
5 minute read
Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine
Le neuroscienze hanno ormai da tempo assodato che la felicità ed il benessere non arrivano dall’esterno, meno che meno dall’abbondanza dei beni e dal consumismo compulsivo, ma piuttosto sono dimensioni da coltivare interiormente e alle quali l’individuo tende spontaneamente.
Ciò che spinge ogni individuo a scegliere un comportamento nasce dalle sue credenze e convinzioni più profonde che oltrepassano la logica della razionalità trovando fondamento nell’inconscio. Ma qual è la natura di queste credenze?
Advertisement
Le credenze sono delle generalizzazioni dedotte dal passato - motivo per cui i bambini non hanno credenze - caratterizzate da aspetti fondamentali:
• non le scegliamo consciamente
• sovente si basano su nostre errate interpretazioni di esperienze di vita appartenenti al passato
• una volta memorizzate nel cervello emotivo possono condizionare e limitare le nostre decisioni future.
Siamo spesso portati a credere che gli eventi esterni condizionino la nostra vita e che l’ambiente abbia un influsso determinante sulla nostra evoluzione.
In realtà non sono gli eventi esterni a modellarci, bensì le nostre credenze che nascono dal significato che noi diamo a tali eventi.
Il nostro cervello è una fabbrica a ciclo continuo di credenze.
Siamo soggetti ad una moltitudine di fattori che plasmano le nostre credenze. Partendo dai dati che raccogliamo coi nostri sensi, la nostra mente inizia spontaneamente a creare schemi ricorrenti per poi dotarli di un significato. Così gli schemi si trasformano in credenze. Una volta costruite le credenze, il cervello cerca prove a loro sostegno, il che lo incoraggia e rende le convinzioni ancora più radicate e, quindi, più immuni dagli strumenti educativi - conoscenza e consapevolezza - specie per chi non è disposto a prendere atto delle prove che le contraddicono.
Vi è poi da considerare che più abbiamo investito energie nervose e mentali in una credenza e più essa è duratura e appartenente a pieno titolo al mondo delle nostre granitiche certezze.
“Una volta costruite le nostre credenze, le difendiamo e le giustifichiamo tramite una vasta gamma di teorizzazioni intellettuali, argomentazioni persuasive e spiegazioni razionali. Prima arrivano le credenze, poi le spiegazioni” (Michael Shermer).
Il nostro cervello valuta le credenze e tende a classificarle come buone o cattive, a secondo della comodità e della convenienza che esse rappresentano per noi. L’evoluzione dei nostri istinti primordiali ci porta a fare gruppo con chi la pensa come noi e a demonizzare quelli che non la pensano come noi. Ne consegue che, quando entriamo in contatto con credenze diverse dalle nostre, siamo naturalmente portati alla diffidenza, a criticarle e a demolirle perché inconsistenti e “pericolose”.
Una tendenza questa che ci rende ancora più difficile cambiare idea a dispetto di ogni evidenza.
Le credenze spesso derivano dal modo in cui ci vengono presentate; tendiamo a trarre conclusioni, e conseguenti decisioni, diverse a seconda del modo in cui fruiamo delle informazioni con cui percepiamo la realtà.
In sintesi, le credenze sono il modo in cui ognuno di noi vede il mondo. Ognuno ha il suo mondo. Fino a qui, nulla da eccepire. Ma il fatto è che le credenze influenzano gli stati d’animo e, quindi, originano i nostri comportamenti; vale pertanto la pena di allenarsi a migliorare obiettività e fondatezza delle nostre credenze.
Cerchiamo di sfatare una diffusa credenza: la convinzione che noi percepiamo il mondo come è realmente.
Il modo in cui percepiamo il mondo rientra nel repertorio delle nostre difese. Le nostre difese preferite diventano abiti mentali; le difese che hanno successo diventano abitudine; l’abitudine crea lo stile di vita.
L’apparato mentale di un individuo è in parte il risultato delle sue strategie difensive, della sua corazza caratteriale. La corazza caratteriale è il lato di noi rivolto verso il mondo; noi tutti ne abbiamo una per poter difendere e affermare la nostra personalità.
Il modo specifico con cui una persona presta attenzione al mondo è di importanza decisiva per il suo intero modo di essere; questo è il senso quando affermiamo che la percezione modella il carattere.
Le nostre percezioni del mondo esterno sono quanto di meno oggettivo si possa immaginare.
Inoltre, la percezione è enormemente influenzata da ciò che non è tangibile.
La maggior parte di noi si percepisce con valori superiori alla media. Ciascuno di noi si considera unico; questa è la cosiddetta illusione di superiorità. Dato che la maggior parte di noi è convinta di essere superiore per molti aspetti agli altri e avendo una visione distorta della realtà, tendiamo ad identificare l’illusione di superiorità negli altri, non in noi stessi.
In sostanza, significa che abbiamo l’illusione di essere immuni alle illusioni.
Ma non è la percezione di per sé non ci inganna. Sono le nostre conclusioni a depistarci:
• estremamente soggettive e personali
• basate su differenti livelli di conoscenza
• elaborate secondo capacità del tutto soggettive di organizzare le informazioni.
In buona sostanza, ognuno di noi tende a percepire ciò che si aspetta di percepire; in altre parole non vediamo le cose per come sono ma le vediamo per come siamo noi, viziate da nostri desideri e aspettative.
L’unico valido antidoto alla nostra over-percezione è il costante esercizio dell’autoconsapevolezza.
Le credenze configurano le percezioni: quale che sia il nostro sistema di credenze – religioso, economico, politico, sociale – i bias cognitivi manipolano l’interpretazione delle informazioni in modo che corrispondano al mondo che vorremmo, e non necessariamente al mondo come é realmente.
Fondamento di tutti i pregiudizi è la rigidità (*). I rigidi perdono costantemente l’opportunità per crescere; infatti il pregiudizio impedisce di andare alla scoperta di ciò che non si conosce.
Un devastante effetto sociale del pregiudizio, dalle conseguenze a volte davvero pesanti, è che esso porta con sé una svalutazione marcatamente negativa degli altri. In pratica il pregiudizio funziona come un meccanismo di difesa con il quale attribuiamo ad altri quelle parti di noi che non riusciamo a riconoscere come proprie e che non riusciamo ad modificare/eliminare.
Anche in questo caso, una cultura adeguata è in grado di disinnescare i pregiudizi controllandone le pulsioni più profonde.
Fabrizio Favini
(*) “È più facile disintegrare l’atomo che un pregiudizio”. (Albert Einstein)