Red Arrow

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Red Arrow - ispirato a un episodio di cronaca tuttora insoluto racconto breve di C. H. Loveroofs

"Penso che la cosa più misericordiosa al mondo sia l'incapacità della mente umana di mettere in relazione i suoi molti contenuti. Viviamo su una placida isola d'ignoranza in mezzo a neri mari d'infinito e non era previsto che ce ne spingessimo troppo lontano. Le scienze, che finora hanno proseguito ognuna per la sua strada, non ci hanno arrecato troppo danno: ma la ricomposizione del quadro d'insieme ci aprirà, un giorno, visioni così terrificanti della realtà e del posto che noi occupiamo in essa, che o impazziremo per la rivelazione o fuggiremo dalla luce mortale nella pace e nella sicurezza di una nuova età oscura.” H. P. Lovecraft


21 dicembre 1978, ore 19.46 48.000 piedi sullo stretto di Bass, sud di Melbourne, Australia

" Hobart, qui Red Arrow. Decollo effettuato. Cielo limpido. Stiamo salendo. " L'F-4 del tenente Frank Valentich viaggiava alla velocità di mach 1.2 in direzione dell'areoporto militare di Hobart, Tasmania. L'ufficiale Valentich, assieme al suo giovane Secondo, il sottotenente William Debree, aveva partecipato ad alcune esercitazioni per mettere alla prova alcune nuove apparecchiature che i tecnici dell'aviazione australiana di stanza al suo squadrone volevano mettere in dotazione a tutti i Phantom. Il Phantom F-4 era un vecchio modello, ma la cui affidabilità si era dimostrata tale da giustificare il protrarsi di un suo utilizzo previo un aggiornamento della sua strumentazione e dotazioni. Le esercitazioni erano andate più che bene e ora i due ufficiali dirigevano di nuovo verso casa in volo solitario. " Qui Hobart. Bene Red Arrow, vi aspettiamo. Hey Frank, fa con comodo: la piccola Lucy te la teniamo in caldo noi nel frattempo." " Grazie per la premura, Pete. Debree, arma i missili. " Un clic e una vibrazione e negli auricolari di Valentich risuonò la voce stridula di William. " Non si preoccupi Capo, tanto ormai Lucy se la sono fatta tutti. Prendiamocela con comodo. " " Stai sviluppando un pericoloso senso dell'umorismo, Willie. " Attraverso la lucida calotta, sopra di essi, il cielo si infiammava degli ultimi bagliori del giorno, imporporando le poche, sottili nubi in vista. Una piccola virata, ancora qualche minuto, e sarebbe stata di nuovo casa.

Il freddo era quasi insopportabile. Nel piccolo antro naturale in cui aveva trovato rifugio, ostruendolo con delle pietre e delle lamiere, giungevano


spifferi gelidi contro i quali ben poco potevano i suoi vestiti laceri. Del resto anche gli altri si trovavano nelle medesime condizioni. Due erano nella caverna a fianco, leggermente più ampia. Grossman, invece, non aveva voluto allontanarsi dal suo punto d'arrivo. L'incontro era per il mattino successivo. Si scostò leggermente dalla parete e diede un'occhiata fuori attraverso le generose falle di quella barricata tirata su alla meno peggio. Nevicava ancora e anche con più intensità, se possibile. Sarebbe stato un viaggio difficile. Del resto era inevitabile. Dov'erano? Come erano arrivati lì? Erano tutte domande in attesa di una risposta. E la risposta dovevano andare a cercarsela.

" Capo, stiamo sorvolando l'isola King. Lo sa, io sono nato lì. A Grassy, sulla costa orientale. Un bel posto. C'è mai stato, signore ?" " No, Willie. Ma possiamo rimediare." Valentich fece abbassare improvvisamente il muso del suo F-4 e si gettò in picchiata verso le coste sottostanti. " No, Capo, no, la prego! Ce la porto io! In treno! Sì, sì, prendiamo il treno e poi la nave a Devonport! La prego, signoree!" " Tranquillo, Debree. E' tutto sotto controllo. Su, che ti faccio divertire. E poi rivedrai mamma e papà! " " No, la prego! Mio padre è morto e mia madre non la sopporto. Torniamo su. Ho le budella in golaa! ...siamo ai 23.000, 22.000, 21. 20.000 piedi. Tenentee! " Valentich riportò il velivolo orizzontale al terreno, mantenendolo a bassa quota. Le case, i campi, le strade, la spiaggia del paese natale di Debree sfrecciavano in miniatura sotto di loro. Proseguì a bassissima quota, virando verso l'entroterra e allontanandosi dalle luci del centro abitato: sotto di loro il bestiame, in procinto di appisolarsi, si sparpagliava terrorizzato dal rombo del caccia. " Heii, quella è casa mia! E' casa miaa! Non ci posso credere. Tenente, a ore cinque! Sono le vacche di mia madre! Dio, sarà furiosa... Siii!! "

Si svegliò di soprassalto. Si era appisolato per qualche minuto. O forse di più. Qualche ora, forse. Il suo orologio si era rotto all'arrivo, né - sfortunata coincidenza - quelli dei suoi compagni di sventura avevano subito miglior sorte: salvo quello


di Pierce, che si era inspiegabilmente fermato, anche gli orologi di Kollnar e Grossman si erano fracassati giungendo lì. Né, a quanto pare, i loro, forse poco allenati, orologi biologici riuscivano a supplire a tale eccezionale morìa di quadranti e lancette: lo scorrere del tempo in quel posto sembrava, infatti, qualcosa di sfuggente, relativo. Forse era colpa di quel tempaccio. Quel cielo plumbeo, coperto notte e giorno, giorno e notte. Qualunque ora fosse, comunque, il sole non era ancora spuntato. Da quando era piombato in quel posto dimenticato da Dio, non era mai riuscito a dormire se non solo per - a parer suo - brevi tratti. Del resto, ritrovarsi chissà dove, tra quelle lande ghiacciate, sarebbe stato già atterrente abbastanza, per non dover affrontare anche nei sogni realtà tutt'altro che rassicuranti, come gli stava sistematicamente accadendo da quando era lì. Non aveva nessunissima dannata idea di cosa sognasse, ma da come si risvegliava era sicuro che fosse soprattutto quella la fonte della sua insonnia. Ma la vera fonte di questa sua sicurezza era il fatto, inquietante, che anche gli altri tre, una volta arrivati lì, non erano più riusciti a dormire per lo stesso motivo. Certo, lo shock. Per alcuni, le ferite. Per altri, come per lui, la perdita del compagno o, come per Grossman, di persone care. Ma su tutto, la sgradevole sensazione, una volta svegli, di essersi appena imbattuti in un qualcosa, in qualcuno... Evidentemente non aveva smesso di nevicare neanche per un istante. La neve aveva quasi completamente ostruito l'apertura della sua caverna. Si tirò su, avvicinandosi all'uscita. Certo, ora faceva un pò meno freddo, ma di questo passo, nel giro di qualche ora, gli sarebbe toccato scavare per qualche decina di centimetri in una lastra di ghiaccio, e con un fianco mal in arnese come il suo non era il caso di aspettare. Cominciò a riaprirsi un varco nella neve.

" Red Arrow, Red Arrow, qui Hobart. Vi abbiamo perso. Non vi vediamo sullo schermo. Cosa sta succedendo? Rispondi, Red Arrow. " Valentich interruppe il contatto radio. " O.k., Secondo, risaliamo. " Volando a bassa quota il tracciato del terreno stava oscurando il radar della base. Valentich virò a dritta e poi tirò tutta a sé la cloche. Il jet si impennò in un'improvvisa cabrata. Nell'auricolare poteva udire, disturbati, i


miagolii di Debree in pressione, come lui, del resto, per la violenza della manovra. Con ancora la schiena poggiata nella spinta della cabrata, riattivò il contatto radio. " Base di Hobart, qui Red Arrow. " " Red Arrow, che diavolo sta succedendo? Vi avevamo perso. Ora vi abbiamo di nuovo sotto controllo. " " Abbiamo avuto solo un piccolo problema, ma adesso è tutto o.k." " Certo, Frank, tutti noi conosciamo i tuoi problemi. Ora limitati a riportare il tuo culo alla base. Stiamo ricevendo quel che tu sai dalla centrale della Guardia Costiera di Grassy, che ti sei appena lasciata alle spalle. " " Roger, Hobart. Non so di cosa stai parlando, ma Roger. "

Sole! Era giorno e del sole filtrava all'interno della caverna! Non riusciva a crederci. Da quando era in quel posto la coltre di nubi non aveva lasciato mai passare alcunché. Facendo leva con entrambe le gambe abbatté la barriera che aveva ricostruito qualche ora prima e mise la testa fuori. Un sole appena appena tiepido faceva capolino da dietro nubi grigie, ancora cariche di neve. Meglio di niente, pensò tra sé e sé. Pierce e Kollnar, evidentemente usciti dal loro pertugio già da un pò, stavano sistemando per il viaggio le tre sacche, che in qualche modo erano riusciti a costruirsi con il poco che avevano trovato di utilizzabile alla bisogna. Lo salutarono entrambi con un cenno del capo. Si avviò verso di loro. Ira Kollnar e Alan Pierce erano giunti lì quasi contemporaneamente a lui, appena una decina di minuti dopo. Dopo un paio di giorni di incontrollato terrore e di disorientamento, i tre avevano ricominciato a riprendere il controllo dei nervi. Avevano deciso di cercare in ogni modo una spiegazione, nonostante tutto sembrasse largamente inspiegabile. Che altro fare, del resto ? " Pronti ? " domandò. " Tutto a posto. " rispose Kollnar, cercando di non far trasparire il proprio disagio. " Passiamo a prendere Grossman. " disse perentorio Pierce, il più anziano dopo Grossman e di fatto eletto leader del gruppo. I tre raccolsero ciascuno uno zaino, se lo caricarono sulle spalle e andarono a raggiungere il loro quarto compagno.


Il Phantom si riportò sui 70.000 piedi. In lontananza erano in vista le luci delle coste della Tasmania e in basso, alla loro sinistra, quelle delle isole Hunter, Hummock e Robbins. Il tutto in un mare nero che qua e là ospitava piccole luccicanze, pescatori tiratardi o turisti che si godevano la bella stellata sul mare. " Capo, guardi a ore quattro. C'è qualcosa, un, non capisco..." - gracchiò Debree in auricolare. Valentich gettò uno sguardo sul punto di mare indicato da Debree. Effettivamente a ore quattro stava succedendo qualcosa. Numerose luci, evidentemente corrispondenti a una grossa imbarcazione o a più imbarcazioni, facevano da corona a uno strano bagliore rossastro. " Hobart, qui Red Arrow. Stiamo avvistando strani bagliori sul mare, a nord-ovest di Hunter Island. Scendiamo a dare un'occhiata." " Negativo Red Arrow. Qui abbiamo da qualche secondo un contatto radar poco distante da voi. Possibile invasione del nostro spazio aereo. Quanta autonomia avete? " La voce di Debree si sovrappose in cuffia: " 800 miglia, signore." " Positivo, Hobart. Dacci le coordinate. " " Destinazione a 38°. Qualunque cosa sia... il segnale non è chiaro. Comunque si avvicina al nostro confine a 85.000 piedi e dovrebbe diventare ostile tra circa quattro minuti. " Valentich diede il segnale di ricevuto e cominciò la manovra di intercettazione.

Grossman era accucciato sulla sommità della collina su cui erano state seppellite la moglie e la figlioletta. La prima era morta sul colpo, la seconda dopo qualche ora di penosa agonia. Jack Grossman era un ricco uomo d'affari di Melbourne. Alto, corpulento, in un'altra vita - espressione quantomai calzante in quelle circostanze - doveva essere stato il classico grassone esuberante e ricco di vitalità. Era arrivato un giorno dopo gli altri tre e si era ritrovato con i cadaveri dei suoi familiari e lontano anni luce dai suoi salotti e dalla sua cyclette. Ora era un uomo distrutto, svuotato di ogni volontà. E, anche se non era bello a dirsi, era l'anello debole della catena. Avrebbero dovuto tenerlo d'occhio. Considerando la sua condizione fisica e psicologica, li avrebbe sicuramente rallentati,


ma non potevano certo andarsene lasciandolo lì. Lo chiamarono. Grossman si voltò verso di loro. Poi tornò a guardare le due croci che aveva di fronte. Kollnar distolse lo sguardo da quella scena. Dopo qualche lungo e penoso istante Grossman infine si alzò e si diresse verso di loro.

" Red Arrow, l'oggetto non identificato è nel vostro settore. Mettetevi in contatto radar diretto. " " Ricevuto, Hobart. Debree, che mi dici? " " Contatto stabilito. Distanza dieci e quattro miglia nautiche. Direzione e traccia... non capisco. Ho un segnale confuso.Comunque a quota 82.000...No, adesso a quota 75.000 piedi. Ma non si è spostato! Si è, si è... è come se si fosse dilatato! " Valentich fece scorrere lo sguardo sul proprio segnale radar, manovrando gli strumenti di rilevazione. Finalmente ai margini estremi dello schermo comparve il contatto segnalato. Una vaga luminosità... Debree aveva ragione: il segnale era piuttosto strano. Sembrava indicare un oggetto, un qualcosa di molto più grosso di un... Passò a mach 2 e sollevò lo sguardo avanti a sè. Tolse il radar dalla funzione di ricerca, bloccandolo sull'obiettivo. " Secondo, togliere la sicura alle armi." " Sissignore. " Con lo sguardo diviso tra radar e cielo stellato, Debree azionò l'interruttore principale sulla consolle dell'armamento. " Missili ariaaria attivati." Dopo i missili, azionò il pulsante dei cannoncini, facendo scattare dal corrispondente alloggio il grilletto all'estremità della cloche di Valentich, che lo circondò con un dito, per ogni evenienza. " Secondo, comincio l'avvistamento." Debree si concentrò sullo schermo e fornì i dati direzionali: " Obiettivo in alto a ore undici, distanza uno a tre miglia nautiche". Valentich scrutò il cielo in quella direzione e infine lo vide. " Hobart, qui Red Arrow. Obiettivo avvistato. Si sta avvicinando da ovest." " Amico o nemico, Red Arrow? " " Che Dio mi fulmini se lo so... mi sembra che ci stia volando sopra adesso a una velocità che non posso identificare. E', è... ci torna sopra! Ha una sagoma allungata. Ora sembra che torni indietro!" Dopo alcuni lunghi momenti di silenzio, il tenente Peter Cummings, alla base di Hobart, sentì di nuovo la voce di Valentich: " Non è un velivolo. Ripeto: non è un velivolo."


" Signore, cos'è signore? " - chiese Debree allarmato. In cuffia il segnale incominciava ad essere un pò disturbato. " La cosa sta girando proprio sopra di noi! Sembra una ferita... una specie di gigantesco spacco nel cielo! " " Red Arrow, togliti subito di lì! " " Roger." Valentich eseguì una stretta virata a dritta, mettendo a tutta potenza. Ma l'F-4 non ne assecondò del tutto l'intento. " Base, stiamo subendo un calo di potenza. " La strumentazione di bordo stava luccicando come un albero di natale. " Dannazione, gli strumenti sono impazziti! " Debree gli comunicò che il motore stava decisamente perdendo colpi. Valentich iniziò istantaneamente una ripida manovra discensionale a sinistra. A metà virata, fece una rotazione per poi invertirla. L'aereo sussultò lievemente e poi perse ulteriormente velocità. Poi cominciò a salire. " Ma che diav..." Spinse allora tutta la cloche in avanti. Senza risultato. Debree cominciò a urlare, terrorizzato: " Ci tira su! Ci tira su!" Era tutto inutile. Non c'era verso di opporsi alla forza che li stava... inghiottendo. Valentich decise allora di assecondarla. Messo il motore al massimo, scagliò l'aereo dritto verso la forza che li stava attirando a sè. Tutto d'un tratto tornò la potenza ai motori. " Debree, pronto coi missili. " " Tenente, cosa faa! Allontaniamoci ! Via, via! " " Pronto coi missili! " L'aereo di Valentich e Debree passò in men che non si dica da mach 2 a mach 3.5, ben oltre le normali potenzialità del velivolo. " Red Arrow, cosa succede? Rispondi, Red Arrow! " gracchiò lontanissima la base di Hobart. L'obiettivo era già da qualche istante nell'area del mirino. Si stavano avvicinando in maniera incredibilmente veloce, ma ancora qualche istante e avrebbe potuto centrare dritto il punto più oscuro di quella voragine spalancata. Era una sorta di sfregio allungato. Sì, anche se stentava a crederci, aveva di fronte a sé un vero e proprio spacco nel cielo. Enorme, in continua evoluzione, con una sorta di tenue fosforescenza bluastra sui bordi sfrangiati e, all'interno, un nero più nero di qualunque notte. Valentich fece fuoco. Seguì ipnotizzato la traiettoria dei due missili aria-aria. Finchè non scomparve-


ro. Immediatamente Valentich sentì le grida di terrore di Debree e le deflagrazioni impazzite del cannoncino di prua che, istintivamente, stava scaricando addosso a quel nero vortice . " Red Arrow! Red Arrow! Cosa succede? " " ... " " Red Arrow! Rispondi, Red Arrow! Red Arrow! "

Erano in marcia da qualche ora. Stavano percorrendo un sentiero fangoso e accidentato ai margini di un fitto bosco innevato. Pierce era in testa al gruppo. Grossman, già ansimante, chiudeva il gruppo. Gli altri due camminavano affiancati qualche metro dietro il primo. Improvvisamente la terra tremò. Prontamente si gettarono tutti e tre per terra. Grossman, più indietro, fu invece letteralmente sollevato da terra dalla forza d'urto sprigionatasi non distante da lui. In lontananza, provenienti dal settore del bosco alla destra di Grossman, si udirono gli echi di esplosioni. Poi un'altra deflagrazione scosse l'aria. Una tempesta di foglie e neve si riversò su di loro. Passato qualche istante, lentamente, si rialzarono in piedi. Corsero verso Jack, che era riverso ai bordi del sentiero. Nonostante la botta ricevuta e qualche ammacco quà e là, era ancora integro. " Ma che diavolo sta succedendo ?" chiese con un filo di voce, rialzandosi. Si guardarono l'un l'altro. Non c'era chi non avesse paura, chi non presagisse qualcosa. Qualcosa di brutto. " Andiamo a vedere " - disse infine Pierce, rompendo gli indugi. Si diressero verso la zona del bosco illuminata, sempre più tenuamente, dalle fiamme. Pierce e Kollnar anticiparono gli altri due nel giungere sul posto. Il bosco era stato sventrato. Alberi abbattuti o piegati su se stessi per almeno quattro o cinquecento metri quadrati. Qualunque cosa fosse caduta, l'impatto doveva essere stato talmente forte che ora solo qualche arbusto qua e là bruciava debolmente.Il sottotenente Kollnar intravide sulla sua destra, ai margini di quello spiazzo desolato, un ulteriore, stretto varco tra gli alberi. Lo indicò a Pierce. Si diressero verso quella direzione. Man mano che si avvicinavano riuscivano a spingere lo sguardo sempre più in profondità in quel tunnel fumante. Pungente la sensazione di deja-vù. All'altezza di ciò che appariva il fondo di quella caverna dalle pareti di conifere, qualcosa ancora


alimentava delle fiamme. Un profondo e largo solco arava il terreno fino a quel punto.

" Willie, Willie! " - urlò Valentich, cercando di togliersi l'imbragatura. Quando infine vi riuscì, si voltò, cercando di ignorare il fortissimo dolore che gli artigliava il fianco. Non c'era nessuno. Il sedile di Debree era inzuppato di sangue. Non riusciva a capacitarsi. Levò lo sguardo. La calotta era integra salvo proprio la parte a protezione del sedile del suo navigatore. Evidentemente Debree era stato sbalzato fuori dall'abitacolo durante il disperato atterraggio di fortuna miracolosamente riuscito. Poi avvertì il fortissimo odore di cherosene. Doveva uscire subito di lì. Con la mano destra afferrò la leva per lo sgancio del tettuccio che, dopo qualche resistenza, saltò via. Con difficoltà si alzò in piedi sul sedile, strappandosi il sottogola e gettando il casco sul fondo dell'abitacolo. Superato, strisciando, lo scivoloso metallo del tagliente bordo anteriore dell'ala, si gettò a terra, cadendo a faccia in giù, ansimante di paura e fatica. Si levò e si allontanò, barcollando, dall'aereo a pezzi. Un lungo e stretto pezzo di metallo gli fuoriusciva dal fianco dolorante, ma fortunatamente ancora intorpidito. Aveva la vista annebbiata e aveva l'impressione che gli alberi di quel bosco si muovessero. Finchè non vi sbattè contro e sentì delle voci. La vista gli si snebbiò. Degli uomini lo stavano sorreggendo, parlandogli, concitati e spaventati. Lo chiamavano per nome, chiedendogli cosa gli fosse successo. Tutto si muoveva al rallentatore per lui, era tutto ovattato, come in sogno. Poi intravvide in quei due - erano due militari - un certa perplessità. Li vide scambiarsi un'occhiata, balbettare, farfugliare cose per lui senza senso e poi fuggire da lui letteralmente terrorizzati. Li vide correre via, incespicando ogni tre passi. Poi si fermarono. Di fronte avevano altri due uomini che si dirigevano verso di loro. Vide che quelli che lo avevano sorretto stavano parlando, o meglio, dal momento che a quella distanza riusciva a percepire dei suoni, stavano urlando in direzione di uno dei nuovi venuti, quello più grosso, che a un certo punto si allontanò dalla persona che aveva al fianco. Quest'ultima sembrava interdetta. Rimase ferma mentre gli altri tre fuggivano via da lui.


Valentich non sapeva che pensare. Non capiva cosa stesse accadendo. Continuò ad allontanarsi dall'aereo, che poteva esplodere da un momento all'altro, e decise di dirigersi verso quella sagoma solitaria. Meglio di niente, dal momento che ormai non vedeva più nessun altro, ed era in procinto di svenire. I sintomi c'erano tutti: aveva un freddo insopportabile e vivide allucinazioni... neve! Quanto alla ferraglia che aveva in corpo, non era il caso di levarsela se voleva conservare quel poco sangue che non gli era ancora sgorgato dalla ferita. Oltretutto c'era da ritrovare Debree, cosa che non sarebbe riuscito a fare da solo in quelle condizioni. Debree poteva essere ferito, e anche gravemente. Vide che anche l'altro si dirigeva verso di lui. Sembrava una versione onirica di "Mezzogiorno di fuoco" . Sentiva le forze venirgli meno e con rammarico vide che tutto d'un tratto neanche la sua possibile fonte di soccorso sembrava in grandi condizioni. Lo vedeva barcollare verso di lui, mentre lui faceva lo stesso nella sua direzione. Davvero uno spettacolo interessante per un osservatore esterno, pensò tra sé e sé, mentre allucinazioni sempre più curiose gli si accavallavano sulla retina: più si avvicinava a distanza di duello a quell'uomo e più sentiva la vita sgusciargli via, più gli sembrava di rivedere nel suo dirimpettaio le fattezze del fratello, Josh. Erano anni, ormai, che non lo vedeva. Ormai distavano pochi metri l'uno dall'altro. Vide che, come i due di prima, anche quest'ultimo vestiva una tuta militare. Dell'aviazione, come la sua. Si fermò. L'altro fece lo stesso. Josh, il suo gemello? I sogni! " J...Josh ? " chiesero simultaneamente. Il fragore causato dall'esplosione dell'aereo non permise di udire le urla di terrore e angoscia di due uomini, con un solo passato e nessun futuro, dispersi in un mondo non loro né, forse, di alcuno.


EPILOGO:

Illustre Governatore Generale John Keri Palazzo del Governatore Canberra Stato Federale di Canberra

Signor Governatore, Le comunico che per ragioni di sicurezza nazionale ho dato l'ordine di interdire lo spazio aereo e marittimo del settore sei dello stretto di Bass. La fregata Adelaide è già sul posto. Le comunico altresì che ho dato l'ordine di sequestrare le imbarcazioni della spedizione scientifica americana del dottor Sperlintz, l'autorizzazione della cui attività, come ben ricorderà, avevo a suo tempo suggerito di non concedere. Aggiungo la mia ferma volontà di interdire il ritorno in patria del dottor Sperlintz e dei suoi collaboratori finchè non verremo informati sull'esatta natura degli esperimenti da loro condotti a nord-ovest di Hunter Island, che io reputo alla base degli strani incidenti che stanno occorrendo in zona e che finora mi sono costati due velivoli e quattro dei miei migliori ufficiali. Si registra anche la sparizione di un aereo civile, un piccolo Cessna con tre persone a bordo: un intero nucleo famigliare letteralmente sparito nel nulla. Auspico converrà che in questi frangenti operare ancora coi paraocchi sarebbe del tutto improducente. Spero che tutto ciò non incida negativamente sulle sue partite a golf col presidente Carter.

William Reid Capo di Stato Maggiore Base di Port Philip, Melbourne


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