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Scenari di guerra
Scenari di guerra
La storia economica italiana è caratterizzata da una continua alternanza: fasi di grande creatività e positività che portano ad importanti processi di accumulazione di capitale; e fasi di declino: l’accumulazione attira, infatti, l’attenzione e l’interesse di qualche potere interno o esterno o, spesso, misto, che espropria il popolo italiano dei frutti del buon lavoro svolto.
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Oggi siamo nella fase dell’esproprio che, pur tra alti e bassi congiunturali, è iniziato nel 1960. Ma come scrive Vasco Pratolini, nel finale del suo romanzo “Cronache di poveri amanti”: Gli italiani non lo sanno ma la loro forza segreta è quella di essere capaci di ricominciare sempre daccapo.
Noi proveniamo da una grande guerra industriale clamorosamente persa. Le nostre aziende private di dimensioni atte a partecipare alla competizione mondiale o sono sparite (come la Olivetti) o sono diventate apolidi e fuggiasche fiscali (come la Fiat) o sono diventate francesi (come la Edison) o tedesche (come la Italcementi) o cinesi (come la Pirelli). Le uniche che tengono botta sono le ex partecipazioni statali (Enel – Eni – Ex Finmeccanica).
Ma, come dice Prezzolini, abbiamo ricominciato daccapo. Dal grande inesauribile vivaio della piccola impresa, è emersa e cresciuta una nutrita pattuglia di medie imprese di grande qualità che si battono, con successo, sui mercati internazionali (come le statistiche dell’export inequivocabilmente dimostrano). Ciò è positivo e confortante e può rappresentare anche un indirizzo e una meta per le imprese minori, per quel continuo ricambio che il miglior presidente della Confindustria del dopoguerra, Angelo Costa, illustrò nel suo discorso di insediamento. Costa disse: Io non cercherò mai l’unanimità dei vostri consensi, perché so che il mondo dell’industria è troppo articolato e complesso per ciò e l’unanimità è impossibile o è un imbroglio; ma sappiate che il mio impegno è quello di lavorare per un sistema che permetta alle piccole imprese di diventare medie, alle medie di diventare grandi, alle grandi di sopravvivere e alle imprese ancora non nate di nascere.
Bei tempi quelli di Angelo Costa. Oggi è tutto il contrario. Oggi la cultura dominante, al di là della retorica, è profondamente ostile alle piccole imprese. Basta vedere come le sovraccaricano di pesi sempre più pesanti da portare; basta vedere l’ecatombe imprenditoriale che hanno accettato se non favorito negli ultimi dieci anni; basta vedere con quanta determinazione e superficialità hanno cercato di distruggere e far sparire quel bene importantissimo che erano e, per le sopravvissute, sono le banche minori territoriali.
Mi piacerebbe illustrarvi uno scenario più sereno e promettente, ma sarebbe un imbroglio. Lo scenario che abbiamo di fronte è di guerra, di grandi incertezze e di enormi fatiche. A questo dobbiamo prepararci.Tanti nemici sono esterni ma tanti, forse i maggiori e certamente i più pericolosi, sono all’interno del Paese come ha denunciato vigorosamente, nei giorni scorsi, anche Paolo Galassi presidente di API Lombardia. Prepararci, ma come?
Innanzi tutto, un piccolo imprenditore che vuole sopravvivere e magari crescere, non può essere una persona normale. Deve essere superpreparato, non bravo ma bravissimo. E non solo nel suo mestiere, ma in molte altre cose. Già lo scrisse nel primo libro di economia aziendale della storia italiana che, a mio giudizio, resta anche il libro migliore, che si intitola “L’Arte della Mercatura” del mercante ragusano, Benedetto Cotrugli, nel 1458. Analizzando le qualità che deve avere un buon mercante (così si chiamavano allora gli imprenditori) concluse dicendo che il buon mercante è uomo d’azione ma anche di studio: deve sapere “tutto quello che può sapere uno homo” e deve “ricordarsi delle cose passate, considerare le presenti, prevedere le future”.
In secondo luogo, il piccolo imprenditore deve conservare la sua identità e autonomia, perché è qui che si radica la sua forza, la sua creatività, la sua passione, ma deve sapere inserire sempre di più la sua azione in reti di territorio o di filiera in modo da non essere solo ma parte di reti o distretti. “Vae soli” dicevano i romani. E un grande proverbio siciliano dice: “uno da solo non va bene neanche in Paradiso” (Unu sulu nun è bunu mancu’n Paradiso).
In terzo luogo, il piccolo imprenditore deve impadronirsi rapidamente delle nuove tecnologie e di tutto quello che va sotto il nome di digitalizzazione. Per questo deve puntare sui giovani. L’ennesima dimostrazione di quanto arretrata sia la nostra classe di potere la trovo nella recente dichiarazione di Alessandra Perrazzelli, vicedirettore generale della Banca d’Italia che ha detto: (Il Sole 24 Ore, 5 ottobre 2019): per cogliere le nuove opportunità che le tecnologie recano con sé ”vi è ora la necessità che si avvii un nuovo ciclo di aggregazioni bancarie”. Sono incurabili. Non hanno ancora capito che le opportunità digitali sono aperte a tutti e non dipendono dalle dimensioni o dal capitale ma dalla cultura, dal cervello, dalla volontà, dalla flessibilità, dalla integrità. Le nuove tecnologie sono opportunità per i migliori, non per i più grandi. E non hanno ancora capito che la tentata distruzione delle banche di territorio, e in primo luogo delle Popolari, è stato un atto profondamente ostile all’Italia e alla sua struttura produttiva. Auspicano nuove aggregazioni bancarie quando l’Italia è già il Paese con la massima concentrazione degli attivi bancari.
In quarto luogo è necessario gestire con grande attenzione e competenza una cosa che, in genere, i piccoli imprenditori non amano: la finanza. Siamo in una fase storica dove ad una liquidità sovrabbondante di sistema, il credito per le piccole imprese diventa, giorno dopo giorno, sempre più difficile se non impossibile, e con le idee profondamente sbagliate che dominano in Banca d’Italia, e, ancor più, in BCE, sarà sempre peggio. Per questo la gestione della finanza e il saper usare tutti gli strumenti a disposizione è diventato essenziale.
Una volta un piccolo imprenditore di Buenos Aires mi illustrò la figura del piccolo imprenditore come la vedeva lui con questa immagine: il piccolo imprenditore - disse – è come un calciatore che batte il calcio d’angolo e deve subito correre al centro del campo per ricevere il pallone da lui stesso calciato. È così. E per questo si tratta di uno di quei raggruppamenti sociali eroici che tengono in piedi il Paese.
Mi dispiace di essere così negativo ma è meglio essere preparati al peggio, piuttosto che illudersi. Chi comanda in Italia è simile ai “signori” e ai papi che nel corso del 1500 invitavano gli eserciti francesi, spagnoli ed imperiali (con relativi lanzichenecchi) a saccheggiare l’Italia.
Marco Vitale
Relazione presentata all’incontro PMI, Pilastro dell’economia italiana - presso Banca Popolare del Lazio in data 25 Ottobre 2019.