sentieri) a far rotolare i tronchetti stessi (che i era tanti, ma veramente tanti) giù per la rampa che dalla piazzola dell’elicottero arriva alla baita del generatore. (Ah sì, sì, la baita del generatore, altra sfacchinata sempre dello stesso gruppo di pensionati, ma questa ve la racconterò un’altra volta...). Inoltre, i rami grossi dei pini venivano anche quelli trasportati verso valle, mentre quelli minuti non potevamo lasciarli sul posto e quindi li abbiamo spostati all’interno dei mughi presenti tutt’attorno alla piazzola dell’elicottero in maniera da non lasciare la zona sporca di rami.

Bene, altro giorno, stessi pensionati... come fare a portare i tronchetti del diametro di circa 20 o anche 30 cm e lunghi circa 90 cm quindi abbastanza pesanti (tra i 15 ed i 20 kg) fino alla Capanna attraverso quel “sgrebem” de senter? È qui che, per fortuna, la necessità aguzza l’ingegno e ad Ezio è venuta la brillante idea della teleferica o meglio, termine più appropriato, “cavo palorcio”, cavo in acciaio che, legato ad un bel pino antistante la baita del generatore dove, pian piano con attenzione cercando di non far danni e non farci del male, dopo aver fatto rotolare tutti i tronchetti davanti alla baita stessa, lo abbiamo tirato bello teso e legato ad un grosso masso di roccia dietro la Capanna S. Barbara.

Poi, legati con un’ altra corda uno o al massimo due tronchetti per volta, con le carrucole prese in prestito dal gruppo rocciatori abbiamo calato, controllandoli con una fune, tutti i tronchetti fino alla base. Si, ma non è mica finita qui, da dietro la Capanna, sulle spalle questa volta, tutti i tronchetti sono stati posati davanti alla legnaia 84

pronti per essere tagliati a misura e poi spaccati con la macchina spaccalegna ed infine accatastati al loro posto.

Ecco fatto... e sì, magari! La Lisa (sempre la nostra amica della forestale) ci telefona per dirci che, siccome noi abbiamo riempito i mughi circostanti la piazzola dell’elicottero con le ramaglie tagliate per pulire i tronchi dei pini, queste, in caso di atterraggio di elicotteri tipo Agusta, quelli più grossi, avrebbero potuto essere sollevate dalle turbolenze delle eliche e quindi essere di pericolo per la incolumità dei presenti alle operazioni di atterraggio. Necessitava quindi spostare tutte le ramaglie in luoghi sicuri. Giro di telefonate quindi ai volontari ed un giorno ci siamo trovati ben in 4- Silvano, Giulio, Pierino ed il sottoscritto- a far pulizia; ma per fortuna la Lisa è venuta con due suoi validi collaboratori, i quali, armati di decespugliatori e motoseghe, ci hanno aiutato a fare una bella pulizia da ramaglie e mughi.

Ora si che siamo tutti contenti, perché possiamo iniziare la stagione invernale di presenza in S. Barbara al caldo e sicuri che le polente, tanto apprezzate dagli escursionisti, potranno essere cotte. Inoltre la piazzola di atterraggio degli elicotteri risulta ben pulita e sicura.

Vi diamo quindi, cari volontari, pensionati e non, appuntamento all’anno prossimo, verso luglio/agosto, perché, l’operazione sopra descritta si dovrà ripetere, ma son sicuro che ci troveremo in parecchi in quanto, alla fine sì, si fatica, ma è anche bello trovarsi a sudare insieme, a prenderci in giro, sparare ca… stupidaggini e raccontare barzellette. E più siamo, e meno fatichiamo.

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Sentiero Defensionmauer n. 473 di Flavio Moro Il sentiero Defensionmauer n. 473 è nato grazie al nostro Consiglio Direttivo, che ha chiesto e ottenuto dalla S.A.T. Centrale di intitolare il sentiero al nostro compianto socio Alessandro Lutteri. Sandro ne ha sempre voluto iniziare i lavori di manutenzione, nel 2011 sono iniziati i sopralluoghi e nel 2012 il sentiero era pronto.

Così domenica 5 maggio 2013 ci siamo trovati in molti a voler percorrere il sentiero per posare la targa a lui dedicata. Con un clima festoso abbiamo iniziato il sentiero che partendo da Biacesa porta fino alle “zete” della strada del Ponale. All’uscita del paese il folto gruppo si è riunito e, tra emozionanti ricordi, poesie e abbracci, è ripartito. Una lunga fila colorata ha percorso il sentiero fino al balcone sul lago, dove uno spazio ci ha ospitato per un coinvolgente pic-nic. Guardando il lago, che rifletteva l’ombra imponente della Rocchetta e con il Monte Baldo imbiancato dinnanzi a noi, ho sentito il desiderio di ringraziare tutti gli amici che quella mattina erano con noi.

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Su i to senteri (a Sandro) di Alberto Maria Betta (Albertino) Piantar paloti, Tacar tabele, E i to segnai Bianchi e rossi Su sti senteri I to senteri Nei nossi ricordi Dentro el noss cor Su sti senteri El to sudor, Le to fadighe, Le nosse ciacerade Storie e ricordi: La to familia, La to compagnia, La to amicizia.

El dar coragio, A chi strussieva Col to aiuto, la to pazienza Su ste montagne Le to montagne Su sti senteri I to senteri Che ti Sandro Te ‘nmpienive De tanta, sana e contagiosa alegria.

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

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Annuario 2014

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Sat & Bike QUANDO L’IMPORTANTE È NON PERDERSI MAI D’ANIMO Il Gruppo “Mai perdersi d’animo perché domani è un altro giorno”. Questo ci viene in mente nel momento in cui dobbiamo tracciare un bilancio dell’attività svolta dalla sezione “Sat&Bike” nel 2013.

Un’annata tremenda, falcidiata dal maltempo, dai problemi fisici di organizzatori e volontari, dagli inderogabili impegni di lavoro che non sempre possono tenere conto del desiderio di montare in sella alla propria mountain-bike e guidare appassionati e curiosi alla scoperta di nuovi suggestivi angoli della nostra terra.

Questo, purtroppo, è stato il 2013. Un anno

Annuario 2014

“nero” visto e considerato che delle sette uscite programmate siamo riusciti a portarne a termine soltanto una, quella che prevedeva il Tour di Costalta, sopra Baselga di Pinè.

La delusione non è stata per la non riuscita delle gite, ma per il lavoro svolto per la preparazione, sopraluoghi, riunioni, per diffondere e coinvolgere gli interessati con l’ausilio dei mass-media ecc. Però, come si sa, i bikers sono duri a morire e anche quest’anno proponiamo delle escursioni sul nostro territorio sperando siano di gradimen-

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

to agli amanti della mountain-bike.

Ci sarà una piccola novità: il tentativo di coinvolgere anche le famiglie dedicando a loro una o due gite su piste ciclabili in tranquillità e serenità nell’intento, prima di tutto, di trascorrere una giornata in allegria, godendoci i meravigliosi paesaggi del Trentino. E non solo.

Sarà per le energie risparmiate (nostro malgrado) l’anno scorso, ma nel corso del 2014 abbiamo deciso di rilanciare e proporre un’uscita in più.

Otto escursioni in mountain-bike che hanno preso il via con successo domenica 13 aprile con il “Tour di Primavera”. Due gli appuntamenti dedicati anche alle famiglie, il 1° maggio con il tradizionale ritrovo all’Azienda Agricola Pisoni (e qui è doveroso il ringraziamento agli amici che ci ospitano ogni anno con affetto e cura) e il 1° giugno con il Family Bike. Gli appassionati delle due ruote “grasse” non possono mancare il

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weekend di metà luglio (sabato 12 e domenica 13) quando ci trasferiremo sull’Alpe di Siusi e compiremo il giro del Gruppo del SassolungoSassopiatto.

Concludiamo nella speranza di avervi con noi numerosi a condividere la passione per la bicicletta. Exelsior!

Annuario 2014

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Attività Gruppo V.I.P. 2013

RIVA del GARdA

di Adriano Analizzando l’annata 2013 di questo attivo Gruppo della Sezione S.A.T. di Riva del Garda, notiamo che dal gruppo degli organizzatori è scomparsa la figura di Roberto Angiolini, nostro validissimo collaboratore, che irrevocabilmente ha deciso per raggiunti “ limiti di età” di abbandonare il gravoso compito. Roberto è stato fin dalla costituzione del gruppo V.I.P. una delle colonne portanti, ed un entusiasta partecipante. È rimasto naturalmente con noi e, oltre che collaborare attivamente con la Sezione nel progetto “La S.A.T. incontra la scuola”, è sempre pronto a dare consigli e a dare una mano in caso di necessità. Pensiamo sia doveroso nei suoi confronti esprimere a nome di tutto il nostro Gruppo un “GRAZIE” di cuore per quanto fatto nel corso

di questi anni.

Se andiamo ora ad esaminaGRuppo re l’attività svolta, dobbiamo dire che si sono mantenuti grosso modo gli standard degli anni precedenti. Abbiamo organizzato in totale 19 gite a cui si deve aggiungere la giornata conclusiva del 10 novembre con il pranzo di chiusura attività che ha visto la partecipazione di oltre 150 persone. È stata poi organizzata fuori programma una gita ai mercatini di Natale in terra di Germania e precisamente a Rothenburg, nei giorni del 14 e 15 dicembre.

Nella programmazione si cerca di spaziare in modo da poter offrire e far conoscere sempre più il nostro bellissimo territorio, non tralasciando

Foto di gruppo Annuario 2014

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

anche luoghi più lontani. Chiaramente poi rimane fermo il vincolo di non superare i 600 metri di dislivello ed evitare tratti esposti o attrezzati con cordini, ferrate e tutto quanto possa mettere in apprensione qualsiasi partecipante, in modo da poter dare a tutti la possibilità di effettuare la gita senza grossi problemi. Si cerca di trovare sempre sulla via dell’escursione un punto di ristoro, rifugio od altro, dove trascorrere un paio di ore in allegra compagnia, che diventa poi momento importante di gruppo per avviare nuove amicizie e rafforzare quelle già esistenti.

La partecipazione a tutte queste gite 2013 è sempre stata molto elevata, e, se escludiamo alcune gite dove abbiamo utilizzato solo un pullman, per 12 gite si sono utilizzati invece 2 pullman, il che ci consente di poter dire di aver portato in giro per i monti della nostra Regione e fuori più di 1500 persone, traguardo notevole che per noi è già motivo di grande soddisfazione. Negli ultimi anni abbiamo proposto le nostre gite anche nella giornata di giovedì, alle volte scelta obbligata per non “invadere” troppo i sentieri ed i rifugi alpini, che quando si vedono arrivare un gruppo che molto spesso arriva a 100 persone può mettere in difficoltà il gestore. Pertanto, vista anche la disponibilità dei pensionati, si è optato appunto per il giovedì e dobbiamo dire che è stata più di una volta una scelta molto azzeccata. Nel mese di agosto, e precisamente dal 29 al 31, si sono oltrepassati i confini di Stato e siamo andati in Svizzera, a Zermatt, dove abbiamo effettuato 2

Inizio discesa dal Sunnegga verso Zermatt

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escursioni nelle grandiose montagne di questa bella località. Il tempo ci ha dato una grossa mano e la vista del Cervino e delle altre cime ha appagato la nostra scelta.

Il successo di partecipazione pertanto non manca a questo Gruppo di “Vecchietti” che hanno saputo consolidare l’armonia e l’amicizia e rinnovare nei partecipanti la passione per le escursioni in montagna, ed offrire gite alla portata di tutti.

Dell’annata 2013 diamo ora un breve resoconto della gita effettuata in Svizzera, nelle giornate del 29-30 e 31 agosto, con destinazione Zermatt, ed escursioni sulle montagne circostanti.

IL MITICO CERVINO 4478 m Zermatt è una ridente cittadina del Canton Vallese di circa 6000 abitanti, a 1616 metri d’altezza. È situata in fondo alla valle di Mattertal e la sua fama è data dalla famosa montagna che la sovrasta, il Cervino (in tedesco Matterhorn). È anche la patria dello sci alpino con numerosi impianti di risalita, tra cui anche una linea ferroviaria che sale fino a oltre quota 3000 m, e naturalmente moltissimi chilometri di piste per la gioia dei numerosi sciatori che affollano sempre questa località.

La scelta di questa destinazione per una gita del Gruppo V.I.P. è stata fortemente sponsorizzata dal nostro infaticabile Cesarino, e preparata in tutti i minimi particolari, incluso preventivo sopraluogo a Zermatt per verificare tutta la logistica e le relative escursioni. Il giorno prima della partenza sono stati preparati sia il pranzo previsto dall’organizzazione per il giorno dopo lungo il percorso e sia il pranzo da utilizzare il giorno 30 nella prima escursione prevista al Cervino, il tutto posto sotto vuoto ed in contenitori refrigeranti. Il giorno 29 agosto di buon mattino un gruppo V.I.P. di 52 persone partiva alla volta della Svizzera, attraverso la Val d’Ossola ed il Passo del Sempione. Sosta per il delizioso pranzo poco prima del Passo, proseAnnuario 2014

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

guimento per Briga ed arrivo a Täsch, dove si è abbandonato il pullman e con trenino abbiamo percorso gli ultimi 5 chilometri per arrivare a Zermatt e trovare sistemazione presso l’Hotel Alpenroyal. Prima della cena e pernottamento un po’ di tempo libero per una passeggiata in questa graziosa cittadina.

Il giorno successivo, 30 agosto, abbandoniamo l’albergo di buon mattino per trasferirci a piedi alla partenza della cabinovia che ci porterà ai 2583 m dello Schwarzsee Paradise, proprio di fronte alla parete Est e Nord del maestoso Cervino. La giornata è stupenda e la vista a 360 gradi spazia su tutte le montagne che ci circondano. Doverosa una lunga sosta per le rituali foto ricordo. È ben visibile da questo luogo il Rifugio Hörnlihütte a 3260 m base di partenza per tutte le ascensioni sul Cervino.

Iniziamo a scendere verso Zermatt su comoda strada sterrata, passando sotto la parete Nord.

Effettuiamo le necessarie soste per ammirare il panorama che ci circonda, per consumare il pranzo al sacco fornito dall’organizzazione e per visitare l’incantevole e antico villaggio di Zmutt, poco prima dell’arrivo nel fondovalle, dove ne abbiamo approfittato per dissetarci con una buona birra. Il tempo libero in serata ci permette di andare nuovamente a spasso per la cittadina e scoprirne nuovi particolari e curiosità.

E siamo pronti per la giornata conclusiva di sabato 31 agosto che prevede in mattinata una splendida escursione in quota sull’altro versante

Si comincia a scendere verso Zermatt Annuario 2014

Veduta parete nord

della valle con vista sempre sul Cervino, e nel pomeriggio il rientro a casa. Ci portiamo al centro di Zermatt, alla stazione di partenza della Ferrovia del Gornergrat, linea ferroviaria elettrica a cremagliera a scartamento ridotto che collega in 9 km e mezzo Zermatt 1616 m al Gornergrat 3130 m. È la seconda ferrovia più alta d’Europa dopo quella della Jungfrau. La stazione di arrivo si trova in una posizione molto particolare, con vista sul secondo maggiore ghiacciaio delle Alpi, il ghiacciaio del Gorner, nonché su 29 quattromila. Tutto cosi vicino come se si potesse toccare. Purtroppo, per limiti di tempo, noi non possiamo salire in cima, ma ci limitiamo ad arrivare alla stazione intermedia di Riffelalp a quota 2.200 m dove iniziamo la nostra escursione che ci porterà verso il Sunnegga Paradise, 2200 m e successivamente a rientrare a Zermatt.

Sentiero che si snoda sempre in quota, dapprima attraverso un meraviglioso bosco di cirmoli, per proseguire poi su pietraie moreniche e scendere a valle con il panorama del Cervino sempre di fronte a noi. Tutto si svolge nel migliore dei modi e verso le ore 12 siamo già alla stazione dei treni pronti per ripartire alla volta del terminal di Täsch e salire sul pullman che ci riporterà a casa. In tarda serata siamo a Riva, stanchi, ma di certo dentro di noi rimarrà vivo il ricordo dei meravigliosi panorami e delle stupende montagne che abbiamo visto, favoriti in ciò sicuramente anche dalle favorevoli condizioni del tempo che ci ha riservato giornate di sole pieno.

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Bensheim e la carne “salada” di Claudio Fedrizzi Quest’anno, 2013 ricorre il 25° compleanno del gemellaggio con la città tedesca di Bensheim.

L’estate scorsa ha visto l’arrivo di due pullman di cittadini tedeschi a Riva del Garda per festeggiare questo anniversario.

Il legame tra la città tedesca e la S.A.T. di Riva del Garda è stato, fin dalla nascita del gemellaggio, molto profondo in quanto un folto gruppo di cittadini tedeschi, appassionati di montagna, ogni anno hanno partecipato alle escursioni sulle montagne della nostra provincia e dell’Alto Adige, appositamente organizzate dalla nostra sezione.

Dopo i festeggiamenti a Riva del Garda dell’e-

Annuario 2014

state scorsa anche Bensheim, che conta ben 500 soci, ha voluto ricordare con una festa l’anniversario nella propria città. E così il nostro referente tedesco, sig. Volker, che parla italiano, appassionato di montagna e sempre in contatto con la S.A.T. ed in particolare con Silvano Moro, che oltre ad essere il responsabile della manutenzione sentieri, è anche l’organizzatore delle escursioni con gli amici tedeschi, ha chiesto a Silvano, se per l’occasione dei festeggiamenti del 25° anniversario nella loro città, fosse stato possibile cucinare un pranzo a base di “carne salada e fasoi”, specialità sconosciuta a molti tedeschi.

Silvano, dopo avere chiesto la disponibilità

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

del gruppo manutenzione sentieri e verificata l’abilità (si fa per dire) dei componenti nella preparazione del piatto richiesto, visto che diversi di noi collaborano anche con altre associazioni della zona in occasione di varie feste-sagre, ha aderito alla proposta.

Ecco quindi che venerdì 25 ottobre alle 8.00 i 5 membri pensionati del gruppo manutenzione sentieri e cioè: Silvano Moro, Giancarlo Pellegrini, Ezio Parolari, Pierino Miorelli ed il sottoscritto, sono saliti sul pullman organizzato dagli “Amici di Bensheim” guidati dal loro presidente Franco Gamba alla volta della Germania.

Oltre al nostro gruppo è stata invitata anche una rappresentanza della scuola alberghiera di Varone, diretta da Massimo Malossini con il compito di deliziare i palati degli amici tedeschi con la preparazione, da parte degli 8 studenti della scuola di Varone, per la cena di sabato, di bocconcini e assaggi tipici del Trentino.

Il viaggio si è svolto regolarmente fino quasi a metà percorso, poi è stato un calvario a causa dell’intenso traffico trovato sull’autostrada tedesca anche a causa dei molti lavori in corso, (pensavo fossero solo le autostrade italiane sempre alle prese con lavori di manutenzione, ma anche quelle tedesche non sono da meno).

Quando all’ora di pranzo ci siamo fermati in un’area di sosta dell’autostrada abbiamo avuto 94

una piacevole sorpresa: gli studenti della scuola alberghiera ci hanno rifocillato con panini imbottiti di cotoletta preparati appositamente per questa occasione. Una sorpresa deliziosa per il nostro palato, grazie!

Alle 20.00 circa siamo arrivati a Bensheim accolti molto calorosamente dalla delegazione tedesca che dopo i saluti di rito ci hanno accompagnati in albergo o nelle varie famiglie che ci ospitavano.

Il nostro gruppo è stato ospitato dall’amico Volker nella propria abitazione, molto bella e particolare, sviluppata su più piani progettata da un parente architetto a circa 4 km da Bensheim, dove ci aspettava anche un’ottima cena preparata dallo stesso Volker.

Sabato sera quindi c’è stata la cena a buffet preparata dagli allievi della scuola alberghiera di Varone. Nella grande sala c’erano quattro tavoli appoggiati al muro con grandi vassoi ovali pieni di bocconcini/assaggini di prodotti tipici trentini disposti artisticamente (vanno fatti i complimenti agli allievi ed ai loro insegnanti Marcello e Ciro sia per la preparazione che per la disposizione degli stessi). Sia le tavole del buffet che quelle dei commensali (circa 250 persone) erano ricoperte con tovaglie quadrate nei colori bianco rosso e verde, e pure le composizioni di fiori rappresentavano il tricolore, un gradito omaggio all’Italia. Durante la cena gli ospiti sono stati intrattenuti da vari gruppi di dilettanti musicisti ed attori improvvisati con gag, cabaret e musica. Noi italiani abbiamo apprezzato e ci siamo divertiti anche se abbiamo capito poco o niente... (spesso si ride vedendo ridere gli altri).

Il programma della domenica prevedeva il pranzo a base di carne salada e fasoi cotta sulla piastra di ghisa, che l’Ezio ha costruito realizzando pure il supporto in acciaio con l’abilità che lo contraddistingue. La distribuzione procedeva velocemente con l’Ezio che, munito di paletta in acciaio, girava le bistecche di carne che il sottoscritto poneva ben stese sulla piastra bollente, il Pierino metteva nel piatto i “fasoi” che il SilAnnuario 2014

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

vano condiva ed il Giancarlo? Ah, lui faceva le “Pubblic Relation” e il supervisore, arrangiandosi con la lingua intratteneva gli amici tedeschi, spiegando loro tutto sul piatto che mangiavano.

Il successo è andato al di là delle nostre aspettative tanto che non so quante foto siano state scattate durante la cottura della carne salada.

I complimenti di tutti i commensali, tedeschi ed italiani, sono stati tanti e calorosi. Questo per noi è stato un risultato molto soddisfacente perché non c’è niente di più gratificante degli apprezzamenti che ricevi quando il tuo lavoro viene riconosciuto.

A fine pranzo, la dott.ssa Pina Kittel, vero cervello insieme a Volker dell’organizzazione, ha voluto che salissimo sul palco della sala per ringraziarci personalmente e dopo un grosso applauso da parte dei presenti in sala, ha voluto farci dono di un gradito omaggio a base di dolci e prodotti tipici tedeschi, come gli apprezzati würstel e salamelle.

Il nostro amico Volker, per chiudere in bellezza e metterci pure in imbarazzo con la sua generosità, ci ha offerto una lussuriosa cena in una taverna tipica a base di spiedoni di wùrstel piccantissimi e birra, che goduria... Ecco qui, e che dire se non che per noi è stato un fine settimana delizioso e che nella villa di Volker siamo stati trattati come dei signori e durante le pause, non sono mancate neppure le classiche ed immancabili sfide a carte tra le coppie Giancarlo/Silvano e Ezio/Pierino (io guardavo, come al solito, ed imparavo...), e..., chi ha vinto? provate a chiederlo a Giancarlo..., ma da debita distanza... di sicurezza.

Alle 8.00 del mattino di lunedì, dopo aver contraccambiato saluti e ringraziamenti con il comitato intervenuto, appuntamento alla stazione per il viaggio di ritorno a Riva del Garda con tappa ad Ulm per visitare il Duomo.

Ulm, città tedesca situata lungo le rive del Danubio in Baviera, è famosa per due motivi: nel 1879 ha dato i natali ad Albert Einstein e per il Duomo. La costruzione del Duomo iniziò nel 1377 e fu finanziata dagli stessi abitanti della Annuario 2014

città. I lavori avanzarono molto lentamente fino a fermarsi completamente. Ripresero poi nel 1844 e furono portati a termine nel 1890. È una chiesa luterana in stile gotico e si presenta esternamente molto elaborata e decorata con una torre alta ben 161 mt., che le vale il record di essere la più alta del mondo, con all’interno una scala di 768 gradini. Salire fino in cima è un’esperienza unica e da lì si gode di un ottimo panorama sulla città e sul Danubio. All’interno si possono ammirare alcuni capolavori di opere d’arte dei più grandi artisti tedeschi oltre ad un bellissimo altare ed un imponente organo.

Terminata la visita siamo risaliti sul pullman ed abbiamo ripreso la via di ritorno a casa e dopo un’altra sosta, siamo giunti alle ore 20.00 circa.

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Marco Tamiozzo passa il testimone Direttivo sezionale S.A.T. Riva Del Garda Con l’avvento di una nuova attività, Marco Tamiozzo, dopo una grandissima e stimata attività nella nostra sezione abbandona l’incarico di coordinatore dei gruppi di Santa Barbara. Dopo circa 13 anni Marco, passa il testimone a Silvano Moro, sicuramente degno di questo incarico.

Durante questi anni trascorsi si è sviluppato nella nostra capanna sezionale, un incremento di lavoro notevole, difficile diffondere i numeri dei passaggi, ma facile da notare è il lavoro svolto assieme ai molti soci. Dobbiamo accettare se pur amaramente le Sue dimissioni avvenute nel mese di Febbraio 2014, ha voluto emozionalmente spiegare i motivi di questa decisione sofferta, ma anche stimolo di una nuova avventura, alla quale ci sentiamo fortemente vicini. Gran lavoratore Marco, ottimo organizzatore se non per ultimo cuoco eccezionale sarà sempre con noi

Annuario 2014

nella sezione con consigli e perché no, disguidi e consulti. Una sezione lavorativa e soprattutto attiva. Spesso il lavoro di gruppo ci mette dinanzi a incomprensioni, beghe e discussioni senza fine, che abbiamo comunque superato egregiamente per il bene comune sezionale, creando quello che la sezione è, e che molti ci invidiano. Marco lo ritroveremo in quel di Brentonico, in località Prada, dove gestirà con la moglie Elena, la trattoria Cà Rossa. Una cosa è certa, ora sarà lui a dover sopportare i suoi ex colleghi che passando dinnanzi al suo locale non esiteranno a fargli visita con tutto il “contorno” che questi simpatici amici creeranno nel suo bel locale, quindi caro Marco preparati! Con l’augurio che questa scelta ti possa gratificare, noi ci sentiamo di esternarti un grandissimo in bocca al lupo!

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Arturo Giovanelli TRENT’ANNI DEDICATI A CAPANNA S. BARBARA di Paolo Liserre, foto archivio A. Giovanelli “Più lavoravamo, più ci veniva voglia di lavorare”.

In questa semplice quanto eloquente frase, che il saggio Lundo pronuncia con naturalezza e genuina convinzione, ci sono l’entusiasmo e la passione che decine e decine di rivani più o meno noti al grande pubblico hanno profuso nel tempo per far sì che Capanna Santa Barbara diventasse cuore e rifugio storico della Sat di Riva del Garda. E tra questi una menzione speciale la merita proprio il saggio Lundo, al secolo Arturo Giovanelli, classe 1932, per ventiquattro anni vicepresidente della sezione locale e per due al vertice del sodalizio di Porta San Marco, dopo aver raccolto il testimone da Marco Matteotti e prima di passarlo per comprensibili motivi legati ai carichi di lavoro (e alle primavere e agli inverni che scorrono per tutti) all’attuale presidente Giorgio Galas.

Trent’anni sono una parte importante della vita di chiunque. Ancor di più se “spesi” volontariamente per una causa, senza ritorni d’interesse,

Annuario 2014

rimanendo sempre dietro le quinte, una presenza quasi invisibile ma assolutamente fondamentale.

Trent’anni sono il tempo che Arturo Giovanelli da Lundo nel Lomaso ha dedicato “anima, cuore, gambe, braccia e fiato” alla crescita e alla consacrazione della Capanna di S. Barbara, un po’ l’emblema e il fiore all’occhiello della Sat di Riva. La montagna nel cuore Arturo ce l’ha sempre avuta, ancor prima dell’ormai lontano 1981 quando appiccicò il suo primo bollino sulla tessera del sodalizio che a quel tempo a Riva contava circa 5-600 soci ed era presieduto da Cesarino Mutti. A quel tempo uno dei tanti incendi che spesso hanno interessato il versante orientale della Rocchetta richiese di intervenire per mettere in sicurezza il sentiero che portava e porta all’attacco della Ferrata dell’Amicizia oltre a dover rimettere mano e ripristinare la presa dell’acqua. Arturo era sempre in prima fila in quel gruppo passato ormai alla storia come “quei de S. Barbara”. Con Rino Zanotti, Pierino Miori, Roberto Parisi, Lino Martini, Gigi Lotti, Bruno “Netto” Floriani, e tanti altri ancora. Nel 1985 il Lundo, assieme a Pierino Miori e Roberto Parisi, lavora senza sosta all’allargamento della cucina verso monte e alla creazione della dispensa. “Con Lino Martini non eravamo mai capaci di star fermi - ricorda oggi l’Arturo - Così un giorno cominciammo a scavare attorno alla capanna e incanalammo l’acqua dalla tettoia per portarla verso valle dove c’era una cisterna bianca”.

Ma è il 1986 l’anno che probabilmente rimarrà per sempre impresso nella lunga e suggestiva storia che lega indissolubilmente S. Barbara e all’Arturo detto “Lundo”. “Un giorno, mentre facevo la polenta nel piazzale, alcuni escursionisti si fermarono a mangiare ma il fumo dava loro fastidio - ricorda ancora Arturo - Fu in quel 99

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

momento che ci venne in mente di spostare la stufa a destra della Capanna, su un pianerottolo dove una volta venivano seppelliti i residui e l’immondizia della vecchia cucina”. Sempre assieme a Lino Martini, Arturo riporta in superficie e poi a valle una cinquantina di sacchi d’immondizia e dopo quest’opera di “bonifica” comincia la vera e propria costruzione del Bait del Toni, in onore del glorioso presidente Antonio Alberti.

Arturo si ritaglia più tempo possibile, chiedendo permessi e ferie dal lavoro (era al vecchio Palazzo dei Congressi). E i giorni in cui anche Lino Martini era libero, ci si dedicava interamente a quell’opera. “Andavamo sù e finché non veniva notte non si scendeva a valle” ricorda ancora oggi, senza il minimo indugio. È il 1986, sessantesimo anniversario della fondazione della sezione Sat di Riva. In tre-quattro mesi Arturo e “quei de S. Barbara” portano a monte sulle spalle 70 quintali di cemento, travi e travetti, perlinato, guaine e lamiere. L’anno seguente c’è l’inaugurazione ufficiale. Ma che inaugurazione sarebbe senza la presenza di colui al quale la nuova “realtà” è stata espressamente dedicata! Arturo e gli altri organizzano tutto a puntino e grazie al fondamentale contributo di Gino Ettore e di alcuni altri amici Toni Alberti può salire alla Capanna a dispetto delle sue 88 primavere e presenziare a questo appuntamento rimasto nella storia di S. Barbara e della Sat di Riva. Pensate che dopo quel giorno l’Arturo si sia fermato? Nient’affatto. Non era da lui. Da una sua idea e con l’approvazione del consiglio

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direttivo della Sat di Riva e dell’ufficio tecnico comunale, nel 1994 si decide il rifacimento del tetto della Capanna (all’epoca a falda unica) e con l’occasione si può pensare di ricavare un rispostiglio che funga da dispensa. E il Lundo si mette in moto con la determinazione e l’impegno di sempre, sbrigando questioni burocratiche e passaggi operativi veri e propri per realizzare l’opera. All’opera hanno partecipato anche con tanto impegno e altrettanta fatica i soci Lino Martini, Ivo “Pestoleta” Armani, Enzo Bonetti, Giuseppe Tonelli, Franco Civettini, Carletto Zanoni, Fabio Cazzolli di Arco, Celestino Tamburini, Bruno “Neto” Floriani, Danilo “Bauer” Planchestainer e Tiziano Biatel.

Questi sono solo alcuni aneddoti del legame indissolubile che ha unito, unisce e unirà per sempre la storia di Capanna S. Barbara con quella di Arturo “Lundo” Giovanelli. Che da quei giorni in poi non ha mai mancato di portare il suo contributo al miglioramento e all’ammodernamento della Capanna e alla vita organizzativa della Sat di Riva. Per trent’anni Arturo Giovanelli è stato uno degli “motori inesauribili” della Capanna che dalla Rocchetta domina Riva ed è mèta di migliaia e migliaia di rivani e turisti. E anche a lui va il nostro “grazie”, quello di tutta la Sat, di chi ama la montagna e di chi anche solo ammira la suggestiva chiesetta bianca appoggiata contro la roccia e sogno un giorno di poter salire lassù.

Oggi le gambe di Arturo non glielo consentono più. Ma il suo cuore è sempre lassù. E lo rimarrà per sempre. Grazie “Lundo”!

Annuario 2014

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Annuario 2014

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

RIFUGIO

RE cat. A

SAN PIETRO GRUPPO

Alpi di Ledro

LOCALIZZAZIONE

Monte Calino COMUNE Tenno QUOTA 976 GESTORE

Enzo Santoni Loc. Matoni - 38060 Tenno tel. 0464 502150

TELEFONO 0464 500647 APERTURA 20 giugno - 20 settembre SOCCORSO ALPINO

Riva del Garda

capo stazione Gianluca Tognoni

per chiamata di soccorso

tel. 118 0464 550550 ACCESSI

-

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- da Ville del Monte m 556 (frazione S. Antonio) col sentiero 406 che passa da Canale m 598, dalle Case Bastiani m 854 ed arriva presso il rifugio - ore 1,30 - da Gavazzo Nuova m 201, per il sentiero Val di Gola, segnavia 401 che per la Val del Magnone passa da Tenno m 427 - ore 2,15 - da Malga Lomasona m 536 (strada da Dasindo) con il segnavia 410 alla Sella del Calino m 966 e al rifugio - ore 2

Annuario 2014

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

RIFUGIO

RA cat. B

NINO PERNICI GRUPPO

Alpi di Ledro

LOCALIZZAZIONE

Bocca di Trat COMUNE

Riva del Garda

QUOTA 1600 GESTORE Marco De Guelmi Enguiso Concei

cell. 349 3301981 TELEFONO 0464 505090 APERTURA 18 maggio - 30 settembre SOCCORSO ALPINO

Riva del Garda

capo stazione Gianluca Tognoni

per chiamata di soccorso

tel. 118 0464 550550 ACCESSI

Annuario 2014

- da Lenzumo m 796 in Val Concei, per strada i 7 km fino a Malga Trat m 1556, segnavia 403, indi per sentiero in 20 minuti; a piedi ore 2,15; - da Riva del Garda m 73, segnavia 402, per S. Maria Maddalena m 252, San Giovanni m 440, Pinza, Campi m 672, Rifugio Grassi m 1055, Malga Dosso dei Fiori m 1355, Bocca di Trat m 1581 - ore 4,15 (ore 1,30 dal Rifugio Grassi, ove si arriva per strada di 14 km)

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

CAPANNA SOCIALE

SANTA BARBARA GRUPPO

cat. B

Rocchetta (Alpi di Ledro)

LOCALIZZAZIONE

Monte Rocchetta COMUNE

Riva del Garda

QUOTA 560 GESTORE

Sezione SAT di Riva del Garda

APERTURA A discrezione della sezione SOCCORSO ALPINO

Riva del Garda

capo stazione Gianluca Tognoni

per chiamata di soccorso

tel. 118 oppure 0464 550550 ACCESSO

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da Riva del Garda m 70 per stradina, indi sentiero 404 che passa presso il Bastione m 212 - ore 1,15

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GCA Assicurazioni s.r.l.

Mauro Chizzola e Franco Antonini 38066 RIVA DEL GARDA (TN) – via Monte Oro 5B Tel. 0464 552137 – 554414 Fax 0464 554913 e-mail: riva.del.garda@allianzras.it

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RACCONTI

Anselmo e l’acqua di Alberto Maria Betta Laudato sii, mio Signore per sora acqua, la quale è molto utile, e umile, e preziosa e casta.

Non so se Anselmo, avesse mai letto questo sonetto di San Francesco, quel che è certo è che lui non avrebbe mai ringraziato nostro Signore per sora acqua: lui l’acqua l’aveva sempre odiata, odiata profondamente.

I più vecchi ricordano ancora il giorno del suo battesimo: raccontano che ai primi spruzzi d’acqua, i suoi strilli furono tali che, benché sordo, lo udì perfino il vecchio Gaetano che raccoglieva legna sopra il Bastione. Fu proprio in quell’occasione che don Venanzio sembra abbia esclamato: “Penso che questo bambino e l’acqua non andranno per niente d’accordo”.

Mai parole si dimostrarono così vere.

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Mamma Gisella aveva sempre dovuto sudare sette camicie perché Anselmo prima di andare a scuola si lavasse per bene faccia, collo e orecchie; per amore della madre e per paura di qualche ceffone, lui si era sottomesso a quella regola, per poi puntualmente ignorarla quando non era sorvegliato.

Si era sempre rifiutato di bere acqua e per sopperire al corporale bisogno di liquidi, l’acqua fu sostituita col latte; seppur povera, Gisella, che teneva a questo unico figlio come alle sue pupille, non mancava di provvedere affinché a tavola di latte ce ne fosse sempre un bicchiere pieno. Ben presto questa abitudine cambiò drasticamente.

Il parroco aveva bisogno di ragazzi per il servizio della Santa Messa, e Anselmo entusiasta, fu tra

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RACCONTI

i primi a presentarsi per l’addestramento. Tutto era filato liscio fino al giorno in cui il piccolo Anselmo si accorse che il sacrestano beveva di nascosto il vino da Messa; curioso, decise di provare anche lui: la sensazione che ne trasse fu fantastica, eccitante… Fu sorpreso da don Venanzio mentre sdraiato sotto un bancone della sacrestia, cantava il “Salve Regina” a voce spiegata: il misfatto sancì la prematura fine della sua carriera di chierichetto.

Anselmo non era certo tipo da scoraggiarsi, quell’esperienza fu illuminante, decise seduta stante di abiurare i suoi principi cristianocattolici, per votarsi ai ben più soddisfacenti riti pagani del dio Bacco, culto a cui si sarebbe dedicato per tutta la durata della sua breve esistenza.

A diciotto anni si era fatto un bel ragazzo non molto alto, ma muscoloso e sempre allegro. Si adattava a far qualsiasi lavoro: spesso aiutava i contadini nelle faccende dei campi, o scaricava per la cartiera di San Giacomo, le balle di stracci e di cartacce che i bragozzi trasportavano dalle sponde venete e lombarde. Amava il vino e amava il canto. Le ragazze non lo interessavano un gran ché, pur notando che molte di loro cercavano di attirare la sua attenzione con frasi sciocche, risolini, ammiccamenti e battiti di ciglia. Un giorno, durante la raccolta delle mele, alla fine di un canto corale che lui aveva impreziosito con la sua profonda voce baritonale, fu accostato dall’Adalgisa, una delle ragazze più belle, che sfoderando un irresistibile sorriso, riuscì a farsi accompagnare nel fienile.

Lì, dopo averlo scrutato nel profondo degli occhi ed essersi disperatamente avvinghiata a lui, si lasciò cadere sulla paglia trascinandolo con sé e assalendolo con ardenti baci e calorose carezze.

Anselmo trovò l’esperienza piuttosto piacevole, tanto che in seguito, non disdegnò di ripeterla ogni qualvolta se ne presentava l’occasione; la raccolta delle mele volgeva al termine, ma i due innamorati dopo lungo e profondo studio, impararono a raccogliere prima timidamente ma poi con vivo entusiasmo, le ben più dolci mele 108

dell’albero proibito, lavoro a cui si dedicarono con assiduità e perseveranza.

L’invidia e la gelosia di una delle giovani lavoranti li fece scoprire: allacciandosi, alla meno peggio i pantaloni, ed evitando i colpi di forcone del padre di lei, Anselmo si diede a una precipitosa fuga attraverso i campi. Non riuscì più ad incontrare Adalgisa, si disperò e finì per annegare i suoi dispiaceri nel vino all’osteria. E il vino gli restituì tanta forza e risolutezza che un bel giorno, preso il coraggio a due mani, si portò sotto le finestre di lei con l’intenzione di proferirle tutto il suo amore e intonò, con la sua bella voce, una struggente e appassionata serenata. L’Adalgisa, segregata dal padre nella sua cameretta, lo udiva ma non poteva rispondergli. Quando una finestra si aprì lui alzò lo sguardo speranzoso… lo investì uno scroscio d’acqua che lo infradiciò fino al midollo; non si scompose ma decise all’istante di troncare quella relazione: come avrebbe potuto lui, l’Anselmo, legarsi a una famiglia che faceva così largo ed indiscriminato uso dell’odiata acqua!

Pochi giorni dopo la Gisella, mentre risciaquava il bucato ai fontanoni del lungo-lago, fu sorpresa da un violento temporale. Raccolse i panni, ma nella fretta scivolò sui ciottoli umidi di pioggia, e cadde riversa nell’acqua del lago, battendo violentemente il capo. Alzandosi vide, o le parve di vedere, una figura di vecchia che la fissava con un orribile ghigno. Spaventata fuggì verso casa.

Al suo rientro Anselmo la trovò a letto, che delirava febbricitante: “La vecchia del lago” “Cosa c’è mamma?”

“L’ho vista” “Calmati mamma, vado a chiamare il medico” Il dottore la trovò inconscia. Dopo averla girata e rigirata, e attentamente auscultata, scosse gravemente il capo e sentenziò: “Speriamo!”…

Morì tre giorni dopo senza aver ripreso conoscenza.

La perdita della madre gettò l’Anselmo nella più cupa disperazione, le voleva molto bene e non sapeva capacitarsene. Pensava e ripensava alle Annuario 2014

RACCONTI

ultime sue parole: fin da bambino conosceva la leggenda dell’orribile vecchia che attirava i pescatori sul fondo, e del suo spirito, la folaga nera. Cercava di scacciare quei pensieri: “In fondo è solo una favola” si diceva “Sono tutte stupidaggini…” ma dovette ricredersi poco tempo dopo.

Un pomeriggio, mentre sulla passerella che collegava il bragozzo alle pietre del molo stava trasportando un enorme balla di cartacce, un onda sinistra lo fece vacillare e, sorgendo da quell’onda, una folaga nera gli si agitò davanti, facendolo cadere a capofitto nell’acqua. Non sapeva certo nuotare, e mentre annaspava per aggrapparsi a una fune che pendeva dal barcone, vide la vecchia che sogghignando maligna, sembrava volesse afferrarlo con le sue lunghe braccia vizze. Riuscì a tirarsi su e riguadagnare la riva, ma giurò in cuor suo che nessuno l’avrebbe più visto nei pressi del lago, tanto meno quella malefica megera. “Non mi avrai brutta vecchiaccia” l’udirono mormorare tra se e se.

Si chiuse in se stesso, iniziò a passare sempre più tempo all’osteria, s’abbrutì e l’allegria di un tempo pian piano scomparve. Quand’era sobrio aiutava a scaricare carri, a trasportare pesanti carichi, a fare lavorucci, ma con sempre meno frequenza, finché a poco a poco smise del tutto.

Per anni fu udito la sera, nei vicoli della città, mentre in preda ai fumi dell’alcol, cantava sguaiatamente o farfugliando parlava con se stesso; e sebbene il piccolo appartamento dov’era nato fosse di sua proprietà, accadeva sempre più spesso che dormisse all’addiaccio. Si nutriva pochissimo e dimagrì vistosamente; ma non domandava niente a nessuno, anche se qualche pia massaia, con la scusa di ripagarlo di qualche lavoretto che lui aveva fatto in passato, riusciva a farlo salire in casa per fargli ingerire qualche cucchiaiata di minestra. Un mattino, alla fine di gennaio, dopo una delle nottate più fredde, fu trovato sotto Porta Montanara, riverso sull’acciottolato che pareva dormisse; cercarono di rianimarlo, ma senza successo. Aveva solo trentadue anni.

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I funerali, pagati dall’amministrazione comunale, partirono dalla sua abitazione in Vicolo della Lucertola. La bara fu caricata sul carro funebre trainato da un triste cavallo grigio e lentamente, il mesto corteo si avviò verso la chiesa di S. Maria Assunta. Piovigginava e tutti aprirono gli ombrelli. C’era tutta la città, tutti lo conoscevano. C’era anche l’Adalgisa che piangeva sconsolata: lei non aveva mai smesso d’amarlo. Don Venanzio aspettava sulla porta della chiesa tra due chierichetti. Quando il carro arrivò d’innanzi al sagrato, pioveva a dirotto e il cocchiere scese da cassetta per dare istruzioni ai quattro giovani che si erano offerti di portare il feretro. Improvvisamente ecco un lampo seguito dal tuono, e alta sopra i tetti, starnazzando apparve una folaga nera, tutti alzarono la testa. La folaga fece tre giri sopra quell’assemblea di ombrelli neri, per poi piombare a capofitto sul ronzino sbattendogli le ali davanti al muso. Impaurito il cavallo si impennò per poi precipitarsi in una folle corsa giù per la discesa fino alla Rocca e, arrivato davanti alla sponda scartò di lato frenando bruscamene il carro e sbalzando la bara nell’acqua del canale.

Tutti corsero giù e tutti furono spettatori di un evento inspiegabile, terrificante: come mossa da una forza ultraterrena, l’acqua iniziò a scorrere nel canale spumeggiando, come se fosse un fiume, e la bara, su cui la folaga si era posata, mossa da quella corrente, fu trascinata al largo per poi inabissarsi lontano dalla riva. Don Venanzio impaurito accennò prima a una timida benedizione ma poi, spinto da non so quale sacro impulso, rovesciò tutta l’acqua santa, nel vortice del canale.

E il lago si calmò.

Per anni e anni si parlò di quell’avvenimento, e della vecchia del lago, e della folaga nera, e dei santi poteri di don Venanzio, e delle sue benedizioni che potevano scacciare qualsiasi spirito maligno, e infine del povero Anselmo che aveva odiato l’acqua per tutta la vita e che dall’acqua era stato tristemente inghiottito.

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RACCONTI

Marinai Alpini o Alpini Marinai? di Giuseppe Cattoi Mi trovo in questo reparto di Ematologia ed è il giorno 6 dicembre 2011. Mi è stato offerto di scrivere un mio pensiero su uno strano quaderno intitolato “Diario di bordo”. Subito la mia fantasia mi ha portato a navigare su una nave senza motori, senza vele, per i marosi delle Alpi; una nave strana che correva e volava nelle valli alpine, lungo i torrenti, i fiumi, nella bufera di neve, sopra i crepacci, sui ghiacciai immacolati, su fino alle cime innevate. Una nave strana, ma con un comandante eccezionale, con i suoi ufficiali, sottoufficiali e tutto il personale straordinario a dir poco. Tutti giovani di grande professionalità, umiltà e capacità. Trovandomi su questa nave, vola la mia fantasia e mi trovo nella stiva di un veliero che trasporta schiavi e mi ci trovo nero tra i neri, pronto ad essere venduto come schiavo nelle lontane Americhe. Tutto questo stato di sconsolazione, per fortuna o per forza di volontà, dura poco perché mi dico: “sei un vecchio alpino” e mi ritrovo a correre nei prati, nei boschi, con i miei cani sulle rive dei torrenti a pescare le nobili trote, insomma sulle mie montagne. E, come vecchio Alpino, ricordo la scritta sul monumento ai Caduti in onore di Cesare Battisti “PER GLI ALPINI NON ESISTE L’IMPOSSIBILE” e, facendomi più forza, mi viene in mente che più di 50 anni fa, sotto la naia, dicevamo: “ma gli Alpini non hanno paura”. Spero che tutto il carico umano che trasporta questa nave possa far suoi questi motti, così ci troveremo sulla cima vittoriosi insieme.

IL SIGNOR Sì Fin da piccolo, ancora all’asilo, mi hanno messo sulle spalle uno zaino chiamato SIGNOR Sì.

Signor sì alle suore, ai genitori, ai maestri, ai vecchi o agli anziani, ma il Signor sì era sempre più duro man mano che crescevo. Nelle fabbriche il Signor sì l’ho capito e sotto la naia subìto, vedendo le cose storte come il mangiare (Rancio), che era uno schifo e si doveva dire sempre Signor sì. Signor sì anche dopo aver finito la naia ed aver perso la mano destra in fabbrica. Sempre Signor sì. Ora ho 72 anni e nella mia vita ho dovuto pronunciare sempre quella parola ed è stata dura e travagliata. Adesso è entrato nel mio corpo una bestia che si chiama cancro e questo è il momento di dire SIGNOR NO, perché quella parola “sì”, non la pronuncerò più e dirò sempre “SIGNOR NO - SIGNOR NO”!

Ex Signor sì

Un vecchio alpino

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RACCONTI

60 anni dopo: due pionieri del Gruppo soccorso alpino della S.A.T. rivana raccontano... di Bruno Floriani e Celestino Tamburini Esattamente tutto questo tempo è trascorso da quando, giovani, quasi ragazzi, prendemmo parte al primo intervento in montagna del Soccorso Alpino, nato a Riva, due anni prima.

Il gruppo era sorto su richiesta della Sede centrale di Trento. Il presidente della nostra Sezione,

Antonio Alberti, il mitico “Tonìm” aveva convocati i soci in assemblea e, alla domanda di chi intendesse prender parte al costituendo “Gruppo Soccorso Alpino”, dieci mani si erano alzate: riteniamo doveroso elencare qui i nomi di chi, con spirito di grande solidarietà, aveva dato la propria adesione: Germano Alberti, Umberto Boschetti, Lino Brunelli, Vittorio Caceffo, Bruno Floriani “Neto”, dott. Pietro Gabrielli (della val di Fiemme, gestiva un ambulatorio dentistico a Riva, era il meno giovane del gruppo); Mario Marcantoni, Silvio Marchi, Ezio Micheloni, Celestino Tamburini. Germano Alberti era stato scelto come capo squadra. Erano tutte persone ben preparate, a livello escursionistico, nell’affrontare la montagna.

La squadra era costituita abbastanza alla “buona”.

Nelle dotazioni figuravano solo una cassetta di pronto soccorso, una barella e tanta, tanta disponibilità. Non mancava, naturalmente, l’attrezzatura da arrampicata, piuttosto rudimentale La documentazione fotografica è piuttosto scarsa: qui accanto il gruppo in trasferta rispetto a quella attualmente in uso. Il dott. Valerio a Trento in occasione di una assemblea provinciale del Soccorso alpino

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RACCONTI

Manfrini, primario medico dell’ospedale civile locale, si era prestato gentilmente ad illustrare le modalità più elementari del pronto intervento: l’uso dei disinfettanti, il bloccaggio di un arto, le fasciature, il comportamento dei soccorritori di fronte ad un infortunato. Erano anche effettuate esercitazioni sul terrreno, delle quali alleghiamo una foto in notturna. Il collegamento fra i soccorritori, che, nelle ricerche erano costretti a procedere a distanza, era limitato all’uso di un fischietto. Le radio ricetrasmittenti rappresentavano solo un sogno.

Allora la montagna non era frequentata come lo è ora: le falesie nella “Busa” e nei dintorni, oggi piene di rocciatori, non erano state ancora attrezzate. Due anni, come scritto sopra, trascorsero dal giorno della costituzione, per la richiesta di un primo intervento: un ragazzo, che praticava la raccolta di materiale bellico, era scomparso.

Riteniamo opportuno riprodurre integralmente la cronaca delle operazioni di soccorso, pubblicata il 4 gennaio 1954 sul giornale “L’Adige”, che le descrive dettagliatamente, il titolo citava: Sulle rocce di Val di Sperone, presso Riva del Garda Scomparso da oltre cinquanta ore un giovane raccoglitore di rottami E il testo: “Scriviamo queste note dall’interno dell’autovettura che provvidamente ci protegge dal freddo intenso, mentre seguiamo le operazioni di ricerca condotte dalla squadra di soccorso della Sezione di Riva della S.A.T., operazioni che si susseguono ininterrottamente da oltre 20 ore, ostacolate dall’impervia asprezza dei luoghi e da un vento impetuosissimo che spira dal Garda senza soluzione di continuità e che agghiaccia le membra impedendone financo i movimenti. È accanto a noi, in stato di comprensibile e profondo sconforto il padre di Marco Bones, un ragazzo di 17 anni, vigoroso e dinamico, abitante con la famiglia in città al numero 13 di 114

via del Corvo, scomparso senza lasciare traccia di sé fin dal pomeriggio di sabato scorso. Erano infatti circa le 16 quando il giovane, dopo aver avvertito i familiari di recarsi, come era sua abituale consuetudine sulle estreme pendici sud del monte Oro, per raccogliere rottami di materiale ferroso, residuati della prima guerra mondiale, si allontanava da casa, inforcando la bicicletta e dirigendosi alla volta di Sperone risalendo i tornanti della provinciale del Ponale.

Con ogni probabilità il ragazzo aveva raccolto già nei giorni precedenti un sufficiente quantitativo di materiale e si apprestava a ritirarlo per cogliere il compenso, per la verità scarsamente rilevante, delle sue sudate fatiche. Questa unica circostanza può fornire una spiegazione accettabile alla sua partenza così intempestiva, all’approssimarsi cioè della notte.

Marco Bones non tornò più da allora alla sua casa, da dove iniziarono le ricerche, proseguite poi sulla montagna. Queste ripresero poi all’alba di domenica, condotte dalla squadra di Soccorso Alpino della S.A.T., in collaborazione colle Forze della Polizia.

Il versante nord, a tratti a picco sul lago e la scogliera furono minuziosamente perlustrati: ogni cengia, ogni piccolo camino, ogni anfrattuosità fu esplorata senza esito, finché, ancora una volta gli uomini della squadra di soccorso dovettero arrendersi al sopraggiungere delle tenebre. E con esse, all’affievolirsi delle speranze.

Alcuni giornalisti e carabinieri sono qui ora sull’ultimo tornante della strada del Ponale.

Le ricerche sono riprese stamane in condizioni atmosferiche quasi proibitive. Raffiche di vento di inconsueta impetuosità spazzano le rocce e obbligano i generosi giovani della squadra di soccorso alpino della S.A.T. a procedere con lentezza, reggendosi in cordata. Nevica rabbiosamente a quota poco superiore alla nostra e mulinelli di neve vengono a cadere a tratti sui cristalli dell’autovettura. L’alternato sibilo del vento costituisce l’unico commento ai nobili tentativi della squadra di soccorso, mentre il Annuario 2014

RACCONTI

silenzio si fa pesante nel piccolo gruppo accanto a noi. Da alcune ore non ci siamo scambiati che brevissime frasi, quasi monosillabiche. La squadra di soccorso ci segnala ora qualcosa: notiamo una insolita animazione. È stata rinvenuta a ridosso di una roccia la bicicletta del Bones che viene ora portata sulla strada e immediatamente conosciuta dai parenti del giovane scomparso.

Non ci sono più dubbi ora. Marco Bones non è tornato dalla montagna, da questo brullo impervio costone di roccia, che attende il desistere del vento per coprirsi di neve.

Alimentate da questo primo indizio, le ricerche si fanno più febbrili. È necessario accelerare i tempi e prevenire la nevicata. Poco più a monte del luogo dove è stata rinvenuta la bicicletta, gli uomini della S.A.T. trovano i guanti del ragazzo, trattenuti da un sasso, per evitare che il vento li portasse lontano. È stata questa l’ultima precauzione di Marco Bones. Perché si è sfilato i guanti nella sua ascesa? Nella risposta a questi interrogativi c’è forse la soluzione del mistero che circonda la sua scomparsa. Un mistero destinato con ogni probabilità a rimanere insoluto, almeno per ora, in quanto la natura sembra voler accanirsi contro la tenace volontà degli uomini.

La tormenta sopraggiunge in questo momento e ci avvolge infatti, infittendo nel suo turbine gli angosciosi interrogativi di 50 ore di trepidazione.”

T.C.

Un’esercitazione notturna del gruppo. Da sinistra a destra: Floriani, Tamburini, Micheloni, Caceffo e Boschetti Annuario 2014

Purtroppo la salma fu ritrovata solo casualmente da un’altro ricercatore di rottami di ferro, solo dopo tre mesi, nei pressi del sentiero Mahuer, sopra i tornanti della Ponale.

Il cadavere era coperto da una frana di sassi, causa probabile del decesso, che aveva reso impossibile il ritrovamento da parte nostra.

Dopo quel primo intervento, ne seguì un altro sul monte Cadria, in val di Concei, di un guardiacaccia, Onorio Postingel, disperso sulle pendici di quella montagna. Tre giorni di ricerche ininterrotte, in collaborazione con un gruppo di volontari della val di Ledro, tempo pessimo, avevano portato al ritrovamento del cadavere del poveretto nei pressi di malga Vies.

Si era trattato di un omicidio. Il cadavere era stato nascosto dall’omicida sotto un mucchio di frasche.

Da allora siamo intervenuti in diverse altre occasioni. Poi gli anni sono passati e noi evidentemente non eravamo più in grado di svolgere utilmente il nostro compito nell’ambito del gruppo. Ma altri seguirono al nostro posto.

Contemporaneamente mutarono parecchie cose. L’esempio trentino ebbe seguito su scala nazionale. La nuova denominazione divenne e rimase la seguente: “Gruppo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico - Sezione di Riva del Garda” e divenne autonomo dalla Sezione S.A.T. La sede traslocò presso la Caserma dei Vigili del Fuoco. La legge ne regolò l’attività.

Le attrezzature, anche con l’avvento di nuove tecnologie, migliorarono nettamente. Al giorno d’oggi i componenti sono 20, sotto la capace guida del responsabile, Gianluca Tognoni. Un centinaio sono stati gli interventi svolti nello scorso anno, molti dei quali determinanti ai fini della sopravvivenza degli infortunati.

Noi, vecchi pionieri, rivolgiamo a tutti quelli che con entusiasmo, abnegazione e preparazione hanno voluto seguire le orme dei loro predecessori e, con le nostre congratulazioni auguriamo loro un buon proseguimento, col nostro caldissimo grazie.

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RACCONTI

La lunga valle di Silvio Santoni (Bacon) La scuola primaria è il luogo dove per cinque anni, in giovane età, si apprendono le nozioni elementari del sapere e del conoscere.

In questi anni si fissano le fondamenta dell’istruzione, che vengono poi elaborate e perfezionate nei tre anni di scuola media e poi ancora per chi sceglie la strada dello studio, le superiori e l’università.

L’italiano con la sua grammatica, la matematica, le scienze, la storia, la geografia, l’educazione civica, sono tutti insegnamenti che poi nel vivere quotidiano si riveleranno molto utili; un ulteriore materia che si studia a scuola è religione.

Ora vorrei parlarvi proprio dell’insegnante di religione, al mio paese, là nella piana a nord delle rive del grande lago, era il parroco che io chiamerò Lorenzo, in onore a Don Lorenzo Guetti; quel curato di campagna, che sul finire del milleottocento tanto ha fatto nel ambito della cooperazione per la gente delle Giudicarie e del Trentino per il bene dei più poveri e derelitti.

Il nostro sacerdote era un uomo di mezza età, alto e asciutto con i capelli brizzolati, portamento fiero ma affabile, parlava disinvolto e deciso da tutti era benvoluto e rispettato.

Ricordo che a quei tempi i preti portavano la tunica nera con il colletto bianco ed un crocifisso sul petto.

Don Lorenzo ci insegnava religione con un sistema un po’ tutto personale, fatti biblici e del vangelo ce li raccontava con parole sue, molto semplici e chiare; qualche volta il medio Oriente e la Palestina nelle sue storie venivano spostate qui tra le montagne, e le case dei nostri paesi, dentro le famiglie.

Era nativo di un villaggio delle valli Giudicarie, circondato da folti boschi e pascoli da campi coltivati e sovrastato da alte cime rocciose, per la maggior parte dell’anno coperte di neve.

Le sue origini contadine e montanare si sentivano forti in ogni suo racconto; voleva che noi capissimo certi valori come l’onestà, la sincerità, il rispetto dei genitori, dei vecchi, di amare il prossimo.

Mi rimase ben impressa nella memoria una storia che ora vi racconterò, ambientata in una selvaggia valle giudicariese il cui nome Don Lorenzo non volle mai rivelare.

Potremmo a questo punto solo immaginarla scegliendone una tra le molte nel territorio delle Giudicarie.

Casa Giudicariese - Foto da libro

Paesaggio montano Giudicariese - Foto da libro

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RACCONTI

Penso alle valli più famose come la val Daone, la val Genova o la val Algone.

Ma non vorrei trascurarne altre di grande bellezza, come la val Gavardina o la val Averta o ancora la val Breguzzo, la S. Valentino e la Borzago, la val Nambrone o quella di Manez, o ancora la val Ambiez, la val Marcia e la Lomasona...

Molte ancora di dimensioni forse più ridotte ma di pari fascino, che non sto’ ad elencare le lascio alla vostra conoscenza ed immaginazione.

Il nostro prete iniziò la sua storia partendo dalle case di pietra di un paese alpestre.

Nel villaggio viveva una famiglia contadina che abitava nella parte alta, ed era composta da

vecchi, adulti e bambini.

Condividevano tutto ciò che la terra e la montagna donava loro, una vita dura, essenziale, molte volte con tante privazioni.

A quei tempi i vecchi, se stavano bene, si davano da fare per aiutare la famiglia, svolgendo svariati lavori, usando più che le loro forze, che ormai erano diminuite, l’esperienza e la saggezza, cose che avevano appreso durante il cammino della vita.

Però, quando le forze abbandonavano il corpo e le ossa doloravano, vivevano passivamente, sperando sempre che i figli non facessero mancare loro, il minimo per sopravvivere.

Paesaggio alpestre Gruppo del Brenta

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RACCONTI

Lassù nella vecchia casa di pietra viveva con la sua “grande” famiglia un vecchio da tempo vedovo.

Da giovane era stato un grande lavoratore, forte come un toro, burbero e duro con sé stesso e con gli altri, pensando per sé e poco per il prossimo.

Ormai da tempo non era più utile in casa, a stento si reggeva in piedi, era solo di peso alla famiglia.

Quest’ultima non lo degnava più di grandi attenzioni, lasciandolo in disparte quasi sempre solo; se poteva stava attorno al focolare aspettando la ciotola con un po’ di minestra o un pezzo di polenta con il latte.

Il fuoco cantava allegro, regalando tutto attorno carezze di calore, ma il vecchio sentiva solo freddo; avvolto in una coperta, si lamentava e brontolava.

Nessuno in apparenza gli faceva caso, ma si sa, chi semina erba non può mietere frumento.

La nuora non mancava ogni giorno di far presente al marito, quanto fosse noioso il vecchio, di come mangiasse a sbaffo, portando via il cibo dalla bocca dei figli che dovevano crescere.

La stagione buona era ormai finita, le bestie da tempo scese dagli alpeggi stavano nelle riparate e calde stalle, gustandosi il profumato e secco fieno del monte.

Le foglie delle piante del bosco avevano cambiato colore ed i prati erano ingialliti, le giornate si facevano sempre più corte e la prima neve già aveva imbiancato le cime dei monti.

Una mattina di buon ora, quando i primi timidi bagliori di luce annunciavano la nascita del nuovo giorno, il figlio svegliò il vecchio padre, che dormiva sulla panca, a fianco del focolare.

Gli disse quasi urlando: “Vecchio preparati che andiamo in alto sul monte a tirar giù legna per l’inverno”. Il padre annuì; in silenzio si incamminarono su per l’erta mulattiera, ma ad un certo punto il vecchio barcollò e cadde e a stento si rialzò.

A quel punto il figlio senza proferir parola lo prese forte per la vita e se lo caricò sulle spalle, Annuario 2014

procedendo spedito sul cammino che portava su in alto, verso i pascoli estivi.

Superarono il fitto del bosco, ora la lunga valle si apriva e gli alberi si facevano radi, qua e là affioravano dall’ormai biondo pascolo alpestre rocce e sassi.

Il cielo era tutto coperto di nubi, nell’aria già si percepiva l’avvicinarsi della neve.

Il sentiero era lungo e faticoso ed il vecchio con la sua insolita cavalcatura procedeva curvo sulle forti spalle del figlio.

Ad un certo punto il padre batté con la sua ossuta mano sulla spalla del suo destriero e con una voce sottile gli disse: “Mettimi giù siamo arrivati, questo è il posto giusto”.

Il figlio però insistette per salire ancora, più in su, ma il vecchio con voce mesta ma risoluta disse: “Vedi figliolo qui tanti anni fa in un giorno come questo, pure io ho portato sulle spalle mio padre e l’ho lasciato proprio qui ai piedi di questo sasso, mi ricordo tutto molto bene! Lasciami a terra e torna dalla tua famiglia, non vi sarò più di peso”.

Il figlio lo guardò a lungo in silenzio poi di scatto, forse per paura di aver ripensamenti si girò, diede un ultima occhiata al vecchio e a lunghi passi, quasi correndo scese verso valle.

Giunto dove iniziava il bosco si voltò per vedere se ancora lo poteva distinguere, ma niente, l’erba giallognola e le rocce, non lasciavano intravedere nulla.

Lassù nel silenzio dell’alpe, il vecchio immobile

Paesaggio Giudicariese - Foto da libro

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RACCONTI

aspettava; il suo sguardo si perdeva lontano oltre l’orizzonte, fin dove gli stanchi occhi potevano vedere.

I suoi pensieri correvano all’indietro nel tempo sul percorso della vita, rivedeva tanti volti, udiva voci, urla, un fievole pianto, il soave canto di una ninna nanna.

Già i primi leggeri fiocchi di neve, volteggiavano nell’aria, come in una danza carnevalesca, sfiorando quel vecchio che un tempo era stato uomo ed ancora prima ragazzo e bambino.

L’inverno venne rigido e nevoso, soffiò il solito freddo vento e la gelida bufera, ma poi diede il passo alla primavera, il sole tiepido sciolse la neve e l’erba tornò verde, i fiori si vestirono di variopinti colori.

I primi montanari che salirono sull’alpe, al fianco di un grande sasso sul sentiero notarono i resti umani di un uomo e subito intuirono che erano

Piccolo cimitero con chiesa Giudicariese - Foto da libro

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del vecchio scomparso prima dell’inverno.

Quello che era rimasto del povero uomo lo trasportarono giù in paese e gli fu data una degna sepoltura nel piccolo cimitero tra i monti.

Il figlio e la sua famiglia piansero il loro congiunto e per tutti fu una disgrazia come tante altre.

Torniamo ancora un attimo laggiù in quella scuola, attorniata da vigne e secolari piante di olivo vicino alle rive del lago, ed ascoltiamo quel prete alto e brizzolato che parla ad una ventina di bambini, attenti ed immobili con gli occhi rossi e qualche lacrima che riga le paffute rosee guance.

Don Lorenzo allora fa una domanda ai ragazzi: “ Sapete voi dirmi con che cosa il figlio del vecchio non aveva fatto i conti?”.

Nessuno seppe dare una risposta che soddisfacesse il prete.

Allora quest’ultimo ad alta voce disse: “La coscienza! Sì ragazzi, proprio la coscienza, questa cosa strana ed invisibile, che sta dentro di noi, punzecchiava il figlio del vecchio, mordendogli lo stomaco, chiudendogli la gola, gli rubava il sonno la notte, udiva una voce dentro nel profondo del suo cuore, che diceva…

Non servì la durezza e l’indifferenza della moglie a quietare quei disturbi, quel malessere interiore.

Un bel giorno l’uomo prese una decisione, entrò in chiesa, e si fece il segno della croce con l’acqua benedetta, e si accostò al confessionale, parlò a lungo con il curato e gli confessò il suo terribile segreto.

Il prete con pazienza lo ascoltò, e serenamente dialogarono ed in fine, lo assolse dal suo crimine, dicendogli: “Il rimorso sarà la tua penitenza”, aggiunse poi: “Ora veditela tu con la giustizia degli uomini, quello che ci siamo detti resterà un segreto tra di noi”.

L’uomo uscì dal tempio di Dio e si incamminò lungo la strada, in direzione della caserma dei gendarmi.

Ora si sentiva, sereno, pulito, leggero, un peso enorme lo schiacciava da troppo tempo, era forte, determinato e avrebbe affrontato anche la giustizia degli uomini.

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L’uomo e la natura, il caso Vajont di Giorgio Quaranta Mi sembra doveroso ricordare il 50° anniversario del disastro ambientale del Vajont (1963-2013), causato dalla cupidigia e dall’ignoranza dell’uomo, che ha provocato 1917 morti, devastato i territori circostanti e sconvolto l’ambiente alpino.

Facendo un breve excursus (altrimenti si dovrebbero riempire numerose pagine) sul progetto Vajont, nome del torrente che scorre nella valle, si può trarre un’unica conclusione, e cioè che la diga alta 262 metri non si doveva fare.

Nel lontano 1925, anno del primo progetto, la futura diga non dava preoccupazioni; nell’anno 1958 si ipotizzano frane di scarsa importanza; nel 1959 c’è la frana di Pontesei, un campanello di allarme; nell’agosto 1959 viene formulata l’ipotesi di una frana con la creazione del lago;

La diga del Vajont prima del disastro del 9 ottobre 1963 Annuario 2014

nello stesso anno viene negata tale ipotesi e si arriva alla conclusione che la roccia è di elevata solidità, un’ipotesi creata appositamente per far continuare i lavori. Di fatto con l’invaso in atto emergono vari movimenti franosi che preannunciano la tragedia in arrivo.

Questo è quanto è emerso dallo studio di molti ‘soloni’: il fallimento di ingegneri e geologi nel comprendere la natura ha dimostrato che il disastro si poteva e si doveva evitare.

Il giorno 9 ottobre 1963 avviene la catastrofe: diciotto paesi devastati o cancellati, oltre 1900 morti, sofferenze inaudite, costi altissimi per la comunità, e tutto ciò è dovuto dalla cecità dell’uomo verso l’ambiente. È stato calcolato che l’onda d’urto dovuta allo spostamento d’aria abbia raggiunto o superato l’intensità della bomba atomica sganciata dagli americani in Giappone.

La natura non va violentata, semmai aiutata, amata e rispettata. In quella splendida valle dove scorre il torrente Vajont, che poi confluisce nel Piave, una volta c’era un monte chiamato Toc - il nome è significativo - che ora è monco, caduto di colpo nel lago causando il disastro. Un monte inquieto. Lo sentivano e lo sapevano tutti che tremava. Lo sapevano anche gli animali, i sismografi, i pendii erbosi dei prati che si spaccavano in crescenti sequenze allarmanti, lo sapevano anche le pietre che scivolavano in acqua. Ma l’uomo non volle sentire questi segnali, altrimenti… niente diga! Oggi, dopo 50 anni, cosa è rimasto?

Il pellegrinaggio dei turisti per visitare il luogo: una diga rimasta intatta, le lapidi commemorative e i piccoli paesi.

Ecco l’homo ‘sapiens’, convinto di poter imbrigliare e modificare a suo piacimento la natura, scordando molto spesso che essa si ribella violentemente. Incapace di apprendere la lezione, 121

MONTAGNA E AMBIENTE

l’homo ‘sapiens’ continua le sua opera distruttrice.

Molte volte sono passato da quelle parti per andare sui monti a scalare con gli amici e in certe occasioni mi fermavo lungo la strada per raggiungere una splendida palestra di arrampicata (regno incontrastato di Mauro Corona). C’è una parete per i big, un’altra, dove mi cimentavo io, per i no big. Lì si passava la giornata arrampicando, ma in cuor mio sentivo sempre un’atmosfera pesante, direi lugubre. Alcune volte ho avuto il piacere di incontrare Corona, noto scultore ligneo, scalatore e scrittore, scambiando con lui alcuni pensieri.

Ecco che cosa è rimasto in quella valle dopo la tragedia: il dolore.

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La palestra del Vajont

Sulla Rocchetta di Roberto Dall’Olio

Sul Cadria di Roberto Dall’Olio

Ci saranno tante ferrate più dure di questa ci saranno vie più ardite di questa ci sono mille e mille sentieri alla portata di molti ma superiore a questa scalata fatta per tutti superiore a questa leggera piuma umana che diventi appesa sul lago nessuna

Era il duemiladue un caldo torrido da stare in canotta sulla cima del Cadria persino stanche erano le parole della Messa che si celebrava lassù mentre l’impressione dell’Adamello nudo come un verme di rocce alacri ci frantumava nel blu

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Campanil Bass di Mario Corradini Puntuale, ogni anno, l’amico Paride Franceschini mi fa omaggio del suo calendario dove appare sempre una sua nuova opera artistica.

Paride è conosciuto con l’appellativo di “poeta del Lagorài” per il suo attaccamento a questo vasto gruppo montuoso del Trentino orientale.

Del Lagorài e di Cima d’Asta conosce ogni montagna, vi sale in tutte le stagioni e, dall’alto della Paride in vetta alla Torre di Pisa sua non più giovane età, corre ancora sui ripidi pendii e lungo le creste. Paride decanta questi Questo dipinto è stato selezionato per partecimonti con belle poesie. Parole mirate, precise, pare al concorso di pittura “La Madonnina”; la profonde, che in versi descrivono un ambiente sesta edizione di una manifestazione che si svolge quasi unico e la sua storia. Ogni tanto li ritrae a Centa S. Nicolò, quel raccolto paese sotto la con precisione ma aggiungendovi il tocco dell’ar- Vigolana, montagna dove in alto sorge la tipica tista. Bellissimi i suoi quadri, riportati appunto guglia della Madonnina. sui calendari, che dipinge a china su lucido. Ecco Lui non è salito in vetta al Campanile Basso. Lo ha ammirato da vicino e da lontano, forse lo ha che il poeta, ogni tanto, diventa anche pittore. sognato, certamente ne è Nel luglio 2013 Paride ha rimasto molto ammaliato. sconfinato, ha abbandonaIl “poeta del Lagorài” sa to ma solo per un attimo, cogliere il fascino in tutte le il “suo” Lagorài, permetmontagne. Ricordo la sua tendosi una divagazione. gioia quando lo accompaHa dipinto il Campanile gnai in Latemàr ed in vetta Basso. Pensandoci bene alla Torre di Pisa. Ha gioito però è comprensibile che di questa breve arrampicata un uomo, positivamente ed è rimasto stupefatto delle ammalato di montagna, spettacolari forme dei Camposi lo sguardo non solo su panili di Fuori: la Porta del un gruppo montuoso ma Latemàr, il Primo Campaanche verso cime e guglie nile, la stessa Torre di Pisa, che per la loro eleganza il vicino Battistero e poi di hanno da sempre attratto seguito tutte le grandi cime alpinisti, scrittori e pittori. che compongono questo sinIl Campanile Basso è una golare gruppo dolomitico. di queste e Paride ha voluto Paride ama le montagne e riprenderlo con la china e la Natura ed esprime questo il pennello per esaltare le profondo sentimento nelle sue magiche forme e la sua sue poesie e nei suoi dipinti. grazia.

Campanile basso di Paride Annuario 2014

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RIFUGIO TRIVENA m 1650 - Val di Breguzzo

Apertura estiva dalla seconda domenica di giugno alla seconda di ottobre APERTURA INVERNALE dal 27 dicembre al 31 marzo Tel. rifugio 0465 901019 - Tel. abitazione 0465 322147 www.trivena.com

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Fine anno travagliato di Dario Antolini (gestore del Rifugio Trivena) Come ogni anno dal ’87, apro il Rifugio per i festeggiamenti del S. Silvestro. A parte il primo inverno con un insuccesso completo della nostra prima proposta, negli anni successivi la frequentazione per i due tre giorni a cavallo del fine anno è sempre andata aumentando. Già dalla sera del 30 dicembre il Rifugio era pieno per metà. Tra gli ospiti, una coppia di ragazzi Vicentini che avevano prenotato tre giorni per iniziare da noi il capodanno. Lui abbastanza spavaldo del tipo che chiede info ma non aspetta la risposta perché probabilmente è più la voglia di mostrare un’esperienza da collaudato escursionista quanto quella di ricevere utili consigli. Lei, graziosa e minuta, pende dalle labbra del suo esperto amico. La sera del loro arrivo, viste le condizioni di scarso innevamento in cui versava quel fine dicembre, il ragazzo mi chiese un dettaglio circa la sua intenzione di compiere l’indomani un percorso ad anello che avrebbe comportato notevole dislivello. Lo sconsigliai vivamente per la pericolosità del percorso dovuto sia al fondo ghiacciato, sia per le poche ore diurne del periodo invernale. Dopo colazione, si avviarono imbottiti nelle loro giacche a vento (la temperatura era sotto lo zero di qualche grado). Ore 9.00, appena sufficiente il margine per compiere l’escursione da me consigliata, molto meno impegnativa e soprattutto su terreno che non presentava pericoli. Preso dalle mille faccende che la giornata particolare richiedeva, non pensai più alla coppia di giovani partiti in escursione, fino a metà pomeriggio. Erano giunti il resto degli ospiti ed erano rientrati dalle loro escursioni quelli presenti nella notte precedente. I preparativi per i festeggiamenti della serata ci obbligavano ogni anno ad una corsa contro il tempo per riuscire a svolgere i nostri programmi. A metà giornata era iniziata una nevicata debole ma Annuario 2014

continua per cui il soffice manto lentamente cresceva cancellando tracce e tratti ghiacciati.

Verso l’imbrunire uscito dal Rifugio cercai con lo sguardo verso la curva da dove giungeva il sentiero, ma ancora niente della coppia Vicentina. Quando un ospite tarda a rientrare mi prende una sensazione spiacevole fino al suo arrivo. Ormai era quasi buio, c’era da preparare l’uscita con le torce di cera, il fuoco nel piazzale del rifugio e i tavoli sui quali predisporre spuntini e aperitivi per il rientro dalla fiaccolata. Nel mio andirivieni frettoloso non perdevo di vista la curva in fondo al sentiero, ma niente. Mi rivolsi allora ad Alfonso e Gilda, una coppia Milanese che da alcuni anni saliva al nostro Rifugio per passarvi il capodanno. Erano rientrati verso le tre del pomeriggio dalla loro escursione anticipando un po’ causa il peggioramento delle condizioni. Mi rivolsi a loro chiedendo se avessero visto i due ragazzi Vicentini che, a quanto mi avevano assicurato, avrebbero dovuto fare la stessa escursione di Alfonso e Gilda.

In modo garbato mal celando il suo senso di sorpresa per il percorso intrapreso dai due ragazzi, Alfonso mi disse che poco prima delle 14 li avevano visti a quota 2200m mentre oltrepassavano il bivio per il Cop, dirigendosi verso Bocca della Cunella. Mi prese un certo sgomento. Era buio e non erano tuttavia rientrati. Questo poteva portare solo a pessimi presagi. Confidai a mia moglie le mie preoccupazioni e mi preparai alla breve escursione che ci avrebbe alzati 200m. di quota di fronte al Rifugio lungo il sentiero delle Taiade. Quella era la meta che con gli ospiti si raggiungeva prima di accendere le torce e creare scendendo una scia di luci tremanti più suggestive quella sera per la neve che scendendo leggera aveva creato un soffice manto di dieci centimetri. Come sempre la fiaccolata fu una 125

MONTAGNA E AMBIENTE

meraviglia apprezzata dai nostri ospiti che scendendo accennavano anche a qualche canto di montagna. Speravo ardentemente in cuor mio di trovare al nostro rientro i ragazzi Vicentini, magari stanchi e sfiniti ma presenti. Al rifugio non era giunto nessuno e l’orologio segnava ormai pochi minuti alle ore 20. Decisi di chiamare Fulgido, il capo del Soccorso Alpino della nostra zona. Gli spiegai la faccenda e le mie preoccupazioni. Se i ragazzi avevano proseguito lungo il ripido sentiero verso Bocca della Cunella, con la neve scesa durante il pomeriggio non avrebbero potuto tornare indietro senza un’elevatissima probabilità di scivolare sul ghiaccio nascosto dalla neve cadendo in fondo ai ripidi canaloni o i salti di rocce che li caratterizzano.

D’altra parte, se come mi auguravo, raggiunto il valico a quota 2550m il buon senso dettava loro di non rientrare dal percorso di salita, avreb-

bero dovuto scendere la stretta valle verso nord con più neve ma per loro fortuna molto meno ripida. In ogni caso il buio li avrebbe colti su un terreno sconosciuto, con una nevicata in corso senza riferimenti verso cui muoversi. In cuor mio speravo che sarebbero giunti al piccolo bivacco distante meno di un ora dalla forcella, ammesso che la luce sempre più fioca avesse permesso loro di arrivarci. Il cenone era iniziato, gli ospiti si stavano divertendo e solo Alfonso mi aveva chiesto dei due ragazzi. Giunsero con non poco trambusto in mezzo alla festa, gli uomini del Soccorso Alpino, con i loro frontalini e nello zaino i ramponi per affrontare il ripido percorso sulle tracce dei dispersi. Nella remota possibilità che i Vicentini avessero raggiunto in fretta il Bivacco Cunella e proseguito per concludere l’anello del loro progetto, si sarebbero trovati a scendere verso il Rifugio da un altro versante

La fiaccolata di fine anno

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ancor più difficile da individuare con la neve che ormai cresceva sempre più. Non si voleva lasciare intentata alcuna possibilità per cui con un volontario del Soccorso Alpino mi avviai verso quello che avrebbe potuto essere l’altro percorso di rientro. Ero l’unico a conoscere perfettamente il percorso reso molto più difficile da individuare causa il buio e la neve. Il resto degli uomini si diressero sulle tracce dei ragazzi lungo l’erto sentiero verso Bocca della Cunella. Era stata allertata anche un’altra squadra che partendo da un paesino della Val Rendena avrebbe risalito la Val S. Valentino per raggiungere da altro percorso il Bivacco Cunella. Tutti i soccorritori avevano lasciato chi la famiglia, la morosa o la compagnia festante in procinto di festeggiare il nuovo anno, per arrancare con fatica sotto la neve alla ricerca di due ragazzi, uno dei quali con troppa presunzione non aveva dato retta al mio consiglio trascinando in quella brutta avventura anche la sua ragazza. Lei ormai impaurita, stanca e piena di angoscia, quando si rese conto alla forcella che non sarebbero riusciti a rientrare causa il buio imminente e il ghiaccio insidioso coperto dalla neve, scoppiò in pianto.

Avevano capito entrambi che la situazione era grave. Impossibile fermarsi senza un riparo in quelle condizioni sotto la neve che continuava a scendere e il freddo che appena si fermavano penetrava sotto gli indumenti a raggelare il sudore della salita. Lui la convinse a proseguire.

Scivolare, cadere inciampando ogni pochi passi con una luce sempre più debole in un’atmosfera bianca che sapeva di magico, stava diventando un incubo. Ma strinse i denti e con volontà seguì quel ragazzo che dopo essere stato causa dei suoi guai ora era la sua unica ancora di salvezza. La fortuna aiuta gli audaci e c’è un Santo protettore anche per gli incoscienti. Forse si era studiato bene la carta topografica, non glielo chiesi, oppure vedeva al buio come i gatti. Finirono addosso alla sagoma scura del piccolo bivacco Cunella. Era buio e a lei parve un castello in una brutta favola, ma sempre un castello in cui fiAnnuario 2014

nalmente ripararsi almeno dalla neve anche se non dal freddo tra quelle mura gelide. Dall’altra parte della valle Fulgido e la sua squadra calzarono i ramponi appena intrapresa la salita del sentiero 261. Verso est io e Mario faticavamo lungo un sentiero che a tratti perdevo e che talvolta ci obbligava ad appoggiare le mani per non sbattere il naso dopo aver scivolato sui tratti ghiacciati e ricoperti di neve. Usciti dal bosco presi la direzione per il lago. Qui il sentiero è molto accidentato anche senza la neve. Immaginabile il procedere al buio con la nevicata in corso su un terreno pieno di buchi, una leggera crosta di neve e altri dieci cm. di fresca. Non potevamo fare dietro front per cui proseguimmo verso il laghetto cercando di non pensare al tratto più difficile che ci aspettava per giungere in cresta. In val di S. Valentino i ragazzi del Soccorso Alpino della val Rendena, erano giunti con il loro fuoristrada nei pressi di M.ga Geredol a quota 1600m. Quindi anche loro si erano incamminati lungo il sentiero che sale al Bivacco, in condizioni non migliori dei nostri percorsi in Val Breguzzo. Al Rifugio dopo gli antipasti avevano consumato due primi piatti e come in ogni cenone di fine anno, i commensali sempre più allegri anche grazie all’ottimo Marzemino Trentino, si apprestavano ad attaccare le carni. Non si erano rattristati più di tanto per la disavventura che stavano vivendo i ragazzi Vicentini. In fondo se l’erano cercata.

Dopo un’ora di pausa al Bivacco Cunella, la

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ragazza sempre più intirizzita batteva i denti e si lasciava sfuggire qualche piagnucolio. Dove più accidentato è il terreno più appare chiara la traccia di un sentiero. Forse per questo con un’altra mossa avventata il ragazzo decise di riprendere la discesa lungo quello che gli appariva un chiaro percorso. Ma solo per qualche centinaio di metri. Alla prima curva nella parte in cui il sentiero scende più ripido, anche per gli occhi di gatto fu un disastro. Lei si era rimessa a piangere e lui si rese conto in quale pasticcio l’aveva trascinata. Sarebbe stato meglio tornare indietro di quelle poche centinaia di metri e ripararsi nel bivacco. Con le impronte nella neve sarebbe stato facile, ammesso si vedessero in quel buio con la nevicata in corso. Infatti parve subito difficile anche il tornare sui propri passi. Lei cominciò a perdersi d’animo sul serio. Stava per avere una crisi di nervi, e singhiozzando implorava aiuto e rinfacciava all’amico di averla messa in quella terribile situazione. Lui aveva chiaro almeno che fermarsi lì, bagnati e al freddo senza riparo avrebbe potuto in poco tempo creare una situazione irreversibile e tragica. Alzò la voce e con nervosismo cercò di trascinarla. Qui intervenne il Santo degli incoscienti. Prima credette di aver avuto un miraggio, poi un lampo, ma stava nevicando. Infine cercando di salire sulla sagoma di un dosso la vide. Una luce lontana, e poi un’altra e un’altra ancora. Cinque o sei frontalini che ondeggiavano lentamente ma si capiva che si stavano avvicinando. Cominciò a gridare con quanto fiato aveva e continuò per alcuni minuti cercando di richiamare la loro attenzione.

Vengono a prenderci, vengono per noi disse scuotendo la ragazza che alzò il viso e tramutò in un riso convulso il pianto sommesso che non riusciva a fermare. Da sotto, ai soccorritori parve di aver udito un grido. Quando nevica il silenzio è così ovattato che anche i rumori forti delle valanghe giungono attutiti. Mandarono dei segnali intermittenti con le loro luci e da lassù sentirono giungere più distintamente delle grida. Quando li raggiunsero erano quasi le 23.

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Chiamarono sulla loro frequenza la squadra di Fulgido, che a sua volta connettendosi a quella della mia radio mi parlò. “Li hanno trovati.

Stanno bene e li accompagnano a fondovalle. La ragazza è molto scossa ma niente di più”. “Torniamo al Rifugio” risposi. Ricordo che ringraziai il Signore, estrassi dallo zaino i ramponi e mentre li calzavamo dissi a Mario: “Dai che riusciamo in tempo per il brindisi di mezzanotte”.

Arrivammo al Rifugio quasi contemporaneamente ai ragazzi dell’altra squadra, che riunitisi a Mario lasciarono un saluto veloce e scesero di corsa a valle per riprendere i loro impegni di fine anno. Poco prima di mezzanotte telefonarono i ragazzi del Soccorso Alpino della Val Rendena, chiedendo cosa dovevano fare con i Vicentini.

Dissi loro di lasciare la coppia davanti alla chiesa di Villa Rendena. Mia figlia più grande era a casa in paese con la nostra piccola di tre anni che non stava molto bene. “Manda Ermanno (il tuo ragazzo) a prenderli alla chiesa di Villa Rendena e teneteli a casa fin che non arrivo io a caricarli.” Verso le tre tutti i nostri ospiti si erano ritirati a dormire e avevamo terminato il riassetto della serata di festa. Pensai che i due incoscienti erano proprio fortunati. Aveva smesso di nevicare lasciando sulla rotabile di accesso al Rif. solo 20 cm. di neve fresca. Quindi prelevatili a casa mia in paese, alle 4,30 di mattina riuscii a scaricarli al Rifugio. Durante il tragitto non parlai e per fortuna neanche loro.

Mi sono chiesto in seguito se non sia stato troppo scortese mandarli a letto senza “cenone”. Ma il brindisi con panettone e spumante lo avevano già fatto a casa mia. Dopo poche ore a colazione, lei non riusciva a nascondere un leggero tremito delle mani e nella voce. Dissero che avrebbero fatto una passeggiata fino a fondovalle con ritorno verso le 13.. Quel primo gennaio splendeva il sole, il paesaggio era tutto bianco e questo mi metteva buon umore. I due ragazzi tornarono dopo circa un’ora. Lei disse che non se la sentiva.

Prepararono i loro zaini e se ne andarono subito.

Non li abbiamo più rivisti.

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I miracolati della “Punta Thurwiser” - 3.658 m Gruppo dell’Ortles - 6-7 agosto 1955 di Luigi Vettorato Sfogliando i miei diari della montagna è venuta fuori la nostra avventurosa ascensione alla vetta Thurwiser (3.658 m) nel Gruppo dell’Ortles.

Nella letteratura alpinistica è considerata una delle più belle cime delle Alpi Orientali. In sei alpinisti (Achille Gadler, Elio Modena, Gianfranco Bonicciolli, Gastone Golin, Gianfranco Modena e Luigi Vettorato), selezionati a giudizio insindacabile della commissione della sezione S.A.T. di Trento, partiamo dalla nostra città alle ore 13.00 del 6 agosto del 1955, con un pullman.

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Ci dirigiamo verso Bolzano per raggiungere Val Trafoi. Ci fermiamo un istante lungo i tornanti dello Stelvio ad ammirare la nostra traversata che avremmo compiuto all’indomani. Vediamo spinte verso il cielo le nostre sognanti cime: la Punta Thurwiser (3.658 m), il Bickmangrat - P. Trafoi (3.546 m), P.so Campana - P.so Tuchett (3.346 m), Vedretta del Madaccio - Rifugio M. Livrio (3.174 m), Vedretta Piana - P.so dello Stelvio. Proseguiamo arrivando al Passo dello Stelvio; scendono 16 soci della comitiva B che

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pernottano al rifugio M. Livrio. Questo secondo gruppo farà il percorso alpinistico facile: Vedretta del Madaccio - P.so Tuchett, Vedretta di Campo, P.so Evedr. Dei camosci, P.so dei volontari Vedretta dello Zebrù, Rifugio V Alpini; poi scenderà il Valzebrù, passerà per S. Antonio e il pullman salirà il Passo dello Stelvio a prenderli.

Noi sei alpinisti del gruppo A, domani inizierà la nostra avventura, che vedrà la traversata dalla cima Thurwiser al Passo dello Stelvio. Da Bormio arriviamo in pullman a S. Antonio (1.339 m) verso le 19.00. Zaini in spalla e scarponi chiodati, partiamo salendo la Val Zebrù, verso il rifugio V Alpini (2.877 m); il dislivello della salita è pari a 1.538 m. Entriamo nella valle attraversando boschi e verdi pascoli, incontrando caratteristiche baite in legno, lambite dall’argenteo torrente Zebrù. La valle è coronata da un anfiteatro di cime glaciali di oltre 3.500m,

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pennellata dagli ultimi raggi di sole, in questo sogno del creato. Nel silenzio della natura tutto è pace. Arrivati alla baita dei pastori prendiamo il sentiero n. 29 che porta al rifugio V alpini. È buio, ma la luna e le stelle ci guidano verso il regno dei ghiacciai. Arrivati al rifugio V Alpini verso le 23.00, entrammo nell’atrio e depositammo il nostro arsenale alpinistico. Ci leviamo gli scarponi chiodati, mettiamo le soavi pantofole ed entriamo in sala, accolti da un buon profumo di minestrone. Ci solleviamo gli animi dalla fame; il gestore, molto gentile, ci accompagna prima nelle nostre camere, dove lasciamo gli zaini, quindi scendiamo in sala per la cena. Un buon minestrone colorava il nostro tavolo, adornato con un tagliere di salumi, formaggi, pane di segale e un boccale di birra. Dopo aver mangiato chiediamo al gestore alcune informazioni sulla nostra salita del giorno dopo. Ci fa presente che sul filo della cresta di neve e ghiaccio verso cima Thurwiser è necessario fare degli scalini con la piccozza; la parte terminale è rischiosa perché ci sono rocce friabili, spesso coperte di vetrato. L’inclinazione in certi punti è pari al 55°. Ci dice inoltre che se la cima non è coperta di neve è possibile trovare un chiodo con un cavo per scendere in corda doppia. Ci invita peraltro a prendere tutte le precauzioni del caso; se trovassimo difficoltà nella discesa ci invita a prendere la parete sud-est, in quanto è più facile, anche se più pericolosa per una maggiore probabilità di caduta di sassi. Insieme decidiamo che, se le condizioni del tempo sono buone e non ci sono ostacoli particolari, di fare la traversata verso la Cima di Trafoi, al rifugio Livrio verso il Passo dello Stelvio. Lo ringraziamo per le utili spiegazioni. Gli chiediamo di chiamarci verso le 03.30 e di prepararci alcuni panini, del te nelle thermos e dell’acqua nelle borracce. Ce ne andiamo finalmente a dormire. Il sonno è stato molto breve. Sentiamo battere alla porta della nostra stanza; è il gestore che ci invita ad alzarci perché è giunta l’ora concordata. Ci alziamo tutti, svegliandoci con una buona rinfreAnnuario 2014

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scata d’acqua sul viso; ci mettiamo un po’ di crema solare d’alta quota. Indossiamo quindi i nostri pantaloni alla zuava, verifichiamo che nei nostri zaini ci sia tutto l’occorrente alpinistico e quindi scendiamo in sala. Mettiamo negli zaini la Thermos con il tè, le borracce d’acqua e i buoni panini. Sul nostro tavolo il gestore aveva preparato un’abbondante colazione con pane, caffelatte, burro, marmellata miele e speck.

Mangiamo tutto, paghiamo il dovuto e andiamo nell’atrio, lasciando le dolci pantofole. Mettiamo i nostri scarponi pesanti con sopra le ghette.

Sugli zaini mettiamo l’attrezzatura alpinistica, indossiamo la pila sulla fronte. Il gestore ci saluta augurandoci una buona ascensione. “Siete degli alpinisti esperti e molto affiatati fra di voi” ci dice. Alle 04.30 finalmente partiamo verso la sognata cima. Si stavano spegnendo le stelle e da oriente si apriva lentamente l’alba, in un pallido chiarore di un velato cielo rosso. Dalle nostre esperienze in montagna, è sempre difficile prevedere il tempo che farà. Al momento, mentre i raggi del sole sfioravano le cime, sembrava che il tempo potesse promettere qualcosa di buono.

Arrivati alla Vedretta di Zebrù, ci prepariamo ad indossare l’attrezzatura alpinistica: mettiamo i ramponi, ci leghiamo, facendo tre cordate da due, con il metodo dell’asola centrale per la sicurezza, utilizzando l’imbragatura “bulin” doppio con la bretella. Sulla piccozza facciamo l’ancoraggio con un cordino, con alcuni moschettoni di riserva e alcuni chiodi da ghiaccio.

Attraversiamo la Vedretta dello Zebrù, salendo al Passo dell’Ortles (3.255 m); siamo ad un soffio dal gran cono di ghiaccio (3.530 m); questo pulpito cristallizzato di ghiaccio è coronato dalle Cime dell’Ortles, monte Zebrù, Gran Zebrù, Thurwiser ed è tanto acclamato da molti alpinisti del mondo. Ci adagiamo vicino al Passo Thurwiser (3.480 m); ci assale una frenesia di gioia nel vedere davanti ai nostri occhi questa famosa vetta, fra le più eleganti del gruppo che sale sul filo di cresta di ghiaccio. Ci ha impressionato vedere il suo sviluppo, oltre Annuario 2014

300 metri fino a 55° nel tratto superiore. Conosciamo le nostre capacità alpinistiche da esperienze d’alta quota delle Alpi; siamo tutti e sei sullo stesso livello alpinistico. Distanziamo le cordate di alcuni metri e affrontiamo questo spigolo aereo a nord-est. All’inizio la cresta è larga, presentando delle cornici di neve. Poi sale moderatamente diventando sottile e molto ripida; ci alterniamo lungo la salita, scalinando con la piccozza alcuni passaggi difficili ove troviamo del ghiaccio vivo. In un passaggio molto esposto abbiamo piantato due chiodi da ghiaccio, mettendo poi dei moschettoni. Filando un cordino e mettendoci in dovuta sicurezza nel passaggio da brivido, siamo usciti da questa affilata cresta di ghiaccio, bella ma faticosa, pieni di soddisfazione. Ma non era finita. C’era ancora un ultimo tratto di 70-80 metri per arrivare alla vetta. Era il tratto più difficile, formato da rocce friabili, coperte in alcuni tratti di vetrato; era difficile

Punta Thurwiser (da un originale di E.T. Compton) è una delle vette più ardite fra l’Ortles e il passo dello Stelvio

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metterci in sicurezza. Troviamo dei cumuli di un attimo di vera paura, ma la calma ci ha aiuneve ghiacciata; piantiamo la piccozza, passando tato. Non ci siamo mai mossi dall’arrivo in il cordino nell’asola. Nei punti più esposti pas- quota a cima Thurwiser. L’uragano è durato siamo uno alla volta da un lato all’altro dei cu- un’ora e mezza e poi si è volatilizzato verso la Val muli di neve e finalmente arriviamo in cima Venosta. Tutt’ora siamo avvolti da nubi e nebbie, all’amata e sognata vetta Thurwiser. Ed ora un con una leggera pioggia e nevischio. Tutto ad un abbraccio di gioia e una stretta di mano. Questa tratto si è aperto uno spiraglio di luce dalle felicità però dura poco. Da ovest si avvicinava nebbie ampio circa 600 metri; ci permette di alle cime dell’Ortles un improvviso e repentino vedere l’imbocco della parete sud-est; è stata cambiamento del tempo: nubi nere con turbini utile l’indicazione del gestore la sera prima. Ora di vento e nevischio. Rinunciammo alla traver- ci danno fastidio le mantelline; le riponiamo sata per la cima Trafoi, Rifugio Livrio e allo nello zaino. Iniziamo lentamente a scendere; il Stelvio. In un attimo siamo avvolti dall’oscurità e sepolti da nuvoloni; veniamo colpiti da violente e grosse gocce d’acqua e grandine. Arriviamo appena in tempo a coprirci con le nostre mantelline, gettando lontano da noi piccozze e ramponi. Ci siamo distanziati l’uno dall’altro per evitare di essere colpiti insieme dai fulmini. In questo uragano di tuoni e lampi carichi di elettricità, vediamo le punta delle dita e i nostri capel li perlati d i luce. La fortuna però ci assiste; le saette si abbattono con violenza sulle rocce e per questa volta veniamo riThurwieser, 7 agosto 1953 sparmiati. È stato 132

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pendio, per oltre 150 metri è coperto da almeno 10 centimetri di neve fresca caduta dall’uragano.

Ci accorgiamo subito che la situazione è delicatissima: la roccia friabile è coperta di detriti e la caduta di sassi può avvenire in qualsiasi momento. Ci spostiamo da una parte all’altra; a destra della cresta scendiamo in un canale poco marcato, reso scivoloso dalla pioggia. C’era poco da ridere perché da questo imbuto che scendeva verso di noi imperversavano le scariche di saette sui sassi della cima. Possiamo dire che siamo stati miracolati. La visibilità è scarsa; cerchiamo di destreggiarci in rocce non sicure e senza essere assicurati l’un l’altro. Non riusciamo ad avere un valido appoggio nel terreno franato. Scendiamo attraverso banchi di nebbia e pioggia e ci troviamo sul bordo di un precipizio alto oltre 15 metri; la parete di roccia è ancora friabile. Per fortuna ad un certo punto troviamo un solido spuntone di roccia; vi poniamo la mia corda di oltre 40 metri e scendiamo a corda doppia, io per ultimo. Nel recuperare la corda, la stessa si impiglia in una fessura; in parete non sono stato capace di recuperarla. Non me la sono sentito di arrampicarmi su quel marciume di parete; ho deciso di lasciarla come cimelio miracolato nell’incognita discesa. Arrivati alla base della parete diamo l’ultimo sguardo a questa misteriosa via sud-est della Thurwiser “via normale”; era stata aperta dai pionieri nel 1869, quindi chiusa in questi ultimi anni a causa di diverse slavine che scendevano dalla cima. Proseguiamo la discesa; finalmente siamo fuori da questo labirinto delle perfide rocce friabili. Ci siamo calati sulle ghiaie basali sotto il Passo dei Volontari. Finalmente verso le 17.00, sul ghiacciaio della Vedretta Zebrù arriviamo al Rifugio V Alpini. Il gestore si è meravigliato del nostro arrivo. “Siamo arrivati in cima al Thurwiser e in un attimo siamo stati avvolti nell’oscurità dall’uragano”. “Siete stati bravi ragazzi” - dice lui - “La forza del gruppo e la calma è stata la vostra salvezza”. Lo ringraziamo per le indicazioni ricevute per scendere dalla parete sud-est della Annuario 2014

cima; una parete di 600 metri, molto scabrosa, formata da rocce friabili, in un percorso reso poco visibile a causa delle folti nebbie e dalla pioggia. Ci disse poi il gestore che alcuni nostri amici della S.A.T., quelli della traversata alpinistica facile dal rifugio Livrio, erano molto preoccupati per noi, che eravamo sulla traversata alta, a causa dell’improvviso cambiamento meterologico. Loro sono scesi a S. Antonio subito dopo aver mangiato, al punto della partenza delle 17.30 per poi risalire al Passo dello Stelvio per riprenderci. L’improvviso cambiamento del tempo e le scarse possibilità di comunicazioni telefoniche fra rifugi e il fondovalle, hanno provocato spesso dei disagi in montagna, come si è verificato in questa gita. Infatti, stava montando un subbuglio di agitazione fra i nostri soci che ci stavano aspettando. La nostra esperienza ci ha però illuminato; abbiamo mandato due baldi giovani alpinisti del nostro gruppo subito a fondo valle, per avvertire telefonicamente qualcuno che mettesse a tutti il cuore in pace.

I nostri due amici sono arrivati al Comando dei carabinieri del posto; i carabinieri sono stati molto gentili a comunicare telefonicamente con il Passo dello Stelvio, giusto in tempo per fermare gli uomini del Soccorso alpino, allertati per venire a cercarci. La nostra comitiva era stata successivamente informata che poteva rientrare a Trento. Noi siamo rientrati dal Rifugio V Alpini per la val Zebrù, fino a S. Nicolò. Quindi a Bormio abbiamo noleggiato un’autovettura che nella notte ci ha riportato a casa, a Trento.

Quanto è lontana ora quella bella, difficile e pericolosa vetta miracolata. La commissione di giudizio della nostra sezione S.A.T. di Trento ci ha chiamati in sede per esporre la nostra avventurosa ascensione sulla cima Thurwiser. Alla fine siamo stati elogiati da tutti i presenti, dicendoci poi che la calma del gruppo e l’esperienza ci ha aiutati nell’uscire indenni da questa ragnatela di pericoli della punta Thurwiser. Rimane una delle vette più ardite fra l’Ortles e il Passo dello Stelvio.

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Un sabato alternativo di Matteo Prandi Non ne avevo mai sentito parlare prima dell’anno scorso fino a quando presi in mano il programma delle gite 2013. Stavo andando a passo Carlo Magno quando lessi che una delle gite sociali dell’anno successivo sarebbe stata la scalata di Cima Tosa. La cosa mi intrigò subito ma fu un pensiero passeggero destinato a perdersi col passare dei giorni. Invece a metà luglio questo pensiero ritornò a frullarmi per la testa. Ero al lavoro quando mi tornò in mente.

Ma come recita il detto “tra il dire e il fare c’è di mezzo un mare”: primo avrei dovuto convincere i miei a lasciarmi andare e secondo mi sarei dovuto iscrivere all’escursione tempestivamente, avrei dovuto chiamare Rudi un mese prima...

Dopo aver convinto i miei dicendo loro che andavo accompagnato da gente competente

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e in gamba, tentai di iscrivermi chiamando Rudi, il quale inizialmente mi rispose di no ma successivamente accettò la mia iscrizione. Rudi mi spiegò che l’escursione si sarebbe effettuata in un giorno solo invece di due: sabato 3 agosto.

Dopo essermi fatto spiegare tutto l’occorrente da portarmi appresso, il punto e l’orario di partenza lo ringraziai e iniziai a preparare lo zaino.

Venerdì sera del 2 agosto davanti alla porta di casa era già tutto pronto e cercai di andare a letto abbastanza presto poiché il ritrovo era alla stazione dei pullman di Riva del Garda alle 4.15 del giorno dopo. Fu abbastanza difficile addormentarsi ma alla fine verso mezzanotte mi addormentai.

Quando la sveglia suonò alle 4.00 in punto mi levai dal letto più sveglio che mai grazie all’a-

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drenalina che scorreva nelle mie vene ancora prima di iniziare l’escursione, poiché il “non ordinario” emoziona quasi sempre. A cinque minuti al quarto accesi la moto e partì. Non c’era anima viva per le strade, i lampioni illuminavano la strada e l’unico suono (rumore) che sentivo era quello della moto. Erano già quasi tutti lì, parcheggiai e montammo in macchina per S. Lorenzo in Banale. Laddove ci aspettava il taxi che ci portò al rifugio Cacciatore. Il taxi consisteva in un “jeeppone” che conteneva dieci persone più autista. Il viaggio durò più o meno un quarto d’ora e non fu noioso poiché la strada che percorremmo era piena di buche e dossi ed era una botta in testa ogni volta. Anche se faceva “male” ridevamo tutti.

Arrivati al Cacciatore tutti interi ringraziammo il gestore del rifugio per il passaggio e prima di

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iniziare a camminare ci fermammo ad ammirare il paesaggio: le cime e il complesso del Brenta illuminate dai primi raggi del sole, erano le 6.00.

Iniziammo a camminare in mezzo al verde superando un lieve dislivello per poi inoltrarci nella favolosa Val d’Ambiez. In lontananza vedevo il rifugio Agostini che, passo dopo passo, si avvicinava sempre di più affiancato da tre enormi massi franati decine di anni fa. Verso le 8.30 arrivammo al rifugio dove facemmo una breve sosta per poi ripartire ad affrontare il nevaio sovrastante. Calzando ramponi e impugnando i bastoncini ci incamminammo per quella valle ricoperta di neve misto ghiaccio che mano a mano si stringeva fino a concludersi nella Bocca d’Ambiez. Io facevo da chiudi-fila insieme a Rudi e Stefano… A metà valle il sole iniziava a sollevarsi nel cielo illuminando il manto nevoso che creava così giochi di luce illuminando le cime che delimitavano la valle. Fra tratti coi ramponi e altri con fettucce e moschettoni arrivammo in cima alla valle, Bocca d’Ambiez.

Ci fermammo cinque minuti per riposarci e per prepararci alla scalata. Dalla bocca si vedeva la Val d’Ambiez da una parte, mentre dall’altra si scorgeva il rifugio XII Apostoli e poco più in là il Campanil Basso. Mi avevano avvisato che la via da seguire, la famosa via Migotti, era sprovvista di chiodatura senza possibilità quindi di assicurare. Per andare sul sicuro anche se era abbastanza inutile chiesi a Enrico (che caldamenAnnuario 2014

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te ringrazio ancora di avermi accompagnato per tutta la via fino alla cima) se potevo legarmi a lui, per sentirmi un attimo sicuro ecco. Per arrivare all’attacco della via bisognava fare qualche decina di metri seguendo un cordino d’acciaio.

Io ed Enrico partimmo per ultimi, passo dopo passo ci si alzava ed ogni appiglio e appoggio che utilizzavo lo controllavo onde evitare di cadere, se fossi caduto avrei “tirato giù” anche Enrico.

Più ci si alzava più lo sguardo poteva ammirare il paesaggio circostante. Ci impiegammo due ore e mezza per arrivare in cima, con Rudi che, come un camoscio, saltava su e giù per le rocce per controllare la situazione. A volte un “sassooo!” si sentiva risuonare e cadere poiché, ad eccezione dello sferragliare dell’attrezzatura, nella valle regnava il silenzio. Tra pause per riprendere fiato (“Il Matteo è lento ma costante”, diceva Enrico) e per ammirare l’ambiente circostante arrivammo in cima alla Tosa per mezzogiorno, a 3173 metri di altitudine. Ci fermammo a pranzare sul cosiddetto “Panettone”, nevaio che sovrastava e sovrasta ancor oggi tutta la cima, abbastanza estesa. Visto che ci trovavamo in cima lo spettacolo era a 360°, si vedevano le altre cime innevate e le valli sottostanti, davvero una meravigliosa vista. Per mangiare ci prendemmo una ventina di minuti poiché la strada del ritorno era diversamente corta. Dopo esserci messi gli zaini in spalla prendemmo la via del ritorno che fu difficile da trovare perché gli “omini” di pietra

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che dovevano segnare il sentiero non c’erano più.

Dopo qualche minuto di indecisione riuscimmo a trovare la via per la discesa, la quale consisteva nel percorrerla arrampicando al contrario. Con la dovuta cautela pian piano scendevo mentre Luca urlava: “Matteo! Te sembre en gat! Sì en gat… ma de marmo!”. Alla fine riuscimmo a trovare il sentiero, si vedevano impronte di piedi nei cumuli di neve. Dopo venti minuti di camminata di cumulo in cumulo arrivammo all’attacco della via ferrata che ci riportò sul lato destro interno alla Val d’Ambiez. Affrontammo diverse scale seguite a fianco da un cordino metallico o da una corda poiché la neve interrompeva il sentiero principale così che noi dovemmo deviare il percorso in vari punti. Alla fine della ferrata eravamo ai piedi delle rocce e da lì ci dipartimmo per il rifugio Agostini. Per scendere bisognava ripercorrere tutto il nevaio, in discesa. Al posto di mettere ramponi e scendere con cautela iniziammo a scivolare in piedi o seduti fino alla fine del nevaio per risparmiare tempo poiché la tabella di marcia diceva che fra tre quarti d’ora il taxi era pronto per il passaggio. Comunque ci fermammo all’Agostini per riposare e berci qualcosa. Infine ci incamminammo per il Cacciatore e in meno di un ora eravamo al rifugio, il taxi era pronto per riportarci al parcheggio di S. Lorenzo in Banale, dove avevamo lasciato le macchine. Ci cambiammo, immergemmo i piedi nella fontana e intraprendemmo la strada verso casa.

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Ricordando Walter Bonatti di prof. Luigi Zanzi Ho partecipato alle esequie in rito civile di Walter Bonatti; ho voluto così portare con viva commozione la mia testimonianza, convinta e silenziosa.

Ho ascoltato con emozione prossima al pianto le appassionate e coraggiose espressioni con cui la sua meravigliosa compagna Rossana (protagonista con lui di una grande vicenda d’amore, che tanto più accora nel ricordarla, ora che anche Rossana non è più tra noi) ha accolto tutti gli amici convenuti per l’addio a Walter; e così pure l’affettuosa lettera (letta da Sandro Filippini), con cui Reinhold Messner ha rivolto a Bonatti, evocato come “il capo cordata”, il suo ultimo saluto (non meno palpitante di sincera cordialità di quello che già gli rivolse di persona al suo castello di Juval lo scorso anno, in occasione della festa “tra amici” per gli ottant’anni di Walter);

e così pure le tenerissime confidenze sentimentali dei suoi giovani nipoti, che hanno rivelato al pubblico anche un Bonatti amorevolmente attento alle cure della vita vissuta in casa, in famiglia, in incontri conviviali “al focolare” (là in quell’angolo di una tacita sacralità “di casa”, dove, come osava riconoscere Eraclito, “ci sono anche gli dei”).

Ho ritenuto queste voci le sole appropriate, unite tutte in un solo coro attorno a Walter; e, anche per un istintivo riserbo, teso ad evitare superfluità esibitoria, ho scelto per me una presenza in silenzio come più in sintonia con quel momento di raccoglimento nel pensiero di Walter, che, tra me e me, ancora non riuscivo a credere fosse morto.

Pure ho meditato allora, e rimeditato poi, e rimedito ora alcune prospettive propriamente “filosofiche” che, a mio parere, si impongono di fronte alla persona di Bonatti, nella considerazione attenta della storia della sua vita.

Forse non è superf luo proporne qui una breve ricapitolazione, come spunto di un’ulteriore rif lessione a più voci, quale mi pare importante debba sempre più approfondirsi nel coltivare nella memoria di Bonatti il grande retaggio vitale e culturale che ci ha lasciato.

Tre punti soprattutto mi preme evidenziare.

Walter Bonatti, opera di Mauro Berlanda

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Primo: rarissimamente accade che il mondo naturale, che rimane “là fuori” nella sua immane e silente presenza, sia avvertito come protagonista quasi principale nelle evocazioni che vengono suscitate dalla morte di una persona. È accaduto, invece, con risalto straordinario, nel caso di Bonatti, che, nella sua improvvisa, e per certi versi ancora immatura, scomparsa, nel vuoto che si avverte interiormente in noi a fronte della sua morte, le “sue” montagne emergessero come protagoniste anche nel momento dell’addio, nella loro “grandezza” più “intatta”, con tutta la pregnanza di significato e di valore che tale natura suscita.

Quelle “sue” montagne sono state da lui esaltate con il più profondo rispetto della loro trascendenza e, nello stesso tempo, con la più appassionata ricerca di una misura proporzionata con cui l’uomo possa esprimere tutta la propria più naturale capacità d’avventura in esse nell’interpretarne la sfida formale d’arte e di vitalità creativa che esse suscitano. È scaturito da qui, da tale complesso intreccio di tali molteplici valenze nell’approccio alla montagna, uno dei tratti più rilevanti della storia “alpinistica” di Bonatti, cioè il suo diventare propriamente il protagonista di un “mito”.

Bonatti ha compreso e ha sempre vissuto nelle montagne, intatte nella loro “wilderness” l’espressione forse più “grande” della creatività della natura.

Tra le montagne ha vissuto i suoi giorni “grandi” È difficile tradurre in misura appropriata, nello stile del proprio agire, tale comprensione, che si inquieta anche del mistero che si intuisce in tale fascino.

La natura “grande” suscita, infatti, orizzonti “sacri” che si possono vivere adeguatamente soltanto attraverso il “mito”, al limite dell’ineffabile.

Ma il “mito” esige uomini “grandi”, capaci di farsi protagonisti solitarî dell’interpretazione di tale “grandezza”, più che mai viva ed evidente nelle montagne.

Bonatti ci è riuscito e, per tutti noi che avvertia140

mo quel fascino, è stato un “mito”.

Riconoscendo nella storia “alpinistica” di Walter tali tratti “mitici”, riusciamo anche a capire più profondamente nel nostro orizzonte mentale come l’uomo debba portare rispetto all’integrità delle montagne, anche nello “stile” con cui ci si avventura in esse, senza alcun vano, falso e retorico intento di “conquista”, senza alcuna ambizione di auto-esaltazione, ma con schietta, ingenua attenzione a raccogliere la sfida della natura a farsi suoi fedeli interpreti, mettendo in gioco sé stessi per scoprirsi nei proprî limiti e nella propria capacità di andare, di volta in volta, oltre il proprio limite, pure alla scoperta sempre di un nuovo limite.

Grazie, dunque, a Walter, per averci fatto vivere, con tali valenze, nuovi orizzonti del “mito” tra le montagne.

Secondo: le straordinarie gesta compiuta da Bonatti nel salire le montagne vengono solitamente esaltate come uno dei vertici (“records”) di una pratica “sportiva”, l’alpinismo.

Credo che sia dovere cruciale di una testimonianza di pensiero al cospetto della forma d’alpinismo che fu propria di Walter Bonatti, respingere tale concetto meramente “sportivo” del suo “stile” di alpinista.

C’è stato un tempo in cui la tradizione “sportiva” dell’alpinismo è prevalsa, soprattutto nella terra anglosassone, dove è nato originariamente l’associazionismo alpinistico (i “clubs”), ancorché talune figure individuali se ne siano variamente distinte anche allora.

Ma c’è stato un tempo nuovo in cui, di tanto in tanto, sono venute sempre più emergendo prospettive diverse nel farsi interpreti di tale pratica tra le montagne.

Si è così aperto e inaugurato, per chi ha saputo porsi a tale altezza, l’orizzonte di un “altro” alpinismo: l’alpinismo “d’avventura”.

Walter Bonatti è stato un esempio paradigmatico in tale prospettiva, della quale poi si è fatto grande interprete Reinhold Messner, a cui propriamente Walter passò la consegna di tale Annuario 2014

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spirito, nel momento in cui decise di rivolgere la sua passione d’avventura verso altre terre, diverse dalle montagne. È, pertanto, inaccettabile considerare in chiave “sportiva” l’alpinismo di Bonatti.

Non sempre nei suoi meravigliosi racconti d’avventure si è saputo cogliere una sottile, pervasiva, penetrante esercitazione di pensiero, del pensiero dell’avventura.

Mi preme rivendicare a Walter questo tratto di riflessione “filosofica” sul senso dell’avventura, con cui tante volte ci siamo appassionati nei dialoghi che ho avuto la fortuna di poter intrattenere con lui nel suo “giardino” di Dubino, in lunghi esercizi di meditazione comune come fossimo in un “eremo tibetano” (così mi venne spontaneo di dirgli una sera, mentre Walter, avviandosi a rientrare in casa al tramonto, coglieva una rosa da portare a Rossana).

Terzo: solitamente si ritiene non appropriato al momento dedicato al culto della memoria di una persona rinnovare gli aspetti “polemici” della sua vita.

Io credo, tuttavia, che nel caso di Bonatti non possa passarsi sotto silenzio una sua grande impresa, quella che, con grande sua sofferenza, egli realizzò resistendo e insistendo tenacemente nella rivendicazione della giustizia storica nei confronti della salita della spedizione italiana al K2 nel 1954.

Se c’è una cosa che fieramente mi conforta nel mio dolore per la morte di Bonatti è di aver potuto offrire a lui il mio lavoro nella ricostruzione della verità storica di tale, per più aspetti meravigliosa, vicenda alpinistica.

Qui mi preme attestare a Walter Bonatti l’esigenza di un riconoscimento civile a lui di un grande merito proprio per aver intrattenuto quella “polemica” che alla fine ha consentito al CAI, e all’Italia di cui esso è espressione, di ritrovare la dignità della verità.

Proprio per tale motivo ho constatato con amaro rincrescimento e con desolato stupore che il CAI nazionale abbia resistito ostinatamente per più Annuario 2014

di mezzo secolo ad effettuare il riconoscimento “documentale” della “verità storica” sulla vicenda della salita alla vetta del K2.

La grande “resistenza” compiuta a tal fine da Bonatti, propriamente una lotta di grande impegno civico e politico-culturale, non era da lui voluta per rivendicare a sé alcun merito (quali, del resto, gli erano stati attribuiti a livello mondiale da tutti gli alpinisti consapevoli, capaci di comprendere vicende di tal sorta: a tutti era chiaro, chiarissimo, che Bonatti era il più forte di tutti e avrebbe potuto salire anche da solo alla vetta; così come a tutti era chiaro che, senza la straordinaria impresa da lui compiuta, sacrificandosi per la squadra, la spedizione sarebbe rimasta senza successo 1), ma era unicamente rivolta a che fosse pubblicamente rettificato il documento ufficiale redatto a suo tempo da Ardito Desio con gravissima alterazione della verità storica relativa alle fasi conclusive della salita alla vetta. È stata, questa, una lezione di civiltà che Bonatti ha rivolto con passione al “suo “ paese.

Anche in questa impresa è venuto in evidenza, con il prorompente entusiasmo di un giovane, un giovane che fu sempre tale anche nei suoi ultimi anni, quanto Bonatti sia stato non soltanto un grande alpinista, un grande interprete dello spirito d’avventura, ma anche e soprattutto un grande uomo.

Caro Walter, i tuoi “giorni grandi” rimarranno per sempre a memoria umana.

Le tue avventure spirano là in alto nel vento tra le “tue” montagne, la cui luce si leggeva nei tuoi occhi.

Buona fortuna a te, Walter, nel regno del “mistero”.

1 Tutta tale vicenda è stata significativamente ricostruita in tutte le sue valenze da Reinhold Messner nel suo libro (scritto con il contributo di Sandro Filippini), Walter Bonatti. Il fratello che non sapevo di avere, Mondadori Electa, Milano, 2013.

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Pizzo Gallino: una piramide solitaria di Sandro Il Pizzo Gallino è certamente una delle cime più belle e interessanti, per panorama e ambiente, tra quelle che si ergono nella zona meridionale del Gruppo di Brenta.

La sua altezza di 2442 metri ne fa uno splendido balcone da cui ammirare una buona parte di questa grandiosa catena dolomitica.

Il percorso è adatto a tutti coloro che hanno una minima esperienza di percorsi in alta montagna, passo sicuro e resistenza alla fatica; esso non presenta particolari difficoltà se non alcuni passaggi nei pressi della cima, che però sono facilmente superabili da chi è abituato a camminare su terreno roccioso e un po’ impervio.

Naturalmente la salita va evitata in presenza di neve, ghiaccio e anche dopo piogge abbondanti che possono rendere scivolose le placche rocciose dove si snoda la parte finale della salita.

Fine estate e inizio autunno sono i momenti migliori per impegnarsi a percorrere questo ma-

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gnifico itinerario in un entusiasmante percorso ad anello che si svolge su un dislivello di 1250 metri circa e per un tempo totale che va dalle 5 alle 6 ore circa, con andatura normale; i sentieri sono segnalati con i segnavia bianco-rossi S.A.T. e con numerazione e indicazioni evidenti e ben visibili.

Raggiunto il paese di Andalo si sale in automobile fino al maso Pegorar, un gruppo di case poste sopra il paese a m.1053 di altezza, dove si parcheggia in una piazzola sterrata al limite del bosco.

Lasciata l’auto si imbocca il sentiero S.A.T. 301 che sale subito ripidamente tra gli alberi; in breve si raggiunge e si attraversa per due volte una strada forestale e dopo una mezz’ora circa dalla partenza si giunge a un incrocio segnalato, dove si abbandona il 301, che prosegue verso Malga Spora, per imboccare il sentiero 353 che a sinistra sale in costante pendenza.

In breve tempo si raggiunge dapprima Malga Da-

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gnola Bassa e poco dopo il bel balcone prativo di Malga Dagnola Alta a m 1806 di altitudine; qui la vista si apre e il posto invita a una sosta prima di affrontare la parte più impervia della salita.

Ripreso il cammino si sale ripidamente nel bosco fino a raggiungere dopo una ventina di minuti un secondo bivio dove si incrocia il sentiero 352 proveniente da Molveno; si continua a percorrere il 353 che in paesaggio sempre più aperto porta ripidamente fino alla Bocchetta del Gallino a quota m 2130.

Salendo alla Bocchetta si può ammirare verso sud il lago di Molveno, mentre il percorso si snoda ora su terreno aperto fra mughi e roccette mentre la vista abbraccia anche altre cime del Brenta circostanti la nostra bella piramide di roccia, che ora vediamo ergersi sopra di noi.

Raggiunta la Bocchetta, dopo una quarantina di minuti circa dalla Malga, il percorso si fa un po’ più impegnativo, ma con passo tranquillo e un minimo di attenzione si risale senza difficoltà la facile cresta rocciosa sempre ben segnalata che porta alla cima; ora totalmente immersi in uno scenario dolomitico si gode la parte più entusiasmante dell’itinerario che in una mezz’ora circa dalla Bocchetta ci porta alla bella e ampia cima del Pizzo Gallino a quota 2442 metri.

Sulla cima si può comodamente sostare per godere il magnifico panorama circostante in ambiente integro e selvaggio, forse uno dei più bei scenari del Brenta meridionale, dato l’isolamento del Pizzo dalle altre cime che lo attorniano.

Per affrontare la discesa ed il ritorno alla partenza ci sono ora due possibilità: una su sentiero segnato e una senza tracce su terreno erboso. La prima ci porta a ritroso verso la Bocchetta del Gallino dove però non torniamo sul percorso di salita, ma proseguiamo sul sentiero 353 in direzione Malga Spora; il percorso è piuttosto ripido e si svolge su terreno ghiaioso ma non presenta difficoltà.

Si scende fra la parete del Pizzo a sinistra e il Monte Dagnola sulla destra con cammino a zig zag e calando parecchio si costeggia anche la cima del Croz del Giovàn per poi scendere in piano 144

fra larici e abeti.

Giungiamo poi ad un bivio per incrociare il sentiero 301 che si prende a destra in direzione est; dopo una mezz’ora circa dal bivio il sentiero attraversa una breve cengia attrezzata con cordino, un poco esposta ma larga e facilmente percorribile con la necessaria prudenza.

Superata la cengia si scende su strada forestale per incrociare nuovamente il sentiero 353, quello già percorso nella salita alla cima: da qui si prosegue sempre sul 301 nella sua parte già affrontata per la salita, fino a raggiungere in una mezz’ora circa dal bivio, il parcheggio da cui abbiamo iniziato a camminare.

La seconda possibilità di discesa dalla cima è adatta ai camminatori più esperti poiché si svolge nella sua prima parte su terreno non segnato, piuttosto ripido anche se non esposto, ma comunque impegnativo per il fondo erboso che lo contraddistingue.

Dalla vetta si scende verso sud fra erba e roccette senza percorso obbligato ma cercando di individuare i punti di passaggio più facili ed evidenti; la pendenza è ripida ma costante nella sua prima parte, per poi farsi un poco meno erta nella sua parte finale fino a portarci alla Busa dei Lastei, dove con facile discesa agganciamo il sentiero 352 bis che a sinistra ci porta in pochi minuti a congiungerci col 352 e poi con leggera salita al 353 già percorso nell’andata.

Si ridiscende quindi alla malga Dagnola ripercorrendo l’identico itinerario di partenza.

Questa seconda possibilità di discesa è più breve e senz’altro meritevole di essere percorsa ma va assolutamente evitata con terreno anche solo leggermente bagnato, data la scivolosità dell’erba spessa e compatta su cui è necessario camminare.

Questo splendido itinerario va affrontato con condizioni meteo sicure anche a causa della mancanza di ripari lungo il percorso, escludendo il precario riparo di malga Dagnola.

Gli amanti dei grandi spazi e delle montagne più solitarie e selvagge, scopriranno in questo giro una meta imperdibile e ambita.

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Record di tutte le bocchette di Brenta di Omar Oprandi (www.omaroprandi.it) 15.09.1990 RECORD DI TUTTE LE BOCCHETTE DI BRENTA Quando penso a un nuovo concatenamento cerco di immaginare che tipo di percorso fare, in che tempi, quale attrezzatura usare, con chi, ecc?

Tutti concetti che per me assumono un’importanza basilare. Nelle mie iniziative ho sempre rispettato chi mi ha preceduto, cercando anche nelle imprese che hanno fatto la storia dell’alpinismo.

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Bisogna sapere che questo tipo di “imprese” sono iniziate già alla fine dell’ottocento; i nostri alpinisti, spesso impegnati in una specie di gara con Austriaci, Tedeschi e Inglesi, correvano e si inventavano imprese per firmare, ad esempio, le prime ascensioni sulle cime più belle e difficili. Si correva, in modo diverso, certo, ma la voglia di conquista aveva scatenato, già allora, una sorta di agonismo.

Con queste idee in testa ho iniziato fin da piccolo ad unire più di una cima o in questo caso TUT-

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TE LE FERRATE - “BOCCHETTE” - DELLE DOLOMITI DI BRENTA dal Passo Grostè al Rif. XII Apostoli percorrendo in sequenza: - Il sentiero Benini: dal Passo del Grostè alla Bocca di Tuchet 51’ - Le Bocchette Alte: dalla Bocca di Tuchet alla Bocca di Armì 51’ - Le Bocchette Centrali: dalla Bocca di Armì alla Bocca di Brenta Rif. Pedrotti 28’ - Il sentiero Brentari: dal Rif. Pedrotti al Rif. Agostini in Val Ambiez 54’ - La Ferrata Castiglioni: Rif. Agostini - Bocca dei Due Denti - Rif. XII Apostoli 37’ Tempi che a me stesso per primo ma anche agli “addetti ai lavori” sembrava quasi impossibile.

Per questo mi ero portato un foglio dove ho raccolto le firme dei turisti - testimoni e dei gestori dei Rifugi che ne testimoniavano il passaggio annotandone l’ora, il luogo e il loro nr di telefono.

Il tutto in 3h 41’, malgrado una forte ed improvvisa nevicata proprio sulle bocchette alte.

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15-16.01.2007 ATTRAVERSATA DI TUTTE LE DOLOMITI DI BRENTA CON LA PERCORRENZA IN PRIMA INVERNALE DI TUTTE LE BOCCHETTE Le montagne si scalano non solo per la conquista ma anche per il piacere e la grande soddisfazione che esse procurano, molte volte mettendo in gioco la propria vita fino ad essere considerati dalle comunità come “I conquistatori dell’ inutile”. Ma è forse proprio questo “inutile” che dà la determinazione e l’energia per raggiungere certi obiettivi.

Il nostro obbiettivo è stato un percorso di circa 60 km di sviluppo, con più di settemila metri di dislivello. Un’attraversata, per me logica, ma molto particolare: partire a Nord del Gruppo di Brenta per arrivare a Sud, concatenando, nel minor tempo possibile, tutti i Sottogruppi e le Ferrate della zona… le famose Bocchette di Brenta che abbiamo superato camminando, arrampicando e confidando nell’uso, per alcuni tratti, di materiale tecnico; il tutto non tralasciando di scalare la vetta principale delle Dolomiti di Brenta: la Cima Tosa 3171 m.

Annuario 2014

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È stata la prima traversata integrale del Brenta d’inverno attraversando tutte le Bocchette, dalla Catena Settentrionale al sottogruppo della Cima di Pratofiorito in un ambiente che ha presentato molte difficoltà: la notte, il ghiaccio, il freddo e le cengie piene di neve con pericolo di slavine e molto altro.

Durante l’attraversata abbiamo oltrepassato: -- la Catena Settentrionale del Brenta attraverso il Sentiero Costanzi, passando per le creste del Sasso Rosso 2645 m, Cima del Vento 2761 m e giungere ai 2894 m della Cima Sassara, punto più alto di questa prima parte, preceduta dal conosciuto Bivacco Bonvecchio 2790 m.

Considerata una delle zone del Brenta più selvagge e difficili; -- la prima parte del Brenta Centrale con il Sentiero Benini che contorna la Cima Grostè, la Cima Falkner e la Cima Sella con la discesa verticale alla Bocca di Tuckett 2648 m; -- la seconda parte del Brenta Centrale con la Cima Brenta 3.150 m che è stata sfiorata percorrendo le Bocchette Alte, oltrepassano anche lo Spallone dei Massodi 2999 m per raggiungere il Rifugio Alimonta a quota 2.580 m. Questo era il nostro obbiettivo della prima giornata. Punto di bivacco all’interno del locale invernale dopo diciotto ore di cammino; -- la vera e propria parte centrale del Brenta, con la risalita della Vedretta degli Sfulmini, verso la Bocca d’Armi, che con i suoi 2.741 m dà iniAnnuario 2014

zio alla Via delle Bocchette Centrali, passando a fianco delle famose pareti degli “Sfulmini”, tra cui quelle del Campanile Alto e Basso, seguendo il fianco della Brenta Alta fino al suo termine; -- la salita alla Cima Tosa affrontata attraverso il Sentiero Brentari e la Via normale. La vetta più alta del Brenta con i suoi 3173 m; -- ritorno sui propri passi fino alla Cengia Garbari e giù in alta Val Ambiez attraverso l’attrezzata Ferrata dell’Ideale fino nei pressi del Rifugio Agostini 2410 m; -- risalire alla base della Cima d’Agola per affrontare la Ferrata Castiglioni che porta alla Bocca dei Due Denti a circa 2850 m che permette di ridiscendere in direzione del Rif Garbari ai XII Apostoli 2489 m. Da qui proseguito fino ai 1596 m di Malga Val Agola e di nuovo giù alla volta della Val Brenta e alla fine della sgaloppata.

Sette zone così importanti e significative, conosciute da tutti gli escursionisti, si può dire d’Europa, collegate in inverno attraverso una Linea Ideale come il nome del nostro Team.

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Palestra di Roccia “Arturo Tamanini” Gruppo Di Brenta - Val D’ambiez - Rifugio Agostini di Ruggero Carli Estate 2013, un’altra stagione meravigliosa, piena di emozioni che mi ha permesso di salire le amate montagne, di continuare a rincorrere quella grande passione che fa parte dei miei idea­ li, che mi aiuta a stare bene e a vedere il creato con un occhio attento e desideroso di scoperte.

Come l’alba, ad esempio, ogni giorno diversa dalla precedente in tutte le sue sfaccettature, nei suoi colori, nella sua luce, nel suo silenzio e nelle sue ombre. Come ha scritto l’alpinista Elio Orlandi nel suo libro “…La fedeltà dell’ombra ci può seguire ovunque si spinga la fantasia, senza creare disturbo con la sua presenza e senza lasciare

Annuario 2014

traccia nella nostra intimità…”.

E di albe in Val d’Ambiez negli ultimi anni ne ho viste parecchie. Il salire alla buonora talvolta ancora con il buio; solo io e Lei, mi permetteva di ascoltare il silenzio, l’acqua del torrente, gli animali notturni, il filo d’aria che scendeva dall’alta valle e intanto avere anche il tempo per sognare e fantasticare. Ma in un contesto di grande magnificenza come questo il tempo passa in fretta, così in fretta che come di consueto alle 07.00, puntuale come sempre, sono al rifugio Agostini da Roberto ed Ignazio che, dopo i doverosi e calorosi saluti da uomini di montagna

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MONTAGNA E AMBIENTE

faccio colazione.

Ma in una di queste mattine ho incontrato gli amici della S.A.T. Sezione di Fiavè che con il gruppo Alpinismo Giovanile avevano passato tre fantastici giorni al rifugio organizzando interessanti uscite. Erano in procinto di fare colazione anche loro per poi, come da programma, portare i giovani ad arrampicare a due passi dal rifugio chiedendomi di aggregarmi a loro. Ho accettato volentieri, e così, proprio da questa occasione mi è nata l’idea di realizzare una palestra per l’arrampicata.

Ritornato al rifugio ne ho parlato con Roberto

che subito ha apprezzato l’idea e successivamente in una delle mie “scorribande” mattutine mi sono organizzato nei minimi dettagli per poter iniziare i lavori nel mese di agosto senza tralasciare nulla. Come ad esempio, di non dimenticare che in questa zona la Scuola di Alpinismo “G. Graffer” è sempre presente con i suoi corsi da oltre vent’anni e che la prima persona a mettere le mani su questa roccia compatta e generosa di appigli è stato l’istruttore Arturo Tamanini purtroppo scomparso da qualche anno.

Per questa ragione la Scuola, diretta da Mauro Loss, ha deciso di dedicargli la palestra di roccia con una giornata commemorativa ponendo una targa in suo ricordo che si terrà nell’estate prossima a fine luglio in concomitanza con il consueto Corso roccia.

In questa occasione ho avuto modo di vivere nuove esperienze di vita a livello umano/sociale per aver potuto “avvicinarmi” alla famiglia Cornella.

Ad esempio, con le vivaci chiacchierate del dopo cena fatte con Roberto e suo padre quando già tutti si erano ritirati spaziando dalla storia del rifugio, alle problematiche della montagna e all’evoluzione in generale dei tempi. Un ringraziamento lo devo anche per aver messo a disposizione tutto il materiale per la realizzazione e l’ospitalità per tutto il periodo che è stato necessario.

Linda nella palestra dedicata ad Arturo Tamanini

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EXCELSIOR! Annuario 2014

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Arturo Tamanini 1946 - 2002 Istruttore di Alpinismo della Scuola Graffer dal 1991, Istruttore Nazionale di Alpinismo dal 1999.

Una persona che sapeva farsi voler bene, una persona con cui era impossibile non ridere e divertirsi. Dotato di ironia fuori dal comune al limite del disarmante, lo si può definire come un Don Quixote dei tempi nostri.

Arrampicatore poliedrico che amava l’esplorazione e soprattutto le placche (leggi Lungo Flash alle Placche Zebrate ed Emozioni sul Brento) e le mitiche scarpette “Mitos” da cui non si separava mai.

Istruttore della Scuola di alpinismo e scialpinismo G. Graffer di Trento fin dal 1991, componente il Direttivo dal 1996 fino alla sua prematura scomparsa nel settembre del 2002. Fu il primo che vide nelle fasce rocciose sotto e sopra il Rifugio Agostini la possibilità di uno sviluppo iniziando, in previsione di un corso estivo di roccia che avrebbe diretto, il loro sviluppo con la conseguente tracciatura di alcuni itinerari.

Nel 1995 con gli allievi lungo le Bocchette. È il secondo da destra

Arturo inginocchiato al centro Annuario 2014

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Loppio: è la volta buona? di Fabio Dal Rì e Paolo Ferrari Aggiornamento (febbraio 2014) sulle ultime novità con riferimento alla Galleria Adige-Garda.

Il ritorno del Lago è stato il primo obbiettivo a lungo perseguito dall’Associazione culturale di Mori “Amanti della Natura per il ripristino del lago di Loppio” attiva sul territorio.

Tra i più convinti promotori merita citare per tutti il Presidente da tanti anni Sergio Dal Rì, che recentemente ci ha lasciato, a cui va il riconoscente e l’affettuoso ricordo di quanti hanno avuto la fortuna di conoscerlo.

Si è speso instancabile e con competenza a promuovere e mantenere viva l’idea, contagiando Soci, appassionati e rappresentanti delle Associazioni ambientalistiche, Amministratori del Comune di Mori e della Provincia di Trento.

Ha sempre creduto che l’obbiettivo non era utopistico ma concretamente a portata di mano. È stato attivo per anni nell’alimentare con il suo entusiasmo e la sua competenza la rete dei volonterosi e di quanti hanno condiviso l’idea di contribuire a risolvere l’affascinante ed importante problema, con il promuovere ogni iniziativa utile allo scopo.

Assiduamente presente ed attivo negli incontri pubblici organizzati dalle Amministrazioni e

Sergio Dal Rì è stato per tanti anni presidente dell’Associazione Amanti della natura per il ripristino del lago di Loppio

fattivamente sensibile ad ogni iniziativa, critico, ma sempre con spirito costruttivo, quando era necessario per le soluzioni tecniche proposte dalla Provincia di Trento alcune delle quali purtroppo, come si è in concreto verificato, non avrebbero potuto avere successo.

Infatti confrontando con lungimiranza i diversi studi elaborati dagli Enti competenti in materia, da tecnici ed esperti sull’argomento specifico all’interno dell’Associazione e i pareri delle Associazioni ambientalistiche, si era convintamente

Alveo. Fenomeni di inquinamento ambientale. Archivio Ivo Cipriani Annuario 2014

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MONTAGNA E AMBIENTE

fatto portavoce sulla soluzione tecnica più attendibile da promuovere e da porre all’attenzione delle Autorità responsabili.

Si è avvalso infatti dei loro autorevoli pareri, non trascurando di interessare i docenti della Facoltà di Ingegneria dell’Università, per sostenere e rendere noto ripetutamente che il ripristino del Lago costante al suo livello naturale avrebbe potuto verificarsi solamente con interventi mirati sulla Galleria Adige-Garda, la cui esecuzione come è ben noto è all’origine del prosciugamento del Lago per lunghi periodi.

Ultimamente ha criticato con lungimirante fermezza il progetto elaborato dai Tecnici della Provincia e messo all’appalto, volto a derivare l’acqua necessaria per il Lago con una galleria drenante di grandi dimensioni o con trivellazioni orizzontali rispetto alla quota del Lago.L’esito di

tale progetto, in via di ultimazione, costituisce la prova tangibile che tali critiche inascoltate avevano fondamento.Ma veniamo ai fatti più recenti in argomento.

Il 12 dicembre 2013 scadeva il termine per le offerte relative all’appalto pubblico dei lavori di risanamento strutturale della volta della Galleria Adige-Garda. Tali lavori appaltati hanno lo scopo di risanare le strutture in cemento armato della Galleria. Una diretta conseguenza è l’annullamento completo o quasi dell’attuale effetto di emungizione, da parte della Galleria, dell’acqua di falda. La falda potrà così risalire ai livelli originari e, auspicabilmente, riformare il Lago in modo naturale e definitivo. Attualmente, febbraio 2014, in occasione del lungo periodo di piogge intense del tutto eccezionale, ( sono ben note le alluvioni in molte zone d’Italia), il livello del Lago è salito di molto pur senza raggiungere quello naturale originario.

Insegna l’esperienza che trascorso tale periodo transitorio, come le altre volte il Lago ritornerà asciutto. Per quanto riguarda allo stato attuale è in corso l’istruttoria per il controllo della validità delle offerte presentate dalle Imprese che hanno partecipato alla gara. Successivamente verrà instaurata una Commissione tecnica specifica che valuterà le offerte sulla base dei requisiti tecnici richiesti dal bando di appalto. Questi i criteri per la valutazione: offerta tecnica, programma dei tempi da impiegare per i lavori, congruità del

Il lago. Situazione transitoria. Archivio Walter Zancanella

Il lago. Situazione transitoria. Archivio Ivo Cipriani

Galleria Adige-Garda. Alcuni getti d’acqua visibili dall’interno. Archivio Paolo Ferrari

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Annuario 2014

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Il lago. Situazione transitoria. Archivio Ivo Cipriani

Il lago. Situazione transitoria. Archivio Ivo Cipriani

tempo necessario per smobilizzare il cantiere in caso di emergenza ed apertura della Galleria, conduzione del cantiere, scelte per la sicurezza, sistema di intercettazione delle acque di scarico nel Garda, ribasso percentuale dell’offerta economica. L’importo complessiva dei lavori è di novemilioni e 21 mila Euro oltre all’ IVA. Con l’assegnazione dei lavori all’Impresa aggiudicataria si apre un nuovo corso per le prospettive di ripristino del livello del Lago. Non c’è che da attendere e sperare ragionevolmente che questa sia la volta buona. Il corso degli eventi di cui si tratta è la prova tangibile che le buone idee non tramontano, anzi sopravvivono alle persone che le hanno sostenute e difese con costanza e dedizione, anche in periodi difficili. La estesa documentazione fotografica qui riportata illustra lo stato transitorio del Lago nei giorni di eccezionali apporti provenienti dalle falde acquifere in occasione di piogge intense e prolungate, di veri e propri fenomeni alluvionali. Le fotografie rendono un’idea molto approssimativa di come sarà stabilmente il Lago una volta ultimati per bene i nuovi futuri lavori sulla Galleria Adige-Garda.

Infatti, se si vuole ripristinare compiutamente l’ambiente naturale del sito, si ritiene che l’alveo e le rive dovrebbero anche essere ripuliti dalla vegetazione infestante e disordinata cresciuta a partire dal 1958 in poi, (in parte anche con ciclo esaurito), la quale ha alterato sensibilmente le condizioni originali del Lago. Inoltre alcuni

luoghi dell’alveo, facilmente accessibili con autoveicoli, dove sono stati riversati rifiuti di dubbia provenienza, dovranno essere bonificati a fondo con interventi mirati di risanamento. (Vedi foto).

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Riva del Garda, 21.02.2014 Riferimenti: Annuari SAT Riva del Garda: 2012 “Loppio: si può recuperare il Lago?” pagg.

163-178; 2013 “Lago di Loppio, stato avanzamento lavori” pagg. 127-129.

Documentazioni fotografiche: Archivi Ivo Cipriani; Paolo Ferrari; Walter Zancanella.

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Biosfera Unesco “Alpi Ledrensi e Judicaria” un salto di qualità per le nostre valli di Roberto Bombarda Dal 26 giugno 2009 le Dolomiti (nove siti seriali) sono state iscritte nella lista dei Beni ambientali del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, grazie alla loro bellezza e unità paesaggistica e all’importanza scientifica a livello geologico e geomorfologico. Le Dolomiti sono dunque, non solo per noi trentini, tra le montagne più belle del mondo.

Due anni dopo, il 27 giugno 2011, anche gli insediamenti palafitticoli di Fiavè e Molina di Ledro sono stati dichiarati Patrimonio dell’Umanità nella lista dei Beni culturali, parte di una candidatura che comprende altri 109 antichi insediamenti delle Alpi giudicati di elevato valore scientifico tra gli oltre mille conosciuti.

Oltre al “riconoscimento” di Patrimonio dell’Umanità, assegnato appunto alle Dolomiti ed alle palafitte di Fiavé e di Ledro, l’UNESCO può assegnare anche la qualifica internazionale di “Riserva della Biosfera” per la conservazione e la protezione dell’ambiente, nell’ambito del programma sull’Uomo e la biosfera “MAB” (Man and Biosphere). Le riserve della biosfera sono aree

Lungo il sentiero Palmieri Cima Tosa e Cima Margherita Annuario 2014

Palafitte Fiavé

di ecosistemi terrestri, costieri e marini in cui, attraverso un’appropriata gestione del territorio, si associa la conservazione dell’ecosistema e la sua biodiversità con l’utilizzo sostenibile delle risorse naturali a beneficio delle comunità locali. Ciò comprende attività di ricerca, controllo, educazione e formazione. Nei casi, come in Trentino, dove il termine “riserva” abbia già un significato giuridico preciso (ad esempio “Riserve naturali”, “Reti di riserve”, ecc.) può essere utilizzata una denominazione più adatta a dimostrare le qualità del territorio e più gradita alle popolazioni residenti.

E quella di “Riserva della Biosfera” potrebbe diventare una denominazione familiare anche in Trentino, visto che il territorio dell’Ecomuseo della Judicaria “Dalle Dolomiti al Garda” accanto a quello della Rete di riserve delle Alpi Ledrensi si sta candidando per questo nuovo prestigioso riconoscimento mondiale.

“Biosfera UNESCO Alpi Ledrensi e Judicaria” è dunque il nome che potrebbe in futuro caratterizzare il territorio dal lago alla vetta principale del Gruppo di Brenta. Non un vincolo ulteriore, 157

MONTAGNA E AMBIENTE

ma un “premio” dell’UNESCO per quello che le generazioni passate e presenti hanno saputo fare in questo territorio ed uno stimolo a proseguire e ad essere da esempio anche per altre aree, non solo in Italia.

Dai 3173 metri della vedretta sommitale della Cima Tosa, massima elevazione delle Dolomiti di Brenta, ai 70 metri delle acque del Lago di Garda, intercorrono in linea d’aria meno di 30 chilometri, che offrono una ricchezza di ambienti naturali e di paesaggi rara a livello alpino ed internazionale. Un territorio abitato permanentemente da migliaia di anni, come testimoniano i villaggi su palafitte di Fiavé e di Ledro ma anche numerosi altri tesori storicoarcheologici. Le variazioni climatiche in un così ristretto intervallo comportano eccezionali presenze botaniche e faunistiche, ma anche originali utilizzi umani delle risorse del territorio. Sono presenti riserve naturali (SIC/ ZPS), la cascata del Varone, il lago di Tenno, la fonte termale di Comano, il tratto centrale del fiume Sarca, con le forre del Limarò e di Ponte Pià. Inoltre, terrazzamenti agricoli secolari, coltivazioni tipiche come i marroni di Pranzo, le noci del Bleggio, le patate, la vite e l’olivo, che qui sfiora la massima latitudine mondiale, il 46° parallelo. Ma anche attività agricole e zootecniche più recenti, per le quali sono in corso riconoscimenti e marchi di qualità. E poi innumerevoli beni culturali, castelli e fortificazioni, chiese e palazzi.

Questo territorio, comprendente le Giudicarie esteriori ed il Tennese - ovvero l’Ecomuseo della Judicaria “Dalle Dolomiti al Garda” - e

Bleggio Superiore Le Giudicarie Esteriori

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Lago e cima Tofino m 2153

che nella parte settentrionale coinvolge una parte del Parco naturale Adamello-Brenta, con la Val di Ledro, con i contigui territori montani del Comune di Riva (a monte della frazione di Campi) e di Storo e Baitoni in Valle del Chiese potrebbe essere una nuova “Riserva della Biosfera dell’UNESCO”. Una proposta che è partita dal territorio ma che è stata prontamente accolta dal Consiglio provinciale, il quale ha approvato all’unanimità nella primavera dello scorso anno un impegno in questa direzione e dalla Giunta provinciale, all’epoca guidata dal presidente Alberto Pacher.

Dopo questo atto ufficiale sono seguiti numerosi incontri politici e tecnici, tra i quali due passaggi fondamentali presso il Comitato nazionale per il Programma MAB UNESCO, costituito presso il Ministero dell’Ambiente a Roma, e presso la sede mondiale UNESCO a Parigi, con i vertici del programma.

L’eventuale nuova “Riserva della Biosfera” tra le Dolomiti di Brenta ed il Lago di Garda potrebbe dunque includere sia il bene naturale dolomitico, sia i due beni culturali palafitticoli.

Ad oggi le Riserve della Biosfera riconosciute dall’UNESCO nel mondo sono poco più di 600, solo 9 delle quali in Italia (l’ultima è quella del Monviso) e non ve ne sono per ora in Trentino Alto-Adige, nemmeno parzialmente.

Il coinvolgimento dell’area protetta di Tremalzo/ Annuario 2014

MONTAGNA E AMBIENTE

Museo delle palafitte Ledro

Tombea completa il corridoio di collegamento tra il Parco dell’Alto-Garda (Regione Lombardia), confinante con l’area protetta trentina, ed il Parco Adamello-Brenta/Geopark, il quale è a sua volta collegato con il Parco dell’Adamello lombardo e con il Parco nazionale dello Stelvio e poi su fino al Parco nazionale dell’Engadina.

Caratteri distintivi della nuova Biosfera-Unesco sono pure l’attività secolare degli usi civici, l’uso sociale dei beni ambientali come l’acqua ed il bosco e la diffusione del movimento cooperativo, qui nato alla fine dell’800.

Il dossier di candidatura è stato sottoposto nell’estate dello scorso anno all’analisi di tutti i Consigli comunali dei Comuni di Comano Terme, Bleggio Superiore, Fiavé, Dorsino, San Lorenzo in Banale, Stenico, Tenno, Riva del Garda, Ledro, Storo, Bondone, alle Comunità di Valle delle Giudicarie e dell’Alto Garda e Ledro, ai BIM del Sarca e del Chiese, alle Apt del Garda trentino e delle Terme di Comano ed al Consorzio delle Pro Loco di Ledro. La candidatura, che gode del sostegno di musei, centri di ricerca, di molte associazioni locali e provinciali è stata presentata il 30 settembre 2013 dagli Enti locali trentini (capofila il Comune di Comano e la Provincia) al Ministero dell’Ambiente presso il quale opera il Comitato nazionale per il Programma MAB-UNESCO, che l’ha trasmessa alla sede UNESCO di Parigi.

In attesa del riconoscimento, i Comuni e tutti gli altri soggetti locali - dal Parco al BIM, dalle organizzazioni turistiche agli istituti di ricerca, dalle associazioni agli imprenditori - sviluppano ed iniziano ad implementare il progetto per la gestione della riserva, con gli impegni che dovranno essere assunti da ciascuno per poterla attuare.

Tut fa brodo di Mirco Moro Quando no so che far me meto a sbisegar Co le forcele de na moto ho fat en tacapani e co le rege del parafango na mensola per i sugamani.

Se te pensi te ghe riesi e è vegnu fora na lampada

Annuario 2014

co la bocia dei pesi.

Da na finestra scasada a far en spegio lè stada na monada.

Qualchedum i ma dit che l'è riciclagio ma mi ala meno pegio me som rangià con quel che gavevo en ca'...

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Riva di Stefano Cominotti Riva postada ‘n zima al lac de Garda coi todeschi che ‘n po’ i la compra ‘n po’ i la varda, el Bastiom, Santa Barbara, la Rocheta ah!, Riva, quando se neva en bicicleta!

Riva che se lustra a primavera che d’istà se pol star fora anca la sera, Riva d’inverno, quatro pori cristi Riva d’agosto, pestolada dai turisti.

Riva i sò alberghi, n’esercito de coghi e varda quanta zent stasera per i foghi!

Riva sempre quela, epure diferente Riva, che la ne ha viste pasar tante.

Riva che la vive, tuti i dì co la sò zent, Riva che par quasi no ghe ne frega nient, Riva che ogni tant la zuga a far la granda e dopo la ga rispèt, come fusse n’educanda, Riva, contrade, taolini, na vedrina, Riva na barca, sul lac, la domenega matina Riva...

Ma che bela cartolina!

La nèf di Stefano Cominotti L’era arivada, ancor ieri sera quasi en scondom, lizèra lizèra, l’ha scominzià sui cròzi e sui pini, per dopo arivar sui querti e camini.

E la matina, col sol sule greste na procesiom de òci e de teste de pòpi n’sognadi da drio le finestre, che i scalpita, i urla, chei tira le veste per nar zò nel prà, a farghe le feste.

La nèf che la smorza zò tuti i rumori, no gh’è pù gazèr, ne ciàss, nè clamori, financa la zènt,la parla pù piam, ...par quasi se pòda scoltar i penseri.

Tanti i se ferma, anca sol en moment perchè i sente n’de l’aria, qualcòs de content, forse che i senta, le ridae de ieri de n’temp senza bèghe e catìvi penseri.

Mi no capisso, quei che ghe vol mal l’è zènt che no ride gnanca l’dì de Nadal, l’è zènt che oramai l’è sorda tra i sordi, l’anima quasi quertada dai soldi.

L’è zènt che la gà paura a morir, e gnànca la nèf la podrà mai cambiar.

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Annuario 2014

FERMARE LE EMOZIONI

Fermare le emozioni

Paolo Liserre

Paolo Liserre Annuario 2014

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FERMARE LE EMOZIONI

La curiositĂ ha prevalso sulla paura di Roberto Angiolini

Monte S. Martino di Edoardo Nicolini

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FERMARE LE EMOZIONI

Paolo Liserre

Suoni delle Dolomiti ai pian delle Fuciade, agosto 2013 di Edoardo Nicolini Annuario 2014

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FERMARE LE EMOZIONI

Tuffo di testa nella neve di Edoardo Nicolini

Iguana alle Galapagos di Carlo Zanoni

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CULTURA

Emozioni sotto vetro di Claudio Quinzani La gente non è una massa ma singoli sentimenti in movimento. Eppure quando ti lasci blandire da un messaggio pubblicitario proposto in qualsiasi forma, ti ritrovi ad essere sollecitato in un’emozione: precisamente la stessa per ogni spettatore considerato come massa. Se non fai uno sforzo consapevole per rinunciare all’offerta, finisci per comprare anche tu proprio quella cosa lì che non avresti mai pensato. Semplicemente te la ritrovi nel carrello insieme a tutte le altre cose inutili, senza che tu abbia opposto la men che minima resistenza. «Ma come è possibile?

Proprio io che pensavo di essere immune!». Forse perché tutto quello che passa dal video in qualche modo fa sempre breccia, anche se sembra che nessuno lo guardi.

Probabilmente i famosi consigli per gli acquisti continuano a funzionare perché mirano all’essenziale. Il desiderio mascherato da finto bisogno per quel determinato prodotto sembra essere talmente necessario, che sarebbe quasi impossibile scegliere di rinunciarvi.

In un’unica pangea di subitanei e turbinosi «affetti/sentimenti/amicizie» ognuno sembra sapere di te l’identica cosa che tu pensi di sapere di lui.

Gli scambi culturali si fanno sempre più rapidi attraverso immagini da cliccare per identificare a colpo d’occhio il profilo di una persona che naturalmente non sarà mai lo stesso negli anni.

Cominciano ad intravedersi negli annunci funebri foto in linea con il linguaggio virtuale: dove uno stesso individuo avanti con l’età è ritratto in più fasi della vita.

Attraverso un pollice verso o alzato si continua a scegliere con lo stesso gesto che un tempo costituiva la decisione finale sulla vita di un uomo agli spettacoli dei gladiatori; anche se la diatriba sull’esatto significato del segnale è ancora aperta.

Annuario 2014

Continuiamo ad interagire con uno schermo tra una commissione e l’altra, tra una portata e quella successiva, camminando, attraversando la strada, pedalando su due ruote, preparando il pranzo; forse anche compiendo altre funzioni necessarie ben condensate ironicamente da quello spot pubblicitario che descrive l’utilità di un certo tipo di carta insostituibile dal tablet che ne rappresenta l’immagine, per quanto perfetta e ben riprodotta essa possa essere.

Il subitaneo avvicendarsi di fatti e realtà opposte, spesso contornato da desideri e mete incongrue, si staglia inesorabile: i luoghi di villeggiatura sono gli stessi dove si consumano tragedie epocali. Sintomatica la pubblicità dell’uomo che sistema un quadretto dozzinale lungo le scale di casa e appena uscito si ritrova in mezzo ad una guerra armata.

Il messaggio a contenuto breve torna nuovamente ad essere considerato: non è possibile sfuggire alla regola del paragone con i trenta secondi (ormai anche solo dieci o quindici) che descrivono e invogliano a comprare. Molti della generazione carosello è più facile che ricordino uno slogan piuttosto che la data precisa di un avvenimento storico.

La propaganda ti lambisce lo stomaco per trattenerti il cuore dalla parte del portafogli: è una vecchia matrona che sfila via sinuosa ostentando l’abitino di pixel gonfiato e sempre in vista. A volte sembra tracimare oltre lo schermo in un insolito blob gelatinoso e variopinto sempre più invadente, presente, obnubilante.

Ho esordito dicendo che la gente non è costituita da una massa ma da singoli sentimenti in movimento e questa è un’asserzione positiva e rinfrancante. Se riusciamo a considerarci singoli individui in grado di pensare con la nostra testa, 165

CULTURA

L’affittasfizi di Caterina Bianchetti (tratto da tra5e10cm.it)

senza illuderci di riuscirci non appena ce lo fanno notare ma continuando ad esserne consapevoli in ogni momento; forse riusciremo ancora a scegliere per davvero.

Reinventiamo le emozioni, lasciamole vincere in modo più diretto e ravvicinato, senza farcele rubare in forma subliminale. Non confiniamole in spazi ridotti a pochi secondi ma riscopriamole ogni momento nell’andatura minima 166

delle nostre giornate poco eclatanti: molto normali. Potremmo ritrovarci orgogliosi di non aver ancora cambiato telefonino, forse immersi nella lettura di un buon libro indossando il nostro vestito preferito di qualche moda fa, magari percorrendo con un amico facili sentieri di montagna; ma soprattutto ci accorgeremmo finalmente di non giudicare più nessuno al primo impatto. A volte non basta neppure la vita intera per capire noi stessi, figuriamoci il famoso prossimo che possiamo decifrare solo interpretando deboli contorni esteriori.

Ogni nostra parola potrebbe essere essenzialmente levigata e cesellata pur conservando la sua originale spontaneità; potremmo vivere daccapo emozioni nostre che si respirano senza riconoscerle, perché non ancora codificate da alcuna realtà mediatica. Un sogno: essere noi stessi in una società di cloni che si ostina a cambiare le scene mescolandole tra loro per non accettare le sembianze e il fascino del silenzio.

Sembra quasi che se stiamo zitti in un luogo non dicendo nulla se non abbiamo niente da dire, finiamo per creare perfino imbarazzo e malumore.

Le parole, le belle parole sono ancora necessarie a questo mondo. L’impatto dello scritto sulla Annuario 2014

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carta, pur se deciso e con poche attenuanti, è meno diretto e sicuramente più sfrondato da eventuali distrazioni dovute alla mediazione di una telecamera. Spesso scegliamo inconsapevoli: solo in base all’emozione che ci trasmette chi sta parlando senza ascoltare realmente quello che dice. Decidiamo se spegnere o cambiare, se concordare o dissentire; ma in un mondo dove ognuno che parla pubblicamente ha imparato ad arte come dire e cosa fare, siamo sicuri di riuscire ancora a distinguere i sentimenti di chi ci sta davanti?

Probabilmente in questo momento storico il confine tra realtà e finzione coincide inesorabile: non c’è più alcuna differenza. Lo stesso magma denso ed emozionale pervade ovunque: il fantomatico blob ingloba e trasforma ogni cosa. Se ci trovassimo davvero alla summa della finzione del vivere quotidiano, proprio ad un passo dal baratro?

C’è uno zoo non molto lontano dal Trentino, ribattezzato con l’eufemismo di parco faunistico, dove convivono tanti animali rari in gabbie ed altri in due lunghe stanze. Alcuni animali comunque in gabbia ma vivi, sono riproposti in versione differente all’interno delle sale: imbalsamati in una collezione perfetta e maniacale con nome latino e volgare sull’etichetta. Le stanze te le trovi davanti all’improvviso, non te le aspetti.

Ci resti male: non riesci più a distinguere dove sei realmente.

Nel parco c’è anche un vecchio distributore di gomme da masticare riadattato ad elargitore di emozioni. Da bambino hai mai provato il desiderio di farti leccare il palmo della mano da una capra? Il vecchio distributore è stato adottato a placido dispensatore di sale per capre tibetane a venti centesimi la manciata. L’emozione tattile funziona alla grande: il simile che distribuisce mangime per pesci è sempre pieno, mentre il nostro ha sempre bisogno di essere rifornito.

La mia considerazione risale a qualche anno fa: ora non sono in grado di verificare se esista ancora e se le condizioni generali del parco siano Annuario 2014

differenti; certo non oso pensare al fegato delle povere tibetane! Al di là della questione però, il padrone del parco che protegge le specie rare è lo stesso che le colleziona e le raccoglie morte nelle teche trasparenti. Che sia lo zoo il problema?

La stessa cosa si verifica nello zoo sotto vetro che fa bella mostra di sé nelle nostre case, magari in gabbie trasparenti ed ultrapiatte di ultima generazione. Un caro amico che ha lavorato per alcuni anni come cameraman in un noto gruppo mediatico, ricorda spesso di quando tornava a casa dopo diverse ore di lavoro e anche se non voleva, finiva per vomitare. Stava male al punto che ha deciso di cambiare mestiere, nonostante l’apparente sicurezza economica. Lui era semplicemente l’operatore numero […], il nome era un optional. Quando succedeva che qualcuno raccontando la sua personale esperienza piangesse, dalla cabina di regia gli gridavano in cuffia a voce bassa: «Numero […], resta su [epiteto non riportabile] che finalmente piange! Zuma, zuma, dài: fai un bel primo piano su [ulteriore insulto che non mi sento di scrivere]».

Sarà per questo che non riesco ad amare la televisione e perciò sono condannato mio malgrado a ritrovarmela davanti sempre accesa in qualunque posto vada?

Vorrei concludere con le parole di qualcuno che già molti anni addietro parlando del potere di questo mezzo aveva saputo vedere davvero lontano. Trascrivo la citazione ascoltando la registrazione originale: la scelta della punteggiatura rispetta le pause e i silenzi dell’autore. «[…] La ferocia era terribile e all’antica. I campi di concentramento dell’URSS, le schiavitù nelle democrazie orientali, l’Algeria; questa ferocia all’antica naturalmente permane ma, oltre a questa vecchia ferocia, c’è la nuova ferocia che consiste nei nuovi strumenti del Potere: una ferocia così ambigua, ineffabile; abile, da far sì che ben poco di buono resti in ciò che cade sotto la sua sfera. Lo dico sinceramente: non considero niente di più feroce della banalissima televisione. […]». Pier Paolo Pasolini 167

...a ricordo di nostro padre Emilio Gentilini...

Bruno ed Ivo

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Funzione dell’uomo sulla terra: ricerca di elevazione di Alessandro Gogna L’umanità, nel corso della sua esistenza, non ha ancora saputo dare una risposta definitiva alla domanda “da dove viene l’universo, da dove veniamo noi?”. L’interrogativo è stato continuo nei secoli ed è tuttora assai incalzante, ma neppure le più avanzate teorie sul big bang né le fedi più intuitive e illuminate hanno potuto rispondergli senza dare spazio ai dubbi più disparati.

Se non sappiamo chi siamo e da dove veniamo, ancora più nebulosa è la definizione del nostro obiettivo finale, sia come individui che come umanità.

Su questo punto, l’unica grande certezza che abbiamo è la nostra curiosità. Da secoli filosofie e religioni si affannano a ipotizzare quella che è la nostra “funzione”, dando per scontato che la “funzione” nobiliti la nostra esistenza. Davvero, non molleremo mai.

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Non ci accontentiamo di sapere che un oggetto esiste, dobbiamo fare ipotesi sulla sua funzione.

L’oggetto è nobilitato se serve a qualcosa. La funzione in definitiva è l’ascesi stessa, l’elevazione necessaria a chi come noi si sente sperduto nell’universo.

Lo sviluppo delle moderne teorie psicologiche ha dato un ulteriore contributo alla già enorme mole di concetti ed emozioni che si agita in noi come massa caotica.

L’umanità a suo modo si sente un po’ prigioniera nel suo ristretto ambito di “fruitrice” della Terra.

Le menti migliori non cessano di vedere il futuro dell’umanità in chiave miglioristica ed elevata. È stato merito della psicologia analitica junghiana se si è capito che l’elevazione dell’individuo passa attraverso la discesa agli inferi dei suoi propri contenuti inconsci, quindi attraverso il riconoscimento degli stessi suoi mondi “infernali” e profondi: quelli che, una volta riconosciuti e pienamente accettati, ci trasformano in esseri più completi.

Carl Gustav Jung chiamò questo sviluppo individuale “processo d’individuazione”, un iter faticoso che a ben vedere ha molto in comune con la meditazione buddista, con l’isolamento ascetico, con la ricerca alchemica del Graal.

Nel secolo XIX in Occidente si affermò la nuova filosofia romantica (unitamente alle varie forme d’arte a essa legate): una visione del mondo che vede contrapposti l’Io e la Natura, Conoscitore e Conosciuto. Ciò portò all’evoluzione del concetto di esplorazione, che da semplice curiosità per il mondo incognito propria dell’antichità evolve a rapporto dualistico con la Natura, specie quella selvaggia. Non ci si accontenta più di 171

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esplorare, ma ci si chiede come si può proteggere la Wilderness dal momento che ce ne siamo innamorati in tal modo.

L’alpinismo è figlio di tale Weltanschauung, è l’attività più limpidamente esplorativa che oggi possiamo praticare. È a tutti evidente come l’alpinismo, in quanto ascensione alla vetta, sia ottimo simbolo di ascesi.

L’idealismo romantico ha infatti e ovviamente riempito di significati il nostro alpinismo, colorandolo di “ascesi”, cioè miglioria, elevazione.

Non si può essere davvero innamorati di qualcuno se non pensando che il rapporto con lui dia luogo a un’elevazione quasi “necessaria”.

Il processo d’individuazione, le cui meccaniche differiscono a seconda dei singoli individui, senza mai formule precise, permette l’allontanamento dalle sbarre della prigione in cui siamo nati. Questo processo ha bisogno d’una meta, altrimenti non è più individuazione ma semplice “fuga”. E qual è la meta dell’individuazione? Nient’altro che l’essere finalmente liberi di essere ciò che siamo.

In questo essere “liberi di essere” è il nostro scopo.

In questo processo l’alpinismo, uno dei tanti modi attivi per perseguire l’elevazione, incontra grandi ostacoli, alcuni evidenti, altri meno.

Le battaglie che occorre condurre per un alpinismo davvero utile alla nostra vera causa sono molte: e la regola fondamentale è che gli ostacoli non vanno semplicemente distrutti o rimossi, vanno “integrati”, proprio come vuole la ricerca analitica del profondo.

La deep ecology (Ecologia del Profondo) del grande filosofo e alpinista norvegese Arne Naess da pochissime decadi ci avverte sul nesso inscindibile tra conservazione della Natura e ricerca nelle nostre profondità tramite l’azione (per esempio quella alpinistica) o tramite il pensiero.

Legame che ci porta diritti alla sensazione di essere finalmente liberi anche se non si è ratificato alcun documento ufficiale che ci spieghi cosa è l’Universo e chi o che cosa ci ha creati.

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Oggi l’ostacolo principale all’elevazione, e quindi alla libertà, è costituito dalla società “sicuritaria”, una società che vorrebbe perseguire il massimo della sicurezza per tutti spacciando la “sicurezza integrale” come l’unico modo civile di vivere.

Una società siffatta nega l’elementare diritto all’evoluzione, all’errore individuale, alla ricerca di una libertà che si può manifestare solo se conquistata, non “acquistata”. Una società che, se potesse, censurerebbe Guernica di Pablo Picasso perché pericoloso per la psiche o il Quarto Stato di Giuseppe Pelizza da Volpedo perché “minaccia all’ordine pubblico”. Una società che avalla l’Indice della Chiesa, più o meno coscientemente liberticida.

L’asservimento alla sicurezza fornita da altri o da altro da sé è un adagiarsi nelle mollezze del consumismo, un’abdicazione dalla ragione, una pigrizia che ci allontana dalla ricerca intellettuale, ma anche e soprattutto dall’azione e dalla presa di responsabilità di fronte a ogni genere di pericolo.

Come può esserci elevazione senza la sfida all’ignoto delle proprie debolezze o senza il seducente incontro con il Creato selvaggio? Come può esserci processo d’individuazione se tutti attorno a te ti sussurrano o ti ordinano di stare tranquillo e di goderti la vita così come è?

Nel momento in cui decido di compiere un’azione potenzialmente pericolosa per me o per i miei compagni devo prima di tutto essere certo che la mia sicurezza derivi da sensazioni interiori, non da attrezzature o tecniche e tecnologie. Queste devono svolgere un ruolo soltanto secondario, anche se non marginale.

Se, prima di iniziare l’azione, ci esaminiamo a fondo e scopriamo di non essere pronti, meglio rinunciare; ma se siamo pronti, allora è bene partire senza indugi, pieni di quella auto-responsabilità che ci permette di essere una sola unità con l’ambiente selvaggio. Il vero rapporto UomoNatura cui alla fine tende il Romanticismo, la libertà ritrovata dell’Uomo, nell’individuazione e nella contemporanea ascesi.

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E il pittore scoprì la montagna di G. Di Vecchia Sant’Anna e della Gioconda di Leonardo, o le tele di pittori veneti come Bassano e Tiziano, o quelle della scuola dei paesaggisti francesi. Il risveglio d’interesse per i monti coincide con il richiamo di Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) ad un riavvicinamento dell’uomo alla natura. I pittori cominciarono a considerare la montagna con i propri occhi, sulla scia dell’interesse primario per essa: in particolare per quell’aspetto scientifico ispirato e sostenuto dall’ Illuminismo e dal Positivismo pragmatico. Le Alpi diventano centro di attenzione da parte delle nuove generazioni di intellettuali: è la passione per la natura intatta e selvaggia che spinge, oltre agli artisti, anche i letterati ad avvicinarsi ai grandi “contrafforti” alpini. Le Alpi sono ormai considerate “luogo dello spirito”. Se Rousseau le aveva trasformate in “fonti dell’umanità”, più tardi Goethe, nel Monte Bianco, avrà modo di ritrovare “l’espressione suprema della natura”.

La nuova immagine modifica anche le vie consolidate del “Grand Tour”. Si aprono così nuovi itinerari come il viaggio autour du Mont Blanc.

Le montagne sono ora il cuore di un percorso pittoresco che affascina i colti viaggiatori. Nel campo figurativo due sono le direzioni in cui si esprime questo cambiamento: quella che vede impegnati topografi e geografi in grandi imprese cartografiche, e quella generata dall’affermarsi di una nuova categoria di bellezza che traduce quell’insieme di attrazione e di repulsione per l’irregolare, che risente ancora dell’influsso di miti e leggende. Così i picchi Caspar Wolf, La Valle Lauenen con il Galtengletscher e il Geltenhorn sono a volte esasperati nella loro Dai grandi movimenti filosofici le profonde influenze esercitate sull’arte figurativa. Che nel XIX secolo, con il Romanticismo, “scoprirà” il fascino delle vette.

La storia della pittura della montagna, che risale alla scoperta delle Alpi, quando esse, nell’ultimo quarto del Settecento, iniziarono ad essere oggetto di studio e osservazione, segue e ricalca soprattutto i grandi movimenti letterari e filosofici che maturarono la propria evoluzione nel XVIII e XIX secolo. Per lungo tempo, infatti, le montagne furono considerate, nell’immaginario collettivo, dimora di animali feroci e mostri fiabeschi, e pertanto non erano né da contemplare, né elemento di ricerca artistica.

Nessuna meraviglia quindi che i pittori ne abbiano dato a lungo un’immagine sintetica, basata su convenzioni. Certamente vi furono eccezioni, come l’ascensione sul Mont Ventoux di Francesco Petrarca nel 1335 e, in pittura, gli acquarelli dei paesaggi montani di Albrecht Dürer, in occasione del suo primo viaggio in Italia nel 1494, o gli sfondi rocciosi della

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verticalità, i ghiacciai minacciosi, nonostante lo sforzo inteso a raggiungere una plausibile oggettività. In un dipinto del pittore svizzero Caspar Wolf (1735-1783, contemporaneo del naturalista De Saussure), che pure non aveva il pittoresco o il sublime come obiettivo estetico della sua opera, si nota la presenza dell’arcobaleno (Paesaggio alpino con arcobaleno, 1778), fenomeno quasi irrepetibile e magico, che sarà uno dei temi dominanti della “pittura romantica”. L’artista, di fronte a questi spettacoli grandiosi della natura, si sentirà «piccolo e inerme»: un approccio, un sentimento, da cui scaturirà quella che sarà chiamata «l’estetica o la poetica del sublime». La montagna sarà un soggetto d’elezione. Le descrizioni emozionate dei letterati troveranno rispondenza nelle tele in cui i pittori cercheranno di rendere le particolarità delle luci e dei colori dell’alta montagna, lo splendore dei ghiacciai sotto il sole, il candore delle nevi, le vertiginose altezze dei picchi, l’oscura profondità dei precipizi, l’ampiezza verdeggiante delle vallate, lo scorrere impetuoso delle acque. Con il Romanticismo, agli inizi dell’Ottocento inizia una nuova epoca che si esprime attraverso la venerazione della natura.

Le montagne incorporano, per l’uomo romantico, e in particolare per il pittore, l’idea dell’eterno di fronte alla caducità temporale di tutto ciò che è umano. In questo periodo, i monti sembrano fatti apposta per incontrarsi con la sensibilità degli artisti; i quadri esprimono l’attrazione verso uno straordinario in cui le montagne appaiono idealmente “cattedrali della terra” e i monti diventano metafora dello spirito. I pittori romantici, alla cui ispirazione si unisce lo slancio passionale e la curiosità scientifica, sono molto attenti allo studio delle masse, delle strutture architettoniche e dei profili geometrici delle cime. Nell’interpretazione romantica della pittura di montagna si distinguono particolarmente i tedeschi, in specie con Caspar David Friedrich, gli inglesi con William Turner e gli svizzeri. Turner (1775-1851) scopre 174

la montagna nel 1802, in occasione di un suo viaggio attraverso le Alpi. Il pittore vi troverà ispirazione per alcune opere come, ad esempio, la Bonneville in Savoia con il Monte Bianco (1802) o La grande cascata di Reichenbac (1804). Turner elabora uno stile personale improntato sugli effetti di luce che devono tradurre nella tela le componenti sovrannaturali intuite nel paesaggio: il mistero delle grandi forze oscure della montagna o la vertigine sull’orlo di un precipizio. I suoi quadri sono paesaggi in cui trionfa la luce ove essa crea il mito di una natura in perpetuo movimento. Friedrich (17741840) è il maggiore pittore romantico tedesco: dedicherà tutta la sua vita alla pittura del paesaggio, che potrà essere definito dello “spirito”.

Nel 1810 è nelle regioni montagnose del Riesengebirge: lo scenario imponente delle montagne lo impressionerà notevolmente. Nel 1825 dipinge il Watzmann: la vetta in cui si intravede la solitaria malinconia dell’immagine. Il quadro sembra trasmettere la sensazione di solenne grandiosità degli edifici antichi della natura e dell’uomo, unita a una suggestione tipica del mondo tenebroso e orrido del Romanticismo. Ma è nella seconda metà dell’Ottocento che la veduta di montagna conosce una grande fortuna, alimentata da cause concomitanti. La prima è l’indiscussa affermazione del Realismo nella pittura dell’Ottocento, con espressioni diversificate nelle scuole di Parigi, Amburgo, Monaco, Vienna. Edward Compton, nato a Londra ma vissuto a Monaco, può essere considerato il “maestro” del Realismo della montagna. Avranno seguito anche pittori come Koller a Monaco, Kock in Tirolo, Alberto Gos in Svizzera e Gustave Courbet in Francia. Entrano in gioco anche le conquiste delle cime alpine e la crescita dell’escursionismo al seguito delle grandi imprese. Come la conquista del Cervino da parte dell’inglese Edward Whymper nel luglio 1865, montagna che John Ruskin definì «il più nobile scoglio dell’Europa». Importanti i resoconti scritti ed illustrati delle ascensioni, Annuario 2014

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che saranno pubblicati sulla stampa: il contributo più grande alla diffusione della conoscenza delle Alpi fu dato con l’uscita di due libri, The Playground of Europe di Leslie Stephen e Italian Alps di Douglas W. Freshfield. La maggior parte di questi autori apparteneva al prestigioso Alpine Club costituito a Londra nel 1859, cui seguirà nel 1863 la fondazione del Club Alpino Italiano per iniziativa di Quintino Sella. In tale contesto merita essere rammentata la Esposizione Nazionale Alpina organizzata nell’ambito della Esposizione Nazionale di Torino del 1884, che fu occasione per esporre anche vedute pittoriche. Così diversi artisti divennero “alpinisti”, salendo in quota per dipingere. Si verifica un cambiamento nei rapporti dell’uomo con la natura che influisce non poco sulla visione e nel modo di dipingere. Se Romanticismo e Realismo avevano considerato la natura con gli occhi dello spirito, ecco che con la nuova epoca si cerca di individuarla attraverso l’azione sui sensi, di captarla nelle sfumature del colore, nel fluire della musica, nella qualità

della luce. I pittori usciranno dai loro studi portando i cavalletti all’aria aperta, nelle alte valli, tra i monti o nei campi soleggiati per contemplare e fissare la dissociazione dei colori, i toni intermedi: nascono così Impressionismo e Divisionismo. Con il primo vi è il superamento simultaneo del “classico” e del “romantico”: vi è avversione per l’arte accademica, disinteresse per il soggetto e preferenza per la natura e il paesaggio. L’orientamento è per un lavoro en plein air, per uno studio delle ombre colorate e dei rapporti tra tinte complementari. Si vuole un contatto più diretto con la natura, teso alla ricerca delle espressioni e delle sensazioni che essa emana con le sue luci, le sue tonalità, le sue metamorfosi. Dal punto di vista della montagna, possiamo dire che i grandi pittori impressionisti francesi sono davvero pigri. Monet, Manet, Renoir dipingono la natura ma soprattutto straordinarie scene di vita mondana. Tra tutti, solo uno si differenzia, Paul Cézanne: nel 1862 egli inizia a dipingere all’aperto, e subito nelle sue tele appare la montagna, quella della

Giovanni Segantini, Trittico della Natura: la Morte, 1898-1899 Annuario 2014

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Provenza. Gli scenari tuttavia non hanno il fascino giocondo delle opere degli impressionisti ed esprimono la forte tensione interiore dell’artista. La montagna, comunque, diviene la protagonista della sua tela, dipinta con colori spessi e viscosi, ed esprime una forza in grado di conciliare e di superare la scissione tra uomo e natura. Il colore ha la forza di sintetizzare il lontano e il vicino, togliendo agli oggetti i loro confini, collegandoli in un contesto di gradazioni cromatiche: così i paesaggi e le montagne risulteranno ben strutturate. Dal villaggio di Gardanne il pittore vede la catena della Montagna Sainte-Victoire: nei diversi quadri ad essa intitolati, l’artista intride il paesaggio del suo stato d’animo e delle sue emozioni, evidenziando i grandi spaccati e la mole del monte, che si erge improvvisa nel centro del dipinto e lo riempie fino al margine in una intensità di colori decisi con una fitta gradazione cromatica. In

Italia, dove ancora si risente di una situazione romantica con il veneziano Francesco Hayez, non mancherà l’influenza e l’affermazione di siffatta nuova esperienza artistica, che maturerà nell’ultimo periodo dell’Ottocento e si svilupperà prevalentemente a Milano e poi a Roma.

La pittura “divisionista”, inaugurata da Giovanni Segantini, denota un’evidente ripercussione del Neoimpressionismo francese e ben presto attrae un discreto numero di artisti, tra cui Gaetano Previati, che alla morte di Segantini ne diverrà la figura trainante. Abbandonata la pittura a impasti, macchie e velature delle precedenti esperienze, i pittori cominciano a sperimentare una tecnica basata sulla scomposizione dei colori nelle loro componenti primarie che, invece di essere mischiate sulla tavolozza, vengono stese sulla tela in un sistema di misuratissimo accostamento di complementari, che affida alla proprietà fisiologica dell’occhio il

Oskar Kokoschka, Dent du Midi, 1909

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compito di integrare le tinte nell’atto percettivo.

I pittori, sulla spinta di quanto fatto da Segantini, risaliranno le vallate alpine in cerca di una solitudine lontana dalla città, assetati di una rinnovata purezza morale. Potranno così avere nuove fonti di ispirazione nell’incorrotto paesaggio alpino, fino a “perdersi” nella contemplazione delle vette e dei ghiacciai, ove la neve dell’alta montagna diviene nuovo simbolo della natura. È comunque Giovanni Segantini il “pennello” che ha saputo dare un’anima alla montagna, rivestendola di spiritualità: tutto è luce nella sua arte, tutto è incrocio di gioia e di dolore nei suoi colori. La natura fu e rimase sempre per il pittore il fulcro dei cambiamenti del suo linguaggio pittorico. Nato ad Arco di Trento nel 1858, egli ebbe una vita dal ritmo irrequieto: il suo vagabondare lo spinse verso la montagna, che divenne la sua più fervida e costante ispiratrice. Dalla pianura lombarda, ove si era trasferito, andrà tra i monti dell’Engadina, in quella Svizzera dove si affermerà e dove si “definì” la sua arte. Le figure, gli ambienti, i colori danno una tale vita alla sua pittura da rilevare l’ansia che si trascina nel suo cuore. Segantini aveva tutte quelle doti di poesia suggestiva indispensabili per immettere nel silenzio delle montagne una vibrazione quasi spirituale che reca gioia, vita, soprattutto “simbolismo”, di cui egli sarà uno dei principali esponenti, l’unico capace di restituire alla montagna quel suo fascino di «luogo di simbolo e di rivelazione». Era il settembre 1899 quando, salendo sul Monte Schafberg per terminare il trittico La vita, la natura, la morte, lo colse un’improvvisa febbre, costringendolo a rifugiarsi in una solitaria e misera capanna ove il suo sguardo attinse agli ultimi sprazzi di luce che la natura alpestre gli avrebbe dato come viatico.

Contemporaneamente all’ultimo periodo dell’Impressionismo e del Divisionismo, si fa strada l’Espressionismo, il cui massimo interprete del paesaggio alpestre è sicuramente lo slavo Oskar Kokoschka. I suoi quadri del Vallese, di Chamonix con il Monte Bianco, del Cervino o Annuario 2014

delle Tre Croci nelle Dolomiti sono una ricerca di espressione coloristica e di trasfigurazione della natura. In Italia, dall’incontro di Giorgio De Chirico con Carlo Carrà, nasce nel 1917 una scuola pittorica chiamata “Metafisica”, a cui aderiranno in forme diverse altri artisti, come Sironi e Casorati; altri ancora, a partire dal 1921, andranno a confluire nel gruppo denominato “Novecento”. Carrà fu anche pittore di montagna: lo troviamo, infatti, impegnato sulle Alpi Apuane, sui rilievi della Valsesia, a Varallo, all’Aprica. Suoi dipinti sono, ad esempio, Paesaggio alpestre, Tramonto sui monti, Case e monti. In questi paesaggi di montagna egli contrappone all’effetto disintegrato su piani multipli dei cubisti, i suoi volumi reintegrati in una sorta di movimento più aperto. Alcuni quadri di Mario Sironi raffiguranti la montagna mettono invece a nudo angosce e abissi della condizione umana, con immagini del tutto aderenti alla sua visione del mondo: tele che appaiono scabre e deserte, dure, quasi folgoranti visioni allucinate alla ricerca del primordiale, ove i colori non possono che adattarsi a questa filosofia con una degradazione cromatica verso il grigio. Il suo linguaggio simbolico trova proprio nella montagna, immobile protagonista stilizzata del paesaggio, un forte tema ispiratore.

Il nostro viaggio può fermarsi con Francesco Casorati, colui che “dipinge la pittura”. Per lui la montagna non è semplice paesaggio, ma è una “meta-montagna” che racconta di se stessa.

L’albero e il monte è uno dei casi: si avverte un bisbiglio, un brusio attraverso cui il paesaggio narra la propria fiaba. La montagna ora rivela echi: ci parla, si parla…

Un mistero, il suo, che giunge sino ai dipinti di Michelangelo Antonioni.

(Per gentile concessione della Redazione del periodico Il Carabiniere da cui è tratto questo articolo uscito a gennaio 2010 nella sezione cultura dell’autore G. Di Vecchia) 177

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Mauro Berlanda di Flavio Moro Durante la rassegna “Mese montagna” che si è svolta a Vezzano nel mese di novembre 2013, ho avuto l’occasione di ritrovarmi immerso nella montagna grazie ad interpreti, ospiti e amici che frequentano l’ambiente montano, ho inoltre potuto cogliere nuove emozioni nell’osservare le opere di Mauro Berlanda, che in quell’occasione esponeva. Voglio così farvi partecipi in qualche modo dei suoi colori e delle sue ombre che vivificano le sue opere fino a sentire l’aria delle grandi cime, e le espressioni di anime che esse tengono prigioniere.

Mauro Berlanda Nasce a Merano (Bz) nel 1950 ove trascorre l’infanzia. Fin dai primi anni di vita è affasci-

nato dal paesaggio alpino. Nel 1966 frequenta a Roma, presso l’istituto Don Orione, il triennio professionale di illustrazione cartellonistica,

Mauro Berlanda Annuario 2014

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L’Ortles

dove apprende le varie tecniche del disegno e della pittura.

Ritornato in Trentino, negli anni ’70 lavora come grafico nell’ufficio pubblicità della Grundig Italia, e successivamente collabora con uno studio privato. Dal 1986 diventa libero professionista specializzandosi nella realizzazione di plastigrafie (disegni panoramici a volo d’uccello impiegati nel settore turistico). Contemporaneamente si dedica alla pittura affascinato dall’acquerello.

Durante solitarie ascensioni tra le montagne coglie luci, ombre e emozioni che fissa in piccoli e delicati acquerelli. Successivamente riprende nel suo atelier immagini, ricordi ed impressioni rielaborando con fantasia l’esperienza vissuta e la trasferisce su tele e tavole di dimensioni più 180

grandi utilizzando una tecnica acrilica, ottenendo così opere di particolare fascino e personalità.

Ammirando i suoi lavori sembra di entrare nell’ambiente rappresentato e respirarne l’aria sottile.

Dal 2000 fa parte dello storico gruppo “Amici dell’arte di Riva del Garda”, ed è socio fondatore dell’associazione di artisti Ledrensi “Encontrarte”.

Al suo attivo numerose le mostre collettive e personali.

Mauro Berlanda vive e lavora a Locca di Concei - 38067 Ledro (Tn) - Tel. 0464 591501 cell.

3491275586 - Indirizzo e-mail: illustratore.grafico.berlanda@hotmail.it - http://mauroberlanda. blogspot.com Annuario 2014

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Hanno scritto: Per l’artista Mauro Berlanda la pittura è la possibilità di volare libero. Sopratutto la pittura di montagna è il luogo prediletto: con il pennello ne segue le ondulazioni, le voragini improvvise, le creste nevose, i picchi avvolti dalle nebbie del tempo.

Ogni opera è creata con la possibilità di offrirsi come luogo della contemplazione dove lo spirito trova una risposta, il fisico l’armonia con il mondo, l’ idea la capacità di estraniarsi dal contesto per essere dentro l’opera stessa.

L’asprezza dei luoghi, la superba bellezza dei panorami, il fascino ammaliante e misterioso di ripide cime innevate spesso celate allo sguardo da passeggeri vapori, suscitano da sempre, nell’animo umano, un irresistibile richiamo.

Colori pieni, luci abbaglianti ed ombre minacciose, il fascino del silenzio, persino l’inconfondibile odore dell’aria pura e cristallina delle alte cime avvolgono l’incredulo osservatore trasportandolo in un mondo fantastico, ispirato dal reale ed immediatamente sublimato in una dimensione di divina eternità dalla felice mano del pittore.

Fiorenzo Degasperi

Nicoletta Tamanini.

Walter scalare se stessi Annuario 2014

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STORIA

Divertimenti e buoncostume nella Riva dell’Ottocento di Ferdinando Martinelli L’uomo ha sempre cercato in ogni tempo di sollevare e distrarre piacevolmente l’animo dalle fatiche e dalle preoccupazioni di ogni giorno. Per questo ha inventato giochi, svaghi, passatempi che servissero appunto a “passare il tempo” ricreando lo spirito. Ogni epoca ha avuto i suoi divertimenti e ogni persona ha sempre avuto a disposizione una grande varietà di scelte nel campo degli esercizi ricreativi sia singoli che collettivi. Ognuno, poi, ha fatto e fa le sue scelte in base ai propri gusti e alle proprie predilezioni, ed è sempre stato attuale, anche in questo campo, l’adagio latino de gustibus non est disputandum, e il vecchio proverbio chi si contenta gode. Senza entrare dunque nel merito del tipo di divertimento, e senza giudicare le scelte di nessuno, vediamo qui di capire come ci si divertiva a Riva intorno alla seconda metà del XIX secolo, attingendo al fascicolo intitolato “Polizia, Buoncostume e Divertimenti pubblici”, dell’archivio storico del comune di Riva, n. 509/20. La fonte archivistica che utilizziamo è tale, per sua natura, che prende in considerazione solo quei tipi di divertimento

che possono sconfinare nella trasgressione, ed esclude i passatempi innocenti. Va anche sottolineato che si tratta di alcuni episodi e circostanze scelti in un breve arco di tempo (1864-1868). Di qui il limite della presente indagine.

Nel 1864 in contrada Montanara, al numero civico 246, era stata allestita dal proprietario della casa, Giuseppe Riccamboni, una sala per dare spettacolo e per serate di ballo. Il 15 gennaio di quell’anno il dr. Filippo Baron Fiorio e Antonio Ferrarini, in qualità di membri della commissione di Ornato, e i periti Carlo Tonini e Giacomo Fambri sono invitati dal podestà Baruffaldi a visitare quella sala sotto il riguardo “della sua sicurezza e buona costruzione”. Sono pervenute infatti delle domande di usarla per varie rappresentazioni.

Infatti Ettore Bonturini, di Venezia, capo comico della sua Drammatica Compagnia, chiede il permesso per 24 recite o rappresentazioni nella nuova sala “nella Casa fu Lucioli in Contrada Montanara”.

A seguito della visita dei periti, al proprietario viene imposto di sistemare nel sottotetto “un recipiente sempre pieno di acqua ed altri mezzi utili a premunirsi dagli incendi”.

L’8 febbraio viene data al sig. Bonturini anche l’autorizzazione a tenere una “pubblica festa da ballo” in maschera dopo la commedia, col prezzo d’ingresso di soldi 30 col patto che vengano osservate le disposizioni di polizia e che il divertimento non si protragga oltre le 5 del mattino.

Riva 1847 Annuario 2014

Il 28 marzo la Pretura concede a Gaetano Salvi 183

STORIA

di Verona di dare nella stessa sala otto rappresentazioni con le marionette.

Il 29 aprile e il 1° maggio al prof. Antonio Grassi viene permesso di prodursi con giochi di prestigio e ventrilocuzione.

La sera del 30 ottobre a certo Carlini viene concesso “di dare una accademia nella sala teatrale”.

Non ci è dato sapere di che tipo di spettacolo si trattasse. Sappiamo però che il pretore invitò il Civico Magistrato a voler garantire l’ordine.

Il 2 novembre è concesso al prestigiatore Francesco Castagnola di prodursi nella sala il 3. 5.

6 novembre.

Il 4 novembre la compagnia di Angelina Cerini è autorizzata a tenere 25 rappresentazioni, a partire dal giorno 5, mentre dal 17 dicembre la compagnia di Romano Trinari è autorizzata a tenere 40 rappresentazioni.

Diamo ora una scorsa al 1865. Al “bettogliere” Raisen viene concesso, in gennaio, di tenere aperto il suo esercizio fino a un’ora dopo lo spettacolo di sala Riccamboni, dietro versamento di 3 fiorini per sera a beneficio della Casa dei Poveri.

Stessa autorizzazione viene data il 17 aprile al trattore Felice Sosi... “durante la prossima produzione dell’opera nel teatro Sociale fino ad un’ora dopo la chiusura dello stesso” (versamento a beneficio del fondo dei poveri).

14 febbraio. In occasione del carnevale si dà licenza di organizzare tre veglioni con maschere in sala G. Riccamboni (chiusura della sala alla 4 del mattino).

Segnalate meretrici presenti in certi alberghi.

“Per paura della sifilide il podestà ordina che vengano visitate dal medico”.

Il civico Cursore Antonio Mazzoldi scrive al podestà: “Ho trovato oggi girovagando per questa città due ragazze, che più volte furono vedute 184

disoccupate, e si crede che siano di una condotta cattiva, e scandalosa... Pel mio dovere le condussi dal Pedrotti (Lorenzo Pedrotti era il custode delle carceri). Vengono e si prostituiscono in sulla sera ed alla mattina all’aria aperta dietro i cespugli, o dietro i muri...”.

12 marzo. Ancora il podestà informa la Pretura: “Corre voce che al Casone Giacometti, alla Porta Castello, presso la Madonnina, vi si accolgano di frequente delle meretrici forestiere, le quali ricercano poi le visite dei dilettanti a simili divertimenti, e quel che è più, seducono anche giovani incauti col pericolo di guastare la loro salute, ed il sentimento morale. Questa voce mi viene oggi confermata da una madre, la quale lamenta che presso la detta Casa si trovino donne forestiere, che oltre aver sedotto il proprio figlio barcaiolo lo distraggono continuamente dal lavoro, e gli tolgono ogni guadagno... Questo giovane è C. G., di Antonio... il quale seco condusse in barca una donna fino a Peschiera, e ora son tornati...”.

20 marzo. Una nota informa che “il 17 aprile verrà qui aperto il nuovo Teatro Sociale con uno spettacolo d’opera. Capocomico Romeo Tirinanzi”.

4 aprile. Suonatori girovaghi... “Si trattengono in questa città più del tempo che viene loro concesso... Qualche compagnia si produce nelle osterie e nei caffè dove si tengono dei balli non autorizzati da alcuna licenza e si protraggono oltre le ore di polizia. Veramente hanno licenza, ma si segnalano questi abusi...”

Ancora: “La musica girovaga della Boemia abusa della tolleranza che le si accorda col fermarsi quivi si può dire dal dicembre sino a Pasqua, col volersi far Carnovale anche della Quaresima... e col tenere ogni sera anche in questa settimana di Passione pubblico ballo in qualche bettola. Il Municipio denuncia la cosa alle Autorità Politiche (Pretura)”.

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20 aprile. Si approva che “per la sorveglianza alla sala Riccamboni durante la produzione delle marionette siano corrisposti ai civici Cursori soldi 20 per sera a carico del marionettista”.

Si segnalano “frequenti casi di ubriachezza, anche molesta... arresti... diffide... disordini in teatro provocati da ubriachi”. “...Ad ora tarda di notte diversi giovinastri girano per la città disturbando con schiamazzi la quiete notturna”.

6 luglio. Il magistrato, di concerto con la direzione del teatro Sociale, stende il seguente regolamento, finalizzato ad evitare gli inconvenienti “che pure di frequente sogliono aver luogo...” È vietato l’ingresso nel Teatro a persone in istato di evidente ubriachezza, ed a quelle che sono vestite in modo affatto sconcio, ed offensivo al rispetto dovuto al pubblico. È pure proibito d’introdurre cani. È proibito di soffermarsi nell’andito d’ingresso, nelle scale o nei corridoi del Teatro in modo da renderne meno agevole la regolazione.

Durante lo spettacolo lo spazio di mezzo esistente fra le due file dei banchi, il quale deve servire per dare accesso ai medesimi, deve essere sgombero.

Ogni sedia o panca che non sia quella riservata ai primi scomparti, col fatto di allontanarsene anche momentaneamente, si perde il diritto acquistato.

Nessuno deve occupare sulle panche più di un posto.

Le sedie chiuse servono ad uso esclusivo di quello cui saranno assegnate, e non possono in nessun modo essere occupate da altri, anche quando fossero lasciate vuote ed aperta.

Gli spettatori seduti nelle panche durante lo spettacolo dovranno rimanere a capo scoperto onde non impedire la vista a quelli posti dietro di loro. È vietato lo scavalcare da una fila di sedie all’altra mentre si dovrà accedere ai medesimi unicamente dalla parte laterale.

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È proibito il fumare tanto nella platea, che nei palchi, nei corridoi, lungo le scale e nel vestibolo, come pure è proibito accendere pipe, zigari, e zolfanelli nell’ingresso del teatro.

Nessuno potrà avere accesso al palcoscenico, quando non vi sia chiamato dal suo ufficio.

Gli applausi eccessivamente rumorosi e prolungati sono vietati.

Sono proibiti i fischi, le grida, gli schiamazzi, che possono turbare il corso della rappresentazione, e levare così il diritto acquisito da ogni spettatore di assistere, pagando l’ingresso, tranquillamente allo spettacolo.

Non sarà tollerato il getto di proiettili di qualunque specie essi siano.

Ogni diverbio che potesse sorgere tra gli spettatori dovrà essere immediatamente segnalato agli organi di pubblica sicurezza.

Coloro che cadranno in contravvenzione alle premesse, potranno senz’altro essere espulsi dal teatro, e contro di essi sarà proceduto ai sensi di legge.

Il 15 agosto c’è un’altra denuncia del podestà alla Pretura: “...Ieri nella trattoria di... si giocava allegramente alla mora durante le sacre funzioni, con scandalo del vicinato”.

L’anno 1866 inizia per il podestà Vincenzo de Lutti con un’ordinanza che stabilisce per le osterie un orario di apertura che non può in alcun caso protrarsi fino oltre “l’ora di polizia”, cioè le sei del mattino.

9 giugno. Viene pubblicato questo avviso: “È fatto divieto di nuotare e bagnarsi ignudi nel lago specialmente di giorno in vicinanza della pubblica strada”. Seguono i nomi di alcuni ragazzi di 12 - 13 anni, denunciati per avere disatteso questo divieto.

19 ottobre. Viene rilasciata concessione di tenere 25 rappresentazioni dell’opera Lucrezia Borgia e Lucia di Lamermoor e di una terza opera ancora 185

STORIA

da destinarsi al teatro Sociale.

23 novembre. Leggiamo: “Il fittaletti Montagni Giacomo detto Batta di Riva è da circa un mese che dà alloggio anzi affitta una camera a certa Hrepp Sofia di Bolzano. Questa, fatta promessa di matrimonio, convive parte del giorno, e della notte, con un sergente dei cannonieri. Tanto si notifica (al Municipio)”.

Un padre dichiara (atto della Pretura): “Mio figlio, mentre giocava, previo permesso del Civico Magistrato, al cosiddetto gioco “del più e meno”, venne costretto dall’I.R. Gendarmeria a smettere quel gioco, e invitato a portarsi con quello presso questa Pretura ove veniva denunciato qual contravventore delle leggi di Polizia”.

Dalla Pretura, che prende atto su dichiarazione di quel padre che sono tollerati giochi come la “tombola”, “età”, “del più e del meno” arriva un ordine al Comune di attenersi alle disposizioni di legge che vietano certi giuochi.

Vengono ancora denunciati suonatori senza permesso nelle osterie.

1868. Inizi dell’anno. Al padre di un ragazzo viene mandato il conto di f. 1,20 per aver rotto un vetro della casa municipale col pallone.

Un’intera contrada sottoscrive una protesta al Podestà per schiamazzi notturni in un’osteria e nei dintorni.

Al Teatro Sociale vengono rappresentati i melodrammi “Maria di Rohan” e “Linda di Chamonix”.

21 febbraio 1868.

Dal Municipio alla Inclita I.R. Pretura: “I molteplici divertimenti, che le drammatiche rappresentazioni, che si avverarono negli ultimi tempi in questa piccola Città provocano da parte del Municipio un voto negativo all’inchiesta, giacché i dispendi forse da qualche famiglia inconsideratamente incontrati ora pur troppo si fanno sentire, ed il Comune non vuole essere 186

causa di creare nuove fonti di spese, che alle volte impellenti circostanze e rapporti di famiglia costringono ad onta dell’impossibilità di affrontare.

Con questa sommessa opinione... Il Podestà Segalla Francesco”.

3 marzo 1868. Firmato dal podestà Comboni viene diffuso il seguente avviso: “L’uso già da anni invalso in questa Città di gridare all’aprirsi della primaverile stagione il così detto trato marzo 1, oltreché il ricordare tempi del medio evo, ora pegli abusi che vi si permettono, e pegli insulti, che si lanciano, è una costumanza assolutamente contraria alla civiltà ed all’attuale sviluppo e progresso.

Trovo perciò di avvertire, che una tale abitudine è del tutto inconveniente e riprovata, e che in ogni ben regolato Comune deve essere d’avvantaggio sofferta.

Onde ovviare ad ogni inconveniente e prevenire qualsiasi più dispiacente esito invito ad astenersene, poiché continuando come nella scorsa sera si dovrebbe ricorrere a tutte quelle misure che indubbiamente saranno necessarie per togliere gli scandali avvenuti e provocarne la punizione dei rei. Vorrà quindi ognuno regolarsi di conformità”.

24 marzo. Note. “Domani sagra nella Villa del Varone. Si dispone l’aumento della vigilanza.

Ieri dopo pranzo alle 5,30 e precisamente quando 1 Il Trato marzo (cioè l’entrata del mese di marzo), è un’antichissima tradizione trentina collegata ad usanze pre-cristiane, che col tempo si legò alla vita sociale delle singole comunità e rappresentò l’occasione per rendere note le unioni affettive del paese. Duravano tre sere: nelle prime due venivano “cantate” coppie di fantasia o impossibili e paradossali (la bella ragazza giovane e il vecchione, una donna anziana con un giovanotto). La terza sera si rendevano di dominio pubblico le coppie reali, che si ritenevano in procinto di sposarsi. Tutto questo suscitava l’indignazione delle persone coinvolte, che spesso chiedevano l’intervento dei carabinieri per zittire il “trato marzo”. La tradizione si venne così, anno dopo anno e poco per volta, spegnendo.

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finite erano le sacre funzioni alla Chiesa delle Monache, passava in quella folla di gente certo Carlo Leonardi sopra un legno [carro] tirato da due cavalli con una velocità straordinaria mettendo spavento a tutta quella gente, la quale appena poté salvare chi la fanciullina, chi il fanciullo strappandoli disperatamente dal pericolo che minacciavano i cavalli, e il legno attaccato”.

Il caso fu giudicato “spaventevole”.

Il colpevole si difese così: “non è mia la colpa… il cavallo s’era un po’ adombrato...”

Io mi feci, con la maggior grazia possibile, vicino a lui pregandolo e facendogli sapere il rigore che esige il pericolo e l’ordine in tal riguardo; egli mi rispose essere anche lui in servizio, e che non può fare a meno”. (dalla relazione di una guardia, 30 marzo 1868)

“Questa notte circa le due e mezza nel Teatro Sociale vi era un I.R. Ufficiale in un camerino che stava seduto a fumare; quando un mormorio si faceva da diversi intervenuti alla festa, venni avvertito che questo ad onta d’essere stato pregato di tralasciare, non essendo permesso, ma bensì proibito, e severamente il fumare, egli non abadò a nissuno.

Riva del Garda, il porto nell’800

Il silenzio fuori ordinanza: suona la tromba di Giuseppe Cattoi La senti suonare e non puoi dimenticare, stai sull’attenti, ti penetra nel cuore e nella mente questo suono di tromba.

In pochi minuti una vita ti passa davanti, crea un brivido lungo la schiena, nelle vene, nella mente e ti fa tremare.

E la senti suonare.

Ti ricordi delle guerre, di quanti sono andati avanti: compagni di naia, d’infanzia, di lavoro, tanti amici, tutti avanti.

E la senti suonare.

Stai sull’attenti per ricordare e continui a tremare.

15 dicembre 2011

Un vecchio alpino.

Dedicata al mio capogruppo Franco Simoncelli del Gruppo Alpini “Monte Zugna” di Lizzana

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38066 Riva del GaRda (TN) - via S.Nazzaro, 2 Tel. Fax. +39 0464 521832 - info@leonicicli.com

DAL MONDO

I saggi del villaggio di Mario Corradini Mi piace definire con questo termine alcuni diversi. Si arricchisce di nuove informazioni, anziani che ho incontrato durante le mie mol- diventa “istruito” e amplifica la sua saggezza. teplici visite in Himalaya. Avvicinandomi alle Per i bambini è solo in nonno del villaggio ma grandi cime, passando per i villaggi sparsi sulle per tutte le altre persone è quello che detiene il loro pendici, ho conosciuto tante persone che potere della critica. È un punto di riferimento. a seconda del posto conducono un’esistenza Forse non più tanto arzillo, magari neanche tutta particolare. Coloro che vivono nei più alti autosufficiente, ma gli anni trascorsi in questi insediamenti, gli “ultimi” segni di vita perma- “posti fuori dal mondo” lo hanno reso saggio. nente prima dell’alta quota, sono persone che Saggio nei confronti delle persone, nei confronti quasi sempre hanno trascorso la loro esistenza della Natura, per quanto riguarda la famiglia, le lottando tenacemente per ricavare dal terreno il nascite e la morte, le stagioni, i raccolti, il Credo. minimo indispensabile per sopravvivere. Questa Quando passo per i villaggi, o meglio ancora gente non ha avuto ne tempo ne occasione per quando mi fermo per trascorrere la notte, mi pial’istruzione. Il “sapere” è quello indispensabile ce contattare le persone, cercare di comunicare per i lavori manuali, quello che si riferisce alla con i più anziani. Non sempre è facile ma alcune vita quotidiana, alle fasi della natura, alle cose volte sono loro ad avvicinarsi, a controllare cosa essenziali. La conoscenza è un “bene” tramanda- fanno i turisti, gli intrusi nel loro territorio. In to oralmente. Non esistono libri o riviste depo- tutti i miei viaggi in Nepal porto sempre qualche sitarie del sapere e comunque nessuna persona, bottiglia di whisky. Serve per disinfettare... per specialmente di una certa età, sarebbe in grado di leggere.

Ecco allora che i vecchi sono spesso il riferimento per attingere consigli e ricordi. Quasi sempre queste persone anziane hanno un comportamento pacato ed è facile intuire che il tempo ha forgiato il loro carattere e il loro modo di fare. Sono radicati al territorio, ricordano tutti gli eventi della loro esistenza ed anche i fatti successi ai loro genitori (bisnonni o trisnonni per le attuali generazioni). Oggi qualcuno riesce a confrontare stili di vita differenti vedendo per esempio stranieri che passano dal suo villaggio. Spesso il “grande vecchio” osserva con sguardo attento i turisti, li analizza, qualche volta cerca di comunicare, riuscendo Mario con il vecchio saggio di Lo Manthang (foto Luciano Maistri) così a conoscere idee e modi di essere Annuario 2014

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DAL MONDO

prevenire infezioni all’apparato gastrointestinale (lo ho imparato dai miei amici polacchi).

Spesso questo alcolico aiuta anche nel rapporto con le persone. Un sorso di whisky, un sorriso e la barriera della diffidenza è superata. Ho trascorso molto tempo parlando (ma si dovrebbe dire comunicando a gesti più che a parole) con alcuni “saggi del villaggio”. È stata un’esperienza favolosa, indimenticabile. Pur rimanendo limitati nella loro grande ignoranza - per quanto riguarda istruzione e avvenimenti nel mondo - detengono una grande esperienza e praticità, qualità indispensabili per poter sopravvivere in posti così ostili e fuori mano, lontani dalla civiltà e da qualsiasi possibile aiuto.

Ricordo per esempio alcuni anziani incontrati durante le due volte che sono stato al Dhaulagiri. Erano i “saggi” dei villaggi di Muri e di Baghar (Bogara). A Muri, il “grande vecchio”

aveva uno sguardo fiero in cui traspariva la saggezza frutto di una vita sofferta, dove soltanto la volontà è stata la forza per la sopravvivenza.

Sicuramente le difficoltà derivanti dal territorio e dall’isolamento lo hanno obbligato ad inventarsi comportamenti e attrezzi non acquisibili tramite istruzione e non acquistabili in negozio.

Il vecchio di Boghar invece, trovandosi ancora più in alto e lontano rispetto al villaggio di Muri, manifestava un comportamento molto più naif.

Era sempre pronto però a dare una mano alle famiglie del remoto villaggio, a elargire uno sdentato sorriso ed a riprendere, con lo sguardo e la voce, l’atteggiamento invadente dei bambini.

Nel villaggio di Sama Gaon, alla testata della valle bagnata dal fiume Buri Gandaki, sotto le pendici del Manaslu e del Pang Phuchi, durante la mia discesa a valle ho incontrato un vecchio che per il suo aspetto esteriore e per il suo sguar-

Il futuro nella valle del Langtang

Il futuro nel Mustang

Il futuro sotto il Manaslu

Il futuro sotto il Dhaulagiri

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do è rimasto impresso in modo indelebile nella mia memoria.

Lo vidi mentre osservavo una giovane madre che allattava il bambino al suo seno sporco e incrostato. L’anziano, vestito di mille rattoppi, scendeva barcollando da una piccola scala in legno. Si sedette sul primo gradino e mi osservò a lungo, ma non con sguardo stupito come quello dei bambini. Probabilmente gli anni e l’ambiente hanno temprato il suo carattere, gli hanno donato serenità. Forse la grande montagna gli ha impresso la forza della natura e certamente lo ha fatto diventare il saggio del villaggio. Camminando per molti giorni fino al grosso centro di Gorkha ho incontrato tanti altri anziani ma solo il vecchio di Sama Gaon occupa un posto privilegiato dei miei ricordi, anche se non ho potuto comunicare con lui in nessun modo.

Nel Mustang invece ricordo con particolare piacere il grande viso bruciato dal sole dell’uomo forse più anziano che vive nel villaggio di Lo Manthang, l’ultimo insediamento posto a 3700 metri, prima del confine con il Tibet.

Questa elevata regione del Nepal che si incunea nell’altopiano tibetano è abitata da gente tibetana, per origine, usi e costumi. Il Mustang è un grande deserto montuoso, uno spettacolare altopiano solcato da profondi canyon, formato da aride e coloratissime montagne, dove le rare zone di vegetazione si trovano in prossimità dei villaggi, vere oasi disperse in alta quota.

Siamo nel deserto del “Lo”.

Un territorio dalla storia antica e avvolta nel mistero. Tangbe, Chele, Geling, Ghami, Tsarang e altri piccoli villaggi distano tra loro diverse ore di cammino ed appaiono come miraggi all’orizzonte. Poi, in fondo, la capitale: Lo Manthang, un centro circondato Annuario 2014

da mura e finora fortunatamente poco cambiato.

Passando nei villaggi ho visto bambini e anziani, ho ascoltato un vecchio Lama mentre recitava le preghiere preparatorie per la grande “puja” l’importante cerimonia religiosa che si svolge nei monasteri ed anche nelle famiglie “agiate” dove si possono permettere la presenza di un monaco.

Il vecchio di Lo Manthang mi ha concesso il suo sguardo e il suo sorriso. Ho fatto alcune foto con lui ed in altre lo ho ritratto da solo, immortalando il suo aspetto ed i suoi vestiti. Ho anche inteso che gli abitanti gli portano rispetto, anche se oggi, qui in questo elevato villaggio, il “sapere” è conservato principalmente nel grande monastero che custodisce importanti e preziosi dipinti e oggetti di culto.

Infine desidero ricordare quello che io ho definito “l’ultimo dei Bhotia”. Si tratta del grande vecchio che vive nel villaggio di Langtang, nell’omonima valle nepalese, sotto le alte pendici del Langtang Lirung, una vetta di 7248 metri vicina al confine con il Tibet Lo ricordo quando nel 2004 lo vidi per la prima volta e, con il suo consenso, scattai alcune fotografie. Anche allora vendeva monili ai turisti, un’attività certamente più redditizia che coltivare

L’anziano del villaggio di Boghar

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la povera terra o portare al pascolo capre e yak.

A quel tempo già traspariva evidente la sua veneranda età e quel corpo, avvolto nel solito logorato e rattoppato vestito, mostrava tutto il peso degli anni.

L’ho rivisto nel novembre 2009. è stato per me un momento di gioia. L’incontro con quest’uomo non solo mi ha riportato immediatamente indietro nel tempo ma il suo viso mi ha di nuovo regalato l’emozione di trovarmi di fronte ad un “grande saggio”.

Forse quest’ultimo vero discendente dei Bhotia non sarà una persona istruita, ma sono certo che la sua lunga esperienza di vita forma un patrimonio di conoscenze e saggezza alle quali sicuramente fanno riferimento tutti gli abitanti di questi alti villaggi.

Ho comunicato con “l’ultimo dei Bhotia” usando semplici vocaboli in lingua inglese, quelle poche parole che indicano soprattutto cifre, indispensabili per contrattare il prezzo dei monili.

Sono stato colpito dai suoi occhi incorniciati in un volto fatto di mille rughe, un viso che manifesta tutta la sua longevità e che i pochi peli bianchi intorno alla bocca e sul mento marcano ancor più i tratti somatici tibetani In Nepal, lentamente, anche i bambini che abitano negli alti villaggi e in zone remote possono accedere all’istruzione, almeno per quanto concerne il saper leggere e scrivere. L’esperienza degli anziani rimane comunque un importante patrimonio di saggezza.

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L’ultimo dei Bhotia, il saggio della valle del Langtang Annuario 2014

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Un’ascesa sui wadi del Mar Morto di Alberto Maganzini La Palestina è divenuta nel corso degli ultimi anni una delle mie mete favorite. Per Palestina intendo indistintamente sia l’Israele ebraica che la Cisgiordania araba. Malgrado gli eventi terribili della storia recente portino a pensare che sia troppo pericoloso visitarla e che vi sia un solco incolmabile fra i due popoli, una volta arrivati lì si capisce quanti stereotipi ci condizionano e quanto in fondo una convivenza pacifica sia molto più prossima di quel che pensiamo. I check point di controllo israeliani sono sempre ragione di notevole stress, ma la situazione attuale può dirsi relativamente tranquilla e le restrizioni per chi viaggia, anche da solo, accettabili. Al di là di tali premesse ciò che inizialmente m’ha convinto è la relativa distanza, tre ore d’aereo dall’Italia, l’esotico ambiente medio orientale, il fascino del deserto, ma soprattutto la storica sacralità dei luoghi, che culmina nella “santa” Gerusalemme.

Città di rara bellezza in cui ogni pietra parla del suo intenso passato, che raccoglie in poche miglia quadrate oltre tremila anni di storia. Dalla torre di David alla via Dolorosa che conduce al Santo Sepolcro, dal monte dell’Ascensione al Getzemani, dal Muro del Pianto alla moschea della Roccia, tutto lì trasuda spiritualità. Pur non potendo dirmi uomo di fede, l’atmosfera che emana da quei luoghi tocca davvero nel pro-

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fondo. Credo che, non solo chi si dica cristiano, ma chiunque abbia interesse a capire un po’ le nostre “radici” occidentali, dovrebbe almeno una volta nella vita visitare questa città e questa terra.

Gerusalemme, Betlemme, la Galilea e Nazareth, il lago di Tiberiade, il Giordano, Eilat e il Sinai, Gerico ed il monte delle tentazioni, e molti altri ancora sono toponimi che anche al più scettico evocano immediatamente la suggestione di luoghi e personaggi dell’antico e nuovo Testamento.

Nessun’altro Paese al mondo possiede una così ampia gamma di siti sacri a tutte e tre le religioni monoteiste (ebraica, cristiana e islamica), raccolti in un’area di poche decine di chilometri. Ma il mio non era solo una sorta di pellegrinaggio, poiché di fatto intendevo anche esplorare, per quanto possibile, monti e siti archeologici vari.

In tal senso il Mar Morto e le zone circostanti sono una meta inevitabile. Forse non tutti sanno che con i suoi 420 metri sotto il livello del mare è questo il punto più basso del pianeta. Le sue acque sono totalmente prive di vita (da cui appunto l’appellativo”morto”) in quanto costituite da un concentrato elevatissimo di sali. I fanghi di cui sono ricche le sponde sono ottimi per tutte le malattie cutanee e respiratorie, ma altamente velenosi e ustionanti. La concentrazione di tali sali permette di galleggiare tranquillamente

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sulle sue acque ed è fantastico poter leggere un libro o un giornale stando a pancia in su senza nuotare. Però basta anche solo vi siate appena fatti la barba o che vi entri un po’ d’acqua negli occhi per avvertire forte bruciore o perdere anche la vista per qualche minuto. Lungo le sue sponde si ergono franose e rosate montagne che somigliano straordinariamente alle nostre cime dolomitiche (l’origine “marina” infatti è la stessa).

Quasi totalmente desertiche, sono punteggiate da miriadi di grotte naturali che furono abitate anticamente da eremiti o rifugiati (in alcune di esse, a Qunram, furono scoperti i famosi “rotoli” biblici). L’unica presenza di vita si trova nei pressi degli wadi, piccole oasi create da fonti e ruscelli che si alimentano nelle brevi stagioni piovose e scavano da millenni profondi canyon sui fianchi delle montagne. Proprio nella parte centrale del litorale, a pochi chilometri dalla riva, si trova l’ingresso della Riserva Naturale di En Ghedi.

Una vasta area che, partendo a ridosso della sponda marina, si estende fino a salire sull’altopiano del deserto di Giuda, oltre 200 metri sul livello del mare (e quindi dalla base di partenza circa 620 metri in tutto) per ridiscendere da un altro wadi nei pressi di un grande kibbutz, sei chilometri più a sud. Siamo solo a poco più di un ora di strada da Gerusalemme. Così un mattino dei primi di giugno scorso, decisi di partire col primo autobus diretto proprio ad un’escursione nel parco fino a raggiungere lo wadi David, la fonte di re David (ca. 1000 a.C.).

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Lì, secondo il primo libro di Samuele, re David si era nascosto per sfuggire all’ira di Saul. Ma, dato che parliamo di quasi 3000 anni fa, non vi è testimonianza visiva tranne le parole del Libro. Si entra nel parco quasi all’alba, appena aperti i cancelli, poiché dopo le 11 è vietato inoltrarsi lungo i suoi sentieri. La temperatura che in estate raggiunge facilmente i 50 gradi e la quasi totale assenza di acqua potabile possono essere fatali per chi non è attrezzato. Il sentiero all’inizio si inerpica lungo il rivo che scende dall’alto della fonte e crea un canyon profondo e a tratti verdeggiante. Dopo una mezz’ora però la traccia si eleva erta sul fianco della montagna, senza più un filo d’ombra fino all’origine della fonte di David, meta del mio trekking.

Quel giorno c’erano “solo” 45 gradi all’ombra, il sentiero era friabile e in alcuni tratti fornito di cordino. C’era da fare attenzione, ma senza grossi pericoli. Sembrava d’essere in certi tratti delle nostre Bocchette, ma anziché col panorama di prati e malghe, con l’immobile blu del mar Morto sottostante. Sembra strano, ma malgrado sia un forno a quasi 50 gradi, il caldo secchissimo, filtrato dal maggior carico d’atmosfera

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della depressione, è più sopportabile che da noi.

Comunque avevo portato nello zaino quasi tre litri d’acqua e ciò malgrado, dopo circa due ore, in prossimità della fonte erano quasi finiti. Poco dopo, nell’incavo del canyon, mi apparve una polla d’acqua turchese e limpidissima, non più ampia di tre metri, circondata da folti e ombrosi arbusti. Era quella la fonte di re David. Mi immersi senza esitazione in un lungo e fresco bagno rigenerante, rimirando attorno la gola scoscesa che poco sopra si congiunge alla parte orientale del deserto di Giuda. Sotto, lungo il canyon, si succedono cascatelle e pozze in un disegno di verde e azzurro che nel rosso della terra desertica creano un contrasto straordinario. Lo wadi David è un posto realmente suggestivo. Lungo le pareti rocciose si indovinano i buchi delle grotte naturali dove millenni addietro si rifugiarono anacoreti ed ebrei assediati. In quel silenzio e in quell’ ambiente intatto da millenni viene spontaneo fantasticare su personaggi e miti biblici che sopravvissero realmente in quei luoghi. Ogni tanto si affacciava qualche uccello colorato a bere rapido e sulle creste attorno saltellavano curiosi degli “ibex” (capre nubiane) dalle lunghe corna di stambecco di cui il parco è pieno. Si incrocia facilmente anche un altro animaletto curioso, il “conie” (Procavia Capensis). Simile alla nostra marmotta, formidabile scalatore, che grazie a una formidabile termoregolazione sopporta tranquillamente quelle temperature infernali. Ma l’unica persona che incontrai al ritorno fu una guida del parco, la quale, dopo aver verificato che la mia scorta d’acqua era agli sgoccioli, mi intimò cortese di ridiscendere svelto. Il sole cocente del primo pomeriggio non m’avrebbe perdonato. A malincuore ridiscesi per un altro percorso che porta ai resti dell’antica sinagoga (ca. 200 d.C.) dagli straordinari pavimenti in mosaico, che testimonia la perenne presenza umana attorno agli wadi di En Ghedi. Con un certo rammarico arrivai all’ingresso per riprendere l’autobus, poiché in realtà sarei rimasto volentieri al suo interno (abusivamente) per tutta la notte.

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Con grandi occhi di Ferdinando Bassetti Non parlavamo tanto né io né la guida. Lui con costanza spronava l’animale, fisso sulla strada.

Orecchini e bracciali. Quel Sole. Un deserto. Io con grandi occhi viaggiavo.

La mattina presto i bagni degli hindu. Mal di Finché non trovammo la gente. Quella vera. Non stomaco. Gente nera, con sotto la pelle solo le con le parole la incontrai, ma senza. E tramonti e ombre. Colori nel cielo e nelle padelle, la notte. ossa. Un carro, un cammello e via.

Non vidi mai cosa ci fosse infondo alla strada Fuoco e chai. Di nuovo sotto una coperta e sodel cammelliere. Né cosa si nascondesse sotto ai pra le stelle. Semplicemente non finire mai, vita pavimenti di Pushkar. In mezza giornata fummo mia! Silenzi. Tombe. Fattorie. Che ti perdo nel lontani abbastanza da dimenticarcene. E allora mondo e ti ritrovo sotto un albero. Nel campo villaggi, campi nella sabbia. Ma sempre una a masticare il grano. mano tesa. L’India intera era gente per strada Non camminai tanto. Nemmeno feci molto. che chiedeva qualcosa, spacciava la sua merce, Contemplai. Come un re sul suo carro. Stetti faceva l’elemosina. Non si poteva sfuggire alla ad annusare l’odore di ciò che non avevo mai diversità con quella gente. Non essere un ricco vissuto. Chapati sul fuoco. Cumino, coriandolo, straniero da alleggerire. La sera dal sul fuoco e curcuma… pane sotto le braci. Una coperta e dormire. Fu Non capivo nulla di quello che dicevano gli indiani. Solo ciò che c’era di comune col nepali. la prima notte sotto le stelle.

Poi avanti nell’abbraccio di fiori e di paglia. Con Amavo come si tenevano addosso una sciarpa, i tatuaggi neri che il cammello si portava dietro. uno scialle, un turbante. Come facevano tutto con le mani, accovacciati e pulivano i piatti nella sabbia.

Passammo su strade roventi, diritte come frustate, circondate di spine. Campi di grano nero. Capre e anziani pastori, magri, invisibili, nelle piane. Ram ram bay ji! Nei villaggi le genti si affacciavano come topi. Potevano stare ore a fissarti senza dire una parola, muovere un dito.

Perlopiù seguivano sempre le stesse tre domande.

Come ti chiami? Da dove vieni? Da quanto sei sposato?

Un carro, un cammello e via... un safari da Pushkar a Jaisalmer Con pochi andai più in a Bea

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là. Cosa studi? Filosofia. È simile alla geografia?

Non immagini quanto in questo viaggio che è viaggiare la vita…

Per il resto ciò che imparai fu a stare-senza-fare.

Concedermi il trasporto dal carro e lasciare che, come lo scolo di un rubinetto, tutto quel deserto mi entrasse dentro. Essere il risucchio di quelle dune. Imparai a non saper parlare una lingua.

E ancora con grandi occhi viaggiare.

Che c’era da dire in fondo?! This is the desert life.

Questa è la vita del deserto. Questa è la vita del deserto. Questa è la vita…

Alle sette ti svegli. Schiarisce ed in poco sale il Sole. Non partirai prima di due ore e mezza.

Capisci che aspettare è il destino di chi non ha fantasia. Di chi non sa leggere la pagina del momento.

Sentii gocce bagnarmi nella notte ampia. Aprii gli occhi. Cadevano da un cielo sereno. Nulla di strano quaggiù!

Dopo Osian mangiammo in una fattoria. Il vecchio ci invitò nel piazzale tra le sue case di paglia. Un tappeto sotto la luna di Shiva e all’ombra della sua luce mangiare. Verdure, latte e pane di grano scuro.

Questo era il Sole e questo era il vento. Questi i gialli manti di mostarda per l’olio. Questo l’intonaco di fango e sterco sui muri.

Mi svegliai ancora fuori da un altro villaggio.

Gysu accendeva il fuoco spento la sera prima.

Mi alzai e in poco venne la gente intorno. Prima i bambini. Poi i grandi, le donne, i cani.

Senza stranezza tutti attorno. Senza dissimulare curiosità. Guardavano. Domandavano. Non parlavo hindu. Tornavano a guardare. Ero la loro televisione! …non ancora accesa del tutto dopo la notte. Oro, argento, metalli da poco.

Questo una corda a collana, questo un bracciale. Donne e cavigliere. Gli anelli sulle dita dei piedi. Bambini e camicie. Buchi nei pantaloni.

Lui! gli occhi gialli! Chi pettinato chi spulciato.

Avevo una trentina di muti ospiti per colazione.

Il pudding era pronto. Gysu me lo diede nel piatto, poi andò col cammello alla fontana. Io 198

rimasi col cibo circondato da una folla che non distoglieva l’attenzione un istante da ogni singolo cucchiaio che dal basso volava verso la mia bocca. Nessuno fiatò.

Ancora andammo. Le dune laggiù. La sabbia finissima. Una foto. Avanti senza fretta.

Un giorno un fortissimo vento. Un altro le nuvole alte, calde. Ogni tanto due parole. Nice place.

Yes quite area. …tanto come due o tre volte al giorno. Alla siesta chilum power.

Mai senza le stelle, senza la luna in cinta. Senza gli sguardi fissi, imprudenti, divorati dalla curiosità. Ogni cosa era sensazionale nel posto più sensazionale del mondo! …come uno straniero che ficca tutto il suo enorme sacco a pelo dentro una sacca minuscola. O come vivere con uno scialle, un bastone, due capre, nel mondo.

Con grandi occhi l’India viaggiava.

Notte di nuovo. Dopo il dondolio di un altro giorno. Sul carro, come Apollo. Mani, visi, sorrisi. Sopracciglia nere. I sonagli alle zampe anteriori del cammello. Sulla sabbia. Sull’asfalto. Pensieri alti come mondi. Soffitti neri ventati, intricati di stelle. C’erano poche cose infondo. Quelle che prima sono state inventate.

Gli elementi. La libertà tra i capelli. La natura e l’uomo. Tutto il resto non lo usammo tanto. Né l’oro d’un orecchino né il colore d’un velo. Mangiammo, scoprimmo e ce ne andammo. Così da ogni giorno ed ogni pastore. Da ogni villaggio e qualsiasi sguardo. Senza portarci via le fattorie che dentro al cuore. Ognuna con il suo baba.

Mai chiesi a Gysu cosa significasse quella sua parola -mmerà!- che urlava quando urlava all’animale. Mai chiedere a un pastore cosa dica alle sue bestie. Nemmeno seppi quei segni marchiati sul manto dell’animale cosa volessero dire. Non chiesi parecchie cose in quell’India. Era fatta così Lei. …ricca di risposte mai domandate. Ricca e antica. Dimenticata. Coperta dal suo vento nella sua sabbia.

Musica sempre. Lontana poi vicina. Durante le notti, sulle cornici dei crepuscoli. Poi un altro buio. Un albero nel fuoco d’un tramonto e Annuario 2014

DAL MONDO

ospitalità, presso una casa e delle vite. Qui solo chiesta, qui solo offerta. E lei.

Loro. Non solo quella volta. Cento. Ma quella volta di più. Belle e selvagge. Vivevano nella sabbia. Nere. Infinite. Si tradivano con lo sguardo.

Chissà se sognassero impossibile uno straniero o se nemmeno osassero. Le guardai per non poterle mai avere. Confinate in quell’universo lontano dal mio. Richiami inudibili. Intoccabili.

Straordinarie. Mortali. A metà dietro un velo e dietro un sogno. Al di là della mia vita. Sopra alla terra. Sotto tetti di paglia. E che più? Un deserto.

Forse non le incontrai mai in quella fattoria. Fu nient’altro che la fantasia impazzita. Un miraggio. Un delirio della solitudine. La follia della pianura dentro di me.

Aspettai tardi al mattino, temporeggiai. Non volevo andarmene. Chissà quale forza mi portò via da là. Da quelle corde, da quei tetti, da quel campo.

Continuammo. Al trotto e al passo. Attraversando i giorni sulle lame degli orizzonti. E sulla sabbia, nella terra, accanto al fuoco dormendo le notti.

Avevo domandato una goccia di latte a quel deserto e lui mi aveva regalato il suo intero gregge.

Dormimmo nell’ultima fattoria poi andammo senza fiatare dentro al mattino dell’arrivo. Il grano bagnato si muoveva nel vento intorno crescendo nel silenzio verso il suo destino, il

Mattia e Luca a 6000 m verso la cima del Parchamo Annuario 2014

pane. Il cumino dormiva ancora nelle immense distese. Odiai quel giorno! Quell’addio programmato verso cui andammo senza dircelo.

Lungo la strada migliaia di scarpe abbandonate dei pellegrini. Non fu niente di spettacolare il famigerato tempio di Ramdevrua. Nulla di mistico per occhi che non credevano a quel Dio. Il vero spettacolo fu guardare Gysu compiere la sua puja! Non lasciò le sue offerte sull’altare del tempio dove i commercianti le avrebbero recuperate a sera per rivenderle all’infinito. Le diede una ad una alle persone per la strada. Si giocò una bella paga quella volta. Lo vidi felice. Si era concesso un paio di chilum di troppo quella mattina. Sembrava un ubriaco che distribuisce caramelle ai bambini. Dopo ogni dolce lasciato mi guardava burlone e rideva. Era un uomo semplice e in pace.

Alla stazione stretta di mano. Abbraccio. Poi via per sempre, sulle ruote.

Nella notte il castello di Jaisalmer lontano nelle dune buie. Un miraggio.

Quella fu la mia prima India. Ci spesi tutto febbraio viaggiando per diciotto giorni tra le dune del Rajastan. Ero partito a fine ottobre con due amici per scalare il Parchamo, in Nepal. Ci eravamo fermati a 6000 metri. Poi avevo camminato per cinquantotto giorni in Khumbu al campo base dell’Everest, a Gokyo fino a Jiri, in Helambu, in Langtang, in Annapurna per il circuito, il campo base e il Mardi Himal treck.

Tornai agli inizi di marzo con la magia e la paura, lo stupore e la follia di quel lungo viaggio così eterogeneo, così impensabile negli opposti che aveva toccato. Dal Rolwaling al Rajastan, dall’Himalaya alla pianura del Gange, al deserto di sabbia finissima, dagli yak ai cammelli, dalle intere settimane di marcia ai giorni di niente, da Lucio Dalla ai Depeche Mode nel mio mp3, dal vento gelido del Thornog La alla nebbia fitta di Varanasi, alla bufera calda di Jaisalmer.

Avevo due sole cose in testa. Una donna e una montagna.

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Ecuador vulcani y Galapagos di Carlo Zanoni L’ho già rimarcato in precedenti occasioni, l’America Latina nasconde in sé un fascino irripetibile, irresistibile. Dopo un po’ di tempo, non c’è niente da fare, torna la voglia. E allora bisogna partire.

Questa volta è toccato ad un posto del tutto particolare. Ci sono montagne di tutto rispetto, che sanno dare del filo da torcere anche se collocate su quella linea immaginaria che divide il mondo in due, l’Equatore. L’Ecuador si può considerare il paese dove inizia l’infinita catena delle Ande.

E i manifesti pubblicitari un po’ sontuosamente vantano di possedere il punto più distante dal centro della terra situato sull’equatore. Con i suoi 6.300 metri di quota, il Volcan Chimborazo, effettivamente non lo batte nessuno 300 metri

più alto del Kibo, il Kilimanjaro in Tanzania, anche questo sull’Equatore, altro gran bel ricordo di qualche anno fa.

Effettivamente salire montagne in Ecuador, significa salire vulcani, più o meno spenti. Ma salire queste montagne significa anche avere l’opportunità di visitare un paese bello paesaggisticamente, ma anche culturalmente vivo e socialmente fiero.

“Ecuador ama la vida” è lo slogan che accompagna il marchio turistico del paese: una leggera e graziosa spirale a mosaico vivacemente multicolore, mentre onnipresenti lungo le strade grandi cartelloni conditi di immagini a chiaro sfondo demagogico, fanno altrettanto sfoggio di uno slogan magari un po’ più presuntuoso:

Il rifugio Nuevo Orizzonte agli Illiniza Annuario 2014

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Cotopaxi il cratere sommitale

“Avanzemos patria!”.

Ed effettivamente l’impressione riportata in questo viaggio è stata quella di un paese in fermento, fortemente motivato, probabilmente trascinato dalla saggia e lungimirante politica del suo presidente Correa a cui viene generalmente riconosciuto il merito di aver intrapreso la strada giusta. In Sudamerica è noto che la democrazia è fortemente legata alla figura dominante del presidente che può tanto essere un dittatore quanto trasformarsi, come nel nostro caso, in un leader illuminato ed indiscusso.

Attraversando il paese si incontrano numerosi cantieri lungo le strade tangibile testimonianza di un gigantesco programma di ammodernamento della rete stradale: sono opere volute dal presidente Correa ci spiegano a distanza di tempo e con evidente orgoglio Josè e Joel, gli autisti dei minivan che abbiamo utilizzato, Quito e Riobamba sono unite ormai da una “autostrada” dopo i lavori alla Panamericana. Ormai prossimo 202

all’utilizzo è anche il nuovo aeroporto di Quito che darà soluzione ad uno degli atterraggi più difficili al mondo. Un presidente, ci hanno spiegato sempre gli autisti, che ha trascorso un periodo in una comunità indigena per vivere le loro tradizioni ed imparare la lingua quechua, un formidabile modo per sottolineare importanza e rispetto per le popolazioni originarie.

Se queste sono state notizie riportate, la conferma la abbiamo vissuta di persona visitando lo splendido museo del Banco Central e il palazzo del governo a Quito. Quanto al primo troviamo la gradita sorpresa che l’ingresso non è più a pagamento: un cartello spiega che la cultura appartiene al popolo e quindi tutti i siti e musei legati al ministero della cultura sono a libero accesso. Quanto al secondo all’ingresso una guardia ci dice gentilmente di attendere e, al formarsi di un gruppetto qualche turista straniero e qualche ecuatoriano, veniamo accolti da un funzionario che ci accompagna in una visita gratuita per tutti, Annuario 2014

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turisti e cittadini, “perche questa casa appartiene al popolo” e il presidente è onorato quando qualcuno viene a visitarla. Al controllo bagagli vengono solo annotati i dati dei documenti di identità e sullo scalone che dà accesso ai piani superiori un fotografo scatta una foto alle singole famiglie o gruppi: all’uscita verrà consegnata una foto con dedica di ricordo. La visita si estende a tutte le sale principali compatibilmente con lo svolgersi delle attività istituzionali e ci si affaccia anche al balcone che dà sulla piazza. Nelle sale numerose bacheche con vari cimeli: sono i regali di stato ricevuti in occasione di visite ufficiali, ci spiega il funzionario che ci accompagna, e con orgoglio sottolinea che il presidente ha già disposto che rimarranno dotazione e ornamento del palazzo quando non sarà più presidente in quanto oggetti ricevuti in nome del popolo equadoregno e a questi appartengono. Un semplice confronto con

la cronaca ormai quotidiana circa le modalità di gestione da parte della nostra classe politica della “res pubblica” lascia semplicemente sconcertati.

Il decoro e la pulizia, la vivacità di antiche vie restaurate come Garcia Moreno o La Ronda, la sapiente ed elegante illuminazione delle chiese e dei palazzi coloniali di Quito, hanno confezionato una straordinaria icona su questo paese che, seppur povero e ancora molto legato ad un’economia agricola di sussistenza, ci ha lasciato un impronta di coraggio, speranza e fiducia la cui conoscenza non avevo mai vissuto prima d’ora.

La componente alpinistica di questa esperienza si è esplicata in una sequenza di salite legata alla formazione di un percorso di acclimatamento necessario per affrontare con la dovuta preparazione la quota delle mete principali.

Così l’inizio ha visto la comunque incantevole visita della laguna di Cuicocha, un piccolo spec-

Alla Paillon del Diablo

Sul ghiacciaio del Cotopaxi

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chio d’acqua dentro il cratere sprofondato di un antico vulcano. Arrivando dai vasti altipiani il paesaggio mostra solamente dolci colline. Bisogna salire il sentiero che percorre il bordo del cratere per ammirare dal fitto della lussureggiante vegetazione il blu scuro delle acque e l’isolotto che la guida turistica dipinge avere la sagoma di un porcellino d’india. Il percorso che compie il periplo del lago è davvero una piacevolmente mite e morbida introduzione nell’ambiente di questa nuova avventura nonostante la quota superi i 3.000 metri sul livello del mare.

L’indomani infatti è necessario affrontare la prima salita in programma. Sulla carta non fa certo paura, 600 metri di dislivello per raggiungere la sommità di un antico vulcano dal nome curioso, Fuya Fuya alla comunque rispettabile quota di 4.263 metri. È un peccato che fitte nebbie ricoprano gran parte del paesaggio circostante dominato anche qui da un lago, la Laguna Mojanda. Un vento freddo e una leggera pioggia

ci costringono ad abbandonare in fretta la vetta ma ormai il ghiaccio è rotto, cominciamo ad entrare in sintonia anche con queste montagne.

L’Ecuador sembra un posto fatto apposta per consentire un adeguato acclimatamento, indispensabile per poter affrontare le future quote non certo banali. Così la prossima meta è la montagna di casa di Quito, il Ruchu Picinca.

Anche qui un buon sentiero, solo in alto un po’ più ruvido, che si stacca dall’arrivo della cabinovia del TeleferiQo, una delle attrattive turistiche imperdibili, il belvedere a picco sulla città. La quota aumenta, la cima segna una quota di 4.680 metri, ma la giornata oggi più discreta, anche se il Cotopaxi rimane invisibile nelle foschie, fa aumentare ulteriormente il grado di fiducia nella buona sorte.

La prossima meta, fra un paio di giorni, sarà certamente fisicamente più impegnativa per dislivello da salire e quota da raggiungere. In programma c’è l’Illiniza Norte. Si parte di buon

Il Chimborazo dai pressi di Riobamba

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DAL MONDO

ora nel cuore della notte mentre la conseguente alba regala infinite gradazioni di colori tenui e sopraffini sui ghiacciai del vicino Cotopaxi. In lontananza fa capolino anche il Chimborazo e una serie di vette dalla regolare forma conica.

La cima, anche se non di molto, supera i 5.000 m. ed ora per legge viene imposto l’utilizzo di guide certificate. Francisco e Marcus che ci accompagnano in questa giornata sono persone cordiali oltre che capaci e, sebbene le difficoltà alpinistiche siano limitate ad un paio di passaggi su roccia un po’ esposti, la loro presenza in questo ambiente infonde quella tranquillità che amplifica il piacere della salita. La piccola croce di vetta ci conferma che a 5.126 metri dopo 1.200 di salita, il fisico regge bene. Ora è necessario più che mai invocare la clemenza della meteo ma anche su questo fronte abbiamo potuto constatare che almeno fino a mezzogiorno solitamente si stabiliscono condizioni favorevoli.

Così arriva anche il momento del Cotopaxi, la prima delle due mete principali del viaggio.

Bladimir della Lovizna, il grazioso ed eccentrico hostal di El Chaupi cui ci si appoggia per le salite in questa zona, ha predisposto tutto il necessario e sotto una preoccupante pioggerella ci accompagna alla partenza del sentiero per il rifugio Rivas. Al gate di ingresso al parco si compiono le varie registrazioni e nella nebbia compiamo la breve salita che porta al rifugio. Il ripido ghiaione fa una prima vittima: un paio di scarponi in plastica si sfaldano. Ma l’America latina è il luogo per eccellenza dove si sperimenta che ogni problema ha la sua soluzione e con l’aiuto delle guide riusciamo a noleggiare da uno dei custodi del rifugio un paio di scarponi di grandezza opportuna: la salita è salva. Mentre ci servono la cena lo sguardo continua ad osservare la nebbia che avvolge il rifugio e la neve che piano piano lo imbianca.

La sveglia arriva nel cuore della notte ora risplendente di stelle. Fa freddo ma meno di quanto temevo. Non sono molti gli alpinisti che cercheranno di salire oggi. Nella mole di neve caduta Annuario 2014

negli ultimi giorni le guide devono lavorare non poco per trovare e ricreare una traccia nel dedalo di crepacci e seraccate che caratterizzano il tribolato ghiacciaio che ricopre il vulcano. Quello che più di ogni cosa serve è soprattutto una gran conoscenza della montagna e dei suoi versanti.

Oggi sono con noi Marcus e Fausto che, insieme alle altre due guide che accompagnano l’altro gruppo di alpinisti, riescono a battere un nuovo percorso. Sono le sei del mattino che porge le prime colorate luci dell’alba quando sbuchiamo sull’orlo del cratere sommitale. Siamo a 5.872 metri e sotto di noi uno spettacolo grandioso di rocce fumanti e nevi colorate dai raggi del primo sole. La discesa è tutta dedicata alla fotografia in questo magnifico scenario di incredibili seracchi illuminati dal sole.

La discesa è fin troppo veloce e ci catapulta nella caccia sulla panamericana ad un autobus per Riobamba, la città dove si fa base per la prossima meta, il tetto dell’Ecuador, il Volcan Chimborazo. Possibilmente prima che inizi a piovere. La cosa riesce spezzando la tratta su Ambato.

Prima di salire è necessario procurare un paio di scarponi e la ricerca per i canali ritenuti primari è vana, troviamo solo taglie enormi. Sarà Joel, l’autista del nostro pullmino, la soluzione al problema, quando, dalla cantina di casa sua, estrae un paio di scarponi evidentemente in disuso ma in buono stato ed appropriati allo scopo. Anche

Intrattenimento alla Nariz del Diablo

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questa volta, secondo il più puro stile sudamericano, la salita è salva.

A differenza del Cotopaxi, la linea di salita al Chimborazo è più lineare e facile da individuare. Ciò nonostante l’ausilio di una guida che disponga di una adeguata conoscenza della montagna è comunque importante. Ai gate del parco, grazie all’aiuto di Joel e ad un presunto utilizzo abusivo delle autorizzazioni della nostra agenzia da parte di un’altra organizzazione, dopo oltre un’ora di telefonate e verifiche varie sulla bontà del mio tesserino di membro del soccorso alpino, riusciamo a ottenere il permesso di salita con una sola guida ufficiale, Gnato.

Il rifugio Whimper non è gestito come il Rivas, per cui dobbiamo prepararci la cena con le pietanze acquistate in città. Il rifugio oggi è un po’ più affollato ma la serata scorre più tranquilla, fuori è sereno e la montagna è in perfette condizioni. La sveglia è addirittura serale, alle 11 di notte si deve partire. Dal rifugio alla vetta sono

oltre 1.200 i metri da salire ed è opportuno ridiscendere prima che faccia troppo caldo sopra “il corridor”. Diligentemente seguiamo i passi di Gnato lungo il pietroso versante fino ad arrivare alla grande sella dove ha inizio il lunghissimo ampio e regolare crestone che conduce alla cima. La notte è bellissima, stellata, il vento è quasi calmo, anche lungo questa salita il freddo si fa sentire ma è sopportabile. Le nostre cordate avanzano regolari, superata quota 5.500 adotto la tecnica dei trenta passi, che su questi terreni altre volte ho sperimentato e che si è dimostrata efficace: 30 piccoli passi lenti ma continui e poi 10-15 secondi di pausa e così via. La sincronia in cordata è ottimale e il ritmo diventa quello giusto. Sequenza dopo sequenza l’altimetro sale e il pendio si fa infine più dolce. La notte sta per morire ma è ancora buio quando arriviamo sull’anticima e con un po’ di disappunto realizziamo che bisogna dapprima scendere e perdere preziosissima quota per risalire l’ultimo tratto che

In vetta al Chimborazo

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porta alla cima vera e propria. E sarà un tratto oltre modo incredibilmente ostico e faticoso.

Oltre la vetta il vento ha ammucchiato molta neve farinosa e inconsistente ricoprendola con un sottile strato di crosta. Nel vano tentativo di non sprofondare si cerca di camminare a lato delle orme dei compagni che stanno davanti.

Praticamente ad ogni passo sembra di galleggiare poi d’improvviso la crosta cede e ci si trova nella neve fino al garrese. Il tutto a oltre 6.000 di quota con il fiato che diventa subito corto e la regola del trenta che è stata così efficace svanita nel nulla. Ma non si può certo cedere proprio ora e a percorrere questo ultimo tratto che si sarebbe stimato in poco più che dieci minuti impieghiamo una buona mezz’ora, la più devastante della carriera. Si intravvedono i primi bagliori dell’alba quando, felici, ci abbracciamo ed ammiriamo l’infinito orizzonte che ci circonda. Siamo soli in vetta al Volcan Chimborazo, a 6.310 metri di quota, il punto più distante dal

centro della terra sull’equatore. Il programma alpinistico è stato completato per intero da tutti i compagni d’avventura. Gli alpinisti degli altri gruppi partiti o sono ancora indietro o si sono fermati all’anticima. Molto lontane alcune nubi temporalesche sembrano volersi complimentare con noi sparando in cielo i bagliori dei loro fulmini. Un altro tassello del puzzle è completato.

Ma l’Ecuador non è solo alpinismo e se questo viaggio è stato particolarmente bello lo è stato anche e soprattutto per le esperienze extra alpinistiche. Fra una salita e l’altra ci è stato possibile, infatti, intercalare giornate di riposo e recupero per il fisico, ma impiegate con altrettanta curiosità di fare conoscenza con i luoghi che si andavano via via visitando. Così è stato per la visita all’appartato sito archeologico di Cochasqui con le sue misteriose piramidi legate al culto dei solstizi e degli equinozi quando il sole non proietta alcuna ombra sulla terra. La guida del sito che ci accompagna nella visita non lesina

Quito notturna Annuario 2014

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DAL MONDO

Cimelio al museo del Banco Central a Quito

passione nello spiegare come questo fenomeno fosse noto e studiato nell’antichità lungo quella linea immaginaria che oggi conosciamo come il parallelo dell’equatore e con quanta precisione fosse stata calcolata anche l’inclinazione dell’asse terrestre. O il circuito di Quilotoa con l’omonima laguna, splendido specchio d’acqua sul fondo

di un profondo cratere incastonato nel mezzo di un bellissimo paesaggio tipicamente andino.

O ancora la visita alle splendide rovine incaiche di Ingapirca a Sud di Riobamba che possiamo così abbinare al tour lungo i binari a zig zag della Nariz del Diablo. A differenza del passato e di quanto riportato nelle guide ora il treno è composto da moderne carrozze e ci sono tre corse tutti i giorni. Spettacolo prettamente turistico, comunque interessante.

O ancora infine, il bellissimo tour con il quale è stato fatto ritorno a Quito una volta completate le salite alle montagne: da Riobamba appunto a Quito passando però per l’Amazzonia giacchè fin laggiù si spinge anche un lembo di questo paese. Così ci possiamo dapprima immergere nelle calde piscine termali di Baños, concederci un giro in tarabita (una teleferica che attraversa la valle) per ammirare la cascata del Manto de la Novia e visitare l’imponente cascata del Pailòn del Diablo prima di scendere verso le calde e afose

Galapagos: bagno in compagnia dei leoni marini

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foreste amazzoniche.

Abbiamo trascorso una giornata sulle acque tipicamente color ocra del Rio Napo, un “piccolo” Rio delle Amazzoni grazie alla quale è stato possibile sfiorare con un dito il significato di abitare ed esplorare questi affascinanti, colorati e pericolosi habitat. La nostra è stata una giornata tranquillamente turistica ma sufficiente per immaginare dal vero cosa possa nascondersi poco più in là.

Riemergere dall’afa delle foreste e concedersi un’ultima pausa vagabondando da una piscina all’altra nell’incredibile parco termale di Papallacta prima di rendere omaggio alla “Midad del mundo” è stata forse la nota più preziosa di contorno in questo viaggio apparentemente fin troppo denso di sapori ed emozioni.

La memoria non può che perdersi nella miriade di istanti che si vorrebbe ricordare e raccontare. Momenti fatti di paesaggi o di personaggi incontrati per caso o per destino come gli autisti dei pullmini che abbiamo affittato per gli

spostamenti e che sono stati anche questa volta dei preziosissimi compagni, in particolare Joel.

Corporatura minuta e sguardo sincero, orgogliosamente sudamericano, non è stato certamente solo un prudente autista ma un anello grazie al quale legare indelebilmente l’essenza del vissuto in questi indimenticabili giorni.

L’aver potuto aggiungere poi alcune giornate per visitare una parte dell’arcipelago delle Galapagos ed incamminarsi sulle tracce di ciò che questo straordinario ambiente naturale significa e rappresenta per il genere umano è stata infine una perla di incalcolabile valore. Visitare le terre che hanno ispirato a Darwin le teorie sull’evoluzione della specie già di per sé porta in grembo il favoloso sapore del fascino. Il messaggio è chiaro sin dal primo incontro. Il paesaggio non è come lo si potrebbe immaginare, qualche spiaggia e baia dalle acque turchesi sì, ma nulla di caraibico.

Terreni rocciosi, aridi a volte poco invitanti. È necessario destare lo spirito di osservazione, allenare

Sula dalle zampe blu alle Galapagos Annuario 2014

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DAL MONDO

Tartaruga al Rio Napo

gli occhi ad andare oltre la superficie e osservare in profondità per cogliere il messaggio che la ricchezza naturalistica nasconde nelle specie di ciascun animale che abita le varie isole ciascuna con le proprie caratteristiche e differenze. Così lo stesso iguana si presenta vestito di livree di colori cangianti a seconda dell’isola su cui ha visto la luce. E quante altre specie di animali che hanno avuto la fortuna di aver avuto a disposizione un ambiente rimasto sostanzialmente integro e da sempre libero dall’intervento della mano dell’uomo. Compreso l’animale emblema di quei luoghi, la lentissima, goffa e comunque simpatica tartaruga gigante. Andate piano, vivrete come noi a lungo è il messaggio che sembra voler suggerire con il suo sguardo penetrante che si stacca dalla rugosa pelle profondamente solcata dal tempo.

Tempo che, invece, per noi infuria spesso senza ragione o senza che ce ne accorgiamo. E allora è necessario tornare, almeno con la memoria, in Ecuador, in quei luoghi che hanno lasciato un seme fecondo e dal cui nuovo germoglio si potranno individuare nuove mete verso nuovi orizzonti.

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Logo turistico Annuario 2014

DALLA REDAZIONE

Ciao Nicky di Marco Tamiozzo, Laura Reale e Franca Dallara Ciao Nicoletta, sono trascorsi solo pochi mesi da quando, con un soffio di vento, in una notte d’autunno ci hai salutati ed in punta di piedi ti sei incamminata verso una nuova meta.

Di te serberemo sempre il ricordo dei tuoi grandi occhi azzurri e lo sguardo intenso, del tuo sorriso, della tua forza, della tua tenacia e della tua coraggiosa caparbietà, con cui hai sempre affrontato la vita e la malattia; anche quando quest’ultima voleva vederti vacillare e cercava di batterti, tu hai saputo fronteggiarla e resistere finché le forze te l’hanno consentito.

Il tuo entusiasmo, la curiosità per le cose della vita, la fierezza che talvolta ci metteva a dura prova e che forse usavi solo come scudo, la simpatia, la tua accoglienza... tutte peculiarità queste che hanno fatto di te una donna straordinaria.

La generosità e la forza interiore che trasmettevi, a noi che cercavamo di sostenerti come

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potevamo, sono state ammirevoli. Eri tu a darci la carica e ad infonderci fiducia e speranza nel futuro. Mai un lamento, poche lacrime, solo talvolta l’amarezza di chi purtroppo è costretto, malgrado tanti sforzi, ad assistere inerme ad un lento ma incontrovertibile destino.

E poi ci hai sorpreso lasciando scritto che, quando non fossi più stata tra noi, nessuno avrebbe dovuto piangere o sentirsi triste per la tua mancanza.

Molti, pensando a Te, non dimenticheranno l’impegno, la passione sia nel lavoro che nella vita, la dedizione con cui per tanti anni hai accolto gli escursionisti che la domenica salivano a S. Barbara per pranzare in compagnia. Era il tuo appuntamento fisso con gli amici della S.A.T. dall’autunno a primavera inoltrata. L’occasione per stare insieme, per cantare e giocare a carte, per godere e vivere belle emozioni... quelle che fanno battere il cuore e danno un senso vero alla vita.

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DALLA REDAZIONE

Sulle tracce di Sergio Giuliani Da più di un anno Sergio ci ha lasciati, era il giorno di S. Stefano del 2012, quando il suo cuore ha cessato di battere. La redazione dell’annuario dopo questo triste momento, si è presa l’impegno di ricordarlo incontrando chi gli è stato vicino in montagna e con lui ha condiviso esperienze e momenti di vita.

Così, tra una chiacchierata e l’altra, abbiamo ricevuto informazioni inedite e sorprese, che vogliamo condividere con tutti i lettori, amici e compagni di cordata. Ci piacerebbe ricordare Sergio come un uomo dal carattere creativo, in continuo movimento verso la ricerca di una completezza alpinistica. Amava la montagna in tutte le svariate forme che essa ci riserva.

Dall’arrampicata praticata a discreti livelli, nonostante il suo deficit alle mani per incidenti professionali nel campo della meccanica nei quali ha sacrificato un paio di dita di entrambe le mani, alla passione per le grandi cime delle nostre alpi. Dalla Presanella, al Gran Zebrù, il Brenta, il Sella, il Sassolungo, passando dall’Adamello per proseguire al fantastico giro delle 13 cime, una cavalcata di creste di 3 giorni nel gruppo del Cevedale passando dal San Matteo, al Vioz al Palon de la Mare, itinerario che oggi non conta che poche ripetizioni, probabilmente anche a causa del ritiro dei ghiacciai. Poi il monte Rosa, il Bernina, il Gran Paradiso, un tentativo al Cervino e varie salite nel gruppo del Monte Bianco con i suoi amici di Torino. La passione per lo scialpinismo lo faceva esaltare malgrado i problemi alle ginocchia. Sergio è stato anche un importante promotore della nostra ferrata in quel di Riva, la ferrata dell’Amicizia sulla Rocchetta di cui abbiamo festeggiato i 40 anni l’anno scorso. Sergio nel mese di dicembre del 1975, in canotta bucherellata con la craisera sulle spalle, si carica il compressore Cobra ben legato del peso Annuario 2014

di 35 kg partendo dalla circonvallazione e su fino a Santa Barbara. Durante i lavori di costruzione della ferrata, sul terrazzo Mandelli (quello prima dello scalone lungo), qui probabilmente è nato il suo sopranome: “Stavamo aspettando che ci portassero il materiale per proseguire, Sergio era inquieto andava avanti e indietro, ad un certo punto ha detto… NEM NEM” e da quel preciso istante il personaggio fu creato.

Poi, siccome Sergio non lasciava spazio alla riflessione, durante una salita al Carè Alto, un alpinista, mentre pensava di aver sicuro in mano un pilastro di granito, lo stesso cedette alla sua presa, così fece un volo fino in fondo alla parete

Sergio Giuliani sull’Ortles con l’amico Gino Ettore

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con conseguenze purtroppo letali. Le cordate a quel punto scesero contemporaneamente alla base della parete per accertare la disgrazia. In quel punto dopo una piccola pausa Sergio esordì “NEM NEM…”, così divenne Nem Nem… per il resto degli anni a venire. Non faceva a tempo a finire una gita che già ne aveva un’altra in mente, spesso nel gruppo rocciatori di Riva dava appuntamenti a più persone nello stesso giorno o alla stessa ora, questo per la paura di rimanere solo, senza compagno, con il rischio di perSpigoloÊNord dere una giornata di arrampicata. In quegli ViaÊÒNemÊNemÓ anni si lavorava anche il sabato mattina e il Disl:Ê100Êm tempo per svagarsi era Svil:Ê150Êm Diff.Êlll¡ÊconÊpassaggiÊdiÊlV¡Êgrado poco, quindi immagiPrimoÊsalitore:ÊSergioÊGiulianiÊ niamo che rimanere a bocca asciutta non gli sarebbe gradito molto.

Comunque le doti alpinistiche di Sergio, e lll¡ che tutti gli son grati, è che quando si andava in cordata con lui lll¡ lll¡ si doveva essere tutti insieme nella salita, o tutti o nessuno! Guai lll ¡ trasgredire le sue scelIÊV¡ te di salita. Nei rifugi Sergio veniva apprezzato da tutti per la sua gentilezza, aveva una cordialità tutta Accesso: PaeseÊdiÊCenigaÊdiÊDro,ÊciÊsiÊportaÊalÊPonteÊRomanoÊsulÊfiumeÊSarca.ÊDaÊliÊsiÊvedeÊlaÊsalita.Ê personale. AppassioSiÊsaleÊilÊsentieroÊcheÊportaÊallaÊlocalitˆÊNaroncolo,ÊsubitoÊciÊsiÊportaÊallaÊbaseÊdelÊsecondoÊspigolo.

Salita: nato fotografo, ci fa laÊviaÊoriginaleÊsaleÊloÊspigoloÊdiÊdestraÊconÊlÕattaccoÊsubitoÊsopraÊlaÊstradaÊforestale,ÊslireÊdirettamenteÊconÊtrattiÊerbosi finoÊalÊsuoÊtermineÊdelÊprimoÊspigolo,ÊtraversareÊilÊcanaleÊeÊriprendereÊlaÊcrestaÊterminale rivivere con i suoi cari Variante:Ê SiÊsaleÊloÊspigoloÊnellaÊsuaÊcentralita,ÊtrattoÊpiùÊdifficile,Ê(sullaÊdestraÊcanale),Ê ritratti la nostra gioviprimaÊsostaÊsuÊalbero,30Êm,ÊIV¡. nezza, ora, possiamo continuaÊsuÊsaltiÊeÊgrandiÊblocchiÊsullaÊverticaleÊfinoÊadÊunÊpianoro secondaÊsostaÊsuÊclessidra,Ê30Êm,ÊIÊIÊI¡. confermare, che era CiÊsiÊportaÊaÊsinistraÊsottoÊadÊunaÊplacca,ÊterzaÊsostaÊpianta,Ê siÊsaleÊobliquandoÊversoÊdestraÊlaÊplaccaÊbenÊlavorataÊconÊbuchiÊeÊclessidre,Ê(fantastico) fatta di viva spensieterzaÊsostaÊsuÊblocchi,Ê30Êm,ÊIÊIÊI¡.

Rientro: ratezza, ricordano gli SiÊsaleÊfinoÊallaÊcroceÊeÊsiÊscendeÊaÊdestraÊsulÊsentieroÊcheÊriportaÊalÊponteÊRomano amici.

MonteÊColtÊ-Ê

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Si ringraziano per la preziosa partecipazione: Amici della Montagna, Sergio Amistadi, Diego Andreoli, Dario Antolini, Roberto Angiolini, Massimo Antonini, Renato Ballardini, Ferdinando Bassetti, Stefano Benini, Mauro Berlanda, Alberto Maria Betta, Enrico Betta, Roberto Biatel, Adriano Boccagni, Roberto Bombarda, Mauro Caceffo, Gianpaolo Calzà, Nicola Campisi, Ruggero Carli, Marco Carloni, Sandro Carpineta, Giuseppe Cattoi, Mario Corradini, Stefano Cominotti, Ivo Cipriani, Franca Dallara, Roberto Dall’Olio, Fabio Dal Rì, Alex Dardani, G. Di Vecchia, Erre, Claudio Fedrizzi, Paolo Ferrari, Bruno Floriani, Franco Francesconi, Giorgio Galas, Ivo Gentilini, Rosanna Giacomelli, Ettore Gino, Arturo Giovanelli, Alessandro Gogna, Andrea Hainzl, Valentina Leonardi, Paolo Liserre, Alberto Maganzini, Gino Malfer, Michele Mandelli, Claudio Martinelli, Ferdinando Martinelli, Marco Matteotti, Maura Mazzoldi, Gilberto Mora, More, Flavio Moro, Mirco Moro, Silvano Moro, Edoardo Nicolini, Pietro Omezzolli, Omar Oprandi, Ezio Parisi, Roberto Parisi, Lorenzo Poli, Matteo Prandi, Nicola Prandi, Periodico Il Carabiniere, Ausilia Puleo, Giorgio Quaranta, Claudio Quinzani, Laura Reale, Lucia Rosa, Sandro, Silvio Santoni (Bacon), Stefano Reversi, Rudi Simonetti, Gruppo Sopraimille, Gruppo Sciatori Riva, Gruppo V.I.P., Gruppo Sat&Bike, G.R.A.M., Gruppo Alpinismo Giovanile, Soccorso Alpino, Vigili del Fuoco Riva del Garda, Celestino Tamburini, Maurizio Torboli, Marco Tamiozzo, Luigi Vettorato, Alberto Zampiccoli, Simone e Daniele Zampiccoli, Carlo Zanoni, Luca Zanoni, prof. Luigi Zanzi.

Si ringraziano inoltre per la loro comprensione e il forte attaccamento alla nostra associazione tutti gli inserzionisti, e in particolare la “Cassa Rurale dell’Alto Garda” e la “InGarda Trentino - Azienda per il Turismo s.p.a.”

Elenco degli sponsor: InGarda Trentino Zendri Sport Verniciature Legnami Bracchi Supermarket Calzatura Bresciani Ristorante “La Terrazza” Falegnameria Parisi Coop Cons. Alto Garda Ristorante Maffei Ferrari legnami Baita dei Forti Rifugio XII Apostoli Birreria Kapuziner

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p. 1 p. 4 p. 5 p. 6 p. 8 p. 12 p. 39 p. 42 p. 56 p. 64 p. 73 p. 74 p. 78 p. 81

Lorenzo Lorenzi Omkafè Arcese Ca’ Rossa Hotel Rudy GCA Assicurazioni Hotel Centrale Falc salotti Autoscuola Tonina Rifugio Trivena Ferramenta Righi BDM Hotel Service Grafica 5 Casari

p. 82 p. 92 p. 96 p. 98 p. 105 p. 106 p. 110 p. 112 p. 116 p. 124 p. 134 p. 138 p. 142 p. 148

Tapas Bar p. 152 Gobbi Sport p. 156 Pregis p. 168 Armani p. 170 Agraria Riva del Garda p. 178 Pesarin Mobili p. 182 Leoni Cicli p. 188 Royal Sporting Hotel p. 196 Crosina Legnami p. 200 Bar Lembondel p. 200 Coop. Valli del Sarca p. 212 Ivano Venturini III copertina C.R. Alto Garda IV copertina

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