Cesar numero 13

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RIVISTA ONLINE 2015

N-13

Cultura Evoluzione Storia Archeologia e Arte Ricerca

Gioia Tauro (RC) 89013 RIVISTA ONLINE


Al Suono Delle Eolie

Al morir del suono delle Eolie Placa l’ira e dorme l’errante Odisseo. I Ciclopi dal Mongibello Lanciano incandescenti sassi, lapilli e sbuffano nubi nere, mentre le Sirene ammaliano i naviganti che osano varcare lo Stretto. Scilla e Cariddi Si guardano in cagnesco Nel tempo ,al pizzichìo delle Eolie, Omero canta, Vulcano e Stromboli chiamano il fratello Etna ed al risveglio trema Zancle e Rhegjon Soave tramonto al morir del suono delle Eolie! ROCCO GIUSEPPE TASSONE


INDICE

-VIAGGIO STORICO, ONOMASTICO E TOPOGRAFICO NELLA VALLE DEL TUCCIO MEDIOEVALE -CHE MERAVIGLIOSO GIARDINO!!

-PICCOLI PAESI DI CALABRIA “CANDIDONI” -LA X LEGIO FRETENSIS A LEUCOPETRA -CORRADO ALVARO -UN TORNESE INEDITO DELLA ZECCA DI CAMPOBASSO

PARLANDO DI UOMINI DI CULTURANOVOTA’ DAL.... ...LIBRI-ITALIA CONCORSI EVENTI-CESAR


VIAGGIO STORICO, ONOMASTICO E TOPOGRAFICO NELLA VALLE DEL TUCCIO MEDIOEVALE

Fig. 1 _ Locandina evento

Si è svolto il 17 ottobre 2015, presso la sala convegni della Porta del Parco Nazionale dell’Aspromonte nel comune di Bagaladi, in provincia di Reggio Calabria, un convegno dal titolo: “Valle Tuccio e i documenti greci di Medinaceli. Luoghi, società e lingua”. Il convegno è stato organizzato dal Comitato Permanente per gli Incontri di Studi Bizantini con il Laboratorio CROSS del Dipartimento PAU dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, in collaborazione con la Fondazione Mediterranea per la promozione e lo sviluppo dell’Area e della Città Metropolitana dello Stretto, l’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte e il Comune di Bagaladi. Inaspettato è stato il fluente numero del pubblico che con attenzione ha ascoltato e interagito con gli studiosi che hanno commentato i documenti ritrovati e conservati presso l’Archivo Generale della Fondazione Casa Ducale di Medinaceli a Toledo in Spagna con i risultati raggiunti nella conoscenza della Valle del Tuccio degli antichi toponimi e nel riconoscimento di quelli attuali, grazie all’osservazione della distribuzione delle famiglie nella valle durante il XII e il XIII secolo. A introdurre i lavori è stata l’architetto, professoressa Francesca Martorano, Direttore del Dipartimento PAU (Patrimonio, Architettura e Urbanistica) dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria che, dopo i saluti dei dirigenti dei vari Enti promotori dell’evento, ha presentato la studiosa Cristina Rognoni, oggi docente presso l’Università di Palermo, la quale ha esposto su “L’Archimandriato di Messina in Valle Tuccio: le testimonianze d’archivio”. La Rognoni è autrice di un proprio volume, dal titolo: “Les actes privés grecs de l’Archivo Ducal de Medinaceli, Tolède. II. La vallée du Tuccio: Calabre, XII - XIII siècle”, edito a Parigi nel 2011, con il quale rende noti per la prima volta cinquantatré documenti greci riguardanti la Valle del Melito in provincia di Reggio Calabria, Valle del Tuccio, nel Medioevo. 1


I documenti, migrati in Spagna nel 1679, provengono dall’archivio del monastero greco del Santissimo Salvatore di Messina, le cui strutture nel XVI secolo (1546) furono demolite e trasformate in fortificazione, il Forte San Salvatore. I documenti greci appartenenti al fondo ora denominato ‘Messina’ e confluito nell’archivio del casato spagnolo nel XVIII secolo sono a loro volta riconducibili a due fondi d’origine diversi: il più ricco, in termini quantitativi, comprende gli atti greci, pubblici e privati, emessi in favore dell’Archimandritato del San Salvatore di Messina, il secondo comprende quelli emessi in favore dell’Arcivescovato della città. Un numero ridotto di documenti privati, invece, non apparendo riconducibile né all’uno né all’altro dei due fondi d’appartenenza è stato collocato dai responsabili del catalogo sotto la dicitura ‘Varie. L’edizione dei documenti privati greci del fondo ‘Messina’ ha preso avvio anni fa, promossa e sollecitata da André Guillou, professore della Rognoni, che ha voluto accogliere i volumi nella collana Textes, Docu-ments, Études surle Monde Byzantin, Néohellénique et Balkanique, per le edizioni dell’Association Pierre Belon. Per un verso, si tratta dell’esito del lungo lavoro di trascrizione di tutti gli atti privati per un totale di centosessanta atti che la Rognoni completò di trascrivere al tempo del suo dottorato all’EHESS in Francia. La pubblicazione della trascrizione di questi documenti avvenne in ordine cronologico degli stessi, con tre volumi, Fig. 2 _ Da sx a dx prof.ssa Cristina Rognoni, prof.ssa UniPA e prof. editando gli atti rogati in Calabria in favore di quei ssa Francesca Martorano, quest’ultima direttore del Dipartimento monasteri di origine bizantina,indipendenti prima PAU dell’UniRC della fondazione del San Salvatore di Messina, voluta da Ruggero II nel 1131 e che andarono poi a far parte nel 1133 dell’Archimandritato del San Salvatore. Non si è risaliti a dove fossero conservati i documenti rogati a Tuccio, se presso l’economato preposto dell’archimandrita all’amministrazione della chora oppure nell’archivio dell’Archimandritato a Messina. Tuttavia, poiché fu certamente qui che confluirono, in momenti diversi, tutti gli atti riguardanti le proprietà che nel corso del tempo erano venute ad arricchire il patrimonio fondiario del San Salvatore, tra i documenti del dossier ‘Tuccio’ sono compresi anche gli atti privati destinati a quei cenobi siti nella Valle che, diretti da un loro igumeno e dotati di beni propri, per un certo periodo avevano conservato la loro autonomia. La Rognoni durante il convegno descrive il fondo per la Valle del Tuccio e afferma che è costituito da un dossier di cinquantatre documenti compresi in un arco di tempo che va dal 1137 al 1287, con una decisa concentrazione tra gli anni 1160-80 del XII secolo, e soltanto sei documenti datati al XIII secolo; ad eccezione di tre copie verosimilmente contemporanee, gli atti sono originali. Il codice Vat. Lat. 8201, l’inedito registro fatto copiare nel XVII secolo dall’erudito canonico siciliano Antonino Amico, che riproduce un buon numero di documenti greci, pubblici e privati,più spesso corredati della loro traduzione latina, ha trasmesso la copia di diciannove atti. I documenti sono inediti, ad eccezione di cinque atti di recente pubblicazione. Il negozio giuridico attestato è principalmente la vendita, mentre si conservano soltanto un atto di donazione, un testamento e due permute. I documenti sono fogli di pergamena di medio, ma anche di grande formato, normalmente di buona qualità e il cui stato di conservazione, successivo al lavoro di restauro eseguito agli inizi degli anni ’90, dalla società torinese Paolo Ferraris S.p.A., oggi è nel complesso molto buono.Il testo dei documenti si presenta ben centrato nei margini, e spazi osservati in testa e in calce al documento, tra signa e protocollo e tra escatocollo e sottoscrizioni. Queste non sempre sono autografe, ma la media di coloro che sapevano scrivere resta comunque alta. 2


L’inchiostro usato è in prevalenza di colore seppia o nero. Sul verso dei documenti si leggono: note archivistiche in greco e in latino, una cifra indicante una segnatura antica, la segnatura apposta in epoca moderna dagli archivisti spagnoli, costituita da un numero preceduto dalla sigla S, per Sicilia, mentre la segnatura attuale è rappresentata da un numero indicato nell’angolo inferiore sinistro. Le note in greco sono talvolta vergate dalla stessa mano che ha redatto il documento, più spesso da mani d’epoca difficilmente definibile ma non tarde, verosimilmente contemporanee al testo dell’atto. Esse testimoniano dell’attenzione prestata dal rubricatore al contenuto del documento di cui sono indicati normalmente l’autore e il negozio giuridico, l’entità del bene e la sua posizione topografica; due note, redatte da mani diverse e di epoca successiva alle precedenti, indicano la provenienza del documento.

Fig. 3 _ Sala convegni Porta del Parco Nazionale dell’Aspromonte, Bagaladi (RC), gremita di presenze per il convegno.

Le note in latino sono ugualmente descrittive del tenore dell’atto e risalgono a epoche diverse comprese tra il XIV e il XVII secolo. I documenti di Tuccio sono redatti principalmente da notarioi del clero secolare e regolare attivi presso la corte dell’archimandrita. Conosciamo così il nome di quattro di loro: Costantino, Costantino Rodocallo, Gregorio Figliodi Nicola Doukas, e Agchyllos. Come d’abitudine, costoro potevano delegare il compito a uno scriba. Gran parte di questi documenti attestano acquisizioni agricole del monastero, che fu allora il più grosso proprietario nella Valle del Tuccio, dove aveva costituito un apposito centro operativo. I documenti, specialmente se interpretati topograficamente, riescono a indicare i criteri perseguiti nei suoi successivi acquisti di territorio, i risultati ottenuti e i centri di potere creati. Da questi cinquantatré documenti, è emersa l’importanza politica ed economica della Valle del Tuccio nel Medioevo e anche il valore della documentazione in lingua greca. A seguire dell’intervento di Cristina Rognoni, quello del professore Domenico Minuto e dell’architetto Sebastiano Venoso per Deputazioni di Storia Patria della Calabria, che hanno esposto il loro lavoro dal titolo: “Ricerche di onomastica e toponomastica nei documenti greci di Valle Tuccio”; che ha fatto conoscere ai presenti un lavoro minuzioso di studio e di ricerca sulla base della cartografia storica con la collaborazione appunto della popolazione locale, che ha permesso loro di verificare fare verifiche nella Valle; tali studi sono stati resi visibili attraverso la proiezione di un disegno con un tracciato preliminare per mano dello stesso architetto Venoso, punto di partenza per un lavoro molto più complesso di ulteriori approfondimenti per gli studiosi. Un convegno molto interessante che ha tracciato un quadro ricco d’informazioni su aspetti storici, socio economici e sociali, in particolar modo agricoli con la distribuzione fondiaria in età Medioevale per il territorio della Valle del Tuccio, che non solo ha catturato l’attenzione del pubblico ma che ha anche gettato le basi per nuove ricerche per un territorio all’interno di quell’area un tempo Calabria greca. VINCENZA TRIOLO 3


CHE MERAVIGLIOSO GIARDINO!! Uliveti, agrumeti e gelseti nel reggino e nella sua storia

“Quando fu il giorno della Calabria Dio si trovò in pugno 15.000 km quadrati di argilla verde con riflessi viola. Pensò che quella creta si potesse modellare un paese di due milioni di abitanti al massimo. Era teso in un maschio vigore creativo il Signore, e promise a se stesso di fare un capolavoro. Si mise all’opera, e la Calabria uscì dalle sue mani più bella della California e delle Hawaii, più bella della Costa Azzurra e degli arcipelaghi giapponesi. Diede alla Sila il pino, all’Aspromonte l’ulivo, a Reggio il bergamotto, allo Stretto il pescespada, a Scilla le sirene, a Chianalea le palafitte, a Bagnara i pergolati, a Palmi il fico, alla Pietrosa la rondine marina, a Gioia l’olio, a Cirò il vino, a Rosarno l’arancio, a Nicotera il fico d’india, a Pizzo il tonno, a Vibo il fiore….”

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Con queste parole e con quelle successive, Leonida Repaci nella sua opera che ha come titolo “Quando fu il giorno della Calabria”, tesse le lodi di questa terra, ne evidenzia virtù e difetti ed esalta la sua bellezza naturale. Decanta il panorama paesaggistico e i restanti suoi beni più preziosi come la pescosità del mare e i frutti della terra: aranceti, uliveti e tanto altro. Questi elementi hanno ammaliato e ammaliano ancora oggi lo sguardo scrutatore e attento sia del reggino che del visitatore, tant’è che di fronte a questa meraviglia naturale, opera delle sapienti mani di Nostro Signore, verrebbe da esclamare stupefatti: “Che meraviglioso giardino!” È un giardino incantevole incastonato nel suggestivo panorama dello Stretto di Messina e la fertilità del suo terreno e il macroclima sono stati fattori imprescindibili che hanno garantito l’attecchimento di coltivazioni di diversa tipologia e provenienza sin da secoli remoti. Nell’VIII secolo a.C., a causa dell’infertilità che colpisce l’isola di Eubea e non solo, si verifica che gli abitanti della città di Calcide, i Calcidesi e, similmente altri coloni greci, vanno alla ricerca di nuove terre, di quelle terre che ai loro occhi appaiono come prospere e fertili e dunque idonee nell’avviare una graduale e continua attività agricola produttiva. I Calcidesi, avendo preposto quest’obiettivo base, dopo aver lungo navigato, riescono finalmente nel loro intento. Essi trovano una terra bella e fertile le cui qualità vengono evidenziate maggiormente dalla futura etimologia di Calabria scelta nel VI d.C., dai Bizantini ormai divenuti assoluti padroni dell’Italia Meridionale in seguito al trionfale successo della guerra grecogotica. Ecco allora chel’ulivo fa il suo ingresso nel territorio localee lo sviluppo delle coltivazioni delle piantagioni d’olivo, è incentivato prima dai Greci, al tempo delle poleis della Magna-Grecia, favorito nei secoli successivi da tecniche agresti più evolute.L’attività produttiva è gestita in alcuni casi sotto l’egida della corona reale,in altri casi dalle famiglie borghesi, specialmente dell’alta borghesia o dalle autorità arcivescovili, ecclesiastiche in genere.Ciò porterà ad una incremento di produzione con ovvie ripercussioni positive a livello finanziario a favore dei produttori che agiranno in scala locale o più cosmopolita: Essi beneficeranno degli ampi scambi commerciali di un prodotto molto richiesto sul mercato,anche mondiale, per la sua elevata valenza qualitativa.

La vendita culminerà in alti profitti. In Calabria, un forte imprimatur all’attività della produzione e del commercio delle olive e dell’olio d’oliva è impresso e determinato anche e soprattutto dall’introduzione di nuove tecniche di raccolta delle olive e della lavorazione dell’olio. Inoltre, aumentano i frantoi, si sviluppano metodi che col tempo da innovativi si cristallizzano via via nel settore agricolo calabrese e si accostano, prima, sostituiscono, poi, a quelli preesistenti, già attivi e conosciuti dagli antichi abitanti della nostra terra. Oltre a questa produzione quella della vite e del grano (ma questa forse più in altre zone della regione calabra, soprattutto nel crotonese, data l’esistenza della massima antica “a Reggio non ci fu mai grano” L’ulivo oltre che nell’Ellade è presente altrove: probabilmente si origina come l’arancia dolce in Asia Minore, precisamente l’ulivo sorge spontaneamente tra il Caucaso, la Siria e la Palestina. Tanti uliveti hanno sempre contraddistinto il nostro paesaggio ma anche tanti agrumeti: aranci, limoni, mandarini, cedri, bergamotti di diverse varietà e ognuno di essi nasconde una sua particolare storia. L’arancio, ma quello amaro, è già noto ai Romani col nome di melarancia ed è giunto nei lidi calabri per via marittima e terrestre, è stato coltivato anche in Sicilia, come si evince da alcuni testi antichi. A partire dal XIV sec. i portoghesi conducono dai loro viaggi commerciali in Oriente la qualità dell’arancia dolce così come ricorda il nome dialettale ù purtuaddu. In un antico elenco persiano le arance sono annoverate tra le prelibatezze consumate nella mensa reale ed anche in Calabria questo frutto ha sempre avuto i suoi estimatori e non è mai mancato nelle tavole reggine di ogni tempo. Nel territorio calabrese crescono note varietà di arance dolci come “l’ovale calabrese o belladonna”, così denominato a motivo della sua tipica forma ovale, presenta anche la buccia sottile e matura nel periodo di Marzo-Aprile; la tipologia “navel” la cui peculiarità è rappresentata dalla tipica escrescenza nella parte inferiore causata da un piccolo frutto poco sviluppato all’interno del frutto vero e proprio; la “washintgton navel” di forma sferoidale, buccia di color arancio e con la polpa tenera e succosa. Assai rinomata è la “belladonna apireno o biondo di San Giuseppe”,una qualità con le seguenti caratteristiche: forma ovale, polpa dolce, pochi semi. 5


Quest’ultima varietà è apprezzata a livello nazionale e coltivata come dice il nome stesso soprattutto nei frutteti del paese reggino di Villa San Giuseppe, località che insieme ad altre ubicate nel territorio limitrofo, ha un ruolo chiave nella produzione delle arance. Sitanei pressi del torrente Gallico, questa zona è riconosciuta come “La Conca d’ Oro”,perché la fertilità della zona assicura una ricchezza agricola invidiabile, in effetti aranceti si trovano nelle vallate delle fiumare Gallico e Catona.Un discorso a parte lo facciamo per il bergamotto. Già la sua etimologia dovrebbe far derivare il nome dal turco Beg Armundi (il pero del Signore) ed è un prodotto autoctono del reggino, un frutto dalle proprietà uniche e particolari che esalta l’incredibile azione della natura, artefice di meraviglie d’indescrivibile bellezza. Il corso naturale degli eventi crea e dà vita a opere di encomiabile fattura, le quali adombrano i grandi capolavori prodotto del genio artistico umano. Le opere d’arte più acclamate, seppur frutto d’intuizioni impeccabili di menti ispirate e del tocco esperto dei grandi maestri del passato e del presente, pur avvicinandosi all’idea della perfezione e del bello in sé, non colgono questi due aspetti nella loro totalità come avviene in natura la cui bellezza è espressione della perfezione divina.

Attraverso un esempio unico nel suo genere, operiamo un confronto con la forza creatrice di Madre Natura nel suo processo naturale: Un prodotto dalle proprietà straordinarie ed apprezzate in tutto il mondo, qual è il bergamotto, è originato dai tre semini di arancia amara, di limone e di limetta, i quali trasportati dal vento si sono casualmente uniti in un innesto naturale, un vero prodigio !! Alberi di bergamotto sono presenti nella porzione territoriale che ricopre un ampio kilometraggio da Scilla a Monasterace e la prima attestazione storica relativa al primo bergamotteto risale al 1750.Dalla spremitura a freddo delle bucce dei bergamotti si ricavano gli olii essenziali. Il commerciante siciliano Francesco Procopio de Coltelli, lasciata l’isola, appena giunto nel reggino, viene ammaliato da questi alberi e dai suoi frutti, mai visti prima di allora. Una volta a conoscenza delle pregiate essenze ricavate dal frutto, da abile uomo d’affari, intuisce la ricchezza che tale prodotto avrebbe potuto procurargli. Il suo ambizioso progetto mirante ad esportare il bergamotto dall’Italia nel territorio francese, ha buon fine. Giunto nella villa di Versailles far conoscere il bergamotto e i suoi oli, alla nobiltà francese e soprattutto al re Luigi XIV. 6


Molti fustoni contenenti l’essenza sono venduti a corte e sia il monarca che tutti i suoi cortigiani iniziano a farne uso quotidiano anche per ovviare alla mancanza d’acqua spesso evitata per il fallace timore fosse veicolante della peste bubbonica imperversante in tutta Europa.La colpa di essere gli untori rei del propagarsi delle pestilenze ricade spesso sugli ebrei accusati ingiustamente di avvelenare l’acqua con speciali polverine. Le essenze di bergamotto fanno il loro ingresso pure nei più raffinati ambienti fiorentini. Caterina de Medici, nipote di Lorenzo il Magnifico, moglie di Enrico II de Valois re di Francia (1547-1559) non può che rimanere stregata da queste fragranze che avvolgono l’ambiente circostante impregnandolo di odori soavissimi e graditi all’olfatto. Anche in ambito gastronomico il bergamotto riveste un ruolo di primissimo ordine. Lo stesso Procopio de Coltelli apre sempre nella città della torre Eiffel, una caffetteria che assieme a quella di Instanbul, già da tempo attiva, è luogo d’incontro della borghesia cittadina. Il Cafè Procope offre alla clientela che accorreva in massa incuriosita dalla novità, bevande, gelati e granite. . Nulla di strano per l’uomo moderno recarsi in compagnia dei propri amici in un bar per gustare un buon caffè o assaporare con gusto un gelato artigianale, ma mettiamoci nei panni di quella gente che di fronte a prodotti mai visti e assaggiati prima, assiste con stupore a qualcosa di insolito ed intrigante. Nel XVIII secolo l’intero contenente europeo può contare di diverse botteghe del Caffè, case della cioccolata e negozi di profumi, senza dimenticare le sorbetterie coi i lori pregiati nonché gustosi al palato sorbetti al bergamotto, all’arancia e ad altri agrumi. Intensa è stata la produzione del bergamotto, di arance, limoni, mandarini nel reggino e diverse aree furono destinate alla loro produzione. Presso Rada dei Giunchi di Reggio, il proprietario Nicola Parisi, stabilisce una piantagione di bergamotti e, seguendo il suo esempio, altri proprietari terrieri pensano bene di piantare i semi di bergamotto all’interno dei loro agrumeti. Non poteva certamente mancare!! Se facciamo un accurato confronto tra l’immediato periodo post-medioevale fino al XVIII secolo, vediamo che una già mutata richiesta di mercato, comporta di conseguenza un cambio di rotta in termini di produzione. L’industria della seta dominante la scena per interi secoli ora cede il suo primato.

Nel reggino così come il resto del Regno sono state a lungo presenti filande e gelseti le cui foglie ovali e caduche, si sa, sono l’unica fonte di sostentamento dei bachi. Ora però lasciano il posto ad altre industrie. Quella del gelso, assieme alla coltivazione degli ulivi,è stata privilegiata dai monaci cristiani dal rito greco giunti in Calabria soprattutto nel VII d.C. In un rogito notarile citato dello storico e studioso bizantinista Andrè Guillou, risalente al 1050, si legge che fra i beni della Curia Metropolitana reggina figura un campo di migliaia di gelsi. Gli alberi di gelso sono conosciuti al tempo dei Greci e dei Romani ma molti gelsi sono introdotti anche dai Bizantini e dagli Arabi. Nel territorio reggino un ruolo importante per la coltivazione del gelso e per la lavorazione della seta, è stato ricoperto dagli Ebrei che ne hanno detenuto a lungo il monopolio, comunque sia, un grosso incentivo dello sviluppo nell’industria serica è stato dato al tempo dei Bizantini, a partire dal VII sec. d.C. Potendo contare sull’utilizzo di queste piante di moracee, a volte, gli stessi produttori della seta si sono occupati di attività ad essa strettamente connesse: coltivazione dei bachi e dei gelsi. Un notevole progresso, in tal senso, è stato imposto sotto i Normanni e nell’epoca successiva dagli Svevi. Questo particolare tipo di coltivazione è stata fiorente in terra reggina e nel resto del Regno di Napoli dal dominio normanno a quella aragonese. Intere piantagioni di gelsi, nelle due tipologie dalle more bianche e dalle more nere, hanno a lungo occupato la vasta zona territoriale compresa tra Archi, Gallico, Villa San Giuseppe, Catona, Salice, Rosalì, oltre che a Fiumara di Muro e in tante altre zone reggine. Qui gli addetti ai lavori si son prestati alla raccolta dei frutti e delle sue foglie con diverse finalità: da destinare come cibo ai bachi, ma anche a motivo delle sue qualità curative. Oggi, in ottica locale, purtroppo la coltivazione dei gelseti è finita nell’oblio della dimenticanza e non molti sono gli agricoltori locali che destinano la loro cura e la loro attenzione a queste piante. Nel reggino è stato dato un grande impulso alla produzione della vite, i Greci hanno introdotto un nuovo metodo di coltivazione rispetto la vite maritata. Questa tipologia di coltura assai particolare, già nota ed ampiamente utilizzata dagli Etruschi, è stata a lungo impiegata anche nel territorio calabrese. Come dice il nome stesso, la vite si sposa con un albero che cinge il suo tronco. 7


È però una coltivazione richiedente molta cura e sapienza nella potatura poiché la vite viene potata insieme all’albero in cui si trova avvinghiata. Mentre la Calabria dell’età tardo-antica appare una terra prettamente boschiva soprattutto nella sua parte settentrionale, al tempo dei Normanni, la Calabria presenta un territorio prevalentemente montuoso, in alcune zone paludoso con delle grandi vallate adatte alla coltivazioni del grano e declivi che ben si prestano alla viticoltura ed alla coltura dell’ulivo. Questa regione offre quindi una gran quantità di grano, olio, vino, abbondanza di legname, la pece ricavata dagli alberi, prodotti di pastorizia e della pesca, compresa quella del corallo. Le piantagioni di agrumi sono meno intense ma secoli dopo vengono estese a scapito degli alberi di gelso, soprattutto quando l’industria della seta, monopolizzata a lungo dagli Ebrei che a Reggio e nel territorio limitrofo dimorano fino ai due Editti di espulsione del 1511 e del 1541, giunge al suo declino. Un ruolo importante in tutta la Calabria è stato rivestito dalla coltivazione del cedro. Pur coltivato nel reggino, è certamente più importante il cedro cosentino, precisamente quello della Riviera dei Cedri. La Riviera dei Cedri comprende ben 22 paesi, tra cui Tortora, Santa Maria del Cedro, Cetraro, Diamante, Praia a Mare. Il cedro calabrese della Riviera del Cedro è richiesto specialmente dagli Ebrei: Qui nel cosentino giungono soprattutto nel mese ebraico di tishri, per la festa delle Capanne e per questo evento sacro, selezionano i frutti adatti. Innumerevoli sono i settori d’impiego del cedro: nel settore farmaceutico, nella profumeria, ma anche nell’industria dolciaria.

A Reggio Calabria e nella provincia reggina numerose pasticcerie e bar sfornano deliziosi dolcetti, e liquori al cedro e al bergamotto ravvivando le nostre tavole con leccornie di spiccata valenza qualitativa. In passato, il cedro, è stato impiegato come offerta donata alle autorità civili o ecclesiastiche, soprattutto durante le festività cristiane. Una lettera datata Natale 1803, conferma questa usanza: il prof. Pietro Roscitano dona ad un ecclesiastico, il cui nome non è citato, un cesto traboccante di agrumi al cui centro primeggia un grosso cedro dal considerevole peso di 3.200 Kg. Nel XVIII secolo, nel reggino, vi sono stati naturalmente molti terreni con cedri così come attestano diversi atti di proprietà e di compravendita. Uno di questi campi è stato a Santa Caterina del Trivio, indicato in un documento archivistico ed appartenente ad una ebrea forse discendente di neoconvertiti. Per comprendere meglio la trasformazione, nel tempo, dell’economia reggina e del resto della regione, che nei secoli si è avvalsa di questi tesori prodotti localmente, vediamo brevemente, in un ampio lasso cronologico, che parte dal XIII sec., le sue sostanziali fasi evolutive: Con Federico II di Hohenstaufen di Svevia, l’economia calabrese è in ripresa. Per poter finanziare le proprie imprese militari, l’imperatore svevo decide di soffocare i commerci delle città in favore di maggiori guadagni per il regio dominio. Per questa ragione, anche in Calabria ci sono restrizioni sull’esportazioni del grano, sebbene in misura minore rispetto alla Puglia ed alla Sicilia.

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Quando la Calabria diviene un possedimento francese, specificatamente della famiglia reale d’Angiò, la situazione muta notevolmente e la Calabria vive una forte crisi economica, politica e sociale. Nel Cinquecento si registra così un periodo di depressione economica, aggravata dalle continue e ripetute incursioni dei Turchi Ottomani. Essi durante il loro devastante passaggio, lasciano tracce di morte e distruzione: bruciano i raccolti, tagliano i vigneti, gli uliveti ed ogni specie di albero, uccidono il bestiame, uomini e donne di ogni età. Le aree più colpite sono Reggio e le zone costiere della sua provincia. Tutto comporta l’abbandono di città e di campi. Questo è l’angoscioso quadro sociale ed economico in cui si trova la Calabria, ma anche quasi tutto il resto del Meridione, tra Cinquecento e Seicento. Aggravano la situazione una serie di terremoti spaventosi che, soprattutto dalla metà del Seicento, causano milioni di vittime e comportano la distruzione di abitazioni, di opere pubbliche e di intere aree geografiche. A questo quadro di sconvolgimenti e degrado vanno aggiungendosi le pestilenze. Nel Seicento l’economia calabrese si risolleva grazie alla coltivazione del bergamotto e alla crescente ripresa della produzione dei bachi da seta, che determinano una vera rinascita economica. Nell’Ottocento e precisamente a partire dall’Unità d’Italia del 1861, si crea in Calabria, ma anche in tutto il resto del Meridione, un dislivello economico di proporzioni gigantesche con l’Italia Settentrionale. Oggi l’Economia calabrese riveste una sua importanza per quanto concerne la produzione e la vendita dei tre prodotti tipici, la cui storia è stata da me già ampiamente trattata: olio, bergamotto, vino. La vendita delle olive e dell’olio, nell’anno in corso, è buona ma preoccupa un po’ la concorrenza di altri Paesi, soprattutto l’olio importato dalla Tunisia, che provoca una concorrenza sleale. In effetti, le regole in quel paese sono diverse dalle nostre che sono più stringenti a beneficio dei consumatori, inoltre, il metodo di raccolta è diverso, così come diversa è la sicurezza del lavoro. Non dimentichiamo i notevoli progressi nella produzione biologica e nell’utilizzo delle buone tecnologie. Importante risorsa economica è il bergamotto il cui olio essenziale è ancora oggi acquistato in

grosse quantità dalle profumerie francesi per le sue proprietà fissative che consentono ai profumi una durata maggiore dopo essere stati spruzzati nella pelle ma dei profumi ne esalta anche la fragranza. Anche nel campo farmaceutico e dolciario: vi sono pasticcerie che lavorano prevalentemente col bergamotto e sfornano dolcetti prelibati dal sapore unico e ricercato, ogni boccone di pasticcino o di torta al bergamotto ci permette di assaporare il gusto tipico di un prodotto reggino unico al mondo. Per tutelare e rilanciare con iniziative di successo il commercio e del bergamotto e dei suoi derivati si sono mossi diversi Enti: il Consorzio del bergamotto di Reggio Calabria, l’Unionberg, la fondazione Bergamore, l’Assoberg e l’Accademia del Bergamotto. Anche in campo enologico non mancano soddisfazioni: la Calabria sorride constatando il successo dell’anno in corso (2015) di etichette che negli ultimi anni tempi tengono alto il nome della regione in campo internazionale. Tra questi primeggiano anche vini provenienti dalle cantine della provincia reggina come il passito Mantonico 2010 della Cantina Ceratti di Bianco. Questi successi enogastronomici e non solo, risollevano, anche se parzialmente, la situazione generale della regione Calabria, ricordando anche al resto degli italiani quanto ci sia di buono e valido in questa terra più volte bistrattata e legata a pregiudizi ingiusti ed eccessivi. Le ricchezze ambientali, sono un opulento potenziale che se sfruttato degnamente implicherebbe un rilancio decisivo dell’economia reggina e regionale soprattutto nel settore del turismo. È bene però ricordare che questo meraviglioso giardino non cresce da solo, ma va curato, tutelato e reso maggiormente produttivo. Proprio per questo è necessario l’impegno della collettività: ognuno di noi si armi allora di buona volontà si metta nei panni di un giardiniere volenteroso che col suo attento contributo giornalmente pota i rami, innesta arbusti, annaffia le radici ed elimina le erbacce che soffocano la crescita delle ricchezze naturali di questa terra, solo così cresceranno rigogliose e fruttifere.

FELICE DELFINO 9


PICCOLI PAESI DI CALABRIA “CANDIDONI”

Lungo i confini Nord della Piana di Gioia Tauro, ai piedi delle Serre, a separare la provincia di Reggio Calabria da quella di Vibo Valentia troviamo il piccolo ed ameno paese di Candidoni che da un altura di 239 m ed un territorio ampio 26,8 kmq, dai piedi dei monti si proietta conquistando dolcemente il mare Tirreno, rappresentando, il centro abitato, un vero e proprio balcone sulle Valli del Mesima, del Metramo e del Petrace. Di origine sicuramente greca come vuole la tradizione che racconta la leggenda di un nobile guerriero, che a seguito dell’invasione della vicina Medma da parte dei Longobardi e Saraceni, scappò verso l’interno fino a raggiungere un affaccio sul mare ma sufficientemente lontano a cui diede il proprio nome: Kandidus da cui Candidoni. Le vicende storiche vedano il centro muoversi su e giù su una scala di valore e di importanza politicoeconomica che ha seguito le sorti della vicina e più importante città di Borrello. Appartenne al gran Giustiziere di Calabria Giovanni Candida e ai suoi eredi. Nel 1054 Unfrudo il Normanno acquistò il paese con le sue terre e due anni dopo lo cedette al fratello Roberto conte di Calabria. Passò qualche anno sotto Gualtiero Appard, poi sotto Carlo d’ Angiò, Tommaso d’ Argot e Ruggero di Lauria, i Sanseverino, casa d’ Aragona e quindi, come contea di Borrello passò ai Pignatelli che governarono fino al 1806.

PALAZZO GALOTTA

Il legame con Borrello non è stato solo politico, ma anche nella sorte. Il terremoto del 1783 ha cancellato definitivamente Borrello e devastato gravemente Candidoni che ha avuto in quell’occasione 40 morti di cui 22 maschi e 18 femmine. Tra i morti si annoverano i nomi del notaio Pasquale Insardà, del fisico D. Carlo Antonio Cognetti, del rev. D. Domenico Loschiavo e del rev. D. Francesco Spanò il cui corpo venne trovato tra le macerie solo quattro mesi più tardi. Gravi i danni anche al patrimonio artistico: distrutti diversi conventi e le cinque chiese nel centro abitato.

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Dieci anni più tardi grazie all’ operosità della gente, veniva consegnata al culto la nuova chiesa parrocchiale dedicata a San Nicola che portando la data del 1793 è, oggi, una delle chiese più vecchie della Piana di Gioia Tauro ed è anche una delle più ricche di opere d’ arte come l’altare marmoreo d’ imponente maestosità, le due grandi statue raffiguranti Pietro e Paolo e le numerose statue lignee ed arredi risalenti ai secoli XVII-XVIII. Oggi, purtroppo, la chiesa, dopo un restauro “assassino” di qualche anno fa, è stata ripulita e messa al sicuro ma necessita di ulteriori interventi altrimenti rischia di polverizzarsi nell’abbandono e nell’ indifferenza al pari dei ruderi di Borrello il cui territorio ricade nel comune di Candidoni. L’ economia del centro è prettamente agricola con produzione di olio, agrumi, latticini e sfruttamento forestale. Tra i personaggi che hanno dato lustro a Candidoni vogliamo ricordare: padre Bonaventura Bardasci, ministro provinciale e commissario generale dell’ Ordine dei Minori Conventuali di S. Francesco nella provincia di Calabria Citra ed Ultra, maestro e fine compositore musicale da noi scoperto qualche decennio addietro anche se ricordato per la sua barbarie nei processi dell’inquisizione; Antonio Cantucci anche egli provinciale dei Minori Conventuali e maestro latinista; Domenico Simonelli presente ai moti risorgimentali del 1848; Teresa Cognetta (1895-1996) prima ed unica a tutt’oggi centenaria del luogo. I cognomi tipici: Albanese, Alifraco, Almaviva Alvaro, Armenio, Aruta, Barbalace, Bellissimo, Beniamina, Cacciatore, Calimera, Callà, Calzone, Campisi, Cannatà, Capria, Carbone, Catalano, Cavallari, Cavallaro, Chiniamo, Ciccarelli, Cognetta, Corbo, Crocitta, Cuccione, Curuli, D’Agostino, De Luca, Di Giglio, Distasio, Eburnea, Facciolo, Fialà, Fiumara, Franzè, Frisina, Fruci, Furfaro, Gagliardi, Gallo, Gallucci, Ganino, Garisto, Gatto, Giordano, Golotta, Grillea Gucciardi, Iaconis, Ioculano, Laccisani, Lacquaniti, Lamanna, Lamari, Lamberti, Larocca, Lascala, Lentini, Lisotti, Loielo, Longo, Lovece, Loverso, Luppino, Luzza, Macrì, Maio, Malvaso, Mamone, Mannella, Marazzita, Massara, Masso, Mazzitelli, Micali, Mileto, Monfilier, Monea, Montorro, Muratore, Nicolaci, Nocera, Ozimo, Ozzimo, Paglianiti, Palaia, Parrotta, Pascale, Pasalia, Pavone, Proto, Polito, Primavera, Pompeo, Prestia, Prossomariti, Quaranta, Rachele, Rafele, Riniti, Riolo, Russo, Scarfò, Scarmato, Sibio, Simonelli, Sorbara, Sorrenti, Soverino, Spanò, Raffaele, Restuccia, Riga, Romano, Sarleti, Sarlo, Simonetti, Sofrà, Soraci, Taverniti, Tartaria, Tassone, Varatta, Vinci, Vona, Vigliarolo e Zurzulo. Zirino, Zuppardi.I soprannomi più comuni: Allampata, a rizza, a tenenta, a topa, barilla, buttazzeru, cacacicca, caneva, cataciu, catalanisa, cerameraru, ceru i timpa, cicca-cicca, cinesi, cipurazza, cipuragghj, coddararu, donnacicca, fischiottu, focumavi, giacca di ferru, giratesta, guccera, locchiuna, lucertera cu dui cudi, mangiaruga, mascialai, mazza, mbumba, misefari, modulu, mulinara, mussu pilusu, mussu stortu, ndanni, neus, nizza, ntrupati, pacchiana, parlicchiara, perbacco, perciapitta, pirria, pistolu, rizzonisu, rollu, ruvasciaru, ruvettu, salinaia, scoquecchiu, sparetta, spicchisi, tabaccu, tamba, taraciccu, tarramotu, teravrasci, tricchiuppi, u giallu, u lepru, u zzoppiceru.

CHIESA PARROCCHIALE

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I Caduti: Riolo Giovanni guerra 1911-12/Alvaro Giuseppe guerra 1915-18 / Golotta Giuseppe idem / Lamanna Antonino idem / Luzza Domenico idem / Massara Francesco idem / Riolo Giuseppe idem / Sofrà Giovanni idem / Tassone Francesco idem / Riga Pietro guerra 1936/ Bellissimo Michelangelo guerra 1940-45 / Calmera Filippo idem / Campisi Gaetano idem / Corbo Giacomo idem / Gatto Antonino idem / Gatto Vincenzo idem / Mannella Nicola idem / Malvaso Bruno idem / Montorro Domenico idem / Riolo Giovanni idem / Scarfò Gregorio idem / Simonelli Rocco idem. Ben 24 sono stati i Cavalieri di Vittorio Veneto nominati ai sensi della legge 263 del 18.3.1968 dal Presidente della Repubblica tra cui Michelangelo Giuseppe Bellissimo croce al merito di permanenza in campo di combattimento. Patrono di Candidoni è San Nicola ma la festa religiosa principale è San Gaetano che cade il 7 agosto. Tradizione è la sagra della nacatola che si svolge in occasione della festa di S. Gaetano. Da visitare, oltre la chiesa parrocchiale, quello che rimane del palazzo Golotta, la biblioteca comunale, la Fontana vecchia, il monumento ai Caduti, il Calvario, il Tempio nel vecchio cimitero e i ruderi di Borrello e dei conventi di santa Lucia e sant’ Andrea. Perduto per sempre il bellissimo palazzo Laccisani ( sec. XVI-XVII ). Dal punto di vista speleologico interessante sarebbe una ispezione alla “Fossa di Crudo” e alle vecchie “Carcari”. CAV.ROCCO GIUSEPPE TASSONE

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LA X LEGIO FRETENSIS A LEUCOPETRA

Più volte è stato evidenziato il ruolo strategico di Leucopetra nel contesto storico, economico e sociale del Bruttium. Ma Leucopetra ha svolto un ruolo di primaria importanza anche nel quadro degli avvenimenti militari che hanno caratterizzato le vicende storiche antiche e tardo-antiche del Bruttium Meridionale. Nel susseguirsi delle variegate vicende storiche, il territorio di Leucopetra è stato più volte interessato, per via della sua strategica posizione a controllo quasi dell’intero Stretto, da importanti vicende militari che hanno inequivocabilmente segnato oltre che la storia dei territori delle due sponde dello

Stretto stesso, anche quella di una delle più importanti civiltà dell’antichità: quella romana. Relativamente agli avvenimenti militari le fonti, se ben studiate, ci offrono un’ampia panoramica degli avvenimenti che si sono susseguiti nell’area dello Stretto evidenziando proprio l’importanza di Leucopetra e del suo porto per lo sviluppo di tali avvenimenti. Infatti fu proprio il suo porto a giocare un ruolo decisivo nello schieramento delle truppe militari inviate ora a conquistare questi territori ora a controllarli. Le prime notizie relative ad operazioni militari che hanno interessato Leucopetra e il suo territorio in età antica

si riconducono a Tucidide che a proposito della seconda spedizione ateniese in Sicilia avvenuta nel 413 a.C sotto il controllo del generale ateniese Demostene alla guida di 73 triremi, 5000 opliti e15000 uomini, dopo una serie di lungimiranti vittorie sui siracusani fu costretto a ritirarsi per via dell’avversa sorte; durante il suo ritiro lasciò la sponda sicula, attraversò lo Stretto e fece rotta proprio verso il porto di Leucopetra dove, sempre secondo quanto tramandato dallo storico ateniese, vi giunse fermandosi un breve periodo per dare tregua e riposo all’esiguo numero rimasto del suo esercito. 13


Notizie relative alla X Legio Fretensis (dello Stretto quindi) e della sua presenza nelle acque antistanti le nostre coste ci sono state tramandate invece anche da Appiano e sono state ampiamente accertate da numerosi rinvenimenti archeologici che hanno interessato i territori sia calabri che siculi. La X Legio Fretensis fu una legione romana nata molto probabilmente nel 41 / 40 a. C ad opera di Augusto per combattere in modo incisivo lo strapotere di Sesto Pompeo. I simboli di questa legione furono il toro, animale consacrato a Venere e la trireme romana. Il quadro storico in questione è molto delicato; l’equilibrio che regnava a Roma nei periodi relativi alla data di nascita della Legio era ormai saltato. La situazione subì un decisivo aggravamento con la morte di Cesare. A Roma fu un continuo verificarsi di colpi di scena. Intanto nelle acque dello Stretto ( Fretum) si stava combattendo una nuova guerra, l’ennesima guerra raccontata dalla storia, il BellumSiculum, la Guerra Sicula, che vedeva contrapposti con stizza e determinazione, da un lato Cesare Ottaviano e dall’altro Sesto Pompeo. La Sicilia era direttamente controllata dalle truppe di Sesto Pompeo in Calabria invece era schierato e pronto a reagire l’esercito di Cesare Ottaviano coordinato dal suo luogotenente Salvidieno Rufo. Appiano quindi ci riferisce che tra il 42 e il 36 a. C proprio nelle acque dello Stretto fu combattuta una cruenta battaglia. Oggi, sulla base di nuovi studi e delle più recenti indagini archeologiche possiamo circoscrivere lo spazio territoriale nel quale si svolsero tali avvenimenti tra l’imbocco nord dello Stretto nei pressi di Scilla e sul versante sud proprio l’area di Leucopetra.

Infatti esaminando il passo dello storico romano apprendiamo che Ottaviano dopo la vittoria riportata sulle truppe di Sesto Pompeo nello scontro navale di Milazzo del 36 a. C, lasciato Scilascio sulla costa sicula fece rotta verso Leucopetra dove sostò nel suo porto e ripartì poi alla volta di Tauromenio. Dal punto di vista archeologico i dati storici sembrano trovare ampio riscontro che documenta tale avvenimento. Infatti proprio a Leucopetra nel 1882 furono rivenute 4 ghiande plumbee, cioè i proiettili che venivano lanciati con la fionda. Tali rinvenimenti furono successivamente studiati dal Costabile che mise subito in evidenza alcuni dati notevolmente importanti: innanzitutto fino al momento le ghiande plumbee di Leucopetra sono le sole ad essere iscritte, tre di queste ghiande riportavano su un lato l’effige del FulmenAlatum e dall’altro la legenda Q(uintus)Sal(vidienus) im(perator). La quarta ghianda invece è la più particolare poiché reca, come le altre 3 la legenda Sal(vidienus) mentre sull’altro lato compare la marcatura l(egio) X Un ritrovamento simile a quello di Leucopetra si ebbe sulla sponda sicula nelle acque antistanti Siracusa dove furono rinvenute due ghiande con dicitura analoga segno tangibile che Salvidieno compì un’incursione navale anche nelle acque siracusane. Leucopetra quindi si confermò ancora una volta un luogo adatto non solo per lo sviluppo economico-commerciale dei territori del Basso Ionio reggino, ma anche grazie alla presenza del suo porto naturale, la base logistica di importanti operazioni militari che si svolsero nelle acque dello Stretto “antico”. SAVERIO VERDUCI 14


CORRADO ALVARO

IL RITORNO IN CALABRIA COME VIAGGIO ALLA RICERCA DELL’ESSENZA UMANA L’intenzione del presente lavoro non è quella di fornire una biografia di una grande personalità calabrese, quale è quella di Corrado Alvaro, bensì cercare di cogliere spunti di riflessione da parte di chi è originario di Calabria e che nelle sue opere vi ritorna spesso, in un misto di nostalgia e volontà di cambiamento, in quegli anni difficili del Fascismo e della Grande Guerra, che lui stesso combatté.Lo scrittore visse fino in fondo il dramma della povertà del Sud, la tragedia dell’emigrazione, la protervia del regime mussoliniano, incapace di risolvere i problemi della gente e, invece, capace di fare guerre. Nativo di San Luca, un paesino aspromontano, nel 1895, oggi a 120 anni dalla sua nascita, la Calabria lo ricorda con profondo affetto e immensa riconoscenza. In Alvaro ci sono miti, paure, amori, raccontati tra i muri di quelle case, ma allo stesso tempo è nominata un’ ”allegrezza” che non si trova in altri luoghi, o meglio, esiste in ogni luogo, ma in Calabria è di più.A proposito della riconoscenza che si deve a questa personalità, ebbene, il messaggio di Alvaro (che, partendo da San Luca era approdato alle pagine dei quotidiani più importanti, come prosatore di viaggio, narratore, elzevirista e intellettuale di respiro europeo), ha operato tra i sanluchesi, che sulla figura del proprio conterraneo e al suo nome, hanno legato l’ansia di riscatto di un paese, di una terra, contro il determinismo della non- speranza.

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Una figura di grande complessità per l’ampiezza degli orizzonti culturali ed ispirativi, che congiungono la Calabria e la realtà europea. Scrivere di lui vuol dire raccontare la storia di tutti i popoli e l’angoscia esistenziale dell’uomo di Calabria. Una parte cospicua della sua opera rimane ancora oggi incompresa o dimenticata. Ad esempio, il suo contributo nella riedificazione del genere romanzesco, nei primi decenni del Novecento, passa quasi in secondo piano o comunque non è un’informazione ricordata unitamente alla sua figura. Ci si rende conto di ciò nello scorrere alcune antologie circolanti nelle scuole superiori: Corrado Alvaro appare menzionato solo in relazione ad una raccolta di racconti, la ben nota Gente in Aspromonte. Nell’ottimo manuale La scrittura e l’interpretazione di Romano Luperini, in relazione a Corrado Alvaro si contano due sole righe: “Nel calabrese Corrado Alvaro (1895-1956), autore tra l’altro di Gente in Aspromonte (1930) si oscilla tra realismo critico e trasfigurazione mitico-simbolica”. In un altro manuale scolastico, (“Dal testo alla storia e dalla storia al testo” di Guido Baldi) riusciamo ad avere più complete informazioni su questa personalità, con una pagina biografica abbastanza dettagliata che ricorda il suo attivismo in guerra come sottotenente di fanteria, la sua collaborazione con diverse riviste e quotidiani di spicco, la sua vasta produzione in prosa e l’aspetto dicotomico del suo stile -da un più stretto regionalismo ad un più ampio cosmopolitismo- che rispecchia un travaglio interiore, l’esigenza viva di esprimere la realtà oggettiva con evidente richiamo al Verismo ottocentesco.

Corrado non è solo autore di opere in prosa, ma è anche poeta, profondo conoscitore della classicità: pubblica i suoi componimenti su diverse riviste, confluiti poi nella raccolta Poesie grigioverdi (1917), le prime poesie s’ispirano all’esperienza della guerra mondiale, preannunciando il romanzo autobiografico Vent’anni, in cui si dà una descrizione più organica di quegli avvenimenti. Il poeta insiste, in questi versi, su una visione della guerra come distacco dalla propria terra e dai propri affetti, che si configura come tema onnipresente, sotto diverse sfaccettature, in tutta la sua letteratura; la seconda parte della raccolta sviluppa delle tematiche legate al periodo di pace, agli amori, ai vagheggiamenti di una vita felice. Le tematiche alvariane vanno meditate e rielaborate, il suo messaggio morale merita di rivivere. 16


La grande lezione nonché la grande sfida che egli lascia ai posteri è proprio quella di non rinunciare ai valori della tradizione, di non denigrare quest’ultima, perché porta alla conoscenza di una realtà che non deve essere sepolta, fondamento della propria identità. Per comprendere la sua poetica e il suo modo di fare letteratura, non vi è modo migliore che introdurre i tratti salienti per mezzo delle sue stesse opere e perché non partire proprio da quello che si potrebbe definire il suo manifesto di scrittore, tratto dall’Ultimo diario: “Scrivere per me nasce da un’emozione che voglio comunicare, da un nucleo emotivo che si trova nell’animo e da cui provengono le azioni [...]. Il quadro emotivo è l’etica dell’uomo, è il suo carattere”, si evince, in poche e profonde parole, la necessità di dire e far sapere, l’esigenza di comunicare che è spinta da un moto interiore. Il sentimento del distacco e della lontananza dalla sua terra emerge forte e chiaro in una sua prima opera teatrale “Il paese e la città” (1923), si passa, poi, ad una malinconia d’esistere che si traduce in un desiderio di ritorno alla terra natìa, ma allo stesso tempo si continua quell’andamento dicotomico tra l’io e il mondo esterno, tra il pensare e il fare, in un infinito conflitto. Francesco Jovine, in una Lettera ad Alvaro (1945) aveva ben compreso il significato della letteratura dell’amico: il suo itinerario verso l’Aspromonte, il continuo rivolgersi all’infanzia, è da intendersi come un viaggio alla ricerca dell’essenza umana. Le opere di Corrado Alvaro sembrano tutte legate tra di loro da un filo conduttore, costituiscono un percorso di vita che si nutre del ricordo, della memoria; si tratta di una letteratura sì, sociale, neorealista, ma anche d’evasione: l’unica fuga possibile per l’autore è rappresentata proprio dalla scrittura che si rifugia nel pensiero della Calabria e in “Quasi una vita” (1950), scrive, “I calabresi mettono il loro patriottismo nelle cose più semplici, come la bontà dei loro frutti e dei loro vini. Amore disperato del loro paese, di cui riconoscono la vita cruda, che hanno fuggito, ma che in loro è rimasta allo stato di ricordo e di leggenda dell’infanzia”. Queste poche frasi sostanziano il pensiero di un uomo che un tempo è stato ostico da comprendere, ma che oggi si cerca di celebrare e ringraziare per il suo notevole contributo ad una terra che potrebbe brillare di luce propria, tramite adeguata valorizzazione. Nel 1997, proprio a San Luca, il suo paese d’origine è nata la Fondazione Corrado Alvaro, con lo scopo di promuovere la letteratura calabrese e a partire dal 2001 è stato istituito un premio letterario intitolato al sanluchese. Presso la Biblioteca De Nava di Reggio Calabria è stata istituita inoltre la Sala Corrado Alvaro, contenente gli arredi della casa dello scrittore. Ancora, il Parco Nazionale dell’Aspromonte, unitamente a Stanislao Nievo (pronipote di Ippolito), ha creato il Parco Letterario “Corrado Alvaro”, una sorta di itinerario culturale che comprende la casa natale del letterato. Infine, è di questi giorni l’intitolazione del Palazzo della Provincia di Reggio Calabria proprio a questa personalità, dietro sondaggio popolare, a testimonianza di come la Calabria non abbia mai dimenticato il proprio figlio. CRISTINA VERSACI 17


UN TORNESE INEDITO DELLA ZECCA DI CAMPOBASSO

Tra 1485 e 1487 il regno aragonese di Napoli fu protagonista di una crisi interna che vide contrapposti alla Corona alcuni tra i funzionari del Regno di Napoli contro il re Ferdinando d’Aragona, appoggiati da membri interni della corte e addirittura da papa Innocenzo VIII. I congiurati, il cui scopo era quello di ridimensionare il potere del sovrano oltre a osteggiare gli ordini non privilegiati e favorire il ritorno al trono degli Angiò, ottennero come affermato in precedenza l’appoggio di Sua Santità il Papa Innocenzo VIII, oltre alle città e rispettive forze di Genova e Venezia, mentre gli Aragonesi furono sostenuti da Milano e Firenze. In tale contesto storico, si colloca come utile all’osservazione ai fini di ulteriori approfondimenti, il fatto che Nicola II di Monforte conte di Campobasso, fece aprire, in maniera arbitraria, zecche in diverse cittadine dei suoi possedimenti durante la cosiddetta Congiura dei Baroni, per il pagamento delle truppe mercenarie al suo soldo. Nella zecca di Campobasso fece coniare denari tornesi in mistura se non rame argentato. A prova di una relativamente intensa attività di zecca sono conosciute diverse varianti di questo denaro (per un approfondimento si rimanda a D’andrea -Andreani, Ruotolo, Pagano). Tra le altre monete una nuova variante è rappresentata da un denaro la cui leggenda: D/ +*NI(....) COM... R/+*Ʌ*CɅMPIbɅSI°, la quale risulta completamente inedita.

Nell’immagine sovrastante, è possibile osservare un raro esempio di tornese in mistura. Possiamo notare sul dritto un castello stilizzato tipico dei tornesi (sia originali francesi che in quelli imitativi dell’oriente latino) con rosette ai lati e sotto, mentre al rovescio si presenta soltanto una croce in cerchio cordonato. Infine, il metallo, all’osservazione degli esperti appare come una mistura a basso contenuto di fino, se non rame argentato. D/ +*NI(COL *) COM*; Castello tornese con rosette ai lati e sotto. R/ +*Ʌ*CɅMPIbɅSI°; Croce in cerchio cordonato. Peso: 0,85 g Diametro: 18 mm Zecca: Campobasso Metallo: Mistura ANDREA KEBER 18


BIBLIOGRAFIA DEGLI ARTICOLI VIAGGIO STORICO, ONOMASTICO E TOPOGRAFICO NELLA VALLE DEL TUCCIO MEDIOEVALE di -VINCENZA TRIOLO-

BIBLIOGRAFIA: ROGNONI CRISTINA, Les actes privés grecs de l’Archivo Ducal de Medinaceli (Tolède). II. La Vallée du Tuccio (Calabre, XIIe -XIIIe siècles), Association Pierre Belon, Paris 2011. FONTI ICONOGRAFICHE: Figg. 1 – 2 – 3 _ Immagine fotografica proprietà di Vincenza Triolo, anno di scatto 2015.

CHE MERAVIGLIOSO GIARDINO!! Uliveti, agrumeti e gelseti nel reggino e nella sua storia di -FELICE DELFINO-

BIBLIOGRAFIA FELICE DELFINO, La Presenza Ebraica nella Storia Reggina, Disoblio Bagnara 2013. LEONIDA REPACI, Calabria grande e amara, a cura di Luigi M. Lombardi Satriani, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002. LUISA CABRINI – FABRIZIA MALERBA, Frutta e ortaggi in Italia, Touring Club Italiano Editore, Milano 2005. PASQUALE AMATO, Storia del bergamotto di Reggio Calabria. l’affascinante viaggio del “Principe degli agrumi”, Città del Sole, Reggio Calabria 2005.

LA X LEGIO FRETENSIS A LEUCOPETRA di -SAVERIO VERDUCI-

Bibliografia: F. COSTABILE, Ricerche di Topografia Antica tra Motta San Giovanni e Reggio Calabria – in “RSC”, ns (1980 ) , nn 1-2, pp. 11-27. F. COSTABILE, Salvidieno Rufo e la Legio X Fretenis nella guerra navale fra Ottaviano e Sesto Pompeo ( 42-36 a. C.), - in “RSC”, ns VI (1985), nn. 1-4, pp. 357-361. S. VERDUCI, Leucopetra- la storia greco-romana della città – Disoblio edizioni, Bagnara Calabra 2014. EUSEBIO, Onomasticon. GIUSEPPE FLAVIO, La guerra giudaica, VI, 4.3.

CORRADO ALVARO: IL RITORNO IN CALABRIA COME VIAGGIO ALLA RICERCA DELL’ESSENZA UMANA di -CRISTINA VERSACI-

BIBLIOGRAFIA F. Grisi, Corrado Alvaro e la Calabria. Pellegrini Editore (CS) 1995. A. Giannanti – A. M. Morace (a cura di), Corrado Alvaro e la letteratura tra le Due Guerre. Pellegrini Editore (CS) 2006. R. Luperini – P. Cataldi – L. Marchiani – F. Marchese – R. Donnarumma, La scrittura e l’interpretazione. G.B. Palumbo Editore 1998. G. Baldi – S. Giusso – M. Razetti – G. Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo. Paravia 2001.

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LA FOTOGALLERY

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PARLANDO DI...

VINCENZA TRIOLO Nata a Reggio Calabria nel 1980, consegue nel 2014 la laurea in Scienze dell’architettura e nel 2012 la laurea in Storia e Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali nella Facoltà di Architettura di Reggio Calabria. Nel 2001 collabora, con l’incarico di esperto esterno, al progetto PON per il recupero e la valorizzazione del centro storico di Motta San Giovanni. Nel suo iter universitario partecipa a numerosi stage: Fortificazione di Santo Niceto, rilievo e analisi di degradi e dissesti, Archeologia e cantieri di restauro nella Sicilia centrale, Studio di edilizie di base del paese di Armo Gallina (RC). Rilievo e analisi dei degradi e dissesti di Palazzo Spinelli di Motta San Giovanni (RC). Nel 2013 collabora a progetti di ricerca con il Dipartimento PUA presso l’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria ed è stagista presso la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici delle provincie di Reggio Calabria e Vibo Valentia. Nel 2014 collabora con la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici delle provincie di Reggio Calabria e Vibo Valentia con la qualifica di esperto esterno all’attività di catalogazione relativa all’uso del sistema informatico per i Cantieri di Restauro SICaR del MIBACT e all’uso del sistema informatico per la catalogazione relativa all’uso del sistema informatico per i Beni Culturali SIGEC/WEB del MIBACT. Nello stesso anno pubblica il saggio dal titolo: Il Quartiere Praci di Motta San Giovanni (RC). Storia, architettura e conservazione: linee guida per il recupero e il ripopolamento con la GB Editoria; e scrive in diverse riviste online che si occupano di Architettura, Storia e Conservazione dei Beni Culturali.

CRISTINA VERSACI nasce a Reggio Calabria il 21/12/1988, consegue la laurea magistrale in Tradizione Classica nel 2014 con una tesi in Letteratura Greca dal titolo “Cultura greca a Pompei: La Casa degli epigrammi greci (V 1, 18)” e nel 2011 la laurea in Lettere Classiche con una tesi in Filologia Classica sul XXIV Idillio di Teocrito (L’Eracliskos), entrambe conseguite presso l’Università degli Studi di Messina. Nel corso dell’iter universitario ha svolto un tirocinio- stage alla Biblioteca Comunale P. De Nava di Reggio Calabria e uno alla Biblioteca DICAM (Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne) dell’Università degli Studi di Messina. Nel maggio 2015 ha conseguito il Diploma di Master di II livello in discipline per la didattica: “Civiltà letteraria della Grecia arcaica”. Nell’estate 2015 ha seguito il corso di formazione “Chiese aperte 2015” con relativo tirocinio, che l’ha vista nel ruolo di guida turistica. A luglio 2015 vincitrice della Borsa di Soggiorno per Aquileia ArcheoFest e Film Festival 2015.


PARLANDO DI...

ROCCO GIUSEPPE TASSONE Nato a Candidoni (RC) risiede a Gioia Tauro. Laureato in Scienze Biologiche, è titolare della Cattedra di Scienze Naturali presso i licei. Un gruppo di suoi alunni ha inoltrato al Presidente della Repubblica Italiana una richiesta per un’onorificenza al Merito. Con decreto del P.R. del 27 dicembre 2003 viene nominato Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica italiana ed iscritto nell’elenco nazionale dei Cavalieri al numero 136626 sez. IV. Più volte giudice popolare presso la corte di assise. Poeta, storico, scrittore poliedrico e divulgatore scientifico. Collabora a varie riviste a carattere storicoletterario ed ha vinto i più importanti premi letterari in Italia e nel mondo. Ha avuto assegnato il premio Anassilaos alla carriera. Opere del Tassone sono state tradotte in inglese ed in bulgaro. Il Tassone è oggi considerato il massimo esponente vivente del dialetto calabrese e dell’etnografia religiosa. Ha pubblicato oltre trenta volumi.

KEBER ANDREA (03.07.1972) di Trieste. Studia numismatica per passione in particolar modo la monetazione medievale.


PARLANDO DI...

SAVERIO VERDUCI ( Melito Porto Salvo, 1979 )Storico e giornalista divulgatore si è laureato in Lettere Moderne presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’ Università degli Studi di Messina nel 2006 con una tesi di laurea dal titolo: “La Calabria nello spazio mediterraneo in epoca romana.Produzioni, rotte e commerci”. Nel 2007 ha conseguito presso la medesima facoltà il Perfezionamento post-laurea in storia e filologia: dall’antichità all’età moderna e contemporanea con una tesi dal titolo: “ I rapporti commerciali tra la Sicilia e le provincie orientali in epoca tardoantica”. Nel 2010 ha conseguito il Perfezionamento post-laurea in studi storico - religiosi e nel 2011 ha conseguito il Master di II Livello in Architettura e Archeologia della Citta Classica presso la Scuola di Alta Formazione in Architettura e Archeologia della Città Classica dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria con una tesi dal titolo “ Rhegion fra Atene e Dionisio I ”. Studioso di storia antica e medievale si occupa della valorizzazione della plurimillenaria storia del territorio reggino e segue con particolare interesse la ricostruzione delle vicende storiche relative al territorio di Leucopetra ( Lazzaro) dove egli vive.Nel 2012 è stato nominato membro della giuria Premio Letterario “ Metauros ” sez. A – Libro edito di storia locale e nel 2013 sempre per il medesimo premio ne è stato nominato presidente di giuria della stessa sezione. Collabora inoltre con l’Istituto Comprensivo Motta San Giovanni ormai da alcuni anni in qualità di esperto e referente storico per i vari progetti di ricerca storica sul territorio lazzarese e mottese.Attualmente collabora con le riviste Costaviolaonline.it per la quale cura le pagine di approfondimento storico, con il portale Grecanica. com - voci dalla Calabria greca, con il sito Lazzaroturistica.it per il quale cura le pagine di storia e di archeologia, e con la rivista di studi storici Cesar.

FELICE DELFINO Nato il 04 Ottobre del 1979 a Oppido Mamertina (Rc), ha conseguito nel 2009 il Magistero presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Mons. Zoccali” di Reggio Calabria. Ha insegnato per due anni religione e cultura storico-sociale presso la Do.Mi. di Villa San Giovanni ed ha collaborato con alcune riviste storico-culturali locali pubblicando articoli religiosi per la rivista dell’Associazione Mariana “Amici di Fatima” di Rosalì (Rc), ma anche articoli e saggi storici con alcune riviste cartacee e online tra cui costaviola online. Appassionato da anni alla storia ebraica ha preso parte a diversi convegni incentrati sugli ebrei reggini (nel 2011 al Palazzo della Provincia di Reggio Calabria, evento organizzato dalla Fi.da.pa di Rc, insieme con l’avv. Franco Arillotta e con lo storico Natale Zappalà; nel 2012 nella conferenza presso la sez.UNLA di Arghillà Gallico). Ha pubblicato nel 2013, con la casa editrice Disoblio di Bagnara Calabra, il libro “La presenza ebraica nella storia reggina”. Attualmente vive a Catona (Rc).


UOMINI DI CULTURA

Sergio Donadoni

Palermo il 13 Ottobre 1914 – Roma 31 Ottobre 2015 , figlio del critico letterario Eugenio, il Donadoni studiò presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, dove si laureò insieme al collega con Annibale Evaristo Breccia. Specializzatosi in egittologia a Parigi e a Copenaghen, Donadoni ha insegnato nelle università di Milano, Pisa e infine Roma. Ha diretto scavi in Egitto (Antinoe, Qurna), in Nubia (Ikhmindi, Sabagura, Tamit) e in Sudan (Sonqi Tino,Gebel Barkal). Nell’ambito della collaborazione internazionale per il salvataggio dei templi egizi dovuto alla creazione della diga di Assuan, l’Italia partecipò con nove spedizioni condotte da Sergio Donadoni tra gli anni ’50 e ’60. Nel 1964 diresse la missione archeologica in Egitto e in Sudan dell’Università di Roma con scavi e ricerche in diverse antiche località, tra cui Tebe. Sergio Donadoni è autore di una vasta bibliografia, che comprende, tra gli altri titoli “La civiltà egiziana” (1940;), “L’arte egizia” (1955), “Storia della letteratura egiziana antica” (1957), “Le pitture murali della chiesa di Sonki Tino nel Sudan” (1968), “L’Egitto dal mito all’egittologia”. Era dottore honoris causa della Université Libre di Bruxelles. Socio dell’Accademia delle Scienze di Torino, della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, dell’Académie des Inscriptions et Belles Lettres di Parigi e dell’Institut d’Egypte. E’ stato insignito del Premio Feltrinelli per l’Archeologia nel 1975 ed era Cavaliere di Gran Croce al Merito della Repubblica (2000). Fonte : http://www.meteoweb.eu/2015/11/archeologia-addio-a-sergio-donadoni-gigante-dellegittologia/531919/ PIATTAFORMA WEB


NOVOTA’ DAL...

TOMBA DI UN GURIERO DELL’ETÀ DEL BRONZO DA PYLOS

Una tomba di un guerriero di 30-35 anni di età, vissuto nell’Età del Bronzo, è stata scoperta vicino Pylos, in Grecia. La sepoltura, non saccheggiata, ha stupito gli archeologi per la ricchezza dei manufatti ritrovati: 1400 circa. Era dagli anni cinquanta del secolo scorso che non se ne trovavano così. I gioielli erano alla destra del defunto, le armi alla sua sinistra, con una spada lunga un metro circa e con elsa in avorio ricoperto d’oro. Vi erano poi armature, coppe d’oro erano sul corpo, una collana in oro con due pendenti al collo, migliaia di grani in corniola, ametista, diaspro, agata e oro, quattro anelli/sigilli in oro, sei coppe in argento e altre in bronzo, oltre a ciotole e brocche, sempre in bronzo. Ritrovati anche molti manufatti in avorio, tra i quali un pettine. Non è stata invece ritrovata ceramica: vista la ricchezza del corredo, gli studiosi pensano che il defunto potesse addirittura guardarla con sdegno.La sepoltura data al 1500 a. C., ed è importante anche a causa della vicinanza al sito di Pylos (anche nota come Navarino), dove sorgeva il palazzo di Nestore, distrutto da un incendio attorno al 1200 a. C. La tomba predata Nestore e suo padre Neleo di 200-300 anni, ma non per questo è meno importante: potrà permettere agli studiosi, infatti, di comprendere meglio come si sviluppò il contatto tra questa parte della Grecia e Creta, l’apprezzamento di allora per l’arte minoica, il modo con cui la cultura minoica si trasmise a quella micenea. Per la stessa Pylos appare ora necessario un ripensamento: lo sviluppo dell’area dovrebbe essere più antico di quanto ritenuto.


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Gocce d’inchiostro 2015 III Edizione

I T A L I A

http://www.concorsiletterari.it/concorso,5530,Gocce%20 d’inchiostro%202015

Premio di Letteratura “Ponte Vecchio” II Edizione

http://www.concorsiletterari.it/concorso,5323,Premio%20 di%20Letteratura%20%22Ponte%20Vecchio%22

Concorso Internazionale di Poesia e Teatro Castello di Duino XII Edizione

C O N C O R S

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http://www.concorsiletterari.it/concorso,5432,Concorso%20 Internazionale%20di%20Poesia%20e%20Teatro%20Castello%20di%20Duino

Ventitre01: selezione opere 2016

http://www.linkarte.it/news/?ID=9917

Essere italiani è una storia: partecipa anche tu al Concorso Video “Memorie Migranti”

http://www.giovaniartisti.it/concorsi/2015/10/29/essereitaliani-%C3%A8-una-storia-partecipa-anche-tu-al-concorsovideo-%E2%80%9Cmemorie-migra

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