Annuario 2012

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Tariffa ridotta editoriale tassa pagata - Autorizzazione n. DCB/ACBNE/35/05/TN del 02/03/05

C.A.I. S.A.T.

140° SAT 1872 - 2012

SEZIONE RIVA DEL GARDA

A N N U A R I O

2012

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In copertina, dalla cima del Castore, panorama verso il Cervino Fotocomposizione e stampa: Grafica 5 - Arco (TN) - Maggio 2012

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Annuario 2012


CAI-SAT - SEZIONE DI RIVA Porta San Marco

ANNO 2012 CONSIGLIO DIRETTIVO

Presidente

Arturo Giovanelli

Vice presidente

Giorgio Galas Rosanna Giacomolli

Adriano Boccagni

Segretario

Cassiere

Carlo Zanoni Nicola Campisi

Consiglieri

Marco Matteotti Stefano Benini Rudi Simonetti Gilberto Mora Sergio Amistadi Silvano Moro Maurizio Torboli Claudio Fedrizzi Giovanni Paglierini

Revisori dei conti

Nello Santorum Celestino Tamburini Claudio Martinelli

STAZIONE C.N.S.A.S.

Capostazione

Gianluca Tognoni

Vice capostazione

Ezio Parisi

Chiamata di soccorso SITO INTERNET

Annuario 2012

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COOP FAMIGLIA COOPERATIVA DI TORBOLE 38069 TORBOLE SUL GARDA (TN) Via Matteotti, 19/A Tel. e Fax 0464.505118


CAI-SAT - SEZIONE DI RIVA Porta San Marco

REDAZIONE ANNUARIO

Annuario 2012

Responsabile

Valentina Leonardi

Sponsor

Arturo Giovanelli, Marco Matteotti

Rubriche e articolisti

Flavio Moro

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Il saluto del Presidente Cari Soci, cari lettori, divento Presidente quest’anno dopo ventiquattro anni di vicepresidenza e qualcuno di più di lavoro all’interno del direttivo S.A.T. Ho un bellissimo ricordo degli anni trascorsi con la S.A.T. e soprattutto del periodo in cui si ricostruiva la Capanna di S. Barbara e il mio unico rammarico sarà, da Presidente, non poter salirvi con le mie gambe, le quali purtroppo non reggono più come una volta. Sono onorato che il nuovo direttivo mi abbia scelto all’unanimità e il mio “sì” alla nomina non vuole essere un ritorno al passato, ma un periodo di transizione volto a proseguire il buon lavoro svolto dalla direzione precedente. Un grazie al Presidente uscente Marco Matteotti, il quale mi ha scelto come unica alternativa per la mia esperienza. Spero di svolgere al meglio questo ruolo mantenendo alti i livelli raggiunti da questa associazione (1573 soci). Nel mio compito sarò aiutato dal direttivo composto dai “vecchi” consiglieri affiancati da due nuove entrate: una vicepresidente donna e un segretario. Ci impegneremo, reduci dal direttivo passato, a portare a termine i progetti già avviati e siamo aperti a raccogliere qualsiasi iniziativa o idea ci venga proposta volta a migliorare il funzionamento dell’associazione. Concluderei ringraziando tutti coloro i quali operano, nel volontariato, della nostra associazione in qualsiasi settore e farò il possibile per non deludere la fiducia ripostami. EXCELSIOR! Il presidente Arturo Giovanelli

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ARTICOLI DA PUBBLICARE NELL’ANNUARIO SAT RIVA DEL GARDA

Modalità per la pubblicazione dei vostri articoli Il testo Deve essere fornito alla redazione tassativamente su supporto informatico e insieme all’allegato cartaceo. Il file con il testo NON deve contenere fotografie! Le fotografie Devono essere in un numero minimo di tre, e possono essere consegnate in diapositiva, stampate su carta o meglio ancora in digitale. Se in digitale, dovranno essere salvate in buona risoluzione per consentire la stampa (formato JPG o TIF). La scheda Inserire una scheda dati per accompagnare il vostro articolo scrivendo: nominativo, telefono, titolo dell’articolo, didascalie e foto. La consegna Consegnare il materiale sopraelencato alla sede SAT di Riva del Garda a porta San Marco, di persona o inviandolo per posta all’indirizzo: Redazione Annuario SAT Sede SAT di Riva del Garda Porta San Marco 38066 Riva del Garda (TN) o via posta elettronica all’indirizzo: annuariosat@hotmail.it NB: Gli articoli devono pervenire assolutamente completi del materiale richiesto qui sopra.

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Prefazione Un altro anno è passato ed un nuovo annuario SAT è arrivato nelle case dei tanti soci “satini”, agli amici e simpatizzanti, che con questa pubblicazione possono piacevolmente visionare le tante attività svolte dalla sezione, ma non solo. Infatti, anche quest’anno, l’annuario si è arricchito di molte rubriche che trattano l’andar in montagna a vari livelli, e quello che traspare dai racconti, è sempre un grande entusiasmo nel contatto con l’ambiente montano. Che sia un trekking o un ascensione importante, tutti, a modo loro, hanno cercato di esprimere e trasmettere, quello che nel cuore custodiscono, ispirati dalla montagna. Questo “anello” di congiunzione, che può essere la passione della montagna, è parte di ognuno di noi, l’importante è mantenerlo il più possibile, puro e incontaminato, come si può cogliere, ad esempio, nell’entusiasmo dei ragazzi e nelle loro espressioni, rappresentate in questa pubblicazione. Ma la passione ha modo di svilupparsi per strade diverse, ed i nostri “scrittori” ci dilettano con racconti di viaggio in terre lontane e sperdute, magari a molti sconosciute, ma che grazie a questi racconti, empaticamente facciamo nostri. Strade che ci riportano indietro nel tempo, e che risvegliano ricordi importanti della nostra vita, che ci illuminano sul nostro passato, con il profumo della storia e dell’avventura; strade da percorrere anche in bici, con il sapore della conquista, perché ogni traguardo ha lo stesso sapore, il sudore… Strade per recuperare un lago, che con progetti fattibili qui esposti, potrebbe tornare a beneficiare l’uomo; strade-confini-controversie però antiche, grazie alle quali, sono state gettate le basi per regolamentare la proprietà privata. Ma la strada che hanno scelto i nostri “autori”, è quella delle immagini, e nella sezione “ fermare le emozioni” ci appare la visione reale di un attimo, unico e irripetibile, perciò magico, uno scatto emozionante per l’appunto! E la musica “immaginaria” che serpeggia, mentre Annuario 2012

leggete questa nuova edizione dell’annuario, è data dalle poesie sparpagliate al suo interno, che ci parlano di zaini della vita, della nostalgia di casa, del ciclo di una vita, di una montagna che da sempre ci guarda e ci accoglie, della passione che mai ci abbandona, del dialetto che sta scomparendo, insomma attraverso la poesia il cuore si alleggerisce delle pene terrene, e possiamo sorridere al futuro con serenità. Quindi sentieri non più strade, che non hanno una collocazione su alcuna mappa, ma che sappiamo riconoscere ascoltando il nostro intuito più profondo. Attraverso questa mia introduzione, un po’ lunga forse, ho cercato di esporre le sensazioni che ho provato, nel curare questa edizione dell’annuario 2012, avendo anche l’onore, di contribuire ad un edizione importante, che si colloca nell’anno in cui si celebrano i 140°della nascita del Sodalizio (SAT 1872-2012). Ad ogni articolo che giungeva, c’era in qualche modo, la condivisione con l’autore, in anteprima, delle sue avventure e delle sue emozioni vissute. Un lavoro che ho condiviso con Flavio, che con la sua incalzante tenacia, ha stimolato gli “scrittori” a produrre materiale per questa edizione, accompagnandomi in questi nuovi sentieri. Ma soprattutto, grazie alla volontà di raccontare e di mettersi in gioco delle persone, che è possibile la realizzazione di questa pubblicazione, anno dopo anno, senza alcuna pretesa, ma con le capacità che ognuno dispone, e che liberamente (mi auguro) sente semplicemente di poter esprimere. Un GRAZIE sincero a tutti gli autori. EXCELSIOR! Il responsabile dell’Annuario Valentina Leonardi 11


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Indice Attività della sezione L’Annuario dei ragazzi .................................................................................................................. a cura di Giorgio e Roberto ................................. Le gite del 2012 ................................................................................................................................................................................................................................ Assemblea generale elettiva ordinaria ............................................................................. di Marco Matteotti .................................................. Distretto Family Alto Garda .................................................................................................. di Marco Matteotti .................................................. Sopraimille .............................................................................................................................................. di Maura Mazzoldi ................................................ Biblioteca SAT Riva del Garda ............................................................................................ di Stefano Reversi ...................................................... L’Alpinismo Giovanile ................................................................................................................. di Gilberto Mora ...................................................... Gruppo Rocciatori e d’Alta Montagna ......................................................................... di MoRe ......................................................................... La stagione 2011-2012 del Gruppo Sciatori Riva ............................................. di Alberto Zampiccoli ............................................ Manutenzione sentieri ................................................................................................................. di Silvano Moro ........................................................ Solitudine, compagnia, felicità ............................................................................................. di Tullio Dell’Eva ..................................................... Famiglie in... “avventura” .......................................................................................................... di Ruggero Carli ........................................................ Trekking sull’Etna ............................................................................................................................ di Alberto Maganzini ............................................

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Rubriche Sessant’anni a Santa Barbara .................................................................................................. di Erre ............................................................................. 83 Ne vegn da contarla ....................................................................................................................... di Roberto Angiolini ............................................... 88 Maddalene: l’anello del Monte Pin .................................................................................. di Sandro ....................................................................... 89 Due giorni a spasso sulle Bocchette ................................................................................. di “La banda allegra e lenta” ............................. 93 “Hai visto che sono salito quassù?” .................................................................................. di Alberto Maria Betta .......................................... 97 Quella strana risposta ................................................................................................................... di Matteo Muchetti .............................................. 101 Megagiro 2011 .................................................................................................................................... Alberto Zampiccoli ............................................... 105 Racconti Tè o madeleinette? ........................................................................................................................... di Bieffe ....................................................................... 111 Prusàc .......................................................................................................................................................... di Grazia Binelli .................................................... 112 “El condor pasa...” ........................................................................................................................... di Roberto Angiolini ............................................ 115 Una Satina... a Shanghai! .......................................................................................................... di Stefania Fenner ................................................. 117 Il passaggio segreto .......................................................................................................................... di Silvio Santoni ”Bacon” ................................. 123 Montagna e ambiente La mia avventura con Tita Piaz ........................................................................................... di Luigi Vettorato ................................................... 127 I primi centocinquant’anni ..................................................................................................... Gruppo Ragni del Masarach ........................... 129 Boomerang: “La via è la meta” ............................................................................................. di Marco Furlani ................................................... 131 Legati ma liberi ................................................................................................................................... di Walter Maino ..................................................... 137 Pizzo Bernina (4049 m), Biancograt .............................................................................. di Alberto Bertoldi e Davide Trebo ............. 141 Annuario 2012

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Fermare le emozioni Raccolta di scatti emozionanti ......................................................................................................................................................................................... 147 Storia Pregasina e la sua storia ............................................................................................................... di Bernardino Toniatti ....................................... 155 Antiche controversie per i confini ..................................................................................... di Ferdinando Martinelli ................................. 159 Loppio: si può recuperare il lago? ...................................................................................... di Paolo Ferrari ....................................................... 163 Dal mondo Samarcanda: un sogno, una meta ...................................................................................... di Danilo Angeli .................................................... 179 Patagonia y hierba mate ............................................................................................................. di Carlo Zanoni ..................................................... 187 Ringraziamenti ............................................................................................................................................................................................................................... 192

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

L’Annuario dei ragazzi a cura di Giorgio e Roberto

Panorama di montagna Eleonora cl. 3^ - Scuola A. Zadra Rione De Gasperi

LA SAT INCONTRA LA SCUOLA La nostra Sezione è presente anche quest’anno presso le scuole primarie dei Comuni di Riva del Garda Nago-Torbole e Tenno, con una lunga serie di interventi dei vari esperti ed accompagnatori, avendo lo scopo di creare un primo approccio con l’ambiente alpino nei suoi più svariati aspetti. A tutti i collaboratori va il più sentito ringraziamento per l’opera fattiva, svolta con professionalità e dedizione. Un particolare, doveroso ricordo va al maestro Roberto Giuliani, purtroppo recentemente scomparso, che, attraverso l’insegnamento del canto della montagna e popolare in genere, riportava gli alunni ad una delle nostre più profonde radici. La risposta ai vari interventi è contenuta nei lavori degli alunni dei quali può ovviamente essere presente solo una selezione, prodotti chiaramente ingenui, nei quali sono tuttavia verificabili una risposta e l’interesse per quanto loro prospettato. Gli organizzatori Annuario 2012

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

L’aquila e le volpi, viste dai più piccini

Alunni Sc. Materna - Rione De Gasperi

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Si va sulla montagna

Marco cl. 2^ - Scuola G. F. Fedrigoni Varone

Mattia cl. 2^ - Scuola G. F. Fedrigoni Varone Annuario 2012

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Gli animali predatori

Giovanni cl. 2^ - A Sc. GF. Fedrigoni Varone

Francesco cl. 2^- A Sc. GF. Fedrigoni Varone

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Le api e il loro magico mondo

Alunni cl. 3^ - O. Lucchi Tenno Annuario 2012

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

La gita sul monte Baldo

Il ritorno sul battello

Alunni cl. 5^ Nago

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

L’orso ha fatto amicizia

Arianna cl. 2^ B - Sc. GF. Fedrigoni Varone

La volpe in cerca di galline

Leonardo cl. 2^ B - Sc. GF. Fedrigoni Varone Annuario 2012

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Dalle poesie di G. Floriani

Nugole - Arianna cl. 2^- Sc. O. Lucchi Tenno

Come è nat el Garda - Gli angeli scavano la valle - Thomas cl. 2^- Sc. O. Lucchi Tenno

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

La speleologia

Luci nella grotta - Ariella cl. 4^- Nago

Stalattiti - Ettore cl. 4^- Nago Annuario 2012

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

La speleologia

Arriva l’esploratore! - Alessandro cl. 4^- Nago

Il sig. Silvano è venuto a spiegarci le grotte. E ci ha fatto vedere molte fotografie e l’attrezzatura che usano per scendere. Ho imparato che l’acqua nelle grotte è potabile. Ci ha detto che una grotta è come una montagna alla rovescia, perché invece di salire si scende. Nelle grotte ci sono le stalagmiti, che sono come dei piccoli tronchi, però di roccia, che crescono dal basso e le stalattiti, che però crescono dall’alto. Dopo migliaia di anni, le stalagmiti e le stalattiti si possono toccare, formando delle colonne.

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Animali e prodotti del bosco

Mi piace il camoscio - Laura - cl. 1^ B - Sc. N. Pernici Riva del Garda

Ho disegnato un fungo buono e uno velenoso - Matteo - cl. 1^ B - Sc. N. Pernici Riva del Garda Annuario 2012

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ATTIVITĂ€ DELLA SEZIONE

Le catene alimentari

‌la rana mangia la farfalla; la biscia mangia la rana, il falco mangia la biscia. Quando il falco muore, i microorganismi lo trasformano in sali minerali, che fanno crescere le piante - Chiara cl. 3^ A - Sc. A. Zadra Rione De Gasperi

Matteo cl. 3^- Sc. A. Zadra Rione De Gasperi

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ATTIVITĂ€ DELLA SEZIONE

Gita alle marmitte dei giganti e a Castel Penede

Le marmitte si sono formate dal ghiacciaio che formò questi grandi pentoloni - Marianna cl. 4^ A - Sc. N. Pernici Riva del Garda

Castel Penede sorge in alto rispetto a Nago. Abbiamo potuto entrare per visitarlo, abbiamo visto i merli e le feritoie. - Alessandra cl. 4^A - Sc. N. Pernici Riva del Garda Annuario 2012

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Incontro col medico - Salute in montagna

Più si sale in montagna e più l’ossigeno scarseggia. Bisogna quindi cercare di sprecare poche energie! - Ginevra cl. 5^ - Torbole

La parte che mi è piaciuta di più è quando ci ha parlato della vipera e come comportarsi quando morde. - Jason cl. 5^ - Torbole

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Glaciologia

...ci ha spiegato che il ghiaccio è formato da strati di cristalli ghiacciati con dentro aria e sabbia. La scienza che studia come si forma è la glaciologia. Nel mondo l’acqua dolce proviene per l’89% dai ghiacciai. Al polo sud il 98% della superficie è di ghiaccio. Gli studiosi fanno dei buchi che sono chiamati carote e così possono sapere quanti anni ha un ghiacciaio… Il ghiacciaio più grande d’Italia è l’Adamello. - Maddalena cl. 5^ A - Nago

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Zaino e fiabe

Vado sulla montagna con lo zaino, berretto, maglie e acqua scarpe grosse… - Annika cl. 1^- Sc. S. Alessandro

Mirtillo va in montagna! - Samuel cl. 1^- Sc. S. Alessandro

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

A me piace...

Il panda - Carlotta cl. 2^ C - Sc. GF. Fedrigoni Varone

L’uva fraga - Melissa cl. 1^ B - Sc. N. Pernici Riva del Garda Annuario 2012

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

A me piace...

Il leprotto - Dalila cl. 1^ B - Sc. N. Pernici Riva del Garda

L’orso - Andrea cl. 2^ C - Sc. GF. Fedrigoni Varone

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Gli alunni salutano tutti gli amici della S.A.T.!

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Le gite del 2012 GITE SOCIALI 26 feb 25 mar 22 apr 13 mag 27 mag 24 giu 21-22 lug 05 ago 10 ago 09 set 16 set

Escursione con ciaspole (da definire) Gita con ciaspole e scialpinismo a Punta Rocca Limone - Monte Bestone - Voltino di Tremosine Traversata: Monte di Cavalo - Monte Pastello - Dolcè Giornata dei sentieri Traversata: Lago di Calaita - Cima Folga - Zortea Punta Gnifetti Vigo di Fassa - Catinaccio d’Antermoia - Mazzin S. Barbara sotto le stelle Sul ponte tibetano più lungo del mondo Traversata: Passo Falzarego - Rifugio Averau e Nuvolau - Passo Giau

GITE VIP (VECCHIETTI IN PENSIONE) 26 gen Alpe di Siusi 12 feb Anterselva - Passo Stalle 26 feb 4 passi in attesa di polenta e mortadella 08 mar Val Ridanna 18 mar Due Laghi - Cavedine 01 apr Sentiero Frassati 15 apr Monte Calisio 29 apr Tre Santuari - Salò 13 mag Cascate di Barbiano e Dreikirchen 27 mag S. Leonardo in Passiria - Merano 10 giu Corno d’Aquilio - Lessini 24 giu Alpe di Siusi - Bullaccia 05 lug Paneveggio - Val Venegia 12 lug Val Badia - Pralongià 22 lug Monti Tauri 02 ago Ortisei - Seceda 12 ago Val Sarentino - Cima S. Cassiano 26 ago Passo S. Pellegrino - Pozza di Fassa 31 ago / 1 set Bernina - St. Moritz - Bormio 09 set Lago di Resia - Castelbello (bicicletta) 20 set Anterivo - Salorno 30 set Lana - San Vigilio - Naturno 11 ott Fie allo Sciliar - Malga Tuf 21 ott Pranzo di chiusura 11 nov Castagnata dic Artigiano in Fiera - Milano ALPINISMO GIOVANILE 15 gen Ciaspolada in val di Funes rif. Genova 11 geb Ciaspolada in notturna a Tremalzo 11 mar Ciaspolada dal lago di Carezza a Obereggen Annuario 2012

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

15 apr 22 apr 5 - 6 mag 3 giu 24 giu 14-15 lug 29 lug 11 ago 24-25-26 ago 26 ago 9 set 22-23 set 21 ott 4 nov 1 dicembre

Fsta dell’ambiente Arrampicata in Lomasona Giocalp Traversata Riva - Limone IN bicicletta da Dobbiaco a Lienz Trekking nelle Maddalene Rifugio Carè Alto e Cannone Notturna sullo Stivo Trekking regionale Sentiero della Regina Raduno regionale Ferrata di Cima SAT con il GRAM Sentieri delle Rogge da Lana a Castel Tirolo Rio Salagone Serata conclusiva

IN MONTAGNA CON LE FAMIGLIE 22 gen Uscita sulla neve 19 feb Uscita sulla neve 4 mar Giro dei Tre Santuari (Salò) 25 mar Pieve di Ledro - Mezzolago 06 mag Gruppo Lessini - Parco delle Cascate 20 mag Campi - Scavi S. Martino 10 giu Trodena - Monte Corno 7.8 lug Predaia - Sores - Corno di Tres 4.5 ago Lago Neves - Rif. Porro - Rif. Ponte di Neve 14 ago Rifugi Graziani - Chiesa all’Altissimo (notturna) 2 set Passo S. Pellegrino - Rif. Selle - Val S. Nicolò 30 set Caset - Malga Giù 14 ott Monte Brento - Baita Cargoni GITE PROGETTO “SOPRAIMILLE” Sab. 14 gen Sci di fondo al passo Coe Sab. 25 feb Ciaspole e slittino al rifugio Graziani Sab. 17 mar Monte Castello di Gaino-Toscolano Sab. 21 apr Sasso di San Valentino - Gargnano Sab. 19 mag Passo Durone - Cima Sera Sab. 9 giu Cima Parì da malga Trat Sab. 21 lug Cima Nera dal rifugio Larcher alla val di Rabbi GITE PROGETTO “SAT & BIKE” 15 apr Mantova e dintorni 06 mag Cntine Pisoni - Pergolese 27 mag Giro dei prati imperiali in val dei Mocheni 24 giu Paganella Bike 15 lug Giro del Fanes 12 ago Malga Giumella (val di Ledro) 2 set Valle Aurina 29-30 set Altopiano del Renon (2 giorni)

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Assemblea generale elettiva ordinaria 18 febbraio 2012 - Relazione del Presidente della Sezione SAT di Riva di Marco Matteotti Signore e Signori, Autorità, Socie e Soci della SAT, buonasera, a Voi tutti il più cordiale benvenuto ed un grazie per essere intervenuti a questa Assemblea Annuale, momento centrale della vita della Sezione. Voglio ringraziare per averci fatto l’onore della loro presenza gli Assessori Alessio Zanoni, Mirella Serafini, Renza Bolletin, il Vice Presidente della SAT Claudio Bassetti, la Consigliere Cinzia Marchi, il Cons. Centr, CAI Franco Giacomoni, il Presidente Commissione dei 12, Mario Malossini. L’appuntamento di oggi è tra quelli più importanti: si chiude il mandato triennale del Consiglio direttivo e del Presidente, e si scelgono gli uomini e gli indirizzi guida dei prossimi tre anni. Tempo quindi di bilanci e di scelte. Veniamo dunque ad esaminare lo stato della Sezione alla luce dell’anno concluso e dei tre andati in archivio. Voglio qui ricordare una naturale necessità: abbiamo bisogno di forze fresche, volontari che ci diano una…botta di entusiasmo e una mano soprattutto nelle attività … diciamo più muscolari; la motivazione è perfino ovvia, richiedendo infatti i lavori di manutenzione delle varie pertinenze sezionali un impegno continuo. Oggi poi, con lo sviluppo della Sezione, abbiamo bisogno anche di volontari che ci aiutino a razionalizzare ed organizzare i vari progetti che sono lievitati, Annuario 2012

spesso magmaticamente. Cominciamo ad esaminare per capitoli le attività svolte: GITE SOCIALI Il risultato di partecipazione anche quest’anno è stato lusinghiero, con 600 presenze su 13 giornate/uscita nelle escursioni più impegnative. I miei complimenti a Maurizio Torboli e agli altri capogita che assolvono con onore questo compito e che hanno portato la Sezione alla positiva situazione odierna: il continuo studio volto a proporre nuovi terreni di uscite, più la ricerca di tipologie di gite che accontentino sia gli amici che tradizionalmente partecipano alle nostre uscite, sia i palati più giovani, più ruspanti, continua a dare i suoi frutti, che si riverberano in tutte le attività sezionali. Ringrazio Gianni Zanolli e Maurizio Torboli per l’ottimo lavoro compiuto confezionando un sempre più bel libretto del calendario gite. Con piacere rilevo che, grazie all’impegno dei due rispettivi responsabili, continua la collaborazione nella stesura del calendario gite con la Sezione di Arco. Sicuramente questo settore di attività ha avuto uno particolare sviluppo negli ultimi anni: infatti si sono proposti ai Soci nuovi pacchetti di programmi gite, individuando target ben definiti 39


ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

del nostro corpo sociale. Questa evoluzione ci ha portato a varare un nuovo regolamento gite, già presentato nel libretto di quest’anno. Saluto quindi: -- i V.I.P., i Vecchietti In Pensione: protagonisti da sette anni di escursioni con caratteristiche di semplicità del terreno, non troppo lunghe né con eccessivi dislivelli, con un successo di partecipazione da far invidia ad intere Sezioni del CAI; -- I bikers di SAT & Bike: ci si basa sull’incontro dell’esperienza tecnica di bikers esperti con l’esperienza SAT in ambito escursionistico, per dare informazioni, indirizzi, supporti tecnici e didattici, nella convinzione che la montagna sia patrimonio di tutti e per giungere ad incentivare la conoscenza e il rispetto del territorio: un intervento su un terreno minato, dove negli anni sono scorsi fiumi di inchiostro e urlate cavillose quanto sterili elucubrazioni pertinenti l’impatto di suole, ruote chiodi con invettive in tutte le direzioni. Un settore che, con il costituendo tavolo in Assessorato a Trento per normarne l’attività, torna a essere sotto osservazione: tra i “rumors” e i “boatos” dei professionisti, speriamo che qualcuno si ricordi della nostra esperienza amatoriale, tra il resto accumulata in uno dei territori più esposti. -- Gli alpinisti del GRAM, punto di riferimento, di supporto e d’aggregazione per lo svariato mondo dell’alpinismo. Per dare un’idea: sono state portate a termine svariate uscite sul Tracciolino, notturne con le ciaspole, giornate d’arrampicata con i bambini, gite sociali alpinistiche, i venerdì in palestra. Interessante il recupero della figura del Socio aggregato, in aggiunta all’aspirante ed effettivo, dando così la possibilità a tutti i soci CAI e SAT, anche non appartenenti alla Sezione di Riva, di associarsi al GRAM, rendendolo così accessibile a tutti. Particolare importanza è poi l’attività di promozione di serate ed uscite propedeutiche alla conoscenza per la sicurezza in montagna. -- I bambini e i genitori di “in montagna con le 40

famiglie” con cui sono state portate a termine, nel nono anno del progetto, 14 uscite e dove siamo arrivati a conquistare con bimbetti di quattro anni, il nostro tremila, nel gruppo del Cevedale. Con il 2009 abbiamo avuto un’ulteriore evoluzione, con l’inizio dell’attività di altri tre capi - gita e con quest’anno analogo impegno di papà membri della locale stazione del Soccorso Alpino. Insomma, passando da esperienze e con amici accompagnatori sempre diversi, cerchiamo di lasciare sempre un piccolo seme di interesse, foriero di satini sempre più appassionati. Ricordo i riconoscimenti conseguiti dal progetto “In montagna con le famiglie”: è stato conferito alla Sezione il marchio Family in Trentino sia per il progetto in se, sia per la politica tariffaria rivolta alle famiglie numerose. Con quest’anno siamo soggetti promotori, con il Comune di Riva del Garda, della formazione del Distretto family. -- I ragazzi e gli accompagnatori del gruppo di Alpinismo giovanile: grazie all’impegno dell’Accompagnatore di A.G. Gilberto Mora, ha iniziato a macinare gite e riunioni in Sede, con l’aiuto di 5 genitori anche loro impegnati nell’attività di accompagnamento. Questo gruppo è particolarmente importante perché prosegue l’attività inoltrandosi nell’età delicata dell’adolescenza, evitando le frustrazioni e i paletti caratteristici dell’agonismo, ma accompagnando insieme ragazzi e ragazze, nel loro crescere, quando iniziano a chiedere indipendenza e a cercare prove materiali del loro maturare. Un plauso particolare va a tutti coloro che collaborano al gruppo di turno a S.Barbara e al bellissimo fascicolo che riporta le impressioni e le foto dei grandi e dei ragazzi nell’attività di A.G, giunto ormai alla 4^ edizione. In prospettiva, un progetto altamente auspicabile, sarebbe riuscire a realizzare un gruppo di A.G. che arrivasse a coprire l’età dei ventenni e che, anche per raggiungere una massa gravitazionale sufficiente al funzionamento, fosse sopra sezionale, ad esempio con gli amici Annuario 2012


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di Arco, e del Bleggio e della Val di Ledro. Per vicinanza d’argomento, veniamo ora ad un altro settore del Progetto giovani, che è quello rivolto alla scuola. Data la caratteristica dell’attività, il bilancio viene tenuto alla fine dell’anno scolastico, ma possiamo ormai dire che il risultato medio negli anni è stato di aver avuto sopra i 4000 contatti annuali con i ragazzi e 3/400 con gli insegnanti, in classe o accompagnati sulla Rocchetta, fino a S.Barbara, oppure al Bastione e S.Maria Maddalena o sul Brione, i più piccoli, oppure a Trento alla stazione meteo della Provincia, sull‘Altissimo, a Campi e alla zona archeleologica di S.Martino, alla Baita Floriani, a Malga Zures Dos Casina, sul sentiero Busatte -Tempesta, alla caccia al Rifugio presso il Parco della Miralago, al bosco Caproni con le cave di oolite, a dormire al Rifugio Nino Pernici. Quest’anno inoltre, in collaborazione con l’Assessore all’Istruzione Renza Bollettin e le giardinerie comunali, abbiamo distribuito in tutte le scuole aderenti il progetto 1800 piantine aromatiche. Prima di ogni uscita i nostri volontari passano nelle scuole, e, d’intesa con gli insegnanti, danno informazioni e dimostrazioni propedeutiche per l’escursione. In particolare sta funzionando l’approccio che abbiamo scelto, 9 anni fa, su suggerimento del Socio Ferdinando Martinelli: lavorare rispettando gli obiettivi didattici e quelli educativi della scuola. All’attività collaborano Soci S.A.T., anche di altre Sezioni, in qualità di esperti, il Museo civico, il Comitato storico SAT, le Guide Alpine Arco, G.A.M. di Malcesine, Associazione “la Bacionela” e i gruppi A.N.A. del comprensorio, la Forestale, i Vigili del Fuoco, il Soccorso Alpino, il Comitato glaciologico trentino, Museo Tridentino di Scienze Naturali, Gruppo cani da ricerca: amici che ringraziamo per l’aiuto prestato e la loro disponibilità e simpatia. PROGETTO “SOPRAIMILLE” Il progetto, giunto al IX° anno di attività, nato da un gruppo congiunto di operatori sanitari Annuario 2012

del Centro Salute Mentale e di soci della SAT di Riva e Guide Alpine, dopo una fase di attenta progettazione, ha avviato la vera e propria attuazione basata su un gruppo di persone che frequentano, per i propri disagi o problemi, il CSM, allo scopo di sperimentarsi e raggiungere, attraverso l’esperienza dell’ “andare in montagna” una serie di obiettivi di primaria importanza per la propria personalità. Ricordo che, con il costante appoggio dell’assessorato alle politiche sociale del Comune, è stato firmato un protocollo d’intesa con l’Azienda sanitaria in cui sono stati presi dalle due parti precisi impegni per la prosecuzione e le modalità del progetto. In particolare è stata avviata l’attività di report, in modo di aver un costante monitoraggio e analisi scientifica del lavoro svolto. L’attività ha comportato numerose escursioni ed incontri in sede. Tutti i partecipanti, che aumentano di anno in anno, si sono iscritti alla Sezione. SENTIERISTICA Silvano Moro e i suoi Volontari anche quest’anno hanno assolto in modo esemplare il compito del controllo e della manutenzione dei sentieri, garantendo l’ottima accessibilità ai 110 km di sentieri che ci sono affidati. Questo impegno è uno dei più importanti che la SAT assolva: garantire la frequentazione del territorio montano in modo agevole e sicuro è la condizione necessaria per portare la nostra gente a rituffarsi nell’ambiente montano che è la culla di quella cultura alpina che rappresenta le nostre radici. Gli ultimi anni sono risultati particolarmente impegnativi per la necessità di por mano a tutte le ferrate della Sezione: grazie alla collaborazione della Commissione Sentieri ed Escursionismo, abbiamo riammodernato la Ferrata delle Laste, quella di Cima Rocca e la Foletti, quella di Cima Capi e messa in sicurezza quella di Cima SAT, di cui quest’anno ricorre il 40° anniversario della costruzione. Quest’anno siamo riusciti a sistemare e fare catastare il nuovo sentiero n. 480 nel Tennese. 41


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Con un occhio all’ormai prossimo anniversario del centenario della Grande Guerra, abbiamo intrapreso la sistemazione di un sentiero di arroccamento alla base di Cima Capi e, insieme al Comune di Nago Torbole, l’ANA di Nago, gli Scout, stiamo sistemando un sentiero “della Memoria”, che partendo da Torbole con la valletta di S.Lucia, possa toccare Castel Penede, la zona del Segron, Malga Zures, Doss del Mosca, Baita della Selva, Doss Casina, Doss Alto per poi tornare a Malga Zures. Permane sui nostri sentieri il problema del transito dei mezzi meccanici: la nostra speranza è che il tavolo provinciale porti a qualche concreto risultato. Restiamo convinti che in questo campo la confrontetion tra noi e gli altri soggetti che ci concupiscono il territorio sarà continua: risulteremo competitivi nei continui negoziati solo se riusciremo a porci come soggetti di alto profilo, presenti su tanti terreni di gioco, anche mass mediatici, post - moderni. ATTREZZATURA È continuato il rinnovo e l’implementazione dell’attrezzatura in dote alla Sezione, come corde da roccia e da ghiacciaio, piccozze, ramponi, imbracature, ciaspole, gps, radio rice - trasmittenti ecc. Analogo discorso è stato portato avanti per rendere la Sede sociale aggiornata tecnologicamente, per consentire di tenere serate, corsi, riunioni con tutti i sistemi informatici in uso. Il tutto è stato inventariato, secondo le indicazioni del Tesoriere e dei Revisori dei conti. Ricordo inoltre l’impegno finanziario ed organizzativo portato avanti da Rudy Simonetti e Andrea Hainzl per proporre un’offerta vantaggiosa di capi di vestiario tecnico marchiato SAT Riva ai nostri Soci (giacche a vento, magliette, pantaloni, body da mtb). Lo sforzo finanziario in questo settore è stato particolarmente importante per adeguare il materiale alpinistico alle normative sempre in evoluzione: quando ci si muove in gita sociale, con i bambini o i ragazzi (ricordo ad esempio la 42

Festa dell’Ambiente organizzata col GRAM, il Comitato Cis e l’Assessore Bollettin) o come in occasione delle prove pratiche dei convegni “sopraimille” al Pernici, la Sezione deve avere tutto “burocraticamente” a posto. Tutto il materiale è a disposizione per supportare i Soci nelle Gite sociali, oppure viene prestato, dietro cauzione, a Soci e cittadini per singole uscite. Il tutto è gestito con apposito regolamento, consultabile anche sul sito. BIBLIOTECA Da quel ormai lontano 12 febbraio 2004, la biblioteca è aperta e a disposizione di Soci e cittadini. Dal 2005, visto che si è ormai concretizzato un movimento di utenti e per garantire ai “bibliotecari” spazio e tempo per il loro grosso lavoro di catalogazione e riordino, la serata del venerdì è stata dedicata all’apertura. Nello scorso anno i libri prestati sono stati più di 250. Quelli nuovi, comperati dalla Sezione, 170. Ricordo che per decisione del Direttivo vengono imputati a questo capitolo di spesa almeno €1.000,00 all’anno, e che gli € ricavati dalla vendita dei volumi editi dalla Sezione vanno a rimpinguare il suddetto budget. Ricordo che è stato portato a termine l’acquisto dell’intera serie di cartine Tabacco ad 1:25.000 riguardanti la nostra regione, con l’integrazione di numerose cartine Kompass. Dal 1 febbraio 2005 è possibile consultare il catalogo sul sito sezionale www.satrivadelgarda. it.: grazie al lavoro di Maura è sempre aggiornato e facile da utilizzare. Un grazie a Stefano, Roberto, Flavio, Albano, Giovanni e Massimiliano e agli altri amici che hanno centrato questo magnifico obiettivo, di cui sono particolarmente orgoglioso. Un grazie particolare poi ad Anna e Marina che sono riuscite a rimettere in ordine con pazienza certosina scaffali ed armadi. Per finire sottolineo che donazioni di libri da parte di Soci e cittadini sono (sarebbero), graditissimi. Annuario 2012


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RIFUGIO NINO PERNICI -- Rileggendo la relazione del 2006 mi ha colpito questa frase: alla fine dei due ultimi anni di lavoro, abbiamo un rifugio veramente efficiente e rinnovato, con una spesa complessiva di circa € 100.000,00, di cui il 30% a carico della Sezione. Particolarmente importante è stato l’aiuto come sempre puntuale della Sede Centrale di Trento. Con mia personale soddisfazione negli ultimi dieci anni il Rifugio è stato rigirato come un guanto e oggi chi entra al Pernici ha subito una “buona sensazione”. In concreto abbiamo aperto le due finestre nella parete del salone che guarda la Mazza di Pichea, coibentato e rivestito in legno il salone stesso, oltre a tutta una serie di migliorie delle varie reti tecnologiche. Abbiamo festeggiato l’ottantesimo del Rifugio con l’inizio delle aperture nelle domeniche invernali: verificate le date in bacheca e sul sito. Un riscontro lo abbiamo avuto anche sulla “Rivista” del CAI, uscita con un approfondito articolo a firma di Piergiorgio Repetto, rimasto colpito nell’estate dal nostro Rifugio. -- a due anni dall’insediamento del nuovo gestore Marco Deguelmi, si riparte, con una previsione di spesa raddoppiata e con l’aiuto importantissimo della Commissione Rifugi, del Geom. Livio Nordin, e del nostro socio, Ing. Flavio Pedrazzoli: -- è in corso la fase progettuale per coibentare tutto il piano superiore (per i pernottamenti invernali) ed aumentare il numero delle camere per consentire un più continuo “turismo scolastico”. Gli importi dei preventivi sono sicuramente molto impegnativi, ma la politica sezionale continua ad essere quella di investire per rendere più forte e sicuro il futuro di chi lavora e vive con e in montagna. RIFUGIO S. PIETRO -- Ricordiamo che è stata portata a termine la trasformazione del sottotetto in mansarda abitabile, che è stato acquistato un nuovo geneAnnuario 2012

ratore, la macchina per il caffè, la lavastoviglie e finalmente lo scaldaacqua. Il costo complessivo di questi interventi è stato di alcune decine di migliaia di euro. -- nell’ultimo anno e mezzo abbiamo portato a termine la riverniciatura di tutti gli infissi esterni: un lavoro approfondito, costoso e tutto sulle spalle della sezione, che però ce ne garantisce l’integrità per vent’anni. -- Abbiamo poi acquistato i nuovi tavoli esterni, che abbiamo posizionato sia qui, sia al Pernici sia a S. Barbara! -- Il Comune di Tenno, che ringrazio per l’aiuto che ci offre sia per questo Rifugio, sia per il progetto con le scuole del Comune, da tempo ha presentato in Provincia il progetto di massima per la costruzione di una rete idrica e contemporaneamente della messa in opera delle rete elettrica. Con i lavori siamo ormai in dirittura d’arrivo: il problema è aperto sul fronte burocratico, per evitare esborsi sproporzionati alla Sezione ed ottenere i contributi spettantici dalla Provincia. Su questo fronte abbiamo l’impegno prezioso e continuo del socio Claudio Fedrizzi. -- Si è coinvolto il Rifugio nelle attività della Sezione, con il SAT DAY dell’ottobre scorso ma soprattutto con il Progetto Distretto Family. L’impegno congiunto della Sezione e del Gestore è di creare le condizioni per giungere alla concessione del marchio Family a questo Rifugio della SAT. -- È stata effettuata la verifica dello stato della rupe e il disgaggio dei massi pericolanti da parte degli amici del Soccorso alpino. -- APERTURA: completa da giugno a settembre e, per tutto l’anno, nelle giornate festive e prefestive. Per la buona gestione che nella scorsa primavera ha toccato il traguardo del 28° anno, ringrazio il gestore Enzo Santoni, veramente un fedelissimo. BAITA FLORIANI La Baita è agibile. Ricordo la forte motivazione che ha spinto il direttivo ai nuovi investimenti 43


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e lavori per la sua perfetta ristrutturazione, a ricordo del poeta Floriani. Quest’anno scolastico ha visto varie classi frequentare questo sito, all’interno della programmazione del progetto “La SAT incontra la scuola”. Ringrazio ancora una volta il nostro “Bacon”, per l’amorevole cura con cui ha arredato l’interno e custodisce l’intera struttura. CAPANNA S.BARBARA -- Viene garantita l’apertura della Capanna nei giorni festivi da ottobre a giugno, compatibilmente ai problemi dati dal gelo, e nei giorni feriali per l’attività del Progetto giovani - scuola e per occasionali appuntamenti con altri gruppi; a questo lavoro di volontariato partecipano, con una rotazione di 6 gruppi, più di 50 Soci: per tutti ringrazio Marco Tamiozzo per quella che è una delle più belle realtà del nostro volontariato. -- D’intesa e a carico della proprietà, il Comune, è progettato un magazzino per gli attrezzi da situarsi nella parte a monte della Capanna. Purtroppo i lavori non sono ancora iniziati nonostante l’impegno degli uffici comunali a superare i vari iter burocratici richiesti per le deroghe necessarie, in particolare a livello provinciale in quanto il “pascolo” è inserito in zona sismica. Devo anche dire che, grazie all’interessamento dell’Assessore Alessio Zanoni, ora abbiamo a Varone, presso i Verbiti, un magazzino attrezzi, utilissimo come snodo a valle, in particolare per la Commissione sentieri, e adatto a compensare in parte le nostre necessità in quota. -- Permane il problema delle perdite d’acqua sulla tagliafuoco, con le conseguenze di buche, ghiaccio, e pericolo crolli conseguenti. -- Il lavoro più importante effettuato quest’anno è senza dubbio il rinnovo completo della cucina: rinforzate le strutture murarie, sistemati punti luce con relativi infissi e rinnovata tutta l’attrezzatura interna. Detta così...’na paja. Per tutti i volontari che hanno impegnato forze e 44

ferie per affrontare quest’impegno, penso di interpretare il pensiero di tutti i soci chiedendo un fortissimo applauso di ringraziamento. -- In data 4 dicembre, è stata riproposta la tradizionale Festa di S. Barbara. Grande piacere ci ha fatto avere con noi negli anni il parroco monsignor Giovanni Binda e ora don Michele uniti alla SAT di Riva per rispettare l’impegno di far celebrare ogni anno una S.Messa in occasione della festa della Patrona, assunto nel 1928 alla consegna in custodia della Cappella. -- Penso non ci siano parole per ringraziare tutti i volontari che, domenica dopo domenica, tengono viva una delle più belle tradizioni rivane: quando da piazza vedete la bandiera, pensateci e sorridete: noi siamo lì! APPUNTAMENTI CULTURALI L’impegno della Sezione in questo campo continua, passando dagli appuntamenti di La SAT incontra la scuola con momenti dedicati agli scrittori e a i poeti, alla coralità. Un altro campo d’impegno è quello di far conoscere a Riva Alpinisti di alto livello con serate apposite come è stato ultimamente con Fausto De Stefani. La Sede sociale di Porta S.Marco è inoltre a disposizione per le riunioni delle Associazioni culturali: -- Associazione Amici di Bensheim -- Associazione Riccardo Pinter PUBBLICAZIONI -- GENNAIO: Pubblicazione ”libretto gite sociali 2012” in 3000 copie distribuite gratuitamente e spedite ai Soci e a 88 Sezioni SAT. -- MAGGIO: Pubblicazione della 42^ edizione del nostro “Annuario 2012”, stampato in 2600 copie di 200 pagine, offerto gratuitamente e spedito ai Soci, alle Biblioteche, alle 88 Sezioni SAT e portato nei Rifugi alpini della Regione. La collaborazione di Valentina e Flavio Moro ci consente di proseguire ad editare con successo questa prestigiosa pubblicazione dopo che Massimilano Floriani ha passato la mano, essendo Annuario 2012


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ora Assessore alla cultura ad Arco. Un ulteriore miglioramento grafico lo abbiamo apportato con l’introduzione del colore, che consente di fruire pienamente delle fotografie proposte. -- BOLLETTINO SAT: partecipazione attiva alla pubblicazione bimensile edita dall’Organizzazione Centrale. -- MANIFESTI - LOCANDINE - VOLANTINI per la divulgazione dell’attività sezionale. -- STAMPA LOCALE E CAI : presenza costante per la divulgazione dell’attività sezionale. -- Libretto edito da Alpinismo giovanile, sull’attività annuale . -- L’evento dell’anno 2011 comunque è rappresentato dal nostro libro “Emozioni in cammino” curato da Marco Matteotti e Paolo Liserre, che, uscito due anni fa, ha ottenuto il riconoscimento della segnalazione della Giuria al 40° Premio Itas, al TrentoFilmfestival. -- SITO www. satrivadelgarda.it : dopo che è stato completamente riammodernato nel 2008, fa piacere vedere quante numerose siano le visite che il contatore memorizza: a tutt’oggi sono già più di 150.000. Vorrei ricordare ai Soci che il sito, oltre alle informazioni d’uso sulla nostra attività, la completa rassegna stampa dal 2003, le gite sui nostri sentieri, foto di gite sociali, l’aggiornamento dei titoli della biblioteca sezionale, grazie all’impegno del Socio Andrea Hainzl, viene aggiornato almeno settimanalmente, con gli appuntamenti dei sette giorni. -- Abbiamo aperto una pagina anche su Faceboock, raggiungendo quota 4000 amici. ATTIVITÀ DI GESTIONE DELLA SEZIONE -- Il Consiglio direttivo si è riunito per 40 sedute, di consuetudine il martedì. -- Sono state tenute varie riunioni in Sede centrale a Trento, da parte del Presidente, del VicePresidente, del Consigliere centrale, dei Responsabili dei vari settori d’intervento. Vorrei rimarcare in questa sede, la gratitudine e l’amicizia verso tutto il personale di SAT Annuario 2012

Organizzazione Centrale, a cominciare dal Presidente Piergiorgio Motter. -- Sempre come attività di gestione, sono stati tenuti più incontri con l’Amministrazione comunale, sia per ragguagliare sui nostri progetti, sia per concordare attività condivise. -- Vorrei rimarcare in questo contesto la presenza a Trento del Consigliere Centrale Carlo Zanoni, di Gilberto Mora nella Commissione Alpinismo Giovanile, di Gianluca Malcotti nella Commissione Rifugi, di Maurizio Torboli nella Commissione Sentieri ed Escursionismo, di Mauro Grazioli nella Redazione del Bollettino SAT, di Elena Guella nella TAM., di Sandro Carpineta nella Commissione centrale sanità del CAI. -- Un grazie dunque a tutti coloro che si adoperano per il governo della Sezione, ad Arturo Giovanelli e Giorgio Galas che mi hanno aiutato come Vicepresidente in questo terzo mandato, mettendo a disposizione la loro preziosa esperienza e ai Soci che hanno voluto impegnarsi di persona, a qualsiasi titolo, nel lavoro in Sezione. -- Per quanto riguarda la situazione finanziaria, lasciandone l’analisi all’apposita relazione del dott. Nello Santorum, voglio sottolineare la sana situazione economica della Sezione. L’andamento di cassa, sta a dimostrare la vitalità della Sezione, e come i “soldi” girino, linfa vitale per le tante attività in cui siamo impegnati. L’esperimento di dotare ogni responsabile di settore di un proprio budget continua a funzionare creando momenti di condivisione delle responsabilità, con piena soddisfazione mia e del Consiglio direttivo. Anche quest’anno il Comune è stato generoso: i finanziamenti che sotto diversi capitoli ci sono giunti dall’Amministrazione sono cifra che sta a testimoniare quanto la nostra presenza nel tessuto sociale della città sia apprezzata. Ma anche la Cassa Rurale Alto Garda continua a sostenerci, supportando in particolar modo la nostra attività nel mondo giovanile, mantenendo 45


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il suo cospicuo incentivo finanziario. Di questo siamo particolarmente grati al Presidente Enzo Zampiccoli. Ma altri numeri importanti sono quelli delle persone che abbiamo portato in montagna: le gite sociali, con 700 presenze su 15 giornate/ uscita, dei VIP con 1500 presenze, di Sat & Bike con 100 presenze, le gite de “in montagna con le famiglie” con 1600 giornate presenza, gli incontri o in classe o in montagna di “la SAT incontra la scuola”, con 4000 giornate presenza, le escursioni o gli incontri in Sede del progetto “sopramille” con 300 giornate presenza, le gite di A.G.con 500 presenze. Vi sono poi i numeri delle centinaia e centinaia di persone coinvolte nelle serate culturali, o nelle serate presso l’Hotel Liberty. -- Il tesseramento, iniziato in gennaio, si è protratto fino al 30 settembre, come da Statuto: la Sezione è passata da 1502 a 1572 Soci. (nove anni fa eravamo 764). Numeri impressionanti, che ci hanno portato ad interrogarci su quali possano essere i meccanismi di questa forte, continua crescita. Cito dalla relazione al 98° Congresso CAI di Predazzo del Prof. Gaido: “oggi vengono richiesti tempi di reazione più rapidi alle sollecitazioni del pubblico (per fare un esempio, del fenomeno delle MTB ci si è occupati con almeno 10 anni di ritardo), migliori capacità di comunicare all’esterno, un’ immagine rinnovata e infine un’offerta di formazione e accompagnamento non basata sul puro tecnicismo ma anche sul bisogno di socializzazione e relazione del pubblico di oggi”; nella medesima sede il Prof. Walter Gerbino dice: “il nucleo della ragione associativa è il contagio dell’entusiasmo di alcuni a beneficio di molti.” Al momento l’unica risposta che ci permettiamo di sottoporvi, anche con le chiavi interpretative di cui sopra, sta nell’individuazione della tipologia dei progetti che la Sezione ha messo in campo: non a spot, ma a lunga programmazione, di risposta a bisogni, con una continua penetrazione 46

nel tessuto sociale della città e quindi con un ritorno rilasciato nel tempo. I numeri non raccontano né tanto meno spiegano le dinamiche che hanno prodotto certe realtà: sicuramente siamo fieri dei nostri progetti ma vi sono fattispacie che meriterebbero un’analisi, una discussione e magari qualche correttivo. Quest’anno, ad esempio, torniamo ad avere un motivo di riflessione, che si è anche riportato all’attenzione del vertice SAT, nella riunione intersezionale tenutasi a Mori una quindicina di giorni fa: anche quest’anno abbiamo avuto un 10% circa di mancati rinnovi, che alla luce, della crisi economico - sociale che bussa anche nelle tasche trentine, dell’odierna tendenza alla volitizzazione della fedelizzazione sociale e con la politica tariffaria a favore delle famiglie che la nostra Sezione ha posto in essere, ci ha portato ad un saldo positivo annuale di 70 Soci. Ma ciò che fa pensa re è che questa perdita si è avuta mediamente in tutta la SAT, e non sempre è stata sostenuta da nuovi arrivi! Ritorno quindi a ripetere, come l’anno scorso, che qualche domanda a livello Società degli Alpinisti Tridentini sarà meglio porsela subito, ipotizzando uno studio per conoscerci meglio, uno studio che disaggregasse i dati in nostro possesso e ne traesse linee guida sulle aspettative del nostro corpo sociale, sarebbe veramente utile. Ma, a questo punto, bisogna anche cominciare a ragionare sia fra noi SAT, che con il CAI, in merito ad un qualche contenimento delle spese sia da un punto di vista della comunicazione di un’immagine virtuosa, che i nostri volontari si sono meritati con l’impegno ed il sudore, sia con una risposta che consenta una politica tariffaria capace di contenere le difficoltà congiunturali, dando esempio di solidarietà di gruppo. Come ci siamo già detti alla Chiesetta di S.Barbara e nelle serate pre natalizie, il vento della crisi, i pericoli della globalizzazione ci caricano di ulteriori responsabilità, se vogliamo mantenere quel ruolo di medium culturale tra valle e città e di capacità di mantenere viva la nostra identità Annuario 2012


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culturale. Come ben scrive Annibale Salsa, “occorre arrestare la tendenza già in atto verso una contrapposizione netta tra montagna e pianura, tra estraneità e appartenenza, fra marginalità e centralità. La velocizzazione della storia non consente di indugiare su proposte nostalgiche di un ‘pianeta montagna’ arroccato dentro il suo splendido isolamento. Salvare la montagna significa uscire fuori dalla alternative apparentemente inconciliabili di una montagna ‘terreno di gioco’ o ‘polmone verde’ per le città asfittiche della pianura da un lato, oppure riserva di materie prime, come acqua e legno dall’altro lato”. “BEC’” Son convinto, siamo convinti, che bisognerà riuscire a far condividere i progetti innovativi che hanno consentito a sezioni come la nostra di prosperare in questi anni: permettetemi di citare ancora l’ex Presidente del CAI Annibale Salsa: Il termine di identità evoca spesso il concetto di tradizione, nella sua accezione di comportamenti sociali ereditati dal passato, cristallizzati e codificati nel tempo e quindi immodificabili. In realtà le identità collettive o individuali non possono essere intese come statiche. Le identità si formano per contaminazione e stratificazioni. “L’identità si alimenta di nuovi apporti, si rinforza infatti allorquando il nuovo che avanza viene metabolizzato e non già respinto.” Da parte del Consiglio direttivo sezionale, oltre ai nuovi progetti degli ultimi anni, traendo spunto da idee intrecciatesi durante passate escursioni con il Presidente Motter, si è deciso di sperimentare un iter in grado di portarci al tesseramento con la possibilità di pagare tramite RID bancario, con ovvia facilitazione sia per il Socio che per la Sezione: soprattutto il Socio con il I° gennaio sarà reiscritto senza pericoli di dimenticanze o di scadenze di termini ai fini assicurativi, mentre la Sezione potrà godere di una notevole semplificazione numerica e di una fedelizzazione più certa. A tal scopo ricordo che è stato predisposto un primo modulo per una raccolta dati tale da consentire alla fine dell’anno un ordinato invio dei RID raccolti. A tal fine è stato anche costituito un Annuario 2012

apposito gruppo di lavoro che fa capo a Giorgio Galas, Carlo Zanoni, Claudio Fedrizzi e Adriano Boccagni, e soprattutto Rosanna Giacomolli che già ringrazio per la disponibilità. Un’ ulteriore risposta alle esigenze del futuro sta comunque venendo dal lavoro che si è fatto per comporre la lista, oggi sottoposta al vostro voto, degli aspiranti Consiglieri: un po’ per motivi personali, un po’ per evitare l’accumularsi di infiniti mandati, e soprattutto per consentire che il ricambio possa avvenire in maniera graduale, oggi siamo chiamati a votare con tre Consiglieri uscenti che non si ripresentano. Vi chiedo un applauso per Nicoletta, Marco, Andrea. Ringrazio Arturo Giovanelli per essersi accollato l’onere della gestione del tesseramento, questo importante momento burocratico della vita di Sezione e Sergio per la disponibilità, ricordando il riferimento per chi vuole rinnovare l’iscrizione ed avere materiale informativo per le Gite: presso il negozio di Sergio Amistadi, ai Giardini Verdi. Voglio ricordare che diventare, o rimanere Soci SAT, non significa solo avere dei vantaggi o dei privilegi, soprattutto vuol dire sostegno ad un’associazione che ha sempre operato a favore della montagna nei suoi molteplici aspetti culturali ed ambientali. Ho lasciato per ultimo il ringraziamento che mi è più caro: all’impegno dei satini per far funzionare i progetti: è così grande e non esibito nella migliore tradizione del volontariato da risultare indescrivibile, e vi assicuro che ne possiamo andare ben fieri. Avrei voluto ricordare tutti per nome, ma l’elenco è lungo, come purtroppo è sempre troppo grande il numero degli Amici che ci hanno lasciato e dei quali serberemo per sempre nel cuore un caro, nostalgico ricordo. Ma dall’entusiasmo che sono stati in grado di trasmetterci negli anni, oggi noi dobbiamo trovare lo spirito per diventare contagiosi di quella voglia di uscire di casa, prendere il sentiero, uscire 47


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da vocazioni e progettualità che si esauriscono spesso nei confini della vallata, del distretto, della comunità, avendo la forza di inseguire un grande progetto in grado di sottrarre la montagna a un’idea di sviluppo da fiera delle marginalità e delle tipicità. Questi nove anni sono stati per me un vivere in un continuo lancio di scintille di entusiasmo, scintille lanciate nel vento… da quei 300 bambini prima citati, dai soci Bikers, che non si vedono guardati in cagnesco,

dai 200 soci V.I.P., ancora felici di poter andare in montagna, dai volontari di Capanna S. Barbara alle prese con polente sempre più grandi e tubi dell’acqua che ghiacciano in barba a tutti gli idraulici, dagli amici di Sopraimille, che ci danno dei matti per i posti in cui li portiamo, ma dove scacciano i cattivi pensieri, dai miei Consiglieri… a cui dico ancora una volta “grazie”. EXCELSIOR!

Saggezza padovana In prinsipio Dio crea el musso el ghe dise: “Te sarè musso. Te lavorarè sensa mai lamentarte, dall’alba al tramonto, portando pesi sua gropa, te magnarè erba, no te gavarè l’ intelligensa e te vivarè fin a 50 ani. Te sarè musso.” El musso ghe risponde: “Sarò musso, però rivare a 50 ani xè massa; damene 20.” El Signore dixe “Va ben.” Eora Dio crea el can el ghe dise: “Te sarè can. Te difendarè a casa de l’omo, te sarè el so miliore amico, te magnarè queo che i te darà e te vivarè 25 ani. Te sarè can.” EI can ghe risponde: “Signore, vivare 25 ani xè massa par mi, dame 10 ani che me basta.” El Signore o acontenta. Eora Dio crea a simia. “Te sarè simia,” dixe el Signore. “Te saltarè de rama in rama fasendo a paiassa, te divertirè tuti e te vivarè 20 ani. Te sarè simia.” Ea simia ghe risponde: “Signore vivare 20 ani a xè dura! Damene soeo 10 de ani.” “Concesso” dise el Signore. Finalmente Dio crea l’omo el ghe dise : “Te sarè omo. L’unico bon dé rasionare sua facia dea tera, te usarè l’intelligensa par comandarghe ae bestie, te dominarè el mondo intiero e te vivarè 20 ani. Te sarè omo.” Risponde l’omo: “Signore sarò omo, ma vivare 20 ani me par pocheto, dame i 30 ani che el musso ga rifiutà, i 15 ani che el can no ga vossuo e i 10 ani che a simia no ga acetà.” Cussi el Signore ga fato. Da alora l’omo el vive 20 ani da omo, el se sposa e passa 30 ani da musso lavorando e portando tuto el peso dea fameia soe spae. Dopo, quando i fioi va par conto suo el vive 15 ani da can, tendendo a casa e magnando queo che ghe vien da, par dopo rivare a essere vecio, ‘ndare in pension e vivare 10 ani da simia saltando de casa in casa, de fiolo in fiolo e fasendo el paiasso par far divertire i neodi.

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Annuario 2012


ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Distretto Family Alto Garda di Marco Matteotti - Responsabile SAT in Distretto Family Alto Garda La SAT di RIVA DEL GARDA è soggetto promotore dell’accordo per la creazione del Distretto Family Alto Garda Le spinte verso la territorializzazione nel campo delle politiche per la famiglia sono sempre più cresciute negli ultimi anni, con l’aumento dell’importanza dei territori in ogni settore di attività, insieme alle Associazioni e a tutti gli altri attori della società civile portando gli Enti locali ad essere sempre più protagonisti, con la predisposizione di nuovi strumenti per una nuova governance. Proprio dal territorio vengono a muoversi quei mondi vitali che danno origine al protagonismo degli attori organizzati della società civile che, nel nostro mondo post moderno, viene a determinare una sorta di nuovo ri - radicamento; la famiglia è una scelta con un nuovo significato, cioè viene a rispondere all’esigenza di creazione di legami significativi. L’obiettivo del bilanciamento tra logiche economiche, sociali e familiari, è il benessere. Ecco dunque nascere con l’obiettivo del benesse-

Annuario 2012

re, nella logica di un nuovo radicamento, tentativi e progetti per una nuova territorializzazione: “Trentino - Territorio Amico della Famiglia” con la sua sperimentazione del Distretto Famiglia, è uno di questi. Sul territorio del Comune di Riva del Garda, già prima dell’avvio del progetto dell’Accordo di Distretto, erano presenti attività, servizi e agevolazioni rivolti alle famiglie. Al fine di fornire una mappatura di base, da cui successivamente il Distretto ha preso l’avvio, sono stati interpellati i rappresentanti dei maggiori enti protagonisti nel panorama locale attraverso un colloquio preliminare ed esplicativo ed una successiva ’intervista. Per quanto riguarda la Sezione SAT di Riva del Garda i risultati si possono così sintetizzare. Nome associazione: SAT Riva del Garda Iniziative in atto riconducibili al Marchio Family in Trentino: In montagna con le famiglie (Marchio Family già assegnato nel 2010) Politiche tariffarie a favore dei Soci giovani soci

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

e per famiglie numerose (oltre terzo figlio)(marchio Family già assegnato nel 2009) Iniziative progettate ma non ancora attuate: Creazione e\o dotazione nei rifugi della sezione di servizi e attività secondo i disciplinari previsti dal Marchio Family. Disponibilità ad aderire al progetto: risposta positiva La sezione SAT (Società Alpinisti Tridentini) di Riva del Garda ha dato grande rilievo nella propria attività alla sfera della famiglia e dei giovani interesse già dall’anno 2003, quando per la prima volta ha ideato e avviato la sperimentazione di un progetto ad oggi molto affermato sul territorio: “In montagna con le famiglie”. Tale progetto nasce per necessità di coesione sociale, come aiuto alla popolazione locale ad auto organizzarsi sul territorio e prevede delle specifiche gite in cui l’organizzazione della giornata, delle escursioni e dei tempi tenga in considerazione soprattutto le esigenze delle famiglie con figli. Nell’anno 2007 il suddetto progetto ha acquisito, dalla Provincia Autonoma di Trento nella figura del Dott. Luciano Malfer, il Marchio Family. Tale riconoscimento viene assegnato a quelle associazioni o enti che si distinguono nell’attuare e favorire una forte politica promozionale a sostegno delle famiglie ed in particolare delle famiglie numerose. Un secondo Marchio Family è stato assegnato sempre alla sezione SAT di Riva del Garda nell’anno 2010 per la politica tariffaria creata appropriatamente per le famiglie con 3-4-5 figli, siano essi naturali, adottati o in affido. Tale tariffa prevede sconti del 50% per la quota di eventuali spostamenti in pullman, dal secondo figlio uno sconto del 50% sul bollino d’iscrizione e dal terzo figlio in poi la gratuità dell’iscrizione. Grazie alle numerose attività organizzate e soprattutto al progetto “In montagna con le famiglie” dal 2003 al 2011 le iscrizioni alla Sezione sono raddoppiate (da 760 a 1572 iscritti) e inoltre è aumentato il numero dei Soci Giovani (da 50

50 a 300), e delle persone che volontariamente collaborano con la SAT per esempio facendo da accompagnatori in un altro ambito di proposte per i Giovani come Alpinismo Giovanile e “la SAT incontra la scuola”. È importante sottolineare il senso di appartenenza, di comunità e la continua socializzazione di bambini e adulti che il gruppo SAT mette in atto organizzando, oltre alle gite, le cene sociali, le assemblee,le mostre fotografiche e, in generale, tutti i momenti di incontro che si vengono a creare tra i soci. LA SOCIETÀ ALPINISTI TRIDENTINI (SAT) - SEZIONE RIVA DEL GARDA”, nell’accordo di Distretto Alto Garda sottoscritto in data 14.02.2012, si impegna a: orientare - in un’ottica di valorizzazione della famiglia - la propria attività implementando le azioni necessarie a: proseguire e sviluppare nel tempo, con il forte coinvolgimento delle famiglie iscritte, il progetto “Montagna con le famiglie”; attivare gli interventi gestionali necessari - su di un rifugio escursionistico di propria competenza - per soddisfare i requisiti previsti dallo standard “Esercizio amico dei bambini”; confermare nel tempo la propria politica di tesseramento per le famiglie numerose (gratuità del bollino annuale dal terzo figlio in poi) sensibilizzando su questa tematica anche la SAT provinciale; partecipare con un proprio rappresentante all’attività promossa dal competente gruppo di lavoro annuale finalizzato alla predisposizione del Programma di lavoro dell’accordo di area; promuovere sul territorio la comunicazione sulle finalità, sugli obiettivi e sugli attori che aderiscono al distretto famiglia secondo le modalità ed i tempi che saranno definiti dal gruppo di lavoro. Annuario 2012


ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Sopraimille di Maura Mazzoldi Mi chiamo Maura e faccio parte dei Sopraimille dalla primavera del 2004. In realtà il gruppo è partito nell’autunno del 2003 in seguito a una convenzione firmata tra Centro Salute Mentale di Arco e CAI SAT di Riva del Garda. Il gruppo è formato da pazienti in cura presso il Centro Salute Mentale di Arco, volontari, la guida alpina Gianpaolo Calzà (Trota), dott. Sandro Carpineta (responsabile del progetto) e le infermiere Dori, Antonietta e Milena. Le escursioni hanno una cadenza mensile; gli itinerari sono più o meno lunghi, diversificati fra loro e di media difficoltà. A volte capita di coinvolgere pazienti o volontari nuovi. Per facilitare il loro inserimento nel gruppo, si decide assieme alla guida alpina Trota di proporre qualche gita facile come livello di difficoltà. Le uscite spaziano dal sentiero vicino a casa alle avventure in grotta, dalle gite sulla neve con gli sci o con le ciaspole ai pomeriggi di arrampicata o alle escursioni di notte con la luna piena. Io e il gruppo Sopraimille siamo tutti soci SAT. Inizialmente alle uscite seguivano altri incontri al Centro Salute Mentale per monitorare l’an-

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damento dell’esperienza in montagna, per programmare le gite, per avere informazioni tecniche; poi si è deciso di trovarsi nella sede della SAT di Riva del Garda per rivedere le foto, i filmati e spesso mangiare insieme. La prima cosa che si può dire partecipando a questo gruppo è che si fa “tanta fatica”, ci si misura con il proprio corpo poco allenato; ciò comporta conoscere i propri limiti fisici. A volte avresti voglia di fermarti e di non proseguire; il gruppo però ci dà forza e tutti noi siamo sempre riusciti ad arrivare alla meta prefissata grazie anche al sostegno dei volontari e della guida alpina Trota. Personalmente ricordo di aver provato entusiasmo quando iniziai a far parte dei Sopraimille. Pensai subito che avrei trovato beneficio alla salute. Inoltre, l’andare in montagna mi avrebbe permesso non solo di stare assieme ad altre persone e quindi di fare amicizia, ma anche alleggerire la mente da pensieri negativi e allontanare l’ansia. La tematica principale dei Sopraimille ruota attorno al disagio psichico e quindi emargina-

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

zione sociale, difficoltà occupazionale e bassa autostima. L’andare in montagna non è solo questo, ma anche sottostare ad un patto di gruppo, vedere cose nuove e impararne il significato, sintonizzarsi con la natura e ascoltare in silenzio i suoi rumori, mangiare e dormire in rifugio e quindi uscire dalla quotidianità, imparare a fidarsi degli altri e di se stessi, aumentare la propria autostima. Si prova una grande soddisfazione nel scalare la vetta di una montagna. Al termine di ogni escursione fatta, io e gli altri del gruppo ci sentiamo stanchi ma contenti. Ci sentiamo appagati psicologicamente e fisicamente. Impegni lavorativi permettendo, mi sto impegnando a svolgere un po’ di volontariato all’interno della biblioteca della SAT di Riva del Garda. Io e assieme a Stefano Reversi stiamo

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svolgendo un prezioso lavoro di catalogazione e aggiornamento dell’archivio dei libri messi a disposizione di chiunque fosse interessato a consultare o prendere in prestito. L’archivio è visitabile anche on-line sul sito della SAT di Riva del Garda www.satrivadelgarda.it, Stefano (responsabile della biblioteca) pensa inoltre ad ordinare presso una cartolibreria di Arco libri validi attinenti alla montagna: dalle guide escursionistiche alla narrativa, dai libri di natura alpina alla sicurezza in montagna. Mi soddisfa occupare il tempo libero a mia disposizione nel volontariato. Mi sento utile agli altri e ciò mi fa provare una sensazione di benessere fisico e morale. Ciò che mi dispiace parlando con dei volontari è la mancanza di continuità nel periodo estivo delle escursioni per il gruppo Sopraimille. Mi rendo conto però che non tutti sono disponibili in quanto impegnati nel lavoro e nella famiglia. Novità di quest’anno è l’adozione da parte del gruppo di un sentiero che conduce al rifugio S.Pietro di Tenno, tracciato dalla SAT di Riva del Garda grazie all’apporto di volontari. Il sentiero si chiamerà Sopraimille e prevede l’impegno di svolgere un lavoro di manutenzione 1 volta ogni 6 mesi. Concludendo possiamo definire questa esperienza positiva, abbiamo trovato dei nuovi amici e l’avventura continua.

Annuario 2012


ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Biblioteca SAT Riva del Garda di Stefano Reversi Con l’inizio del nuovo anno (2012), la biblioteca della SAT di Riva, in collaborazione con la libreria Cazzaniga di Arco ha stipulato un accordo tramite il quale i soci della sezione SAT di Riva hanno diritto a uno sconto sull’acquisto del numeroso assortimento di libri e di cartoleria presente in negozio. La tessera per accedere allo sconto è disponibile nei punti di distribuzione dei bollini e ovviamente per chi s’iscrive per la prima volta alla sezione. Tale servizio va ad aggiungersi ad altri benefici che si acquisiscono diventando soci SAT della sede di Riva, tra i quali ricordiamo, (con riferimento alla biblioteca della sezione) la possibilità di accedere al prestito libri, con la formula classica di trattenere il volume per la durata di trenta giorni. La disponibilità di scelta è diventata notevole. Abbiamo a disposizione settori che spaziano dalla narrativa, alle guide (alpinistiche, escursionistiche, ciaspole, arrampicata, mountain-bike ecc.), saggistica, sicurezza in montagna, natura alpina e altro ancora, per un totale di circa 2000 libri. Grazie al notevole lavoro, sia in ordine di tempo che di competenza di Maura, l’archivio dei volumi presenti in biblioteca è consultabile on-line sul sito www.satrivadelgarda.it, ovviamente è disponibile anche in sede su cartaceo. Ricordiamo che la sede di porta S. Marco di Riva è aperta come servizio biblioteca da settembre a giugno. Tutti i venerdì pomeriggio dalle 15 alle 17, mentre la sera (dalle 20’30 alle 22’00) un venerdì sì un venerdì no. I turni d’apertura del venerdì sera sono consultabili sul sito della sezione. Un sincero ringraziamento a tutti quelli che donano libri alla biblioteca della sezione, e tutti i compagni che partecipano al progetto rendendolo operativo. Di seguito proponiamo un passaggio del libro - IL MONTANARO conversazioni con Mario Martinelli - di Fiorenza Aste, editrice Annuario 2012

La Grafica. Buona lettura e un invito a tutti a visitare la biblioteca. “Non occorre che sia divertente per divertirsi” Mark Twight Il montanaro Conversazioni con Mario Martinelli di Fiorenza Aste - ...ma l’arrampicata non credo che la farà più. Non fa più parte di questa vita. - Perché? - Perché... è una cosa che dà emozioni forti. Troppo forti per il mio fisico di oggi. - Deve essere uno sforzo enorme. - Uno sforzo? No. In questo momento non mi vengono le parole per spiegare. Ma non è uno sforzo. No. Cammina qualche metro. In silenzio. - Vedi quella? - Indica una parete nuda sulla montagna di fronte. C’è la Vallagarina in mezzo. Ne sale un ronzio denso. Il milione e mezzo di camion che passa di qui ogni anno produce il suo sottofondo di calabrone metallico. - È la ferrata di Mori. Ci sono salito la prima volta a 15 anni. Mi ci hanno portato gli amici dei miei. E poi ci sono tornato da solo, alcuni anni dopo. La parete una chiazza scabra, priva di vegetazione, verticale. Una cicatrice sul fianco della montagna. - Te ne stai lassù, appeso alla roccia con le dita, e dopo un po’ cominci a rendertene conto. Sono le dita che ti tengo­no su. Sei appeso alla montagna come una mosca. Ti tieni a lei, e cominci a sentire tutto il suo grande corpo che ti attrae. Sei diventato tutt’uno con la roccia. Si ferma. Sfila fuori dalla tasca il portasigarette 53


ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

di ferro scuro appartenuto all’ufficiale Pollini, corpo degli alpini, prima guerra mondiale. Accende una sigaretta. - In alcune occasioni, su vie che facevo per la prima volta, arrivavo a un punto morto. Stavo lì a cercare, a guardare, ma non si vedeva l’appiglio. Sembrava che non ci fosse un passaggio per continuare. Allora mi fermavo. Mi accende­ vo una sigaretta. Sorride. Sbuffa fuori il fumo. - Poi ricominciavo. E l’appi­glio era lì. Sembrava che si fosse generato da sé mentre non guardavo. Riprendiamo a camminare. Un passo lui, uno e mezzo io. - Una volta mi sono incrodato. - Cioè sei rimasto bloccato in un punto? - Sì. È successo mentre attraversavo un passaggio esposto. Le gambe non mi rispondevano più. Tremavano e basta. Non riuscivo ad andare né avanti né indietro. E poi sono arrivate le vertigini. Mi guarda e ride. - Eh. Non è un bel momento. Passa la mano sul tronco di un albero. Un contatto caldo, non casuale. Come se toccasse il dorso di un animale caro. - È sui punti esposti che ti vengono le vertigini. È allora che la percezione del vuoto diventa inevitabile. Non puoi fare a meno di guardare in giù. E l sotto ci sono metri e metri di vuoto vertiginoso che ti chiamano come una calamita. E la tua parte razionale ti dice che devi toglierti di lì al più presto. Muoverti, devi muoverti, trovare un posto sicuro. Tira un’altra boccata dalla sigaretta sottile. - Ma per fortuna c’è l’istinto. E quello ti dice che devi stare fermo. Ti dice che se ti muovessi ora, lo faresti solo per scap­pare dalla tua paura. E non proprio una buona idea. - Ma quando ti trovi in una situazione come questa, non puoi tornare indietro? - Non c’è modo di tornare indietro. C’è una regola che chi arrampica conosce molto bene. Quando sei appeso alla roccia sai che devi avere sempre tre punti di appoggio. Se muovi una mano, o un piede, devi essere certo di avergli trovato un buon sostegno prima di spostare l’altra 54

mano. Ma questo lo puoi fare solo se vai all’insù. Se scendi non vedi dove appoggi. E quindi una volta che hai cominciato a salire non puoi fare altro che andare avanti. - E allora? Come hai fatto? - Ho aspettato. Ho aspettato che quella parte di me che mi tirava verso il basso si calmasse. Perché c’è un’attrazione forte per quel vuoto vertiginoso lì sotto. Per me è una tentazione. Mi sono sempre chiesto cosa si prova a volare, fin da quando ero piccolo. Se non come un uccello, almeno come un sasso che precipita. Spegne la sigaretta sulla roccia bianca. Ci fermiamo. Lo spazio si allarga adesso davanti a noi. La vegetazione, rada, ruvida, corta, sta aggrappata con ostinazione al terriccio fra i macigni dell’antica frana. Non sembra la Terra, in mezzo a questa rovina di rocce bianche che rotolano in fuga, giù per il fianco della montagna. Sembra la Luna forse. Un qualche pianeta pietroso ancora non raggiunto dalla vita. - Ho aspettato e respirato. E poi ho fatto una cosa molto poco razionale. - Sorride. - Ho cercato di capire cosa voleva la montagna. Se aveva deciso che era il mio momento. Oppure no. Lo guardo stupita. Lui prosegue, voce bassa e tranquilla: - E mi è sembrato di sentire che la montagna non volesse ancora. Allora, piano piano, mi sono calmato. Il respiro è tornato normale. Le vertigini sono passate. Io mi sono alzato in piedi sullo spuntone di roccia, e ho ricominciato ad arrampicare. E poi, a salita finita, mentre tornavo giù per il bosco, sentivo una gratitudine traboccante. È una buona cosa essere vivi. Di fronte a noi le lastre grigie delle piste dei dinosauri. I buchi rotondi dei passi lenti dei diplodochi sulla riva del mare. Bagliori di consapevolezza della vertiginosa profondità temporale in cui nuotiamo. Qui era tutto un altro mondo. Milioni di anni fa. Riprendiamo a camminare, lenti, in salita. - Mi chiedevi se arrampicare è uno sforzo. No, Annuario 2012


ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

non è uno sforzo. Credo che il senso di certi sport estremi sia che ti portano alla sospensione del pensiero. Non puoi permetterti di sbagliare, e lo sai bene. Sei lì, appeso nel vuoto, totalmente raccolto su ciò che stai facendo, perché da quello dipende la tua vita. Non puoi far altro che questo, in quei momenti. Impegnarti totalmente a essere. In quei brevi attimi la tua mente è in meditazione. Concentrata sul qui e ora. Non c’è spazio per niente altro. Tu sei. E basta. E quel che fai non dipende dal pensiero. Dipende da quel che sei. È quasi mezzogiorno ora. Fa un caldo innaturale per questi giorni di metà inverno. Ci incamminiamo su per il viottolo ciottoloso che porta alle passerelle di legno. La salita fa sentire il calore del sole con più forza. Secondo il calendario sono i giorni della merla. Ma sembra primavera. - Leggere per te è fonte di nutrimento e crescita. Ha funzionato così anche per la montagna? Ci sono dei libri che ti hanno ispirato, degli scrittori guida che hanno influenzato il tuo rapporto con le cime?

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Slacciamo le giacche invernali. Allento la sciarpa che mi soffoca il collo. - Eh, leggere per me è vitale. E poi, vuoi mettere certi giorni di neve o di tempesta, col freddo fuori e la fornèla che canta, vuoi mettere il piacere di un libro e di una pipatina dal gusto arcaico... mi guarda, e sorride con l’aria di chi non si prende mai sul serio. Sì, ce n’è di scrittori che mi hanno influenzato. Eugen Guido Lammer, per esempio. “Il Granduca” è stato scritto largamente sotto l’influsso del suo “Fontana di giovinezza “, nello stile ma anche nello spirito. E poi c’è Julius Kugy, un friulano. Il suo “Dalla vita di un alpinista” è altissima poesia. Pur essendo un triestino che praticava la montagna solo quando poteva, Kugy aveva con lei un rapporto non solo di profondissimo rispetto, ma direi di amore totale. Diceva: “La montagna bisogna amarla totalmente. Allora lei ti contraccambia”. E anche: “L’alpinismo non deve essere un peso o un dovere, ma una gioia”.

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

NUOVA APERTURA DEL REPARTO PREPARAZIONE TETTI SU MISURA

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Annuario 2012


ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

L’Alpinismo Giovanile di Gilberto Mora Un’altro anno è passato, splendide esperienze ed emozioni. Ogni anno che passa, lascia dentro ognuno di noi un ricordo sensazionale. Saranno gli accompagnatori, le gite o non so cosa, ma quando si entra nel gruppo della S.A.T. non lo si vuole più lasciare. L’Alpinismo Giovanile di Riva del Garda, nato nel 2007 con lo scopo di far conoscere ai ragazzi la montagna e tutte le meraviglie che essa possiede, è al quinto anno di vita. Il numero degli iscritti è stazionario, 70 tra ragazzi e ragazze, con una presenza media per gita di circa 25 ragazzi. Il filo conduttore dell’anno 2011 è stato “Miti e Leggende della montagna”: ogni escursione era accompagnata da un racconto riguardante il posto preciso della gita. I ragazzi sono stati impegnati in ben 13 gite. Nel periodo tra gennaio e marzo ci sono state due gite sulla neve (ciaspolata alle Viote del Bondone, ciaspolata sul Lancia). Ad aprile i ragazzi sono andati alle placche della Baone per affrontare la via del 92esimo congresso con successiva arrampicata sulle placche, poi si sono cimentati nella festa dell’ambiente a Riva del Garda partecipando con gli accompagnatori. A maggio i ragazzi hanno preso parte alla giornata di lavoro alla Capanna di S. Barbara, che ormai è diventato un appuntamento fisso ogni mese e mezzo per i ragazzi più grandicelli. Nel mese di giugno l’Alpinismo Giovanile si è recato al rifugio Don Zio partendo da S. Giovanni al monte, successivamente nel calendario, ci siamo preparati per la due giorni con la traversata dalle Viote del Bondone a Riva del Garda, passando per lo Stivo, pernottando a Malga Campo. Ha avuto luogo nel mese di luglio la traversata del Passo Grosté partendo da Passo Carlo Magno arrivando al lago di Tovel. L’altitudine più alta è stata raggiunta nel mese di agosto con l’escursione presso il Piz Boè a 3152 metri di altitudine. I satini più grandi hanno avuto Annuario 2012

l’opportunità di fare un trekking di quattro giorni sugli Appennini abruzzesi riuscendo a conquistare le due cime più alte di tutta la catena (Gran Sasso e Monte Camicia). Il raduno annuale di tutte le sezioni di Alpinismo Giovanile del Trentino Alto Adige si è tenuto in Val Badia nel mese di settembre. Le ultime due gite dell’anno sono state nel mese di ottobre, la prima è stata al Burrone Giovanelli a Mezzocorona e la seconda presso il rifugio S. Pietro in occasione del S.A.T. Day. Come gli anni passati anche il 2012 ha il suo filo conduttore, cioè “Alla ricerca e alla Scoperta delle Antiche Vie di Comunicazione della Montagna”. Oramai sta diventando una tradizione per l’Alpinismo Giovanile redigere un giornalino annuale, riepilogativo contenente i lavori dei ragazzi che hanno partecipato alle varie escursioni. Con l’occasione ricordo che l’annuario dei ragazzi lo si può richiedere o consultare presso la nostra sezione.

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Locanda - Ristorante - Bar - Grill

Fam. Menotti

sul MONTE BALDO all’arrivo della funivia 37018 MALCESINE - MONTE BALDO Loc. Tratto Spino, 1 (1789 m s.l.m.) Tel. 045 7400319 - Fax 045 6570685 www.baiadeiforti.com - info@baitadeiforti.com


ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Gruppo Rocciatori e d’Alta Montagna di MoRe Il primo appuntamento ufficiale del GRAM nel 2011 è stato programmato per la fine di marzo, con un corso avanzato sul movimento in alta montagna rivolto ai componenti del gruppo. Il 18 marzo si è svolta una lezione teorica nella sede SAT di porta S. Marco, serata condotta dalle guide alpine Gino Malfer e Paolo “Trota” Calzà. Mentre venerdì 25 e sabato 26 marzo, in val Senales è stata realizzata la parte pratica in ambiente. Purtroppo, all’ultimo, causa problemi di salute (poi risolti) Gino Malfer non ha potuto partecipare. Quindi il corso è stato condotto, comunque egregiamente, dal Trota.

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Soprattutto la due giorni in Val Senales è stata molto interessante e costruttiva. Sono state affrontate vari tipi di manovre, tra le quali: progressione e formazione di una cordata, trattenuta di una caduta in crepaccio, vari tipi di paranco per il recupero da crepaccio, ancoraggi su ghiacciaio, progressione in conserva su terreno misto canali e creste. Il tutto in prima fase teorica e dimostrate poi sul terreno. Molto utile e fondamentale è il fatto,che ogni partecipante ha provato direttamente la manovra, sperimentando quanto sia importante mantenere alta l’attenzione e operare

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M ONTAGNA

SAT

ORI E D’AL T IAT

A

CAI info@arcomountainguide.com

UPPO ROC GR C

ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

CAI SAT RIVA

RIVA DEL GARDA

PER VIVERE LA MONTAGNA D’INVERNO CON SCI E CIASPOLE IN SICUREZZA + CONOSCENZA la conoscenza dell’ARVA

+ SICURE ZZA

Venerdì 16 DICEMBRE 2011 ore 20.30 LEZIONE TEORICA presso la sede SAT di Porta San Marco a Riva del Garda

Sabato 17 DICEMBRE 2011 USCITA SUL CAMPO (prova pratica)

Relatori: Guida Alpina Gino Malfer Guida Alpina Paolo Calzà “Trota” PARTECIPAZIONE LIBERA (GRATUITA) è gradita l’iscrizione: info@guidealpinearco.com - info@satrivadelgarda.it

correttamente. Al corso hanno partecipato dieci componenti del GRAM, più le guide. Molte nozioni e indicazioni si sono rese utili per la gita organizzata sull’Adamello del 25 e 26 giugno, condotta da Rudy Simonetti con il supporto del GRAM. Il programma per la salita segue l’itinerario classico rifugio Bedole, rifugio alle Lobbie Ai Caduti dell’Adamello, Pian di Neve e ascensione alla cima. Sull’ Adamello abbiamo trovato due giornate con cielo sereno ma con condizioni di neve,soprattutto la domenica, pessime. Praticamente già alle 5 del mattino (della domenica) si sfondava, la traccia l’abbiamo battuta noi, e man mano che si saliva si affondava fino al ginocchio. Tale situazione ha dilatato enormemente i tempi, quindi a circa 3300 metri di quota è stata presa la saggia decisione di rinunciare alla salita, evitando di andare incontro a tempi di percorrenza sconsiderati per le sette cordate che formavano il gruppo. Ulteriore esempio di quanto sia difficile 60

ma nel contempo delle volte vitale, accettare l’importanza della rinuncia. Facendo un salto indietro, nel periodo primaverile, due sono stati gli appuntamenti che hanno coinvolto il GRAM. Il primo, è stato fissato nel pomeriggio del 7 maggio, organizzato in località di Prabi ad Arco, un avvenimento in collaborazione con le guide Malfer e Trota dal titolo: arrampicata su roccia, introduzione pratica delle tecniche base nell’arrampicata su roccia. Come per l’anno precedente, dove l’argomento riguardava la progressione in ferrata. Il principale scopo di questi appuntamenti è di promuovere la sicurezza ed avvicinare la gente al verticale con nozioni semplici ma basilari. La notevole partecipazione è sicuramente gratificante per l’organizzazione, nel contempo è un segnale positivo che indica un interesse generale nell’aumentare il proprio bagaglio personale sul movimento in sicurezza nell’ambiente montano. Il secondo (il 10 aprile), come da consuetudine abbiamo partecipato alla manifestazione della giornata dell’ambiente, allestendo in riva al lago (a punta lido) una serie di percorsi aerei (teleferiche, ponti tibetani e tirolesi ecc.), realizzando praticamente un parco avventura provvisorio. Anche in questo caso come negli anni precedenti,il tutto è stato possibile grazie alla preziosa presenza di un folto gruppo di volontari. Che hanno svolto un lavoro eccellente grazie alla consolidata esperienza nel campo, lavorando assiduamente nei due sabati precedenti alla manifestazione, allestendo tutto il parco, e sopratutto nel giorno stesso dell’avvenimento. Per quanto riguarda la sicurezza, anche in occasione dell’inverno passato abbiamo organizzato una lezione teorica e un’uscita pratica della conoscenza e uso dell’ARVA, Di conseguenza come affrontare in montagna un ambiente invernale, sia con gli sci che con le ciaspole.. L’appuntamento come consuetudine, era a titolo gratuito con la collaborazione delle guide Gino e Trota. Oramai da tre anni, durante la stagione invernale abbiamo a disposizione il venerdì sera la palestra delle elementari Nino Annuario 2012


ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Pernici di Riva del Garda, al cui interno sono a disposizione due pannelli per l’arrampicata al coperto. Ovviamente non danno una grande possibilità di movimento, si rendono comunque utili per provare varie manovre di corda. La speranza è quella di un potenziamento della struttura, il che darebbe la possibilità di coinvolgere maggiormente i numerosi giovani che partecipano alle attività sezionali, dando quindi un ulteriore continuità e crescita al GRAM. Vogliamo inoltre ricordare che l’appuntamento fisso d’incontro del gruppo è l’ultimo lunedì di ogni mese alle 21 in sede SAT di Riva del Garda. Incontro libero a tutti, sia per conoscerci che per avere informazioni sull’eventuale noleggio di attrezzatura alpinistica, consultazione di guide o cartine, oppure per semplici consigli, e scambi di idee. Da quest’anno oltretutto in concomitanza si riunisce la commissione gite (nuova entità

Annuario 2012

della sezione), creata per indurre alla sicurezza delle gite stesse. Come riferimento del GRAM in questa commissione abbiamo individuato Luca Zanoni. L’augurio per tutti è quello di trascorrere giornate appaganti in sicurezza nell’ ambiente montano, sempre nel rispetto della montagna e della propria presenza.

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il pesce di lago al...

Ristorante

«LA TERRAZZA» Torbole sul Garda via Benaco 14 Tel. 0464 506083


ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

La stagione 2011-2012 del Gruppo Sciatori Riva di Alberto Zampiccoli Quello che sta giungendo al termine sarà un inverno ricordato per la particolare scarsità di neve. Questo elemento, così importante per gli sciatori, si è fatto desiderare come poche volte in passato. Fortunatamente, per l’attività a “secco” come la ginnastica presciistica, la neve non è necessaria. Il primo appuntamento della stagione 2011/2012 ha riscosso così il consueto successo, con una quarantina di partecipanti. Questo anche grazie all’intramontabile prof. Alfeo Benini, una garanzia quando si tratta di sudare in palestra. Per la prima volta dal 2000, anno in cui abbiamo ripreso a organizzare il corso di fondo per i ragazzi, non si è potuto tenere il corso a causa dell’esiguo numero di iscritti, soltanto 6. Si è cercato di rimediare organizzando, in collaborazione con le famiglie dei giovani fondisti, 5 uscite con maestro, di domenica. Questa iniziativa, nonostante i pochi ragazzi coinvolti è stata voluta e supportata dal direttivo del Gruppo Sciatori Riva.

Annuario 2012

Sempre parlando di sci di fondo, siamo stati presenti, come due anni fa, alla Minimarcialonga, riservata ai ragazzi dai 6 ai 12 anni. Nella splendida cornice del Centro Fondo del Lago di Tesero, infatti, tre nostri portacolori hanno preso parte alla simpatica manifestazione che, come noto, si svolge il giorno precedente la rinomata Marcialonga. Come al solito, da ricordare anche la presenza di nostri fondisti nelle più prestigiose Gran Fondo della specialità, in Italia e all’estero. Questi atleti hanno onorato i nostri colori con piazzamenti di tutto rispetto, a dispetto della loro non più verde età. Ennesima dimostrazione che quando c’è passione, grinta e impegno l’anagrafe conta relativamente. Tutto bene anche per i corsi di discesa. Grazie alla neve programmata degli impianti della Polsa di Brentonico si sono potuti svolgere regolarmente. Questi corsi, sempre dedicati ai ragazzi delle elementari e medie, si sono tenuti, uno durante

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

le vacanze natalizie con 40 partecipanti, ed uno nei sabati di gennaio e febbraio con 60 iscritti. Continuando con lo sci alpino, il nostro sodalizio è stato impegnato, per conto del comune di Riva del Garda, nell’organizzazione della fase comunale dei Giochi della Gioventù. Purtroppo, le gare svoltesi sulle nevi della Polsa di Brentonico, hanno visto la partecipazione dei soli studenti delle scuole medie Scipio Sighele. Anche quest’inverno si è proseguito con la preagonistica che ha visto impegnati 15 ragazzi. Quest’attività è stata pensata per chi ha già partecipato a più corsi di sci alpino e desidera imparare qualcosa in più. Il maestro messo a disposizione ha insegnato loro quello che non si insegna normalmente nei corsi. Degna di nota anche la bella giornata trascorsa il 12 febbraio a Bellamonte, dove lo Sci club Guastalla ha organizzato una festa sulla neve dedicata ai più piccoli, con giochi, premi e tanta allegria. L’esperienza positiva dell’anno scorso ci ha spinto ad esserci anche quest’anno coinvolgen64

do 20 ragazzi e conquistando il 2° piazzamento di squadra. Il divertimento è stato grande per tutti, grandi e piccini. Per finire, da registrare il proseguimento della collaborazione con lo Sci club S.A.T. di Mori. Con gli amici Moriani abbiamo organizzato, per circa 100 soci, la bella gita al Lago di Carezza l’11 marzo. In quell’occasione si è disputata anche la gara sociale di discesa. Come collaudata abitudine, grazie anche alla splendida giornata, i membri dello Sci club S.A.T. hanno preparato, per i presenti, un gustoso pranzo all’aperto a base di carne salada, wurstel e altre prelibatezze. Niente di meglio per chiudere una stagione che, sia pure con qualche problema, possiamo archiviare con soddisfazione. Immancabile un grazie ai nostri sponsor, Comune di Riva, Provincia e Cassa Rurale Altogarda in testa, ma anche alle tante aziende private che, nonostante il momento non certo favorevole, non ci hanno fatto mancare il loro prezioso sostegno. Grazie a tutti e arrivederci al prossimo inverno. Annuario 2012


BIRRERIA

ristorante tipico bavarese Viale Dante, 39 Riva del Garda



ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Manutenzione sentieri Relazione attività 2011 di Silvano Moro (Gruppo Manutenzione Sentieri) L’anno 2011 appena trascorso è stato molto denso e proficuo per quanto riguarda l’attività del gruppo manutenzione sentieri coordinata dal capo squadra Moro Silvano e composta dai soci volontari Bordin Diego, Fedrizzi Claudio, Floriani Neto, Lutteri Sandro, Miorelli Marco, Miorelli Pierino, Pagliarini Giovanni, Parolari Ezio, Pellegrini Giancarlo, Tamburini Celestino, Giovanni (el milanes sempre quel dela ciocolata) ed altri occasionali partecipanti, che, come si potrà verificare di seguito ha effettuato numerosi interventi di manutenzione, messa in sicurezza sentieri, ferrate e rinnovo segnaletica. Dunque: -- In gennaio, a seguito della forte nevicata invernale che ha provocato la caduta di numerosi alberi di varie dimensioni, è stato liberato il sentiero che da Pregasina porta a malga Palaer. È stato un lavoro arduo, in quanto si è reso necessario tagliare con la motosega numerosi alberi, anche di grosse dimensioni, caduti di traverso sul sentiero, impedendo la sua percorribilità, quindi tagliare pezzi da un metro per poterli spostare agevolmente a lato del sentiero stesso, comprese le molte ramaglie appartenenti agli alberi;

Annuario 2012

-- Nello stesso mese è stata fatta la manutenzione del sentiero che da Biacesa porta al bivacco Arcioni, chiesetta S. Giovanni; -- In febbraio è stato ripristinato il sentiero n. 406, con taglio di ramaglie e alberi caduti sempre a causa delle nevicate. Questo sentiero è stato ripercorso e rilevato anche in un secondo tempo con il responsabile della Commissione sentieri della SAT Centrale, sig. Tarcisio Deflorian, che partendo dal lago di Tenno transita per loc. Terra Rossa, loc. Mena, casa Bastiani per arrivare fino al rifugio S. Pietro; -- Sempre in febbraio sulla traccia del sentiero n. 472, che verrà denominato “Defension Mauer”, che va verso le fortificazione austriache (Ghena - Ponale) sopra le “zete” in memoria della linea di difesa italiana durante la guerra, è stata fatta una proposta di anello, per la quale siamo in attesa dell’OK definitivo dalla SAT centrale come promesso, che partendo dalla loc. Caregna di Biacesa va a congiungersi al sentiero n. 405 in Val di Sperone per poi salire a Cima Capi; -- Ancora in febbraio, a seguito della richiesta del Comune di Nago-Torbole e degli Alpini dello stesso comune, è stata verificata la possibilità di tracciare un sentiero che verrà denominato “Sentiero della memoria” ch,e partendo da malga Zures, percorre parte del vecchio sentiero 601, passa attraverso le cosiddette villette degli ufficiali (del periodo bellico), Dos del Mosca, Bait de la Selva, malga Casina, cimitero di guerra, cimitero Sasso Sega, Dos Alto per tornare di nuovo a malga Zures. Tale percorso è stato poi rilevato ancora con il sig. Tarcisio Deflorian e siamo in attesa dell’autorizzazione definitiva anche per creare una variante al percorso attualmente utilizzato dalle MTB 67


ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

per dare la giusta sicurezza agli escursionisti a piedi. Nel frattempo, anche in collaborazione del gruppo Scout, è stata fatta una prima manutenzione del tracciato interessato con taglio di ramaglie ecc.; -- A marzo, a seguito del progetto di intitolazione del sentiero al beato Pier Giorgio Frassati, giovane studente della Fuci prematuramente scomparso e beatificato 20 anni fa, simbolo della passione per la montagna, sentiero che, con partenza dal comune di Arco attraverso svariati comuni del trentino arriva a S. Romedio, fortemente voluto dalla SAT e dal Cai centrale. Sul tratto di sentiero n. 401 di competenza della sezione rivana è stato effettuato un gravoso intervento di sistemazione, pulizia e sostituzione ed integrazione della segnaletica con partenza dalla loc. Ceole, Varone, sentiero Gola, Tenno, Ville del Monte, loc. Treni, Croce di Bondiga, loc. Gorghi, fino ai Prai da Gom. Tale sentiero sarebbe poi stato inaugurato in data 10 luglio 2011 alla presenza dell’arcivescovo di Trento, monsignor Luigi Bressan, del governatore Lorenzo Dellai e di numerose altre autorità oltre ad un migliaio di presenti; -- Intensa l’attività anche per il mese di aprile, prima con la sistemazione molto impegnativa

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e difficoltosa del tetto della chiesetta presso il rifugio S. Pietro e poi con la sostituzione e la messa in sicurezza del vecchio cordino di ferrata sul tratto di sentiero n. 404 che dalla scala ferrata sopra la chiesetta di S. Barbara porta ad incrociare il sentiero n. 405 che proseguendo poi per il sentiero n. 413 porta a cima SAT; -- Il mese di maggio vede l’intervento di rettifica della parte iniziale del sentiero Crazidei n. 418, mediante la realizzazione di tre nuovi tornanti al fine di eliminare un tratto molto in pendenza e notevolmente scivoloso rendendo così la percorribilità del sentiero molto più agevole ed in assoluta sicurezza; -- 05.06.2011: GIORNATA DEI SENTIERI, in questa occasione si è provveduto, con la collaborazione di circa 10 volontari soci SAT alla sistemazione e manutenzione del sentiero della Regina n. 445 che da Bocca Trat, attraverso Bocca Magnone arriva ai Prai de Vender e del tratto di sentiero n. 420 che sempre partendo da Bocca Trat, attraverso Mazza di Pichea e bocca Magnone arriva alla congiunzione con il sentiero delle cime. Qui si è trattato di lavorare di picconi e pale al fine di ripristinare dei tratti di sentiero che a causa della notevole pendenza e della fangosità dello stesso franava verso valle rendendo pericolosa la percorribilità; -- Nei mesi di luglio ed agosto varie uscite sono state dedicate alla rilevazione e manutenzione del sentiero n. 480 che da loc. Fontanelle, Volta di Nò passando per casa Vandrin, loc. Pozze. Loc. Rancion, Treni e “La me Baita” del poeta Floriani, arriva al rifugio S. Pietro. Questo sentiero è stato inaugurato ufficialmente in occasione della festa SAT/DAY del 9 ottobre scorso con il gruppo “Sopraimille” al quale la direzione della sezione ha proposto di adottarlo come proprio così da intitolarlo al gruppo stesso e recante la dicitura: “SENTIERO ADOTTATO DAL PROGETTO SOPRAIMILLE IN COLLABORAZIONE TRA LA SAT ED IL CENTRO DI SALUTE MENTALE DI ARCO” . È stato proposto al Annuario 2012


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gruppo “Sopraimille”, che ha accettato con entusiasmo, di effettuare la relativa manutenzione almeno una o due volte all’anno, in maniera tale da sentirsi più coinvolti nella gestione del sentiero stesso ed andarne così orgogliosi; -- Nel mese di settembre sono stati montati vari giochi per bambini nel parco del rifugio S. Pietro in modo tale da poter aderire al progetto “Family” ed offrire un’escursione a dimensione di famiglie con prole; -- In ottobre, anche a seguito dell’intervento della forestale per i lavori di allargamento della strada forestale che dalla strada del Ballino porta a loc. Carcion è stata rinnovata e sistemata la segnaletica del tratto di sentiero interessato dai lavori; -- Anche nel mese di novembre è stata sistemata la segnaletica del tratto di sentiero n. 429/A che da Pregasina arriva a cima Nara ed è stato valutato un intervento per la prossima primavera per la messa in sicurezza di un tratto di ferrata sulla “Scala Santa”; -- Dicembre vede il sopralluogo con la Commissione Sentieri della SAT Centrale, sig. Tarcisio Deflorian e Claudio Colpo, sul sentiero n. 429/A che da Pregasina porta a cima Nodice passando per cima Nara e per valutare la possibilità di arrivare alla cima Nodice appunto attraverso due possibilità, una per mezzo di un piccolo tratto di via ferrata e una per mezzo di un sentiero meno impegnativo. Tale sopralluogo prevede anche la sostituzione e la valorizzazione del sentiero che passa attraverso

Annuario 2012

la “Scala Santa”; -- L’anno 2011 si è chiuso in bellezza con l’intervento, notevolmente impegnativo, di sistemazione del tratto di sentiero n. 404 che dalla loc. “Tubi” porta alla capanna S. Barbara. L’intervento è consistito nel taglio di radici pericolose e scivolose specialmente in caso di pioggia, eliminazione di gradini ormai vecchi e marci, copertura del tratto di tubo fuori terra dell’antincendio e sramatura e taglio alberi invadenti. Per quanto riguarda la capanna di S. Barbara è stato effettuato pure un intervento notevole di taglio alberi ammalati per l’approvvigionamento di legna da ardere. Va comunque sottolineato il fatto che nel mese di settembre si sono svolti i lavori all’interno della capanna S. Barbara al fine di migliorare la praticità della cucina stessa, con l’abbattimento della paretina interna e conseguente ampliamento per l’inserimento della nuova attrezzatura acquistata. Il risultato di tale operazione, a detta di tutti, è stato ottimo. I lavori sono stati effettuati dal gruppo manutenzione sentieri allargato a diversi altri volontari e con l’apporto di validi artigiani sempre volontari e simpatizzanti sotto l’attenta sorveglianza e coordinazione del responsabile della Capanna Marco Tamiozzo. Per gli interventi sopracitati il gruppo di manutenzione sentieri composto normalmente da 4 o 5 persone a turno si avvale di motoseghe, manovrate per lo più da Ezio Parolari e Giancarlo Pellegrini, poi seghetti a mano, forbici da potare, picchi, mazze, livere, carriole, colori e pennelli per la segnaletica, e, quello che più conta e serve tanta buona volontà ed amicizia. Normalmente le uscite durano tutta la giornata e per il pranzo ci si gode un paio di panini con salame e bologna molto ben lubrificati… Da notare che nel 2011 il comune di Riva del Garda ha messo a disposizione della SAT un nuovo magazzino molto spazioso presso il collegio dei Verbiti, visto che prossimamente si dovrà abbandonare il vecchio deposito di villa Betta. 69


Solitudine, compagnia, felicità di Tullio Dell’Eva Perché maestro, el me diseva en me scolaro te vai sempre sol, su quei monti lontani, pericolosi ma no g’hat paura? E se te sucede qualcos? Cosa fat li sol? E a eser sempre sol con chi parlet? Con chi ridet? Eco, putel, t’ho ‘nsegnà tant, ma no t’hai capi nient. Te ‘l sai che mi su lì, sol come te disi ti, me sento ‘n altro; sora tut, no me sento pu sol.. Ma si che parlo… col sofiar del vent, col ciacerar de l’acqua, con le nuvole che le core come disperade, con la nebbia, che a momenti la sconde tut, coi canaloni pieni de nef e giaz, che i voleria farme paura a traversar; con qualche “camocin” che ‘scampa, ma dopo ‘n po’ el se ferma de traverson, a darte ‘n ociada come per dirte: vedet, mi son sol, ma varda che content che son! Ma cosa crèdet, che, zo ‘n zità ‘ndò che tuti i core e no i ghà gnanca ‘l temp de dirte ciao, o tut ‘al pu: salve, ma g’ho da ‘nar… En quele vie piene de luci, la zent che core e la se dispera per cercar ‘n po’ de felizità, un, no ‘l sia sol? Sta sicur putel, su lì l’ho trovada la compagnia, su lì ho parlà e i m’ha scoltà…’nfin che la dura!.. Perché i anni i core come quele nuvole e te toca ‘nar sempro pù pian. E riverà l’ora che te tocherà star ‘n mez a le luci e ai gazeri, e alora adio felicità e compagnia.

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Annuario 2012


ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Famiglie in... “avventura” Val Ambiez di Ruggero Carli Come tutti sappiamo, le Dolomiti di Brenta sono sicuramente delle montagne meravigliose. Non c’è valle, ne’ cima, ne’ angolo che non siano attraenti ed affascinanti. E così, nei primi giorni di settembre 2011, proprio il giorno prima dell’inizio del nuovo anno scolastico, un po’ per caso, ci siamo trovati con alcune famiglie a frequentare uno di questi luoghi: la Val Ambiez. Una valle molto conosciuta, non solo dagli alpinisti che frequentano le grandi pareti ma anche

da molti escursionisti… e dall’orso. Anche noi siamo pronti all”avventura”. Contattato il “mitico” Giorgio, che con la sua jeep fa servizio di trasporto fino al Rifugio Cacciatore, ci accordiamo per partire alle ore 9.00 dalla località “Baesa” poco sopra San Lorenzo in Banale (Tn), dove abbiamo parcheggiato. E visto il numero di partecipanti di tutto rispetto (17) parte di noi è salita un po’ prima con Matteo. Anche lui da anni impegnato con la sua jeep nella stagione estiva in questo servizio.

Il gruppo al completo in pausa Annuario 2012

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Fra balzi, rumore assordante e passaggi quasi millimetrici tra la parete rocciosa e il torrente Ambiez più in basso, in una manciata di minuti ci troviamo tutti al Rifugio Cacciatore. Dopo aver fatto qualche foto con Giorgio ci accordiamo per il ritorno, fissato per il tardo pomeriggio. Ma non è finita qui! Compattato nuovamente il gruppo con quelli arrivati un po’ prima di noi si parte tutti insieme, destinazione rifugio Agostini dove il gestore Ignazio Cornella e il figlio Roberto, “allertati” precedentemente, ci aspettano tutti per il pranzo. A quell’ora del mattino la giornata era bella, l’aria frizzante e con un piacevole contorno di un gregge di pecore formato da un migliaio di capi che ci davano i benvenuti intraprendiamo il sentiero n. 325, ma non prima di aver ammirato il grande anfiteatro che forma la parte alta della valle. Guardando verso ovest e girando lentamente a nord svettano le Tose, la Cima Prato Fiorito, Cima d’Agola per poi arrivare dritti con lo sguardo a nord dove si può ammirare la Cima Ambiez, più a destra Cima Ceda, Doss di Dalun concludendo con la Cima Ghez. Dopo aver ammirato tutta questa meraviglia della natura dobbiamo tornare velocemente sui nostri passi perché i bambini sono agitati, fanno sentire tutta la loro euforica gioia per questa giornata speciale. E si sale! Si sale lentamente fra una chiacchiera e l’altra, fra un passo e un altro passo, fra una pausa e ancora un’altra pausa. Ma non c’è fretta, tempo ne abbiamo. Ad un certo punto del nostro cammino si intravede in alto e in lontananza il rifugio Agostini. Quasi d’istinto il vociferare allegro dei bambini si affievolisce fino a raggiungere la classica frase: “Che lontano!” Ma niente paura; l’ennesima pausa fa rinvigorire tutti, anche gli adulti, per poi riprendere il cammino lentamente e portarci sempre più vicini alla meta. E così ancor prima di mezzogiorno ci troviamo tutti sul terrazzo del rifugio, i bambini hanno ripreso il loro ritmo gioioso e noi ci concediamo 72

Parte del gruppo con Giorgio nei pressi del rifugio Cacciatore (m 1820)

Piccoli e grandi scalatori in azione Annuario 2012


ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

alla vista di un panorama mozzafiato che si apre sulla vallata. Purtroppo a quest’ora le maestose cime, compresa la Cima Tosa che normalmente si intravvede, sono coperte dalla nebbia. Ma anche questo fa parte di un “tocco” dell’artista per far lavorare l’immaginazione e costruire la parte nascosta ognuno con la propria fantasia. Sistemati gli zaini entriamo nel rifugio e immancabilmente troviamo Ignazio al suo solito posto, “in prima linea”, dietro il banco del bar da dove ci saluta calorosamente con la sua ormai storica frase: “se arivadi?”. Il figlio Roberto lo salutiamo più tardi perché impegnato a svolgere un lavoro importante: sta preparando la polenta! Così uno dopo l’altro ci accomodiamo ai tavoli tutti con un grande appetito e in poco tempo dopo l’ordinazione ecco arrivare le pietanze preparate con cura e passione. Chi, appunto la polenta ben abbinata, chi addirittura la pasta fatta in casa e per i bambini non mancava un enorme cotoletta. Concludiamo con una buona fetta di strudel ed il caffè. Soddisfatto il palato a dovere ci incamminiamo sulla stradina pianeggiante che in brevissimo tempo ci porta alla chiesetta del rifugio, situata proprio su un balcone roccioso, messa lì quasi appositamente a sentinella della valle e a tener d’occhio tutti gli escursionisti che con passo

montanaro si apprestano a salire il sentiero sottostante. Ci intratteniamo un po’, ognuno con i propri pensieri, ognuno con la propria spiritualità ed ogni tanto madre natura ci concede qualche breve sprazzo di limpidezza allontanando ad intervalli quasi regolari la bianca nebbia che avvolge le cime. Il tempo passa, passa velocemente ed è giunto il momento di dover ritornare al rifugio. Per tradizione, oltre che per rispetto, salutiamo soddisfatti Ignazio e Roberto, assicurando loro una nostra prossima visita. Tutti pronti, si scende! Non vi dico la gioia dei partecipanti, sia grandi che piccoli, nel dover fare così poca fatica. Di conseguenza si infittiscono grandi chiacchierate alternate da allegre risate e così, senza accorgerci tanto, arriviamo al rifugio Cacciatore dove ci aspetta Giorgio che ci riporta a destinazione in fondo alla valle concludendo la nostra “avventura”.

Il rifugio Agostini visto dalla chiesetta

Ignazio con il figlio Roberto

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L’aver trascorso una bella giornata in un contesto così straordinario ci ha regalato momenti meravigliosi, nei quali anche i nostri figli hanno potuto provare grandi emozioni. EXCELSIOR! Foto di Ruggero Carli

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

Trekking sull’Etna di Alberto Maganzini A metà agosto 2011 in TV davano le immagini di immense colonne di fuoco che illuminavano il cielo del catanese. L’Etna, il più grande vulcano d’Europa, si era risvegliato dal suo momentaneo letargo e aveva ricominciato coi suoi impressionanti “parossismi”. Quindi la nostra gita in programma dal 16 al 18 settembre, per conquistare il cratere centrale, rischiava di saltare. Si dice che quelle torce alte chilometri, nelle notti terse e senza luna, si possano vedere fino a Palermo. Lo spettacolo sarebbe dunque garantito, ma di certo la salita alla cima compromessa. Inoltre la possibile chiusura dell’areoporto di Catania creava ulteriore incertezza. Miracolosamente “a muntagna”, così come viene chiamata dai locali a sottolinearne l’unicità, verso i primi di settembre decise di calmare le sue furie e concederci il privilegio di fargli visita. Così la mattina del 16, poco più una ventina di allegri compari, arrivati per l’occasione anche dalle valli circostanti, decollava dal “Catullo” di Verona con destinazione Catania. Il tempo di bere un caffè a bordo e scambiare due chiacchiere col proprio vicino di volo ed ecco che dai finestrini già si poteva avvistare quell’enorme cono, sovrastato da un lungo pennacchio di fumo, che è l’Etna. Un limpido cielo settembrino prometteva un’ot-

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tima riuscita del nostro programma. All’uscita dal “Fontanarossa” trovavamo pronti i minibus che in poco più di un’ora ci avrebbero portato al rifugio “Sapienza”. Nella mia immaginazione il famoso rifugio, che si trova a circa 2500 m, si sarebbe raggiunto dopo un tortuoso e ripido percorso fra rocce e lave. In realtà vi si arriva attraverso una comodissima e larga statale, che sale il versante sud del Mongibello (altro nome, derivante dall’arabo Jebel, dell’Etna) fino al grande piazzale dove, oltre al rifugio, si trovano altri alberghi, negozi, ristoranti e bancarelle d’ogni genere. L’Etna coi suoi 1570 kmq di superficie, 45 km di diametro e 65 di perimetro occupa parte della Sicilia orientale. Le sue dimensioni lo pongono tra i maggiori del mondo e, geologicamente, il più alto del continente. Fortunatamente però non è un vulcano esplosivo, come il Vesuvio o Vulcano nelle Eolie, ma effusivo-eruttivo, per cui il vero pericolo è dato dai parossismi improvvisi e dalle enormi colate laviche che si alternano con periodica costanza sulle pendici, minacciando spesso le case e i paesi limitrofi. Trattandosi di uno strato-vulcano la sua altezza varia nel tempo, a seguito dell’attività eruttiva che ne determina l’innalzamento o l’abbassamento. Nel 2011 ad esempio è arrivato

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

3340 m quando nel 1942 era 3269 m e 3320 m nel 1950. Innumerevoli sono i miti antichi che lo riguardano, fra i più noti quello su Efesto (o Vulcano), che avrebbe avuto la sua fucina proprio ai suoi piedi. Si narrava che il Tartaro, l’antico regno degli inferi, fosse situato proprio sotto le sue falde. Del grande filosofo presocratico Empedocle di Agrigento la leggenda dice che si gettò nel cratere per dimostrare la sua superiorità anche alla morte, ma il vulcano incurante ne eruttò solo un sandalo... Il colpo d’occhio lo si ha subito dopo il paese di Nicolosi, la Porta dell’Etna, quando si cominciano a delineare le sue pendici. Una coltre nero-ruggine, fatta principalmente di ceneri e lapilli, riveste le sue falde, cancellando gradatamente ogni forma vivente, vegetale o animale, e presentando un vero paesaggio lunare. Lo stesso rifugio è lambito dagli effetti dell’ultima grande eruzione del 2001, che si fermò miracolosamente proprio a ridosso. In pratica è tutto circondato da minacciosi cumuli di lava solidificata. Rinnovato di recente, più che un rifugio pare un bell’albergo a tre stelle, dove siamo accolti da una simpatica compagine di giovani gestori. In piena tradizione siciliana, il cibo è ottimo e abbondante. Le camere ampie e confortevoli. La vista, su Catania e il mar Ionio, mozzafiato. Incuriositi da quella strana montagna, dopopranzo ci muoviamo un pò tutti per perlustrare i dintorni. A pochi passi dal rifugio infatti si possono visitare alcuni crateri(spenti..), nati dalle ultime eruzioni. In realtà tutti i fian-

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chi dell’Etna sono disseminati di questi crateri, formatisi e poi richiusi, nelle numerose eruzioni avvenute nel corso dei millenni. Il cuore del “gigante di fuoco” però si trova sulla cima, a circa 3300 m. Là vi sono i 4 grandi crateri in attività costante: il cratere centrale o “Voragine”, il cratere di nord-est, formatosi nel 1911, la “Bocca Nuova” nata nel 1968, e, il più irrequieto degli ultimi decenni, quello di sud-est (nato nel 1961). Sono queste le bocche principali da cui perennemente fuoriescono gas e colonne di fumo gassoso e da cui partono le attività eruttive più violente. Ed è proprio lassù che il giorno successivo ci saremmo trovati a salire. Dopo una ricca cena, ben annaffiata con prodotti enologici locali, ci

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

avviamo tutti allegramente in branda. All’alba ci attende appunto “la Voragine”. Così, con le prime luci dell’aurora, Pietro, la nostra simpatica guida di Nicolosi, ci da il suo benvenuto e con lui un cane randagio nero come la lava che ci avrebbe accompagnato, simpatica mascotte, per tutta la durata della gita. Su un gigantesco 4x4 saliamo fino alla “torre del filosofo”. Da lì a piedi avremmo raggiunto i crateri sommitali. L’obiettivo era attraversare diametralmente il colosso di fuoco fino al suo lato opposto a nord, passando ovviamente dalla cima dei crateri centrali. Circa 12 km di cammino in totale. Saliamo con una bella e limpida giornata, tranne ovviamente la nube di fumo sopra le nostre teste che si fa via via più impressionante. Il terreno è quasi soffice per la cenere depositata. A tratti si sprofonda un pò, ma il percorso è piuttosto agevole. La curiosità che la nostra attenta guida ci fa notare è che scavando un pò sotto lo strato di cenere appare il bianco della neve ! D’inverno sull’Etna cadono anche 2 o 3 metri di neve e si svolgono importanti gare di sci alpinismo (agli impianti di risalita hanno rinunciato in quanto sistematicamente distrutti dalle eruzioni..!) . Una volta ricoperto dalle ceneri il manto nevoso si conserva intatto tutto l’anno. Avvicinandoci alla vetta fra strane conformazioni laviche, il rumore sordo e cupo che proviene dalle viscere della terra si fa sempre più inquietante. Le esplosioni continue che lo alimentano si distinguono sempre meglio e si intuisce cosa può significare un’eruzione

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in piena regola. Arriviamo ai crateri centrali in tarda mattinata. Il fumo carico dei vapori di gas tossici, in particolare l’acido solfidrico, toglie il respiro, ma fortunatamente un vento favorevole ne diminuisce la concentrazione e ci consente di giungere agevolmente sul ciglio dell’enorme anello del cratere centrale. Possiamo sostare giusto il tempo della foto ricordo perché i fumi soffocanti, ma soprattutto un boato e un improvviso sussulto proveniente da sotto i nostri piedi ci convince di levare rapidi il disturbo... Proviamo tutti un gusto un pò infantile, scendendo di corsa a balzelloni sulla cenere morbida fino al vecchio osservatorio vulcanologico (tristemente abbandonato..), che si trova sopra la famosa valle del Bove. La ci fermiamo per riprendere fiato e fare un meritato spuntino. Riguardando la cima del cratere notiamo come il pennacchio di fumo sia notevolmente aumentato e ci diciamo fortunati per averlo fortunosamente evitato. Nell’ultimo tratto di discesa riprendiamo allegramente a zompare sulla nera sabbia della falda. Falda che ci porta all’abitato, dove, dopo una doverosa pausa e un lungo brindisi generale, troviamo i pullman per ritornare al Sapienza. Si può dire che la nostra impresa sia felicemente conclusa qui. In realtà ci restava quasi tutto il giorno successivo, che impiegammo a visitare la zona di Aci Trezza, nonché a rifocillarci in un ottimo ristorante di pesce, prima di riprendere l’aereo che in serata ci avrebbe riportati tutti soddisfatti a casa. 77


ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

RIFUGIO

RE cat. A

SAN PIETRO GRUPPO

Alpi di Ledro

LOCALIZZAZIONE Monte Calino COMUNE Tenno QUOTA 976 GESTORE

Enzo Santoni Loc. Matoni - 38060 Tenno tel. 0464 502150

TELEFONO 0464 500647 APERTURA 20 giugno - 20 settembre SOCCORSO ALPINO Riva del Garda capo stazione Gianluca Tognoni per chiamata di soccorso tel. 118 0464 550550 ACCESSI

-

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- da Ville del Monte m 556 (frazione S. Antonio) col sentiero 406 che passa da Canale m 598, dalle Case Bastiani m 854 ed arriva presso il rifugio - ore 1,30 - da Gavazzo Nuova m 201, per il sentiero Val di Gola, segnavia 401 che per la Val del Magnone passa da Tenno m 427 - ore 2,15 - da Malga Lomasona m 536 (strada da Dasindo) con il segnavia 410 alla Sella del Calino m 966 e al rifugio - ore 2

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

RIFUGIO

RA cat. B

NINO PERNICI GRUPPO

Alpi di Ledro

LOCALIZZAZIONE Bocca di Trat COMUNE

Riva del Garda

QUOTA 1600 GESTORE Marco De Guelmi Enguiso Concei cell. 349 3301981 TELEFONO 0464 505090 APERTURA 18 maggio - 30 settembre SOCCORSO ALPINO Riva del Garda capo stazione Gianluca Tognoni per chiamata di soccorso tel. 118 0464 550550 ACCESSI

Annuario 2012

- da Lenzumo m 796 in Val Concei, per strada i 7 km fino a Malga Trat m 1556, segnavia 403, indi per sentiero in 20 minuti; a piedi ore 2,15; - da Riva del Garda m 73, segnavia 402, per S. Maria Maddalena m 252, San Giovanni m 440, Pinza, Campi m 672, Rifugio Grassi m 1055, Malga Dosso dei Fiori m 1355, Bocca di Trat m 1581 - ore 4,15 (ore 1,30 dal Rifugio Grassi, ove si arriva per strada di 14 km)

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ATTIVITÀ DELLA SEZIONE

CAPANNA SOCIALE

SANTA BARBARA GRUPPO

cat. B

Rocchetta (Alpi di Ledro)

LOCALIZZAZIONE Monte Rocchetta COMUNE

Riva del Garda

QUOTA 560 GESTORE

Sezione SAT di Riva del Garda Tel. 0464 556141

APERTURA A discrezione della sezione SOCCORSO ALPINO Riva del Garda capo stazione Gianluca Tognoni per chiamata di soccorso tel. 118 oppure 0464 550550 ACCESSO

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da Riva del Garda m 70 per stradina, indi sentiero 404 che passa presso il Bastione m 212 - ore 1,15

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GCA Assicurazioni s.r.l. Agenti Procuratori: Gianni Gazzini, Mauro Chizzola, Franco Antonini 38066 Riva del Garda Via Monte Oro, 5/b Tel. 0464 552137 - 554414 Fax 0464 554913 e-mail: riva.del.garda@allianzras.it 38068 Rovereto Viale Trento, 31 Tel. 0464 410935 Fax 0464 490391 e-mail: rovereto@allianzras.it


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Sessant’anni a Santa Barbara di Erre Bruno “Netto” Floriani, e Celestino Tamburini hanno vissuto le vicende della Capanna di Santa Barbara fin quasi dalle sue origini. Già negli anni ’50, “i primi peli della barba” con l’allora presidente della sezione di Riva il mitico “Tonìm” Alberti, le frequentazioni domenicali e la collaborazione erano costanti nelle varie attività che man mano si imponevano: dai gravosi lavori di manutenzione e di ammodernamento dell’edificio, alla preparazione dei cibi per i soci ospiti, alla sistemazione del sentiero di accesso, all’approvvigionamento e taglio della legna necessaria, e gli impegni suddetti proseguono anche ai giorni nostri, malgrado il passare degli anni faccia venir loro il fiato un po’ lungo e le gambe piuttosto legnose, per raggiungere la mèta. Hanno affrontato momenti particolarmente delicati nella gestione, come quando, con il ritiro di

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Ivo Armani, capo-cuoco indiscusso della “polenta e cunèl” per oltre 20 anni. Di fronte alla minaccia della fine dell’ iniziativa, che portava domenicalmente alla capanna folti gruppi di amici, hanno triplicato gli impegni, e, con altri volonterosi, che al giorno d’oggi sono suddivisi in sette gruppi di gestione, ne hanno garantito la continuità..(Proprio in questi giorni Netto e Celestino hanno provveduto al taglio di circa 20 quintali di legna - una buona scorta per la capanna). La loro testimonianza è senza dubbio molto valida per una ricostruzione delle vicende legate a santa Barbara. Assieme a loro, andiamo quindi un po’ a ritroso nel tempo: Domanda: Come si presentava la capanna negli anni ‘50 e quando avvennero i lavori che la portarono allo stato attuale?

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Risposta: La capanna, costruita inizialmente in legno negli anni ’27/’28 dagli operai addetti alla creazione del tunnel e alla posa dei tubi della centrale idroelettrica, era stata successivamente trasformata in muratura, occupando la stessa area, di circa 6 metri per 4. Negli anni ‘50 si presentava come un parallelepipedo, che occupava lo spazio ora adibito a mensa. Tutto si svolgeva in quell’area, dove una rudimentale cucina economica in mattoni serviva alla preparazione dei cibi. Una tavola e due panche, che di notte erano usate anche come giacigli, completavano l’arredo. Il pavimento era in cemento. Quattro gradini permettevano l’accesso, attraverso una botola, al sottotetto, molto basso e quindi disagevole, senza luce. Era fonte di bernoccoli per chi vi accedeva, ed era praticamente utilizzabile solo quale deposito di materiale. I serramenti provenivano da recuperi ed erano, naturalmente, molto malandati. Le finestre erano munite di inferriate che facevano apparire la capanna più una prigione che un rifugio alpino. Questo stato di cose proseguì fino al 1981, quando un gruppo di volonterosi con alla testa Gigi Lotti, vice presidente della sezione, esperto in edilizia, diede mano ai lavori di ampliamento, per disporre di spazio per la cucina. È interessante notare, a tal proposito come fosse praticata una rientranza in un angolo della muratura, per conservare un albero, che si trovava proprio in quella posizione, creando non pochi problemi al corretto utilizzo degli spazi interni. Forse quell’albero era un po’ maledetto: lo scelse infatti per concludere la propria vita un giovane turista straniero, con grande sgomento dei frequentatori, alla macabra scoperta del cadavere. Ma torniamo all’ allargamento dell’edificio.. In breve fu posto in opera il tetto, più alto del precedente creando così un ampio soppalco da utilizzare come deposito di materiale vario, attrezzato inoltre con un paio di lettini. A quel tempo la strada tagliafuoco che porta ai tubi della centrale era ormai in funzione. Ciò risultò di grande utilità per il trasporto del 84

materiale edilizio fino a quel punto, dove veniva scaricato. Tutti gli alpinisti ed escursionisti che si recavano a santa Barbara erano invitati a sobbarcarsi di un mattone o, i più forti, di carichi più onerosi da lì alla meta. In poco tempo tutto il necessario raggiunse la destinazione. Ma l’ampliamento della struttura risultò da subito inadeguato, in quanto l’afflusso di ospiti continuava ad aumentare. Così, negli anni ‘90 si provvide alla creazione della veranda, che permise l’accesso di una ventina di persone in più. Inoltre, già nel 1986, su iniziativa di Arturo Giovanelli “Lundo”, attuale presidente della Sezione, si iniziò la costruzione di quello che in seguito avrebbe preso il nome di “Bait del Toni”, chiaro riferimento al vecchio glorioso presidente Antonio Alberti. La costruzione, un bivacco, abbastanza travagliata, restò un bel po’ di tempo priva del tetto. Dalla generosa collaborazione di un amico rivano arrivò l’offerta del materiale in legno, necessario per il completamento dell’opera (i nostri due relatori provvidero alla costruzione del forno). Breve accenno ai servizi igienici, una volta piuttosto rudimentali, recentemente dotati di acqua corrente. Le migliorie realizzate nello scorso anno fanno della capanna, finalmente, un ambiente particolarmente accogliente. Domanda: Volete raccontarci come la capanna un po’ alla volta è diventata un posto di ristoro? Risposta: Negli anni ‘50 Santa Barbara era frequentata assiduamente solo da un piccolo gruppo di satini rivani, ricordiamo il Berto Boschetti, l’Ezio Micheloni, il Giorgio Bombardelli, il Lino Brunelli, l’Alberto Vigori “Bello”, il Renzo Tonelli e, naturalmente, noi due: il nucleo del “Soccorso Alpino” rivano. Questi usavano trascorrere le domeniche nella capanna: qualche panino imbottito, il classico bottiglione di vino. Quando venivamo presi dalla smania culinaria, ci mettevamo d’impegno a preparare i gnocchi. Portavamo patate, farina bianca e un uovo e Annuario 2012


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preparavamo l’impasto sull’unico tavolo, che col bel tempo veniva trasportato all’esterno. Non era sicuramente una cucina da grand hotel, ma tutto serviva per trascorrere due ore in allegria. Ogni tanto passava qualche turista, che saliva fino alla chiesetta, vedeva il nostro gruppo, intento alla magra mensa, e chiedeva se non ci fosse per caso da bere un caffè o un tè. Sollecitati, iniziammo a preparare qualche bevanda per dissetare gli escursionisti. Furono quelli i primi soldi che arrivarono alla sezione, frutto dell’ attività nella capanna. C’erano poi i grossi avvenimenti, quali la ricorrenza del 4 dicembre, la festività di Santa Barbara, quando a tutti, dopo la celebrazione della messa, veniva offerto del tè. Iniziò così quello che in dialetto rivano chiamiamo il “Tria molinèl” e un po’ per volta l’ambiente fu attrezzato con le suppellettili essenziali e, dopo qualche tempo, passammo alla”polenta e cunèl” domenicale. Domanda: E con gli approvvigionamenti, come andava ? Risposta: Superata la fase iniziale, nella quale ognuno si arrangiava per se stesso, il problema si presentava non di poco conto: si trattava di partire a piedi da Riva con un carico che variava dai 20 fino ai 30 kg. nello zaino. (In principio non erano in dotazione le famose “Kraizere”, che alleviarono un po’ la fatica) Un alleggerimento degli sforzi sopravvenne da quando, con la costruzione della stradina tagliafuoco dalla città fino ai tubi della centrale, fu possibile usufruire di mezzi ottenuti in prestito, per portare i carichi a coprire metà del percorso. Successivamente, in questi ultimi anni, l’intervento dell’elicottero ha permesso il rifornimento delle bevande per tutto l’arco di tempo di apertura. Domanda: E con l’acqua necessaria? Risposta: Avevamo scoperto l’apertura di una piccola galleria, 10 minuti sopra la capanna . Un paio di gradini portavano ad un vasca, profonda circa un metro e mezzo, sempre piena d’acqua, Annuario 2012

alimentata da una piccola sorgente. La struttura risaliva ai tempi della prima guerra mondiale, usufruita dall’esercito austriaco. Lì si andava con delle taniche e il rifornimento era così assicurato. Per anni quell’acqua fu da noi considerata potabile (nessuno denunciò mai disturbi di alcun genere dopo averla bevuta) tuttavia, recentemente, da controlli eseguiti, si è appurato che questa non era potabile. A maggior ragione fu provvidenziale l’apporto dell’elicottero! Per lo sfruttamento agevolato dell’acqua della sorgente provvedemmo con una tubazione inizialmente fuori terra, non sfruttabile nella stagione fredda, perché l’acqua congelava. Recentemente anche questo inconveniente è stato risolto con l’interramento. Domanda: Altro argomento - Come si provvedeva al combustibile? Risposta: C’era l’assoluta proibizione di tagliare piante nel bosco circostante. Avevamo ottenuto da parte del Comune di Riva (sempre molto sensibile ai nostri problemi) l’autorizzazione al taglio di alberi in una zona comunale sopra il paese di Pregasina. Grazie all’intervento del defunto Piero Miori detto “Perolòm”, forse per la sua notevole stazza e che saliva fino al bosco col suo trattore, riuscimmo a tagliare e a portare a valle notevoli carichi di legna. Questa veniva scaricata alla frazione di San Giacomo e di lì, per mezzo di una teleferica allora in funzione, giungeva nel piazzale antistante la galleria che collega il nuovo condotto della centrale elettrica. Tutto questo diventava per noi quasi un gioco. Fra parentesi c’è da dire che pensammo di trasportare in quel modo anche gli approvvigionamenti. Male ce ne incolse!. Il materiale, lasciato incustodito all’arrivo, se pur per brevissimo tempo, divenne preda della volpe. Fu un disastro e l’iniziativa miseramente fallì. Al giorno d’oggi il problema della scorta della legna è superato. Il Corpo Forestale ha constatato che il pino nero che copre la Rocchetta è destinato in breve a concludere il proprio ciclo di vita ; 85


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non solo, ma che la presenza di un bosco misto, con specie diverse di fustaie, che poco alla volta lo sostituirà, risulta molto più idoneo a resistere nel tempo e a riprodursi. Da qui la cessazione del divieto di taglio del pino e la soluzione, almeno per il momento, del problema.. Domanda: Ma di quale teleferica stavate parlando? Risposta: Allestita come supporto ai lavori di ristrutturazione della centrale, partendo, come si diceva da San Giacomo, avrebbe rappresentato una grande comodità per noi. Purtroppo una frana, una delle tante frane che periodicamente interessano la Rocchetta, la distrusse. Domanda: Volete parlare delle frane? Risposta: La dislocazione della capanna sembra salvarla da una tale minaccia. Dovrebbe franare mezza Rocchetta; nel qual caso anche la città potrebbe esserne coinvolta. Certo che le frane rappresentano una seria minaccia per l’ambiente nei pressi della capanna. Sapessi quante volte negli anni trascorsi siamo dovuti intervenire per riparare o rifare totalmente il tetto della chiesetta di Santa Barbara, colpito da massi caduti dall’alto. La grossa frana di un paio di anni or sono ha distrutto completamente la sovrastante capanna dei Vigili del Fuoco e così il sentiero che dalla capanna sale alla chiesetta ha portato grosse pietre molto in basso lungo il vallone, che, fortunatamente è spostato rispetto alla capanna. Domanda: Avete accennato alla chiesetta che ha dato il nome anche alla capanna. Cosa ci raccontate su di essa? Risposta: La chiesetta, eretta nel 1928 ad opera dei minatori addetti alla costruzione delle condotte della centrale, è sempre stata oggetto delle nostre particolari attenzioni: a parte i lavori di manutenzione, come quello del tetto sopra accennato, ci siamo sempre impegnati a farle mantenere un aspetto decoroso: molte volte l’abbiamo imbiancata. Ne curiamo l’illuminazione 86

notturna, accanto a quella della stella natalizia, installata poco distante. C’è chi ne cura periodicamente la pulizia e la tenuta del libretto per la raccolta delle firme dei frequentatori. Il 4 dicembre, quando ricorre la sua festività, chiamiamo a raccolta tutta la popolazione satina, che è sempre presente molto numerosa. Domanda: Partiamo dall’accenno alla gente. Volete fornire qualche nome di personaggi particolarmente importanti, che sono stati presenti alla capanna? Risposta: Ricorderemo prima di tutto il senatore Giovanni Spagnolli di Rovereto, allora presidente generale del C.A.I., intervenuto in occasione della inaugurazione della “Ferrata dell’Amicizia” nel 1972. Altra presenza notevole, di pochi anni or sono, il Vescovo della Diocesi di Trento, mons. Bressan. Da entrambi giunsero le migliori congratulazioni per il pranzo loro offerto, a base, naturalmente, di polenta e coniglio. Il prelato affermò addirittura che mai aveva gustato un cibo così saporito. Tutti i presidenti centrali della SAT succedutisi nei 60 anni, ci hanno inoltre onorato della loro visita. Riteniamo dare rilievo anche alla presenza di scolaresche della zona, che trovano nella salita a Santa Barbara un primo approccio con la montagna, ed una calda accoglienza dai volontari che preparano loro le cibarie. Infine ci sentiamo qui in dovere di ricordare alcune persone amiche che non ci sono più, assidue alla capanna, recentemente scomparse: Sergio Francesconi, il cui cuore ha ceduto a pochi passi dalla capanna, Fabio Cazzolli per anni addetto alla preparazione della polenta, socio della sezione di Arco, ma vincolato sentimentalmente alla Santa Barbara. E poi altri amici, che ci hanno lasciato da tempo, tutti preziosi collaboratori: i già citati Renzo Tonelli, Miori “Perolòm”, Ivo Armani “Pestoleta”, Pino ”Bauer” Planchesteiner e non dimentichiamo il presidentissimo “Tonim” Alberti, giunto da noi per l’ultima volta ultranovantenne. Annuario 2012


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Domanda: L’accenno all’ inaugurazione della via ferrata “dell’Amicizia” ci riporta indietro nel tempo. Potete dare qualche informazione in materia? Risposta: Partiamo dal 1970 - Le vie ferrate stavano diffondendosi nelle nostre montagne, in particolare nelle Dolomiti. La nostra sezione non poteva essere da meno. Fu scelta simbolicamente Cima SAT la punta aguzza della Rocchetta che guarda Riva. Due anni di duro lavoro ci impegnarono per la scelta del tracciato ottimale, per la preparazione delle scalette in ferro nei punti più impegnativi, per la stesura dei cavi di acciaio. Nel 1972 la via era pronta. Ancora una volta furono protagonisti gli amici Lino Brunelli, abile fabbro che fornì le scale metalliche, Renzo Tonelli, Giorgio Bombardelli, Donatello Ferrari “Tello” tutti abili rocciatori. Di altri purtroppo ci sfugge il nome. I lavori terminarono nel 1972, in coincidenza col centenario della nascita della SAT. La via per questo prese il nome di “Ferrata del Centenario” ma per noi amici e per i rivani in genere il suo nome fu quella di “Ferrata dell’Amicizia”, poiché l’ amicizia che ci legava era stata alla base del progetto e della sua realizzazione. Domanda: Sapreste dire quante volte, in questi 60 anni siete saliti alla capanna? Risposta: (I due riflettono un po’ e poi rispondono unanimi): Almeno mille, ma certo saranno di più. Fantastico! Altre domande sulle vicende della capanna di Santa Barbara solleciterebbero chi intervista: la manuAnnuario 2012

tenzione del sentiero di accesso, gli atti vandalici ai quali periodicamente la capanna è stata sottoposta, l’acquisto della “Panda” quattro per quattro che ha alleviato di molto i trasporti, l’erezione dell’albero della bandiera, e chissà quant’altro ancora. Siccome però le “minestre longhe” riescono sempre poco gradite, è meglio fermarsi qui. Questo vuole essere un doveroso riconoscimento verso “Due” fra i tanti che hanno collaborato e collaborano al buon andamento della capanna, soprattutto per la continuità della loro dedizione, per la loro modestia e per la validità della loro opera. Essi, assieme agli altri collaboratori, rappresentano uno splendido esempio del volontariato che caratterizza la nostra associazione. Riva del Garda, Gennaio 2012 87


Ne vegn da contarla di Roberto Angiolini Il dialetto rivano sta, purtroppo, scomparendo: i ragazzi non lo parlano più; i bambini non lo capiscono, dato che la lingua italiana è ormai entrata nel linguaggio familiare. E' piacevole quindi recuperarlo con questa gustosa storiella di altri tempi dal titolo: NE VEGN DA CONTARLA... I gheva resòm i nossi vèci: “Coré... coré, come i cavrioi ...e no vedé el bèl de ‘sti monti!” Ogni tant a mi e al me socio Neto ne piaseva nar ensema al Toni e al Giacom, perché, tra ‘l rèst, i era anca de alegria, co le so storie vècie. En bel dì, de vender, che l’era la fim de setember, passem da la botega sul Cantom, i gh’è lì tuti doi, el Toni e el Giacom, e i ne diss: “Domam, che l’è sabo, nem sul Baldo; vegnì anca voi, va bem?” Partim ale oto de sera (perché alora se laoreva anca el sabo). Alora, el dì dopo se parte da Riva a pè, anzi, i ne diss: “Vardé che dormim a metà sentér, al bait del Bepi Ròc.” Va bem. Me ricordo che nel nar en su se sentiva la musica de la Conca d’Oro. Rivai a metà sentér, el me diss el me socio: “G’ò ‘na sée!...” “La g’ò anca mi”, ghe digo, “ma spèta, che ghe domandem se gh’è ‘na sortiva”. E lori i s’è messi a rider, disendo: “Che raza de boci” (Alora mi nevo via co ‘n de ‘n tascapan con zo poca roba, e en strass de spolverìm, ligà ‘ntorno a la panza). “Eco, bisògn che i ‘mpara a farse el prosacc con zo qualcòss” el fa el Toni; e po’ “Vegnì chi che ve dago mi da cavarve la sé.” El va a raspàr zo per le scarsèle e ‘l me diss: “Ti ciucia questo, che l’era ‘n stupacùl e a quel altro el ghe dà ‘n òss de brugna. Tuti doi i saveva da tabàc. E ‘l ne diss ancora: “Dopo dénei ‘ndrio, che gh’è dei altri che i gh’à da ciuciàr!”. Rivém su a la baita e no la è finìa perchè trovem enciavà, con tant de merlòss. E el me socio, che l’è ‘n ferèr “Ghe penso mi”, el diss. El tol en tòcc de fil de fèr, el raspa e ‘el la daverse. 88

Là dent avém empià el focc, ma gìrene e vòltene, em fatt ‘na not da cagni, a bagolar dal frett. Anzi, scuasi me desmenteghevo de dirvelo, con noi gh’era anca el Muzzio, che l’era el noss Presidente. Eco lì i nossi do vèci, i s’è messi lì en d’en cantom e i s’è cuertai su, tuti doi de giornai e i n’à ditt: “Voi no capì gnent!” Vègn la matina. Me scampa i òci: en font a la baita vegniva dent ‘na luce ciara. Ne nascorsém che, pròpi en font, mancheva ‘na pareana. Saria bastà girar de dré per nar dent sensa laoràr. Sarìa bastà no averghe pressa e zercàr ‘n altro buss per scaldarse. L’è propi vera, i gaveva resòm i vèci, quando che i ne diseva de nar piam piam e vardarse ‘ntorno en montagna! C.

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Maddalene: l’anello del Monte Pin di Sandro La catena delle Maddalene chiude a nord l’alta val di Non, tra il gruppo del Cevedale e la valle del rio Novella; le sue cime non vanno mai oltre i 2700 metri di altezza e non sono presenti ghiacciai. Per questo motivo i percorsi che attraversano questo gruppo di monti non sono particolarmente impegnativi e quindi facilmente accessibili ad ogni camminatore interessato ad apprezzarne la rustica bellezza. Le Maddalene offrono colori e ambienti suggestivi anche per l’integrità dell’ambiente così lontano dal turismo di massa, privo di impianti o strutture invasive che snaturino la loro selvaggia bellezza.

I sentieri sono sempre ben tracciati e facilmente accessibili sia nel versante meridionale, dall’alta val di Non, come dal versante nord, proteso nella confinante val d’Ultimo in provincia di Bolzano. Il più noto di questi sentieri è il n. 133 “Aldo Bonacossa”, che attraversa questa catena in direzione est-ovest, ovvero dal Passo delle Palade alla val di Rabbi, per un avvincente trekking di più giorni (4-5) che consiglio caldamente ai più allenati, trattandosi di un’attraversata veramente entusiasmante e mai difficile se non per la lunghezza del percorso. Premesso tutto ciò voglio proporvi un interessante giro che si svolge a cavallo tra due valli che si allungano ai piedi delle Maddalene, ovvero la

Il Bivacco di Malga Binagia di sopra Annuario 2012

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val di Bresimo e la val di Rumo. Tra queste due belle vallate si erge imponente la cima del Monte Pin che raggiunge l’altezza di m 2420, e da cui si gode una vista panoramica veramente magnifica. Lasciata l’automobile alla piccola frazione di Bevia che si trova a m 1038 di altezza, nel territorio comunale di Bresimo, si risale il ripido sentiero n.131 che inizia nei pressi di una fontanella posta nel piccolo e grazioso paesino. Sempre in salita piuttosto erta ci si addentra in un bel bosco di larici e abeti, costeggiando in basso sotto di noi la verde val di Bresimo che si addentra lungamente solcata dal torrente Barnes fino ai piedi della Punta di Quadra, al di la della quale è già val d’Ultimo e più in là Cevedale. La ripida salita si spiana brevemente in un tratto dove attraversiamo il rio da Pedri per poi inerpicarsi nuovamente, fino alla malga Borca di sotto m 1842, recentemente ristrutturata che può offrire un riparo in caso di necessità (ore 2 circa dalla macchina). Bisogna a questo punto lasciare il sentiero n. 131 per prendere una larga strada forestale che in circa 45 minuti ci porta alla malga Binasia di Sopra a m 2138, la quale è la più alta malga attiva del Trentino. Presso la malga è stato recentemente ricavato un buon bivacco attrezzato con letto a castello (6 posti senza materassi), tavola, panche, stufa e suppellettili varie. L’acqua si trova nelle vicinanze, ove scorre un piccolo ruscelletto a cui è possibile abbeverarsi e lavarsi. Dalla malga Binasia passa il sentiero n. 133 Bonacossa, che come ho detto sopra attraversa l’intero gruppo delle Maddalene: noi lo percorriamo per un breve tratto in salita, fino al Passo Binasia a m 2296 (1/2 ora circa dalla malga). Da questo Passo inizia la parte più bella e avvincente del nostro cammino: lasciamo il sentiero n. 133 e prendiamo a destra una traccia non segnata ma evidente, che percorre una breve ma suggestiva catena di tre cime senza nome poste 90

alle quote di m 2399, m 2363, m 2424. Attraversando questa facile cresta con vedute incantevoli, raggiungiamo in circa 1 ora e ½ dal passo la cima del monte Pin a m 2420: da qui si stende sotto di noi l’alta val di Non con il lago di Santa Giustina in lontananza e più in là Presanella, Brenta e molte altre cime di Trentino e Alto Adige. Per la discesa si prende il sentiero n.131 che cala verso ovest, dapprima dolcemente e poi più ripido su facili pendii erbosi fino alla malga Borca di Sotto, già incrociata sul percorso di salita. Dalla malga infatti ripercorriamo in discesa il ripido sentiero che ritorna a Bevia, punto di partenza della nostra escursione (ore 2 e 30 circa dalla cima Pin). L’intero percorso, tra andata e ritorno, richiede più o meno 7 ore di cammino ed è piuttosto lungo, anche se mai difficile, percorrerlo in un solo giorno richiede una discreta dose di allenamento. Per i meno allenati o per chi desiderasse sostare una notte in questi splendidi luoghi, consiglio di fermarsi a dormire nel bel bivacco, magari nel primo autunno, quando i larici ingialliscono e l’aria si fa più fina e tutto è immerso nel silenzio profondo di queste splendide, magiche, incantevoli Maddalene.

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Te me manche “Drago vert”

Lontam da casa

di Ivo Bridarolli

Da bocia sentivo parlar dela malinconia chi la gaveva i ne sofriva, me pareva na strana malatia no ghera medizina che la guariva. Chi era na en America o en Africa nera chi era emigrà en giro per el mondo quan che veniva sera ghe pareva che el zercol el fose tondo. E l’è vera, non tut el torna par che manca qualcos. Che sia la cavalina storna o el zucher d’orz 1... L’è en po’ come ‘rivar su na zima, de drio te poi trovar en magnom en prà de fiori o stela alpina che te fa pasar el magom. Ades vivo en den paes piat no ghè nient per orientarse A volte giro entorno come en gat, però ghè odori e colori per raserenarse. Manca l’òra e l’odor del lac, ghè la foresta che ripara dal vent, ogni sera ‘rivo a casa strac ho fat tante robe e som content. La famea e la fiola le è lontane ma gò en bel fogolar. So che tuti i stà bem e i è sani, e domam vago al canyon a rampegar. Ho scrit sta roba en rima en ricordo del vecio Floriani, ades som pù lezer de prima tant che stanot sognerò de monti e amizi rivani.

Te sère bela Co l’acqua sempre fresca Te sère el “Drago vert” No’l so perché Forse la forma, forse el color... te ciamevem cossì te sarem tacai. Passar adess al Brolio E non vederte pù Me pianze ‘l cor I ha mess lì ‘na fontanela Da poc, che no diss gnent Co l’acqua sempre fresca Oro per el turista Ma per noi… No l’e pù el noss “Drago vert”

di Mirco

1 Zucher d’orz: me mama la feva colar el zucher en de na padela sul foc, e quando dopo el deventeva dur sel magneva come se fus caramele. Annuario 2012

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Due giorni a spasso sulle Bocchette 2-3 agosto 2011 di “La banda allegra e lenta” (Ruggero, Franci, Sergio, Claudio, Marco P., Marco T. e Paolo) L’idea era nell’aria da tempo. Per la precisione dall’estate dell’anno prima allorquando, durante una splendida giornata di sole trascorsa a percorrere in compagnia di amici la ferrata Tridentina, ci si era detti: “Ma perché non fare un bel gruppo e concederci un paio di giorni assieme a spasso sulle Bocchette?“. Detto, fatto. Del resto le Dolomiti di Brenta sono la nostra “casa”, un gioiello senza prezzo, un’esperienza che ti lascia qualcosa di indelebile nel profondo dell’anima, riempiendoti gli occhi e soprattutto il cuore di una bellezza ineguagliabile. L’obiettivo è la traversata delle Bocchette centrali e, il giorno successivo, le Bocchette alte. Sicuramente un trekking di tutto rispetto che richiede un certo impegno ma tra i partecipanti la determinazione non manca. Il gruppo è ben affiatato e con tanta voglia di divertirsi e il numero dei partecipanti fa la differenza: 7 temerari! Uno dei gruppi “più lenti” della storia dei trekking, sentienzierà cammin facendo la nostra guida Ruggero. Iniziamo con Marco Pauletti (se non ci fosse bisognerebbe inventarlo), che con il suo humour ci tiene allegri per tutta la durata del trekking. Poi c’è Marco Torbol “il gastronomico”, lo “chef”,

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che con piacere e passione ci impartisce lezioni nutrizionistiche molto interessanti e illuminanti per affrontare la montagna e non solo. Francesca non per niente è la “regina del caffè“. La sua allegria è contagiosa e ad ogni pausa non manca mai di tirar fuori il suo kit (con tanto di moca e fornelletto) e prepararci con cura e competenza un caffè tonificante e distensivo. Qualche vizietto della “quotidianità” dobbiamo pur portarcelo appresso. Poi ci sono Claudio, un vero vulcano di idee, e Sergio che non poteva mancare di far svettare sulla “Scala degli Amici“ la mitica maglietta del Tour de Pance. E ancora Paolo, che avrebbe dato del matto a chiunque se solo un paio d’anni fa gli avessero detto di trovarsi qui, fra strapiombi, cenge e scale a picco sul vuoto. E ovviamente Ruggero, la nostra “guida”, un distillato di saggezza ed esperienza, un “maestro“ che ti porta passo passo spiegandoti ogni minimo segreto e ogni storia di questo susseguirsi di guglie, pinnacoli, vette e rocce. Una delle regole base dell’andar in montagna è partire presto. Ancora più presto, praticamente nel cuore della notte, se si vuole affrontare trekking di questo tipo. Sveglia alle 2.30, alle 4 siamo al parcheggio di Vallesinella e un quarto d‘ora dopo siamo pronti per incamminarci sul sentiero che punta deciso verso il Rifugio Casinei. Una partenza decisamente frizzante con un passo sostenuto, accompagnato da un susseguirsi di chiacchiere e risate. Qualcuno (vedi Paolo) parte troppo sparato e poi ne paga le conseguenze. Altri non se ne stanno zitti nemmeno un secondo. Nel frattempo l’alba fa capolino, dapprima con un tenue chiarore come per avvisarci del suo arrivo, per poi illuminare di una luce magica le imponenti cime che si 93


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trovano di fronte a noi a cominciare ovviamente dal Crozon di Brenta (3.135 metri) e dalla Tosa (3.173 metri). E alle nostre spalle mentre saliamo si stagliano imponenti il gruppo dell’Adamello, il Carè Alto e la Presanella. Finalmente arriviamo al Rifugio Brentei e con l’assenso del nostro Ruggero possiamo concederci una tonificante colazione. Ma l’obiettivo è ben altro e così da lì a poco si riparte anche se c‘è qualcuno che si attarda nell‘espletare un bisognino fisiologico. Direzione Bocca di Brenta, non prima di aver ammirato l’impressionante Canalone Neri che con i suoi mille metri di dislivello di ghiaccio e neve raggiunge la Cima Tosa. Pochi metri sotto la Bocca di Brenta la nostra prima “dolce fatica“ è conclusa. Ci fermiamo per prepararci e così tutti indaffarati iniziamo ad attrezzarci. Chi indossa per primo l’imbraco, chi invece inizia dal casco, quello che decide di cambiarsi la maglietta perché sudato e approfitta per mostrare tutta la sua virilità facendo scoppiare i compagni d’avventura in una sonora risata, e chi manipolando l’attrezzatura senza procedere alla vestizione si domanda se ce la farà o se è troppo lunga per le sue capacità creandosi un’immotivata preoccupazione che diventa comunque per tutti motivo di allegria. Lo scatto dei moschettoni sembra musica, la giornata è fantastica, l’aria frizzante. Meglio di così non si può chiedere. Controllata e ricontrollata diverse volte l’attrezzatura, in un attimo ci troviamo ad affrontare la prima scala come prova di partenza che tutti superano con slancio. Da qui si procede su un lungo e comodo traverso superando diversi passaggi molto affascinanti che distinguono le Bocchette. Ad un certo punto, girato l’angolo, si presenta davanti a noi in tutta la sua eleganza, l’emblema, il simbolo delle Dolomiti di Brenta: il Campanil Basso (2.883 m.), che tanti alpinisti sognano e che altri, come in quei fantastici momenti, sono intenti a scalare. Procediamo fino ad aggirarlo per poi decidere di fare una pausa. Per tre buoni motivi. Il primo è 94

quello classico: un po’ di riposo. Il secondo per ammirare quel indubbio panorama offerto sia dalle vallate sottostanti sia dalle innumerevoli cime che ci circondano possenti. E il terzo, che non è da meno, è perché entra in scena la mitica Franci che estrae dallo zaino tutta l’attrezzatura necessaria per preparare un ottimo caffè. Ripreso vigore procediamo con il nostro passo andante ma non troppo (eufemismo per dire che siamo lenti, chiacchieroni ma lenti). La bella giornata merita di essere vissuta anche nei minimi particolari e così, passo dopo passo, con qualche passaggio ancora innevato, raggiungiamo la Bocca dei Armi (2.749 m.) dove ci aspetta un’ulteriore pausa per rimettere nello zaino tutta l’attrezzatura e per chi vuole replicare con il caffè della Franci. Da qui inizia la discesa verso il rifugio Alimonta che senza ramponi non manca di regalare qualche spettacolare capitombolo ai più sprovveduti. È primo pomeriggio quando arriviamo al rifugio e c’è un sacco di tempo da dedicare al relax, a quattro chiacchiere tra amici e, perché no?, ad una buona birra e ad uno spuntino. Ci sdraiamo all’esterno, sulla roccia piana, dove molti anni addietro passava il ghiacciaio, modellando la roccia e lisciandola a tal punto che a tutti sembra un pavimento naturale. Dallo zaino di Claudio spunta fuori di tutto: salame, vino rosso e chi più ne ha più ne metta. Non si può chiedere di meglio. Il sole va e viene. Quando spunta tra le nubi ti vien voglia di metterti in costume da bagno, quando si nasconde è meglio avere a portata di mano un pile per coprirsi. La levataccia del mattino si fa sentire e più d’uno decide di schiacciare un pisolino. Col risultato che Sergio “fa legna” per tutto l’inverno a venire… Il rifugio Alimonta è una struttura storica ma oggi anche molto moderna, offre diversi confort come ad esempio la doccia! E qui qualcuno di noi non resiste alla tentazione. Il più scatenato è Claudio che si trasforma letteralmente, passa dall’abbigliamento da montagna a quello da grandi spiagge. Asciugamano attorno alla vita, Annuario 2012


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ciabatte infradito e la gioia che traspare dal suo volto, si avvia verso quel metroquadro dove a cronometro deve essere in grado di eseguire l’operazione in pochi minuti, pena il dover lavar via il sapone con l‘acqua fredda. Che è anche un pochino più di fredda. Una partita a carte, quattro chiacchiere e finalmente arriva il momento della cena, del grande rito. Appena seduti al nostro tavolo il gestore ci porge il menù. C‘è di tutto e di più e le porzioni sono immense. Anche se la mattina seguente ci sentiremo dire dal gestore che “abbiamo mangiato poco”. Bontà sua! Sta di fatto che per questa nostra “mancanza” ci regala una bottiglia di grappa per continuare il nostro meraviglioso trekking. Tornerà utile al momento opportuno. L‘alba del secondo giorno è uno spettacolo della natura, con i raggi del sole che irradiano di luce il Crozon del Brenta e noi sospesi su un mare di nuvole che copre la valle sottostante. Alle 7.30, dopo una doverosa e ricca colazione, gli zaini sono già in spalla e iniziamo a intrapren-

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dere la via delle Bocchette alte. Ovviamente la partenza è un po’ goffa, dobbiamo riacquistare il ritmo, riscaldare i motori, ma fra chi esterna dubbi sulla sua tenuta (uno solo, Paolo!), chi manifesta tutta la sua euforia e le immancabili battute di Marco Pauletti, il gruppo riacquista ben presto un buon passo e con grande orgoglio avanza inesorabilmente fra pause, caffè, spuntini e gran risate. Dopo circa un’ora di cammino arriviamo al pianoro detritico ai piedi della spalla nord di Cima Molveno. Uno sguardo a 360 gradi è d’obbligo prima di iniziare il sentiero Umberto Quintavalle che ci porta fino alla gelata Bocca bassa dei Massodi tra lo spallone dei Massodi e Cima Molveno. Dopo aver “passeggiato” sulla cengia molto esposta, affrontiamo le lunghe scale che ci fanno risalire lo strapiombante spallone dei Massodi. E tra battute, sorrisi, scatti delle macchine fotografiche e perplessità di qualcuno, arriviamo al pianoro detritico dei Massodi, un punto panoramico eccezionale dove è d’obbligo

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(ma anche richiesto ed estremamente piacevole) fermarsi per un veloce spuntino. Davanti a noi la Bocchetta Alta e Bassa (2790 metri) dei Massodi che raggiungiamo dopo aver affrontato con l’entusiasmo di un bambino la conosciutissima “Scala degli Amici”. Trovandoci poi ai piedi della spettacolare parete sud di Cima Brenta che è anche il punto di maggior altezza del nostro percorso (circa 3.020 metri). Qualche altro saliscendi, il passaggio da alcuni canalini franosi ancora ricchi di neve e poi arriva l’ora delle nebbie che avvolgono tutto e tutti e non ci danno la possibilità di poter godere appieno del panorama fantastico che ci circonda. Eccoci a Bocca Tuckett, alla fine (o quasi) della nostra avventura. Figuriamoci se può mancare uno spettacolare caffè della “Franci” e per l’occasione stappiamo anche la bottiglia di grappa che ci ha regalato il gestore del rifugio Alimonta. Ci prepariamo per raggiungere il rifugio Tuckett affrontando in discesa quel che resta del piccolo ghiacciaio della Vedretta di Brenta che è ancora

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coperto di neve. E anche qui il divertimento non manca. Con lunghe scivolate scendiamo come si faceva quando eravamo giovincelli, con lo stesso spirito e la stessa grinta, fino a raggiungere il sentiero ben marcato sui detriti trasportati molto tempo addietro dal ghiacciaio in attività. E così, passo dopo passo, raggiungiamo il rifugio che in questo periodo ospita parecchi escursionisti. Incontriamo anche gli amici del gruppo dell’Alpinismo Giovanile della SAT di Fiavè che si fermano (beati loro!) tre giorni per arrampicare e far divertire un bel numero di bambini e ragazzi. Questa volta la pausa di rito ce la concediamo comodi comodi all’interno del rifugio, rilassati e felici davanti ad un bel piatto di spaghetti o di lasagne per poi, dopo aver salutato tutti, incamminarci verso Vallesinella. La “civiltà” ci attende. Ma l’appuntamento è solo rinnovato. Quest’anno si replica. EXCELSIOR!

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“Hai visto che sono salito quassù?” di Alberto Maria Betta Udire un ragazzino che mi chiamava per nome dicendomi: “Hai visto che sono salito quassù con il mio papà?” è stato per me un piacere enorme. Ci siamo incontrati sulla cima dell’Altissimo di Nago sul Monte Baldo in una limpida giornata di settembre. Dinanzi a noi il meraviglioso panorama del Lago di Garda con i monti che scendono a precipizio sulle sue acque azzurre. Il ragazzino sorrideva soddisfatto, non l’avrei riconosciuto se non mi avesse chiamato per nome. Era uno dei tanti alunni delle scuole in cui mi

reco sino dal lontano ottobre del 2003 per parlar loro di montagna. La collaborazione della S.A.T. di Riva del Garda con le scuole è iniziata con, l’allora nuova, presidenza di Marco Matteotti appunto nell’ottobre del 2003, con l’avvio del nuovo anno scolastico. Era un programma innovativo. Il nostro obiettivo era quello di avvicinare i giovani alla montagna e insegnar loro il comportamento che ognuno dovrebbe tenere nell’avvicinarsi ad essa. Roberto Angiolini, coordinatore del

Al Pernici con le scuole, ottobre 2006

Progetto scuole 2011

Al Pernici con la 2A

Progetto scuole 2006

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Santa Barbara con le scuole di Nago, 2011

Bus del diaol con le scuole di Tenno

progetto, mi inserì da subito nella squadra assieme all’espertissimo Ferdinando Martinelli, che nelle scuole aveva passato tutta una vita in qualità d’insegnante prima, e preside poi. Fu con la loro assistenza che cominciai la mia nuova avventura. Il programma si divideva in due distinte parti: l’insegnamento in classe, e le escursioni in montagna. All’inizio, nelle classi, forse per farci coraggio a vicenda, ma soprattutto per scoprire quale fosse il metodo migliore per interloquire con i ragazzini ci presentavamo in due o tre satini, poi gradualmente, anche per non appesantire i carichi di lavoro di ciascuno, solo uno per classe. Penso non ci sia soddisfazione maggiore di quella di vedere un’ intera aula di scolaretti, specie quelli delle prime classi, pendere dalle tue labbra, mentre parli di scarponi, di zaino, di escursioni, di avventure, di conquiste e di tragedie, e sentirti rivolgere domande in merito; quasi sempre sensate e appropriate. E com’è gradevole osservare nei loro volti l’esultanza quando, a mo’ di esempio, attrezziamo qualcuno di loro con imbragatura, elmetto e quant’altro. Nelle escursioni poi, organizzate con la cooperazione di satini esperti, geologi, vigili del fuoco, guardie forestali, la gioia dei ragazzi raddoppia. La natura, il panorama, i fiori, le malghe, gli animali, le trincee, le

grotte, le cime, riempiono i loro animi di entusiasmo. La loro voglia di fare, di imparare, di vivere e di sfogarsi, a volte ci inquieta ma allo stesso tempo ci coinvolge e inconsapevolmente ci trasporta, nei lontani giorni della nostra fanciullezza quando anche noi… meglio non pensarci, tempi lontani ormai. Forse non tutti i ragazzi a cui cerchiamo d’infondere l’amore per la montagna coltiveranno in futuro questa passione, ma se qualcuno di loro farà tesoro del nostro insegnamento, magari trasferendo a sua volta questo amore alle future generazioni, il nostro impegno non sarà stato vano. E non ci sarà miglior ricompensa di quando su qualche cima, una giovane voce chiamerà esclamando: “Hai visto che sono salito quassù?”.

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Progetto scuole 2007 Annuario 2012


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Quella strana risposta di Matteo Muchetti Eccomi qua mi sono deciso a scrivere dopo aver visto “che tempo che fa”, puntata dedicata a Walter Bonatti, presenti in studio alpinisti, amici e compagni di avventura del mitico Walter. Fra questi a raccontarne la vita e le imprese c’era Messner …, una puntata a dir poco commovente, ma una cosa che mi ha colpito per non dire turbato particolarmente, è stato che alla domanda di Fazio:”a quanti anni sarebbe giusto smettere con l’ alpinismo estremo?” Reinhold, che è uno dei più grandi alpinisti, se non il più grande di tutti i tempi, ha risposto:”L’età giusta per smettere penso sia intorno ai 35 anni!!!!” Ora vi racconto perché sono rimasto turbato da questa risposta; Partiamo dall’inizio: mi chiamo Matteo, ho 35 anni e probabilmente quando questo scritto sarà in stampa, saranno 36, sono nato e vissuto ad Arco, paradiso dell’arrampicata nella culla del

Sarca, dove vie classiche, aperte da grandi nomi dell’alpinismo, si sommano a vie più moderne e a smisurate falesie, ed ecco perché sono stato scosso da quella risposta, perché fino all’anno scorso di tutto ciò ne sapevo poco o nulla. Da maggio 2011 invece divoro libri di”montagna”, dalle avventure su gli 8000 alle biografie di alpinisti più o meno famosi, a racconti e romanzi che trattano il tema. Ma soprattutto da maggio ho cominciato ad arrampicare. Il mondiale c’entra poco, anche se ora vado fiero che la mia città natale abbia organizzato e ospitato questo evento … Mi sono avvicinato a tutto ciò diciamo per motivi sentimentali. Un paio di anni fa ho conosciuto Flavio, capiamoci non è lui ad avermi spezzato il cuore, bensì la figlia, ma è con lui che ho cominciato la mia, spero,lunghissima avventura da ”climber” e perché no, da “alpinista”! Dopo numerose cene e pranzi insieme, dove il

In sosta con Flavio Annuario 2012

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tema dell’arrampicata la faceva da padrone, la mia curiosità andava saziata. Così una domenica mattina abbiamo aperto un vecchio armadio, che conteneva vecchi cimeli ma anche un paio di scarpette del mio numero, un imbrago che dopo una spolverata risultava ancora in ottimo stato, e siamo partiti, per la falesia di Nago. Il baule dell’ auto di Flavio sembrava un negozio dedicato all’ arrampicata, arrivati nel parcheggio vicino alla falesia, abbiamo riempito uno zaino con tutto l’occorrente e ci siamo diretti verso la parete! Eccoci sotto il muro verticale, ultime raccomandazioni sull’uso dell’attrezzatura e Flavio attacca quella che sarà la mia prima “via”, se non ricordo male (take it easy 22mt 5c), con una scioltezza imbarazzante arriva in cima e con meno sicurezza scende, visto che ad assicurarlo ci sono io, il novellino. Ora tocca a me, mi lego e dopo una stretta di mano, parto, l’emozione è unica, un po’ di ansia, più che altro perché non so, se avrò paura e se sarò in grado di farcela! Ci riesco non senza difficoltà e con un tempo di salita da “nord dell’Eiger”, mi guardo intorno e mi sento un Dio, ho la sensazione di aver compiuto un impresa, e forse è cosi! Poi mi calo, nuova emozione altro brivido, arrivo con i piedi per terra e abbraccio Flavio, non piango solo per la mia avanzata età ma sono commosso; si penso, questa diventerà la mia passione! Per tutto il giorno abbiamo continuato a salire e scendere per l’enorme falesia di Nago, cercando, guida alla mano, vie alla mia portata e dopo qualche successo e altrettanti insuccessi, è finita la mia prima giornata da climber. Successivamente, ogni momento libero è diventato il momento ideale per passare qualche ora in falesia, dove imparavo qualche nuova tecnica e provavo manovre a me sconosciute, come ad esempio, la discesa in corda doppia, tutto ciò era una preparazione per il futuro. Dopo qualche mese passato nelle fantastiche palestre naturali, con le giornate che si allungavano, Flavio mi ha chiesto se ero pronto per una via di più tiri. Pronto..?? Penso di si! E così un sabato mattina 102

siamo partiti per la parete Zebrata e dopo una ventina di minuti a piedi, siamo arrivati alla base. Davanti a noi l’immensa parete, la via “Rita” 400mt e 16 tiri facili con qualche breve passaggio di 5c. Abbastanza semplice, ma pur sempre la mia prima via! Arrivati in cima ero un po’ stremato, più dal caldo che dalla parete, ma la vista che mi apparve mi diede una carica di energia e di emozioni, che cancellò ogni fatica provata. I mesi successivi sono stati un alternarsi tra falesia e vie, quest’ultime perlopiù sulla parete san Paolo “Nereidi”, “Pilastro Themis”, “ Helena” e altre aperte da Heinz Grill, uomo che stimo molto per ciò che ha fatto nella valle del Sarca, suo uno dei libri che custodisco gelosamente, regalatomi manco a dirlo, da Flavio, con dedica del maestro che mi augura un buon inizio e una buona continuazione per la mia nuova avventura. Ritornando alla domanda di Fazio, e analizzandola, noto che in effetti, si parla di alpinismo estremo, e questa parola abbinata alla persona di Messner, mi fa stare molto più tranquillo. Mi auguro che questa nuova esperienza continui con esplorazioni sempre più ambiziose, senza più preoccuparmi della scoperta di questo splendido mondo verticale in età “avanzata” e senza farmi condizionare dalla risposta di Messner, il cui estremo è alla portata di pochissimi uomini al mondo, con doti quasi soprannaturali e non dettato certo dall’età in cui hanno iniziato. Confido quindi nella mia vita sperando che sia lunga, in salita e molto esposta.

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Megagiro 2011 Sabato 10 settembre 2011 Alberto Zampiccoli “È già, siamo ancora qua…” come diceva il grande Vasco. Dopo un’edizione del nostro megagiro saltata per problemi vari, eccomi ancora qui a raccontarvi un’altra storia. Una storia di fatica e di sudore, ma anche di una bellissima giornata trascorsa con degli amici davvero speciali. Per chi mi leggesse per la prima volta o non ricordi i nostri nomi, siamo sempre noi: Stefano, Franco, Marco e Alberto, che scrive. C’è anche Giancarlo ma, purtroppo, quest’anno non sarà dei nostri per tutto il giro. Ci accompagnerà solo fino a Rovereto. Stefano, la mente del gruppo, per il 2011 ha pensato questo itinerario: Arco, Nago, Rovereto, Serrada, Folgaria, Passo Sommo, Carbonare, Vigolo Vattaro, Trento e, per finire, il Monte Bondone. Ritorno da Lagolo, Valle di Cavedine,

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Drena e Dro. La mia sveglia suona alle 5.30 ed è ancora buio, alle 6, quando ci troviamo di fronte all’entrata del campo sportivo di Arco. Per la verità Marco, Giancarlo ed io arriviamo all’appuntamento con qualche minuto di ritardo ma Franco e Stefano sono abituati e non si lamentano di ciò. Il cielo è sereno e la temperatura buona, anzi, data l’ora è quasi troppo caldo. Siamo tutti impazienti di partire, cosi, dopo l’immancabile foto di gruppo, accendiamo i frontalini e inforchiamo le nostre Mtb. Considerato lo scarso traffico decidiamo di raggiungere Nago dalla statale della Maza. Più veloce e scorrevole. L’andatura è molto tranquilla (dobbiamo scaldare il motore) e in una ventina di minuti siamo a Nago, dove c’immettiamo sulla ciclabile che porta a Mori. Giunti a Mori, attraversiamo la statale e proseguiamo verso il centro. Da li, poco dopo la piazza principale, con un sottopassaggio riattraversiamo la statale e ci dirigiamo verso il canale artificiale che costeggia l’Adige. Arriviamo così nei pressi del ponte di Ravazzone. Altro sottopasso e siamo sulla ciclabile che va verso Trento e ancora più su. Sempre sulla ciclabile passiamo sotto la A 22 e facciamo la prima, breve sosta della giornata. Il tempo strettamente necessario per fare “plin plin” e via. Alla periferia di Rovereto, deviamo a destra e, sempre su ciclabile e fiancheggiando il campo sportivo delle Fucine, passiamo sotto il ponte di ferro della ferrovia e sotto la statale. Costeggiando il Leno arriviamo in centro dove, in prossimità del Museo della Guerra, giriamo a destra e, in salita, dirigiamo verso il Pian delle Fugazze. Dopo circa un chilometro arriviamo 105


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al bivio per Serrada. Sono le 7.50 e abbiamo percorso 26 km. A questo punto dobbiamo salutare Giancarlo e, anche se era previsto, ci dispiace un po’. Ma la gloria ci attende! (scusate, ma ogni tanto bisogna esagerare un po’…) E così risaliamo in sella per macinare i 18 km di salita che ci separano da Serrada. Un paio di km dopo Noriglio termina la parte più dura della salita e su un lungo falsopiano c’inoltriamo nella valle di Terragnolo. Da queste parti incontriamo un asinello che, dal suo recinto proprio sulla strada, ci guarda passare. Non resistiamo alla tentazione di fermarci a salutare un nostro simile e… facciamo pure le foto ricordo. Verso le 9 giungiamo alla frazione Piazza. Decidiamo che ci siamo meritati una sosta caffè e così approfittiamo dell’unico bar della zona per

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riposare le nostre stanche (ma neanche tanto) membra. La simpatica signora dietro al bancone dà un altro tocco di allegria alla nostra giornata. Su un tavolino c’è la rivista di annunci gratuiti Scacco Matto e la ragazza copertina non passa certo inosservata! Quando, aprendo la rivista, la ritroviamo nel paginone centrale in tutto il suo splendore, i commenti non si fanno attendere… Dimostrando una lodevole attenzione alle esigenze dei clienti, la signora ci autorizza a staccare la pagina e a portarla con noi. Non ce lo facciamo ripetere due volte, certi che sarà un valido aiuto nei momenti difficili che potrebbero arrivare più avanti. Ma è tempo di ripartire, non prima di aver fatto rifornimento d’acqua alla vicina fontana. Alle 10.03 siamo a Serrada. Splende un bel sole

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e, considerato che pedaliamo da circa 4 ore, è il caso di fare un’altra sosta ed intaccare le nostre riserve alimentari. Ci scambiamo le prime impressioni della giornata, stiamo tutti bene e va tutto secondo programma. A dire il vero, a parte l’itinerario, non c’era un programma vero e proprio, ma fa sempre effetto dire così. Placati i morsi della fame possiamo proseguire. Da Serrada inizia la facile discesa verso Folgaria e poi, dopo un paio di km di salita, arriviamo al Passo Sommo. La bella giornata ha incoraggiato le gite. Infatti, anche qui incontriamo molti ciclisti e motociclisti che, come noi, se la godono. Breve sosta per la foto ricordo e avanti per Carbonare. In centro a Carbonare giriamo a sinistra e prendiamo la statale della Fricca. La strada si snoda nel bosco in leggera discesa. Ad un certo punto ci troviamo all’imbocco di una galleria di 900 metri circa. Anche se è illuminata preferiamo evitarla passando per la vecchia strada che parte a destra della galleria. Tanto più che proprio mentre arriviamo incontriamo un ciclista che ha appena percorso la strada in senso contrario al nostro e sta ritornando sulla statale. Gli chiediamo com’è e ci conferma che è transitabile. In alcuni tratti la strada è completamente ingombra di ghiaia e sassi caduti dalle rocce sovrastanti ma, sia pure scendendo dalla bici, passiamo. Tornati sulla statale, dopo una manciata di minuti arriviamo al cartello che indica il valico della Fricca. La nostra meta più vicina è, ora, Vigolo Vattaro. Ci arriviamo poco prima di mezzogiorno. Passando davanti ad una Coop pensiamo bene di procurarci qualcosa che sia degno di essere chiamato pranzo. Viste le circostanze possono andare bene dei panini al prosciutto. Ci concediamo perfino una lattina di radler! Fatta la “spesa” andiamo alla ricerca di un posto dove mangiare. Lo troviamo qualche chilometro più avanti. Un tavolo con panche all’ombra di un abete, meglio di così… Annuario 2012

Ci gustiamo il pranzo, ci rilassiamo un po’ e facciamo il punto della situazione. Sono le 12.15 e abbiamo percorso 70 km. Secondo i nostri calcoli siamo a circa metà strada. Ora, arrivati a Trento, ci manca “solo” l’ascesa del Monte Bondone, il tempo è ottimo e stiamo tutti bene. Finito di mangiare risaliamo in sella e iniziamo la discesa che ci porterà a Trento. Discesa tranquilla e senza problemi, digestiva, direi. Entriamo a Trento dalle parti del quartiere Gocciadoro e puntiamo verso il centro. A Piazza Venezia ci fermiamo per il caffè all’omonimo bar. Cerchiamo un tavolino all’ombra perché il sole è fin troppo caldo. Il servizio e il caffè sono ottimi, così come il “panorama” circostante. Scherziamo un po’ con la simpatica ragazza che ci serve i caffè ed è già ora di ripartire. Il Bondone ci chiama. Prima di iniziare l’ultima fatica della giornata sosta a Piedicastello per il pieno di acqua alla locale fontana, vista la calura ne servirà in abbondanza. Alle 13.40 attacchiamo la salita del Monte Bondone. Una targa posta sulla roccia all’inizio della salita ricorda l’impresa di Charly Gaul nel Giro d’Italia del 1956. Nessuno di noi ha mai fatto questa salita in bici, prima d’ora, e così non sappiamo bene cosa ci aspetta, a parte la lunghezza, che è di 16 km e 700 m. L’inizio è abbastanza impegnativo e, complice il caldo inizio ben presto a sudare copiosamente. Come sempre la mia è l’andatura più lenta in salita e cosi rimango un po’ indietro. Non è certo un problema, anche perché ci sono abituato. A Sardagna i miei compagni mi aspettano. Quando li raggiungo Stefano, scherzando, ci dice che il primo tratto è duro ma che poi è anche peggio! Lo ringrazio per l’incoraggiamento e riprendiamo a salire. In effetti, la salita non molla mai e comincio ad accusare la fatica. La mia velocità, che all’inizio era di circa 8 km l’ora è scesa a 5-6 km l’ora e le gambe cominciano ad essere pesanti. A Candriai ritrovo i miei compagni d’avventura fermi ad una fontana. Mi fermo molto volen107


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tieri per “tirare il fiato”, riempire le borracce e sgranocchiare qualcosa. Mi chiedono come va e rispondo che non me l’aspettavo così dura. Infatti, sono molto stanco ma anche fermamente intenzionato ad arrivare in cima. Sono le 15.00 e siamo circa a metà salita. Risaliamo in sella e in breve tempo sono di nuovo solo. Poco dopo comincio a sentire le prime avvisaglie di crampi ad una gamba. Anche se non è mai piacevole, ci sono abituato e non mi preoccupo più di tanto. L’andatura scende così a 4-5 km l’ora. Fortunatamente, tra il 10° e l’11° km la strada spiana un po’ per qualche centinaio di metri e così posso riassaporare l’ebbrezza della velocità (12 km l’ora!). Dura poco ma è meglio di niente. Quando mancano circa 3 km a Vason ritrovo gli altri che mi aspettano. Anche se io batto tutti, siamo tutti molto stanchi, ma a questo punto non ci fermano neanche le bombe! Finalmente, alle 17.02 arrivo a Vason. Sono cotto ma molto soddisfatto per avercela fatta. Ho impiegato 3 ore e 20 min. (con le soste) per percorrere 16 km e 700 metri. Va detto che, se non mi avessero aspettato, Stefano, Franco

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e Marco ci avrebbero messo almeno mezz’ora in meno. Strette di mano, pacche sulle spalle e complimenti si sprecano per aver raggiunto la meta prefissata. Anche se c’è sempre il sole, l’aria è decisamente fresca e, sudati come siamo, ci affrettiamo a coprirci per “no ciapar su ’na doia!” Entrati al bar più vicino, ci rifocilliamo con qualcosa di caldo e ci gustiamo la soddisfazione per quest’altro, impegnativo giro che volge al termine. A questo punto non ci resta che scendere, passando dalle Viote e Lagolo per poi sfociare nella Valle di Cavedine. Ultima piccola asperità del giorno, il Passo S. Udalrico. Lo raggiungiamo non dalla Provinciale, ma da una stradina quasi parallela sulla destra, che imbocchiamo entrando nel centro di Cavedine. Tutto ciò perché, benché la salita sia tutt’altro che impegnativa, da questa via ha una pendenza più graduale. Dopo la lunga discesa, con le gambe dure, le studiamo tutte per faticare il meno possibile! Ultima discesa, dal Passo S. Udalrico a Dro, passando per Drena. Alla fine della discesa, giriamo a destra per la ciclabile che ci riporta ad Arco. Va così in archivio un altro megagiro. A casa ci aspettano per la cena. Così ci salutiamo ripromettendoci di ritrovarci a breve per festeggiare la riuscita dell’ennesima avventura. Sono le 19.20, siamo stati in giro 13 ore e 20 minuti. Le sosta sono state di 3 ore e 29 minuti e pedalando per 9 ore e 51 minuti abbiamo percorso 148 km. Il dislivello positivo superato è stato di circa 3000 metri. C’è di che essere soddisfatti, che ne dite? Io lo sono sicuramente e, come sempre, sono già in attesa della prossima storia. A presto. Annuario 2012


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La passiom che no more di Alberto Maria Betta Quando i senteri i deventerà massa erti, quando le zime le sarà trop lontane, voria ancora scarpinar nei veci ricordi: I profumi de prai che fioriva, el saltar dei camozzi, Le marmote che pégre se scalda sora i sassi al prim sol, e i cotorni che sgola. Girar per i boschi ‘mpiturai coi colori pù bei del’autum. E ‘n lontani rifugi sentir le stonade canzom de na volta. Voria ancor scarpinar nei veci ricordi. E sognarli magari nela voze de ‘n bocia che da noi, tant temp fa, à ciapà la passiom dele nosse montagne.

La Rocheta di Ivo Bridarolli I me ciama Rocheta fortunada a far la guardia da miari de ani a sto posto cossi bel. G’ho nel cor la me Riva che ho vist nasser che ho vist cresser che ho vist cambiar. Ogni tant con voi rivani qualche dispet el scampa… m’avè dat foc m’avè brusada mi da rabiosa qualche sas sul copim ve l’ho molà. Ma questo no ‘l scancela né amicizia e né l’amor… voi de spess vegnì a trovarme e mi da chi su ve vardo e ve voi... sempre pu bem.


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Tè o madeleinette? di Bieffe Quando nel cuore dell’inverno giungo trafelato su una cima innevata e il vento mi porta via le pelli di foca che tento di arrotolare, mi taglia la faccia, mi candisce le orecchie, mi chiude le maniche della giacca, quando con le dita semicongelate devo lottare con gli attacchi degli sci, con le leve degli scarponi, con le fibbie dello zaino, riuscendo a malapena a trangugiare alla svelta una barretta e un sorso di tè caldo, senza poter nemmeno dare un’occhiata tranquilla al panorama, mi chiedo sempre: “Ma chi me l’ha fatto fare? Ma come ho preso questo vizio? Perché non riesco a fare a meno di neve gelata, pini imbiancati e profumati, luci abbaglianti, cieli azzurrissimi o ingombri di nebbie e nuvole, tanto che a volte non capisci più dove mettere gli sci e tomboli giù?” Rovistando nei ricordi, credo di essere stato inoculato dal virus intorno al 1950/51, quando avevo sette/otto anni. Abitavo con i miei ai piedi del Monte Baldo, in una casa isolata. Andando a scuola camminavo in salita su una strada bianca, bordata da siepi e marogne, dove passavano si e no tre automobili al giorno, sollevando una nube conica di polvere bianca. Vedevo le vette del Baldo, che spuntavano oltre i primi bastioni collinari, densi di contrade isolate, malghe, stalle, piccoli pascoli con i covoni di fieno a forma conica, tipici della zona veneta. Quelle vette a volte bianche, a volte verdi, a volte marron erano per me bambino i confini irragiungibili del mondo, oltre il quale però sapevo di sicuro, per averlo sentito dire dai grandi, che ne cominciava un altro, dove tutto era un po’ diverso che da noi, il misterioso Trentino… Del mio piccolo mondo ero letteralmente innamorato; sassi, erbe, muschio, cespugli, piante, fossi, foglie secche, viole, letamai, fienili, baracche, prati, boazze, fili spinati con boccioli di lana lasciati dalle pecore, tutto mi entusiasmava. E il silenzio poi! Durava Annuario 2012

giorno e notte, interrotto soltanto da segnali chiari e inequivocabili: il battere di un’accetta, lo sbattere di una porta, il muggire di una mucca, il latrare di un cane, il tintinnio delle campane lontane. Questo scenario idillico era occupato dai due personaggi che furono determinanti per la mia iniziazione alla neve: mia sorella e il suo moroso. Lei era una splendida ragazza sui 20 anni, bionda e con gli occhi azzurri, lui un bel moro alto e atletico, che sembrava un attore del cinema. Ma non era per niente un effeminato, anzi! Gentile e garbato, molto operoso (en putèl de sesto) era stato a lavorare in Isvizzera, dove aveva imparato a sciare e da lì aveva importato due paia di sci, uno per sé e uno per la morosa. Allora andare a sciare era una cosa molto semplice: alla domenica si riponeva in uno zaino di tela un thermos di tè caldo e qualche panino, si caricavano gli sci in spalla, a piedi si saliva per mezz’oretta fin al paese, si andava a Messa (con un certo scandalo in chiesa, perché mia sorella indossava i calzoni da sci, e tutti si giravano a guardarla) e poi si saliva per un’altra oretta buona fin che si arrivava sui primi prati coperti di neve, a volte mista a ciuffi d’erba secca. Poi si calzavano gli sci, si scendeva per qualche minuto, si levavano gli sci, si riportavano su, si ricalzavano e poi ancora giù e su fin che si era stufi. Allora si cercava un covone da cui i contadini avessero già ritagliato del fieno, perché questa operazione creava all’interno del cono profumati sedili, caldi e asciutti, e lì si poteva comodamente mangiare e bere e, ipoteticamente, da parte dei morosi, anche fare altro, ma qui appunto entravo in scena io, il mòccolo, personaggio indispensabile per le giovani coppie di quei tempi, che mai e poi mai dovevano star sole prima del matrimonio (1950! Zona osservatissima di tutti i precetti!). Praticamente i due erano obbligati a portarmi con loro 111


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ma io, ingenuo!, non mi rendevo conto di avere il coltello per il manico e anzi avevo sempre paura che mi lasciassero a casa, perché ero grassoccio e lento. Anche quando stavo per scoppiare per la fatica, mi guardavo bene dal chiedere una sosta e zitto zitto cercavo di non farmi distanziare troppo: per fortuna il moroso andava un po’ rallentato perché, oltre allo zaino sulla schiena, con la roba per tutti e tre, sulle spalle portava due paia di sci, i suoi e quelli della morosa, e la mia slitta! Ero estremamente grato che mi tirassero dietro in quelle “uscite” con cui mi avvicinavo un tantino alle lontane vette e, senza alcun calcolo, li ricompensavo mancando totalmente al mio ruolo di “mòccolo”, completamente preso e affascinato dalla neve, dalla slitta, dalla luce... Un giorno, verso mezzodì, stavamo seduti tutti e tre all’interno del covone. Dall’ombra interna la neve sui prati e l’azzurro del cielo sembravano ancora più smaglianti. Silenzio, pace, felicità, il gusto del riposo dopo il movimento intenso. In quel momento accadde qualcosa che costituì per me l’inverso di quanto accadde a Proust assaggiando la famosa Madeleinette. 1 A lui quel sapore e quel profumo fecero tornare di colpo alla memoria tutta l’infanzia; a me un’inezia assolutamente nuova e inaspettata - quantomai banale per chi non fosse stato un bambino degli anni ’50 - mi spinse verso il futuro. Accadde che dopo i panini mia sorella estrasse dallo zaino uno strano cilindro (era una bottiglia thermos! Mai vista prima!), ne svitò la parte superiore, che risultò essere un bicchiere, e vi versò del tè ANCORA CALDO! non mi capacitavo di tanto miracolo, ma il vapore che saliva dal bicchiere era indubitabile, come il profumo di limone che ne emanava, misto a quello di fieno secco, 1 Il sig.Proust era un grandissimo scrittore francese che ad un certo punto si chiuse in camera a scrivere tutti i ricordi della sua vita dall’infanzia fino a quel momento e poi morì, perché era molto ammalato. Il suo romanzo è bellissimo, lunghissimo ma a volte pallosissimo, pochi arrivano all’VIII volume… La Madeleinette che assaggiò, e che diede inizio a tutto, era un biscotto, non altro…)

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di neve, di stalle, di pini. Ho ancora nel naso e nel cuore quel profumo, da quello è arrivata la spinta verso le cime che, seppure più debole, non si è ancora esaurita.

Prusàc di Grazia Binelli Quan ca cu i agn ‘l prusàc dala vita al daventa pù grèf fermat. Trà fò cul ca ‘l ti ‘ntrapula sal sinter cul ca ‘l ti tegn al cò schicià par tera. La vìgiat la farfalla? La disegna chiribiz lìbar ‘ntal’aria, la ‘mpiza la fantasia, la sgòla senza ligàm… La farfalla nu la gà prusàc.

ZAINI Quando con gli anni / lo zaino della vita / si fa più pesante / fermati. / Butta via quello che / ti fa inciampare / quello che ti tiene / la testa rivolta verso terra. / Vedi la farfalla? / disegna ghirigori / liberi nell’aria, / accende la fantasia, / vola senza legami… / La farfalla / non ha zaini.

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“El condor pasa...” di Roberto Angiolini La chiesa di santo Domingo sorge in una via laterale, a pochi passi dalla grande piazza dominata dalla struttura imponente della cattedrale. La facciata è tutta bianca,fatta di pietra pomice proveniente dal vicino vulcano Misti.(Il centro storico di Arequipa è costruito con lo stesso materiale; per questo la città ha acquistato l’appellativo di “ciudad blanca.”). Dedicata al santo, colonizzatore religioso del centro-sud America, la chiesa è costruita in stile churrigrueresco, un barocco particolarmente elaborato. Anche qui, come nella massima parte degli edifici religiosi visitati, non solo in Perù, ma in tutto il centro America, San Domenico è rappresentato con il Crocifisso nella mano sinistra e la spada nella destra: il tutto molto significativo. All’ ingresso un bel portale, decorato con sculture di piccoli angeli, con la faccia tipica degli indios nativi: naso aquilino, zigomi sporgenti, fronte sfuggente, viso scavato. Alcuni poveri, accucciati tra i due portali, a chiedere l’elemosina. Entriamo in un ambiente semi-buio, in contrasto con la luminosità abbagliante dell’esterno. Troneggia su tutto un grande altare di argento massiccio (un altro, pressoché uguale, lo troveremo a Cuzco), frutto delle rapine degli spagnoli “conquistadores”, alla ricerca bramosa del mitico “El Dorado”. L’opera è un vero capolavoro d’arte, fusa forse per ingraziarsi il perdono celeste, dopo le immani distruzioni eseguite a suo tempo da gente che era giunta dal Vecchio Continente, munita di armi da fuoco, seppure rudimentali; montata in sella a strani animali, ignoti al popolo Inca. Meno di 200 soldati che, grazie alle loro armi e alle loro cavalcature, avevano avuto ragione di un esercito di migliaia di guerrieri terrorizzati, armati di coltelli ed asce di pietra. Mentre cerchiamo di interpretare le decorazioni sulle pareti, giunge improvviso, a rompere il silenzio, proveniente Annuario 2012

da un organo invisibile, il suono di una musica che per il Perù sta diventando quasi un inno nazionale :”El condor pasa”. È un canto di origine popolare, diffuso inizialmente dal complesso degli Intillimani, che soprattutto grazie a questo, acquisterà fama mondiale. È un suono modulato, all’inizio tenue, appena percettibile, quasi a non voler disturbare il visitatore. Poi il volume si fa solenne inserendosi perfettamente nell’armonia e nella sacralità dell’edificio. Sarà la particolarità dell’ambiente, sarà il suono dolce, doloroso e struggente, ma quella musica ci coinvolge e provoca in noi quattro, Mary, Silvia, Renzo e il sottoscritto, una emozione intensa, che non sappiamo nascondere. Un brivido ci percorre. Il cuore pulsa forte, una lacrima spunta fra le ciglia.(Ma è ammesso che un adulto pianga per una emozione?Credo proprio di sì .) Scopriamo in quel suono tutta la nostalgia di una gente per un passato glorioso, per un impero che copriva tutta la parte andina del sud America, il ricordo di un tempo forse felice; il dolore di un popolo, ridotto a perdere non solo la propria indipendenza ma anche tutta la sua identità culturale e religiosa. Troviamo il suo lasciarsi andare, rassegnato, all’umiliazione di fronte al dominatore: il condor vola ancora alto nel cielo, le sue ali sono

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imponenti, ma il suo cuore è ormai quasi spento. Poi la musica cessa. Ci guardiamo in faccia, increduli per quella emozione che ci ha toccato in modo tanto intenso. Non troviamo parole di commento. Torniamo all’aperto. Nel nostro viaggiare nei giorni successivi, lungo le valli e gli altopiani dell’interno, sentiremo ovunque quella musica, suonata nelle stradine dei villaggi, dal selciato sconnesso, nei mercati all’aperto, nelle bettole, negli aridi alti pascoli di montagna, terra dei lama, nei luoghi sacri dell’antico impero, Kenko, Sillustani, Pisac, Sacsahuaman, Cuzco, l’antica capitale, tra le mura diroccate del celeberrimo Macchu Picchu. Suonata con gli strumenti tipici del luogo, i flauti di Pan, che rimandano indietro alle Bucoliche virgiliane, ma con un’atmosfera non altrettanto idilliaca; e con pifferi, ocarine in bocca ai bambini, xilofoni.... A Puno, sul Titicaca, durante una ricorrenza folkloristico-religiosa, la festa della Candelaria (la nostra Candelòra), quell’aria risuona, in alternanza ad altre, durante un’intera settimana:

tanto durano le celebrazioni. La musica prosegue ininterrottamente, in modo ossessionante, lungo le vie, in riva al lago, nel campo sportivo, giorno e notte, suonata da una cinquantina di complessi bandistici, composti in massima parte da ottoni, provenienti dai villaggi della regione. Le foglie di coca, ammonticchiate sui lati delle strade, offrono ai suonatori l’energia sufficiente a sostenere il prolungato sforzo. Qui però l’effetto magico di quel canto peruviano scompare: troppo rumore! I brividi che ci prendono non provengono in questo caso da emozioni intense, ma dall’aria pungente sotto un cielo costantemente coperto. Siamo a quota 3800! Perù, Gennaio 1992 Sono ormai trascorsi vent’anni da allora: il tempo corre veloce, ma il ricordo di quel suono, di quelle emozioni è ancora vivissimo in me. Ogni tanto vado a riascoltarmi le varie versioni di “El condor pasa” nel sito internet...

Santo Domingo

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Una Satina... a Shanghai! di Stefania Fenner Che stanchezza stasera... rientro da una giornata di lavoro intensa e come al solito mi collego alla posta elettronica per vedere se qualche amico ha scritto, quando... AHHH! una mail del Floz (Flavio Moro, coordinatore dell’Annuario S.A.T. Riva) che “richiama all’ordine” noi vari “scrittori” ricordandoci la scadenza per presentare le nostre bozze di articoli per l’Annuario 2011. Momento di panico! Visto che pensavo di “svignarmela” quest’anno, in mancanza di idee e spunti. Strano, vero? Ho sempre scritto in questi ultimi anni, ma stavolta mi sento davvero “a corto di idee”, visto che il consueto trek estivo è stato sostituito da un week end (mi hanno detto spettacolare) in Sicilia, sull’Etna, al quale non ho potuto prendere parte. Ho quindi lasciato scorrere tutta l’estate senza mettere in piedi nessun canovaccio per l’annuario, ma la mail di stasera del Floz mi sembra un vero e proprio richiamo “al dovere” di Satina-scrittrice e quindi lascio partire la mia mente alla ricerca di qualche spunto interessante. Ci siamo! Amici ho trovato un’idea... spero vi possa piacere! Si tratta di una esperienza che ho vissuto 4 anni fa (2007) e che mi ha dato tantissimo, non solo professionalmente ma anche umanamente, che mi ha fatto soprattutto capire CHI sono e cosa vorrei fare della mia vita. È stata un’esperienza che ha coinvolto anche la S.A.T. ...anche se dal titolo forse non si può immaginare come si possano abbinare due nomi come “ montagna” e “Shanghai” ...se avrete la voglia e la pazienza di ascoltarmi, capirete il perché. Autunno 2006, lavoro in una azienda metalmeccanica che costruisce grandi macchinari che esporta in tutto il mondo, principalmente in Cina, il mercato che seguo come assistente commerciale da quasi due anni. La mia vita scorre tranquilla: lavoro sodo e nel fine settimana vado in montagna con gli Annuario 2012

amici della S.A.T. di Riva, con i quali tra l’altro ho anche fatto un bellissimo trekking sul Brenta nell’estate del 2006. Il mio sogno più grande è fare ...la montanara! sono tutta per la montagna, vado su e giù per Santa Barbara e quindi resto stupefatta davanti alla proposta che il mio capo mi fa una sera: “Vada a Shanghai per un anno a seguire il mercato cinese”. ??! Shanghai? Lì per lì non ci bado molto, gli rispondo “OK, ci penserò” e vado a casa tranquilla. Subito, colta da una improvvisa curiosità, mi fiondo in Internet a vedere cosa trovo su questa città a me assolutamente ignota (forse conosco solo... il gioco degli Shanghai! come confermerà il Rudy in seguito!); quello che trovo... mi sorprende: “20 milioni di abitanti”, “la Parigi dell’est”, “la Capitale del Business del futuro”, foto impressionanti di grattacieli che affollano la città, facce strambissime di cinesi. Penso che una qualsiasi altra persona avrebbe detto al capo “No, grazie”. Ovviamente io sono la solita “San Tommaso” della situazione, la curiosità mi spinge troppo e quindi decido almeno di provarci. Mia mamma ci mette qualche giorno a comprendere la portata della mia decisione, mio padre mi appoggia entusiasta, gli amici mi infondono coraggio, fiducia ed affetto, ed io.... penso e ripenso alla mia decisione e mi chiedo cosa mi sarebbe mancato più di tutto in Cina. Ovviamente, amici ed affetti a parte, so bene nel mio cuore che avrei dovuto lottare contro una crisi di astinenza dalla mi droga più grande... la MONTAGNA! Alzo lo sguardo e vedo la mia amata Rocchetta, la chiesetta di Santa Barbara... e mi dico “ce la farò senza montagne da scalare?” Cavolo... le foto e le descrizioni di Shanghai non sono incoraggianti: se nelle guide delle capitali europee vediamo bellissime immagini di grandi parchi, zone verdi 117


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e ricreative, di Shanghai le guide pubblicano soltanto foto di grattacieli, sopraelevate, caos, biciclette e taxi che si scontrano nel traffico cittadino. Ma di aree verdi, parchi, nemmeno l’ombra! Me lo confermano anche gli italiani che vivono laggiù da anni, con i quali entro in contatto via internet nei soliti Forum on-line. Uno di loro, forse impietosito o incuriosito dalle mie domande (“C’è del verde a Shanghai?” “Posso fare escursioni?”) mi risponde educato: “Pensaci bene, ma tu hai capito dove ti stanno mandando?” Ma io, zuccona fino al midollo, non mollo e mi dico “Io troverò qualcosa di bello da fare!”. E quindi, il 25 febbraio 2007, dopo un’ultima, commovente gita in Santa Barbara via Fontanoni con gli amici (ricordo ancora! coniglio e crauti con lacrimuccia...), parto alla volta di Shanghai. Nella valigia, oltre a vestiti, soliti effetti personali, porto con me un elemento fondamentale che ho messo in valigia per primo: il super-librone con le foto delle Dolomiti del Brenta (altezza 60 cm!) che mamma e papà mi regalano come talismano-ricordo. Mi viene male solo a vederne la copertina...! Vabbè... per dirla alla Cesare... “il dado è tratto”, e quindi... si parte. Atterro a Shanghai alle 11.30 di mattina, dopo 12 ore di volo tranquillo durante il quale ho praticamente solo... dormito (alla faccia della paura di volare!). L’unica cosa utile che ho fatto è stata quella di leggermi la guida sulla città e capire alcune notizie interessanti: 1. Shanghai NON è la capitale (credevo lo fosse... con 20 milioni di abitanti!); 2. in Cina moltissime città hanno più di 3-4 milioni di abitanti; 3. in Cina, con il solo 118

inglese (che tra l’altro mastico appena) non si va DA NESSUNA PARTE! 4. il rapporto con i cinesi è basato su una complicata struttura di regole e norme di comportamento (il “guanxi”) ed è fondamentale comportarsi secondo tali norme per non inimicarsi il collega cinese... per sempre! Chiudo la guida... troppe nozioni e mi sento già in affanno..ma che ci faccio qui? Ci metto un’ora solo per uscire dall’aeroporto... per fortuna viene a prendermi Alice, la segretaria cinese del nostro ufficio che parla un ottimo inglese e mi porta a casa in taxi. Vivrò in un appartamento da 130 mq (una piazza!) in un condominio di Cinesi, in una zona Cinese accanto al nostro ufficio. Ho scelto io di vivere lì, odiavo l’idea di andare in un appartamento chic da occidentale in mezzo ad Americani ed Europei ricconi e noiosi e poi ho pensato che il modo migliore per capire la Cina sarebbe stato proprio quello di vivere “con loro” e non “sopra di loro” come ho visto fare a molti Occidentali. La prima settimana scorre velocissima, tra primi impegni di lavoro (qualche visita a clienti in zona), aggiustamenti in casa (il modem! per parlare col mio mondo la sera), e soprattutto con la

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mia salvezza... l’incontro con la comunità italiana di Shanghai! Grazie a loro, che incontro ogni mercoledì sera in un ristorante Italiano ottimo (pizza, pasta, caffè!), mi sento meno spaesata e soprattutto capisco che le difficoltà che vivo io le hanno vissute e superate anche loro. Mi sono stati tutti di grande aiuto, regalandomi cordialità, accoglienza e simpatia tanto che mi resteranno per sempre tutti nel cuore (Anna, Cristina, Marisa, Babayaga... vi porto nel cuore!). La prima vera difficoltà per me è la lingua... è purtroppo vero che vivere in Cina con il solo inglese NON si va da nessuna parte. Per carità, se ben forniti di segretaria cinese alle calcagna 24 ore su 24, tutto si può fare... ma io non sono certo il tipo che si tiene la badante! Resto inoltre scioccata dal mio primo viaggio da sola in taxi: cerco infatti di andare da casa mia al ritrovo degli Italiani, nella notissima zona degli Occidentali con ristoranti e locali chiamata Xintiandi: gli amici mi dicono che basta quel nome e qualsiasi taxista avrebbe capito... ma... o sono particolarmente fortunata nel trovare l’unico tassista cinese “rimbambito”, oppure io e la pronuncia cinese non siamo ancora in sintonia... (mi hanno detto che bastava dire così... morale: il tassista vaga nell’infinito di Shanghai per mezz’ora in silenzio... finché non perdo la pazienza ed inizio a ripetere 1000 volte “Xintiandi, Xintiandi...” Lui mi dice qualcosa di incomprensibile... e mi scarica alla prima piazzola. Scopro in seguito che questo è l’esito tipico degli scontri con i taxisti cinesi: quando non sanno dove andare, piuttosto che chiederti spiegazioni, partono e vagano alla “carlona” sperando che tu o il destino li guidiate fino alla destinazione! Due sono quindi le azioni da mettere in atto appena arrivata in ufficio: 1) iscrivermi ad un corso di cinese “di sopravvivenza”, 2) imparare a memoria la mappa della città con tutte le vie e quartieri per non farmi più fregare e guidare io stessa gli sprovveduti taxisti. Ed è così che già dopo una settimana, a furia di passeggiare giorno e notte (la città è tranquillissima ed è possibile camminare da soli fino Annuario 2012

alle 2 del mattino!) con la cartina sotto braccio (per sicurezza ne ho almeno 4-5 nello zaino + i numeri di telefono della mia segretaria Alice che è già preoccupata per me...) divento super esperta ed appassionata di topografia Shanghainese e so orientarmi benissimo! A dire il vero, vengo molto aiutata dalla estrema razionalità dell’urbanistica cinese: Shanghai ha infatti una struttura a reticolo con vie che si incrociano a 90°, contraddistinte da Nord-Sud ed Est-Ovest per le traverse. È quindi davvero facile imparare ad orientarsi, mentre molto più difficile risulta la comprensione e la riproduzione dei mitici “5 toni” della pronuncia Cinese. Una vera impresa... non me ne viene uno... povero maestro! Riesco però a farmi insegnare le parole “tattiche” per sopravvivere in questa giungla, quindi: istruzioni per il taxista (“fermati, stop, avanti, a destra”), acquisti (“ quanto costa”), conversazioni quotidiane base (“come ti chiami, dove abiti, quanti anni hai”). Mi esercito con i colleghi dell’ufficio, tutti giovani e gentilissimi cinesi che all’inizio mi guardano con “sospetto” (pensando che sia una specie di “spia” da parte del mio capo) ma che poi mi hanno accolta a braccia aperte dopo aver visto tutti i miei tentativi per essere “vicina a loro”. Il regalo più bello che fanno è l’invito alla festa dei 50 anni del Li, tecnico installatore di grande esperienza, che organizza una festa in “pompa magna” su un barcone addobbato a festa che naviga nel mitico golfo del fiume Huangpu con vista spettacolare sul Bund (FOTO:::) con i grattacieli da un lato ed i vecchi palazzi coloniali inglesi dall’altra e mi guardano con curiosità. Una serata indimenticabile, non solo per il paesaggio, ma per le emozioni che provo ad essere l’unica occidentale in una festa tutta cinese: sono accolta da tutti, ridiamo, scherziamo, bonariamente mi prendono in giro (ma si complimentano pure!) quando provo a dar sfoggio delle mie 4-5 frasette in cinese... quando arrivo nel mio appartamento, per la prima volta in questo primo mese a Shanghai, mi sento meno sola e sono felice di aver seguito il mio istinto. 119


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Però... nel mio cuore resto pur sempre una SATINA! e quindi non posso non pensare con estrema nostalgia alle mie montagne. Dopo una settimana, la Comunità italiana si è già dovuta sorbire mille volte i racconti dei miei trek, delle mie ascese alla Chiesetta (foto viste su Internet tutti insieme!), tanto che già qualcuno si offre per un tesseramento “di massa” pur di farmi stare zitta e farmi contenta! Resisto abbastanza bene all’assenza di Cime (le uniche cime che vedo sono quelle dei grattacieli) e mi consolo con lunghissime camminate alla scoperta della città: di solito, la domenica mattina dopo le pulizie di casa parto di buonora, con l’immancabile cartina e mi inoltro nella città alla scoperta di nuovi quartieri e personaggi curiosi. La città non mi delude di certo, anzi! In ogni angolo vedo qualcosa di nuovo, di curioso; un giorno, ad esempio, capito per caso nel mercato della città antica, piazzato sotto i grattacieli, e mi sembra all’improvviso di fare un salto indietro di 50 anni: vecchietti cinesi alti un metro che vendono di tutto, galline, anguille e altri pesci a me ignoti in bacinelle, verdure e frutta fresca, cibi fritti dall’odore pestilenziale (vedi il malefico “tofu fritto”, il cui puzzo si diffonde in tutta la città e si riconosce a chilometri di distanza). Non posso quindi lamentarmi... le esperienze nuove non mi mancano... tuttavia la sera quando sono a casa attacco con voracità Skype e parlo con tutti gli amici in Italia fino a tarda notte (per via del fuso orario, riesco a fare persino le 4 del mattino per parlare con tutti...), e quando alcuni di loro mi raccontano delle loro gite... mi viene il magone! Soprattutto quando il Giovanni mi decanta il coniglio e la polenta di Santa Barbara... quando io il coniglio me lo posso solo sognare perché se prendo della carne simil-coniglio rischio che mi arrivi di tutto (no comment). Una notte sto male, ho la febbre alta e sono piena di raffreddore; mentre cerco di dormire, per non sentire il male, mi dico “pensa a 120

qualcosa di bello”... ed io cosa faccio? Ripercorro con la mente il cammino verso Santa Barbara... un vero e proprio delirio! Piano piano, la vita a Shanghai assume un aspetto più “standard”: conosco la città, ho trovato un gruppo di amici, viaggio molto all’interno della Cina per lavoro e le novità sono pochine ormai... anzi, ad essere sinceri, sono sempre più stanca, tra le trasferte (3-4 ore di aereo ogni 2-3 giorni) e le fatiche del caos quotidiano in città (taxi, traffico, smog). Una domenica, un’amica vede che soffro di super-nostalgia per le mie montagne e decide di farmi un regalo per consolarmi (o per non sentire più la storia di Santa Barbara?), annunciandomi con orgoglio una gita “sulle montagne di Suzhou”, cittadina fuori Shanghai (“solo” 3 ore di autobus) famosa per essere il “polmone verde” della zona... accetto con entusiasmo! Non appena sento la parola “montagna”... mi rallegro ed aspetto con ansia il week end... Sorpresa! Il tanto rinomato “polmone verde” è in realtà una vasta area industriale dove le più grandi multinazionali occidentali hanno costruito per ovviare i divieti ultimamente posti dal Governo Cinese per incentivare la costruzione industriale fuori dalla città di Shanghai (un piccolo passo avanti) quindi io di verde francamente vedo solo... la mia faccia! Perché inoltre le “montagne” di cui parlava la mia amica erano in realtà solo delle misere collinette desolate (max altitudine

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150 metri!). La gita è comunque divertente ed io ringrazio Marinella, tuttavia arrivo a casa a mi metto a letto col libro delle Dolomiti per tirarmi su. È ormai giugno, e dopo 4 mesi di Cina si avvicina il mio rientro! Non ce la faccio più... gli ultimi giorni qui inizio a mostrare segni inequivocabili di insofferenza verso i miei amici cinesi, tanto che litigo persino col taxista! (una mia amica assiste dall’Italia ad una mia sfuriata via cell...). Capisco quindi che è ora di partire e di ricaricarmi... la nostalgia è troppa, ho troppa voglia di rivedere tutti e le mie montagne. Devo anche ammettere di avere una certa paura di non avere più fiato per affrontare le mie cime; i mesi di Shanghai mi hanno un po’ “ imbottita” e sono totalmente a secco di attività sportiva, se eccetto le lunghe camminate per la città. Al mio rientro, la prima cosa che cerco appena arrivo a Nago, di notte, è la luce inconfondibile della Chiesetta sulla Rocchetta, che mi riempie il cuore di gioia. Finalmente sono a casa! Dopo una settimana di spaesamento (comprensibile), riabbraccio tutti gli amici ed i parenti e subito mi faccio organizzare la prima uscita in montagna per ritrovare le mie vette (e tastare il mio fiato in salita). Gli amici optano per un giro davvero “leggero”... il Misone con anello da Ballino! Che massacrata... tanta era la mia foga di salire che il problema fiato non l’ho sentito (anzi, continuavo a chiacchierare della Cina con tutti), però le gambe il giorno dopo erano davvero provate! Ritrovo anche gli amici della SAT che mi fanno un bellissimo regalo: un invito ufficiale a partecipare al trek 2007 (Sciliar-Sasso PiattoSasso Lungo-Ferrata Mesules)! Accetto, senza nemmeno esaminare il tracciato... come al solito! Il trek ve lo racconterei con piacere... ma ahimè non ho a disposizione tutto l’Annuario per me, quindi posso solo dirvi che è stata un’emozione enorme! Da parte mia, ogni piccola sensazione/ gioia, veniva decuplicata per via dell’effetto “nostalgia” che mi faceva vivere tutto come una meravigliosa riconquista. Panorami indimenticabili: Sciliar, Ferrata Schuster sul Sassopiatto, Annuario 2012

Denti di Terrarossa, Passo Sella e Sassolungo e, ciliegina sulla torta, la difficile Ferrata delle Mesules (che porta sull’altopiano del Pordoi fino al Rifugio Boè), che abbiamo affrontato con serietà e concentrazione aiutati dagli amici del Gram e che mi resterà nel cuore come la prima ferrata impegnativa della mia vita da Satina. A dire il vero, questa ferrata la ricorderò anche perché ha sancito il mio incontro con Rudy ed i ragazzi del Gram! Ricordo ancora il commento che mi sfuggì appena vidi Rudy, un ometto tutto nervi e muscoli dal cinturone zeppo di ganci, moschettoni ed corde sulle spalle... “l’uomo cingolato”! Da quel momento è nata una simpatia tra noi che ci ha fatto affrontare in allegria tutta la lunga ferrata (molto impegnativa davvero!), accompagnando le fatiche con divertenti ed esilaranti racconti della mia vita a Shanghai (corso di cinese “aereo” compreso!) e che è proseguita poi con tante uscite che mi hanno fatto conoscere il mondo delle ferrate. Al rientro dal trekking, sono tornata a malincuore in Cina, ma solo per 1 mese... avevo infatti concordato col mio capo che sarei tornata a casa. Il trekking mi aveva infatti fatto capire dove volevo stare... giramondo sì, ma con radici ben salde sulle nostre montagne! Quattro anni sono passati, a volte mi capita di ripensare a quei mesi e mi chiedo “avrò fatto la scelta giusta?”... beh, a conti fatti, credo proprio di sì... quello che ho vissuto in questi quattro anni un po’ lo sapete anche voi (visti i miei altri racconti dei trek) ed il resto lo serbo nel cuore, sorridendo quando ripenso a tutte le pazze esperienze fatte con gli amici SATINI! Cari amici, un po’ di S.A.T. come avete potuto leggere è approdato fino a Shanghai, portato là dal mio cuore che non ha mai smesso di pensare alle nostre Cime (in cinese... “Shan-montagna”) ...nemmeno durante le feste più divertenti della “movida shanghainese”! Excelsior... e per dirla alla Cinese “Zhaijiang” (arrivederci). 121


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Il passaggio segreto di Silvio Santoni ”Bacon” Bernardo, dopo molti anni di duro lavoro come muratore, aveva raggiunto la tanto sperata pensione. Quanto cemento e calce aveva mescolato con la sabbia, e costruito case, muri ed ogni genere di cose in muratura. Il proprietario dell’impresa aveva organizzato una bella cena di commiato, con tutto il personale. Non mancò di fare il discorso ricordando la fedeltà e la laboriosità di Bernardo, che tanti anni prima, poco più che bambino, aveva iniziato l’attività con il padre del titolare. Il neo-pensionato nonostante la sua età rasentasse ormai i 60 anni, era un uomo ancora forte nel corpo e nello spirito. Era si può dire, un uomo arrivato, soddisfatto di aver realizzato quasi tutte le cose che in gioventù si era prefissato di fare. Aveva la famiglia, la sua brava moglie, i suoi figli che ormai erano cresciuti e avevano preso la loro strada, il maggiore lo aveva già fatto diventare nonno. Lassù nella parte alta del piccolo paesello alpino si era costruito la sua casa di pietra e legno, con un balcone che guardava le cime dolomitiche, adornato di gerani color vermiglio. Una catena di cime, torrioni, campanili, corni, pilastri che toccavano il cielo, pareti giallognole con colate scure, che sembravano sciarpe invernali. Bianchi nevai che scendevano giù, fino ai ghiaioni alle verdi abetaie dei boschi. Bernardo nei momenti di pace, si rifugiava sul balcone ed osservava le cime che gli si paravano d’innanzi, tutte avevano un nome, una storia. Qualcuna era famosa per la sua maestosità e bellezza; le vie tracciate sui loro fianchi portavano nomi importanti di alpinisti famosi che avevano fatto la storia dell’alpinismo. Osservando quel grande spettacolo che gli regalava la natura, si sentiva felice, era pure orgoglioso perché in gioventù con i suoi amici aveva scalato le vette Annuario 2012

più importanti. Non era mai stato un alpinista famoso, però si era difeso bene, più per la sua forza che per l’eleganza dello stile nell’arrampicare. Poi si fece la morosa che in seguito diventò sua sposa; i figli, la costruzione della sua casa, lo avevano per così dire allontanato dalla montagna, preso dai soliti problemi della vita, che molte volte ti chiudono in una morsa ben stretta e non ti lasciano andare. Ora Bernardo era lì sul suo balcone, tra i fiori color vermiglio, che osservava tutte quelle cime. Si disse: “Gran parte di quei monti che tutti i giorni ammiro, quando le nubi non le coprano, io non le ho salite”. Si era vero, in effetti alpinisticamente erano le meno frequentate, vuoi perché la roccia era friabile o perché poco servite da sentieri e rifugi. Al neo-pensionato prese una smania di scalare ancora, ma un muratore sa che per mettere un tetto ad una casa, prima bisogna fare le fondazioni, costruire i muri ed infine il tetto, la

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punta più alta della casa. Decise così che prima di affrontare la montagna, si doveva allenare bene con la scusa di calare di peso e tenersi in forma; iniziò a fare lunghe camminate, sempre più in salita. Era bello scoprire che il corpo reagiva e che avrebbe di nuovo potuto salire sulle alte cime. La bella stagione lo aiutava e le salite erano frequenti; con l’amico Adriano era riuscito a scalare la solitaria cima del Sasso Grande, una di quelle proprio d’avanti alla sua casa. Su una via non difficile ma impegnativa, riscoprì l’uso della corda, dei moschettoni, dei chiodi di sicurezza. Ebbe una grande soddisfazione in cima stringendo la mano ad Adriano e ancora di più quando aperto la scatoletta di lamiera che stava sotto un sasso, scoprì sul libro di vetta, che erano più di tre anni che nessuno saliva lassù. Seguirono altre vette, il Corno Lungo, la Cima Sassosa, il Naso del Diavolo, il Becco della Monaca, il Gran de Forment. Bernardo era soddisfatto, si sentiva in ottima forma, la moglie Maria era contenta di vederlo su di giri e lontano dalle osterie, che a suo dire erano le fosse dei pensionati. Una mattina partì di buon ora, come meta la

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Cima Valdiana, quella a nord del Sasso Grande; lesse attentamente la guida e le descrizioni la davano di media difficoltà, quindi non servivano attrezzature speciali. Lasciata la sua vettura alla Malga di Pozza Antica, proseguì per il sentiero tra larici, e pini mughi. Al bivio del vallone di Prato Gelato, il sentiero scompariva, c’era solo un affilato e ripido spigolo che portava fino alla cima. L’ultimo tratto della salita era segnato da friabili roccette, un omino di sassi e due bastoni segnavano il punto più alto di cima Valdiana, la cartina riportava la quota 2861 mt/slm. Il panorama era bellissimo, spaziava su tutte le valli lì attorno, i villaggi tranquillamente stavano lì sdraiati al sole, il lago Rosso era uno specchio di fuoco e le abetaie sembravano un verde tappeto. La giornata era tersa e la sottile cresta che congiungeva la cima Valdiana e quella del Sasso Grande sembrò a Bernardo, l’alta mura merlata di un castello. Tolse dal suo zaino qualcosa da mangiare poi la termos gli regalò un fumante the al limone; mentre gustava in quella pace il suo pasto, osservò sul versante opposto da dove era salito, i ghiaioni i quali da quello che poteva vedere, scendevano giù fino al sentiero delle Pale in val Rosina. Si disse: “È presto, potrei fare il giro della montagna, dal sentiero delle Pale raggiungere così il Passo delle Due Croci, passando dietro al Sasso Grande, e da lì scendere la val Arsana fino alla vettura a malga Pozza Antica”. Rimise le sue cose nello zaino ed iniziò la discesa, prima per facili roccette, poi per ripidi canalini ghiaiosi. In breve fu sui larghi ghiaioni; lassù verso cima del Sasso Alto un’aquila planava maestosa lasciandosi portare dalle correnti in cerca di una preda. Non un filo di vento, un silenzio totale, gli sembrava di essere su di un altro pianeta, guardò lo spigolo della cima Valdiana su in alto, contro il cielo. Ad un tratto un fischio, poi il rumore di sassi che rotolavano, più in là verso sud, un branco di una quarantina di camosci che scendevano a gran balzi sui ghiaioni; il gruppo aveva raggiunto una chiazza di neve, il loro mantello scuro contrastava con il bianco della neve. Guardandoli così immoAnnuario 2012


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bili, gli sembrò un piccolo esercito guidato dal loro comandante, in attesa di ordini. Era un po’ che li osservava e pensò che se dopo la morte ci fosse una reincarnazione, sarebbe bello diventare un camoscio e correre libero per la montagna. All’improvviso il branco partì veloce, poi sparì dietro ad uno spigolo verso sud. Bernardo iniziò a discendere ancora, già intravedeva i pascoli della val Rosina e una minuscola traccia a serpentina, era il sentiero delle Pale; ma all’improvviso, che sorpresa! I ghiaioni finivano in un breve semipiano, poi un cornicione sotto al quale c’erano rocce a picco e strapiombanti pareti lisce alte un centinaio di metri. Prima verso destra cercò un passaggio, un canalino da poter scendere, il comodo sentiero era lì a poca distanza; giunse fin quasi allo spigolo della parete verticale del Sasso Grande che chiudeva la conca dei ghiaioni, ma niente, notò un caminetto che da lontano sembrava facile, ma quando si avvicinò, l’impresa si dimostrò impraticabile. Pensò: “Ci vorrebbe una corda, per calarsi a corda doppia”, ma la corda non c’era, neanche martello e chiodi per fissarla. Con calma ritornò sui suoi passi e pensò che aveva preso la discesa un po’ alla leggera, senza valutare bene la cosa. Era giunto allo spigolo nord della conca, ma di passaggi o canalini non vi era traccia. Sedette su di uno spuntone, pensò e valutò con calma il da farsi. Pensò anche di ritornare su per i ghiaioni e le roccette ancora lassù in cima, da dove era disceso, poi lo sguardo cadde su qualcosa di battuto, come un minuscolo sentiero, un po’ più in basso verso gli strapiombi di quello spigolo poco rassicurante. Pensò fra se: “ Proviamo a vedere, la traccia non lascia dubbi, è un passaggio dei camosci”. Notò infatti delle impronte dei loro potenti zoccoli e con attenzione e un po’ di timore, seguì la traccia dei camosci, oltrepassando delle roccette friabili, superando lo spigolo, e come per incanto gli si presentò un canalino che scendeva in diagonale; ormai era fatta, il passaggio era stretto poco più di un metro, ma portava diritto in basso senza più nessuna difficoltà. Sul comodo sentiero delle Pale si Annuario 2012

sentì felice, orgoglioso di essere uscito da quella situazione. Una marmotta che era di vedetta sull’apertura della sua tana, da lui poco distante, fece il tipico fischio d’allarme, per avvisare le altre marmotte della sua presenza e poi scomparve all’interno della sua tana. Bernardo interpretò quel potente fischio come un saluto e lo ricambiò con un urlo che riecheggio sulle verticali pareti sovrastanti. Prima di intraprendere la lunga salita per il passo Due Croci, diede ancora uno sguardo verso il canalino che quasi non si vedeva. Pensò ai camosci, al loro passaggio segreto, all’aquila che planava lassù in alto; pensò anche a Maria, ai figli e al piccolo nipote Mattia. Giunse al passo che il sole già stava calando e poi giù per la val Arsana fino alla malga di Pozza Antica, dove aveva lasciato la vettura. Giungendo a casa guardò il sole che con gli ultimi raggi colorava di rosso le cime, la Valdiana e il Sasso Grande sembravano in fiamme. La Maria era sul balcone che curava i gerani color vermiglio, nell’aria un buon profumo di minestrone. Arrivò alle spalle della sua sposa, silenzioso e la strinse ai forti fianchi, le diede un bacio sul collo. Lei continuando a curare i suoi gerani gli chiese: “ Che ti passa vecchio orso? Hai incontrato qualche fata su per i monti?”. La Maria entrò in casa e servì il minestrone fumante; Bernardo diede un ultimo sguardo alle sue cime, gli sembrò di vedere lassù, dove il sole rifletteva gli ultimi raggi la forma di un’aquila che volteggiava nel cielo; pensò che forse anch’essa stesse cercando la sua cena.

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La mia avventura con Tita Piaz di Luigi Vettorato Dal mio diario del luglio 1946. Voglio raccontarvi un’avventura accaduta molti anni fa, all’epoca delle mie prime esperienze di arrampicata. Avevo appena diciassette anni quando partecipai ad una gita organizzata dalla SOSAT. Eravamo partiti a bordo di un camion, fornito di panche, procurato dal direttore sportivo della SOSAT, Cesare Veronesi (allora non c’erano ancora le corriere per questi servizi) alla volta del Gruppo del Catinaccio. Era in programma il giro del Gruppo partendo dal Gardeccia, rifugio Vajolet, Passo Santner e poi giù al Passo di Costalunga. Ero naturalmente in comitiva quando siamo arrivati in prossimità delle Torri del Vajolet e ricordo che mi impressionai molto nel vedere lo Spigolo della Torre Delago. Mi prese un desiderio incontenibile. Non seppi resistere alla tentazione di avvicinarmi al Vajolet ed allora mi allontanai dal gruppo, facendo peraltro opportunamente avvisare il Capo Gita di questa mia decisione perché non restasse in pensiero nel non vedermi. Così mi avvicinai all’attacco della Torre, ma quando fui sotto a questo maestoso Spigolo, cominciai ad avere non poca paura, soprattutto pensando di dover affrontare la salita in solitaria. Però mentre facevo un po’ di ordine nel mio vecchio zaino, vidi venire verso l’attacco due rocciatori. Loro erano attrezzati di tutto punto, corde, chiodi ecc. Uno era piuttosto robusto e ben piantato sulle gambe, l’altro molto più snello, quasi magro. Quando i due mi videro maneggiare la mia vecchia attrezzatura, mi chiesero cosa avessi intenzione di fare in un luogo così impervio, e in così giovane età, e soprattutto con le poche cose che avevo. Risposi che volevo arrischiarmi a fare lo Spigolo che stava sopra di me. Il signore più robusto, che aveva la patacca di Guida Alpina (mentre l’altro, quello magro che era Annuario 2012

ben vestito e mi pareva un quasi “gigolò” più che un alpinista), vedendomi così giovane e con abbigliamento ed attrezzature che già allora erano vecchie, si rivolse al suo cliente e gli chiese se se la sentiva di prendermi con loro. Il cliente mi guardò un’altra volta, guardò la mia attrezzatura (avevo scarponi con “le bròche da zapa”, un vecchio zaino e delle pedule da roccia fatte da mia madre con le coperte dei militari) e si mise a ridere. Poi però acconsentii, mi legarono in mezzo a loro e cominciammo a salire. Anche vedendomi arrampicare si mettevano a ridere perché - dissero - ero come uno scoiattolo. La Guida mi raccomandò di stare molto attento perché ad un certo punto era necessario superare un passaggio molto esposto. La Guida mi disse di infilare la mano in un laccio della corda e di fare pugno, in modo da opporre resistenza, e in tal modo superai il punto chiave della via. Arrivati in cima, la Guida e il suo cliente mi diedero una pacca sulle spalle e anche una stretta di mano. Mi dissero che ero stato bravo, e si misero nuovamente a ridere vedendo tutta la mia euforia. Mi sono reso simpatico ai due, ed il cliente, ancora sulla cima mi disse: vedi questo vecchio amico? È Tita Piaz. Sono diventato tutto rosso nel vedere questo illustre personaggio, che avevo sentito più volte nominare nell’ambiente alpino, soprattutto nella sede della SOSAT. Allora era infatti presieduta da Nino Peterlongo, che era amico intimo non solo del Tita, ma di tutta la famiglia Piaz, ed in particolare della figlia Pia, simpaticissima ragazza che sbrigava tutte le faccende del Rifugio Vajolet. Pia era di grande cordialità e tutta la gente che entrava, sia per avere il solo minestrone o per consumare un pasto completo, aveva lo stesso cordiale trattamento. Ricordo anche che Tita Piaz, nello scendere a corda doppia dallo Spigolo Delago, mi stuzzicava continuamente. 127


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Ad un nuovo sbalzo di corda all’improvviso mi chiese se avevo dei soldi con me. Io mi bloccai e, sgomento e balbettante per la paura, dissi di si, che qualcosa avevo nello zaino lasciato all’attacco. Quando siamo stati alla base, presi il mio zaino, lo aprii e presi il taccuino. Quando mi videro con il taccuino in mano con i pochi soldi che stavo estraendo, i due si misero ancora a ridere, mi diedero una pacca sulle spalle e mi dissero: sta buono. Naturalmente non solo Tita Piaz non voleva i miei pochi soldi, e mi regalò anche dei biscotti ed una cioccolata. Tita Piaz mi disse ancora: ricordati che sono stato giovane anch’io, e si devono aiutare quelli che non hanno

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possibilità di spendere. L’importante, mi disse ancora, è di continuare mettendo a frutto le proprie possibilità, e amare la montagna, ma in sicurezza. Io ho ringraziato Tita Piaz non solo per le belle parole, ma anche per la sua lezione di umanità. Quando ci siamo lasciati ci siamo stretti la mano e Tita mi disse di salutargli tanto il suo amico Nino Peterlongo. Poi raccolsi il mio zaino e mi avviai di corsa verso la Forcella del Santner e quindi giù a Passo Costalunga, dove mi attendeva il mio gruppo. Non solo mi presi una bella lavata di testa dal Capo Gita, cosa giustissima, e per punizione venni anche sospeso dal partecipare a qualsiasi gita successiva.

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I primi centocinquant’anni Gruppo Ragni del Masarach voluto ripetere l’exploit aprendo un’altra via nuova chiamata “Dei 150” e dedicarla alla S.A.T. di Riva del Garda. È proprio in questo paese che l’amico Giorgio ha trascorso i migliori anni della sua gioventù, imparando a nuotare nello splendido lago ed amare la montagna girando per cime e vallate meravigliose. In tutti questi anni non ha mai dimenticato le giornate trascorse a pescare con l’amico Beppino Assante con il quale poi andava a vendere il pesce. Ricorda quegli anni come splendidi e irripetibili. E se anche la guerra non dava tregua alla gente ed al paese martoriato dalle bombe, rammenta ancora quella gioventù spensierata e irresponsabile e la voglia di vivere in libertà. Forse i nostri due amici hanno mantenuto ancor oggi quella dolce forma di incoscienza. Quest’ultima via, infatti, realizzata in val tramontina sui contrafforti del monte Rest loro abituale terreno di gioco, ha solamente uno sviluppo di 110 metri per un totale di cinque tiri di corda ma alcuni passaggi supera abbondantemente il settimo grado. Un discreto exploit per i nostri vecchietti! Le montagne che hanno scoperto e che ora frequentano non hanno certamente la pretesa di essere delle dolomiti in compenso offrono paesaggi selvaggi e pareti strapiombanti belle da mozzare il fiato nonché alcuni trekking veramente “oltre la folla”. Durante questi percorsi è possibile ammirare aquile, cervi, camosci e mufloni, lungo gli splendidi sentieri fanno bella mostra M. Cjadenis - Nico Valla e Giorgio Quaranta

Nico Valla e Giorgio Quaranta sono stati i fondatori e gli artefici del gruppo alpinistico I RAGNI DEL MASARACH e da alcuni decenni formano una affiatata cordata. La loro fortuna probabilmente è quella di invecchiare più lentamente della gente comune quasi come le crode che per effetto delle intemperie si sgretolano in po’ alla volta ma in tempi lunghissimi, ma entrambi riescono a mantenere fino all’ultimo la prorompente vitalità. Ma come le montagne lasciano la loro impronta con la formazione dei sottostanti ghiaioni, anche il nostro duo ha voluto lasciare un segno della loro attività alpinistica. Il 2011 risulta essere una annata particolare sia sotto l’aspetto storico che su quello personale. Anni orsono infatti gli stessi sulle dolomiti d’oltre Piave avevano realizzato una via chiamata “dei Centoventi” - in pratica assommava i loro anni. Oggi in occasione dell’anniversario dell’unità d’Italia, dei 150 anni della Marina Militare e delle loro 150 primavere messe insieme hanno

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numerosissimi fiori alpini quali la stella alpina (Leontopodium Alpinum) il raponzolo di roccia (Physoplexis Comosa) e la rarissima Daphne Blagayana endemismo della val tramontina. In questa stupenda e poco conosciuta vallata Nico e Giorgio hanno realizzato ben tre palestre di roccia e parecchie vie di montagna con sviluppi che superano i cinquecento metri nonché un sentiero ad anello attrezzato che si percorre in sei ore. Hanno pubblicato quattro libri riguardanti palestre e vie di montagna e a breve ne uscirà un altro che avrà per titolo “Dal Rest alle Giulie”. A questi nostri cari amici vada il saluto di tutti i soci del sodalizio e il fervido augurio di continuare a essere indistruttibili come le nostre amate montagne. RELAZIONE M. REST 1780 m Parete Ovest - via dei 150 dedicata alla S.A.T. di Riva del Garda - anno 2011 Sviluppo 110 m, diff. dal IV al VIIPrimi salitori: Nico Valla, Giorgio Quaranta e Mario Lubee (TO) Gr. Ragni del Masarach. Alcuni tornanti prima del passo Rest (tabella) parte il sentiero che porta alla via Pianto del Rest, dove questo si biforca (v. bollini gialli) svoltare a sinistra e in venti minuti si raggiunge la base della parete (targhetta). 1) Alzarsi lungo una lama staccata ai bordi di un ripido canalino. Superare uno strapiombino, pass. chiave, e una lama staccata sopra la quale scavalcando un muretto verticale si raggiunge la sosta sopra una ripida cengia. Sviluppo 30 m, diff, dal IV al VII+. 2) Spostarsi leggermente a sinistra e superare un muretto verticale sulla sinistra lungo lo spigolo. Al suo termine obliquare a destra e ragggiungere la sosta posta su una cengia. Collegamento con uno spezzone di corda. Sviluppo 30 m, diff. dal III V, VI. 130

3) Obliquare a sinistra prima su roccia e poi per cengia, protetta da uno spezzone di corda, superare un diedro fessurato uscendo su una rampa apppoggiata e sostare sotto i grandi strapiombi. Sviluppo 20 m, diff. dal III, IV, V, II. 4) Seguire il diedro fino sotto lo strapiombo, spostandosi sul filo dello spigolo, e superarlo dove questo è meno pronunciato sostando subito sopra. Sviluppo 20 m, diff. dal IV, VII+, IV. 5) Attraversare a destra fino ad uno spit con moschettone di calata. Sviluppo 10 m, diff. dal IV, V sostenuto. Dal moschettone di calata con due doppie da 50 m si ragggiunge la base. La via dei 150 è stata realizzata sugli strapiombi del Rest. Non ha pretese di essere una grande via ma in compenso è abbastanza tosta,la roccia è spigolosa, tagliente e non delle migliori. La via è stata interamente attrezzata a spit. Essa viene dedicata agli amici dellla S.A.T. Di Riva del Garda e in particolare all’amico ARTURO GIOVANELLI che si ricorda sempre dei suoi amici in Friuli.

MONTE REST di Nico Valla Silenzio e vuoto intorno non un refolo di vento! Sulla cengia, il pasto dell’aquila, sotto i piedi, simili al tempo, macchie scure fuggenti fra i mughi! Le mani dure accarezzano il calcare ed il respiro nel petto si allenta Annuario 2012


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Boomerang: “La via è la meta” di Marco Furlani Quale l’intuito, quale la genialità, quale l’acume il colpo d’occhio di certi alpinisti, pensavo quel mattino della vigilia di Natale del 1978 mentre semi addormentato a bordo della solita corriera scendevo verso Arco. Come sempre ero partito presto troppo presto per i miei gusti: “Visto che non sono mai stato brillante nelle alzate mattutine” da casa a Povo giù di corsa alla stazione a Trento con lo zaino sulle spalle. Il programma era stimolante, la prima ripetizione del bellissimo ed elegante Pilastro Gabrielli via aperta dall’amico Giuliano “Ciano” Stenghel. Era una mattina grigia fredda e sulle grandi pareti del Sarca, sopra una certa quota una leggera spolverata di neve, niente a che vedere con le radiose giornate della valle, proprio mentre pensavo a tutto questo una fugace visione sulla grande placconata del monte Brento catturò la mia attenzione. La possibilità di superare le placche del Brento allora per uno scalatore sembravano lontane come la luna per i primi astronauti, lisce come uno specchio, levigate come un marmo una cosa che sembrava impossibile. Impossibile, una parola che allora risuonava molto spesso, l’uomo aveva davanti ancora l’immensità dove potersi perdere mentalmente in progetti che forse potevano diventare sogni e che, se si era fortunati si trasformavano in realtà. Spesso ne avevamo parlato con i compagni della mia generazione, uscivamo allora dall’era del grande alpinismo eroico, Bonatti, ed il mio mito Maestri avevano da poco lasciato la scena, i dogmi classici stavano per cadere per lasciare posto a che cosa? Mezzo addormentato stavo pensando a questo quando mi risvegliai dal torpore in cui mi ero calato nella comodità della poltrona, lassù sulla Annuario 2012

placconata impossibile una leggera spolverata di neve lasciava trasparire un’effimera linea di salita, una leggera sottile quasi invisibile ed effimera increspatura era messa in evidenza da quella rara spolveratina di neve, ecco l’intuito, forse se si ferma la neve posso aggrapparmi anch’io mi dissi, stando ben attento a non tradire la mia emozione verso il mio compagno, il giovanissimo diciassettenne Roberto Bassi. All’altezza dell’abitato di Ceniga scendemmo dalla corriera e ci avviammo verso Laghel in direzione del pilastro dei nostri sogni, faceva un freddo boia il tempo era brutto nevischiava ma l’investimento fatto nel biglietto della corriera non ci permetteva di ritornare senza aver provato. Senza relazione attaccammo senza remora alcuna, con audacia oserei dire una certa ferocia e sa-

Placca del Brento, Boomerang

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limmo quella che allora secondo me era la via più difficile del tempo nella val del Sarca, lungo un diedro dove c’erano diversi grossi cunei di legno uno ebbe la cattiva idea di uscire ed io mi ritrovai a volare a testa in giù verso il mio compagno. Robertino mi guardò spaventato, mentre io incazzato come una bestia risalii a braccia le corde concludendo la lunghezza e tiro dopo tiro uno più bello dell’altro arrivammo in vetta mentre si metteva a nevicare con più convinzione. Felice? Si molto, alla felicita si può dare molte facce quell’anno, e nel ’78 per me significava più di cento scalate meglio di così non si poteva sperare ma… l’uomo non è mai felice del tutto. Quella leggera increspatura messa in evidenza dalla neve, aveva tenuto occupata la mia mente, il ’78 uno degli anni più sconvolgenti nella storia del dopoguerra del nostro paese stava per finire e ci avviavamo verso il ’79, forse l’anno della placca impossibile. Quell’anno, il ’78, al corso primaverile della Graffer si erano iscritti diversi giovani forti e motivati le nuove promesse, c’era il Riccardo Mazzalai, il Fabio Stedile, l’Alessandro Cordin ed il Roberto Bassi io li tenevo sotto controllo ed alla fine del corso entrai in sintonia con Riccardo e Roberto ed andammo ad arrampicare insieme. Il ’79 era partito con un grande progetto andare ad arrampicare in California, gli allenamenti dovevano essere all’altezza del progetto, allenamento fisico ed allenamento mentale così la placca del Brento poteva essere l’uno e l’altro. Arrampicare in California era una cosa estrema quasi impossibile per noi, la placca impossibile poteva essere il banco di prova. Ed ancora quale l’intuito quale il colpo di genio. La mia squadra, il mio team, il farne parte era il massimo, potevamo progettare, eravamo 4 che si chiudevano a pugno, che si fondevano in un solo ariete di sfondamento. Erano scalatori formidabili, forti motivati, eccezionali e con loro progettammo la grande placca. All’inizio della primavera facemmo timidamente un assaggio, ma sbagliammo tutto: non date 132

retta a quelli che vi raccontano che loro in parete non sbagliano mai, essi vi raccontano un sacco di balle, sbagliano o come se sbagliano. I miei compagni erano demoralizzati specialmente i più giovani, ma Valentino ed io no, sapevamo che ogni grande sconfitta si poteva convertire, interpretare come un piccolo passo verso una grande vittoria. Rifacemmo il piano di battaglia, organizzammo tutto in ogni piccolo particolare, scegliemmo e costruimmo la maggior parte del materiale ci allenammo come bestie, adattammo persino le scarpette, costruimmo chiodi ad espansione (che non usammo) più lunghi ed infine attaccammo caparbi. Era una bella mattina di maggio, l’aria era pulita e tersa, l’azzurro del cielo era perfetto e mentre stracarichi di materiale salivamo verso l’attacco le pieghe della roccia si potevano leggere come un bel libro. Dopo la sconfitta precedente avevamo individuato l’attacco in prossimità del vertice sinistro di un enorme tetto a forma di Boomerang in direttiva di uno strapiombo a forma di orecchio. Non voglio perdermi in una sterile relazione descrivendovi tutti i passaggi caratteristici, l’orecchio, la traversata sotto il Boomerang, dove Annuario 2012


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provai a piantare un chiodo a pressione, ma fatto il foro la roccia si sgretolò ed il chiodo uscì, così vinsi le placche del traverso gettando il cuore oltre l’ostacolo, il grande traverso superiore che porta al verticale e grigio testone finale questa è la via, l’opera che è rimasta là scolpita, per chi è venuto dopo. Ma quello che rimane a 30 anni di distanza sono ricordi di grande amicizia che ci legavano allora come adesso, quell’essere in quattro ma una sola cordata, ricordo con nostalgia gli incitamenti che venivano dal basso quando ero impegnato in un difficile tratto. Compagni stupendi meravigliosi ed eccezionali, certo gran parte del merito di questa unione di questa compagine era dovuta al grande Valentino Chini, il leggendario”Vale”, più vecchio di noi, lo avevamo soprannominato il “Saggio la Chioccia”. Ha allevato tre generazioni di alpinisti trentini sempre nel silenzio, sempre attento che tutto funzionasse con capillare perfezione. Riccardo Mazzalai(Tequila) forte come una quercia, astuto come la volpe, agile ed ardito come pochi, Mauro Degasperi (Alcide) silenzioso e caparbio, acuto arrampicatore, intelligente, appassionato, forte. Io auguro a tutti di avere la fortuna di poter arrampicare con compagni così. Questa è e rimane la vera felicità. Inizialmente decidemmo di chiamare la via “Nuova generazione” ma poi prevalse il nome “Boomerang” per il caratteristico grande tetto centrale. Seguono due pezzi scritti da amici che hanno ripetuto la via, uno di importanza eccezionale: il figlio di Mauro Degasperi che ha voluto ripetere la via nel trentesimo anniversario, aperta dal padre. Via del boomerang, monte Brento, 4 ottobre 2009 Degasperi Luca, Pacher Matteo, Tavernini Michele, Ropele Valerio, Chianese Massimiliano Annuario 2012

Da quando ho iniziato ad appassionarmi alla montagna, ogni volta che passavamo di fronte a quella parete, stressavo mio padre chiedendogli: “È lì vero che sale il boomerang?”. Questa via, simbolo dell’arrampicata classica in val del Sarca, ha sempre fatto parte dei miei sogni (anche per via di una questione di famiglia) e aver avuto la possibilità di scalarla assieme ai miei amici, è stata una vera fortuna. Quella mattina, in macchina, c’era un’aria tesa, nessuno di noi cinque sapeva cosa ci aspettava. Eravamo cinque amici, tutti con la stessa passione per l’arrampicata, tutti classe 1991 e stavamo andando a fare quello che ci piaceva di più, arrampicare. Era tutta l’estate che se ne parlava, sarebbe stata la salita dell’anno! Eravamo armati fino ai denti, tre relazioni, chiodi, martello e tutto il necessario. Non eravamo abituati all’idea di aver sopra di noi quasi 1000 metri di roccia, noi che eravamo abituati alle vie sportive della val del Sarca, a veder conficcati nella roccia gli spit e a trovar sempre le soste a prova di bomba. Qualche uscita in montagna l’avevamo fatta, ma nessuno aveva esperienza su vie di questa lunghezza. Infatti non ci spaventava più di tanto la difficoltà, a spaventarci era l’idea che in confronto alle altre vie a cui eravamo abituati, questa era lunga il doppio, inoltre le storie sulla pericolosità degli ultimi tiri non ci rassicuravano affatto. Però quella mattina eravamo lì, puntualissimi, ore sei partenza dal parcheggio “Zuffo”. Eravamo molto tesi, nessuno parlava, se non ricordo male ascoltammo i Led Zeppelin, tanto per metterci la carica giusta. Quando arrivammo al parcheggio delle placche stava albeggiando, ci addentrammo nella vegetazione per poi lasciarla per i ghiaioni dai quali sorgono le pareti del monte Brento. “Attaccare la parete perpendicolarmente ad un tetto fatto a forma d’orecchio…” recitava la relazione. Così facemmo. Prese il via l’avventura che aspettavamo da tutta l’estate. Per sconfiggere la tensione si rideva e si scherzava 133


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e pian piano, con l’alzarsi del sole, un nuovo sentimento prese il sopravvento, eravamo felici. Ci stavamo divertendo. Salimmo in fretta, spaventati a morte dall’idea di dover affrontare quegli ultimi famosi tiri, dai quali tutti, in primis mio padre, ci avevano messo in guardia: “non avete esperienza!”, “è facilissimo perdersi lassù!”, “non siete mica sul san Paolo, no l’è che se sucede qualcos tré zo na dopia!!!”. Ormai facevo finta di non sentire, però dentro di me lo sapevo benissimo e avevo paura. In un attimo raggiungemmo il grande tetto a forma di boomerang in centro alla parete, lo superammo attraverso quelle splendide placconate esposte, fino ad arrivare ai tiri semplici che portano al boschetto, il quale si trova a due terzi della via. Superammo anche quello fino a trovarci all’inizio dell’ultima sezione, dove ci permettemmo una piccola pausa, era ancora presto ed il tempo splendido. Fissai assieme ai miei compagni quelle placche erbose che portavano all’ultimo traverso oltre il quale c’erano ancora solo due, tre lunghezze per uscire. Partii. Ovviamente sbagliai. Tutto d’un colpo mi tornarono in mente le frasi e i consigli che mi aveva dato mio padre fino alla sera prima, riguardo a quelle poche, ma pericolose, lunghezze. In un attimo mi trovai in mezzo a boschetti sospesi, roccia marcia e non c’era neanche l’ombra di un chiodo. Comunque ormai il danno era stato fatto, eravamo troppo sopra il bosco per poter tornare e provare un’altra strada. Scorsi una cengetta erbosa, non più larga di 15 cm, che correva lungo una placconata verticale, completamente liscia, in direzione di quella che avrebbe dovuto essere la paretina verticale sotto la quale avrebbe dovuto esserci il tiro che portava ai canali d’uscita. Mi rincuorai quando dopo due tiri attraverso queste cengette a picco sulla grande placconata del Brento, trovai un chiodo (non siamo stati gli unici!) che ci permise di calare cinque, sei metri, fino a raggiungere l’albero sul quale si trova la sosta del terz’ultimo tiro. In quel momento tirai 134

un forte sospiro di sollievo e quando fummo tutti e cinque ancorati a quell’albero, in sicurezza, mi scaricai di tutta la tensione accumulata nei quattro tiri precedenti. Quest’esperienza, ci ha insegnato molte cose, prima di tutto: “Mejo scoltar i veci” (“veci” nel senso alpinisticamente esperti), in secondo luogo, quanto sia facile andar a mettere il culo nelle pedate senza neanche rendersene conto. Quindi, vorrei che questa nostra esperienza, faccia capire soprattutto alle nuove generazioni, che come noi stanno percorrendo i primi passi sul lungo e complesso sentiero dell’alpinismo, quanto sia pericoloso questo sport se non lo si affronta utilizzando la testa e non si impara ad essere umili nei confronti della montagna. Per fortuna si è concluso tutto nel migliore dei modi. In un attimo siamo usciti sul canale erboso per poi seguire il sentiero che porta alla strada che scende a valle, lungo la quale ci hanno raggiunto dei nostri amici in macchina e ci hanno risparmiato la discesa a piedi. Mi fa sempre molta impressione pensare al fatto che ho potuto percorrere, assieme ai miei amici, la via che esattamente trent’anni fa venne aperta da Marco Furlani, Valentino Chini, Riccardo Mazzalai e Mauro Degasperi, i quali scrissero un importante pagina dell’alpinismo in Valle, ma soprattutto tra questi quattro, c’è colui che per fortuna è riuscito a contagiarmi con questo virus benigno che è la passione per la montagna e mi ha regalato la possibilità di vivere assieme ai miei amici emozioni bellissime. Grazie papà. Luca Degasperi Cortesano, 17 febbraio 2010 Con Giuliano Giovannini ci conosciamo da più di trent’anni, fratello maggiore di Giorgio, mio grande compagno in durissime ascensioni estive ed invernali di ampio respiro, purtroppo perito durante la discesa con gli sci dalla parete nord di cima Vermiglio in Presanella. Annuario 2012


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Con Giuliano abbiamo salito il Boomerang in un momento difficile della sua vita, lascio a lui raccontarvi com’è andata. Marco: I referti dicono che è d’obbligo l’intervento chirurgico. Questo avverrà fra qualche giorno. …Ma come?... me lo dici così….adesso. Lo sapevi anche prima. Perché non dici mai nulla! Teston! Ma sì… dai, non è grave. Prima di dire volevo sapere, non prendertela, non volevo tenerti fuori dalle mie cose. Dai lo sai, sono fatto così, che ci vuoi fare. Bhe! Allora: “Nem a far el Boomerang. Così se te mori, te mori content.” Queste le parole di un amico. Al mattino presto andiamo in macchina su per la strada che da Arco porta a San Giovanni. Lasciata l’auto scendiamo a piedi alla base della parete. Arrivati lì, da sotto arrivano due giovanotti, con la pila frontale ancora fissata al casco, benché sia fatto giorno da un bel po’. Ci prepariamo per la salita, le solite cose, l’imbrago, i rinvii, le scarpette… Ci salutiamo, scambiamo qualche parola…. “Siete qui per il Boomerang?” chiedono loro. Marco mi guarda ed allora faccio un segno di assenso con la testa. Marco li invita a partire per primi. Sai, loro giovani e atletici, noi così come siamo, insomma... Dicono: “No, no, andate voi. Conoscete la via?” “Mah”, dice Marco, “so chi l’ha aperta, era gente tosta!” Primo tiro di corda. Sosta. Secondo tiro. Sosta. “Hei dove andate?” Chiede Marco ai due che hanno preso un’altra direzione. “Sembra più facile di qui”, si giustificano. “Non è stato aperto a spit il Boomerang, sempre che vogliate fare il Boomerang.” Si riportano sulla via e adesso siamo assieme. Mi guardano i piedi e chiedono: “Perché gli Annuario 2012

scarponi e non le scarpette da arrampicata?” “Le ho dimenticate”, mento. Tiro dopo tiro saliamo e ci conosciamo meglio. Loro vengono da Como. Si accorgono che sembro trovare appigli anche dove loro non ne trovano, in realtà le mie dita non sono lunghe come le loro. Dopo metà parete c’è un punto critico dove è facile perdere la via. Marco da sopra mi grida “Daghe un ocio valà che se no i se perde!” E mi cala un po’. In effetti hanno saltato la sosta. Li avviso, il primo torna indietro e con sollievo sento i moschettoni chiudersi sui tre chiodi che compongono la sosta. Un po’ più su uno dei comaschi mi dice che erano partiti con l’intenzione di effettuare la salita anche a costo di bivaccare e che avevano sentito dire che era successo a più di una cordata. Gli dico che se continuiamo così per le 14, circa, saremo fuori. “Ma allora l’avete già salita questa via!” “Io no” - gli rispondo - “Ma il mio primo di cordata è Marco Furlani, l’apritore!” In cima abbiamo aspettato un po’, ma visto che non arrivavano siamo andati alla macchina e poi a casa a mangiare e bere un buon bicchiere di vino frizzante... come la gioia che in quei momenti hai nel cuore dopo aver salito una grande via. Un’avventura su una grande parete, la corda che ti lega all’amico. Giuliano

Giuliano, Davide, Marco: i magnifici pilastri della_Montagna

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Legati ma liberi di Walter Maino La mia soddisfazione più grande è salire “Vie Classiche” su pareti lunghe, se poi sono su cime famose delle Dolomiti, tanto meglio! Cosi quest’estate Alberto ed io, buon compagno di cordata, decidemmo di salire tre vie classiche su altrettante cime famose, tutte e tre sopra i tremila metri. Partiamo la mattina presto e il tempo promette bene. La via scelta per oggi sarà la “Via Andrich” al Cimon della Pala nel Gruppo delle Pale di San Martino. Arrivati al Passo Rolle, il nostro sguardo spazia lungo tutto il Gruppo e si sofferma per alcuni

attimi sul Cimon della Pala 3185 metri, sicuramente la cima più famosa e fotografata del Gruppo. La nostra via percorrerà la parete sud, quella più ripida e strapiombante del Cimon. Il sentiero che ci porta al attacco si rivelerà lungo e faticoso, su roccia friabile e sporca di terra, con passaggi di 2° grado. Arrivati al attacco, sopra un immenso conoide di detriti, saliamo i primi 200 metri in comune con la “Via Leuchs” su belle placche di 4° grado verso una cengia sotto un muro verticale di rocce nere, proseguiamo per quatto tiri di corda su roccia solida con chiodatura inesistente.

Cimon della Pala Annuario 2012

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Ora è la volta dei due tiri “chiave”. Uno sguardo alla fessura fina e strapiombante, chiusa in alto da un tetto, e poi... avanti. La partenza si fa subito impegnativa, 6° superiore su roccia buona e ben chiodata ma bagnata. Il tiro successivo aggira il tetto a sinistra, tutto su roccia gialla, umida e un po marcia, per ritornare verso destra, sopra di esso, alla base del diedro. Ora sono in sosta e sto aspettando che Alberto salga, mi guardo intorno e mi accorgo che ci troviamo quasi avvolti dalla nebbia. Mancano ancora sei lunghezze di corda per uscire, sperando che il tempo non si guasti ulteriormente proseguiamo. Ci aspetta un arrampicata su roccia difficile e bagnata con tratti friabili e chiodatura scarsa e per giunta la nebbia ci complica l’orientamento. Passo dopo passo, tiro dopo tiro finalmente usciamo dalla via. Una stretta di mano, raccogliamo il nostro materiale e poi... via, non c’è tempo da perdere. Il rientro, a causa della nebbia, si fa più complicato della via stessa, sbagliamo percorso diverse volte portandoci fuori, tra rocce molto marce, con ritorni sui nostri passi complicati e snervanti, perdendo parecchio tempo. Raggiunta finalmente la cima prendiamo la traccia appena visibile della “Via Normale” e poi lungo la Ferrata “Bolver - Lugli” che ci porta alla base della parete. Anche il sentiero che porta al parcheggio è avvolto dalla nebbia e fa sembrare il paesaggio un po’ mistico. È stata una bella avventura, la via è interessante, non troppo chiodata ma ben proteggibile. Resta comunque poco frequentata per via del lungo avvicinamento e il rientro su rocce instabili e franose. La settimana successiva partiamo per la “Parete delle Pareti”, cosi chiamata nella storia dell’Alpinismo Dolomitico, la Nord-Ovest del Civetta 3220 metri, una muraglia alta 1000 metri fiancheggiata da numerose torri altrettanto famose. Dalle tante e famose Vie che offre questa muraglia scegliamo una via aperta dallo stesso Alpinista della volta precedente, cioè la via “An138

drich - Fae”, una delle classiche più conosciuta della parete. Questa volta partiamo il sabato, pernottando al Rifugio Tissi sul Col Rean, difronte alla parete Nord-Ovest del Civetta. L’ accogliente Rifugio è gestito da Walter Ballanzier, una persona eccellente e simpatica che sa dare qualunque informazione sulle Vie che percorrono la “Grande Parete”. Il panorama che si può ammirare dal Rifugio Tissi è certamente uno tra i più belli delle Dolomiti e lo sguardo spazia a 360° dal Gruppo della Civetta alla Marmolada fino al Gruppo delle Tofane. La mattina seguente si parte presto, dato che la via è molto lunga. Con noi ci sono altri due ragazzi della zona e lungo il sentiero che porta all’attacco delle Vie si scorgono in lontananza le luci di diversi frontalini che illuminano la notte. Mentre attraversiamo un tunnel di ghiaccio e neve, il giorno ci raggiunge e arriviamo alla base dello zoccolo lungo 200 metri con difficoltà di 2° e 3° grado. La cordata che ci precede sbaglia l’attacco, naturalmente noi li seguiamo come dei polli e cosi dobbiamo affrontare due tiri di corda con difficoltà di 4° grado superiore, lungo un canale molto friabile e bagnato fuori programma. Ci ricolleghiamo di nuovo alla traccia giusta che in breve tempo ci porta al chiodo di partenza. Da qui partono due Vie: la “Aste-Susatti” a destra, già occupata da una cordata impegnata al primo tiro e, a sinistra, finalmente la nostra via scelta per quest’oggi: la “Andrich-Fae”. Alzo lo sguardo per individuare la via e la logica mi sembra molto evidente, un susseguirsi di placche fessurate che si spostano leggermente verso sinistra su roccia saldissima che passa dal nero al grigio con tratti che riflettono sfumature blu-argento. Dopo numerosi tiri di 6° grado su questa stupenda dolomia ci portiamo sotto un tiro molto impegnativo per la difficoltà ma sopratutto per la roccia bagnata e muschiata con alcuni chiodi consumati dalla ruggine e dal tempo. Superato Annuario 2012


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questo tiro attacchiamo i camini finali con roccia buona ma non banale. Usciti dalla via ci attende un cielo sereno con un sole splendente. Siamo pure in anticipo sulla tabella di marcia, ci congratuliamo con l’altra cordata e con una stretta di mano li salutiamo. Decidiamo di fermarci un po per poter ammirare questo panorama indescrivibile che spazia dal Gruppo delle Pale di San Martino al Gruppo del Sella e la Marmolada, e poi avanti dal Monte Cristallo all’Antelao e il Monte Pelmo, in lontananza si intravedono le Tre Cime di Lavaredo. Dopo una bella sosta ci dispiace dover proseguire per la discesa. Scendiamo dalla “Ferrata degli Alleghesi”, che ci porta in poco tempo sul sentiero “Tivan” e al Rifugio Coldai. Proseguiamo di buon passo e in un altra oretta arriviamo al parcheggio. Un ultimo sguardo sulla

parete color rosso, illuminata da un tramonto meraviglioso. È la via con la miglior roccia che ho fatto su questo Gruppo, e penso una delle salite migliori che ho percorso in Dolomiti. Chiodata bene con difficoltà che si mantengono costantemente tra il 5° e il 6°superiore. Continuiamo la nostra avventura spostandoci la settimana successiva in Val di Funes, una delle Valli più belle dell’ Alto Adige, con masi e pascoli punteggiate da abeti e cirmoli e a sud contornata dalle stupende Pareti Nord delle numerose guglie ad aghi delle Odle. Al centro di queste si innalza la parete più alta del Gruppo: la “Furchetta”, 3030 metri. Su questa parete alta 750 metri ci sono stati diversi tentativi di salita, come quella di Hans Dülfer, che si arrese ad un terrazzino che

Furchetta Annuario 2012

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da allora prende il nome di “Pulpito Dülfer”. Poi venne la volta della cordata “Solleder-Wiessner” che con eccezionale intuizione riusci nell’impresa, all’epoca, come una delle prime Vie di Sesto Grado nelle Dolomiti. Anche questa volta decidiamo di avvicinarci il sabato, passando la notte in macchina con tanto di materasso e coperta, nel parcheggio di Malga Zannes. La mattina seguente partiamo con frontalini accesi su strada sterrata e poi su sentiero fino alla base del lungo e ripido ghiaione che saliamo con numerose soste. Giunge il giorno e il tempo promette bene per quest’oggi. Arrivati all’attacco dello Spigolo ci soffermiamo un attimo a guardarci intorno. Lungo la prima metà della via, la roccia è buona e le difficoltà massime si aggirano intorno al 4° grado. Arrivati su una cengia detritica i nostri sguardi incontrano il “Pulpito Dülfer”, appena un po sopra di noi. Attraversiamo a destra per circa 20 metri, portandoci nella zona gialla e strapiombante della parete. La linea della salita non è tanto evidente. Ci alziamo su rocce rotte facendo molta attenzione a quello che tocchiamo. Man mano che saliamo aumenta la difficoltà e peggiora la roccia. Restiamo un po’ perplessi tutti e due, dato che la relazione segnava questo spigolo come “via Classica su roccia generalmente buona”. Ad una delle soste Alberto commenta: “El Holzer (Alpinista Spazzacamino di Merano) l’ha fat en solitaria, el gaeva propri en bel coraggio a trarse su per ‘sta roba da sol.” Continuiamo a salire restando leggeri come piume, toccando la roccia con delicatezza e arriviamo alla sosta del tiro “Chiave”: Una placca di roccia gialla sovrastato da un tetto nero gocciolante. Sulla placca si intravedono alcuni chiodi e sotto il tetto ci sono dei vecchi cordini. Ma quello che si nota di più è la scarsa qualità della roccia. Se ci trovassimo ai primi tiri credo che saremmo tornati indietro, ma siamo già 700 metri sopra il ghiaione. Un bel respiro e parto. Salgo tre metri sopra 140

la sosta dove si trovano due chiodi appaiati in un buco, traverso a destra su fragili scaglie che sembrano muoversi ancora prima di toccarli. Ora tocca la fessura bagnata. I cunei di legno marcio che intravedo non mi danno fiducia e piazzo qualche friend per assicurarmi, così arrivo fin sotto il tetto. Ci sono dei cordini vecchi pieni di muschio, attorno ad un sasso incastrato. Non so se sono più sicuri i cordini o il sasso. Arrivato al punto dove la fessura diventa un camino molto stretto, cerco di arrancarmi in qualche modo, mi incastro con le scarpe che ho attaccate all’imbrago, ma riesco in qualche modo ad aggrapparmi ad un bel masso incastrato e salirci sopra. Al mio fianco vedo due chiodi di sosta... è fatta! Recupero Alberto che nell’attesa si è ghiacciato. Poi tocca a lui proseguire lungo il camino che porta verso l’uscita della via. Stanchi e infreddoliti arriviamo in cima, una bella stretta di mano per congratularci. Il cielo è sereno e anche questa volta la fatica ci viene ripagata con il magnifico panorama delle Dolomiti. Non c è tempo di fermarci per ammirare più a lungo questo spettacolo, dobbiamo proseguire. Ci aspetta un rientro molto lungo, scendendo dalla via “Normale della Furchetta, aggirando il Sass Rigais per poi salire il canalone che porta alla Forcella de Mesdì e giù per il ghiaione che riporta in Val di Funes. Il mio giudizio personale per questa “Classica d’altri tempi” è sicuramente un arrampicata molto avventurosa con roccia a tratti poco sicura. La via resta poco frequentata proprio per via della roccia. “Tei Alberto, che’n disit, el sta na bela avventura ‘ste vie vece?” “Eh sì Walter, diria propri de sì. E pensa che a quei tempi i se treva su per sti paretoni con l’attrezzatura che i gaveva... ghè propri da levarghe el capel!” “Te podi propri dirlo! Beh, Alberto, preparete, go za en ment altre vie per el prossim an, semper de Alpinisti de ‘sti ani.” Annuario 2012


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Pizzo Bernina (4049 m), Biancograt 12-13-14 settembre 2011 di Alberto Bertoldi e Davide Trebo “Quella alla cresta nord del Pizzo Bianco è una ascensione d’alta montagna tra le più belle e celebri delle Alpi. Inizia e termina su terreno roccioso ma la parte centrale, da cui prende il nome, è una sinuosa cresta nevosa di oltre un chilometro di lunghezza.” Merano, la Val Venosta, il Passo Tubre e siamo in Svizzera. Arriviamo a Pontresina (1780 m) fiduciosi di riuscire a prendere almeno l’ultima carrozza con cavalli che risale la Val Roseg, ma sono già le 18 e le corse sono terminate. Compilation di giaculatorie e telefonata al rifugio per comunicare che, dovendo farcela tutta a piedi, arriveremo un po’ più tardi del previsto. La

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signorina che risponde mi dice che se arriviamo dopo le 22 sarà difficile trovare ancora qualcosa da mangiare. Ma la signorina che risponde non lo sa che siamo ben allenati. Carichiamo gli zaini e dopo mezzora partiamo, a buon ritmo ci beviamo i 6 km circa che ci portano ai 2000 metri del hotel Roseg, in fondo alla valle, saliamo sulla sponda settentrionale della vedretta di Tschierva e puntiamo alla capanna omonima (2580 m) dove arriviamo alle 20,45, ormai al buio ma sotto un fantastico cielo stellato. Un piatto di minestra calda e un paio di wurstel riusciamo ancora ad averli, poi a nanna, che alle tre la sveglia suona. Si sta così bene sotto il piumone, ma perché bisogna fare queste levatacce?

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Comunque, colazione e via, alle 4 lasciamo il rifugio, il tempo è sempre bello, ma chiacchierando ci alziamo troppo sull’itinerario che porta al Piz Morteratsch! Lo prendiamo come un buon riscaldamento! Più in basso, cordate attraversano la vedretta di Tschierva per salire al Pizzo Roseg (3936 m), più in alto, verso il Piz Prievlus, due frontalini in movimento ci fanno capire dove dovremo passare. Riscendiamo un centinaio di metri fin quasi sul margine della vedretta dove troviamo i segni catarifrangenti sui massi (efficienza Svizzera). Li seguiamo fino alla base del Piz Prievlus a quota 3300 ca. Qui, sulle rocce a sinistra ci dovrebbe essere un tratto attrezzato per arrivare alla forcella, ma non lo cerchiamo nemmeno e, messi i ramponi, saliamo slegati il centinaio di metri del pendio ghiacciato a 40° per sbucare alle 7,30, finalmente al sole, sulla forcella Prievlusa (3340 m) dove ci concediamo una meritata pausa rifocillante. Quindi, dopo aver superato qualche tratto su roccia e un’altra

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rampa ghiacciata, alle 9,15, mettiamo piede sulla Biancograt, la lunga cresta nevosa che sembra non finire mai. Uno spettacolo! La giornata è meravigliosa, saliamo regolari in un ambiente fantastico su pendenze che a tratti raggiungono i 45° e poco prima delle 11 siamo sul Pizzo Bianco (3995 m). Qui troviamo la cordata, un ragazzo e una ragazza, partita poco prima di noi stamattina dal rifugio, i due frontalini che vedevamo in alto. E anche adesso si muovono prima di noi ma non sono molto rapidi nelle manovre di corda e ad ogni sosta gli arriviamo addosso dato che noi procediamo in conserva. Però superarli è un problema su questo terreno, ci riusciremo solo sull’ultimo strappo, perché le difficoltà maggiori sono proprio nel tratto tra il Pizzo Bianco e la vetta con passaggi delicati in cresta da superare in arrampicata, seguiti da qualche breve calata in doppia e con un torrione da affrontare in misto, ultimo non facile ostacolo prima del salto finale, superato il quale, siamo in vetta al Pizzo Bernina

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(m 4050) alle 13,45. Dopo un’oretta di sosta in cima, favorita anche dalla splendida giornata e dall’ottima temperatura, iniziamo a scendere lungo la via Normale italiana, con impegnativi passaggi su roccette, su cresta nevosa affilata ed esposta. Ancora un paio di calate in doppia e infine siamo sul ghiacciaio del Morteratsch. Sceso il pendio nevoso, giungiamo alle 16,30 ai 3610 metri del rifugio Marco e Rosa, dove stanchi ma soddisfatti, ci fermiamo per la notte. Ceniamo in compagnia dei due simpatici ragazzi della cima, Helga di Salisburgo e Ivan, Basco. Intendersi non è facile ma Helga parla un po’ d’italiano e Ivan si fa capire. Con Davide, per domani, avevamo una mezza intenzione di fare la cavalcata delle creste dei Pizzi Palù e scendere al rifugio Diavolezza, ma conveniamo che sia troppo lunga e faticosa. Anche loro sono della nostra idea e allora decidiamo di fare una cordata unica e scendere a Morteratsch dallo sperone della Fortezza. La mattina ce la prendiamo comoda, facciamo colazione, formiamo la cordata internazionale italoaustrobasca e lasciamo il rifugio alle 7,30, avviandoci sul ghiacciaio seguendo una buona traccia che Annuario 2012

passando tra i crepacci e risalendo sopra un enorme seracco, ci porta alla Forcella Bellavista (3688) sotto le magnifiche pareti nord dei Pizzi Palù. Da qui scendiamo lungo lo sperone della Fortezza, con passaggi in roccia, qualche calata in doppia e su tratti di ghiaccio, arrivando all’Isla Persa, isolotto roccioso posto tra i ghiacciai di Morteratsch e Pers. Perdiamo faticosamente quota cercando la migliore via di discesa tra i massi morenici e finalmente arriviamo sul bordo della colata del Morteratsch a quota 2400 ca. La seguiamo sulla destra orografica, rimanendo sul bordo tra ghiaccio e morena evitando grossi crepacci,e usciamo al suo termine (2100 ca.) alle 13,00. Da qui, su comoda strada forestale ben frequentata da turisti in visita alla bocca del ghiacciaio, raggiungiamo la stazione ferroviaria di Morteratsch (1890), da dove con il trenino rosso del Bernina, torniamo a Pontresina, cotti ma decisamente appagati, consapevoli di essere stati molto fortunati anche con il tempo che ci ha concesso due splendide giornate per salire e scendere da una delle più belle vie di ghiaccio e roccia delle Alpi. 143


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Fermare le emozioni Nasce da quest’anno la rubrica “Fermare le Emozioni”. Questa rubrica nasce su richiesta dei nostri fedeli soci appassionati di fotografia. Il titolo è stato suggerito da una storica rubrica curata da Walter Bonatti, quindi un doveroso omaggio al nostro grande amico. Da subito abbiamo avuto molto lavoro da fare, perché gli scatti pervenutici sono stati veramente molti. Vogliamo far crescere questa rubrica chiedendovi, per la prossima edizione dell’annuario, di accompagnare le vostre fotografie ad un titolo, o semplicemente descrivendo il luogo dove sono state scattate. Nel ringraziare tutti i partecipanti, l’occasione ci è gradita per invitarvi numerosi alla prossima edizione.

Giampaolo Calzà

Ruggero Carli Annuario 2012

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FERMARE LE EMOZIONI

Carlo Zanoni

Mario Corradini

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FERMARE LE EMOZIONI

Aldo Meneghelli

Flavio Moro Annuario 2012

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FERMARE LE EMOZIONI

Paolo Liserre

Valentina Leonardi

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Annuario 2012


FERMARE LE EMOZIONI

Stefano Reversi

Edoardo Nicolini Annuario 2012

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...a ricordo di nostro padre Emilio Gentilini... Bruno ed Ivo


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Desiderata Max Ehrmann, 1927 Procedi con calma tra il frastuono e la fretta e ricorda quale pace possa esservi nel silenzio. Per quanto puoi, senza cedimenti, mantieniti in buoni rapporti con tutti. Esponi la tua opinione con tranquilla chiarezza e ascolta gli altri: pur se noiosi e incolti, hanno anch’essi una loro storia. Evita le persone volgari e prepotenti: costituiscono un tormento per lo spirito. Se insisti nel confrontarti con gli altri rischi di diventare borioso e amaro, perché sempre esisteranno individui migliori e peggiori di te. Godi dei tuoi successi e anche dei tuoi progetti. Mantieni interesse per la tua professione, per quanto umile: essa costituisce un vero patrimonio nella mutevole fortuna del tempo. Usa prudenza nei tuoi affari, perché il mondo è pieno d’inganno. Ma questo non ti renda cieco a quanto vi è di virtù: molti sono coloro che perseguono alti ideali e dovunque la vita è colma di eroismo. Sii te stesso. Soprattutto non fingere negli affetti. Non ostentare cinismo verso l’amore, perché, pur di fronte a qualsiasi delusione e aridità, esso resta perenne come il sempreverde. Accetta docile la saggezza dell’età, lasciando con serenità le cose della giovinezza. Coltiva la forza la forza d’animo, per difenderti nelle calamità improvvise. Ma non tormentarti con delle fantasie: molte paure nascono da stanchezza e solitudine. Al di là di una sana disciplina, sii tollerante con te stesso. Tu sei figlio dell’universo non meno degli alberi e delle stelle, ed hai pieno diritto d’esistere. E, convinto o non convinto che tu ne sia, non v’è dubbio che l’universo si stia evolvendo a dovere. Perciò sta’ in pace con Dio, qualunque sia il concetto che hai di Lui. E quali che siano i tuoi affanni e aspirazioni, nella chiassosa confusione dell’esistenza, mantieniti in pace col tuo spirito. Nonostante i tuoi inganni, travagli e sogni infranti, questo è pur sempre un mondo meraviglioso. Sii prudente. Sforzati d’essere felice.

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Pregasina e la sua storia di Bernardino Toniatti (Estratto dal libro di prossima pubblicazione riguardante la storia del paese di Pregasina, gentilmente concesso dall’autore) IL CONTRABBANDO Un illecito per sopravvivere Fino al 1918 tra Pregasina e Limone correva il confine Italo- Austriaco e, come spesso succedeva nelle zone di confine, il contrabbando era l’attività a cui ricorrevano numerosi Pregasinesi per il sostentamento delle famiglie in un’ economia piuttosto povera. A contrastare l’illecita azione dei contrabbandieri, c’era in paese una caserma della finanza austriaca comandata da un capo posto che tutti chiamavano Speziente. Un ‘altra caserma con un altro Speziente era a Biacesa. Le merci che i contrabbandieri portavano in Italia erano, per la maggior parte, zucchero tabacco e sale: lo zucchero era confezionato in “pani“ a forma di cono del peso di 12 kg. Dall’Italia invece importavano stoffe, telerie da lenzuola, liquori, tra cui il Fernet Branca e riso. Sul versante orientale del Monte Baldo, nella zona di Mama d’Avio, esiste un coel (grotta) chiamato ancor oggi “coel del riso“, sotto il quale si incontravano i contrabbandieri austriaci e italiani che trafficavano tale merce. A Pregasina di riso se ne portava ben poco perché troppo pesante per i ripidissimi e pericolosi sentieri che salivano dal lago. Su questi difficilissimi percorsi fra le rocce, i contrabbandieri usavano delle scarpe speciali fatte in casa, molto simili a quelle dei friulani “scarpec“ e alle scarpette da roccia. Erano tutte di panno e la suola era costituita da numerosi strati cuciti insieme. Avevano il vantaggio di evitare gli scivoloni e di essere silenziose. A Pregasina erano tre i sentieri del contrabbando. Il primo era sotto il paese, alla bocca de Gola, e veniva chiamato appunto sentiero di Gola. Scendeva Annuario 2012

ripido verso il lago ed arrivava nel luogo dove oggi sorge l’hotel Pier. Il secondo partiva dalla bocca di Rangò. Veniva chiamato senter del Vetèr (dal tedesco Vetèr =tempo) e finiva al coe Calder. L’ultimo sentiero dei contrabbandieri partiva da bocca dei Lares e scendeva a Reamol. DUE AVVENTURE DEL “GIOANA” A Pregasina tutti parlano ancora del Gioàna, cioè di Giovanni Vicari, il quale era il capo di un gruppo di contrabbandieri. Era un uomo coraggioso e particolarmente furbo. Sceglieva i suoi collaboratori con grande cautela ed esigeva da loro obbedienza, coraggio e prudenza. E la prudenza era la prima virtù del Gioàna. Si dedicava al contrabbando per il guadagno, ma al guadagno anteponeva la sicurezza per gli uomini e per se. Preparava tutte le operazioni oltre il confine con la massima cura, preoccupandosi specialmente che i finanzieri non le scoprissero e non scoprissero i suoi uomini. Le storie dei contrabbandieri erano cose segrete e nessuno le conosceva nemmeno a quei tempi. Oggi, a Pregasina, tutti parlano di due avventure del Gioàna e dei suoi soci: quella della dote della cognata dello Speziente di Biacesa e quella del Fernet Branca per una ditta di Riva. La dote per la cognata dello Speziente La cognata dello Speziente voleva una dote speciale, con biancheria ricamata e con lenzuola di lino. Solo in Italia si poteva trovare una tale dote e il modo migliore per procurarsela era quello di rivolgersi ai contrabbandieri. E infatti la cognata dello Speziente di Biacesa si rivolse al Gioàna. Valeva la pena fare contenta la cognata dello Speziente, che forse un giorno avrebbe potuto essere utile ai contrabbandieri. E il Gioàna si diede da fare per procurarsi qualcosa di speciale. Mise poi in moto i suoi collaboratori e la rete 155


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delle sue conoscenze, finché venne informato che la merce era pronta. Diede disposizione per il trasporto della dote fino al lago di Garda e, dopo qualche giorno, gli venne comunicato che la merce si trovava al coel Calder. Allora si rivolse ad Angelo Toniatti, detto Bocela, il quale era emigrato in America e da qualche mese aveva fatto ritorno a Pregasina. Era un uomo grande e forte, proprio quello che ci voleva; infatti per salire dal lago lungo il difficile sentiero del Vetter con quel carico occorreva un uomo davvero robusto, perché non era opportuno dividere il carico fra due o più contrabbandieri. Nel giorno fissato per l’operazione il Gioàna si trovava nel suo campo a Rangò; stava zappando le patate con gli zoccoli ai piedi, quando sentì un ansimare forte e gli si presentò a poca distanza il Bocela, che era sbucato su dalla bocca di Rangò con un grande fardello legato sulla “craizèra“. Finse di non vederlo e abbassò la testa per continuare il suo lavoro. Il Bocela si diresse verso il bosco della Calcina e dopo qualche momento giunse all’orecchio del Gioàna, un imperioso ALT ! “Ci siamo - pensò questi - . È caduto nelle grinfie dei finanzieri“. C’era poco tempo da perdere, si avviò sulle tracce del Bocela e lo vide in distanza seguito da due finanzieri e diretto verso la caserma. Gli andò dietro, mantenendo un distacco di sicurezza e attese qualche minuto prima di avvicinarsi alla caserma. Origliò dal buco della serratura e poi provò a premere la maniglia della porta d’entrata. Era aperta! Mise dentro la testa e vide l’involucro della dote appoggiato al muro dell’atrio. Dietro una porta laterale si sentiva la voce forte dello Speziente che interrogava il Bocela e un finanziere che batteva a macchina il verbale. Il Gioàna si levò gli zoccoli, sgattaiolò dentro, caricò sulla schiena il pesante carico e salì nel bosco sovrastante e lo nascose in località Borzoni. Quando il verbale fu pronto, lo Speziente ordinò al finanziere di portare il corpo del reato per l’inventario. Ma questo era sparito. Il sottoufficiale accartocciò le scartoffie e le gettò nel cestino, apostrofando duramente 156

il finanziere che forse per la fretta, non aveva chiuso la porta a chiave. Rivolto al Bocela gli gridò : “e tu vattene, che poi ci rivedremo“. Più tardi il Gioàna riuscì ad indicare al Bocela dove era nascosta la dote e la notte seguente questa raggiunse la sua destinataria a Biacesa. A Pregasina tutti conoscevano questa avventura del Gioàna che sembrava un po’ strana. Dov’erano tutta la furberia e la riservatezza e la prudenza del Gioàna? Per un carico importante si affidava ad un collaboratore nuovo, mai collaudato, che sembra non essere un grande genio e che va a finire nelle braccia dei finanzieri. È strano anche il comportamento dello Speziente, che interroga il contrabbandiere e quando si rende conto che il corpo del reato è scomparso, lascia libero il Bocela e non si preoccupa nemmeno di farlo pedinare per coglierlo nuovamente in fallo. E la consegna di merce di contrabbando alla cognata dello Speziente di Biacesa non è un caso un po’ sospetto? Sembra che ci siano accordi nascosti tra i finanzieri e il contrabbandiere. La storia, insomma, è un misero panegirico per il grande, il furbo, l’intelligente Gioàna. Probabilmente le avventure del contrabbando di Pregasina nessuno le ha mai conosciute, perché venivano portate a termine nella massima segretezza. Ai posteri ne son giunte due. Una deve essere l’invenzione di qualcuno che non aveva certo l’intelligenza del Gioàna e voleva diffondere una storia che al contrabbandiere insuperabile di Pregasina facesse fare una figura alquanto meschina. C’è da pensare che, se Giovanni Vicari detto Gioàna potesse ritornare a Pregasina e ascoltare la storia che i suoi compaesani raccontano su di lui, si arrabbierebbe non poco. La seconda avventura riguarda il contrabbando del Fernet. A Riva una partita di Fernet Un grossista di liquori aveva bisogno di 5 ettolitri di Fernet Branca. Come poteva fargli giungere dall’Italia con i rigorosi controlli dei finanzieri austriaci? L’unica possibilità era quella di rivolgersi al Gioàna di Pregasina. A Riva era Annuario 2012


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molto conosciuto anche dal titolare della ditta. Il Gioàna fece qualche difficoltà. Per importare 500 litri di Fernet bisognava mobilitare numerosi uomini di Pregasina. Non si poteva salire per i sentieri di Gola o del Veter con più di 40/50 kg sulla craizer. Scegliere il sentiero di bocca Lares meno difficile? Il percorso era però troppo lungo e poi bisognava scendere a Pur e poi a Molina e quindi a Riva per la strada del Ponale. Dopo aver sentito i suoi collaboratori il Gioàna fece il contratto con la ditta di Riva ad un prezzo alquanto alto. Per organizzare l’operazione aveva dovuto rivolgersi a troppe persone. Qualche voce era uscita dalla cerchia dei suoi fedeli ed era giunta agli orecchi di una donna che faceva le pulizie nella caserma dei finanzieri. Dalla donna passò ad un finanziere suo amico, e da questo allo Speziente. Lo Speziente fece nascostamente quattro salti in Gola e preparò la controffensiva per far cadere in trappola il Gioàna e i contrabbandieri. Si avvicinava il giorno dell’operazione Fernet e lo Speziente aveva organizzato, nella massima segretezza, l’operazione anti Fernet. Ma anche il Gioàna aveva le sue vie segrete che portavano allo Speziente, e venne a conoscenza del piano attentamente preparato dai finanzieri dell’Imperial Regio Governo. Così decise all’ultimo momento di modificare il percorso in precedenza studiato e preferì invece il sentiero di Reamol, bocca dei Lares, Pur e Molina. Da Molina non c’era scelta, si doveva raggiungere Riva sulla strada del Ponale e finire inesorabilmente proprio tra le braccia dei finanzieri. Il Gioàna non si arrese, mise in moto la sua intelligenza e si rivolse all’impresa trasporti Berlanda di Riva. Il giorno stabilito un elegante e lucido “landau” sale da Riva lungo la strada del Ponale, trainato da due magnifici destrieri bianchi e guidati da un cocchiere, paludato con un’ impeccabile livrea nera. L’elegante fiaccheraio trova per la strada ben quattro pattuglie di finanzieri e li saluta gentilmente. Alcune ore più tardi lo stesso “landau“ discende per la stessa strada. A cassetta c’è ancora l’elegante cocchiere, con un sigaro di Virginia tra le labbra, ai finestrini della Annuario 2012

carrozza si affacciano sorridenti due sposini; lui tutto in nero con un elegante cilindro in testa, lei in un magnifico abito bianco da sposa. Il “landau” passa di nuovo davanti alle quattro pattuglie dei tutori dell’ordine. I destrieri rallentano l’andatura davanti ad ogni gruppo di finanzieri di fazione, gli sposi si affacciano al finestrino e salutano sorridenti. Nessuno si sogna di fermarli; la carrozza continua il suo viaggio fino a Riva e attraversa la città in mezzo alla curiosità della gente. Giunto l’equipaggio davanti alla sede della ditta committente del Fernet, si apre il portone di legno che si richiude alle spalle del landau. Scendono i due freschi sposi che entrano nell’ufficio del commerciante. Si spogliano del loro elegante abito da cerimonia e in loro si riconoscono il Gioàna e sua moglie. Dal “landau“ si possono naturalmente scaricare 5 ettolitri di Fernet Branca. È stata questa un’avventura veramente degna di Giovanni Vicari, detto Gioàna, che passerà alla storia come il grande, il furbo, l’insuperabile contrabbandiere di Pregasina. I PORTATORI DI PREGASINA La Valle di Ledro, per la sua posizione geografica, non aveva la possibilità di comunicare facilmente con la zona di Riva se non attraverso al Rocchetta (vedi la famosa Grotta Dazi, il cui nome risale al controllo che si esercitava, sempre nei lontani tempi, con l’imposizione dei dazi comunali sulle merci che venivano portate da un comune all’altro). Altro passaggio obbligato era la strada che dalla Valle di Ledro portava al Ponale di sotto. (Quest’ultima, molto praticata tanto da essere polverosa come confermato da alcune vecchie fotografie). Lungo la discesa, con forte pendenza, si potevano trainare slitte o brozzi con animali adatti fino giù sul porticciolo del Ponale al lago. Il difficile era la dura salita fino alla località “alla Cros” (alla croce) dato che gli animali erano in grado appena di trainare le slitte vuote, lungo quelle rampe impervie. I sacchi di farina da polenta (alimento principale) chiamate “some“ pesavano 100 kg, i pannoni di zucchero kg 12, 157


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suppellettili varie e tutto quanto non poteva essere prodotto in valle, veniva trasportato a spalla da portatori la maggior parte dei quali erano di Pregasina. Questi dovevano essere uomini forti all’incirca come gli attuali sollevatori di pesi, per mantenersi in grado di compiere tre viaggi al giorno portando in su carichi che potevano raggiungere anche il quintale. Lungo la discesa per completare il lavoro della giornata molte volte si trascinavano una bora (tronco di legno) o una grossa fascina di legna da ardere (brasca). Questo era forse uno dei modi più duri per guadagnarsi da vivere, forse alternandolo con quello di fare il “contrabbandiere”. Mentre il primo lavoro si svolgeva di giorno in piena libertà, quello del contrabbandiere veniva fatto maggiormente durante le notti di luna, con scarpe di pezza confezionate col panno di vecchi cappelli ed altro. Venivano calzate durante i passaggi nelle vicinanze delle guardie di finanza o nei punti ove c’era il pericolo di scivolare sulla roccia dei sentieri impervi, dei quali ne esiste ancora qualche traccia. Da Pregasina (Austria) venivano trasportati in località Gola sul lago, (dove attualmente esiste

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l’Hotel Pier), panni di zucchero, tabacco, spirito ed altri generi soggetti in Italia a dazio perciò di maggior costo. In senso contrario portavano stoffe, capi di vestiario, Fernet Branca (già allora famoso), dovendo poi superare la seconda difficoltà cioè portare il tutto a Riva o dintorni. Un cippo granitico segna la divisione tra i due comuni catastali limitrofi, Pregasina e Biacesa, vi è inciso l’anno 1746, una B verso Biacesa ed una P verso Pregasina. In questo luogo esistono tuttora dei ruderi in sassi per casette d’abitazione e di deposito materiali nonché un capitello che avrebbe bisogno di restauro. Un custode, con famiglia, viveva costantemente in questo luogo per disciplinare lo scambio delle merci. Fin qui giungevano carri dalla Val di Ledro, trainati dagli animali fin da tempi immemorabili. La maggior parte delle merci in discesa trattavasi di legname, legna da ardere, fieno, chiodi e ferramenta varia, fabbricata a mano nei paesi di Pre e Molina, pelli ed altri prodotti agricoli. Su un tratto di strada di questa località sono ancora evidenti dei profondi solchi incavati nella viva roccia che testimoniano il passaggio di pesanti carri e brozzi.

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Antiche controversie per i confini di Ferdinando Martinelli Termine (tèrmen, nel nostro dialetto 1), inteso nel senso di confine, era parola un tempo usata con più frequenza di oggi, perché corrispondeva ad un bisogno che investiva con urgenza maggiore le nostre antiche comunità contadine. Il proprietario di un campo aveva bisogno di sapere con certezza quali erano i suoi confini, anche per evitare liti, discussioni, diverbi, che erano sempre dietro l’angolo. Qualche volta i confini nelle campagne erano segnati da un filare di alberi, o di viti; ma spesso si ricorreva ad una grossa pietra, detta tèrmen, appunto, ben piantata dentro il terreno. Malgrado questo solido punto di riferimento, vertenze e dispute sui confini costituivano frequente materia di dibattito per agrimensori, giudici e avvocati, e non era raro il caso di denunce per uno spostamento furtivo della pietra di confine. Con il catasto imposto da Maria Teresa d’Austria (1740-1780) i nostri contadini ebbero un altro importante strumento per stabilire i loro diritti sulle proprietà terriere. Come i termini segnavano le proprietà private, così essi venivano usati anche per i confini pubblici: tra comuni, per esempio, o tra stati (foto 1). In questo articolo vogliamo brevemente evidenziare le antiche problematiche di Nago-Torbole riguardo ai suoi confini, che coincidevano con quelli dei comuni di Malcesine, Oltresarca, Arco, Pannone, Brentonico e Chianisio 2.

La chiarezza e la precisione sulla segnatura dei confini era, come abbiamo detto, un bisogno che nasceva da quel tipo di società, la cui economia si fondava quasi esclusivamente sui prodotti della terra e dell’allevamento del bestiame, per il quale i pascoli erano un bene fondamentale. Per questo non si poteva tollerare che pastori di altri comuni entrassero con le proprie greggi, o tagliassero piante o prendessero possesso di qualsiasi altra cosa, entro i confini altrui. La pietra di confine, collocata in seguito ad un’intesa raggiunta spesso dopo lunghi e accesi dibattiti dai rappresentanti delle due comunità interessate, rappresentava qualche cosa di sacro. E infatti, insieme con la data dell’accordo, recava sempre incisa anche una croce. Nago-Torbole ebbe liti secolari soprattutto con Brentonico, per i confini che attraversavano i prati della Bordina, a monte del lago di Loppio. Uno dei più antichi documenti dell’archivio storico (di quella parte che si trova nella canonica di Nago) riguarda appunto questa controversia. Si tratta di una pergamena del 1285, molto rovinata e di difficile lettura, che raccoglie testimonianze varie sull’argomento. Un’altra pergamena, dello

1 Si osservi che è lo stesso vocabolo usato dai lati-

ni con identico significato: confine, limite. Oltre a termen (neutro) essi usavano più frequentemente la forma maschile (terminus) che, se scritta con l’iniziale maiuscola, indicava il dio protettore dei campi, e in particolare dei confini. 2 Chianisio: l’antica Clanisium, Chienis, dal 1972 frazione del comune di Ronzo-Chienis. Nel documento al quale attingiamo i suoi abitanti sono chiamati Chianisi. Annuario 2012

Foto 1. Cippo di confine tra Italia e Austria in Valmarza, sulla riva orientale del lago. Reca la scritta Pretura di Arco - Distretto di Rovereto (Foto R. Angiolini)

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stesso anno, anch’essa in pessime condizioni, reca una serie di deposizioni riguardanti i confini del Linfano con il comune di Arco, e un’altra ancora, del 1509, è una delega ad alcune persone per concordare i confini alla Pozza Brodeghèra (poco sotto la cima dell’Altissimo) con il comune di Malcesine. L’argomento dei confini era frequentemente all’ordine del giorno dei consigli e delle assemblee dei capifamiglia (regole), e non si contano gli incontri con i rappresentanti della parte avversa. Queste discussioni, quando mancavano documenti certi, si basavano essenzialmente sulle testimonianze raccolte presso le persone più anziane del paese. Quando queste concordavano, la vertenza era presto risolta, e il tèrmen fissato. Se però tra di esse non c’era corrispondenza, allora la discussione poteva protrarsi infruttuosa e inconcludente per anni, o addirittura per secoli, com’è successo tra Nago e Brentonico (e, più di recente, tra Nago-Torbole ed Arco per i confini alla foce del Sarca: controversia risolta dal giudice a favore del nostro comune) 3. Non sempre però, per fortuna, nascevano liti e incomprensioni. Talvolta tutto si svolgeva in modo pacifico, senza controversie, come nel caso di un incontro tra i rappresentanti dei comuni di Nago-Torbole, Oltresarca, Pannone e Chienis per una verifica dei confini nei giorni 21 e 22 agosto del 1713. Riunione delli termini delli monti, è il titolo del verbale del sopralluogo, redatto dal notaio Anto3 Anche il comune di Riva ebbe le sue vivaci controversie per i confini, in particolare con Arco (dalle parti di San Giorgio) e con Pranzo (monti Englo e Tombio). Gli annali rivani registrano una processione penitenziale imposta dal vescovo nel 1282 agli abitanti di Pranzo per le offese e le ingiurie arrecate agli uomini di Riva, sia a singoli che all’intera comunità, per una questione di termini. Le cronache di quei tempi ci informano infatti di una perdurante situazione conflittuale a causa dei confini, incerti e non ben definiti e comunque spesso ignorati, sembra, dai pastori di Pranzo, che li attraversavano con le loro greggi.

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Foto 2. Il termine di confine tra Nago e Oltresarca, lungo la vecchia strada della Maza, detto “di preda alta” (oggi Prealta)

nio Racemi, di Bolognano, che inizia la scrittura In nomine Christi. Amen. Per Nago e Torbole sono presenti i sindaci Antonio Barcella e Giovanni Perosino; per l’Oltresarca il sindaco Valentino Boninsegna, ai quali si accompagna un’altra decina di persone. L’incontro avviene presso il primo termine (vedi foto 2), detto”di preda alta”, che porta una croce “ben scolpita in una lasta naturale giacente presso la via Imperiale, dalla parte verso mattina, in cui sono intagliate le lettere d’Abacho 1573 e scolpite due lettere U e N”. La via Imperiale è la vecchia strada della Maza; “lettere d’abaco” sta per “cifre”; U e N sono le iniziali dei comuni di Ultrasarca e Nago. Gli uomini della commissione esaminano il termine, lo riconoscono e lo “rinfrescano con la martellina”. Poi salgono diritti lungo il fianco della montagna per circa un “tiro di archibugio” (un centinaio di metri), finché trovano il secondo termine, che riconoscono e rinfrescano con la martellina. Così proseguono fino al quattordicesimo termine detto “ dei tre cantoni”, che segna il confine dei tre comuni. Qui si aggiungono ai nostri rappresentanti anche quelli della comunità di Pannone e i Chianisi, con i quali vengono ora verificati altri undici termini, trovati tutti in regola. L’ultimo è quello ben piantato nella valle dei Mazzocchi, poco sopra Nago. Il notaio Annuario 2012


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Foto 3. Muro di cinta nelle campagne di Torbole (Strada Piccola)

conclude il verbale con un “Laus Deo” : sia lode a Dio, per la delicata operazione pacificamente condotta e portata a conclusione 4. A conclusione di questa breve digressione sui termini, non possiamo non ricordare gli antichi muri di cinta dei campi, termini per eccellenza, di cui è sopravvissuto qualche breve tratto (destinato prima o poi a sparire) anche nella Busa. Sono opere che ci hanno sempre colpito per una certa loro mancanza di logica. Un appezzamento di terra, un oliveto, un pezzo di monte, non potevano considerarsi o dirsi una proprietà sicuramente privata e personale, se non erano circondati da un grande muro. Erano muri alti anche più di due metri, con solida base, come se il loro motivo di esistere non fosse quello di segnare un confine, ma di sostenere chissà quali carichi. È difficile stabilire per quale ragione questi muri venivano costruiti. È vero che un tempo non c’era il filo spinato - venuto nell’Ottocento - ma perché proteggere un modesto raccolto con tanto lavoro e tanta spesa? Se poi era per difendere il 4 La più celebre controversia per i confini nel nostro comprensorio, è certamente quella tra Austria e Repubblica di Venezia riguardante i loro confini sul lago di Garda, dibattuta nei decenni precedenti il trattato di Campoformio (1797) stipulato tra Francia e Austria, con il quale fu sancita la fine della Repubblica veneta. Annuario 2012

raccolto dai ladri, che ladri saranno mai stati per spaventarsi per così poco? E se era per tenere lontani i ragazzini che rubavano le ciliegie, la spiegazione convince ancor meno (foto 3). Sia come sia, ci è difficile ora immaginare, pensando pure a tempi primitivi e pastorali, del tutto diversi ed estranei ai nostri, un qualsiasi rapporto lavoro - compenso in questi, nel loro piccolo, lavori faraonici. A meno che i nostri anche modesti proprietari terrieri non volessero imitare, in questa nostra terra costellata di castelli, i loro proprietari. Per sentirsi tutti piccoli castellani.

Piove di Alberto Maria Betta Al prim tonezar me desmissio de colp e me ‘ndrizzo sul let: è tut strof dal de for. La vegn zò con de ‘n ciass che ‘nsordiss, ‘na cascata contro i vedri ‘npanai. Sol n’ociada al prosac che spetéa sconsolà nel cantom e me giro dal’altra. Sora en prà de montagna slusent de rosada, m’ò ‘nsognà de ‘na baita endoràa dal prim sol.

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COSTANZA - PASSIONE - SOLIDITÃ

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Loppio: si può recuperare il lago? di Paolo Ferrari Non so se è ancora lecito chiamare lago quel pezzo di ambiente tra il Passo di S. Giovanni e l’abitato di Loppio. Infatti da più di 50 anni in quella conca che è rimasta, l’acqua e un po’ di vita lacustre compaiono molto raramente, in anni eccezionalmente piovosi. Tanti non sanno neanche che lì c’era un lago. I cartografi hanno preso atto della situazione e già da anni la zona è indicata sulle carte come “Alveo del Lago di Loppio”. I naturalisti veri invece non hanno ancora rinunciato alla speranza che il lago possa ritornare e che la vita di pesci ed animali, compresa la flora lacustre, possa riprendere in quell’ambiente come prima.

Molta gente, tutti i più giovani di sicuro, non hanno mai avuto l’occasione di apprezzare l’ambiente naturale del Lago, con il paesaggio circostante come era in origine. La maggior parte di quelli più anziani se lo sta ormai dimenticando. L’ex specchio d’acqua fa parte del territorio di Nago-Torbole, parte di quello di Mori. Tra naturalisti e ambientalisti alcuni, con una buona dose di ipocrisia, dicono che la zona umida attuale, classificata biotopo, non è meno apprezzabile del Lago. Coloro che per la giovane età non hanno avuto l’occasione di vedere il Lago nella sua integrità, anche solo dalle fotografie rimaste e dalle testimonianze, possono giudicare con obbiettività quale sia l’ambiente migliore:

Il Lago visto dalle pareti rocciose sopra il Passo S. Giovanni. Cartolina illustrata. In primo piano la Ferrovia Riva-ArcoMori-Rovereto Annuario 2012

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Il Lago visto da est (Loppio). Cartolina illustrata

La riva del Lago vista da sud est (Loppio). Pescatori

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quello prima o quello dopo il prosciugamento. A Loppio siamo di fronte ad un cattivo esempio di lavoro, con scarsa valutazione dei valori insiti nell’ambiente rispetto ad altri interessi, prioritari. Qui, come altre volte è accaduto nelle scelte per gli interventi sul territorio, sono prevalse le esigenze tecniche per realizzare una grande opera, senza prenderne in considerazione i risvolti negativi. Non sono state valutate le soluzioni tecniche per rimediare alle conseguenze dell’intervento sull’ambiente. Lo scopo dell’opera è molto importante: la difesa dalle alluvioni per Verona e oltre, ma non si valutò bene l’aspetto dell’impatto ambientale.

Ritorno dalla pesca

La barca Annuario 2012

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La sera. Attrezzi da pesca e anatre

Gita in barca

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LA NUOVA CULTURA DELL’AMBIENTE Oggi i danni all’ambiente non verrebbero più sottovalutati con indifferenza, da parte di operatori e di Enti che lavorano sul territorio. Certi modi di realizzare gli interventi ora non sarebbero più tollerati. Un lavoro una volta ritenuto “tecnicamente corretto” ora non lo è più se non tiene conto del fattore ambientale. Restituire l’ambiente naturale come in origine, in un lavoro sul territorio, è auspicabile e sempre possibile, pur senza comprometterne lo scopo. L’effetto di drenaggio delle acque di falda profonda che genera il Lago è stato provocato dalla perforazione della sottostante Galleria AdigeGarda, con prosciugamento quasi ininterrotto del Lago di Loppio. Tale effetto poteva e avrebbe dovuto essere preso in considerazione all’epoca della realizzazione dell’ opera. Sarebbe costato poco. Alle conseguenze non fu dato peso, nella convinzione o nella speranza, che il fenomeno si potesse attenuare da sé, fino a scomparire in

poco tempo, e che il livello naturale del Lago si potesse ristabilire spontaneamente. PROSPETTIVE Si può pensare di restituire a quell’ambiente l’elemento essenziale, cioè l’acqua e con essa la vita lacustre, o è preferibile lasciare passivamente che la natura si adegui al degrado provocato dall’Uomo? È realistico cercare di correggere l’errore e ritornare all’ambiente originale? È tecnicamente possibile e lecito pensare a recuperare un Lago morto più di 50 anni fa? Sono interrogativi stimolanti che meritano risposta. LA GALLERIA ADIGE-GARDA La costruzione della Galleria dall’Adige (Mori) al Lago di Garda (Torbole) si è svolta in due fasi successive. Iniziata nel 1939, fu sospesa durante la guerra nel 1943 e riprese poi nel 1954, per essere ultimata nel 1959. La Galleria, rettilinea, è lunga 9.875 m. La platea di base, ad arco ro-

Il Lago dall’emissario Rio Cameras (Loppio). Annuario 2012

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Galleria Adige Garda. Planimetria e profilo longitudinale

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dopo la guerra era di circa 6-7 m al giorno, con quattro turni giornalieri di 6 ore ciascuno. Il lavoro per il rivestimento in calcestruzzo delle pareti e della volta seguiva con la medesima velocità degli scavi. Data la conformazione del fondo del Lago di Loppio si rese necessario il suo preventivo drenaggio cautelativo contro lo svuotamento accidentale dell’acqua del bacino entro la galleria, che doveva essere scavata ad una profondità di circa 110 m sotto il Lago, ma con un ricoprimento in roccia, sopra la volta della galleria, di soli 25 m, in corrispondenza del Lago. Sezione galleria Adige - Garda con cunicolo per il drenaggio Fu quindi svuotato il Lago con le idrovore. vescio, misura una larghezza di 6,00 m. L’altezza Dopo il prosciugamento il Lago non si ricostimassima è di 7,80 m, la pendenza è di 87 cm tuì più, tranne che parzialmente in pochi anni per ogni 100 metri (0.87%). L’intera sezione eccezionalmente piovosi. è rivestita in calcestruzzo. Il ricoprimento in La Galleria fu collaudata nel 1960, messa in roccia è rilevante ovunque, tranne sotto il Lago funzione nel settembre 1965 e nel novembre di Loppio (vedi disegno). La galleria è in grado 1966 per piene nel fiume Adige. Fu aperta altre di portare fino a 500 metri cubi al secondo 9 volte dal 1966 ad oggi, con portate ridotte, per d’acqua, (che equivale alla portata media del verifiche, controlli di funzionamento e manuFiume Sarca). L’avanzamento del tratto costruito tenzione degli organi e delle opere di diversione

Zampilli dalla parete in calcestruzzo di rivestimento della galleria Adige - Garda in corrispondenza del bacino del Lago di Loppio Annuario 2012

Bocca di uscita nel Lago di Garda del cunicolo di drenaggio

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STORIA

dell’Adige a Mori. La causa del prosciugamento del Lago di Loppio è il drenaggio della Galleria Adige-Garda. L’effetto drenante della Galleria è constatabile visitandone l’interno. In corrispondenza del sedime del Lago di Loppio si verificano evidenti venute d’acqua che zampillano da alcuni piccoli fori nel calcestruzzo delle pareti e della volta, (vedi foto). È acqua che proviene dalla falda sotto il Lago di Loppio e che, dal ponte situato all’uscita della Galleria a Torbole, si vede scorrere sulla platea di base. Ma il grosso dell’acqua drenata, (da 600 a 1000 litri al secondo) è meno visibile. È l’acqua assorbita dalla Galleria, che si raccoglie nel cunicolo drenante situato sotto la platea di base ad arco rovescio del tunnel. (vedi sezione Galleria). È l’acqua, proveniente dalla falda sotto il Lago di Loppio, che penetra tra le fratture della roccia esistenti attorno al tunnel e trova nuovi percorsi tra il rivestimento in calcestruzzo della galleria e la roccia stessa.

Un cunicolo di drenaggio, situato sotto l’arco rovescio della platea di base, la raccoglie e la recapita nel Lago di Garda, con un vero e proprio torrente che sfocia a livello del Lago stesso, nella posizione a confine Sud tra il Circolo Vela Torbole e l’area demaniale delle opere di uscita della Galleria Adige-Garda. (vedi foto). Durante la costruzione del tunnel tra le maestranze morirono per infortuni sul lavoro 15 operai. I loro nomi sono ricordati, scritti in rilievo, sulla parete laterale dell’opera di uscita della Galleria a Torbole. PROGETTI PER IL LAGO La sensibilità per la tutela dell’ambiente ha stimolato amministratori, tecnici, associazioni culturali ed amanti della Natura a prendere in considerazione lo stato di questo lago effimero, per vedere se fosse possibile farlo rivivere. - Nel 1975 per ripristinarlo si propone di immettervi una parte della portata del Rio Gresta.

Crepuscolo. Riflesso nell’acqua e canneto

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STORIA

- Nel 1981 per un eventuale intervento sull’area del bacino di Loppio, si progetta di creare una serie di bacini e zone umide immettendo acqua dal Rio Gresta. Le sue acque dovevano servire a creare un’ampia palude profonda circa 50 cm, idonea ad esprimere una certa quantità di vita sia animale che vegetale. Le parti emerse, simili ad isole, avrebbero dovuto essere collegate da passerelle e tagliate da sentieri, così da favorire la visita dei punti caratteristici. - Nel 1988 è resa nota una soluzione improntata ad una intuizione sviluppata poi in un vero e proprio progetto organico, commissionato dalla PAT nel 1992. Per ritornare allo stato precedente allo scavo della galleria occorre impedire alle acque sotterranee profonde di allontanarsi seguendo il percorso più facile costituito da cavità, fessure e porosità attorno alle pareti della Galleria Adige-Garda, come succede dal 1959. Viene progettato di impiegare allo scopo due paratie in acciaio a tenuta stagna, una verso l’uscita di Torbole e l’altra verso l’imbocco di Mori della Galleria. Tali due paratie, sono collocate in zona di roccia compatta, una a 420 m dall’uscita di Torbole, l’altra a 200 m dall’ imbocco di Mori. Una terza paratia è posta sul cunicolo di drenaggio che corre sotto l’arco rovescio. Tale terza paratia, molto più piccola delle altre due, è manovrabile

dall’esterno dell’uscita di Torbole. In tale modo, a paratoie chiuse, le stesse acque di falda drenate, ora scaricate nel Lago di Garda a Torbole, salgono lentamente di livello entro il tunnel fino a riempirlo totalmente. Non trovando altra via d’uscita, crescono ancora fino a impregnare fessure, vuoti, cavità ed interstizi sotterranei. Si verrebbe così a ripristinare l’originaria situazione idrologica anche nella zona del Lago e quindi a ristabilirne il livello naturale. Si tratta, in sintesi, di mantenere normalmente piena d’acqua la Galleria Adige-Garda, anziché vuota. (È noto che il calcestruzzo immerso in acqua si conserva meglio che in aria aperta). La pressione massima che si stabilirà nella galleria, è dell’ordine di grandezza di quella che si instaura in un comune acquedotto ad uso potabile. Le paratie stagne sono costruite e collocate in opera previo adattamento della sezione del tunnel, incernierate alla base ed inclinate verso l’interno, in modo che la pressione stessa dell’acqua contro di esse ne garantisca la chiusura a tenuta. Quando l’acqua in galleria dovrà essere svuotata per la entrata in funzione della galleria, le paratie si aprirebbero per gravità (vedi schema paratie). Per spillare rapidamente ed in sicurezza l’acqua in pressione contenuta nella galleria, verrebbe utilizzato il cunicolo di scarico delle acque di drenaggio, adattato, dalla paratoia di Torbole

Schema paratie stagne e tubo in acciaio per lo svuotamento Annuario 2012

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STORIA

fino all’uscita, con tubo di acciaio di diametro calcolato e dotato di organi di comando, anche manuali, posti all’esterno del tunnel, a Torbole. Questo per garantire l’accessibilità alla paratoia principale, una volta svuotato il tunnel, allo scopo di poterla manovrare rapidamente in apertura anche manualmente, in caso di preallarme di piena nell’Adige. Normalmente le operazioni di chiusura e di apertura delle paratoie avvengono mediante martinetti oleodinamici manovrati dall’esterno a Torbole. Gli effetti collaterali insiti nel progetto potreb-

bero consistere nel parziale impaludamento della zona agricola ad Est del Lago di Loppio. L’emissario naturale Rio Cameras, inattivo da più di 54 anni e lasciato in abbandono, è in parte interrato ed invaso da vegetazione spontanea. È logico che si dovrebbe provvedere alle necessarie opere di bonifica agraria e di miglioramento fondiario in modo che l’acqua, sempre preziosa, anziché essere di danno possa essere utilmente impiegata ad uso agricolo. L’acqua che talvolta allaga qualche nuova cantina profonda in quel di Mori e di Nago non dipende dalla quota del

Soluzione GEODATA - RODIO APPALTO CONCORSO: PROGETTO 1° CLASSIFICATO - SEZIONE TIPO

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STORIA

Lago, ma dall’innalzamento della falda sia nella zona del Lago, sia nelle piane di Mori e di Nago. Perciò sarebbe sufficiente, a risolvere il problema, l’impermeabilizzazione di pavimento e pareti di quelle cantine. - Viene individuata anche una diversa soluzione, in alternativa al progetto con le paratie stagne. Si tratta di impermeabilizzare quel tratto di Galleria Adige-Garda che corre in orizzontale per una lunghezza di circa 400 m sotto il Lago. I materiali impermeabilizzanti da iniettare, per uno sviluppo di 600 m, nelle fessure, nei vuoti ed interstizi delle rocce attorno alla galleria consistono in resine e cementi speciali a rapida espansione e ad elevata resistenza. Anche questa soluzione costringe l’acqua, che prima era assorbita dalla Galleria, a riempire vuoti, cavità e fessure, ed a innalzare la falda, ottenendo in questo altro modo il ripristino del Lago. - Nel 1989 viene promosso dalla PAT un corso internazionale di progettazione ambientale a livello universitario. I risultati emersi, in estrema sintesi, propongono il mantenimento dello stato esistente, con interventi di miglioramento ambientale, lifting ed abbellimento dell’area, con arredo ed infrastrutture per la visita. Non viene preso in considerazione il ripristino del Lago al livello naturale. - Nel 2000 vi fu il passaggio delle competenze per la Galleria Adige-Garda dallo Stato alla PAT (Servizio Opere Idrauliche). Nel 2001 lo Stato concesse un finanziamento di Lire 14.250.000.000 per i lavori di risanamento della Galleria, con il vincolo che il progetto dovesse contenere sia gli aspetti strutturali della Galleria, sia gli aspetti ambientali (il Lago di Loppio). -Nel maggio 2003 viene esperita dalla PAT una gara di appalto-concorso finalizzato alla progettazione dei lavori di impermeabilizzazione e di interventi strutturali nella galleria Adige-Garda per la tratta al di sotto del Lago di Loppio. Il progetto primo classificato è quello dell’Impresa RODIO S.p.A. specializzata in gallerie e grandi opere nel sottosuolo. Il progetto esecutivo Annuario 2012

consiste in una soluzione innovativa per il risanamento idraulico e strutturale della tratta di galleria situata sotto il Lago di Loppio, e viene approvato dal Comitato Tecnico Amministrativo della PAT. La soluzione prevede il trattamento di due anelli di roccia intorno alla galleria. Un primo anello, di spessore pari a 3 m di roccia rinforzata con micropali; un secondo anello, dello spessore pari a 4 m, di roccia consolidata mediante iniezioni con miscele consolidanti ed impermeabilizzanti (vedi disegno). La corona circolare esterna permette di isolare idraulicamente la zona limitrofa alla galleria. La corona circolare interna ha lo scopo di rinforzo strutturale. Allo scopo di inibire anche gli eventuali flussi idraulici diretti longitudinalmente all’asse della galleria all’interno della fascia consolidata drenante, il sistema prevede altresì due schermi (di spessore pari a 6 m) realizzati alle due estremità della zona trattata, mediante iniezioni di miscela impermeabile. L’estensione radiale prevista per i due schermi è pari a 7 m a partire dall’estradosso del rivestimento in modo da evitare infiltrazioni d’acqua nella zona trattata. Sono previste le applicazioni della sezione tipo descritta per circa 1.000 m sotto il sedime del lago (vedi disegno schematico sezione). Il progetto rimane sulla carta e si pensa di indagare nuove soluzioni progettuali. I PROGETTI IN CORSO DI ESECUZIONE Nel 2005 vengono predisposti dalla PAT due distinti progetti di intervento, da realizzare l’uno in successione all’altro. - Il primo progetto PAT, per un importo di € 13.200.000 prevede interventi strutturali e-o di impermeabilizzazione all’interno della Galleria Adige-Garda nelle tratte degradate e sotto il Lago di Loppio, con lavori mirati anche al recupero del Lago. - Il secondo progetto PAT, approvato nel 2007 ed in corso di esecuzione, prevede interventi 173


STORIA

Planimetria del Lago con galleria Adige - Garda in profondità e grande galleria di captazione superficiale di cui al 2° progetto PAT. Dimensione sezione 3,60 m x 4,50 m lunghezza 875 m

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STORIA

Progetto n. 2 PAT. Sezione galleria di captazione a livello del Lago di Loppio. Portata presunta: 20-25 litri al secondo (Fonte: PAT)

ambientali sul Lago di Loppio, ed è articolato in due lotti. In un 1° lotto, per un importo di € 2.700.000, in sintesi, è progettata la realizzazione di una grande e lunga galleria di captazione. In un 2° lotto, per un importo di € 1.750.000, sono previsti interventi di riqualificazione ambientale dei luoghi, con arredi costituiti da parcheggio, aree verdi, sentieristica, passerelle, punti di osservazione. La tempistica dei due distinti progetti PAT si sarebbe dovuta estendere tra il 2006 e il 2010. Nel 2007 la PAT promuove per primo, il progetto n. 2 di riqualificazione ambientale del Lago, procedendo cioè a ritroso. Il progetto n. 2. Infatti la riqualificazione del Lago dipende anzitutto dai risultati degli interventi strutturali e di impermeabilizzazione della Galleria Adige-Garda nella tratta sotto il Lago, di cui al progetto n. 1. Con il 1° lotto del progetto n. 2 PAT, in sintesi si prevede di captare acqua dal versante roccioso Sud della montagna con una galleria di capAnnuario 2012

tazione di grandi dimensioni, che si addentra in orizzontale perpendicolarmente alla Strada Statale n.240, e di versarla nell’alveo del Lago. L’obiettivo è di ottenere un minimo livello d’acqua nel Lago. (Ma è come versare acqua in un colabrodo pieno a tre quarti di sabbia, lasciato all’aperto. La superficie rimane all’asciutto, a meno che non vi sia un’alluvione. Se si vuole che il livello cresca, invece di aumentare l’acqua che vi si versa, è molto meglio chiudere i buchi). La grande galleria di captazione, lunghezza 875 m, larghezza 3,60 m, altezza 4,50 m, (cioè praticabile agevolmente anche da mezzi del massimo ingombro), è con leggera pendenza verso il Lago di Loppio. “Si stima che la portata necessaria per mantenere in equilibrio il Lago sia dell’ordine di 20 - 25 litri al secondo, quantitativo che la galleria drenante mediamente dovrebbe senz’altro fornire”. (dalla relazione di progetto). Nel settembre 2009 il 1° lotto del progetto n. 2 PAT per lo scavo in roccia della grande galleria di captazione, viene appaltato all’impresa COSBAU S.p.A. Finalmente si mettono in moto i lavori. Il Gruppo ambientalista di Mori, Associazione culturale “Amanti della Natura per il ripristino del Lago di Loppio”, con i suoi consulenti, si chiede come mai non si sia per prima cosa pensato ad impermeabilizzare la Galleria AdigeGarda nel tratto sotto il Lago di Loppio, come era previsto nel primo progetto PAT. Inoltre constata, con comprensibili amarezza e disappunto tali da lasciare sconcertati e disorientati, che il progetto appaltato è fondato su presupposti palesemente erronei. Viene rilevato che la portata d’acqua necessaria per mantenere in equilibrio il Lago, anche qualora fossero accettabili le più che discutibili impostazioni ed ipotesi del progetto n. 2 PAT, è di 15 volte maggiore (sic) e cioè di circa 300 litri al secondo, (che è dell’ordine di grandezza della portata misurata nel cunicolo di drenaggio situato sotto la Galleria Adige-Garda). Viene accertato altresì che il volume d’acqua che in un anno si disperde al di sotto del fondo del 175


STORIA

galleria di captazione sotto la S.S. n°240 di Loppio e Val di Ledro, (circa 20 metri) a lato del Lago, l’impresa COSBAU fallisce. Nel 2010 le subentra l’Impresa CARRON S.p.A. - Nel settembre 2011 la PAT delibera di adottare una variante proposta dall’Impresa CAR RON, che modifica sostanzialmente il progetto n. 2 PAT della grande galleria di captazione, decidendo di non proseguirla oltre i 20 metri di galleria artificiale già costruiti dalla COSBAU sotto la Strada Statale. Al suo posto si progetta di far eseguire, a partire dal fronte in roccia della galleria artificiale, 4 perforazioni di piccolo diametro, (20cm), due lunghe 200 m, una 500 m, una 570 m, nella speranza che Variante al progetto n. 2° PAT 1° lotto: n. 4 perforazioni di diametro 20 cm in luogo della forse possano capgrande galleria di captazione (m 3,60 x 4,50 L = 875) n. 2 fori L=200 m; n. 1 L=500 m; n. tare l’acqua neces1 L=570 m saria a mantenere in equilibrio un miniLago di Loppio risulta ben 500 volte maggiore mo livello d’acqua nel Lago. I lavori verranno (sic) di quello calcolato nel progetto n. 2 PAT. subappaltati dalla CARRON ad una impresa Quindi il progetto n. 2 PAT non sta in piedi. specializzata. Finito l’iter burocratico, il primo Ne vengono informati il gruppo di progettazione lotto dovrebbe terminare entro la fine di luglio ed il D.L. 2012. Alla fine marzo 2012, i lavori non sono Intanto, dopo aver realizzato il primo tratto della ancora iniziati. 176

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STORIA

Curiosa inquadratura del Lago vista dal Passo S. Giovanni (archivio ing. Conci)

Il treno ed il Lago dal Passo di S. Giovanni (archivio ing. Conci) Annuario 2012

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STORIA

CONCLUSIONI Il Lago si può recuperare. Il Gruppo “Amanti della Natura per il ripristino del Lago di Loppio” e quanti hanno a cuore quell’ambiente auspicano un recupero del Lago con il livello naturale dell’acqua, cioè 220 m s.l.m., non solamente 217-218 m s.l.m. come previsto dal 1° lotto del progetto n. 2 PAT. Con tale misero livello medio del progetto n. 2 PAT l’acqua nel Lago rimarrebbe in media alta solo un metro dal fondo, cioè si otterrebbe, nella migliore delle ipotesi una bassa palude. Sempre che le ipotesi di partenza di tale progetto PAT n°2, primo lotto, siano attendibili, sul che, come già detto, si nutrono dubbi più che fondati. Si vorrebbe che i luoghi fossero veramente valorizzati, ripristinando l’ambiente a cominciare dal livello naturale del lago, senza l’ ipocrita giustificazione che, trattandosi di un biotopo, questo non sia lecito. Si dovrebbe, per prima cosa cercare di eliminare le cause che hanno fatto prosciugare il Lago, non tentare di tamponarne gli effetti. Per ottenere risultati concreti sembra

logico cioè iniziare ad intervenire da sotto, dalla galleria Adige-Garda, che assorbe l’acqua della falda del Lago, non di immettere altra acqua dal di sopra. Si tratterebbe cioè di dare attuazione al più presto al primo progetto PAT. Gli obiettivi dovrebbero essere di alto livello, in tutti i sensi, a cominciare da quello del Lago. Per i lavori dovrebbe trattarsi non di misere onoranze ad un Lago morto 54 anni fa, ma di un intervento che gli dia la vita. I metodi ci sono. I costi sono stati preventivati. Se c’è la volontà, quanto a fattibilità si può. Aprile 2012 Nota. Per l’ idea paratie sulla Galleria AdigeGarda vedasi “Natura alpina”, Rivista della Società di Scienze Naturali del Trentino e del Museo Tridentino di Scienze Naturali. Vol. 39 n. 3-4. 1988 e progetto dd. Agosto 1992. Per il progetto Rodio-Geodata vedasi “Gallerie e grandi opere sotterranee” Organo ufficiale della Società Italiana Gallerie. n.89 Marzo 2009. Pàtron editore. Bologna.

Progetto n. 1 PAT. Sezione galleria Adige - Garda con opere strutturali e/o di impermeabilizzazione galleria in corrispondenza del Lago di Loppio (fonte PAT)

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DAL MONDO

Samarcanda: un sogno, una meta di Danilo Angeli Sono passati ormai più di tre anni ma, come non posso dimenticare il mio vagabondare per il mondo zaino in spalla, non ho scordato il mio tour, in compagnia di mia moglie, a bordo di un mini camper Volkswagen. La meta era Samarcanda, all’estremo Sud-Est dell’Uzbekistan, posta a ridosso del confine con il Tajikistan e a pochi chilometri con l’Afghanistan e il Turkmenistan. Il nome Samarcanda fa correre la mente e la fantasia verso una Storia a noi lontana e sconosciuta, imperi immensi, la Via della Seta, il mistero. In occidente, poeti e drammaturghi l’hanno cantata e resa immortale, suscitando in me quel desiderio che non potevo reprimere: vederla, respirarne l’aria che porta in sé la Storia, vedere la sua gente e vivere con essa. Una canzone di Vecchioni, parole riprese pari pari da una favola nata dalla saggezza orientale, mi ha dato l’ultima spinta, forse la più importante, perché racchiude in sé l’unica, ineluttabile, certezza della vita. Il dodici giugno si parte: risalita l’Austria e attraversata l’Ungheria - con una tappa a BudaPest per il pernottamento - dopo due giorni e 1780 km giungiamo a L’VIV (Leopoli) in Ucraina. Non c’è il tempo per visitare la città e la regione circostante, la Galizia, dove tra il 1914/1915 combatterono, e in molti mo-

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rirono, i nostri Padri, indossando la divisa austroungarica. Dobbiamo proseguire: Kiev, la capitale con i suoi quattro milioni di abitanti, ci aspetta, adagiata sulle rive del fiume Dnepr. Città madre della Russia, nell’anno mille o giù di lì fu la capitale del principale stato Variago/ slavo orientale, noto come Rus’ di Kiev; da qui partì l’offensiva che liberò Mosca (a quel tempo piccolo villaggio) dal giogo mongolo, fondando quella che sarà sede degli Zar e la capitale di un impero. Visitando la città resti attonito dall’oro che ricopre le cupole a cipolla, luccicanti al sole, delle chiese ortodosse e ti chiedi come sia possibile che questo popolo, come quello russo che conosco bene, dopo quasi cent’anni di dittatura comunista che negava Dio, possa ritornare ad Esso con tanta fede. Io penso che Dio sia nell’Universo e nell’Uomo, e quando è soppresso con la forza o con l’inganno dorme come brace sotto la cenere per divampare poi in fuoco ardente. Lasciata Kiev e l’Ucraina si entra in Russia raggiungendo Nikolajewka e la città di Rossos dopo 1300 km. Una lunga tappa è di dovere, perché qui i nostri Alpini, a 3600 km dalla loro terra, affrontarono il Generale Inverno e l’Armata Rossa; da questa pianura, da queste basse colline retrocedettero lasciando sul campo

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morti e prigionieri, e solo in pochi tornarono alle loro case. Il Prof. Morosov, l’Amico degli Alpini, ci accompagna a visitare il piccolo museo posto nel sottosuolo della scuola per l’infanzia che gli Alpini italiani hanno costruito e donato alla città. Poche stanze che racchiudono cimeli, scritti e ricordi di un momento folle che ha visto uomo contro uomo battersi in una guerra assurda. Vaghiamo per i dintorni, fino ad un piccolo villaggio ai piedi della collina che, sulle carte militari, era denominata: “Quota pisello” (forse per il verde che domina il paesaggio). Quello era il punto di non ritorno, le truppe alpine di retroguardia resistettero permettendo a pochi di tornare a casa. Saliamo, e sulla cima un grande monumento ricorda i morti dell’Armata Rossa caduti per la sua conquista. È in quel povero villaggio che un bambino, percependo dalla targa dell’auto la mia nazionalità italiana, mi si avvicina con uno sguardo triste, stringendo per i lacci fatti di spago un paio di scarponi alpini, chiodati forse con i chiodi forgiati a Pre in Val di Ledro. Non parla, mi guarda e me li porge; io non capisco ma li prendo e gli lascio venti dollari di mancia. Corre via, il suo sguardo non muta, si riporta appresso la sua tristezza. Me ne sto chiuso in camper mangiando a secco le poche cose con mia moglie quando, dal finestrino, vedo arrancare trascinandosi appresso la gamba destra paralizzata, forse ferita in quella lontana guerra, un vecchio senza età. Reca in mano un coperchio di gamella: il suo interno

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di colore minio mi dice l’uso che se ne è fatto. Girata per il dritto reca un nome inciso, forse, con la punta di una baionetta: “S.Ten. Ghidoli I Comp.”. la porge senza una parola e se ne va zoppicando com’era venuto. Non c’era odio nei suoi occhi, non c’era dolore. Solo tristezza. O forse indifferenza alla vita che scorre come il placido Don che a pochi metri silenzioso andava. Volevo lasciare al Gruppo Alpini quei due cimeli, ma ho preferito donarli al Museo di Rovereto, sperando vadano ad allestire una sala nel reparto II Guerra Mondiale, se la P.A.T. finanzierà il proseguo del progetto. Il tempo scorre veloce: lasciamo la piana del Don raggiungendo Stalingrado (ora Volgograd), dove compiamo una rapida visita al monumento che ricorda la Battaglia, alle vestigia di quel che è stato il Comando delle forze tedesche, demolito dalla mitraglia e conservato a perenne ricordo di quella nefasta guerra, ma anche del valore, dell’eroismo di chi l’ha combattuta. Quattrocentoottanta chilometri ci separano

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dalla frontiera con il Kazakhistan, li superiamo in un giorno nonostante le fermate obbligate da poliziotti che arrotondano il magro salario soprassedendo ad infrazioni fasulle, previo obolo in denaro o bottiglie a basso o alto tasso alcolico - non si va per il sottile. Superare la frontiera russa non sarà da meno. Il Kazakhistan: sedici milioni di abitanti su un territorio nove volte più grande dell’Italia. Sei abitanti per Kmq. Noi percorriamo solo ottocento chilometri entro i suoi confini. Dopo le strade bianche nel desertico altipiano di Ustyurt, superiamo il fiume Ural che, proveniente dai monti Urali, si getta nel mar Caspio dopo 2428 km, segnando per buona parte il confine convenzionale tra Europa e Asia ed entriamo nello sconfinato deserto del Kizilkum che si estende per qualche migliaio di chilometri dal Kazakhistan all’Uzbekistan. Il deserto sarà per giorni il nostro habitat naturale. Superata la frontiera Kazakho-Uzbeka si continua per quel deserto infinito, un suolo arido ma ricco di oro,

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uranio, alluminio, rame, argento, petrolio e gas, ricchezze che aspettano di essere sfruttate. Per ora vi è solo qualche pozzo petrolifero in villaggi dai tetti di lamiera. Lasciate le strade sconnesse dell’Ucraina e quelle russe in buono stato (almeno quelle da noi percorse) affrontiamo ora strade bianche inghiaiate dove il transito degli autocarri cisterna ha reso il manto ondulato, sinusoidale, e la sinusoide continua per chilometri e chilometri con un passo di 15/20 cm e una ampiezza di 7/10 cm, abbracciando tutta la larghezza della strada. Inutile passare da destra a sinistra, cammini sempre in cresta all’onda. Procedendo adagio, 10/20 km/h, avanzi piano bestemmiando ma eviti molti danni; se raggiungi i 40 km/h senti la macchina che ti scoppia sotto il sedere e deceleri tornando alla bassa velocità o acceleri incazzato, tutto teso, senza il tempo per maledire nessuno e passi a 70/80 km/h. Corri sfiorando la cresta dell’onda, aumenta la frequenza delle vibrazioni ma cala di molto l’intensità, ti credi a cavallo fintanto che senti qualche vite cadere, il frigo che esce dalla sua sede, la centralina dare i numeri o una gomma scoppiare. Le piste nella sabbia non sono tanto meglio: per non toccare sotto cammini con due ruote nel solco e due sul dosso stando attento a non ribaltare il mezzo e confidando di non rimanere insabbiato. Sono passati ormai tre anni, e, forse, molte di quelle strade oggi saranno rivestite d’asfalto, come nastri neri che solcano un deserto da sfruttare. A tratti si costeggia un fiume. È strano, quasi

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irreale, vedere questa massa d’acqua grigia scorrere lenta fra un mare di sabbia. Non un filo d’erba né un albero, solo qualche arbusto rinsecchito: è l’Amurdar’ja. Quell’acqua scende dalle montagne del Pamir in Afghanistan, segna il confine con Tagikistan e Uzbekistan prima di entrare in Turkmenistan, ritorna a ridisegnare il confine con l’Uzbekistan che, ad un certo punto, attraversa, per andare poi a morire nel deserto che lo beve. In un lontano passato raggiungeva, alimentandolo, il Mare di Aral. La follia dell’uomo e il suo malsano egoismo sfrenato ne hanno rubato le acque, scavando un canale (uno fra i tanti) di 1375 km che, attraversato il deserto del Karakum (che da il nome al canale) raggiunge il mar Caspio. L’impero sovietico aveva bisogno di cotone, tanto cotone: perché grande era la boria di un mondo che si rapportava con sfida, all’odiato occidente. L’acqua c’era. Ce n’era tanta di acqua, ma serviva a mantenere un ecosistema delicato ed importante per l’Asia centrale. L’ottusità

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dell’uomo riuscì a distruggerlo, dando vita a quello che sarebbe stato il più immane disastro ecologico che la storiografia ricordi. Ancora agli inizi degli anni trenta il Mare d’Aral veniva indicato come il quarto bacino chiuso d’acqua salata del mondo; sulle sue rive sorgevano città, le sue acque ricche di pesce alimentavano un’industria ittica che dava lavoro e sostentamento a migliaia di persone; c’era un clima temperato, una vegetazione rigogliosa. Tutto questo ora non c’è più: il mare si è ridotto a due misere pozzanghere, e i paesi, con l’abbandono degli abitanti, si ritrovano ora ad essere villaggi persi in quel che oggi è il deserto d’Aral-Karakum. La città di Muyanak nel 1970 era un porto importante con 35.000 abitanti, oggi gli abitanti sono meno della metà e si ritrova in mezzo al deserto a cento chilometri dalla poca acqua rimasta, mentre i pescherecci in secca spuntano come spettri fra le dune. Come se non bastasse, per ampliare questo disastro portandolo oltre l’immaginazione umana, l’Armata Rossa stabilì i laboratori di ricerca per le armi chimiche e batteriologiche sull’isola di Vozrozhdenie (ironia della sorte, quel nome in russo significa “Rinascita”), situata nel cuore di quel mare e non indicata sulle carte geografiche e che ora, mancata l’acqua, è diventata penisola. Fino ai primi anni novanta centinaia di scienziati sovietici si alternavano sull’isola per studiare e testare queste armi capaci di produrre vaiolo, brucellosi, febbre di Queensland, sviluppando batteri che provocavano

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terribili malattie resistenti agli antibiotici e altro ancora. Tutto questo è in abbandono, l’isola è off-limits, i laboratori, le case, gli hangar stanno crollando sotto l’incuria del tempo, macchine e mezzi militari giacciono arrugginiti su un terreno incolto, ma quello che ancora fa paura, nonostante si dica che in buona parte sia stato bonificato, sono le centinaia di fusti di antrace sepolti sotto quel suolo, che inquinano acqua, terra e aria. Ma lasciamo la tristezza della recente Storia per continuare il nostro viaggio verso le tre città agognate che ci aspettano. Ancora strade sconnesse, piste sabbiose, i pochi villaggi che si incontrano sono oasi che spuntano dal nulla per sparire poco dopo. Sul percorso i servizi igienici si contano sul palmo di una mano e quei pochi, ad essere parziali, lasciano a desiderare. Solo la natura ti è vicina con qualche cespuglio rinsecchito fra le dune e poi, una bottiglietta d’acqua minerale basta per un bidè. Abbiamo percorso ormai 5750 km, molti di questi attraverso il deserto quando, oltre l’asperità dell’arido suolo appaiono, in distanza, le massicce mura della città di Khiva. I quattro punti cardinali segnano i quattro ingressi. Quattro piste, quattro porte per entrare nella Storia. Fuori le mura poche pecore brucano qualche stelo che sbuca tra i sassi, bambini giocano con un pallone di stracci. Varcata a piedi la porta Nord entriamo in questa città museo portandoci appresso i colori del

deserto. Qui tutto è color ocra: le case, i palazzi, il selciato delle strade e delle piazze. È un ocra sbiadito di mattoni cotti al sole, impastati con argilla e sabbia del deserto. In questo colore omogeneo, quasi monotono, svettano minareti rivestiti di piastrelle turchesi, le stesse che colorano le grandi facciate di madrese e moschee. È una città antica: la leggenda dice sia stata fondata da Sem figlio di Mosè. Il centro storico è integro, così ben conservato che la sua vitalità è quasi scomparsa, ed è come entrare in un museo e solo con la fantasia puoi andare a rivivere l’atmosfera misteriosa e caotica della vita passata. Il minareto Kalta-Minor, iniziato e mai finito da Amin Kan, doveva diventare il più alto dell’Islam, tanto alto da poter spaziare lo sguardo fino a vedere Bukara, 450 km più in là. C’è moltissimo da vedere: la moschea di Juma, il cui tetto è retto da 218 colonne di legno - le più antiche delle quali risalgono al decimo secolo, le sedici imponenti madrese, il mercato degli schiavi - rimasto attivo fino ai primi del novecento, la fortezza Kuhna-Ark che fu residenza dei sovrani di Khiva. Due giorni immersi nella sua Storia non sono sufficienti ma devono bastare; si riprende il cammino, un’altra tappa importante ci attende. Bukhara, la città sacra dell’Asia Centrale, con il suo centro storico tuttora abitato, non è cambiata molto nel corso degli ultimi due secoli. Madrese e moschee si susseguono, le piastrelle turchesi rivestono le cupole sferiche che si stagliano risaltando sul tenue azzurro del cielo sfocato dalla calura estiva, alte colonne tornite e scolpite nel legno del Pamir a reggere plafond stupendamente decorati con mille colori e poi tappeti e ancora tappeti, grandi e piccoli, pendono in bella mostra dalle facciate delle case dove mani abili di ragazzine, nodo dopo nodo, creano sulla trama quel disegno multicolore che recano in grembo. Lasciata l’oasi di Bukhara, ci fermiamo per una breve tappa a Shakrisabz, città natale di Amir

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Tamur conosciuto con il nome di Tamerlano (1336-1405), sovrano turco dell’Asia Centrale che, portata la capitale a Samarcanda, si espanse conquistando la Persia, l’Irak, l’Armenia, la Georgia, l’Anatolia e parte di Siria e India. In questa piccola città, dalle poche ma significative rovine, si può immaginare la maestosità del suo palazzo: solo una parte del portale d’ingresso rimasto in piedi è alto quaranta metri, ancora ricoperto di splendidi mosaici ceramici simili a filigrana. Dopo tanto deserto affrontiamo le verdi colline sulle quali, a 710 m d’altezza, è situata la bella città che mi aspetta da tanto tempo, il mio sogno: Non viaggiamo solo per il commercio, Da venti più caldi sono infiammati i nostri cuori ardenti Per la bramosia di conoscere ciò che non dovrebbe essere conosciuto Percorriamo la Strada Dorata che porta a Samarcanda (versi del poeta James Elroy Flecker) Samarcanda, fondata nel quinto secolo a.C., conquistata da Alessandro Magno (il Macedone) nel 329 a.C., il quale entrandovi ebbe a dire:” Tutto quello che ho visto e ho udito di Marakanda (il suo nome di allora) è vero, tranne il fatto che

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è più bella di quanto immaginassi”. Anche le donne sono molto belle e Alessandro se ne sposò una, figlia di un capo tribù. Punto cruciale sull’antica Via della Seta, crocevia per Cina, India e Persia, Samarcanda fu distrutta da Gengis Khan nel 1220, ricostruita e fatta capitale dell’impero dal Tamerlano nel 1370, distrutta da terremoti e disabitata per decenni, la sua rinascita arrivò con i russi dal 1868. Fu poi capitale dell’Uzbekistan fino al 1924, ruolo che perse sei anni più tardi a favore di Tashkent, l’attuale capitale. Non è facile per me descrivere questa città dando un’idea, se pur approssimata, delle maestosità che si incontrano. Solo lo sguardo stupito di chi percorre le sue vie, le piazze, i mercati permette di fissare nella mente cose che è difficile riproporre a parole. Il Regista - complesso di maestose e imponenti medresa, una profusione quasi esagerata di maioliche, mosaici azzurri e vasti spazi armoniosi - è il principale monumento della città, e uno dei luoghi più straordinari di tutta l’Asia Centrale. La moschea di Bibi Khanym un tempo era tra le moschee più grandi e belle del mondo islamico, e il solo ingresso principale era alto 35 m, ora ridotto dagli eventi sismici che hanno colpito l’area. Ultimata poco prima della morte del Tamerlano, fu certamente un gioiello del suo impero. Dalle sue mura trasuda una leggenda che parla

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della moglie bellissima del re, di un architetto innamorato, del bacio che gli costò la vita, del velo che coprì la donna e con lei tutte le donne dell’Islam che con il loro fascino rappresentavano e rappresentano una tentazione per gli uomini. Il Shah-Zinda (Tomba del Re vivente) è il luogo più suggestivo di Samarcanda. Si tratta di un viale di tombe, ma come si possono chiamare tombe o cappelle costruzioni imponenti, alte decine di metri rivestite di piastrelle in maiolica smaltate? La tomba più bella risale al 1372, è il Mausoleo di Shadi Mulk Aka dove riposa una delle mogli del Tamerlano. Nel Mausoleo di Guri Amir (1404), che si nota per la sua caratteristica cupola azzurra scanalata, è sepolto il Tamerlano, e una lapide dalle dimensioni di un sarcofago, formata da un unico blocco di giada verde, lo ricorda. Altre lapidi sono presenti, ma tutte rimandano a cripte vere e proprie che si trovano nei sotterranei. Ogni lapide è una storia o leggenda che andrebbe raccontata, io lascio in sospeso il tutto, suscitando nel lettore la voglia di andarci. Un aereo parte settimanalmente per Tashkent e sette giorni bastano per il tour che tocca le tre città, per farsi una piccola idea dell’inimmaginabile e tornarsene a casa. Anche noi ritorniamo verso casa, con breve sosta a Nurata per calpestare la Storia salendo l’antica fortezza di Alessandro Magno che domina la città come un gigantesco castello di sabbia. Poi, nuovamente deserto, su nuove piste, ma sempre

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deserto. Rientrati in Russia passiamo per Astrakan, una visita veloce al Cremlino e poi via per far tappa nella Repubblica Autonoma di Calmicchia. Questa repubblica, all’interno della federazione Russa ed integrata in essa, è l’unico territorio europeo nel quale la popolazione professa la religione buddista. I calmucchi, popolazione di origine mongola insediata in quest’area fino dal sedicesimo secolo, si assoggettarono prima agli Zar che li accolsero, e successivamente ai sovietici. La parentesi staliniana li vide deportati in massa in Siberia per aver combattuto a fianco dei tedeschi nella seconda guerra mondiale, ciononostante hanno saputo creare in Europa un angolo di mondo che ti rimanda all’oriente. Sulla bassa collina artificiale, non una chiesa ortodossa dalle cupole a cipolla, né una cattedrale più comune ai nostri occhi, ma una maestosa pagoda domina Elista, la capitale di questa piccola repubblica, all’interno della quale si erge un grande Budda dorato, attorniato da molti fedeli in adorazione a capo chino e mani giunte. Per la città, altre piccole pagode aperte invitano la gente alla preghiera: uomini e donne, volti mongoli, occhi a mandorla, salutano con un inchino, rispettosi e sorridenti. È tempo di tornare, a casa ci aspettano. Si riprende il cammino a ritroso, risaliamo il sud della Russia, riattraversiamo l’Ucraina, l’Ungheria e l’Austria per riabbracciare, dopo quaranta giorni, i nostri nipotini.

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Patagonia y hierba mate di Carlo Zanoni “Gh’è pam per i to denti”. La famosa frase del compianto Cesarino Fava nella sua stringatezza ed essenza contiene un indeclinabile invito. L’invito ad andare in quei luoghi lontani sconosciuti ed inospitali, alla scoperta di quelle pareti tanto affascinanti quanto impossibili. Anche per me, molto sommessamente semplice appassionato senza pretesa di voler né poter essere definito alpinista, ad ascoltarla trasmette lo stesso indeclinabile invito. Un viaggio in Patagonia, terra saldamente ancorata nel mistero del fascino, non può certo mancare nella lista dei sogni. C’è sicuramente pane per i miei denti: in fondo la sola idea di addentrarsi per qualche sentiero con la speranza di avere la fortuna di trovarsi a tu per tu con quelle montagne e le loro pareti genera eccitazione e frenesia. In fondo si tratta ancora una volta di entrare in trattativa con un mito. Patagonia vuol dire spazi senza fine, natura selvaggia, perfette candele in granito, ghiacciai apocalittici, capricci del tempo e vento, tanto vento. Ora, col senno del poi, posso certamente sposare la diffusa opinione più volte letta sulle guide e sui resoconti di viaggio, secondo cui la costruzione dell’aeroporto di El Calafate, l’asfaltatura ormai di quasi tutte le strade, la diffusione di alberghi, pensioni, ristoranti anche a El Chalten che non è più il minuscolo agglomerato di case che si narrava sino a qualche anno fa, sono tutti inconfutabili elementi che hanno sicuramente tolto quell’aurea di irraggiungibilità che fino a qualche anno fa era peculiare di quei vastissimi spazi pianeggianti. Fino a non molto tempo fa già l’andare per la Patagonia era un’avventura. Erano necessarie giornate per spostarsi da un centro all’altro su traballanti piste sterrate. Ora tutto è più comodo, veloce, moderno. Si atterra comodamente con un jet a El Calafate, basta in meno di un’ora per arrivare alla “PassaAnnuario 2012

rela” al Perito Moreno, un paio d’ore per raggiungere El Chalten e con altre due, tranquillamente anche in pedula bassa, il Mirador Torre. E il gioco è fatto. No, non è così che mi piace. C’è voluto un un pizzico di fantasia e un po’ di fortuna ed è stato così possibile assaporare il soffio di una natura comunque sovrana e avvicinarsi ai miti che quelle montagne severe e capricciose conservano. In fondo, il turismo di massa che ha esteso i suoi tentacoli anche fin là, non si spinge oltre il consueto. Al viaggiatore basta spingersi un poco più in là...È così che dopo la prima parte del viaggio dedicata alle meraviglie faunistiche della penisola di Valdes, anche noi raggiungiamo El Chalten. Illusi dal sole che splendeva a El Calafate non ci demoralizziamo per la pioggia che il vento spinge con smisurata forza sui nostri indumenti, mentre andiamo alla ricerca del “Patagonicus”. È arredato con gusto questo locale gestito dalla figlia di Cesarino e alle pareti fanno bella mostra di sé le foto che illustrano l’epopea delle spedizioni del padre al Cerro Torre. Ci preoccupano invece un po’ di più la notizia che il Cerro è da giorni che non si fa vedere e che i prossimi giorni non saranno all’insegna di tempo buono. Il giorno dopo ci vede impegnati in una mesta bellissima escursione alla Piedra del Fraile. In-

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contriamo pochissima gente. Il cielo cupo plumbeo spegne ogni illusione. Chissà che forma hanno le pareti e le montagne tutt’intorno a noi. Per questa volta rimarrà un mistero. L’indomani sulle prime ci riempie di speranza: sopra le nostre teste un incredibile cielo azzurro brutalmente interrotto da una linea retta che divide il cielo in due: al di qua appunto un azzurro terso turchese, oltre la linea il nulla gelosamente celato nella nebbia candida e fitta. Inamovibile. Carichi degli zaini e delle nostre migliori intenzioni saliamo lenti lungo il sentiero che risale la balza della valle. Siamo fra i pochi che ancora viaggiano carichi in quei luoghi. La maggior parte dei turisti cammina leggera in pedule e zainetto e compie l’escursione in giornata per rientrare al comodo in paese la sera. Un po’ in controtendenza, seguendo l’assunto di un grande alpinista secondo cui, per entrare in sintonia con la montagna bisogna dormirci dentro - e questo anche se, per bravura o velocità, avessimo tempo sufficiente per rientrare - questa sera dormiremo al

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campamento Poincenot. È una grande ricchezza non dover andare di fretta, ci gustiamo Laguna Capri lungo il percorso e montiamo le tende al campamento al riparo dei grandi alberi di lenga. La linea di confine che taglia l’orizzonte però non si smuove. Si diverte a giocare con la nostra voglia di ammirare. Di tanto in tanto le nebbie si diradano e si sollevano un po’, quel tanto che basta per lasciar intravvedere qualche spezzone del loro granito rosa, un po’ come si fa nei film quando per seduzione si fa sollevare alle donne la gonna. Ma l’illusione è sempre effimera e il mistero torna a calare. Laguna Los Tres, il balcone sul Fitz Roy, ci accoglie addirittura con una violenta bufera di vento e neve. Un quarto d’ora di ferro e fuoco e in discesa attraversiamo un paesaggio ammantato di lenga imbiancati. Anche il tentativo alla Laguna Sucia non vede sorte migliore. Fuori dai percorsi battuti, seguendo la traccia segnata ad ometti, la troviamo incastonata come la pietra preziosa di un gioiello in un anfiteatro di rocce perfette, platea di

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un’arena naturale degno palcoscenico di un mondo irreale. Ma anche qui benchè possiamo solo intuire la grandiosità e maestosità del luogo, il sipario rimane gelosamente chiuso. Possiamo solo immaginare. E sperare. La notte scorre fredda e tormentata. Al mattino è veramente Natale. Dieci soffici centimetri di neve ricoprono le tende, il prato e gli alberi. Possenti raffiche di vento spazzano i versanti della valle. La conca di Los Tres, salita ieri lassù di fronte al campo, sembra particolarmente presa di mira dai vortici e dai mulinelli di neve. La nostra linea bianca, trascinata dal vento, oscilla sempre più. Arretra e riavanza, si solleva e si richiude con una miriade di movimenti che finalmente, dopo tanto penare, dapprima lasciano trasparire, per poi scoprire tutta la montagna. Lo spettacolo è prezioso, giusto il tempo per qualche foto e poi il sipario si riporta via il palcoscenico. È ancora prestissimo, non c’è ancora nessuno, solo alcuni backpacker come noi un po’ infreddoliti ma finalmente appagati. La perfezione estetica di queste montagne non è certo descrivibile a parole. Ma sono sufficienti anche pochi attimi come è successo a noi, per rimanere estasiati e anche un po’ increduli. Con il morale alle stelle per questo successo, riprendiamo il bagaglio e ci incamminiamo verso la meta per antonomasia. Le incantevoli lagune Madre e Hjia sembrano volerci accompagnare nel nostro sogno che sta per divenire realtà. Al bivio con il sentiero che proviene da El Chalten, il Cerro Solo scintillante nel cielo terso, come farebbe un buon maggiordomo, sembra voler accoglierci come si accolgono gli ospiti illustri. Sicuramente non siamo stati sufficientemente umili e la nostra vanità non può che essere ridimensionata. La linea bianca che tutto nasconde sotto il suo mantello si prende gioco ancora una volta di noi. Il circo della Laguna Torre è incantevole. Prendiamo tempo, la giornata è ancora lunghissima, andiamo lungo la morena fino al Mirador Maestri. Siamo seduti di fronte al circo glaciale come gli spettatori davanti allo schermo di un cinema in Annuario 2012

attesa che inizi la proiezione. Di tanto in tanto la linea magica si innalza. Riconosciamo i caratteristici ghiacciai dei contrafforti alla base, poi ogni tanto la nuvola sale ancora un po’. Per poi ricadere di nuovo sul fondo. Lì a fianco il Cerro Solo sempre con la sua mole nel cielo turchese, come farebbe un buon maggiordomo, sembra voler sussurrare frasi misericordiose e consolatrici. Il Torre rimane per buona metà un mistero. Lungo il ritorno a El Chalten non c’è punto di osservazione che non veda una sosta per voltare lo sguardo, naturalmente invano. Ed è poi magra consolazione l’apprendere, seduti sull’ultimo balcone prima di imboccare la valle che scende a El Chalten con il Torre coperto ancora per un buon terzo, da due ragazzi canadesi che hanno pernottato al Campamento Agostini, che il Torre oggi non si è mai scoperto, nemmeno in mattinata. Appena fuori la stanza del nostro ostello è comparsa una tenda, sull’erba due paia di sci. Chiedo ai due ragazzi dove sono diretti. Ma la risposta è che non stanno andando ma sono appena tornati da Passo Marconi. L’intenzione era la traversata sullo Hielo Continental ma dopo otto giorni in tenda fermi al passo per le condizioni meteo impossibili, sono finite riserve di viveri e possibilità. Questa sembra essere la vera faccia della Patagonia. In fondo, mi convinco, siamo stati molto più fortunati. Avrà il sapore amarognolo di una beffa, un paio di giorni dopo, dall’alto di una collina lungo la mitica Ruta Nacional 40 durante il trasferimento a Puerto Natales in Cile, scorgere l’intera catena con il Torre, il Fitz Roy e tutto il resto svettare libera e nitida, ormai lontanissima, nel cielo limpido. Era destino. Un destino confermato anche dall’ultimo tentativo. Era l’asso nella manica la salita alla Loma del Pliegue Tumbado, un magnifico belvedere da cui si può ammirare contemporaneamente con un sol colpo d’occhio sia il Torre che il Fitz Roy. Un sentiero comodo, solo un po’ lungo, porta a questo cocuzzolo pietroso. Dalla sua non indifferente quota di ca. 1500 m. permette di lancia189


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re lo sguardo a tutto tondo verso le distese oltre il Passo del Viento, sulla vastità del Lago Viedma e i ghiacciai che scendono dallo Hielo Continental. Oggi le nubi sono ancora più basse e minacciose ma non importa. Lasciamo El Chalten dopo aver percorso quasi tutti i sentieri della zona e visitato quanto più ci è stato possibile. Dopo aver potuto assaporare comunque il profumo del mito che aleggia nel viento signore assoluto da queste parti. Nonostante tutto, non si può passare da El Calafate senza ammirare il lago Argentino e il suo spettacolo più spettacolare, il Perito Moreno. Da Puerto Bandera salpano grandi ed affollati catamarani che si inoltrano nelle anse del gigantesco lago. Un giro alla scoperta di baie invase da tampanos, iceberg giganteschi che si staccano dalle lingue dei ghiacciai e che a volte ostruiscono la naviagazione. Come sembra sia già da un po’ di tempo, Bahia Onelli non è più raggiungibile, il braccio del lago è invaso dagli iceberg. Agli altoparlanti del catamarano spiegano che il fenomeno è una visibile manifestazione del surriscaldamento che il pianeta sta vivendo. O ancora la visita al Glaciar Spegazzini con la sua bastionata di ghiaccio imponente. Ghiaccio che assume forme bizzarre prima di scomparire disciolto nelle fredde acque del lago. Ghiaccio che riluce di infinite sfumature fino al blu cobalto nelle fessure dei fronti che di tanto in tanto si spaccano e collassano scagliando blocchi e torri di ghiaccio in acqua. E poi sua maestà il Perito Moreno. Uno spettacolo sì per la vista ma anche e soprattutto per

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l’udito. Nel suo incredibile moto, stimato anche in 2 metri al giorno, produce un continuo stillicidio di scricchiolii, frizioni, frantumazioni, boati, fessurazioni e crolli. Rumori sinistri che scuotono l’animo e lo percorrono come una scossa fino a incunearsi nella memoria per rimanere incisi come un solco su un disco in vinile. Il Parco delle Torri del Paine sono poi l’altro immancabile appuntamento di una visita in Patagonia. L’ambiente è severo ma contemporaneamente più gentile. Sarà la presenza di numerosi grandi laghi dai nomi armonici, Pehoe, Nordenskjöld, Sarmiento, sarà che il tempo è stato assai più clemente, ma l’esperienza del Paine è risultata decisamente più familiare. Anche qui l’incremento turistico si è fatto sentire. Quelli che leggendo qua e là sembravano essere poco più che ricoveri sempre pieni e da prenotare con larghissimo anticipo, ora sono grandi veri rifugi come quelli a cui siamo abituati nelle nostre Alpi, prezzi compresi. Ignari, ci siamo mossi com’era consuetudine in questi luoghi: tenda e fornelletto per percorrere, con i giorni di viaggio a disposizione, il classico percorso cosiddetto a W. Scelti bene i campi possiamo almeno compiere le salite ai vari punti con lo zaino alleggerito. Così va per il Passo Gardner, punto culminante del circuito, che regala un panorama unico sui vastissimi complessi glaciali Grey, Pingo e Zapata. O per la spettacolare Valle dei Frances con il circo di torri che chiude la testata della valle a far da contrappeso ai Cuernos con le loro curiose cuspidi in roccia nera appoggiate sulle verticali pareti di roccia chiara. O ancora infine per le tre regine, le Torri del Paine, superbamente eleganti nella loro unicità. Tre momenti euforicamente vissuti all’insegna di altrettanti colpi di sfacciata fortuna meteorologica. Trovarsi a tu per tu con questi monumenti della natura senza ostacoli che limitano la vista, senza resse ne folle con cui dover misurare gli spazi, sono state esperienze di profonda soddisfazione. Anche le Torri ci hanno tenuto un po’ in apprensione. La sera all’arrivo al CamAnnuario 2012


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pamento El Chileno da dove se ne può scorgere un frammento, erano ancora incappucciate. Anche il tentativo di salire all’alba al mirador per gustare il fuoco dell’alba è fallito per nebbia. Poi prontamente riscattato con il tepore della bella giornata che ha dissolto le nebbie e ogni nostra riserva. Anche il viento che ha sferzato il nostro cammino, teso e gelido al Passo Gardner, capace di creare curiosi arabeschi di mulinelli sulle superfici del lago Nordenskjöld, ha contribuito a creare un’impronta indelebile nel ricordo di queste montagne. La fine della Patagonia coincide con l’inizio di un’altra terra dai sapori tipicamente mitici, la Tierra del Fuego. Inizia dopo aver attraversato lo stretto di Magellano. Un nome che fa riflettere sulle incredibili capacità di quei grandi esploratori di varcare le soglie dell’ignoto. Magellano attraversò questo braccio di mare sperduto in capo al mondo nel 1520. Ci sono volute le evoluzioni di alcuni piccoli delfini, per metà in livrea bianca e per metà nera, che hanno affiancato e seguito il traghetto, a ricondurmi alla realtà del nostro viaggio. Viaggio che, al termine delle sterminate praterie, sfocia a Ushuaia, la cittadina nota per essersi qualificata “La fin del mundo”. La definizione è adatta alla sua nuova vocazione turistica e infatti la troviamo presa d’assalto. Dopo le emozioni granitiche in Patagonia fatichiamo un po’ a ritrovare una nostra nuova dimensione. Proviamo così a scappare nel bucolico parco di Lapataia e salire al Cerro GuaAnnuario 2012

naco. Il paesaggio quaggiù è profondamente diverso, niente pareti verticali né sterminati ghiacciai mentre anche la fortuna non ci assiste molto e in cima fa freddo e nevischia. Ora dall’aereo che ci riporta verso Buenos Aires, rivedo la pampa, il paesaggio percorso. Un cumulo di chilometri su chilometri di strade e altrettanti di recinti per pecore. Già pecore ed agnelli, asado e parilla. E di tanto in tanto un sorso della bevanda nazionale, hierba mate. Tutto questo è Patagonia.

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Si ringraziano per la preziosa partecipazione: Sergio Amistadi, Diego Andreoli, Roberto Angiolini, Anna, Stefano Benini, Alberto Bertoldi, Alberto Maria Betta, Grazia Binelli, Adriano Boccagni, Ivo Bridarolli, Mauro Caceffo, Gianpaolo Calzà, Nicola Campisi, Ruggero Carli, Sandro Carpineta, Claudia Cigalotti, Mario Corradini, Luca Degasperi, Tullio Dell’Eva, Claudio Fedrizzi, Stefania Fenner, Bepi F., Paolo Ferrari, Massimiliano Floriani, Marco Furlani, Giorgio Galas, Ivo Gentilini, Rosanna Giacomelli, Arturo Giovanelli, Giuliano Giovannini, Mauro Grazioli, Andrea Hainzl, Valentina Leonardi, Paolo Liserre, Alberto Maganzini, Walter Maino, Gino Malfer, Claudio Martinelli, Ferdinando Martinelli, Marco Matteotti, Maura Mazzoldi, Aldo Meneghelli, Marco Meregalli, Gilberto Mora, MoRe, Flavio Moro, Mirco Moro, Silvano Moro, Matteo Muchetti, Edoardo Nicolini, Giovanni Paglierini, Ezio Parisi, Roberto Parisi, Nicoletta Parolari, Matteo Prandi, Sandro, Stefano Reversi, Silvio “Bacon” Santoni, Nello Santorum, Rudi Simonetti, Gruppo Sopraimille, Celestino Tamburini, Marco Tamiozzo, Gianluca Tognoni, Bernardino Toniatti, Alessandro Torboli, Maurizio Torboli, Davide Trebo, Luigi Vettorato, Alberto Zampiccoli, Carlo Zanoni, Luca Zanoni. Si ringraziano inoltre per la loro comprensione e il forte attaccamento alla nostra associazione tutti gli inserzionisti, e in particolare la “Cassa Rurale dell’Alto Garda” e la “InGarda Trentino - Azienda per il Turismo s.p.a.”

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