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L’Unione europea e la sfida dell’autonomia

Il simbolo dell’euro davanti alla sede della Banca centrale europea a Francoforte (Mika Baumeister/Unsplash).

Da diverso tempo in Unione europea sta prendendo piede il dibattito sulla cosiddetta «autonomia strategica», un concetto alquanto aperto e generale (1) che, in sostanza, dovrebbe permettere all’UE di poter essere capace, in futuro, di agire esternamente e internamente anche senza l’appoggio di eventuali partner internazionali. Questo concetto, alquanto immediato in linea teorica, è più complesso da declinare in termini pratici, e non solo per la dimensione «strategica» (ovvero di sicurezza e difesa) comunitaria. Il dibattito sull’autonomia strategica, a sua volta, è figlio di alcuni profondi cambiamenti geopolitici nel vicinato europeo che hanno reso Bruxelles più consapevole di alcune sue vulnerabilità. La futura autonomia strategica dell’UE sarà il frutto delle riflessioni sui cambiamenti complessi che stanno riguardando tutto il Vecchio continente, e non si può più analizzare con prese di posizione ideologiche («pro» o «contro») senza valutarne le ricadute strategiche, geopolitiche ma anche economiche e industriali. Per quanto ancora «in divenire», il dibattito sull’autonomia strategica si preannuncia come un argomento di primaria importanza nello scenario europeo.

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Il contesto del cambiamento europeo

I fattori che stanno spingendo l’Unione europea (e gli Stati membri) a cercare un approccio più «autonomo» si possono sostanzialmente dividere in tre tipi di categorie, ovvero fattori esterni, interni e più specifici (ovvero più legati alla dimensione della sicurezza e difesa). La somma di questi elementi fa intravedere un contesto geopolitico fragile e incerto, nel quale all’UE (e ai suoi organi decisionali) viene chiesto di essere capace di «fare da sola» o quantomeno «essere autonoma» in tutto un insieme di campi in cui prima era più dipendente da partner e alleati. Naturalmente non tutti i fattori sono percepiti allo stesso modo nei vari Stati membri. I fattori esterni riguardano il contesto in cui l’UE è inserita e che, negli ultimi anni, si è notevolmente complicato, toccando quasi tutto il near abroad europeo, ovvero: — Russia/Crimea: l’occupazione manu militari della Crimea ha rinfocolato, soprattutto nella parte orientale dell’UE, la preoccupazione per le manovre di Mosca, già percepite come offensive negli Stati ex-membri dell’Unione Sovietica (come i paesi baltici) o in Polonia. Successivi episodi, quali il tentato assassinio di Skripal (2) in Gran Bretagna, la disinformazione di cui i media russi sono accusati o il recente caso Navalny (ennesimo oppositore «perseguitato» dal governo di Mosca) hanno solo contributo a peggiorare i rapporti con la Russia, e quindi (ri)accendendo antichi sospetti dell’era della Guerra Fredda; — Medio Oriente e Mediterraneo: la maggior preoccupazione per gli Stati meridionali dell’UE è la fragilità del contesto mediterraneo, ormai sotto gli occhi di tutti. A dieci anni dalle «primavere arabe» la «sponda Sud» è ben lungi dall’essere stabilizzata, mentre la ferita del conflitto in Siria e Iraq rimane ancora aperta.

(*) Classe 1983, lavora al Parlamento europeo, a Bruxelles. Dopo la laurea in giurisprudenza cum laude ha proseguito gli studi con un dottorato finanziato da SMD nell’ambito del quale ha frequentato l’Istituto Alti Studi Difesa a Roma. Successivamente, ha lavorato presso il Senato della Repubblica e per molti anni al Centro Militare di Studi Strategici, dove si è occupato di Difesa europea e poi di Asia Pacifica. Ha all’attivo diversi articoli e monografie, e ha svolto lezioni in atenei e presso Forze armate italiane e straniere. Collabora con Rivista Marittima dal 2015.

Più a est, nel c.d. «Mediterraneo allargato» si intravedono altre aree critiche (penisola arabica, Iran, Afghanistan) che non migliorano la percezione di sicurezza del fianco sud-est dell’UE; — Turchia: il complesso rapporto UE-Turchia ha uno status particolare, se non altro perché Ankara, almeno formalmente, ha ancora aperto il processo di adesione all’Unione europea, oltre a importanti rapporti commerciali e a livello di minoranze turche presenti in molti Stati membri. I recenti rapporti fra alcuni Stati membri e la Turchia sono stati talmente «idilliaci» che non si può omettere di citare la drammatica polemica esplosa fra i presidenti Macron ed Erdogan («spero che la Francia si liberi di Macron» citava France 24 riguardo al presidente turco) (3) a dicembre 2020, i problemi legati al conflitto Armenia/Azerbaijan, le questioni navali nel Mediterraneo (incluse le tensioni con Cipro e la Grecia) o l’attivismo turco in Libia, solo per fare esempi noti. La Turchia, partner importante per l’UE, i cui spazi di inclusione nella costruzione europea vanno in un certo qual modo sempre più restringendosi; — Artico: la sfida artica rappresenta un’altra possibile fonte di contenziosi non solo con la Russia, che costeggia buona parte del Polo Nord, ma anche con altri attori, quali la Cina, per il controllo delle linee marittime ma anche delle risorse; — Brexit: l’uscita della Gran Bretagna è stata un evento traumatico per l’Europa, anche questo spesso vissuto più con un approccio ideologico («pro/contro») che con il necessario pragmatismo. Nel primo anno di «uscita» della Gran Bretagna non sono mancate frizioni e scontri, anche a livello diplomatico (4); eppure, al di là degli screzi, Londra resta un partnermilitare e industriale di primissimo piano per l’Unione europea, e soprattutto per alcuni dei suoi Stati membri; — NATO: la celebre frase del presidente Macron sull’Alleanza Atlantica («morte celebrale») (5), per quanto di due anni fa, è indicativa di come anche il solido rapporto che esisteva fra l’Europa e la NATO si sia, in qualche modo, usurato. Permangono negli Stati membri percezioni diverse riguardo all’Alleanza Atlantica e al suo ruolo futuro ma, in ogni caso, è chiaro che il ruolo dell’Alleanza vada rilanciato («revitalizzato», nelle recenti parole del segretario di Stato statunitense) (6) nei prossimi anni, anche in parallelo a un rafforzamento delle capacità militari UE;

— Stati Uniti: al di là della retorica di facciata, gli anni della presidenza Trump hanno in qualche modo «raffreddato» il clima fra le due sponde dell’Atlantico, anche se ogni amministrazione americana ha sottolineato — con toni e argomentazioni diverse — la necessità che gli europei aumentassero il loro livello di impegno nel settore della sicurezza e difesa. La nuova amministrazione Biden, per quanto abbia ammorbidito i suoi toni nei confronti di Bruxelles, non ha però segnato la cessazione delle intenzioni europee di rafforzare la propria sicurezza e difesa; — vaccini e pandemia: le grandi difficoltà emerse in Europa riguardo ai vaccini e alla loro produzione hanno spinto diversi Stati membri a orientarsi verso scelte extraeuropee (indebolendo così l’unitarietà di sforzi inizialmente auspicata da Bruxelles) o semplicemente ad aspettare le dosi, causando accesi dibattiti. Per quanto non si tratti di un tema di sicurezza e difesa in senso stretto, la sfida vaccinale ha assunto ormai una dimensione strategica per tutto il continente; — la crescita delle tensioni fra Stati Uniti, Russia e Cina evidenzia ancora di più le difficoltà dell’Unione europea a ritagliarsi un profilo «autonomo» in un ordine mondiale nel quale il multilateralismo sembra perdere sempre più appeal e margini d’azione.

Specularmente ai fattori esterni, ve ne sono altri definibili interni, ovvero: — migrazioni: la questione migratoria (risultato anche della destabilizzazione dei paesi vicini all’UE) è divenuta ormai un tema centrale in tutti gli Stati membri

«La ricerca di un maggior coordinamento nel settore della sicurezza e difesa è visto come un tassello essenziale per la futura autonomia strategica dell’UE» (fonte immagine:

rt.com).

dell’UE, senza peraltro che si sia potuti giungere a una vera risposta coordinata. La polarizzazione del dibattito su questo argomento continua ad alimentare divisioni nel blocco continentale; — terrorismo: il ripetersi di episodi efferati in molti paesi europei (oltre alla questione dei c.d. foreign fighters) ha profondamente inciso sulla percezione di sicurezza dei cittadini; — disinformazione/dominio cibernetico: per quanto non classificabili come una minaccia strettamente «interna», l’aumento di attività in questi domini è ormai interpretato come un fenomeno non più di sola rilevanza criminale, ma come una vera e propria forma di minaccia precisamente indirizzabile verso certi tipi di «bersagli», anche istituzionali, di primaria importanza. Per dare un’idea della delicatezza dell’argomento, basti pensare che lo stesso Parlamento europeo ha creato in questa legislatura una commissione temporanea che si occupa di «interferenze straniere» e disinformazione (Special Committee on Foreign Interference in all Democratic Processes in the EU, abbreviazione inglese INGE) (7); — tecnologia: rispetto ad altri player mondiali l’UE, per quanto disponga di una base tecnologica e di ricerca molto avanzata, rimane esposta a dipendenze nei confronti di tecnologie e fonti energetiche di paesi terzi; esiste infine un insieme terzo di fattori, più specificamente inerenti il settore della sicurezza e difesa, che riguardano intrinseche difficoltà di questo settore a livello europeo. Non ci sono solo i già menzionati problemi di tipo giuridico (l’UE ha competenze molto limitate) o i problemi fra gli Stati membri; se si scorrono i dati degli equipaggiamenti militari disponibili nei vari arsenali, è immediato riscontrare una notevole frammentazione delle tecnologie e dei sistemi d’arma a disposizione dei vari strumenti militari, nonché una debolezza intrinseca del mercato interno della difesa, ancora molto «nazionale» e poco «europeo». La ricerca di un maggior coordinamento nel settore della sicurezza e difesa è visto come un tassello essenziale per la futura autonomia strategica della UE. Per navigare in queste acque è logico che l’UE debba mettere in campo dei nuovi strumenti capaci di gestire un mondo che è molto cambiato in pochi anni. Ecco perché mentre si moltiplicano gli interrogativi, Bruxelles sta avviando una serie di riflessioni (e di conseguenti azioni) per rafforzare una propria capacità «autonoma» di azione in un mondo in cui la competizione e il disordine sembrano crescere invece che diminuire. L’autonomia strategica si dovrebbe porre come logica risposta a questi vari interrogativi.

Autonomia strategica «obiettivo numero uno della nostra generazione»: un’Europa solo

verde o ... verde militare?

Se si pensa al «cavallo di battaglia» per eccellenza dell’UE, ovvero al programma più importante presentato dalla Commissione europea, il riferimento non può che essere al c.d. «green deal», ovvero l’ambizioso piano con cui l’UE punta alla neutralità climatica nel 2050, attraverso un corposo insieme di atti normativi che andranno ad abbattere le emissioni responsabili dell’inquinamento (8). La sfida al cambiamento climatico, molto avvertita anche dalle opinioni pubbliche, è ormai un vero e proprio leitmotiv dell’UE, e ben si presta all’immagine multilaterale e ambientalista che è molto cara alla retorica ufficiale di Bruxelles. È perfettamente normale che le amministrazioni dell’UE concentrino il loro focus su azioni politiche che ritengono prioritarie; conseguentemente, per questo mandato (2019-24) sembra che la sfida «verde» sia la priorità della Commissione europea. Ma a latere del green deal e della cospicua retorica sull’ecologia, vanno anche evidenziati alcuni «nuovi» ambiti di intervento della Commissione che fino a pochi anni fa sarebbero stati considerati marginali o quasi accademici. I riferimenti sono sottili, e magari non così presenti nei media, ma inequivocabili. Ursula von der Leyen, per esempio, ha inaugurato il suo mandato dichiarando la volontà di avere una «Commissione

geopolitica» (9), ovvero con una forte attenzione alla dimensione esterna dell’UE; ma già nel precedente mandato (2014-19) non erano mancati diversi riferimenti dell’allora presidente Juncker a un’Europa «che difende e protegge», come da lui stesso affermato in un importante discorso del 2016 (10). E proprio dagli anni 2016-17 si può identificare un crescente aumento di dichiarazioni e iniziative a favore di una maggior «autonomia» dell’UE (anche) nel campo della sicurezza e della difesa, prima come noto tema escluso dal dibattito. Il concetto che riassume al meglio questo anelito comunitario è il termine «autonomia strategica», già inizialmente presente in alcuni documenti della precedente legislatura e oggi praticamente onnipresente nel dibattito delle istituzioni, tanto da essere stato chiamato «l’obiettivo numero uno della nostra generazione, il vero inizio dell’Europa del XXI secolo» (11) dal presidente del Consiglio Charles Michel. L’affermazione di questo concetto da parte di importanti figure di vertice europee e il parallelo emergere dello stesso dibattito anche in altre sedi (uno dei più forti sponsor di questo concetto è il presidente francese Macron) hanno «sdoganato» un argomento che per molti anni era solamente percepito come teorico. Grevi, per esempio, ricorda che già nella dichiarazione di St. Malo si affermava che «l’UE dovrebbe avere una capacità di azione autonoma, supportata da forze militari credibili» (12). Più recentemente, il concetto di «autonomia strategica» appare nella global strategy dell’Unione europea (2016) un documento politico, ma sul quale poi si orientano le scelte di politica estera di Bruxelles. Nel testo, viene indicato che «un livello appropriato di ambizione e di autonomia strategica è importante per la capacità dell’Europa di promuovere la pace e la sicurezza dentro e fuori i suoi confini», apparentemente legando il concetto dell’autonomia strategica alla dimensione più «militare» dell’Unione europea (13). Questa, a prima vista, può sembrare la soluzione più semplice per descrivere questo concetto: l’Unione europea ha sempre avuto un gap nella dimensione della sicurezza, e l’autonomia strategica si pone come la risposta a questo gap. Eppure, scorrendo diversi altri documenti e articoli in materia, si riscontra che all’apparente immediatezza del concetto non corrisponda un’automatica unanimità nella sua teorizzazione: anzi, le interpretazioni sono diverse, a partire dal nome stesso «autonomia strategica» («parole familiari di nuovo in voga in Europa, ma che causano confusione e, in certe parti, anche allarme», sottolinea Fiott) (14). La Francia (e lo stesso Macron), per esempio, preferisce parlare di «sovranità europea», anche se lo stesso Presidente francese, in un video pubblicato da Le Figaro nel 2020, afferma che l’autonomia strategica sia un mezzo per conseguire la sovranità europea (15). Al di là del dibattito sui nomi, però, resta il problema di «quali» obiettivi si ponga l’UE nel nome di questa autonomia e su quali ambiti si estenda. Il Green Deal con maggior visibilità e l'autonomia strategica in modo più defilato saranno, quindi, importanti politiche dell'attuale Commissione europea, e destinati anche a toccarsi in diversi punti, nonostante la loro apparente diversità.

Gli ambiti dell’autonomia strategica

Se il dibattito sull’autonomia strategica è già ampio e presente sia nel contesto accademico che istituzionale, occorre vedere come e dove si possano estrinsecare in futuro gli effetti di questa ambizione europea. Per comodità si possono riassumere in due ambiti: l’autonomia strategica nella sua dimensione geopolitica («autonomia» da chi, e per quale ruolo nello scenario globale?) e nella sua dimensione interna («autonomia strategica» solo nel settore della sicurezza e difesa?).

Il primo, di natura geopolitica, vede la progressiva «autonomizzazione» dell’UE come un processo per conseguire una «libertà di azione» a livello globale che fino a oggi non era possibile. Questo maggior margine di manovra, secondo le intenzioni di alcuni, va visto in chiave non di rivalità ma di affrancamento non solo da competitor come Russia e Cina, ma anche dagli Stati Uniti; anzi, molti accademici concordano come siano stati gli anni della presidenza Trump a confermare la necessità per l’UE di iniziare ad affrancarsi anche dagli Stati Uniti, pur mantenendo un legame privilegiato con Washington e, nel contempo, non rinunciando a un approccio multilaterale alle relazioni internazionali («il multilateralismo non solo è la “pietra angolare” delle politiche esterne europee [...] ma è un fattore identitario dell’Unione Europea» (16), ricorda O’Sullivan). L’UE, non per ora, non intende rinunciare al suo tradizionale approccio multilaterale, ma ha acquisito coscienza che, per incidere oltre le proprie frontiere, i mezzi «classici» finora utilizzati, incluso l’affidamento agli Stati Uniti come partner prin-

cipale per la propria sicurezza, potrebbero non bastare. terzi in piena pandemia (si pensi a mascherine, ventilatori L’UE sicuramente non si porrà come un attore unipolare, polmonari e dispositivi medicali, o ai vaccini), l’UE sconta né intende recidere i legami con gli Stati Uniti o la anche una serie di ritardi in settori cruciali per la ripresa. NATO; eppure, ormai «fare da soli» non è vista più come Nei settori industriali, per esempio, la dipendenza europea un’opzione di scuola a Bruxelles. Naturalmente, il dibat- da materiali critici (comprese le terre rare) e dalle batterie tito fra gli Stati membri è acceso; in un recente articolo è una seria ipoteca sul green deal, cardine politico-econoBrzozowski, per esempio, cita la preoccupazione di Ber- mico della Commissione presieduta da von der Leyen: lino («la sovranità europea non significa “Europa senza una completa e costante disponibilità di questi maFirst”») (17) sull’intenzione francese di procedere su una teriali (quasi tutti in mano a paesi terzi, o comunque forniti sovranità strategica «troppo esclusiva», che privi l’UE da paesi terzi), per esempio, l’elettrificazione e la decardel suo approccio cooperativo; altri Stati membri vedono bonizzazione potrebbero subire dei forti ritardi. Nel settore con freddezza questo «attivismo» europeo, o quantomeno tecnologico (per esempio il 5G), la stampa ha dato ampio lo tollerano finché non vada spazio alle critiche di alcuni a ledere i rapporti con Wa- Stati europei verso operatori shington o non intacchi telefonici accusati di essere troppo certe posizioni nazio- «controllati» da paesi terzi; lo nali (si pensi ai paesi nor- stesso commissario Breton dici). Altri infine contestano ha poi ribadito che «elementi la natura «protezionista» chiave per la sovranità digidell’autonomia strategica ri- tale [europea]» sono «tre pispetto alla classica «apertura lastri [...], computing power, al mercato» perseguita da controllo sui dati e sicurezza Bruxelles. Il piano geopoli- delle connessioni» (19). Nel tico dell’autonomia strate- settore energetico, la ridugica rimane quindi ancora zione della dipendenza da aperto e costellato da diversi interrogativi, in attesa di più La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen alla presentazione del cosiddetto «green deal» europeo (ispionline.it). fonti fossili (e la conseguente enfasi per l’elettrificazione e chiara determinazione. l’idrogeno) non ha solo una

È forse più semplice individuare gli assi portanti del se- valenza ambientale, ma è intesa anche a diminuire le vulcondo ambito, ovvero quello interno all’UE. Sebbene il nerabilità connesse ai paesi terzi fornitori. Nel settore comtermine «autonomia strategica» richiami una dimensione merciale online durante la pandemia si è fatta sentire la più «militare» o comunque legata alla difesa, è opinione mancanza di player mondiali di provenienza europea; e indiffusa che un’interpretazione così restrittiva sia da riget- fine, nel settore della sicurezza e difesa l’UE sta cercando tare, o quantomeno non abbracci tutto il vasto insieme di di incentivare la cooperazione industriale fra gli Stati con settori in cui questa autonomia possa essere declinata. un programma ad hoc detto Fondo Europeo per la Difesa Anzi, ricorda Lefebvre, il concetto di autonomia strategica (European Defence Fund o EDF), definito«un contributo indica «l’abilità di agire autonomamente quando e dove cruciale per l’autonomia strategica europea, per protegnecessario, e con dei partner quando possibile» (18), senza gere e difendere i cittadini» (20). implicazioni «militari» in senso stretto. Se la mancanza di «autonomia» europea nel settore della sicurezza e difesa è Sviluppi futuri forse una delle lacune più immediate, vi sono altrettanti Il cospicuo insieme di documenti accademici e i prinambiti in cui l’UE al momento si trova in condizioni di li- cipali interventi sul tema nelle sedi istituzionali nazionali mitati margini di azione. Senza scomodare le cronache re- e comunitarie confermano sempre più come l’autonomia centi, che hanno visto l’intera Europa dipendere da soggetti strategica e il complesso dibattito a essa connesso resterà

un elemento centrale di questa legislatura europea; in più, la predisposizione di appositi atti normativi (ius cogens) e quindi relativi stanziamenti dedicati a settori quali la difesa o altri che toccano temi cruciali per il futuro dell’economia europea (batterie, idrogeno o materiali critici, per esempio) indicano come a Bruxelles siano cambiati i tempi. Quello che prima era oggetto di teorie, oggi invece inizia a essere attuato con atti normativi e relativi fondi, segno di come la costruzione di una maggior «autonomia» europea sia, a suo modo, in moto. Naturalmente le dinamiche europee seguono cicli tendenzialmente lunghi, per cui le evoluzioni di oggi si potevano già «leggere» in controluce nelle attività della scorsa legislatura: programmi specifici per la difesa, come l’EDF, sono delle pietre miliari non solo per l’industria, ma proprio per l’affermazione «politica» dell’UE di iniziare a compiere un cammino capace di rafforzarla in molti comparti, per renderla più «autonoma» nelle sue decisioni. Le parole ambiziose espresse da molti leader europei e addirittura da figure di vertice degli Stati membri, però, devono scontrarsi con una realtà europea ancora alle prese con gli effetti della pandemia e forse disattenta alle molte implicazioni dell’autonomia strategica. Allo stesso tempo, accelerare troppo su questo crinale rischia di essere molto rischioso, perché non è un mistero che molti dei temi più cruciali dell’autonomia strategica toccano argomenti che gli Stati membri spesso e volentieri interpretano come loro «dominio riservato». È chiaro però che il dibattito sull’autonomia strategica e sul perseguimento di specifiche iniziative per tentare di colmare determinate lacune dell’UE è ormai avviato, e non toccherà solo tematiche strettamente connesse ai domini di sicurezza e difesa. Mentre gli scenari intorno al Vecchio continente cambiano con rapidità, toccherà anche agli Stati membri essere capaci di contare e contribuire a queste decisioni che l’Unione europea sta mettendo in campo. Se il green deal continuerà a catalizzare le attenzioni dell’opinione pubblica e della stampa, l’autonomia strategica (e le sue ambizioni), per quanto meno mediatica, rimarrà presente nelle agende di Bruxelles, e come tale andrà seguita con attenzione. 8

NOTE

(1) P. Tamma, Europe wants «strategic autonomy» - it just has to decide what that means, politico.eu, 15 ottobre 2020, www.politico.eu/article/europe-trade-wants-strategic-autonomy-decide-what-means. (2) M. Schwitrz, E. Barry, A Spy Story: Sergei Skripal Was a Little Fish. He Had a Big Enemy, New York Times, 9 settembre 2018, www.nytimes.com/2018/09/09/world/europe/sergei-skripal-russian-spy-poisoning.html. (3) France 24, Erdogan expresses hope that France will «get rid of Macron» as soon as possible, 4 dicembre 2020, www.france24.com/en/middle-east/20201204-erdogan-expresses-hope-that-france-will-get-rid-of-macron-as-soon-as-possible. (4) C. Ducortieux, J.P. Stroobants, Londres refuse le statut d’ambassadeur à l’émissaire de l’UE au Royaume-Uni, Le Monde, 22 gennaio 2021, www.lemonde.fr/international/article/2021/ 01/22/londres-refuse-le-statut-d-ambassadeur-a-l-emissaire-de-l-ue-au-Royaume-Uni_6067216_3210 .html. (5) The Economist, Emmanuel Macron warns Europe: NATO is becoming brain-dead, 7 novembre 2019, www.economist.com/europe/2019/11/07/emmanuel-macronwarns-europe-nato-is-becoming-brain-dead. (6) M. Peel, Blinken pledges to «revitalise» NATO in break with Trump-era tensions, Financial Times, 23 marzo 2021, www.ft.com/content/80256bb1-3ff7-402d-b45a4743dc206eb7. (7) European Parliament, New committees begin their work, 23 settembre 2020 www.europarl.europa.eu/news/en/press-room/20200918IPR87423/new-committees-begintheir -work. (8) European Commission, A European Green Deal, https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_en. (9) L. Bayer, Meet von der Leyen’s «geopolitical Commission», politico.eu, 4 dicembre 2019, www.politico.eu/article/meet-ursula-von-der-leyen-geopolitical-commission. (10) European Commission, Discours sur l’état de l’Union 2016: Vers une Europe meilleure - Une Europe qui protège, donne les moyens d’agir et défend, 14 settembre 2016, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/fr/SPEECH_16_3043. (11) European Council, Plan de relance: un plan pour l'autonomie stratégique de l’Europe Discours du Président du Conseil européen Charles Michel à l'occasion du Forum économique de Bruxelles, 8 settembre 2020, www.consilium.europa.eu/fr/press/press-releases/2020/09/08/recovery-plan-powering-europe-s-strategic-autonomy-speechby-president-charles-michel-at-the-brussels-economic-forum. (12) G. Grevi, Strategic autonomy for European choices: the key to Europe’s shaping power, European Policy Centre, 2019, p.10. (13) European Commission, European Union Global Strategy, 2016, https://eeas.europa.eu/archives/docs/top_stories/pdf/eugs_review_web.pdf. (14) D. Fiott, Strategic autonomy: towards «European sovereignty» in defence?, ISS, 2018. (15) Le Figaro, Emmanuel Macron: renforcer notre autonomie stratégique, 24 maggio 2020, https://video.lefigaro.fr/figaro/video/emmanuel-macron-renforcer-notre-autonomie-strategique/ 6151652923001. (16) D. O’Sullivan, The European Union and the multilateral system: lessons from past experience and future challenges, European Parliament Research Service, 2021, www.europarl.europa.eu/thinktank/en/document.html?reference=EPRS_BRI(2021)689365. (17) A. Brzozowski, EU should avoid «Europe First» approach, German FM says, Euractiv, 20 agosto 2020, www.euractiv.com/section/global-europe/news/eu-shouldavoid-europe-first-approach-german-fm-says. (18) M. Lefebvre, Europe as a power, European sovereignty, strategic autonomy: a debate that is moving towards an assertive Europe, European Issue 582, Fondazione Robert Schuman, 2021, www.robert-schuman.eu/en/european-issues/0582-europe-as-a-power-european-sovereignty-strategic-autonomy-a-debate-that-is-moving-towards-an. (19) EUROPEAN COMMISSION, Europe: the keys to sovereignty, 2020, https://ec.europa.eu/commission/commissioners/2019-2024/breton/announcements/europe-keys-sovereignty_en (20) European Commission, European Defence Fund, https://ec.europa.eu/growth/sectors/defence /european-defence-fund_en. Vi sono molte altre iniziative specifiche al settore della sicurezza e difesa, compreso il predecessore dell’EDF, ovvero l’European Defence Industrial Development Programme (EDIDP) o la Cooperazione Strutturata Permanente o PESCO. È interessante che proprio in vista di questi programmi specifici, e per proseguire in questo ambito, la Commissione europea abbia creato una Direzione Generale Industria e Spazio (DG Defis), https://ec.europa.eu/info/departments/defence-industry-and-space_en.