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Milano, la scuola della sostenibilità: un’idea che vale molto (e la lezione di Vaime)
aro Schiavi,
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Caro Schiavi, da un po’ di tempo tutti i media, implacabilmente, ci dicono che dobbiamo cambiare: sono in ballo le sorti del Pianeta e, quindi, la nostra stessa sopravvivenza. Milano si candida a capitale della transizione ambientale e l’Europa ci spinge in questa direzione, ma la grande criticità è che non siamo disposti, interessati, motivati a cambiare. Siamo diventati, soprattutto in Italia, vecchi, ipernutriti, rassegnati, indolenti, privi di stimoli. Come reagire? Dobbiamo, per prima cosa, capire tutti insieme dove ci troviamo sviluppando la consapevolezza sui problemi da affrontare ma, ancor prima, capire ben di più di noi stessi. Dobbiamo infatti fare chiarezza, sviluppando conoscenza — non tecnico-specialistica, bensì umanistica — per capire come ragioniamo, decidiamo, ci comportiamo. Questa strada è l’unica efficace per riuscire a cambiare i nostri stili di vita e salvare così il futuro. È sbagliato pensare di delegare alla tecnologia la soluzione di questi nostri problemi. È uno degli alibi più insidiosi. Se non sviluppiamo queste sensibilità/profondità, resteremo in superficie senza affrontare il problema alla radice. Con pesantissime conseguenze. Ma chi ci deve guidare su questi obiettivi? Al di là di ciascuno di noi, chi si deve impegnare sui risultati? Personalmente, col supporto di autorevoli personaggi, ho ideato la «Scuola per manager sostenibili» dove, ancor prima di quella ambientale ed economica, la Sostenibilità fondamentale è quella sociale. Ebbene, la stragrande parte delle aziende interpellate sostiene che la loro priorità è un’altra, che non si possono distrarre dagli obiettivi del budget e che l’idea è buona ma che avranno il tempo per pensarci, non ora. È l’ennesimo esempio del fatto che i buoni intendimenti restano sogni nel cassetto? Ma i sogni nel cassetto se li mangiano le tarme..., diceva l’arguto Enrico Vaime. Fabrizio Favini