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Intervista ad Alberto Bombassei - Presidente di Brembo spa
Intervista ad Alberto Bombassei Presidente di Brembo spa
Lei ha recentemente inaugurato il suo 5° stabilimento in Cina. Quali sono i fattori critici di successo di un’impresa globale qual è Brembo oggi?
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All’inizio della mia avventura imprenditoriale, più di 50 anni fa, la chiave del successo di Brembo fu scommettere su una tecnologia emergente, quella dei freni a disco, e investire nel suo sviluppo ogni risorsa economica e intellettuale. Da allora l’innovazione è rimasta la stella polare di ogni nostra scelta. Poi, la fortuna di poter fornire un team di Formula Uno è stato fondamentale per consentire a Brembo di misurarsi con la necessità di produrre freni dalle prestazioni d’eccellenza assoluta. Non solo ma di continuare a testarli nelle condizioni più estreme. È un’opportunità che ci diede Enzo Ferrari consentendoci di diventare fornitori delle sue monoposto da competizione. Quella straordinaria esperienza continua oggi con ormai moltissime delle scuderie della Formula Uno. Abbiamo così la possibilità di applicare le competenze maturate in un ambito tecnologico di livello assoluto come quello delle corse nel mercato delle auto stradali traducendole in prestazioni e sicurezza.
Più di recente un altro passaggio fondamentale è stato investire massicciamente sull’internazionalizzazione del nostro Gruppo. Abbiamo costruito nuovi stabilimenti in Europa, negli Stati Uniti, in Messico, in Cina e in India garantendoci la possibilità di trarre vantaggio dall’espansione di quei mercati. Questo ci ha consentito negli ultimi 10 anni di triplicare il nostro fatturato e di raggiungere dimensioni sufficienti per operare con efficienza in un mondo ormai integralmente globalizzato. Ma non possiamo fermarci e stiamo affrontando, come l’intero mondo dell’automotive, l’epocale rivoluzione del mondo della mobilità. Il passaggio progressivo ai veicoli elettrici è una sfida che anche noi dovremo affrontare e vincere.
Venendo all’Italia, Paese sempre più al centro dell’attenzione e delle critiche, cosa pensa di quelle riservate agli ultimi accordi con la Cina? Un’opportunità o un errore?
È stata molto criticata la firma del Memorandum of Understanding sulla Nuova Via delle Seta. La verità, a mio giudizio, è che si tratta di un grande progetto di interconnessione euroasiatica attraverso le reti infrastrutturali, le telecomunicazioni, i servizi di logistica e la localizzazione di impianti produttivi. Noi italiani abbiamo una possibilità importante, possiamo valorizzare la nostra posizione geografica e rappresentare un’importante porta di accesso ai mercati dell’Europa. Certo, occorre una politica coordinata dal Governo attraverso negoziati specifici che garantiscano la nostra sovranità e che incentivino joint venture tra gruppi di aziende italiane e singole aziende cinesi. Cassa Depositi e Prestiti può raccogliere sul mercato il capitale utile a finanziare le aziende italiane che vorranno essere della partita. Dopo decenni di difficoltà potremmo in tal modo riportare in Italia volumi importanti di attività che hanno progressivamente abbandonato i nostri scali e scelto i porti del Nord Europa, più efficienti dei nostri. La scommessa è che l’interconnessione euro-asiatica sviluppi un suo hub in Italia. Non dobbiamo aver paura. Possiamo farcela se ci organizziamo come sistema Paese.
I nostri ricercatori sono tra i più qualificati al mondo ma preferiscono lavorare in altri Paesi. Se lei fosse il Ministro dello Sviluppo Economico cosa farebbe per avviare un modello di fattiva collaborazione tra il sistema della ricerca, le imprese e le istituzioni?
Per fortuna non sono Ministro dello Sviluppo Economico ma sono un imprenditore e più che dare consigli mi viene naturale fare le cose. Se mi chiede qual è il mio modello non posso che proporre quello che abbiamo promosso e sviluppato nel nostro territorio, il Kilometro Rosso. È un parco scientifico che fa dell’innovazione la sua dottrina e della condivisione una regola. È uno dei principali distretti europei dell’innovazione, un luogo di incontro tra ricerca e impresa che ha come primo obiettivo quello di creare sinergie tra attività imprenditoriali, centri di ricerca, laboratori, servizi professionali e alta formazione. Abbiamo fatto un grande sforzo, ma si può fare ancora molto. Chi viene a visitare il Kilometro Rosso oggi trova 60 aziende e 1700 persone tra addetti e ricercatori. Abbiamo depositato 58 brevetti solo nel 2018, e promosso 23 progetti di R&S già finanziati spesso anche con fondi regionali nazionali e soprattutto europei. E se il Ministro dello Sviluppo Economico volesse trarne spunti e idee dal nostro lavoro saremmo lieti di ospitarlo in ogni momento.
Cinque anni in parlamento tra le file di Scelta Civica. Cosa le ha insegnato questa esperienza? Perché l’Imprenditoria italiana e la Politica italiana non riescono a collaborare?
Ho accettato la canditura alle elezioni politiche del 2013 per spirito di servizio. Ho pensato di poter essere utile al mio Paese dall’interno delle istituzioni. È stato molto difficile, come per molti imprenditori prima di me. Chi è abituato a prendere decisioni e a verificarne l’efficacia in tempi brevi fatica a fare propria le liturgie e i tempi morti dell’Aula. Ma forse la vera politica la si fa nelle commissioni dove si affrontano i temi reali. E in quell’ambito ho provato a dare il mio contributo. E forse grazie a un Ministro come Calenda è stato possibile dimostrare che le istanze del mondo dell’impresa possono essere ben tradotte da amministratori pubblici che fanno della competenza il loro punto di forza. Il Piano Industria 4.0 è stato di fondamentale importanza per l’indispensabile digitalizzazione del sistema produttivo italiano. Certo a fine mandato ho scelto di non ricandidarmi ma non posso dire che sia stata un’esperienza solo negativa, qualche buon risultato credo di averlo raggiunto anche in questa prova.
I così detti “corpi intermedi” manifestano segnali non più occultabili di sofferenza: la loro malattia li condurrà all’estinzione? Quale (ragionevole) futuro per Confindustria e per il Sindacato? Come dovrebbero cambiare e in che direzione per svolgere ancora un ruolo propulsivo nella nostra Società?
Con l’ascesa della democrazia diretta e con l’identificazione di ciascun partito più con il suo leader che con le idee di cui è portatore, rappresentare il mondo del lavoro e quello dell’impresa è stato in questi anni oggettivamente più difficile. La Politica preferisce le semplificazioni e tende a sfuggire all’approfondimento. Pare che a volte giudichi la competenza un impedimento più che un valore. Certo la crisi della rappresentanza passa anche per la difficoltà delle sigle sindacali così come delle associazioni datoriali di comprendere che i tempi stavano cambiando radicalmente e in fretta. Fatta questa premessa io credo che i corpi intermedi debbano avere un ruolo centrale nella società e siano indispensabili per aiutare gli amministratori a capire le esigenze dell’economia. Non solo, le novità che derivano dalla digitalizzazione dei processi produttivi impongono una stretta collaborazione tra lavoro e imprenditoria. La contrapposizione storica è stata ormai sostituita dalla comune coscienza di perseguire gli stessi obiettivi. La formazione continua è davvero una necessità per le imprese e un obbligo per i lavoratori. Non sono pessimista e credo che la lezione sia servita a imboccare la strada giusta. Gli esempi cominciano a esserci.
Abbiamo preso in prestito il Pianeta dai nostri padri. Come lo restituiremo ai nostri figli?
Se parole come green e blue economy, economia circolare, sostenibilità da suggestive opportunità si tradurranno sempre di più in importanti generatori di valore aggiunto, possiamo sperare di superare questa fase difficilissima della storia. E possiamo davvero ricominciare a poter promettere alle prossime generazioni quello che il futuro è stato per noi: speranza nel progresso lontano dalla paura. Come sempre mi sembra giusto cominciare dalle cose su possiamo intervenire direttamente. La ricerca Brembo è orientata con investimenti sempre maggiori a ridurre drasticamente gli effetti che l’utilizzo del nostro prodotto e la sua produzione determina sull’ambiente. Non si tratta solo di responsabilità; sempre più spesso, chi non si comporta così viene marginalizzato dal mercato. Come sempre è bene che al giusto si affianchi l’utile.
A cura di Fabrizio Favini. Si ringrazia Giorgio Maugini per la preziosa collaborazione