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1.5°: Target irraggiungibile?
Le lunghe discussioni e trattative che hanno animato il COP26 di Glasgow somigliano sempre più ad un gioco delle parti. Infatti gli attori di questa rappresentazione sanno benissimo che non c’è nessuna possibilità di mantenere il riscaldamento del pianeta entro 1.5° e che la riforestazione è una strategia controversa e inefficace.
Già qualche anno fa (2013) Thomas Stocker dell’Università di Berna ha pubblicato un breve lavoro su Science in cui dimostrava che già allora era impossibile rispettare il limite di 1.5°. Questo studio assume che ci sia una crescita nelle emissioni di anidride carbonica (CO2 ) ai tassi attuali - circa il 2% all’anno - seguita da una fase di decrescita variabile. Lo studio dimostra che partendo dal 2020 l’obiettivo di 1.5° era fuori portata. Il problema è che il riscaldamento globale dipende linearmente dalla quantità totale di CO2 immessa in atmosfera e cioè per ogni miliardo di tonnellate di carbonio (1Gt = Gigatonnellata) la Terra si scalda da 1 a 3 gradi.
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1Gt di carbonio equivale a circa 3.67 Gt di anidride carbonica. Ogni anno vengono emessi circa 40 miliardi di tonnellate di CO2 (40 Gt/anno) di cui la metà circa rimane in atmosfera. Attualmente ci sono circa 3100 miliardi di tonnellate di CO2 in atmosfera. Ed è chiaro che più tardi si iniziano le strategie di mitigazione più alta diventa la temperatura della Terra.
Inoltre alcune analisi economiche mostrano come il massimo tasso di riduzione non può superare il 5% all’anno per cui l’obiettivo di 1.5° non è attualmente raggiungibile (non lo era dal 2012) mentre quello di 2° non lo sarà dal 2027 e dal 2040 sarà fuori portata anche quello di 2.5°. Le obiezioni - alla fine accettate - di Cina e India rischiano di far scaldare il pianeta di circa 3°.
Le tecniche proposte, per quelle che si chiamano emissioni negative, sono innumerevoli ma le principali comprendono:
• Afforestazione e reforestazione
• Gestione delle superfici per aumentare il contenuto di carbonio nel suolo
• Produzione di bioenergia con cattura e stoccaggio del carbonio (BECCS)
• Miglioramento dell’erosione
• Cattura diretta della CO2 dall’aria e stoccaggio (DACCS)
• Fertilizzazione dell’oceano.
Ognuna di queste tecniche è in grado di assorbire da 1 a 4 Gt di carbonio all’anno, quindi di emissioni negative e ovviamente alcune di esse sono state sperimentate su piccola scala a scopo dimostrativo.
COP 26 ha deciso di fermare la deforestazione per il 2030 (che contribuisce da 2 a 7 Gt/anno di anidride carbonica) ma non ha preso decisioni sulla reforestazione o afforestazione. La differenza fra le due è che nel primo caso si interviene su aree già forestate mentre nel secondo caso si interviene per crescere nuove foreste. E questa è una tecnica che può assorbire fino a 10 Gt di CO2 se interessa circa il 60% della superfice coltivabile a livello globale. È chiaro che i suoi effetti non sono immediati bensì richiedono decine e decine di anni; inoltre essa è in competizione con l’uso delle superfici per la produzione di derrate alimentari.
La tecnica dell’aumento del contenuto di carbonio del suolo, nota anche come SOC (Soil Organic Carbon) può estrarre potenzialmente circa 0.5 Gt di carbonio mentre la tecnica più impegnativa é quella nota come BECSS (BioEnergy production with Carbon Capture and Storage). Quest’ultima prevede la “coltivazione” di
legname o comunque combustibile in cui la CO2 viene catturata con appositi filtri e stoccata con varie tecniche. In questo modo si ha una emissione negativa in quanto in fase di crescita si ha assorbimento di CO2 che non viene restituita durante la fase di combustione. Il problema con questa tecnica è che richiede quantità di energia proibitive e una superficie da afforestare equivalente alla superficie degli Stati Uniti. Senza contare il consumo di acqua e di fertilizzanti. Esistono poi tecniche che tendono a rimuovere l’anidride carbonica alle sorgenti o nei combustibili (Carbon Capture and Storage, CCS) oppure che processano direttamente l’aria estraendo da questa CO2 e la restituiscono “purificata” (Direct Air Carbon Capture and Storage, DACCS). La prima tecnica può essere usata solo sulle sorgenti e non sembra sia molto promettente mentre la seconda presenta problemi logistici non indifferenti.
Come si vede le probabilità di evitare un riscaldamento che non superi 1.5°C sono abbastanza scarse soprattutto perché manca la volontà politica di finanziarne la sperimentazione. Tipico poi è il caso della fertilizzazione dell’oceano. L’idea è quella di accelerare i processi di fotosintesi nell’oceano aumentando così l’assorbimento di CO2 dall’atmosfera. Questo si può fare fornendo i cosiddetti “nutrienti” all’oceano . L’ultimo esperimento di questo tipo è stato fatto nel 2012 usando il ferro come fertilizzante e dimostrando che la tecnica funziona. Si tratta comunque di esperimenti fatti prevalentemente da privati che non affrontano per il momento il vero problema delle implicazioni politiche. Queste tecniche sono estremamente complesse e solo alla portata di Paesi fortemente industrializzati e tecnologicamente avanzati. Una vasta applicazione di queste emissioni negative non farebbe che aggravare il gap fra il nord e il sud del Pianeta.
Infine, a margine del COP26 dobbiamo constatare ancora una volta che a prevalere è la retorica. A parte tutti i cavilli, la realtà è che non c’è al momento attuale nessun accordo che comporti un taglio immediato alle emissioni dei gas serra. La maggiore responsabilità di questo stato di cose è da attribuire agli Stati Uniti e alla Cina che non prendono decisioni nette per i loro interessi. Il caso è ancora più grave per gli USA perché come abbiamo visto il riscaldamento globale dipende dalla quantità totale dei gas emessi e quindi dall’accumulo storico. Anche se da qualche anno la Cina è il maggiore produttore di gas di serra, sono gli Stati Uniti che hanno la responsabilità maggiore nell’accumulo dei gas. Dai tempi del protocollo di Kioto (1997) si è sperato prima nel COP 15 (Copenhagen 2009) fino ad arrivare al Cop21 (Parigi 2015) che ha segnato una svolta formale soprattutto per l’impegno del Presidente Obama. Ma gli accordi di Parigi non sono vincolanti, come si è visto dai risultati del COP26. Il futuro non è roseo perché il prossimo anno si prevede in USA una perdita della maggioranza al Senato e un progressivo indebolimento della presidenza Biden. Con un ritorno di Trump o chi per esso le cose possono solo peggiorare.
Intanto nel nostro Paese seguitiamo ad attribuire ai cambiamenti climatici disgrazie come quelle successe in Sicilia e Sardegna dovute sì al cambiamento del clima ma in gran parte all’incuria dei beni comuni e alla vulnerabilità delle infrastrutture esistenti.
Guido Visconti