beneficio delle brume nuova edizione

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ISBN 978-88-6679-407-3 2

Roberto Valentini

Il beneficio delle brume II edizione riveduta

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VANGELO MENEGHINO

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Quali ombre scivolano lungo i portici nel gemito ancora dei cani, emule dei profili di nitore, fra cortici d’edere sui muri abrasi, tremule scritture sulle tombe della sera?

Frivola dilapida l’aria strepiti, sulle gronde li sperde, sulla schiera d’altalene ancorate già a decrepiti sguardi. E si spezzano sopra gli spalti dei giardini le voci, le panchine e il madore di luce sugli smalti a un sinedrio strappano di palazzine verdetti d’invisibili giacigli, se come croci accolgono le braccia, le barbe bisunte che assieme ai tigli nei volti nascondono una faccia d’aurore. Ed è un assedio d’usignolo che fa breccia nel rossore più ardente di Sant’Eustorgio, e col cielo nel dolo solo randagi quaggiù ci si sente.

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È un cielo disfatto come vetrate di fabbriche, vivace come i canti dei fringuelli dentro a gabbie di navate, tumefatto sui fianchi più distanti, sui crinali dove abdica il tramonto dai viali, dai pavé aggrappati a lampi di binari, a un tardo resoconto di soffi sui fili, elettrici inciampi fra gli intrecci dei tram. È un cielo infermo, biavo negli occhi stanchi di commesse, di ragazze celate dallo schermo opaco dei bicchieri, fra promesse e desideri sugli azzardi dell’aria che acri feriscono i passi, i rimorsi d’impronte nella calca frammentaria, nei trepestii sull’asfalto dei corsi. È il cielo che la darsena trascina sugli spumeggi di nubi radente le chiuse, il gorgheggio che ne avvicina acque di pace, se adesso ci sente.

Sono acque dissepolte di navigli, di ponti sommersi che oramai sorreggono appena delle strade ombre ed i cigli, acque verdi che fra rogge proteggono i confini dell’agro in cui s’inurba Chiaravalle ed il suo fumido chiostro, le colonne intrecciate da una turba d’archi in un affresco di venti, l’ostro sui suoi ruvidi conci. Sì, è una storia 8

VERSI LIGURI

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Corniglia

Diroccia tra le spume la scogliera, sopra l’argento si infrange dei fiotti un pendaglio di luna; e oramai rotti paiono i clivi nell’alta costiera ove precipita il mondo. La schiera d’ulivi dalle terrazze, dai ciotti sopra i muretti pispiglia, tra i motti degli uomini e le fronde, una preghiera.

Ma nemmeno scrutando, solitario l’orizzonte poi credi che qua tutto sia alla terra implorato; nel rosario degli astri di già s’intona il suo lutto.

Anche, lontano, il rilucere vario delle barche, è nel tuo sguardo più asciutto.

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Rio Maggiore

Oh le ombre di pinastri, sopraggiunte a difesa di rossastre fortezze, dei promontori crollati alle brezze...

Si ripiegano le rocce compunte dal rotolio del meriggio; raggiunte s’addossano le case alle vaghezze dei fiori. E hanno le pendici ricchezze di pampini dalle balze trapunte; sulla china dei filari volteggia l’ala dei gabbiani già pencolanti con una chiglia che in rada beccheggia.

Nel porticciolo gli ultimi bagnanti scendono in mare; il luccichio vi scheggia le onde, e lacrime ancora ai viandanti.

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A Manarola

Più piccola la chiesa si rivolge, appena di fogliame ricoperta, col suo rosone alle selve. Fra bolge di dirupi, incuranti sopra l’erta, uomini taciturni adesso avvolge coi vitigni la tenebra. Riaperta nuovamente la rèseda travolge il fragore dei flutti e vi sconcerta anche l’inerme falesia più in basso.

Mentre gorgoglia nel fondo il torrente ancora una serpe sguscia sul masso; potessi nella notte similmente scivolare, sfuggire poi dal chiasso dei giorni, ad una luce che non mente.

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A Vernazza

Sussurra anche il paese sulla roccia, sono le sue casupole parole, i vicoli più angusti le sue sole frasi nel vento. Suoni di bisboccia nelle taverne si spengono e sboccia un profumo mansueto dalle viole nel cielo, nelle ombre di banderuole fedelmente sul ciglio che qua incoccia la breccia del crepuscolo. La chiesa nel vuoto stringe della sua campana l’oro dei tintinnii sulla distesa del mare. Di sera la melagrana del sole ce ne indica la discesa, verso l’incerto e la sua onda, ormai vana.

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Restano scorze sui campi

Restano scorze sui campi e lo strame delle pannocchie; il tepore del cielo fra i rami secchi spiove col disgelo d’un ricordo. Sul naviglio uno sciame ne rasenta il bordo, il suo bulicame fra gli argini, sopra gli occhi uno stelo d’indenne bruciore. Il giorno è sfacelo che tentenna sul ferro d’un rottame laggiù, in fondo ad una roggia melmosa; così forse è il rimorso un’altra scoria di felicità, una sua scia irriguardosa.

Ragazzi in bici vanno con la boria dell’incoscienza. Ma quale insidiosa esistenza, ne è poi questa memoria.

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IL CORDOGLIO DELLA CARNE

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I

L’attesa chi ha prosciugato nel pianto e nel rimorso del dono che avresti salvato? Non noi, e neanche i tuoi gesti così angusti nello spazio poi affranto dagli urti del sangue. Né il cuore franto nel sonno già dalla vampa di desti respiri... Che disastro è nei pretesti del caso! Che lamenti infiora accanto alle certezze che infirma nei petti: ora un lutto lentamente ne usura il volere, e rilascia se lo affretti nelle mani un’altra breve apertura.

Oh nemmeno il tuo credere progetti: serbandola, sfuggi ormai la paura.

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II

Quali vetrate offuscate dal fiato nelle brume incrollabili le notti d’inverno! Penetrate come fiotti nella stretta incolume del tuo afflato, quando solo più imprudente l’afflato del chiarore abbacina sui ciotti le brine. Che acque odo dai fagotti dell’oblio lungo un approdo svelato.

Eppure ancora resisti al futuro dalle rovine d’istanti in cui resta illeso il tuo fianco, argine di puro silenzio fra di noi (che non arresta voce), se già negli occhi dall’oscuro presagio è una parvenza, una richiesta.

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TRE SONETTI A MIA MADRE

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II

Forse non ho mai saputo narrarti sino in fondo il mio essere, né i dolori che mi reclamarono senza parti chiare alla conoscenza, né i miei amori e tutte quelle pene dagli scarti del cuore. Ma già volevo là fuori così tanto ed invano riabbracciarti, terribilmente ossesso di pudori.

Forse non lo potei oppresso dai pesi della colpa, irreale come il fine per cui nascere ancora. E se discesi incompresi inferni, tu sola infine, senza mostrarti, vi lasciasti illesi quegli anni: acconci fra le tue forcine.

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III

Recluso in una stanza quante volte avrai inteso chiamarti, anche se muto in quell’assolvimento devoluto alla tortura che è il pensiero. Avvolte le angosce dentro incessanti rivolte, sempre ad altre cedendo; trattenuto caparbiamente in un grumo intessuto di notte e di serpi. Ma tu l’hai accolte per sempre come il pianto d’un bambino; nello stesso silenzio in cui le nenie presto dal fiato filavi vicino, sei rimasta chiedendo quelle venie per me, nel fiele che ancora trascino.

Oh madre e la tua voce di gardenie!

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Postfazione Non vi è dubbio che la cifra più autentica della scrittura di Valentini risieda nella sapienza del verso, nell’incastro degli endecasillabi, nell’intonazione lirica, a tratti quasi elegiaca, che riaggancia il sostrato fertile della tra dizione poetica italiana. Se all’apparenza la forma del sonetto, praticata con tanta parsimonia dalla poesia contemporanea, tradisce una qualche resistenza agli stilemi della modernità, se il suo linguaggio prezioso si sottrae alla colloquialità imperante, alla tendenza, tutta contemporanea, di trascinare l’impoetico fin nel midollo della scrittura, certo è nella limpidezza della visione, nella purezza dello sguardo che si misura la profondità della parola di Valentini.

Basterebbe da sola, a conferma di questo assunto, la lettura del denso poemetto iniziale in cui il poeta si confronta con un tema tanto caro ai contemporanei, quello della città, e non una città qualsiasi, ma quella Milano che già ha conosciuto troppe demonizzazioni e sacralizzazioni, che già è ricaduta su troppe pagine con il respiro metallico delle sue peri ferie, con la malinconia grigia dei suoi viali, con la sua anima d’asfalto. Eppure il Vangelo meneghino di Valentini, così distante dal catalogo dei miti moderni e postmoderni, restituisce proprio attraverso quello sguardo la vertigine della città, accoglie in una sola visione tutta la geografia dei suoi luoghi muovendosi dalla facciata austera di Sant’Ambrogio fino al “rossore” dei mattoni di Sant’Eustorgio, dalla quiete irreale dell’abbazia di Chiaravalle fino ai viali sgombri delle periferie, tracciando il percorso delle filovie o tentando l’itinerario 83

degli uccelli che si muovono nel suo cielo plumbeo, restando sospeso appena sopra il profilo dei palazzi o scivolando lungo i portici, sui marciapiedi, tra i ponti che tagliano i navigli.

Così squarciando il muro di nebbia, la consistenza rarefatta delle brume, si materializza il paesaggio della città che pare quasi una massa granitica appoggiata su un universo liquido, sulle acque che scorrono sotterranee e ricongiungono in un solo gesto le rogge che delimitano i suoi confini, là dove i palazzi tornano a farsi terra, e l’immobilità stagnante dei suoi canali, che percorrono come arterie impazzite il suo sottosuolo per ritrovare la luce in una fontanella nell’ombra. E le voci, gli sguardi, i volti dei tanti che si affollano lungo le sue strade, che si muovono come fantasmi nel buio dei suoi porticati diventano parte del paesaggio, si fanno pietra anche loro, si dissolvono nella simmetria muta delle facciate. Un’icasticità visiva che torna negli splendidi affreschi dei Versi liguri, nei quadretti che ritraggono le scogliere pietrose delle Cinque terre che si tuffano nell’argento del mare, le casupole scavate nella roccia che scompaiono inghiottite dal folto della macchia o ancora nei chiaroscuri della Sicilia, nella sua vegetazione, fitta di zagare e ginestre, nella solitudine dei suoi muriccioli a secco che segnano il confine con il mare.

Eppure, se la traccia umana è ridotta a una comparsa dentro l’universo naturale della poesia di Valentini, se le voci non sanno staccarsi dalla superficie, altrove il dialogo si fa più serrato e riscopre i toni dell’elegia amorosa, declina nella forma lieve del sonetto il topos dell’amor de lohn. La donna, sorpresa nei suoi gesti minimi, ritratta nelle sue movenze lente è una figura quasi incorporea che svela solo per lacerti la sua veste carna-le, un angelo beatifico sempre in procinto di dileguarsi, una musa silenziosa a cui il poeta scioglie il suo 84

canto. Il suo «smalto d’aurora», la sua «vestaglia» appena scostata, la sua nudità casta illuminata da una collana d’argento, mentre dorme e si lascia guardare nel bianco scomposto delle lenzuola, sono tutte tracce, segni dell’inafferrabilità delle cose umane, sintomi dell’ineffabilità della vita e della morte.

Certo quando il dialogo trascende l’imitazione dei modelli – tutti assolutamente sorvegliati e rinverditi in una scrittura personalissima – allora l’intonazione si fa ancora più autentica, più sentita. La figura femminile, così eterea e imprendibile nella sua inconsistenza, si incarna in quella della madre a cui Valentini dedica l’epilogo di questo libro. Alla madre torna, come un bambino, con le inquietudini e gli struggimenti dell’uomo, a quella madre riapparsa tra i flussi limacciosi del mare, riaffacciatasi alla memoria d’un balzo, a quella madre lontana eppure eternamente presente in tutta la sua grazia infinita.

Ora, se si volesse fare un bilancio su questo libro, soppesare la consistenza di quel titolo tanto insidioso e criptico, si dovrà ripensare a quanto si è detto: le brume, le nebbie da cui si erge nella sua maestosità barocca Milano con il suo carico di significati, con il suo “vangelo”, la “bruma” del ricordo, del tempo da cui salvare forse qualche scheggia, qualche ritaglio, la “bruma” che avvolge ogni cosa e che impedisce lo sguardo tanto che le epifanie mancano, e il “beneficio” è forse nella parola stessa, nel gesto della poesia che affonda nel limo della realtà, nello scavo dell’umano e del non umano che se non arriva al fondo, almeno restituisce il senso della ricerca.

Emanuele Spano

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INDICE Il beneficio delle brume VANGELO MENEGHINO ..................................................... 5 CRONACHE DI UNA SOMIGLIANZA (I-XVIII) ................. 17 EPIFANIE VACANTI Ricordo venturo .......................................................................... 39 Temporale a Gargnano ............................................................... 40 Forse ora comprendo ................................................................... 41 Sotto la neve ................................................................................ 42 VERSI LIGURI Corniglia ..................................................................................... 45 Rio Maggiore .............................................................................. 46 A Manarola ................................................................................. 47 A Vernazza ................................................................................. 48 Memorie del Levante ................................................................... 49 Sul litorale .................................................................................. 51 Eolie ............................................................................................ 52 Sicilia .......................................................................................... 53 Restano scorze sui campi ............................................................ 56 Sequenza ..................................................................................... 57 Fra le betulle ............................................................................... 58 87

IL CORDOGLIO DELLA CARNE (I-VIII) ............................ 57 Sera di San Lorenzo .................................................................... 69 E troppo illumina ........................................................................ 70 Ricordo panormita ...................................................................... 71 Forse è stato l’imporsi d’un sigillo .............................................. 72 TRE SONETTI A MIA MADRE (I-III) .................................. 75 Madre Onnipresente ................................................................... 80 Postfazione di Emanuele Spano ............................................... 83

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INTERSEZIONI Collana di varia diretta da Mauro Ferrari 77. Fabio Vallieri, Cutter (Ciò che si insinua), Prefazione di Fabrizio Lombardo, pp. 56, € 10,00 ISBN 978-88-31428-86-6 78. Fausto Celeghin, Le flâneur, Prefazione di Alessandro Fo, pp. 80, € 12,00 ISBN 978-88-31428-87-3 79. Giuseppe Zoppelli, Km. 0, Prefazione di Ivan Fedeli, Nota di Mauro Ferrari, pp. 102, € 15,00 ISBN 978-88-31428-88-0 80. Giorgio Gramolini, Vita breve, Prefazione di Dario Stanca, pp. 100, € 15,00 ISBN 978-88-31428-89-7 81. Alessio Amadori, VocaVERBOlario, Nota dell’Autore, Nota di Mauro Ferrari, pp. 64, € 12,00 ISBN 978-88-31428-90-3 82. Paolo Bartalini, Innocue tattiche, Nota di Mauro Ferrari, pp. 76, € 12,00 ISBN 978-88-31428-91-0 83. Vito Giuliana, Stagioni. Cento haiku, pp. 120, € 15,00 ISBN 978-88-31428-92-7 84. Leila Falà Magnini, Rumore di fondo, Prefazione di Ivan Fedeli, Postfazione di Maria Luisa Vezzali, pp. 96, € 12,00 ISBN 978-88-31428-93-4 85. Patrizia Bambini, La luce imperfetta, Prefazione di Mauro Macario, Postfazione di Francesco Zanoncelli, pp. 48, € 10,00 ISBN 978-88-31428-94-1 86. Henry Ariemma, Dodici cammini cosmici, Prefazione di Alessandro Carrera, pp. 64, € 12,00 ISBN 978-88-31428-95-8 87. Luisa Trimarchi, Storia della bambina infranta. Dialoghi nudi, pp. 92, € 12,00 ISBN 978-88-31428-96-5 88. Valeria Raimondi, Io no (ex-io), Prefazione di Alberto Mori, Postfazione di Maria Sardella, pp. 76, € 12,00 ISBN 978-88-31428-97-2 89. Roberto Valentini, Il beneficio delle brume, II edizione, Postfazione di Emanuele Spano, pp. 90, € 12,00 ISBN 978-88-6679-407-3 90. Alessandro Lanucara, Altri mari, Opera vincitrice del Premio Le occasioni 2023, pp. 64, € 12,00 ISBN 978-88-6679-409-7

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Giugno 2023 Stampato per conto di puntoacapo Editrice presso Universalbook srl C.da Cutura 236 - 87036 Rende (CS)

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