7 minute read

Intervista a AlbertoRocca

Direttore Pinacoteca Ambrosiana

Monsignor Alberto Rocca, Dottore della Veneranda Biblioteca Ambrosiana e Direttore dell’omonima Pinacoteca in Milano, lei è il curatore di una straordinaria collezione di capolavori lasciatici da Leonardo, Raffaello, Botticelli, Caravaggio, solo per citare alcuni dei grandi geni del Rinascimento Italiano. Come ci si sente ad essere immersi nella bellezza, nell’armonia, nell’eccellenza umana – dimensioni che muovono il mondo? Ci racconti la sua storia.

Advertisement

Essere Dottore dell’Ambrosiana è un privilegio al quale è impossibile abituarsi, allorché si considerino il suo patrimonio e la sua storia o si guardino i ritratti dei propri predecessori: non senza imbarazzo e soggezione ci si siede ai tavoli sui quali hanno studiato e lavorato Antonio Ludovico Muratori, Angelo Maj, Achille Ratti, Giovanni Galbiati, per citare solo quattro dei numerosi protagonisti di un’avventura culturale straordinaria avviata dal cardinale Federico Borromeo nel 1604, anno della fondazione del Collegio dei Dottori.

Il privilegio è tale da non poter cedere ad alcun sentimento di orgoglio, soprattutto se si è consapevoli dei compiti affidati dallo Statuto: custodire, studiare, valorizzare e promuovere, secondo le indicazioni dell’Eminentissimo Fondatore - il Cardinale Federico Borromeo - un tesoro inestimabile.

Non si sceglie di diventare Dottore del Collegio, ma si accede per cooptazione, inizialmente per un periodo di prova di cinque anni, prima di essere eletti all’ordinariato. La selezione avviene ancora secondo le indicazioni codificate in alcuni trattatelli del Borromeo, che prevedono che il candidato sia conosciuto da tempo e quasi “messo alla prova” per verificare sue disposizioni al lavoro intellettuale, non scevro dall’esigere volontà e dedizione. Io fui chiamato in Ambrosiana dal Prefetto mons. Franco Buzzi, che in seminario fu mio professore di Antropologia filosofica ed Epistemologia e confesso di essere rimasto incredulo per qualche settimana. Avevo appena concluso il Dottorato di ricerca presso la facoltà di storia dell’Università degli Studi di Milano: su consiglio del cardinale Martini, di sempre augusta memoria!, avevo intrapreso, dopo cinque anni felicissimi come prete d’oratorio, il percorso accademico per la laurea in storia moderna, al fine di dare una veste scientifica alla mia passione per la Chiesa anglicana, conosciuta per la frequentazione costante dell’Inghilterra a partire dai primi anni dell’adolescenza. Mi interessavano, in particolare, le speculazioni giuridiche, filosofiche e teologiche soggiacenti alla dottrina della supremazia regia, soprattutto in epoca Tudor. Il lungo lavoro per la tesi di laurea prima e di dottorato poi è stato ulteriormente ampliato per il mio volume: Il progetto politico-religioso di Richard Hooker. Supremazia regia ed ecclesiastical dominion.

Tra la laurea e l’inizio del corso di dottorato, per la lungimiranza del cardinale Tettamanzi, frequentai un master in relazioni internazionali all’Università di Cambridge. La mia specializzazione in storia era richiesta in Ambrosiana pensando soprattutto alla Classe di Studi Borromaici dell’Accademia Ambrosiana, erede della precedente Accademia di San Carlo, sorta su indicazione di Giovanni XXIII per lo studio del periodo borromaico; fermo restando il precipuo interesse per Carlo e Federico, la Classe, negli ultimi anni ha ampliato le ricerche su varie tematiche dell’età moderna. Nel 2014, il Collegio dei Dottori mi elesse Direttore della Pinacoteca, considerati gli studi di storia dell’arte compiuti frequentando il corso di laurea in storia moderna. Nel 2013, avvenne un viaggio che aprì per me un percorso totalmente inatteso: l’Ambrosiana organizzò un’importante mostra di circa centoventi opere al Metropolitan Museum di Tokyo, mostra della quale fui co-curatore per l’allestimento: fu l’occasione non solo per incontrare il Giappone, ma per rimanerne a tal punto affascinato da muovermi a formulare un progetto di studio della lingua giapponese finalizzato a una conoscenza scientifica dell’universo religioso-spirituale dell’arcipelago nipponico; considerato che l’Accademia Ambrosiana ha una Classe di Studi Orientali con una sezione giapponese, il Collegio approvò il piano di studi e da allora questo nuovo percorso si è aggiunto alle altre attività.

Nel 1618 il Cardinale Federico Borromeo fondò la Pinacoteca Ambrosiana donandole la sua collezione di dipinti, statue e disegni. Cosa possiamo tuttora imparare da questo straordinario mecenate?

Dato che lei è anche Direttore della Classe degli Studi Borromaici, quali altri insegnamenti possiamo apprendere dal Borromeo per meglio ispirare la nostra condizione umana?

Il progetto culturale di Federico Borromeo fu una vera e propria intrapresa, della quale la creazione della Pinacoteca – il Musaeum come lo chiamava il Fondatore – non fu che una seconda e più contenuta parte. Il primo atto fondamentale fu la fondazione della Biblioteca, nel 1607, che venne corredata di 30mila volumi a stampa e più di 10mila manoscritti reperiti in tutti i più significativi luoghi d’Europa e del Mediterraneo, tutti acquistati col patrimonio personale del Borromeo, così come a sue spese venne costruito l’edificio della Biblioteca, secondo criteri innovativi per l’epoca. In una città opulenta, nella quale gli studi più perseguiti erano quelli di medicina o di giurisprudenza “al fine di far danari”, dove i nobili si interessavano solo “ di cani e cavalli” - sono parole del Borromeo - l’arcivescovo milanese voleva creare un’oasi di cultura, dove gli assetati del vero e del bello potessero appagare la propria sete: non per nulla simbolo dell’Ambrosiana è la grande fontana in forma di palma che tuttora si può ammirare all’ingresso della Pinacoteca, in cima allo scalone di ingresso.

Studi eseguiti ai massimi livelli, in molteplici discipline e svariate lingue antiche e moderne, al fine di creare relazioni e rapporti tra culture e popoli diversi, nella consapevolezza che il sapere non ha confini e, se perseguito con onestà intellettuale, non conosce vincoli o censure di sorta. Una delle indicazioni date ai Dottori che trovo più significative è quella di mantenere costanti rapporti con le grandi menti di ogni nazione, senza rinchiudersi in chiusure preconcette al fine di favorire così un comune avanzamento del sapere e della civiltà.

A tutt’oggi il progetto federiciano non solo mantiene tutto il suo smalto, ma si rivela essere di immensa attualità: mentre per le discipline scientifiche e la tecnologia giustamente si investono immensi capitali, ciò non avviene se non in modo sporadico per la cultura, con effetti che sono sotto gli occhi di tutti.

Secondo lei perché noi italiani da sempre realizziamo eccellenze ma non abbiamo ancora imparato a raccontarle al mondo?

Molte persone mi chiedono come mai gli italiani non siano capaci di raccontare il proprio patrimonio al mondo e devo confessare che la domanda mi lascia sempre un po’ stupito, ben conoscendo gli sforzi e gli investimenti che l’Ambrosiana e moltissime eccellenze italiane compiono per farsi conoscere. Per quanto riguarda la nostra Istituzione, non manca mai di sorprendermi il fatto che l’Ambrosiana sia più conosciuta all’estero che non in Italia.

Non sappiamo comunicare? Tutto è perfettibile, ma sono anche convinto che nessuna campagna pubblicitaria potrà rimediare alla mancanza della curiositas, la qualità che tanto caratterizzò Federico Borromeo e fu all’inizio dell’opera da lui iniziata e che ancora oggi prosegue vigorosa.

A che punto sono i lavori di restauro del Cartone di Raffaello? Come nasce storicamente questo capolavoro, sconosciuto ai molti?

Nel 2019, dopo quattro anni di un impegnativo lavoro di restauro è stata inaugurata la Sala del Cartone di Raffaello, con il cartone preparatorio per la Scuola di Atene nella Stanza della Segnatura in Vaticano, il più grande cartone rinascimentale a noi giunto, interamente per mano di Raffaello. Grazie al fondamentale sostegno dell’Ente Fiera, si è operata una campagna informativa ai massimi livelli, con le migliori competenze; non si può davvero dire che non si sia fatto tutto ciò che andava fatto; eppure, ci sono ancora milanesi che non sanno dove sia l’Ambrosiana e che essa conservi una delle più straordinarie opere grafiche del mondo.

A cura di Fabrizio Favini

This article is from: