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Bocciato il referendum sulla cannabis: l'Italia perde un'altra occasione Non sono bastate le centinaia di migliaia di firme raccolte in tempi record. Non è bastato lo sforzo dei comitati promotori e della società civile. Non è bastata nemmeno la raccomandazione ai giudici di "non cercare il pelo nell'uovo". Lo scorso 16 febbraio, la Corte costituzionale ha deciso di bocciare il quesito del referendum per depenalizzare la cannabis e l'Italia ha perso la sua ennesima occasione per emanciparsi. Il presidente della Consulta, il neo eletto Giuliano Amato, lo ha reso noto nel corso di una conferenza stampa decisamente atipica, subito a ridosso della decisione. Amato ha affermato che le formulazioni sottoposte dai sostenitori della campagna referendaria, se approvati, avrebbero provocato delle storture e violato i trattati internazionali: "Il referendum non era sulla cannabis, ma sulle sostanze stupefacenti. Si faceva riferimento a sostanze che includono papavero, coca, le cosiddette droghe pesanti. E questo era sufficiente a farci violare obblighi internazionali". Una dichiarazione che ha suscitato le reazioni immediate e indignate di chi si è speso per
pensare e promuovere il referendum, come il presidente del comitato promotore Marco Perduca, che a caldo ha commentato: "Non c'è stato alcun errore nella formulazione del quesito. Le motivazioni addotte dal presidente Amato e le modalità scelte per la comunicazione, sono intollerabili". Il quesito referendario mirava a modificare il "Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza", ovvero l'attuale legge di riferimento sulle sostanze stupefacenti. Si proponeva quindi di eliminare il reato di coltivazione, di rimuovere la pena detentiva per qualsiasi condotta legata alla cannabis, con eccezione dell'associazione finalizzata al traffico illecito, e la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida. La parte sulla coltivazione è però risultata essere quella più problematica ed ha finito per rappresentare la classica buccia di banana. Nel dibattito della società civile si è aperta quindi un'accesa discussione sulle responsabilità di questo ennesimo
fallimento istituzionale: c'è chi da ragione agli ermellini e crede che i comitati promotori avrebbero dovuto porre più attenzione nella scelta delle parole, c'è invece chi è convinto che la Consulta abbia fatto il solito gioco della politica, andando effettivamente a cercare "il pelo nell'uovo" per bloccare la proposta di depenalizzazione della cannabis. Per chi è interessato, approfondiamo i dettagli di questa querelle a pagina 34, nella rubrica Punto Legale. La questione, ora, resta in mano al parlamento dove giace una proposta di legge approvata dalla commissione Giustizia della Camera lo scorso settembre - che depenalizza la coltivazione di quattro piante di cannabis. Se con la bocciatura del quesito referendario è stata chiaramente messa a tacere la voce della società civile, ora tocca alla politica portare avanti le istanze per la depenalizzazione della cannabis. Viste queste premesse però, c'è purtroppo ben poco di che sperare. di Giovanna Dark